Language of document : ECLI:EU:T:2004:218

Arrêt du Tribunal

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Seconda Sezione)
8 luglio 2004 (1)

«Concorrenza – Intese – Mercati dei tubi d'acciaio senza saldatura – Durata dell'infrazione – Ammende»

Nella causa T-44/00,

Mannesmannröhren-Werke AG, con sede in Mülheim an der Ruhr (Germania), rappresentata dall'avv. M. Klusmann, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. M. Erhart e A. Whelan, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

avente ad oggetto il ricorso di annullamento della decisione della Commissione 8 dicembre 1999, 2003/382/CE, relativa ad un procedimento d'applicazione dell'art. 81 CE (Caso IV/E-1/35.860-B – Tubi d'acciaio senza saldatura) (GU 2003, L 140, pag. 1), o, in subordine, una domanda di riduzione dell'importo dell'ammenda inflitta alla ricorrente,



IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITA' EUROPEE (Seconda Sezione),



composto dal sig. N.J. Forwood, presidente, dai sigg. J. Pirrung e A.W.H. Meij, giudici,

cancelliere: sig. J. Plingers, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 19, 20 e 21 marzo 2003,

ha pronunciato la seguente



Sentenza




Fatti e procedimento

1
La presente causa riguarda la decisione della Commissione 8 dicembre 1999, 2003/382/CE, relativa ad un procedimento d’applicazione dell’articolo 81 CE (Caso IV/E/-1/35.860‑B – Tubi d’acciaio senza saldatura) (GU 2003, L 140, pag. 1; in prosieguo: la «decisione impugnata»).

2
La Commissione ha inviato la decisione impugnata a otto imprese produttrici di tubi di acciaio al carbonio senza saldatura (in prosieguo: le «imprese destinatarie della decisione impugnata»). Tra tali imprese figurano quattro società europee (in prosieguo: le «produttrici europee» ovvero le «produttrici comunitarie»): la Mannesmannröhren-Werke AG (in prosieguo: la «Mannesmann» o la «ricorrente»), la Vallourec SA, la Corus UK Ltd (già British Steel plc, poi British Steel Ltd; in prosieguo: la «Corus») e la Dalmine SpA. Le altre quattro destinatarie della decisione impugnata sono società giapponesi (in prosieguo: le «produttrici giapponesi»): la NKK Corp., la Nippon Steel Corp. (in prosieguo: la «Nippon»), la Kawasaki Steel Corp. (in prosieguo: la «Kawasaki») e la Sumitomo Metal Industries Ltd (in prosieguo: la «Sumitomo»).

Procedimento amministrativo

3
Con decisione 17 novembre 1994 l’Autorità di vigilanza dell’Associazione europea di libero scambio (AELS), ai sensi dell’art. 8, n. 3, del Protocollo 23 dell’Accordo sullo Spazio economico europeo, approvato con decisione del Consiglio e della Commissione 13 dicembre 1993, 94/1/CECA, CE, relativa alla conclusione dell’accordo sullo Spazio economico europeo tra le Comunità europee, i loro Stati membri e la Repubblica d’Austria, la Repubblica di Finlandia, la Repubblica d’Islanda, il Principato del Liechtenstein, il Regno di Norvegia, il Regno di Svezia e la Confederazione elvetica (GU 1994, L 1, pag. 1; in prosieguo: l’«accordo SEE»), autorizzava il membro responsabile della concorrenza a domandare alla Commissione di procedere, nel territorio della Comunità, a verificare l’eventuale esistenza di comportamenti anticoncorrenziali nel settore della produzione dei tubi di acciaio al carbonio utilizzati dall’industria petrolifera norvegese per operazioni di sondaggio e di trasporto.

4
Con decisione non pubblicata 25 novembre 1994 (Caso IV/35.304; in prosieguo: la «decisione 25 novembre 1994»), citata a pag. 3 del fascicolo amministrativo della Commissione, avente come fondamento normativo sia l’art. 14, n. 3, del regolamento del Consiglio 6 febbraio 1962, n. 17, primo regolamento d’applicazione degli articoli [81 CE] e [82 CE] (GU 1962, n. 13, pag. 204), sia la decisione dell’Autorità di vigilanza AELS 17 novembre 1994, la Commissione decideva di avviare un’indagine. Oggetto della verifica erano i comportamenti menzionati nella decisione dell’Autorità di vigilanza AELS 17 novembre 1994, in quanto idonei ad integrare una violazione non solo dell’art. 53 dell’Accordo SEE, ma anche dell’art. 81 CE. La Commissione inviava la decisione 25 novembre 1994 a otto società, tra cui la Mannesmann, la Corus, la Vallourec e la Sumitomo Deutschland GmbH, società del gruppo Sumitomo. Il 1° e il 2 dicembre 1994, agendo in forza della citata decisione, taluni funzionari della Commissione e alcuni rappresentanti delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri interessati effettuavano accertamenti presso le dette imprese.

5
Con decisione 6 dicembre 1995 l’Autorità di vigilanza AELS constatava che, a causa delle significative alterazioni del commercio intracomunitario che esso comportava, il caso in esame rientrava nella competenza della Commissione ai sensi dell’art. 56, n. 1, lett. c), dell’Accordo SEE. L’Autorità di vigilanza AELS decideva pertanto di trasmettere tale fascicolo alla Commissione, conformemente all’art. 10, n. 3, del protocollo 23 dell’Accordo SEE. A partire da tale data, la Commissione ha registrato il caso con un nuovo numero (IV/E‑1/35.860).

6
Tra il settembre 1996 e il dicembre 1997 la Commissione effettuava ulteriori accertamenti, ai sensi dell’art. 14, n. 2, del regolamento n. 17, presso la Vallourec, la Dalmine e la Mannesmann. In particolare, essa effettuava un’ispezione presso la Vallourec il 17 settembre 1996, in occasione della quale il sig. Verluca, presidente della Vallourec Oil & Gas, rilasciava la dichiarazione citata a pag. 6356 del fascicolo della Commissione (in prosieguo: la «dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996»), su cui quest’ultima ha basato la decisione impugnata. Successivamente la Commissione inviava una richiesta di informazioni, ex art. 11 del regolamento n. 17, a tutte le imprese destinatarie della decisione impugnata, nonché a talune altre.

7
Poiché la Dalmine e le società argentine Siderca SAIC (in prosieguo: la «Siderca») e Techint Group avevano rifiutato di fornire alcune delle informazioni richieste, la Commissione inviava loro una decisione adottata ai sensi dell’art. 11, n. 5, del regolamento n. 17: la decisione 6 ottobre 1997, C (1997) 3036 (IV/35.860 Tubi d’acciaio, non pubblicata). Sia la Siderca che la Dalmine presentavano al Tribunale un ricorso di annullamento contro tale decisione. Il ricorso di annullamento della Dalmine veniva dichiarato manifestamente irricevibile con ordinanza del Tribunale 24 giugno 1998, causa T‑596/97, Dalmine/Commissione (Racc. pag. II‑2383), mentre il ricorso di annullamento della Siderca veniva cancellato dal ruolo, in seguito alla rinuncia di quest’ultima, con ordinanza del Tribunale 7 giugno 1998, causa T-8/98, Siderca/Commissione (non pubblicata nella Raccolta).

8
Anche la Mannesmann rifiutava di fornire alcune informazioni richieste dalla Commissione. Essa persisteva nel suo rifiuto anche dopo l’adozione nei suoi confronti, da parte della Commissione, di una decisione ai sensi dell’art. 11, n. 5, del regolamento n. 17: la decisione 15 maggio 1998, C (1998) 1204 (IV/35.860 Tubi d’acciaio, non pubblicata). A sua volta la Mannesmann presentava un ricorso al Tribunale contro tale decisione. Con sentenza 20 febbraio 2001, causa T‑112/98, Mannesmannröhren-Werke/Commissione (Racc. pag. II‑729), il Tribunale annullava parzialmente la decisione in questione, respingendo, per il resto, il ricorso.

9
Nel gennaio 1999 la Commissione adottava due comunicazioni degli addebiti, concernenti l’una i tubi d’acciaio al carbonio saldati e l’altra quelli senza saldatura. Essa scindeva in tal modo il caso in due: il caso IV/E‑1/35.860‑A, relativo ai tubi d’acciaio al carbonio saldati, e il caso IV/E‑1/35.860‑B, relativo a quelli senza saldatura.

10
Nel caso relativo ai tubi d’acciaio al carbonio senza saldatura, la Commissione inviava la sua comunicazione degli addebiti (in prosieguo: la «CdA») alle otto imprese destinatarie della decisione impugnata nonché alla Siderca e alla società messicana Tubos de Acero de México SA. Le dette imprese consultavano il fascicolo aperto dalla Commissione per tale caso fra l’11 febbraio e il 20 aprile 1999. Inoltre, con lettere datate 11 maggio 1999, la Commissione inviava copia delle decisioni del novembre 1994, relative agli accertamenti, alle imprese che non ne erano destinatarie e che, pertanto, non ne avevano avuto conoscenza.

11
Dopo aver presentato le loro osservazioni scritte, le destinatarie delle due comunicazioni degli addebiti venivano sentite dalla Commissione il 9 e il 10 giugno 1999, in ordine – rispettivamente – al caso relativo ai tubi d’acciaio al carbonio saldati e a quello relativo ai tubi d’acciaio al carbonio senza saldatura. Nel luglio 1999 la Commissione informava le destinatarie della comunicazione degli addebiti nel caso IV/E‑1/35.860‑A, relativo ai tubi d’acciaio al carbonio saldati, di aver rinunciato alla procedura relativa a tali prodotti. Viceversa, essa proseguiva l’iter relativo al caso IV/E‑1/35.860‑B.

12
Alla luce di tali circostanze, l’8 dicembre 1999 la Commissione adottava la decisione impugnata.

Prodotti in questione

13
I prodotti oggetto del caso IV/E-1/35.860‑B sono i tubi di acciaio al carbonio senza saldatura utilizzati dall’industria petrolifera e del gas, i quali si suddividono in due grandi categorie.

14
Alla prima categoria appartengono i tubi per il sondaggio, comunemente denominati «Oil Country Tubular Goods» ovvero «OCTG». Essi possono essere venduti senza filettatura («tubi lisci») o filettati. La filettatura è un’operazione volta a consentire il raccordo dei tubi OCTG. Essa può essere ordinaria, vale a dire conforme ai parametri fissati dall’American Petroleum Institute (API) (i tubi così filettati saranno denominati in prosieguo: gli «OCTG standard»), oppure realizzata con tecniche particolari, solitamente brevettate. In quest’ultimo caso si parla di filettatura o, eventualmente, di «giunti» «di prima qualità» ovvero «premium» (i tubi così filettati saranno denominati in prosieguo: gli «OCTG premium»).

15
Alla seconda categoria di prodotti appartengono i tubi per il trasporto di petrolio e di gas («linepipe») di acciaio al carbonio senza saldatura, che si suddividono a loro volta in tubi fabbricati secondo norme uniformate e in tubi fabbricati su misura e destinati a progetti specifici ( in prosieguo: i «linepipe “project”»).

Infrazioni constatate dalla Commissione nella decisione impugnata

16
Nella decisione impugnata la Commissione ha osservato, innanzitutto, che le otto imprese destinatarie di tale decisione avevano concluso un accordo che prevedeva, fra l’altro, la reciproca protezione dei loro mercati nazionali (punti 62‑67 della decisione impugnata). In base a tale accordo, ogni impresa si impegnava a non vendere OCTG standard e linepipe «project» sui mercati nazionali delle altre aderenti all’accordo. L’accordo sarebbe stato concluso nell’ambito delle riunioni tra produttrici comunitarie e giapponesi, dette «club Europa-Giappone». Il principio della protezione dei mercati nazionali era denominato «fundamentals» (regole di base dell’accordo). In subordine, la Commissione ha rilevato che tali «fundamentals» erano stati realmente osservati e che, pertanto, l’accordo aveva sortito effetti anticoncorrenziali sul mercato comune (punto 68 della decisione impugnata).

17
Secondo la Commissione, il detto accordo era vietato ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE (punto 109 della decisione impugnata). Conseguentemente, all’art. 1 della decisione impugnata, essa ha constatato l’esistenza di una violazione di tale disposizione e ha inflitto ammende alle otto imprese destinatarie.

18
Quanto alla durata dell’infrazione, la Commissione ha affermato che, sebbene le riunioni del club Europa-Giappone fossero iniziate nel 1977 (punto 55 della decisione impugnata), occorreva considerare il 1990 come momento iniziale dell’infrazione ai fini della fissazione delle ammende, in quanto tra il 1977 e il 1990 erano stati conclusi tra la Comunità europea e il Giappone accordi di autolimitazione delle esportazioni (in prosieguo: gli «accordi di autolimitazione») (punto 108 della decisione impugnata). Secondo la Commissione, l’infrazione è terminata nel 1995 (punti 96 e 97 della decisione impugnata).

19
Per la fissazione dell’importo delle ammende inflitte alle otto imprese destinatarie della decisione impugnata la Commissione ha qualificato l’infrazione come molto grave, giacché l’accordo di cui trattasi aveva ad oggetto la protezione dei mercati nazionali e pregiudicava il buon funzionamento del mercato interno (punti 161 e 162 della decisione impugnata). Per contro, essa ha rilevato che le vendite dei tubi di acciaio al carbonio senza saldatura effettuate dalle imprese destinatarie nei quattro Stati membri interessati ammontavano ad un importo di soli EUR 73 milioni circa all’anno. Di conseguenza, la Commissione ha fissato l’ammontare dell’ammenda, in base alla gravità dell’infrazione, a EUR 10 milioni per ognuna delle otto imprese destinatarie della decisione impugnata. Queste ultime sono tutte di grandi dimensioni, pertanto la Commissione ha ritenuto di non dover differenziare, a tale titolo, gli importi stabiliti (punti 162, 163 e 165 della decisione impugnata).

20
Ritenendo che si trattasse di un’infrazione di durata media, nel fissare l’importo di base dell’ammenda irrogata a ciascuna impresa in causa, la Commissione ha applicato un aumento del 10% della somma stabilita in funzione della gravità per ogni anno di partecipazione all’infrazione (punto 166 della decisione impugnata). Tuttavia, considerato che il settore dei tubi di acciaio versava in uno stato di crisi protratta e che tale situazione si è deteriorata a partire dal 1991, la Commissione ha ridotto i detti importi di base del 10% a motivo delle circostanze attenuanti (punti 168 e 169 della decisione impugnata). Infine, la Commissione ha applicato una riduzione dell’ammontare dell’ammenda per la Vallourec del 40% e per la Dalmine del 20%, ai sensi del punto D 2 della sua comunicazione 96/C 207/04, sulla non imposizione delle ammende o sulla riduzione del loro importo nei casi d’intesa tra imprese (GU 1996, C 207, pag. 4; in prosieguo: la «comunicazione sulla cooperazione»), in quanto queste due imprese avevano collaborato con la Commissione nella fase del procedimento amministrativo (punti 170‑173 della decisione impugnata).

21
L’importo dell’ammenda irrogata a ciascuna delle imprese in causa, calcolato secondo il metodo illustrato ai due punti precedenti, è indicato all’art. 4 della decisione impugnata (v. sotto, punto 33).

22
In secondo luogo, la Commissione ha reputato, all’art. 2 della decisione impugnata, che i contratti conclusi tra le produttrici comunitarie concernenti la vendita di tubi lisci sul mercato britannico integrassero un’infrazione (punto 116 della decisione impugnata). Tuttavia, essa non li ha sanzionati con un’ammenda supplementare perché si trattava, in fondo, solo di un modo di attuare il principio della protezione dei mercati nazionali deciso nel contesto del club Europa‑Giappone (punto 164 della decisione impugnata).

Fatti salienti constatati dalla Commissione nella decisione impugnata

23
Dal 1977 al 1994 il club Europa-Giappone si riuniva circa due volte l’anno (punto 60 della decisione impugnata). In particolare, la Commissione ha rilevato che, stando a quanto dichiarato dal sig. Verluca il 17 settembre 1996, sono state tenute riunioni in particolare il 14 aprile 1992 a Firenze, il 23 ottobre 1992 a Tokyo, il 19 maggio 1993 a Parigi, il 5 novembre 1993 a Tokyo e il 16 marzo 1994 a Cannes. La Commissione ha sostenuto, peraltro, che la nota della Vallourec dal titolo «Quelques informations à l’occasion du club Europe/Japon» (Osservazioni sul club Europa‑Giappone), datata 4 novembre 1991 e citata a pag. 4350 del fascicolo della Commissione, e quella del 24 luglio 1990, citata a pag. 15586 del medesimo fascicolo, intitolata «Riunione del 24.07.90 con la British Steel», precisano che altre riunioni del club Europa-Giappone si sono svolte anche nel 1989 e nel 1991.

24
L’accordo concluso in seno al club Europa-Giappone si basava su tre pilastri: il primo era costituito dai «fundamentals» per la protezione dei mercati nazionali (menzionati supra al punto 16), i quali integravano l’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata; il secondo consisteva nella fissazione dei prezzi per i bandi di gara e di prezzi minimi per gli «special markets» (i mercati speciali) e il terzo era dato dalla ripartizione degli altri mercati mondiali, eccetto quelli del Canada e degli Stati Uniti d’America, mediante apposite chiavi di ripartizione («sharing keys») (punto 61 della decisione impugnata). La Commissione basa la sua conclusione quanto all’esistenza dei «fundamentals» su una serie di documenti indiziari enumerati ai punti 62‑67 della decisione impugnata, nonché sulla tabella di cui al punto 68 di quest’ultima. Dalla detta tabella risulterebbe che la quota del produttore nazionale nelle forniture di OCTG e di linepipe effettuate dalle destinatarie della decisione impugnata in Giappone e sul mercato interno di ciascuna delle quattro produttrici comunitarie era molto elevata. La Commissione ne deduce che, nel complesso, i mercati nazionali erano effettivamente protetti dalle parti dell’accordo. Relativamente agli altri due pilastri dell’accordo in esame, la Commissione illustra gli elementi probatori pertinenti ai punti 70‑77 della decisione impugnata.

25
Allorché la Corus ha manifestato, nel 1990, l’intenzione di cessare la sua attività di produzione di tubi lisci, le produttrici comunitarie si sarebbero interrogate sui limiti temporali di applicazione del principio della protezione dei mercati nazionali, nell’ambito dei «fundamentals» sopra descritti, relativamente al mercato del Regno Unito. A tale proposito la Vallourec e la Corus avrebbero proposto i «fundamentals improved» (versione perfezionata delle regole di base dell’accordo), finalizzati a mantenere in vigore le restrizioni all’accesso delle produttrici giapponesi al mercato britannico nonostante il ritiro della Corus. Nel luglio 1990, in occasione del rinnovo della licenza relativa alla tecnica di filettatura VAM, la Vallourec e la Corus si sarebbero così accordate per riservare la fornitura di quest’ultima in tubi lisci senza saldatura alla Vallourec, alla Mannesmann e alla Dalmine (punto 78 della decisione impugnata).

26
Nell’aprile 1991 la Corus ha chiuso la sua fabbrica di Clydesdale (Regno Unito), dove veniva prodotto circa il 90% dei suoi tubi lisci. Essa ha quindi concluso contratti di fornitura di detti tubi, quinquennali, ma rinnovabili tacitamente salvo preavviso di dodici mesi, con la Vallourec (il 24 luglio 1991), con la Dalmine (il 4 dicembre 1991) e con la Mannesmann (il 9 agosto 1993) (in prosieguo: i «contratti di fornitura»). Ai sensi di questi tre contratti, citati alle pagg. 12867, 12910 e 12948 del fascicolo della Commissione, le imprese beneficiarie fornivano alla Corus, rispettivamente, il 40%, il 30% e il 30% del suo fabbisogno (punti 79‑82 della decisione impugnata), con esclusione dei tubi di piccolo diametro.

27
Nel 1993 tre fattori avrebbero indotto a rivedere i principi di funzionamento del club Europa‑Giappone. Innanzi tutto, la ristrutturazione dell’industria siderurgica europea, visto che, nel Regno Unito, la Corus intendeva appunto dismettere le sue ultime attività di produzione di tubi filettati senza saldatura e che, in Belgio, la società New Tubemeuse (in prosieguo: la «NTM»), dedita prevalentemente all’esportazione verso il Medio e l’Estremo Oriente, era stata liquidata il 31 dicembre 1993. Poi, l’ingresso nel mercato comunitario delle produttrici dell’America latina, che minacciava di rimettere in causa le ripartizioni dei mercati convenute nell’ambito del club Europa‑Giappone. Infine, l’importanza crescente dei tubi saldati sul mercato mondiale dei tubi utilizzati per l’estrazione e lo sfruttamento di petrolio e di gas, malgrado il permanere di forti disparità fra regioni (punti 83 e 84 della decisione impugnata).

28
Sarebbe in tale contesto i membri del club Europa‑Giappone si sono incontrati a Tokyo, il 5 novembre 1993, per negoziare un nuovo accordo di ripartizione dei mercati con le produttrici dell’America latina. Il contenuto dell’accordo stipulato in tale occasione si rispecchierebbe in un documento, consegnato alla Commissione il 12 novembre 1997 da un informatore estraneo al procedimento e citato a pag. 7320 del fascicolo della Commissione, il quale contiene in particolare una «Sharing key» (chiave di ripartizione; in prosieguo: il «documento “Sharing key”»). A detta dell’informatore, la fonte del documento sarebbe un agente commerciale di una delle partecipanti alla summenzionata riunione. Per quanto riguarda segnatamente le conseguenze della ristrutturazione dell’industria europea, la chiusura della NTM avrebbe permesso alle produttrici comunitarie di ottenere concessioni dalle produttrici giapponesi e latino-americane, principali beneficiarie del ritiro della NTM dai mercati d’esportazione (punti 85‑89 della decisione impugnata).

29
Da parte sua, la Corus ha deciso di cessare le sue ultime attività di produzione di tubi senza saldatura. Il 22 febbraio 1994 la Vallourec ha acquisito il controllo degli impianti specializzati nella filettatura e nella produzione dei tubi della Corus e ha costituito, a tal fine, la società Tubular Industries Scotland Ltd. (in prosieguo: la «TISL»). Il 31 marzo 1994 la TISL ha rilevato i contratti di fornitura di tubi lisci che la Corus aveva stipulato con la Dalmine e la Mannesmann. Il 24 aprile 1997 il contratto così concluso con la Mannesmann era ancora in vigore. Il 30 marzo 1999 la Dalmine ha risolto il contratto di fornitura con la TISL (punti 90‑92 della decisione impugnata).

30
La Commissione ha ritenuto che, con i detti contratti, le produttrici comunitarie si fossero assegnate le quote di fornitura di tubi lisci per il mercato britannico, che rappresenta più della metà del consumo comunitario di OCTG. Essa ne ha dunque inferito che si trattasse di un’intesa vietata in forza dell’art. 81, n. 1, CE (v. supra, punto 22).

Dispositivo della decisione impugnata

31
Ai sensi dell’art. 1, n. 1, della decisione impugnata, le otto imprese destinatarie della stessa «(…) hanno violato le disposizioni dell’articolo 81, paragrafo 1, (…) CE, partecipando (...) ad un accordo che prevedeva fra l’altro la protezione dei rispettivi mercati nazionali dei tubi OCTG (…) standard e linepipe project senza saldatura».

32
Ai sensi dell’art. 1, n. 2, della decisione impugnata, l’infrazione è durata dal 1990 al 1995 per le società Mannesmann, Vallourec, Dalmine, Sumitomo, Nippon, Kawasaki Steel Corp. e NKK Corp. Per la Corus si dichiara che l’infrazione è durata dal 1990 al febbraio 1994.

33
Le altre disposizioni pertinenti della decisione impugnata sono formulate come segue:

«Articolo 2

1.
[Mannesmann], Vallourec (…), [Corus] e Dalmine (…) hanno violato le disposizioni dell’articolo 81, paragrafo 1, [CE], concludendo, nell’ambito dell’infrazione di cui all’articolo 1, contratti risultanti in una ripartizione delle forniture di tubi OCTG lisci a [Corus] (Vallourec (...) a partire dal 1994).

2.
Per [Corus] l’infrazione è durata dal 24 luglio 1991 al febbraio 1994. Per Vallourec (…) è durata dal 24 luglio 1991 al 30 marzo 1999. Per Dalmine (…) è durata dal 4 dicembre 1991 al 30 marzo 1999. Per [Mannesmann] è durata dal 9 agosto 1993 al 24 aprile 1997.

(…)

Articolo 4

A motivo dell’infrazione constatata all’articolo 1, alle imprese ivi elencate sono irrogate le seguenti ammende:

(1)    [Mannesmann] 13 500 000 EUR

(2)    Vallourec (…) 8 100 000 EUR

(3)    [Corus] 12 600 000 EUR

(4)    Dalmine (…) 10 800 000 EUR

(5)    Sumitomo (…) 13 500 000 EUR

(6)    Nippon (…) 13 500 000 EUR

(7)    Kawasaki Steel Corporation 13 500 000 EUR

(8)    NKK Corporation 13 500 000 EUR

(...)».

Procedimento dinanzi al Tribunale

34
Con sette istanze, depositate nella cancelleria del Tribunale tra il 28 febbraio e il 3 aprile 2000, le società Mannesmann, Corus, Dalmine, NKK Corp., Nippon, Kawasaki Steel Corp. e Sumitomo hanno presentato un ricorso contro la decisione impugnata.

35
Con ordinanza 18 giugno 2002 è stato deciso, sentite le parti, di riunire le sette cause ai fini del procedimento orale, in conformità dell’art. 50 del regolamento di procedura del Tribunale. In seguito a tali riunioni, le ricorrenti hanno potuto consultare il complesso dei fascicoli relativi al procedimento pendente nelle sette cause presso la cancelleria del Tribunale. Sono state altresì adottate alcune misure di organizzazione del procedimento.

36
Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Seconda Sezione) ha deciso di passare alla fase orale. Le parti hanno svolto le loro difese orali e hanno risposto ai quesiti scritti formulati dal Tribunale alle udienze del 19, 20 e 21 marzo 2003.


Conclusioni delle parti

37
La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

annullare la decisione impugnata;

in subordine, ridurre l’importo dell’ammenda che le è stata inflitta;

condannare la Commissione alle spese.

38
La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

respingere il ricorso;

condannare la ricorrente alle spese.


Sulla domanda di annullamento della decisione impugnata

39
A sostegno della sua domanda di annullamento, la ricorrente solleva, anzitutto, una serie di motivi diretti a mettere in discussione la regolarità del procedimento amministrativo. Essa fa valere, inoltre, una violazione dell’art. 81, n. 1, CE in quanto la Commissione non avrebbe sufficientemente dimostrato l’esistenza dell’infrazione contestata all’art. 1 della decisione impugnata, da un lato, e all’art. 2 della decisione impugnata, dall’altro.

Sui motivi vertenti su vizi di procedura

Sul motivo vertente su una violazione dei diritti della difesa in quanto la Commissione avrebbe impedito alla ricorrente l’accesso a determinati elementi del fascicolo

    Argomenti delle parti

40
La ricorrente sostiene che essa non ha avuto accesso al fascicolo amministrativo. La Commissione le avrebbe impedito di prendere conoscenza dei documenti trasmessi dall’Autorità di vigilanza AELS, barricandosi dietro il carattere interno di tali documenti, senza nessun’altra spiegazione o esame del loro contenuto. La Mannesmann sostiene, così, che essa è stata privata di taluni documenti a discarico.

41
Inoltre, la Mannesmann contesta alla Commissione di non aver rispettato il procedimento descritto al punto II A della comunicazione della Commissione 97/C‑23/03, relativa alle regole procedurali interne per l’esame delle domande di accesso al fascicolo nei casi di applicazione degli artt. [81] e [82] del Trattato CE, degli artt. 65 e 66 del Trattato CECA e del regolamento (CEE) n. 4064/89 del Consiglio (GU 1997, C 23, pag. 3, in prosieguo: la «comunicazione relativa all’accesso al fascicolo»). Ai sensi di tale comunicazione, il consigliere-uditore sarebbe tenuto a controllare la classificazione dei documenti del fascicolo e, se necessario, verificare la loro classificazione come documenti interni. Tale obbligo di controllo sarebbe indipendente da qualsiasi iniziativa da parte delle imprese. La Mannesmann ritiene così di non essere in grado di determinare se la CdA e il fascicolo amministrativo contengano o meno tutti i documenti a discarico.

42
Per di più, la Mannesmann contesta alla Commissione di non averle trasmesso un elenco di tutti i documenti contenuti nel fascicolo, per consentirle di chiedere di prendere conoscenza di taluni documenti (sentenze del Tribunale 29 giugno 1995, causa T‑30/91, Solvay/Commissione, Racc. pag. II‑1775, punti 89 e 93‑95, e causa T‑36/91, ICI/Commissione, Racc. pag. II‑1847, punti 99 e 103‑105). Del resto, la Commissione sarebbe tenuta ad identificare su tale elenco i documenti a carattere interno (sentenza del Tribunale 15 marzo 2000, cause riunite T‑25/95, T‑26/95, da T‑30/95 a T‑32/95, da T‑34/95 a T‑39/95, da T‑42/95 a T‑46/95, T‑48/95, da T‑50/95 a T‑65/95, da T‑68/95 a T‑71/95, T‑87/95, T‑88/95, T‑103/95 e T‑104/95, Cimenteries CBR e a./Commissione, detta «Cemento», Racc. pag. II‑491, punti 168 e 186). La Commissione avrebbe così violato i diritti della difesa. Una tale violazione non potrebbe essere «regolarizzata» nel procedimento dinanzi al Tribunale (sentenza Solvay/Commissione, cit., punto 98).

43
In udienza, la Mannesmann ha invocato, per analogia, il regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 30 maggio 2001, n. 1049, relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione (GU L 145, pag. 43).

44
La Commissione ribatte che secondo la costante giurisprudenza essa non è tenuta a dare accesso ai suoi documenti interni (sentenze del Tribunale 17 dicembre 1991, causa T‑7/89, Hercules Chemicals/Commissione, Racc. pag. II‑1711, punto 54; 1º aprile 1993, causa T‑65/89, BPB Industries e British Gypsum/Commissione, Racc. pag. II‑389, e Cemento, cit. supra al punto 42, punto 420). Tali documenti, per loro natura, non potrebbero essere fatti valere a titolo di prova di un’infrazione (v. comunicazione relativa all’accesso al fascicolo, punto I A 3). In ogni caso la Mannesmann non avrebbe dimostrato che la decisione impugnata si basa su documenti ai quali essa non ha avuto accesso.

45
La Commissione ritiene che la classificazione dei documenti in questione come documenti interni non dia adito a dubbi. Conformemente alle disposizioni del punto II A 2, lett. c), della comunicazione relativa all’accesso al fascicolo, la corrispondenza tra la Commissione ed un’autorità pubblica terza, quale l’Autorità di vigilanza AELS, rientrerebbe nella nozione di documento interno.

46
Quanto all’adempimento, da parte del consigliere-uditore, del suo obbligo di controllo dei documenti riportati nel fascicolo, la Mannesmann non apporterebbe alcuna prova a sostegno delle sue affermazioni. La Commissione sottolinea, inoltre, che la Mannesmann non ha utilizzato la facoltà, prevista al punto II A 2 della comunicazione relativa all’accesso al fascicolo, di chiedere al consigliere-uditore di certificare la natura di documenti interni delle informazioni in questione.

47
Infine, la Commissione rigetta la tesi secondo cui essa è tenuta a comunicare alle imprese un elenco dei documenti interni contenuti nel fascicolo.

    Giudizio del Tribunale

48
Il punto II A 2 della comunicazione relativa all’accesso al fascicolo è formulato come segue :

«Per ragioni di semplificazione e di efficienza amministrativa, i documenti interni saranno d’ora in avanti repertoriati nella raccolta dei documenti interni relativi alla pratica oggetto dell’istruzione (non accessibile), contenente tutti i documenti interni in ordine cronologico. Tale classificazione avverrà sotto il controllo del consigliere-uditore il quale, se necessario, può certificare la natura di “documenti interni” delle informazioni ivi raccolte.

Costituiscono, per esempio, documenti interni:

(…)

c)      la corrispondenza su una determinata pratica, intercorsa con altre autorità pubbliche (19);

(...)».

49
La nota 19 della comunicazione relativa all’accesso al fascicolo precisa quanto segue:

«È necessario tutelare la riservatezza dei documenti provenienti dalle autorità pubbliche. Tale regola vale non solo per i documenti delle autorità competenti in materia di concorrenza, ma anche per quelli di altre autorità pubbliche, di uno Stato membro o di un paese terzo. (…) Occorre tuttavia distinguere le valutazioni od osservazioni formulate da queste altre autorità pubbliche, per le quali vige una tutela assoluta, dalle informazioni concrete che esse abbiano potuto fornire, che non sempre sono coperte dalla deroga. (…)».

50
Occorre rilevare che dal tenore letterale del punto II A 2 della comunicazione relativa all’accesso al fascicolo risulta che il controllo esercitato dal consigliere-uditore per verificare la natura interna dei documenti riportati nel fascicolo non costituisce una tappa sistematica del procedimento amministrativo, contrariamente a quanto fatto valere dalla Mannesmann. Infatti, dato che il consigliere-uditore «può» effettuare una tale verifica «se necessario» ai sensi di tale punto, va affermato che, nel caso in cui la classificazione di determinati documenti come «documenti interni» non sia o, eventualmente, non sia più contestata, una verifica da parte dello stesso non è necessaria. Un’interpretazione contraria renderebbe sproporzionatamente più oneroso il carico di lavoro della Commissione nell’ambito del procedimento amministrativo e contraddirebbe lo scopo ai sensi del quale tale metodo di classificazione è stato adottato per «ragioni di semplificazione e di efficienza amministrativa». Pertanto, occorre stabilire se, nell’ambito del procedimento amministrativo, la Mannesmann abbia chiesto che il consigliere-uditore verificasse la natura interna dei documenti trasmessi alla Commissione dall’Autorità di vigilanza AELS e classificati come documenti interni.

51
A tale proposito, occorre rilevare che la Mannesmann ha presentato una domanda di accesso ai documenti in questione con lettera 12 marzo 1999, allegata al ricorso. Tuttavia, tale domanda è stata respinta dalla Commissione con lettera 22 marzo 1999, allegata parimenti al ricorso, in quanto i detti documenti erano effettivamente documenti interni ai sensi del punto II A della comunicazione relativa all’accesso al fascicolo (v., in particolare, punto II A 2 di tale comunicazione).

52
La Commissione ha indicato nel controricorso, senza essere contraddetta in proposito dalla Mannesmann, che quest’ultima non ha contestato ulteriormente il rifiuto di accesso contenuto nella lettera 22 marzo 1999 chiedendo al consigliere-uditore di verificare l’esattezza e il fondamento della risposta della Commissione. Infatti, la Mannesmann si è limitata a sostenere, nella replica, che non spettava a lei presentare al consigliere-uditore una nuova domanda. Del resto, da un passaggio della relazione del consigliere-uditore citato dalla Commissione nella sua risposta ad un quesito scritto del Tribunale risulta che «nessuna questione relativa ai diritti della difesa in senso stretto e, in particolare, nessuna questione relativa all’accesso al fascicolo è stata sollevata (…)» dalle parti.

53
Occorre rilevare che, poiché la Mannesmann non ha chiesto, dopo aver ricevuto la lettera 22 marzo 1999, che la classificazione dei documenti riportata alle pagg. 1‑350 del fascicolo amministrativo della Commissione come documenti interni fosse verificata, non era necessario che il consigliere-uditore effettuasse una tale verifica nel caso di specie. Infatti, nell’ipotesi in cui la Commissione respinga per iscritto una domanda di accesso a determinati documenti di un fascicolo poiché trattasi di documenti interni, va rilevato che spetta in seguito all’autore della domanda di accesso reiterare la stessa contestando la natura interna di tali documenti qualora desideri che il consigliere-uditore intervenga per esaminare la detta questione.

54
Per quanto riguarda la censura della Mannesmann secondo cui la Commissione non le ha fornito un elenco di tutti i documenti riportati nel suo fascicolo, inclusi i documenti interni, dalla giurisprudenza invocata dalla Mannesmann a sostegno della sua tesi non risulta che il fatto che la Commissione non abbia fornito alle parti un tale elenco nella fase del procedimento amministrativo costituisca di per sé una violazione dei diritti della difesa. Infatti, nelle sentenze Solvay/Commissione, cit. supra al punto 42 (punti 89 e 93‑95), e ICI/Commissione, cit. supra al punto 42 (punti 99 e 103‑105), il Tribunale ha esaminato unicamente la questione della necessaria conciliazione del diritto di accesso ai documenti a carico e a discarico con la tutela dei segreti commerciali delle imprese e non con la tutela dei documenti interni. Inoltre, se dalla sentenza Cemento, cit. supra al punto 42 (punti 5, 168 e 186), risulta che il Tribunale ha invitato la Commissione, nell’ambito di una misura di organizzazione del procedimento, a produrre una descrizione di tutti i documenti interni il cui contenuto non era stato specificato, anche sommariamente, sull’elenco fornito alle parti nella fase del procedimento amministrativo, esso non ha dedotto da tale circostanza che la Commissione avesse commesso una violazione dei diritti della difesa.

55
Ad ogni modo, occorre rilevare che i diritti della difesa sono violati a causa di un’irregolarità procedurale solo qualora quest’ultima abbia avuto un effetto concreto sulla possibilità per le imprese interessate di difendersi (v., in tal senso, sentenza Cemento, cit. supra al punto 42, punti 852‑860).

56
Orbene, nel caso di specie il Tribunale ha invitato la Commissione, nell’ambito di una misura di organizzazione del procedimento, a trasmettere un elenco che indicasse il contenuto delle pagg. 1‑350 del suo fascicolo amministrativo. Da tale elenco si evince che tutti i documenti in questione risultano essere documenti interni e non elementi probatori a carico o a discarico, nel senso che essi non sono idonei a dimostrare che l’una o l’altra delle imprese in questione abbia commesso o meno un’infrazione, di modo che né la mancata verifica da parte del consigliere-uditore della natura interna di tali documenti né il rifiuto della Commissione di trasmettere un elenco che includesse una descrizione di questi ultimi hanno potuto pregiudicare la possibilità della Mannesmann di difendersi e, con ciò, violare i suoi diritti della difesa. Infatti, in udienza, dopo aver ricevuto copia del detto elenco e contrariamente a quanto affermava prima di riceverla, la Mannesmann non ha sostenuto che alcuni dei documenti che vi sono indicati non costituissero, in realtà, documenti interni.

57
Alla luce del punto precedente, anche l’argomento sollevato dalla Mannesmann in udienza e basato per analogia sul regolamento n. 1049/2001 dev’essere respinto. Infatti, anche supponendo che la Mannesmann abbia potuto dimostrare di aver avuto un diritto di accesso ai documenti in questione, il fatto di avervi accesso non le avrebbe consentito di difendersi meglio nell’ambito del procedimento condotto dalla Commissione. Di conseguenza, tale argomento non può comunque giustificare l’annullamento della decisione impugnata.

58
Del resto, si deve necessariamente rilevare che il regolamento n. 1049/2001 nonché la decisione della Commissione 8 febbraio 1994, 94/90/CECA, CE, Euratom, sull’accesso del pubblico ai documenti della Commissione (GU L 46, pag. 58), sostituita dal primo, prevedono che il richiedente l’accesso debba intraprendere specifiche iniziative procedurali, in particolare presentare una domanda formale iniziale e una domanda di conferma in caso di rifiuto, al fine di far valere le loro disposizioni nel merito. Poiché la Mannesmann, nella fattispecie, non ha seguito tale iter procedurale, essa non può aggirarlo chiedendo l’applicazione per analogia delle citate disposizioni di merito.

59
Da quanto precede risulta che il presente motivo dev’essere respinto.

Sulla pretesa insufficienza del termine di risposta alla CdA

    Argomenti delle parti

60
La Mannesmann sostiene di non aver beneficiato di un termine sufficiente per rispondere alla CdA. La Commissione avrebbe omesso di prendere in considerazione le particolarità del caso di specie quando ha stabilito il detto termine. Quest’ultimo avrebbe cominciato a decorrere dall’11 febbraio 1999, data in cui le destinatarie della decisione impugnata hanno avuto accesso al fascicolo, e sarebbe scaduto il 20 aprile seguente. Nonostante l’importanza del volume del fascicolo e il fatto che taluni documenti siano stati redatti in lingue non usuali, il 22 marzo 1999 la Commissione avrebbe respinto, senza specifica motivazione, la sua domanda diretta ad ottenere un termine supplementare. Peraltro, in ragione dell’esistenza di un’indagine connessa, la Mannesmann ritiene di essere stata costretta a difendersi in due cause avendo a disposizione, per fare ciò, solo termini estremamente brevi. Tra le destinatarie della decisione impugnata, essa sarebbe stata la sola ad essere confrontata ad una tale situazione. Essa ritiene, di conseguenza, di aver subito un trattamento discriminatorio.

61
La Commissione respinge tali affermazioni. Tutte le destinatarie della CdA avrebbero avuto a disposizione due mesi a decorrere dalla sua notifica, avvenuta il 3 febbraio 1999, per preparare la loro risposta. Del resto, su richiesta della Mannesmann la Commissione avrebbe, con lettera 22 marzo 1999, rinviato al 20 aprile 1999 il termine per presentare le osservazioni in risposta alla CdA. Un provvedimento di questo tipo non sarebbe soggetto ai requisiti di motivazione previsti dall’art. 253 CE. La Commissione ritiene che il termine di circa due mesi e mezzo di cui la Mannesmann ha beneficiato per preparare la sua risposta fosse sufficiente. A tale riguardo, essa si riferisce, in particolare, alla sentenza Cemento, cit. supra al punto 42 (punti 654 e 655).

    Giudizio del Tribunale

62
Occorre ricordare, anzitutto, che l’art. 11, n. 1, del regolamento della Commissione 25 luglio 1963, n. 99/63/CEE, relativo alle audizioni previste all’articolo 19, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 17 del Consiglio (GU 127, pag. 2268), applicabile all’epoca dell’invio della CdA alla ricorrente, e l’art. 14 del regolamento (CE) della Commissione 22 dicembre 1998, n. 2842, relativo alle audizioni in taluni procedimenti a norma dell’art. [81] e dell’art. [82] del Trattato CE (GU L 354, pag. 18), applicabile successivamente al 31 gennaio 1999, che mirano entrambi a garantire ai destinatari di una CdA un termine sufficiente per l’esercizio utile dei loro diritti della difesa, dispongono che la Commissione, fissando il detto termine, non inferiore a due settimane, deve tener conto del tempo necessario per presentare le osservazioni e dell’urgenza del caso. Il termine concesso dev’essere valutato in funzione delle difficoltà concrete del caso di specie (sentenza Cemento, cit. supra al punto 42, punto 653, e giurisprudenza ivi cit.).

63
Come la Commissione ha rilevato nel controricorso, dal punto 207 della sua XXIII Relazione sulla politica di concorrenza, datata 1993, risulta che, nei casi di media importanza, sarà concesso un termine generale di due mesi e, nei casi complessi, un termine di tre mesi, termini che verranno prolungati, se del caso, per tener conto dei periodi festivi. Per contro, alla fine dello stesso punto si precisa che, contrariamente a quanto risulta dalla prassi anteriore, i detti termini relativamente lunghi, «in linea di principio», non saranno prorogati.

64
Nel caso di specie, la Commissione ha concesso alla ricorrente, con lettera 21 gennaio 1999 a cui era allegata la CdA, un termine di due mesi a decorrere dalla data di notifica di quest’ultima in applicazione del regolamento n. 99/63. Poiché la Mannesmann, con lettera 12 marzo 1999, ha chiesto un termine supplementare di due mesi, la Commissione ha concesso, con lettera 22 marzo 1999, un termine supplementare di 17 giorni per rispondere alla CdA, oltre al termine di due mesi concesso nella sua lettera iniziale, a corredo della CdA, datata 21 gennaio 1999.

65
Per quanto riguarda la data iniziale da prendere in considerazione per calcolare la durata del periodo a disposizione delle destinatarie della CdA per formulare osservazioni su quest’ultima, va rilevato che tutti i documenti più importanti del fascicolo, ossia 32 documenti in totale, sono stati allegati alla CdA. Alla luce di ciò, occorre osservare che le destinatarie della CdA hanno potuto iniziare utilmente la loro analisi di quest’ultima a decorrere dalla sua notifica, avvenuta il 3 febbraio 1999 per quanto riguarda la Mannesmann, come afferma la Commissione, e non a decorrere dalla data in cui esse hanno avuto accesso all’intero fascicolo, ossia l’11 febbraio 1999, come sostiene la Mannesmann. Ne consegue che il fatto che la Commissione abbia concesso un termine supplementare fino al 20 aprile 1999 ha costituito una proroga di 17 giorni rispetto al termine accordato inizialmente.

66
Se è vero che nel presente procedimento si è in presenza di un fascicolo voluminoso, che conta più di 15 000 pagine, giustamente la Commissione ha ricordato che un fascicolo di tali dimensioni non è eccezionale nell’ambito delle indagini in materia di concorrenza. Va rilevato che il presente procedimento non può essere paragonato, in termini di complessità fattuale, a quello all’origine della sentenza Cemento, cit. supra al punto 42, in cui la comunicazione degli addebiti è stata inviata a 76 imprese ed associazioni d’imprese (punti 3, 4 e 654 della sentenza) e nell’ambito del quale è stato concesso alle imprese in questione un termine complessivo di quattro mesi, in seguito a due proroghe, per formulare le loro osservazioni sulla comunicazione degli addebiti. Nel caso di specie, la Mannesmann non ha prodotto alcun elemento specifico tale da dimostrare che il presente procedimento fosse particolarmente importante e/o complesso.

67
Per quanto riguarda l’argomento vertente sul fatto che la Mannesmann ha dovuto rispondere a comunicazioni degli addebiti in due procedimenti paralleli (Casi IV/E‑1/35.860‑B e IV/E‑1/35.860‑A), la Commissione ha osservato, nel controricorso, che i due procedimenti in questione erano «strettamente connessi e si sovrapponevano in più punti, per quanto riguarda sia gli addebiti sia i documenti in questione». Inoltre, la Commissione ha sottolineato che le due comunicazioni degli addebiti sono state inviate parimenti alla Corus ed alle produttrici giapponesi. Orbene, occorre rilevare che la Mannesmann non ha contestato le dette osservazioni sul piano fattuale e si è limitata a chiedersi, nella replica, per quale ragione la Commissione non abbia inviato un’unica comunicazione degli addebiti alle imprese in questione se i nessi tra i due procedimenti erano così stretti, osservazione irrilevante nel presente contesto. Va pertanto constatato che i procedimenti oggetto delle due comunicazioni degli addebiti presentavano un numero significativo di analogie, di modo che il fatto che la Mannesmann abbia dovuto presentare osservazioni nei due procedimenti paralleli non ha costituito per la stessa un importante carico di lavoro aggiuntivo.

68
Alla luce di quanto precede, il termine complessivo di due mesi e mezzo concesso alla Mannesmann era sufficiente per consentirle di formulare osservazioni e, pertanto, di difendersi utilmente (v., a titolo di esempio, sentenza della Corte 16 dicembre 1975, cause riunite 40/73‑48/73, 50/73, 54/73‑56/73, 111/73, 113/73 e 114/73, Suiker Unie e a./Commissione, Racc. pag. 1663, punti 94‑99).

69
Per quanto riguarda l’argomento della Mannesmann secondo cui essa avrebbe subito una violazione del principio della parità di trattamento, va rilevato che, purché i termini concessi siano sufficienti per consentire alle parti di difendersi, gli stessi termini possono essere fissati in maniera forfetaria e non devono necessariamente essere proporzionali al lavoro di preparazione richiesto in ogni singolo caso.

70
A tale proposito occorre ricordare, a titolo di analogia, che l’art. 230, quinto comma, CE dispone che un ricorso di annullamento dev’essere proposto nel termine di due mesi che, secondo una giurisprudenza costante, non può essere prorogato indipendentemente dalle circostanze, e la cui inosservanza ha come conseguenza automatica l’irricevibilità del ricorso, con la sola eccezione di un caso di forza maggiore (v., in tal senso, ordinanza del Tribunale 21 marzo 2002, causa T‑218/01, Laboratoire Monique Rémy/Commissione, Racc. pag. II‑2139, confermata in sede di impugnazione con ordinanza della Corte 30 gennaio 2003, causa C‑176/02 P, Laboratoire Monique Rémy/Commissione, non pubblicata). Alla luce di ciò, non si può ritenere che la fissazione di termini forfetari costituisca, di per sé, una violazione del principio della parità di trattamento in diritto comunitario (v. altresì, a tale proposito, sentenza Cemento, cit. supra al punto 42, punto 654).

71
Così, il fatto che altre destinatarie delle comunicazioni degli addebiti di cui trattasi nel caso di specie abbiano beneficiato, per rispondere ad una sola comunicazione degli addebiti, di un termine uguale a quello concesso alla Mannesmann per rispondere alle due comunicazioni non può essere ritenuto illegale, dato che il termine accordato alla Mannesmann è stato dichiarato sufficiente.

72
Infine, per quanto riguarda la pretesa carenza di motivazione del rifiuto di concedere alla Mannesmann due mesi supplementari per presentare le sue osservazioni, va ricordato che, secondo una giurisprudenza costante, la necessità della motivazione dev’essere valutata in funzione delle circostanze del caso, in particolare del contenuto dell’atto, della natura dei motivi esposti e dell’interesse che i destinatari dell’atto o altre persone da questo riguardate direttamente e individualmente possano avere a ricevere spiegazioni. A tale proposito, la motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti, in quanto l’accertamento se la motivazione di un atto soddisfi i requisiti del detto art. 253 CE va effettuato alla luce non solo del suo tenore, ma anche del suo contesto e del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia (sentenza della Corte 9 gennaio 2003, causa C‑76/00 P, Petrotub e Republica/Consiglio, Racc. pag. I‑79, punto 81, e giurisprudenza ivi cit.).

73
A tale proposito, occorre rilevare che la XXIII Relazione sulla politica di concorrenza prevede, al punto 207, che in linea di principio, nei casi di media importanza, sarà concesso un termine di due mesi per rispondere alla comunicazione degli addebiti (v. supra, punto 63). Pertanto, ne va dedotto che la Commissione, concedendo nella fattispecie in esame un termine di due mesi, ha necessariamente ritenuto che l’importanza del presente caso fosse «media» e che il termine concesso fosse quindi sufficiente, in linea di principio, per consentire alle destinatarie della CdA di presentare osservazioni. La motivazione della decisione con cui è stata rifiutata la concessione del termine supplementare richiesto va esaminata alla luce di tale affermazione.

74
Nella fattispecie in esame, va rilevato che il rifiuto della Commissione di concedere il termine supplementare di due mesi richiesto non doveva essere oggetto di specifica motivazione. Poiché la Commissione si è espressa in merito all’importanza di tale caso, conformemente al punto 207 della XXIII Relazione sulla politica di concorrenza, occorre rilevare che, concedendo alla Mannesmann 17 giorni supplementari e indicando che «non era possibile» concedere il termine di due mesi che la stessa chiedeva, l’istituzione ha confermato implicitamente la sua analisi iniziale. Il termine supplementare accordato, considerata la politica restrittiva della Commissione in merito alle proroghe dei termini di risposta alle comunicazioni degli addebiti, affermata al detto punto 207, dev’essere considerato una concessione della Commissione alla Mannesmann. Ne consegue che tale impresa non può dedurre un motivo di annullamento dalla mancanza di una specifica motivazione della decisione di rifiuto di concederle il termine richiesto.

75
Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che tutte le censure sollevate dalla Mannesmann contro il rifiuto da parte della Commissione di concederle il termine supplementare che essa aveva richiesto devono essere respinte.

Sull’utilizzazione del documento «Sharing key» quale documento a carico

    Argomenti delle parti

76
La Mannesmann si oppone alla ricevibilità del documento «Sharing key» come prova. Essa precisa che la Commissione si è basata principalmente su tale documento per affermare l’esistenza delle infrazioni di cui agli artt. 1 e 2 della decisione impugnata. Poiché la Commissione non ha divulgato l’identità dell’autore del detto documento, l’autenticità e la forza probatoria di quest’ultimo sarebbero dubbie.

77
La Commissione avrebbe dovuto perlomeno precisare le circostanze in cui essa si era procurata tale documento, fatto valere a titolo di prova diretta di un atto illecito. Conformemente ai principi propri dello Stato di diritto, solo in presenza di tale precisazione la persona contro cui è stata fatta valere una tale prova sarebbe in grado di assicurare la propria difesa (sentenza della Corte 13 febbraio 1979, causa 85/76, Hoffmann‑La Roche, Racc. pag. 461).

78
Nessuna delle imprese interessate avrebbe riconosciuto l’autenticità di tale documento, contrariamente a quanto era stato rilevato nel procedimento all’origine della sentenza della Corte 7 novembre 1985, causa 145/83, Adams/Commissione (Racc. pag. 3539), nell’ambito del quale la credibilità dell’informatore della Commissione non dava adito ad alcun dubbio. Non avendo la Commissione dimostrato l’autenticità del documento «Sharing key», essa non potrebbe utilizzarlo contro la Mannesmann. Tale violazione dei diritti della difesa giustificherebbe l’annullamento della decisione impugnata.

79
Quand’anche l’uso del documento fosse lecito, la Mannesmann contesta il suo valore probatorio. In primo luogo, il documento «Sharing key» sarebbe contraddetto da altri elementi raccolti nel corso dell’indagine. Così, al punto 86 della decisione impugnata, la Commissione avrebbe rilevato che il documento «Sharing key» contraddiceva espressamente le dichiarazioni della Vallourec, anche se queste hanno ampiamente contribuito a dimostrare i fatti. In secondo luogo, il documento «Sharing key» sarebbe contraddetto dal fatto che le imprese Siderca e Tubos de Acero de México SA hanno probabilmente fornito tubi in Europa. Non sarebbe quindi possibile dimostrare in che modo tale documento possa costituire una prova dell’infrazione contestata.

80
La Commissione ricorda che essa è tenuta al rispetto del segreto professionale, ai sensi dell’art. 287 CE, e che essa deve anche garantire l’anonimato ai suoi informatori, a rischio di limitare la sua azione. L’interesse delle imprese a conoscere l’origine di taluni documenti dovrebbe essere conciliato con l’interesse pubblico relativo al perseguimento delle intese illecite e alla protezione dovuta agli informatori (sentenza Adams/Commissione, cit. supra al punto 78, punto 34). Nella fattispecie, i diritti della difesa sarebbero stati rispettati. La Mannesmann non avrebbe dimostrato in che modo il carattere anonimo del detto documento arrecherebbe pregiudizio ai diritti della difesa.

    Giudizio del Tribunale

81
Occorre rilevare, anzitutto, che la Commissione si basa in larghissima misura, ai punti della decisione impugnata relativi all’esistenza dell’infrazione affermata all’art. 1 della stessa, sulla dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996 (v., in particolare, punti 56‑58, 60‑62 e 131), completata dalla sua dichiarazione 14 ottobre 1996 e dal documento intitolato «Ispezione svoltasi presso Vallourec» (in prosieguo, congiuntamente, le «dichiarazioni del sig. Verluca»). Se è vero che la Commissione in tale contesto, e in particolare ai punti 85 e 86 della decisione impugnata, si basa anche sul documento «Sharing key», va rilevato che quest’ultimo, nell’economia generale della decisione impugnata, ha un’importanza minore rispetto alle dichiarazioni del sig. Verluca.

82
Di conseguenza, si deve anzitutto respingere l’argomento della Mannesmann ai sensi del quale la Commissione si è basata principalmente sul detto documento per affermare l’esistenza dell’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata. Per quanto riguarda l’esistenza dell’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata, le dichiarazioni del sig. Verluca e il documento «Sharing key» sono pertinenti solo molto indirettamente.

83
Al punto 85 della decisione impugnata, la Commissione afferma che il documento «Sharing key» le è stato consegnato il 12 novembre 1997 da una persona estranea al procedimento. Essa lo fa valere, in particolare, per suffragare la sua descrizione dell’evoluzione delle relazioni nell’ambito del club Europa‑Giappone a partire dalla fine del 1993. La fonte del detto documento sarebbe, secondo l’informatore, un agente commerciale di una delle partecipanti a tale club. Secondo la Commissione, tale documento attesta che i contatti allacciati con le produttrici dell’America latina hanno avuto un successo parziale e la stessa rileva che la tabella che vi figura indica la ripartizione dei mercati menzionati tra le produttrici europee, giapponesi e latino-americane. In particolare tale documento prevede una quota di mercato del 100% per le produttrici europee in Europa e una quota di mercato del 100% per le produttrici giapponesi in Giappone. Per quanto riguarda gli altri mercati, le produttrici europee avrebbero, in particolare, una quota dello 0% in Estremo Oriente, del 20% in Medio Oriente e dello 0% in America latina.

84
Occorre anzitutto rilevare, per quanto riguarda la ricevibilità del documento «Sharing key» quale prova dell’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata, che il principio che prevale in diritto comunitario è quello della libertà di forma dei mezzi probatori e che l’unico criterio pertinente per la valutazione delle prove prodotte risiede nella loro credibilità (conclusioni del giudice Vesterdorf, facente funzione di avvocato generale nella causa T‑1/89, Rhône‑Poulenc/Commissione, decisa con sentenza del Tribunale 24 ottobre 1991, Racc. pagg. II‑867, II‑869 e II‑954; v. anche, in tal senso, sentenza della Corte 23 marzo 2000, cause riunite C‑310/98 e C‑406/98, Met‑Trans e Sagpol, Racc. pag. I‑1797, punto 29, e sentenza del Tribunale 7 novembre 2002, cause riunite T‑141/99, T‑142/99, T‑150/99 e T‑151/99, Vela e Tecnagrind/Commissione, Racc. pag. II‑4547, punto 223). Inoltre, può essere necessario che la Commissione tuteli l’anonimato dei suoi informatori (v., in tal senso, sentenza Adams/Commissione, cit. supra al punto 78, punto 34) e tale circostanza non può essere sufficiente per obbligare la Commissione a non utilizzare una prova in suo possesso.

85
Di conseguenza, se gli argomenti della Mannesmann possono essere pertinenti per valutare l’affidabilità e, pertanto, il valore probatorio del documento «Sharing key», quest’ultimo non va considerato una prova irricevibile che occorre dichiarare inutilizzabile.

86
Peraltro, poiché la Mannesmann trae dai suoi argomenti relativi alla ricevibilità di tale documento una censura vertente sull’affidabilità dello stesso, è giocoforza rilevare che tale affidabilità è necessariamente ridotta dal fatto che le circostanze delle sua redazione sono in larga parte sconosciute e che le affermazioni della Commissione al riguardo non possono essere verificate (v. supra, punto 83).

87
Tuttavia, laddove il documento «Sharing key» contiene informazioni specifiche che corrispondono a quelle contenute in altri documenti, in particolare nelle dichiarazioni del sig. Verluca, occorre considerare che tali elementi si possono rafforzare reciprocamente.

88
A tale proposito va rilevato, in particolare, che la dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996 menziona una chiave di ripartizione «iniziale» applicabile alle «gare d’appalto internazionali» e che si riferisce ai contratti conclusi tra le produttrici giapponesi ed europee, per cui viene sufficientemente dimostrata l’esistenza di una tale ripartizione nell’ambito del club Europa‑Giappone. Inoltre, dalla nota interna della Vallourec 27 gennaio 1994, citata a pag. 4822 del fascicolo della Commissione, intitolata «Verbale di una riunione con JF a Bruxelles il 25.1», emerge che la Vallourec doveva, per restare «nell’ambito del sistema (…) precludersi [l’Estremo Oriente], l’America del Sud, limitarsi al Medio Oriente al punto di dividere per 3 il 20% del mercato». Quando la Commissione ha chiesto al sig. Verluca di commentare tali due documenti, quest’ultimo ha osservato che essi si riferivano ad un tentativo di modificare, nel 1993, le chiavi di ripartizione applicabili per tener conto delle vendite delle produttrici dell’America latina nonché delle «posizioni acquisite» sui diversi mercati.

89
La Mannesmann rileva che il documento «Sharing Key» contraddice l’affermazione del sig. Verluca, menzionata nel documento «Ispezione svoltasi presso Vallourec» (al punto 1.3) quanto alla questione se le produttrici dell’America latina abbiano risposto favorevolmente agli orientamenti delle produttrici europee alla fine del 1993, circostanza che rimetterebbe in questione l’affidabilità di tali due elementi probatori. Infatti, al punto 86 della decisione impugnata, la Commissione ha attestato, in base al documento «Sharing Key», «il parziale successo dei contatti allacciati con i latinoamericani» e riconosce essa stessa che tale affermazione è in contrasto con l’affermazione del sig. Verluca, menzionata nel documento «Ispezione svoltasi presso Vallourec», secondo cui «[i]l club Europa-Giappone non includeva le produttrici latinoamericane (…) contatti esplorativi si sono avuti alla fine del 1993 con le stesse al fine di giungere ad un equilibrio che rifletta le posizioni acquisite (circa 20% al Medio Oriente per gli europei). È diventato manifesto molto rapidamente che tali tentativi non potevano giungere a buon fine».

90
Occorre tuttavia rilevare che, secondo il documento «Sharing key», le produttrici latino-americane hanno accettato la chiave di ripartizione proposta «salvo che per il mercato europeo», in cui i procedimenti avrebbero dovuto essere esaminati «caso per caso» in uno spirito di cooperazione. Pertanto, la Commissione ha affermato, al punto 94 della decisione impugnata, che le produttrici dell’America latina non avevano accettato che il mercato europeo fosse riservato alle produttrici europee.

91
Dalle varie note della Vallourec, menzionate nella decisione impugnata, nonché dal documento citato a pag. 4902 del fascicolo della Commissione, intitolato «Paper for Presidents» («Nota per i presidenti»), e dal documento «g) Japanese» [«g) Giapponese»], citato a pag. 4909 del fascicolo della Commissione, risulta che, dal punto di vista delle produttrici europee, uno degli obiettivi essenziali dei loro contatti con le produttrici giapponesi era la protezione dei propri mercati nazionali, in particolare il mantenimento dello status nazionale del mercato del Regno Unito dopo la chiusura da parte della Corus della sua fabbrica a Clydesdale. Se la contraddizione rilevata supra al punto 89, indebolisce certamente il valore probatorio del documento «Sharing key» nonché, in una certa misura, quello delle dichiarazioni del sig. Verluca, il suo significato è fortemente relativizzato dalla circostanza indicata all’inizio del presente punto. Infatti, anche supponendo che le produttrici dell’America latina abbiano accettato di applicare una chiave di ripartizione su mercati diversi da quello europeo, si deve necessariamente rilevare che le trattative con tali produttrici sono sostanzialmente fallite dal punto di vista degli europei, di modo che la valutazione negativa del sig. Verluca quanto al loro esito corrisponde effettivamente alla descrizione riportata nel documento «Sharing key» su tale punto cruciale.

92
Si deve concludere che la contraddizione tra le affermazioni del sig. Verluca in una di tali dichiarazioni ed il documento «Sharing key», rilevata dalla Commissione stessa al punto 86 della decisione impugnata, non riduce sostanzialmente l’affidabilità di questi due elementi probatori.

93
Infine, si deve necessariamente rilevare, alla luce della classificazione delle produttrici dell’America latina per quanto riguarda l’Europa ai sensi dello stesso documento «Sharing key» (v. supra al punto 90), che la circostanza, fatta valere dalla Mannesmann, secondo cui le dette produttrici avrebbero venduto tubi in Europa, anche supponendo che sia provata, non mette assolutamente in discussione l’affidabilità di tale documento.

94
Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che il documento «Sharing key» conserva un certo valore probatorio per rafforzare, nell’ambito di un insieme di indizi concordanti accolto dalla Commissione, alcune delle informazioni essenziali riportate nelle dichiarazioni del sig. Verluca in merito all’esistenza di un accordo di ripartizione dei mercati riguardante gli OCTG senza saldatura. Infatti, da tale elemento probatorio risulta che le produttrici giapponesi, da un lato, e le produttrici europee, dall’altro, hanno accettato il principio secondo cui esse non dovevano vendere determinati tubi d’acciaio senza saldatura sul mercato nazionale delle altre produttrici nell’ambito di gare d’appalto «aperte». Il detto documento conferma altresì l’esistenza di una chiave di ripartizione dei mercati in varie regioni del mondo e rafforza pertanto l’affidabilità delle dichiarazioni del sig. Verluca in quanto anch’esse fanno riferimento a tale nozione.

95
Ne consegue che le censure sollevate dalla Mannesmann per contestare l’utilizzazione del documento «Sharing key» devono essere respinte.

Sulla pretesa violazione dei diritti della difesa derivante da una discordanza tra la CdA e la decisione impugnata in merito all’infrazione di cui all’art. 2 di quest’ultima

    Argomenti delle parti

96
Secondo la Mannesmann, esiste una divergenza tra la CdA e la decisione impugnata. Nella CdA, la Commissione avrebbe infatti dichiarato che i contratti di fornitura conclusi dalla Corus con la Vallourec, la Dalmine e la Mannesmann rientravano in un’intesa illecita, il cui oggetto era la ripartizione del mercato dei tubi d’acciaio senza saldatura acquistati dalla Corus, impresa dominante sul mercato britannico degli OCTG. I detti contratti si ricollegherebbero così all’infrazione successivamente constatata all’art. 2 della decisione impugnata (v. punti 147‑151 della CdA). Nella decisione impugnata, invece, la Commissione avrebbe ritenuto che tali contratti costituivano un provvedimento di compartimentazione del mercato britannico rispetto alle imprese giapponesi e, pertanto, un elemento costitutivo dell’infrazione indicata all’art. 1 della decisione impugnata (punto 147). La Mannesmann avrebbe dovuto essere sentita su una modifica così sostanziale degli addebiti (sentenza della Corte 7 giugno 1983, cause riunite 100/80‑103/80, Musique diffusion française e a./Commissione, Racc. pag. 1825, punti 9, 14 e 16). In assenza di una tale audizione, i suoi diritti della difesa sarebbero stati irrimediabilmente compromessi (sentenza Solvay/Commissione, cit. supra al punto 42, punti 89 e segg.).

97
La Commissione respinge tali censure perché l’esposizione dei fatti e la valutazione giuridica contenute nella decisione impugnata corrisponderebbero pienamente a quelle che figuravano già nella CdA.

    Giudizio del Tribunale

98
Occorre anzitutto rilevare che i diritti della difesa sono violati da una discordanza tra la comunicazione degli addebiti e la decisione definitiva solo qualora un addebito contenuto in quest’ultima non sia stato esposto nella prima in maniera sufficiente per consentire ai destinatari di difendersi (v., in tal senso, sentenza Cemento, cit. supra al punto 42, punti 852‑860).

99
A tale proposito, l’obbligo della Commissione, nell’ambito di una comunicazione degli addebiti, si limita ad esporre gli addebiti sollevati e ad enunciare, in modo univoco, i fatti sui quali essa si fonda nonché la qualificazione assegnata agli stessi, di modo che i destinatari di quest’ultima possano difendersi utilmente (v., in tal senso, sentenza della Corte 3 luglio 1991, causa C‑62/86, AKZO/Commissione, Racc. pag. I‑3359, punto 29, e sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑352/94, Mo och Domsjö/Commissione, Racc. pag. II‑1989, punto 63).

100
A tale proposito va rilevato che la qualificazione giuridica dei fatti riportata nella comunicazione degli addebiti, per definizione, può essere solo provvisoria, e una decisione successiva della Commissione non può essere annullata solo perché le conclusioni definitive tratte da tali fatti non corrispondono precisamente alla detta qualificazione intermedia. Infatti, la Commissione deve sentire i destinatari di una comunicazione degli addebiti e, se del caso, tenere conto delle loro osservazioni dirette a rispondere agli addebiti riportati, modificando la propria analisi, proprio per rispettare i loro diritti della difesa.

101
Nel caso di specie, l’unica differenza rilevante tra la CdA e la decisione impugnata consiste nel fatto che, al punto 164 di quest’ultima, la Commissione ha affermato, per quanto riguarda i contratti costitutivi della seconda infrazione, che «non si trattava che di un modo di mettere in opera» la prima, mentre, nella CdA, essa si era limitata a far valere, al punto 144, che lo «scopo» dei contratti di fornitura era mantenere lo status «nazionale» del mercato del Regno Unito con riferimento ai «fundamentals», ossia nei confronti delle produttrici giapponesi, rinviando a proposito di questi ultimi al punto 63 della CdA. Per quanto riguarda il punto 147 della decisione impugnata, fatto valere dalla Mannesmann in tale ambito, è sufficiente rilevare che il suo tenore letterale corrisponde a quello del punto 144 della CdA in quanto la Commissione vi rileva che, «come risulta dai considerando 78‑81, [Corus] e Vallourec (…) si s[o]no accordate per convenire che [Corus] si approvvigionasse di tubi lisci da [Mannesmann], Dalmine e Vallourec onde salvaguardare il carattere “interno” del mercato britannico di fronte alle imprese giapponesi».

102
Al punto 364 della sentenza del Tribunale in data odierna, cause riunite T‑67/00, T‑68/00, T‑71/00 e T‑78/00, JFE Engineering e a./Commissione, Racc. pag. II‑0000, è stato affermato che la tesi sostenuta dalla Commissione nella decisione impugnata è erronea in quanto i contratti costitutivi della seconda infrazione avevano più di un unico obiettivo. Tuttavia, pur supponendo che sia possibile distinguere una differenza d'analisi fra la CdA e la decisione impugnata a tal riguardo, è manifesto che le destinatarie della CdA hanno avuto modo di presentare le loro osservazioni sulla nozione chiave su cui si basa l’impostazione della Commissione, vale a dire l’idea secondo cui le produttrici europee hanno concluso i contratti costitutivi della seconda infrazione in particolare per rafforzare l’applicazione dei «fundamentals» sul mercato offshore del Regno Unito.

103
Alla luce di ciò, non vi è stata violazione dei diritti della difesa a tale proposito e, pertanto, il presente motivo dev’essere respinto.

Sull’esistenza della violazione dell’art. 81, n. 1, CE di cui all’art. 1 della decisione impugnata

Sulla pretesa contraddizione tra l’art. 1 e l’art. 2 della decisione impugnata

    Argomenti delle parti

104
La Mannesmann sostiene che la decisione impugnata è viziata da una contraddizione. La Commissione avrebbe affermato che le imprese destinatarie della decisione impugnata si erano accordate su regole dirette alla protezione dei mercati nazionali nell’ambito del club Europa‑Giappone. Il solo elemento probatorio fatto valere a tale riguardo sarebbe la tabella riportata al punto 68 della decisione impugnata. La detta tabella presenterebbe le quote delle produttrici nazionali, espresse in percentuale, nelle forniture di OCTG senza saldatura a destinazione dei paesi interessati dal club Europa‑Giappone. Orbene, dal 1991 la Corus si sarebbe rifornita in Germania, in Francia e in Italia, di modo che sarebbe erroneo considerare che l’accesso al mercato britannico fosse riservato al produttore nazionale.

105
La Mannesmann censura la Commissione per aver affermato l’esistenza di un’infrazione consistente in un accordo di protezione dei mercati nazionali (art. 1 della decisione impugnata) sulla base degli accertamenti relativi ai contratti di fornitura della Corus i quali, da parte loro, costituiscono l’oggetto dell’infrazione indicata all’art. 2 della decisione impugnata. Orbene, questa seconda infrazione non vi sarebbe stata. I contratti di fornitura conclusi dalla Corus con la Dalmine, la Vallourec e la Mannesmann potrebbero rivelare una tendenza alla protezione dei mercati nazionali solo se esaminati congiuntamente. Ebbene, le forniture dei prodotti in questione provenienti da paesi terzi, tra cui il Giappone, rappresenterebbero ancora il 20% del mercato britannico, di modo tale che non può trattarsi di una protezione effettiva di tale mercato. Così, i vizi che pregiudicano la legittimità dell’art. 2 della decisione impugnata si rifletterebbero su quella dell’art. 1.

106
La Commissione rigetta tali censure, che essa ritiene basate su una lettura erronea della decisione impugnata. Essa ricorda che all’art. 1 della decisione impugnata viene constatato che talune imprese hanno violato l’art. 81, n. 1, CE, partecipando ad un accordo che prevedeva, in particolare, la protezione del loro rispettivo mercato nazionale. Dal canto suo, l’art. 2 della decisione impugnata ritiene la Mannesmann responsabile di aver concluso, «nell’ambito dell’infrazione menzionata all’art. 1», contratti da cui è derivata una ripartizione delle forniture di OCTG lisci alla Corus, in violazione dell’art. 81 CE. L’art. 2 mirerebbe così alla protezione del mercato britannico, in seguito al ritiro della Corus.

    Giudizio del Tribunale

107
L’argomento fatto valere dalla Mannesmann nell’ambito del presente motivo è erroneo di diritto e, pertanto, dev’essere respinto in quanto non tiene conto della circostanza fondamentale secondo cui l’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata riguarda il mercato degli OCTG filettati (nonché quello dei linepipe «project») e quella di cui all’art. 2 della stessa il mercato, a monte, degli OCTG lisci.

108
Se l’art. 1 della decisione impugnata precisa, nella versione tedesca, che l’infrazione ivi rilevata riguarda «tubi OCTG standard e linepipe project senza saldatura», dal sistema della decisione impugnata risulta che gli OCTG di cui trattasi sono unicamente gli OCTG filettati standard. In particolare, la dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996, indicata al punto 56 della decisione impugnata come la fonte della definizione del mercato di prodotti in questione, limita l’ambito di applicazione dell’infrazione ai «tubi filettati standard e ai linepipe project». Ne consegue che il rinvio al detto punto si riferisce agli OCTG filettati API, ossia agli OCTG filettati «standard», e non agli OCTG lisci. Tale interpretazione della portata dell’art. 1 della decisione impugnata è confermata dalle altre tre versioni linguistiche del testo della decisione impugnata che fanno fede, dato che tutte queste versioni precisano esplicitamente, all’art. 1, che trattasi degli OCTG filettati standard. Orbene, in caso di disparità tra le diverse versioni linguistiche di un testo comunitario, la disposizione di cui è causa dev’essere intesa in funzione del sistema e della finalità della normativa di cui essa fa parte (v., ad esempio, sentenza della Corte 9 marzo 2000, causa C‑437/97, EKW e Wein & Co., Racc. pag. I‑1157, punto 42) e, ad ogni modo, una versione linguistica non può prevalere, da sola, sulle altre versioni linguistiche qualora tutte queste concordino con un’interpretazione (sentenza del Tribunale 29 settembre 1999, causa T‑68/97, Neumann e Neumann‑Schölles/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑193 e II‑1005, punto 80; v. anche, in tal senso, sentenza della Corte 17 luglio 1997, causa C‑219/95 P, Ferriere Nord/Commissione, Racc. pag. I‑4411, punto 15, e giurisprudenza ivi cit.). Al contrario, l’art. 2 della decisione impugnata riguarda, ai sensi del suo tenore letterale, unicamente le «forniture di tubi OCTG lisci a [Corus] (Vallourec SA a partire dal 1994)».

109
Da tale rilievo risulta che l’apparente contraddizione fatta valere dalla Mannesmann non esiste.

110
In realtà, dalla decisione impugnata, letta complessivamente, risulta che il mercato britannico dei tubi filettati, interessato dall’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata, è rimasto un mercato «interno», ai sensi dei «fundamentals», essenzialmente perché la Corus ha continuato a commercializzarvi gli OCTG che filettava utilizzando tubi lisci forniti dalle altre tre produttrici europee a tal fine. In tal modo, una quota importante del mercato britannico dei tubi lisci, a monte, costituita dal fabbisogno della Corus è stata ripartita, almeno dal 1993, tra la Vallourec, la Dalmine e la Mannesmann. Da tale connessione delle due infrazioni risulta che esse erano non solo compatibili l’una con l’altra, ma anche complementari.

111
Per quanto riguarda gli argomenti specifici della Mannesmann relativi al mercato britannico, in particolare la sua analisi della tabella riportata al punto 68 della decisione impugnata, occorre rilevare che dalla lettera stessa dell’art. 81, n. 1, CE, come interpretato da una giurisprudenza costante, deriva che gli accordi tra imprese sono vietati, indipendentemente dai loro effetti, qualora abbiano un oggetto anticoncorrenziale (v., in particolare, sentenza della Corte 8 luglio 1999, causa C‑49/92 P, Commissione/Anic Partecipazioni, Racc. pag. I‑4125, punto 123). Orbene, nel caso di specie la Commissione si è basata in via principale sull’oggetto restrittivo dell’accordo sanzionato all’art. 1 della decisione impugnata ed ha menzionato, segnatamente ai punti 62‑67 della stessa, molti elementi probatori documentali che dimostravano, a suo avviso, sia l’esistenza del detto accordo sia il suo oggetto restrittivo.

112
Così, anche supponendo che la Mannesmann possa dimostrare che gli importi indicati nella detta tabella non rafforzino adeguatamente le affermazioni della Commissione relative alla protezione effettiva del mercato britannico, tale circostanza sarebbe irrilevante in merito all’esistenza dell’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata.

113
Del resto, dal punto 62 della decisione impugnata, che si basa in proposito sulla dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996, risulta che il mercato offshore del Regno Unito era solo «semiprotetto». Così, la circostanza, fatta valere dalla Mannesmann, secondo cui il livello di protezione del mercato britannico è stato inferiore, secondo la tabella riportata al punto 68 della decisione impugnata, rispetto agli altri mercati nazionali interessati dall’accordo di ripartizione dei mercati, non invalida assolutamente l’analisi della Commissione.

114
Alla luce delle considerazioni che precedono, il presente motivo dev’essere respinto.

Sulle pretese debolezze del ragionamento della Commissione riguardante l’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata

    Argomenti delle parti

115
In sede di replica, la Mannesmann fa valere che le affermazioni di fatto e di diritto relative all’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata sono insufficientemente motivate. In primo luogo, la Commissione avrebbe trattato uniformemente gli aspetti extracomunitari ed intracomunitari dei «fundamentals». Essa non avrebbe fatto distinzione tra le disposizioni che si riferiscono all’accesso delle produttrici giapponesi al mercato comunitario e quelle relative all’accesso delle produttrici comunitarie al loro rispettivo mercato nazionale. La Commissione si sarebbe basata sugli stessi elementi (punti 54, 63, 64, 66, 67, 129 e segg. della decisione impugnata) per provare l’esistenza di questi due aspetti. Orbene, tali elementi si riferirebbero solo alla parte esterna dei «fundamentals», cioè all’accesso delle produttrici giapponesi al mercato comunitario. Per contro, essi non consentirebbero di dedurre l’esistenza di accordi diretti alla protezione dei mercati nazionali all’interno della Comunità.

116
In secondo luogo, sempre nella replica, la Mannesmann contesta alla Commissione di non aver dimostrato che l’accordo relativo all’ingresso nel mercato comunitario soddisfi le condizioni elencate all’art. 81, n. 1, CE, relative al pregiudizio del commercio tra Stati membri e all’esistenza di restrizioni sensibili alla concorrenza nel mercato comune.

117
Innanzi tutto, non avendo delimitato con precisione il mercato rilevante, la Commissione non sarebbe stata in grado di valutare se queste due condizioni fossero soddisfatte.

118
La Mannesmann, poi, sostiene che gli accordi conclusi con le imprese giapponesi, come descritti dalla Commissione, non possono avere effetti sensibili sulla concorrenza all’interno del mercato comune o sul commercio tra Stati membri. La Mannesmann contesta i dati accertati dalla Commissione, in particolare negli allegati 1‑4 alla decisione impugnata. Essa afferma che, sul mercato mondiale, le produttrici comunitarie di tubi in acciaio senza saldatura subiscono una concorrenza effettiva da parte delle produttrici di paesi terzi, circostanza che tra l’altro la Commissione avrebbe ammesso nella sua decisione 3 giugno 1997, che dichiara la compatibilità con il mercato comune di una concentrazione (Caso N IV/M.906 – Mannesmann/Vallourec) in base al Regolamento (CEE) n. 4064/89 del Consiglio (GU C 238, pag. 15). Al punto 103 della decisione impugnata, la Commissione avrebbe inoltre riconosciuto di non essere in grado di provare l’esistenza di un effetto restrittivo sui prezzi e sull’offerta all’interno del mercato comune.

119
Infine, secondo la Mannesmann, tenuto conto delle caratteristiche del mercato in questione, le imprese a cui si riferisce la decisione impugnata non potevano pensare di restringere la concorrenza ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE.

120
Secondo la Commissione, gli argomenti della Mannesmann che fanno riferimento alla definizione del mercato rilevante e alle condizioni di applicazione dell’art. 81, n. 1, CE, relative all’esistenza di sensibili restrizioni della concorrenza nonché all’esistenza di un pregiudizio del commercio tra Stati membri, costituiscono motivi nuovi. Ai sensi dell’art. 48, n. 2, del regolamento di procedura, tutti questi motivi sarebbero irricevibili.

121
In subordine, la Commissione sostiene che tali motivi non sono fondati. La definizione del mercato rilevante sarebbe conforme a quella adottata nella citata decisione Mannesmann/Vallourec, come emerge dai punti 29 e segg. della decisione impugnata.

122
Secondo la Commissione, emerge chiaramente dalla decisione impugnata che l’intesa riguardava altresì la protezione del mercato nazionale di ognuna delle quattro produttrici comunitarie di cui trattasi (punti 62, 54, 66, 64 e 69 della decisione impugnata). Di conseguenza, l’accordo in questione sarebbe stato idoneo, per il suo oggetto, a pregiudicare il commercio tra Stati membri. Le condizioni di applicazione dell’art. 81, n. 1, CE sarebbero quindi soddisfatte, come è stabilito al punto 102 della decisione impugnata.

123
Quanto poi agli effetti dell’accordo sopramenzionato sul commercio intracomunitario, la Commissione osserva che essi sarebbero manifesti, poiché ognuna delle produttrici europee godeva, sul suo mercato nazionale, di una posizione dominante (v. tabella riportata al punto 68 della decisione impugnata). In ogni caso, tenuto conto dell’oggetto dell’accordo, come stabilito al punto precedente, l’analisi dei suoi effetti non sarebbe necessaria (sentenze della Corte 15 luglio 1970, causa 41/69, Chemiefarma/Commissione, Racc. pag. 661, punto 128, e 30 gennaio 1985, causa 123/83, BNIC, Racc. pag. 391, punto 22).

124
Quanto al carattere sensibile nel caso di specie dell’incidenza dell’accordo sul commercio intracomunitario, la Commissione ricorda che le vendite delle produttrici comunitarie in questione sul mercato tedesco, britannico, francese e italiano rappresentavano circa il 15% del consumo totale di OCTG e di pipeline nella Comunità (punto 106 della decisione impugnata). A causa delle quote di mercato detenute dalle produttrici comunitarie, sarebbe evidente che un accordo sulla protezione dei mercati tedesco, britannico, francese e italiano pregiudica sensibilmente il commercio tra Stati membri. Il fatto che, in relazione al mercato mondiale, l’accordo in questione riguardi solo una piccola percentuale dei prodotti interessati sarebbe irrilevante a tale proposito.

    Giudizio del Tribunale

125
Occorre anzitutto rilevare che le censure della ricorrente riassunte sopra sono effettivamente irricevibili ai sensi dell’art. 48, n. 2, del regolamento di procedura, in quanto esse si riferiscono alla questione se l’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata abbia avuto un’incidenza considerevole sugli scambi tra Stati membri.

126
Infatti, con i detti argomenti, fatti valere per la prima volta nella replica, la Mannesmann contesta alla Commissione di aver commesso un errore di diritto o di valutazione in merito ad una delle condizioni di applicazione dell’art. 81, n. 1, CE e non una carenza di motivazione, malgrado le sue affermazioni in proposito al punto 26 della sua replica. Poiché i motivi di merito non sono di ordine pubblico, a differenza di quelli vertenti sulla motivazione insufficiente, non spetta al giudice comunitario sollevarli d’ufficio (v., per analogia, sentenza della Corte 2 aprile 1998, causa C‑367/95 P, Commissione/Sytraval e Brink’s France, Racc. pag. I‑1719, punto 67).

127
Ad ogni buon fine, occorre rilevare che il Tribunale ha respinto argomenti paragonabili a quelli fatti valere dalla Mannesmann a tale proposito in cause che sono state riunite al presente procedimento ai fini dell’udienza (sentenze del Tribunale in data odierna, causa T‑50/00, Dalmine/Commissione, Racc. pag. II‑0000, in particolare punti 156 e 157, e JFE Engineering e a./Commissione, cit. supra al punto 102, in particolare punti 337 e 367-395).

128
Per quanto riguarda l’argomento relativo alla pretesa mancanza di sensibili restrizioni alla concorrenza, che riguarda anch’esso il merito e non la motivazione, va rilevato che esso è irricevibile in quanto amplia gli argomenti già fatti valere nel ricorso secondo cui la Commissione non ha dimostrato sufficientemente che l’accordo di cui all’art. 1 della decisione impugnata aveva un oggetto o effetti restrittivi della concorrenza ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE.

129
Nel merito, occorre anzitutto ricordare che, nel caso di specie, la Commissione si è basata, in via principale, sull’oggetto restrittivo dell’accordo sanzionato all’art. 1 della decisione impugnata (v. supra, punto 111).

130
A tale proposito, imprese che stipulano un accordo avente lo scopo di restringere la concorrenza non possono, in linea di principio, essere esonerate dall’applicazione dell’art. 81, n. 1, CE sostenendo che il loro accordo non doveva avere un’incidenza considerevole sulla concorrenza.

131
Infatti, poiché l’accordo sanzionato all’art. 1 della decisione impugnata ha avuto come scopo una ripartizione dei mercati tra i membri del club Europa‑Giappone, la sua esistenza aveva un senso solo qualora il suo oggetto fosse restringere la concorrenza in maniera considerevole, o in modo che fosse economicamente utile per gli stessi. Orbene, la Commissione ha dimostrato sufficientemente che tale accordo è effettivamente esistito.

132
Ne consegue che l’argomento della Mannesmann secondo cui la Commissione non ha delimitato con precisione il mercato di cui trattasi è irrilevante. Infatti, la Commissione ha l’obbligo di effettuare una delimitazione di mercato in una decisione adottata in applicazione dell’art. 81 CE solo qualora, senza una tale delimitazione, non sia possibile stabilire se l’accordo in questione possa pregiudicare il commercio tra Stati membri ed abbia per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 15 settembre 1998, cause riunite T‑374/94, T‑375/94, T‑384/94 e T‑388/94, European Night Services e a./Commissione, Racc. pag. II‑3141, punti 93‑95 e 105). In linea di principio, se lo stesso oggetto di un accordo è quello di restringere la concorrenza per mezzo di una «ripartizione di mercati», non è necessario definire i mercati geografici in questione in maniera precisa, dato che la concorrenza attuale o potenziale sui territori interessati è stata necessariamente ristretta, a prescindere dal fatto che i detti territori costituiscano o meno «mercati» in senso stretto.

133
Così, anche supponendo che la Mannesmann possa dimostrare che la Commissione ha definito il mercato interessato dall’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata in maniera insufficiente o erronea nel caso di specie, tale circostanza non può avere un’incidenza sull’esistenza della detta infrazione.

134
Dalle considerazioni che precedono emerge che le censure riassunte sopra devono essere respinte nel merito in quanto si riferiscono alla questione se l’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata abbia avuto per oggetto o per effetto quello di restringere sensibilmente la concorrenza.

Sull’esistenza della violazione dell’art. 81, n. 1, CE di cui all’art. 2 della decisione impugnata

Argomenti delle parti

135
La Mannesmann ritiene che la dichiarazione della Commissione secondo cui i contratti relativi alla fornitura della Corus, conclusi da quest’ultima, dalla Vallourec, dalla Dalmine e dalla Mannesmann, sono stati concepiti per adottare una strategia commerciale comune e costituiscono una violazione dell’art. 81, n. 1, CE sia viziata da un errore manifesto di valutazione.

136
In primo luogo, la Mannesmann osserva che gli elementi probatori fatti valere a sostegno della dichiarazione dell’esistenza dell’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata riguardano esclusivamente la Vallourec e la Corus (punti 78, 91, 110, 146 e 152 della decisione impugnata). La Commissione non avrebbe per nulla dimostrato la partecipazione della Mannesmann alla creazione dei «fundamentals» conclusi nell’ambito del club Europa‑Giappone. Poiché le censure della Commissione relative alla Mannesmann si riferiscono esclusivamente ai contratti conclusi dalla Corus con terzi, la Mannesmann osserva di non essere in grado di difendersi utilmente. Essa sollecita dunque il Tribunale affinché questo proceda ai seguenti provvedimenti di organizzazione del procedimento:

ordinare alla Commissione di trasmettere al Tribunale i documenti fatti valere dalla Corus nella causa T‑48/00 e riguardanti i fatti costitutivi dell’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata;

concederle il diritto di prendere conoscenza di tali documenti, nei limiti in cui non sono coperti da segreto, e di prendere posizione sui medesimi con una memoria integrativa.

137
La Commissione respinge le allegazioni della Mannesmann e afferma che la partecipazione di quest’ultima all’infrazione di cui all’art. 2 è stata sufficientemente dimostrata ai punti 146‑155 della decisione impugnata.

138
In secondo luogo, la Mannesmann contesta l’affermazione della Commissione secondo cui i contratti di fornitura di tubi senza saldatura conclusi dalla Corus rientrano nell’ambito di un’intesa. Innanzi tutto, se così fosse stato, la Corus non avrebbe aspettato due anni supplementari per concludere un contratto con la Mannesmann. In realtà ognuno dei contratti di fornitura sarebbe stato concluso individualmente. Le similitudini tra questi contratti si spiegherebbero con la circostanza che la Corus, che era parte di ognuno di essi, desiderava uniformarli.

139
Inoltre, ragioni oggettive e legittime spiegherebbero la conclusione di tali contratti. La decisione della Corus di smettere di produrre alcuni tipi di tubi in acciaio, pur conservando la sua capacità di filettatura dei tubi senza saldatura, era perfettamente fondata. La Corus avrebbe concluso un contratto di fornitura con la Vallourec poiché quest’ultima dominava la tecnica di filettatura «VAM», indispensabile per poter accedere al mercato britannico degli OCTG premium. La Mannesmann ricorda che i contenziosi che la opponevano alla Vallourec per quanto riguarda i diritti di proprietà industriale dei raccordi «premium» VAM hanno condotto alla pronuncia di decisioni favorevoli a quest’ultima, permettendole in tal modo di guadagnare quote di mercato a scapito della Mannesmann. Piuttosto che ritirarsi dal mercato offshore britannico, la Mannesmann avrebbe scelto allora di concentrarsi sulla vendita di tubi lisci senza saldatura, i quali potevano essere filettati dai suoi clienti. Peraltro, la Vallourec non era in grado di soddisfare l’intera domanda della Corus. Sarebbe in tale contesto che la Mannesmann ha fornito tubi senza saldatura alla Corus.

140
Infine, la Mannesmann ricorda che i contratti di fornitura in questione riguardano solo i tubi di diametro superiore a cinque pollici e mezzo. Orbene, le sole imprese stabilite nella Comunità e capaci di produrre tubi di tale dimensione sarebbero la Vallourec, la Dalmine e la Mannesmann. Facendo appello a queste tre imprese e diversificando così le fonti di approvvigionamento, la Corus si metteva in condizione di premunirsi contro i rischi di aumento dei prezzi. La Commissione non può contestare a tale impresa di aver cercato in tal modo di massimizzare i guadagni sulla vendita dei suoi prodotti finali.

141
La Commissione rigetta tale interpretazione. Essa afferma che il vero oggetto dei contratti di fornitura in questione era l’applicazione dei «fundamentals», diretti alla protezione dei mercati nazionali, stabiliti nell’ambito del club Europa‑Giappone (punto 146 della decisione impugnata).

142
Tali contratti, rinnovati nel 1993, rientrerebbero così nell’ambito di un’intesa incompatibile con l’art. 81, n. 1, CE. Essi prevedrebbero una ripartizione della fornitura della Corus tra la Vallourec, la Dalmine e la Mannesmann, rispettivamente del 40%, del 30% e del 30%. Benché la Corus abbia concluso tali contratti in date diverse, essi costituirebbero una violazione unica dell’art. 81, n. 1, CE. Indipendentemente dall’importanza del dominare la tecnica VAM, la Commissione sostiene che la partecipazione della Mannesmann ad un’intesa relativa ai tubi d’acciaio senza saldatura è sufficientemente dimostrata.

143
In più, nessun legittimo interesse della Corus le imponeva di concludere i contratti in questione. Poiché l’offerta di tubi d’acciaio senza saldatura era eccedente, la Corus non avrebbe dovuto temere difficoltà di rifornimento o prezzi elevati. Quanto all’argomento secondo cui non può essere contestato alla Corus di voler massimizzare i suoi guadagni sulla vendita dei prodotti finali, la Commissione ripete che la strategia di questa impresa rientra nell’ambito di un’intesa illecita.

144
In terzo luogo, la Mannesmann sostiene che i contratti di fornitura della Corus non contrastano con l’art. 81, n. 1, CE. Essa fa presente, a tale proposito, che le forniture alla Corus sarebbero largamente inferiori alle soglie a partire dalle quali la Commissione generalmente interviene riguardo ad accordi verticali. A titolo di esempio, essa afferma che il regolamento (CE) della Commissione 22 dicembre 1999, n. 2790, relativo all’applicazione dell’art. 81, paragrafo 3, del Trattato CE a categorie di accordi verticali e pratiche concordate (GU L 336, pag. 21), dispone che devono essere considerati «obblighi di non concorrenza» solo quelli che impongono all’acquirente di acquistare più dell’80% dei suoi acquisti annuali presso uno stesso fornitore. Quando questa soglia non viene raggiunta tali accordi sarebbero leciti.

145
Secondo la Mannesmann, la modalità di fornitura utilizzata dalla Corus non restringe la concorrenza. In assenza di qualsiasi esclusività, la decisione della Corus di assegnare ad ognuna delle sue tre fornitrici una quota definita in relazione al suo volume annuo di acquisti non falserebbe la concorrenza. L’offerta di tubi d’acciaio senza saldatura sarebbe eccedente e il fabbisogno della Corus prevedibile. Alla luce di ciò, la Corus avrebbe potuto ragionevolmente assegnare alle sue fornitrici una quota d’acquisto invece di specificare nei suoi contratti di fornitura i quantitativi richiesti di merce.

146
La Mannesmann aggiunge che i prezzi dei prodotti in questione erano stati negoziati individualmente, poi soggetti ad una formula di revisione basata sull’andamento del mercato. Simili clausole d’indicizzazione sarebbero correnti nei contratti a lungo termine e giustificate dalle fluttuazioni di prezzo che caratterizzano il settore dei tubi in acciaio. Tali contratti non instaurano alcuno scambio d’informazioni riservate. La Corus si sarebbe limitata a trasmettere alla Mannesmann i correttivi derivanti dalla formula di revisione. Del resto, dalla prassi decisionale della Commissione emergerebbe che quest’ultima non ha mai dichiarato tali clausole incompatibili con l’art. 81, n. 1, CE.

147
Quanto alle altre stipulazioni dei contratti in questione, la Mannesmann sostiene che la Commissione avrebbe attribuito un’importanza particolare alle clausole penali, mentre le stesse sono irrilevanti con riferimento al diritto comunitario della concorrenza. La mancata severità della pena contrattuale prevista in caso di mancata consegna dei prodotti si spiegherebbe con il carattere eccedente dell’offerta di tali prodotti, che permetteva alla Corus di rifornirsi facilmente.

148
Nella replica, la Mannesmann sostiene infine che le due condizioni elencate all’art. 81, n. 1, CE, relative, rispettivamente, al carattere sensibile del pregiudizio del commercio intracomunitario e alla restrizione della concorrenza, non sono soddisfatte nel caso di specie. Dalla motivazione della decisione impugnata (punto 147) emergerebbe che gli accordi indicati al suo art. 2 miravano a restringere l’accesso delle produttrici giapponesi al mercato britannico. Un’intesa di tale natura pregiudicherebbe il commercio tra la Comunità ed il Giappone, ma non avrebbe conseguenze sul commercio tra Stati membri o sulla concorrenza all’interno del mercato comune.

149
In ogni caso, gli effetti degli accordi indicati all’art. 2 della decisione impugnata sarebbero trascurabili rispetto all’importanza del commercio tra il Giappone e la Comunità. A tale proposito, la Mannesmann contesta alla Commissione di non aver sufficientemente analizzato il mercato in questione. Essa sottolinea che il mercato britannico rappresenta il 2,5% circa del consumo mondiale di OCTG, compresi i tubi senza saldatura. Orbene questi ultimi rappresenterebbero solo il 16% del mercato di tutti gli OCTG (allegato 2 della decisione impugnata). Il preteso accordo si situerebbe ben al di sotto delle soglie indicate al punto 9 della comunicazione della Commissione del 1997, 97/C 372/04, relativa agli accordi di importanza minore che non sono contemplati dall’art. [81], n. 1, del Trattato [CE] (GU 1997, C 372, pag. 13; in prosieguo: la «comunicazione del 1997»).

150
La Commissione rigetta tali argomenti, che ritiene poco credibili. Essa ricorda che i contratti di fornitura in questione riservavano alla Vallourec, alla Dalmine e alla Mannesmann una quota fissa delle forniture di tubi d’acciaio senza saldatura alla Corus, indipendentemente dai quantitativi effettivamente consumati da quest’ultima. Tali imprese non avevano alcun interesse a farsi concorrenza sul prezzo dei tubi d’acciaio senza saldatura, filettati nel Regno Unito.

151
Dopo aver fatto presente che il regolamento n. 2790/99 non è applicabile alla fattispecie, la Commissione precisa che essa ha valutato la pena contrattuale prevista nei contratti di fornitura al solo scopo di verificare se l’importanza dei termini di consegna abbia obiettivamente potuto giustificare la decisione della Corus di rifornirsi esclusivamente presso imprese comunitarie. Essa ne ha dedotto che la clausola relativa ai termini di consegna era stata inserita solo per eliminare le produttrici giapponesi.

152
Infine, la Commissione eccepisce l’irricevibilità dei motivi della Mannesmann riguardanti l’assenza di carattere sensibile delle restrizioni della concorrenza e del pregiudizio al commercio tra Stati membri perché gli stessi sono stati sollevati tardivamente. Allo stesso modo, La Mannesmann avrebbe fatto valere l’illiceità dell’art. 2 della decisione impugnata riguardo alla comunicazione del 1997 solo in fase di replica. Si tratterebbe nei due casi di motivi nuovi, irricevibili ai sensi dell’art. 48, n. 2, del regolamento di procedura.

153
In subordine, la Commissione sostiene che tali motivi non sono fondati.

154
Per quanto riguarda l’argomento secondo cui occorrerebbe applicare la comunicazione del 1997, la Commissione osserva che, poiché il periodo di riferimento considerato per l’imposizione delle ammende si estende dal 1990 al 1995, si sarebbe dovuta chiedere piuttosto l’applicazione della comunicazione della Commissione 3 settembre 1986, riguardante gli accordi d’importanza minore che non sono compresi nelle disposizioni dell’art. [81] del Trattato (GU 1986, C 231, pag. 2). Orbene, la soglia de minimis del 5% prevista da quest’ultima comunicazione non si riferirebbe allora al mercato mondiale, ma al mercato geografico rilevante sul territorio della Comunità. Nella fattispecie, i contratti di fornitura rappresenterebbero dal 78% all’84% del consumo sul mercato britannico e dal 13% al 24% del consumo sul mercato comunitario. Peraltro, le cifre d’affari delle imprese in questione supererebbero largamente la soglia di EUR 200 milioni prevista nella detta comunicazione. Inoltre, la Commissione aggiunge che le soglie della comunicazione del 1997 di cui la Mannesmann rivendica l’applicazione non sono manifestamente rispettate nella fattispecie.

155
Infine, la Commissione sostiene che un eventuale annullamento dell’art. 2 della decisione impugnata sarebbe ininfluente sull’importo dell’ammenda inflitta alla Mannesmann, poiché l’infrazione stabilita da tale disposizione non ha dato luogo ad alcuna sanzione autonoma.

Giudizio del Tribunale

156
In via preliminare, occorre rilevare che la domanda della Mannesmann diretta alla produzione da parte della Commissione, nel presente procedimento, dei documenti depositati dalla Corus nella causa T‑48/00 è divenuta priva di oggetto in quanto le sette cause relative alla legittimità della decisione impugnata, tra cui il presente procedimento e il procedimento T‑48/00, sono state riunite ai fini dell’udienza, di modo che tutte le ricorrenti hanno avuto l’opportunità di consultare presso la cancelleria del Tribunale le memorie e gli allegati depositati nelle altre cause, su riserva di un trattamento riservato di alcuni documenti. Così, la Mannesmann ha avuto accesso a tutti i documenti in questione ed ha potuto commentare in udienza, ove lo desiderasse, il contenuto degli stessi. Alla luce di ciò, la sua domanda supplementare diretta a consentirle di presentare una nuova memoria a tal fine non dev’essere accolta.

157
L’oggetto e l’effetto dei tre contratti di fornitura sono descritti dalla Commissione al punto 111 della decisione impugnata come segue:

«L’oggetto di tali contratti era l’approvvigionamento in tubi lisci del “leader” del mercato degli OCTG nel Mare del Nord e lo scopo era quello di mantenere nel Regno Unito un produttore nazionale per ottenere il rispetto dei “fundamentals” nell’ambito del Club Europa-Giappone. Il loro effetto ed oggetto principale è stata la ripartizione fra [Mannesmann], Vallourec e Dalmine di tutto il fabbisogno del concorrente [Corus] (Vallourec a partire dal 1994). I contratti facevano dipendere i prezzi d’acquisto dei tubi lisci dai prezzi dei tubi filettati da [Corus]; inoltre limitavano la libertà d’approvvigionamento di [Corus] (Vallourec dal febbraio 1994) obbligando quest’ultima a comunicare ai suoi concorrenti i prezzi di vendita praticati e i quantitativi venduti. [Mannesmann], Vallourec (fino al febbraio 1994) e Dalmine si impegnavano a consegnare ad un concorrente ([Corus], poi Vallourec dal marzo 1994) quantitativi non conosciuti in anticipo».

158
I termini dei contratti di fornitura prodotti dinanzi al Tribunale, in particolare quello concluso dalla Mannesmann con la Corus il 9 agosto 1993, confermano sostanzialmente i dati fattuali affermati al detto punto 111 della decisione impugnata nonché ai punti 78‑82 e 153 della stessa. Considerati complessivamente, i detti contratti ripartiscono, almeno dal 9 agosto 1993, il fabbisogno della Corus di tubi lisci tra le altre tre produttrici europee (il 40% per la Vallourec, il 30% per la Dalmine e il 30% per la Mannesmann). Inoltre, ognuno di questi contratti prevede la fissazione del prezzo pagato dalla Corus per i tubi lisci in funzione di una formula matematica che prende in considerazione il prezzo ottenuto dalla Corus per i suoi tubi filettati.

159
Da tali considerazioni consegue che l’oggetto e/o, almeno, l’effetto dei contratti di fornitura era sostituire una ripartizione negoziata del profitto derivante dalle vendite di tubi filettati realizzabili sul mercato britannico ai rischi della concorrenza riguardo alle quattro produttrici europee (v., per analogia, riguardo alle pratiche concordate, sentenza Cemento, cit. supra al punto 42, punto 3150).

160
Per ciascuno dei contratti di fornitura, la Corus ha vincolato le sue tre concorrenti comunitarie in maniera tale che ogni concorrenza effettiva da parte loro sul suo mercato nazionale, nonché ogni prospettiva di una tale concorrenza, è venuta meno, a prezzo del sacrificio della sua libertà di approvvigionamento. Infatti, queste tre concorrenti vedevano diminuire le loro vendite di tubi lisci se le vendite di tubi filettati realizzate dalla Corus dovevano ridursi. Del resto, il margine di profitto realizzato sulle vendite di tubi lisci che le tre fornitrici si sono impegnate ad effettuare diminuiva anche nell’ipotesi di una riduzione del prezzo ottenuto dalla Corus per i suoi tubi filettati e poteva persino trasformarsi in perdita. Alla luce di ciò, era praticamente inconcepibile che queste tre produttrici cercassero di esercitare una concorrenza effettiva nei confronti della Corus sul mercato britannico dei tubi filettati, in particolare per quanto riguarda i prezzi (v. punto 153 della decisione impugnata).

161
Al contrario, accettando di concludere tali contratti, ciascuna delle tre concorrenti comunitarie della Corus si è assicurata una partecipazione indiretta sul mercato nazionale di quest’ultima nonché una parte dei proventi che ne derivano. Per ottenere tali vantaggi, esse hanno rinunciato, di fatto, alla possibilità di vendere tubi filettati sul mercato britannico nonché, perlomeno dalla data della firma del terzo contratto, il 9 agosto 1993, che concedeva il restante 30% alla Mannesmann, a quella di fornire una percentuale dei tubi lisci acquistati dalla Corus maggiore di quella che era stata precedentemente attribuita a ciascuna di loro.

162
Inoltre, le concorrenti della Corus hanno accettato l’obbligo oneroso, e pertanto commercialmente anomalo, di fornire a quest’ultima quantitativi di tubi che erano previamente definiti solo con riferimento alle vendite di tubi filettati realizzate da quest’ultima. Tale obbligo ha rafforzato l’interdipendenza illecita tra le dette produttrici e la Corus, in quanto le prime dipendevano, quali fornitrici contrattualmente vincolate, dalla politica commerciale condotta dalla seconda.

163
Si deve necessariamente rilevare che, se i contratti di fornitura non fossero esistiti, le tre produttrici europee diverse dalla Corus avrebbero normalmente avuto, astraendo dai «fundamentals», un interesse commerciale reale o almeno potenziale ad esercitare nei confronti di quest’ultima una concorrenza effettiva sul mercato britannico dei tubi filettati nonché a farsi concorrenza reciproca per fornire alla Corus tubi lisci.

164
A tale proposito, occorre inoltre rilevare che ciascuno dei contratti di fornitura è stato concluso per una durata iniziale di cinque anni. Tale durata relativamente lunga conferma e rafforza la natura anticoncorrenziale dei detti contratti, in particolare poiché la Mannesmann e le altre due fornitrici della Corus hanno rinunciato, di fatto, a poter sfruttare direttamente un’eventuale crescita del mercato britannico dei tubi filettati durante tale periodo.

165
Per quanto riguarda l’argomento specifico della Mannesmann secondo cui la formula di prezzo riportata nei contratti costituisce una mera clausola di indicizzazione, occorre rilevare che la Commissione ha qualificato la detta clausola come anticoncorrenziale poiché essa fissa il prezzo pagato dalla Corus per i suoi tubi lisci a ciascuna delle sue fornitrici in funzione del prezzo ottenuto dalla stessa per i suoi tubi filettati, in maniera uguale per le tre fornitrici. Si deve necessariamente rilevare che, anche supponendo che i prezzi di partenza per la fornitura di tubi lisci siano stati realmente negoziati in maniera indipendente tra la Corus e ciascuna delle sue fornitrici, il rapporto di forza commerciale esistente, da un lato, tra la Corus e ciascuna delle dette imprese e, dall’altro, formato da tali prezzi è stato fissato, ed ogni possibilità di concorrenza sui prezzi dei tubi lisci acquistati dalla Corus è stata eliminata. La scelta del prezzo dei tubi filettati venduti dalla Corus come indice non è neutrale e rende la formula in questione molto diversa da una clausola di indicizzazione ordinaria. Come è stato rilevato supra al punto 160, tale scelta ha avuto per conseguenza che le tre fornitrici, che producevano esse stesse anche tubi filettati, hanno perso l’interesse commerciale a fare concorrenza alla Corus sui prezzi nel mercato del Regno Unito.

166
Peraltro, come afferma la Commissione, la formula di fissazione del prezzo dei tubi lisci, prevista in ognuno dei tre contratti di fornitura, implicava uno scambio illecito d’informazioni commerciali (v. punto 153 della decisione impugnata; v., altresì, punto 111 della stessa) che dovevano rimanere riservate, pena la compromissione dell’autonomia della politica commerciale delle imprese concorrenti (v., in tal senso, sentenze del Tribunale 11 marzo 1999, causa T‑141/94, Thyssen Stahl/Commissione, Racc. pag. II‑347, punto 403, e T‑151/94, British Steel/Commissione, Racc. pag. II‑629, punti 383 e segg.).

167
L’argomento della Mannesmann, secondo cui non le erano state comunicate informazioni riservate relative ai quantitativi di tubi venduti dalla Corus e ai prezzi pagati dai clienti di quest’ultima, non può discolparla alla luce delle circostanze della fattispecie.

168
Per quanto riguarda i quantitativi di tubi filettati venduti dalla Corus, occorre rilevare che le sue fornitrici, tra cui la Mannesmann, potevano facilmente calcolarli, dato che ciascuna di loro forniva, in linea di principio, una percentuale fissa del fabbisogno della stessa.

169
Per contro, è esatto, come rileva la Mannesmann, che la Corus non comunicava i prezzi che otteneva per i suoi tubi filettati alle sue controparti in quanto tali. Di conseguenza, l’affermazione di cui al punto 111 della decisione impugnata, secondo cui i contratti di fornitura «obbliga[vano] [la Corus] a comunicare ai suoi concorrenti i prezzi di vendita praticati», esagera la portata degli obblighi contrattuali in proposito. Tuttavia, la Commissione ha giustamente rilevato, al punto 153 della decisione impugnata e dinanzi al Tribunale, che i detti prezzi erano in rapporto matematico con il prezzo pagato per i tubi lisci, in modo tale che le tre fornitrici in questione ricevevano indicazioni precise sul senso, il momento e l’ampiezza di ogni fluttuazione di prezzo dei tubi filettati venduti dalla Corus.

170
Si deve necessariamente rilevare non solo che la comunicazione di tali informazioni a concorrenti viola l’art. 81, n. 1, CE, ma anche che la natura di tale violazione è sostanzialmente la stessa, a prescindere dal fatto che oggetto di tale comunicazione siano stati i prezzi dei tubi filettati stessi o unicamente informazioni sulla loro fluttuazione. Alla luce di ciò, va rilevato che l’inesattezza rilevata al punto precedente è insignificante nel più ampio contesto dell’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata e che, di conseguenza, essa non ha alcuna incidenza sulla dichiarazione dell’esistenza di quest’ultima.

171
Per quanto riguarda l’argomento della Mannesmann vertente sul regolamento n. 2790/1999, occorre rilevare anzitutto che tale regolamento non può essere applicato direttamente nel caso di specie, dato che la decisione impugnata è stata adottata l’8 dicembre 1999 e che l’art. 2 della stessa riguarda, per quanto concerne la Mannesmann, un periodo compreso fra il 1993 e il 1997, vale a dire un periodo precedente all’entrata in vigore delle disposizioni pertinenti del regolamento n. 2790/1999, avvenuta il 1° giugno 2000.

172
Inoltre, poiché il detto regolamento potrebbe comunque essere rilevante a titolo indicativo nel caso di specie, in quanto costituisce una presa di posizione della Commissione nel dicembre 1999 in merito alla natura poco pregiudizievole per la concorrenza degli accordi verticali, occorre rilevare che tale regolamento applica l’art. 81, n. 3, CE. Orbene, dall’art. 4 del regolamento n. 17 risulta che gli accordi tra imprese possono beneficiare di un'esenzione individuale in funzione di tale disposizione solo se sono notificati alla Commissione a tal fine, il che non si è verificato nel caso di specie.

173
Ne consegue che la legalità dei contratti in questione può essere valutata solo rispetto all’art. 81, n. 1, CE. Così, anche se fosse dimostrata, la circostanza secondo cui tali contratti soddisfacevano i requisiti di merito dell’art. 81, n. 3, CE, che disciplina la concessione di esenzioni, alla luce della politica della Commissione nonché come risulta dal regolamento della stessa n. 2790/1999, è irrilevante nel caso di specie. Al contrario, l’adozione di tale regolamento nel dicembre 1999 conferma che, secondo la Commissione, accordi di questo genere violano, in linea di principio, l’art. 81, n. 1, CE, dato che richiedono l’applicazione dell’art. 81, n. 3, CE. Di conseguenza, l’argomento della Mannesmann basato sul regolamento n. 2790/1999 dev’essere respinto.

174
Occorre inoltre rilevare che, poiché l’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata è costituita dalle restrizioni della concorrenza contenute nei contratti di fornitura stessi, le considerazioni di cui supra sono sufficienti per dimostrarne l’esistenza.

175
Infatti, indipendentemente dal vero grado di concertazione tra le quattro produttrici europee, si deve necessariamente rilevare che ciascuna di esse ha concluso uno dei contratti di fornitura, restringendo la concorrenza e partecipando alla violazione dell’art. 81, n. 1, CE di cui all’art. 2 della decisione impugnata. Se l’art. 2, n. 1, della decisione impugnata afferma che i contratti di fornitura sono stati conclusi «nell’ambito dell’infrazione di cui all’articolo 1», dal tenore letterale del punto 111 della decisione impugnata risulta che il fatto di aver concluso i detti contratti costituisce, di per sé, l’infrazione di cui all’art. 2.

176
Così, anche supponendo che la Mannesmann sia riuscita a dimostrare che la conclusione del suo contratto di fornitura con la Corus era oggettivamente conforme al suo interesse commerciale, la detta circostanza non invaliderebbe in alcun modo la tesi della Commissione secondo cui tale accordo era illegale. Infatti, le pratiche anticoncorrenziali sono attuate molto spesso nell’interesse commerciale individuale delle imprese, perlomeno a breve termine.

177
Alla luce di tali affermazioni, non è necessario risolvere la controversia tra le parti relativa al significato della sanzione prevista dai contratti in caso di mancata consegna, vale a dire la mera riduzione corrispondente della quota della fornitrice in questione, dal momento che l’argomento fatto valere in proposito dalla Mannesmann è volto a dimostrare che era economicamente logico dal punto di vista della Corus concludere i tre contratti di fornitura così redatti. Anche l’argomento secondo cui le uniche imprese stabilite nella Comunità in grado di produrre tubi di tali dimensioni erano la Vallourec, la Dalmine e la Mannesmann è, per la stessa ragione, irrilevante.

178
Allo stesso modo, gli argomenti della Mannesmann relativi alla potenza economica della Vallourec, sul mercato dei tubi filettati, derivante dal suo brevetto per il raccordo premium «VAM», fanno essenzialmente riferimento agli interessi commerciali che hanno indotto la Mannesmann a concludere un contratto di fornitura per i tubi lisci con la Corus e sono pertanto irrilevanti. Tali argomenti potrebbero al massimo relativizzare, entro certi limiti, le affermazioni della Commissione relative alla soppressione di una concorrenza effettiva della Mannesmann sul mercato britannico dei tubi filettati, ma non possono invalidare l’affermazione essenziale secondo cui le parti dei contratti di fornitura hanno sostituito una cooperazione, ossia una certezza commerciale, ai rischi della concorrenza per quanto riguarda il mercato britannico dei tubi lisci e filettati.

179
Poiché l’esistenza dell’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata è stata sufficientemente dimostrata, non è strettamente necessario esaminare neanche l’iter logico della Commissione in merito alla concertazione tra le quattro produttrici europee (v. supra, punto 171). In particolare, non occorre analizzare a tal fine gli argomenti addotti dalla Mannesmann in merito all’insieme di indizi esterni ai contratti di fornitura fatto valere dalla Commissione per dimostrare l’effettività di tale concertazione.

180
Tuttavia, poiché il grado di concertazione che esisteva tra le quattro produttrici comunitarie in merito all’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata è pertinente per l’esame di alcuni degli altri motivi sollevati nella fattispecie, occorre esaminarlo.

181
A tal riguardo, occorre rilevare che comportamenti che si iscrivono in un piano complessivo e perseguono un obiettivo comune possono essere considerati costitutivi di un accordo unico (v., in tal senso, sentenza Cemento, cit. supra al punto 42, punto 4027). Infatti, se la Commissione dimostra che un’impresa, all’atto di partecipare ad intese, sapeva o doveva necessariamente sapere che, agendo in tal modo, si inseriva in un accordo unico, la sua partecipazione alle intese di cui trattasi può costituire la manifestazione della sua adesione al detto accordo (v., in tal senso, sentenza Cemento, cit. supra al punto 42, punti 4068 e 4109).

182
A tale proposito, è particolarmente rilevante il documento Riflessioni sul contratto VAM, datato 23 marzo 1990. Al titolo «Ipotesi II», il sig. Verluca vi indica la possibilità di «ottenere che i giapponesi non intervengano sul mercato britannico e che il problema si risolva fra europei». Esso prosegue affermando che «[i]n tal caso si suddividerebbero effettivamente i tubi lisci fra [Mannesmann], [Vallourec] e Dalmine». Al punto seguente, esso rileva che «avremmo probabilmente interesse a collegare le vendite di [Vallourec] al prezzo e al volume del VAM venduto da [Corus]».

183
Dato che quest’ultima proposta riflette precisamente i termini essenziali del contratto concluso tra la Vallourec e la Corus sedici mesi dopo, risulta chiaramente che tale strategia è stata effettivamente accettata dalla Vallourec e che il detto contratto è stato firmato per attuarla.

184
Inoltre, il fatto che un contratto praticamente identico sia stato firmato successivamente tra la Corus, da un lato, e ciascuno degli altri membri europei del club Europa-Giappone, dall’altro, ossia la Dalmine e, in seguito, la Mannesmann, di modo che il fabbisogno di tubi lisci della Corus era effettivamente ripartito tra gli altri tre membri del club Europa-Giappone dall’agosto 1993, proprio come aveva previsto il sig. Verluca, conferma che questi tre contratti sono stati necessariamente conclusi al fine di perseguire la strategia comune proposta nell’ambito della loro concertazione all’interno di tale club.

185
Tale conclusione è confermata dagli elementi probatori fatti valere dalla Commissione nella decisione impugnata, in particolare al punto 91 della stessa, che è formulato come segue:

«Il 21 gennaio 1993 [Corus] ha inviato a Vallourec (probabilmente anche a [Mannesmann] e a Dalmine) una bozza di proposte in vista di un accordo sulla ristrutturazione del settore dei tubi senza saldatura, da discutersi in una riunione a Heathrow il 29 gennaio 1993 fra Mannesmann/Vallourec/Dalmine/[Corus] (pag. 4628 [del fascicolo della Commissione, ossia la prima pagina del documento intitolato “Bozza di proposte in vista di un accordo sulla ristrutturazione dei tubi senza saldatura”]). In questo documento è scritto: “[[Corus] ha indicato la sua intenzione di ritirarsi dal settore dei tubi senza saldatura. Cerca di farlo in modo ordinato e controllato per evitare interruzioni di fornitura dei tubi alla clientela ed aiutare i produttori che rilevano l’attività a conservare le commesse (...) Negli ultimi sei mesi [Corus] ha discusso con altri produttori interessati all’acquisizione dei suoi attivi e ritiene che esista un consenso sulla linea d’azione descritta nel documento]”. Una delle proposte consisteva nel trasferire a Vallourec le attività OCTG, mantenendo in vigore i contratti di fornitura di tubi lisci tra [Corus] e Vallourec, [Mannesmann] e Dalmine nelle stesse proporzioni. Lo stesso giorno si è svolta una riunione fra [Mannesmann] e [Corus] durante la quale [Mannesmann] “[ha accettato che Vallourec prendesse la guida del futuro assetto proprietario delle attività OCTG]”, (pag. 4626 [del fascicolo della Commissione, ossia la pagina unica di un fax inviato il 22 gennaio 1993 dal sig. Davis della Corus al sig. Patrier della Vallourec]). Nel documento di Dalmine intitolato “Seamless steel tube system in Europe and market evolution” [“Sistema di tubi in acciaio senza saldatura in Europa ed evoluzione del mercato”, citato a pag. 2051 del fascicolo della Commissione (pag. 2053 [del fascicolo della Commissione])] di maggio-agosto 1993, si dice che una soluzione del problema [Corus] valida per tutti può essere trovata soltanto in un contesto europeo; il fatto che Vallourec acquisisca gli impianti di [Corus] era ammesso anche da Dalmine».

186
Inoltre, occorre rilevare che, nella nota «Riflessioni strategiche», citata al punto 80 della decisione impugnata, la Vallourec ha esplicitamente previsto la possibilità che la Dalmine e la Mannesmann si accordassero con lei per fornire tubi lisci alla Corus. Inoltre, al punto 59 della decisione impugnata, la Commissione si basa sul documento «g) Giapponese», in particolare sul calendario riportato a pag. 4 dello stesso (pag. 4912 del fascicolo della Commissione), per rilevare che le produttrici europee tenevano riunioni preparatorie prima di incontrare le produttrici giapponesi, al fine di coordinare le loro posizioni e di fare proposte comuni nell’ambito del club Europa-Giappone.

187
Dalle prove documentali fatte valere dalla Commissione nella decisione impugnata e ricordate sopra risulta che le quattro produttrici comunitarie si sono effettivamente incontrate per coordinare la loro posizione nell’ambito del club Europa-Giappone prima delle riunioni intercontinentali dello stesso, almeno nel 1993. È parimenti dimostrato che la chiusura della fabbrica di filettatura della Corus a Clydesdale e la sua riapertura da parte della Vallourec, nonché la fornitura di tubi lisci a tale impresa da parte della Dalmine e della Mannesmann, sono state oggetto di discussioni durante le dette riunioni. Pertanto, è inconcepibile che la Mannesmann abbia potuto ignorare il tenore della strategia elaborata dalla Vallourec e il fatto che il suo contratto di fornitura con la Corus si iscrivesse nell’ambito di un più ampio accordo anticoncorrenziale che riguardava sia il mercato dei tubi filettati standard sia quello dei tubi lisci.

188
Per quanto riguarda l’argomento della Mannesmann secondo cui il terzo contratto di fornitura, tra lei e la Corus, è stato concluso molto più tardi degli altri due, di modo che la Commissione non poteva dedurne l’esistenza di un’infrazione unica che riguardasse le quattro produttrici europee, occorre rilevare che l’assenza di contratto di fornitura tra la Mannesmann e la Corus prima del 1993 non può invalidare la tesi della Commissione. Infatti, se la strategia di ripartizione delle forniture di tubi lisci è stata attuata pienamente solo dal momento in cui la Corus aveva tre fornitrici, la firma degli altri due contratti costituiva un’attuazione parziale di tale progetto, in anticipazione della sua completa realizzazione.

189
Del resto, come la Commissione ha affermato dinanzi al Tribunale, il riferimento, nel documento intitolato «Bozza di proposte in vista di un accordo sulla ristrutturazione dei tubi senza saldatura», datato 21 gennaio 1993, al fatto che la Mannesmann fornisse già tubi lisci alla Corus, lungi dall’essere incompatibile con la firma di un contratto di fornitura tra la Corus e la Mannesmann nell’agosto 1993, come fa valere la Mannesmann, rafforza l’analisi della Commissione. Infatti, se la Commissione ha affermato, per prudenza, l’esistenza dell’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata nei confronti della Mannesmann solo dal 9 agosto 1993 perché la sua firma di un contratto di fornitura con la Corus in tale data era una prova certa della sua partecipazione all’infrazione, dal riferimento di cui sopra risulta che, in realtà, la Mannesmann riforniva la Corus di tubi lisci già dal gennaio 1993.

190
Così, dagli elementi probatori fatti valere dalla Commissione nella decisione impugnata risulta che la Vallourec ha ideato la strategia di protezione del mercato del Regno Unito e concluso un contratto di fornitura con la Corus che consentiva, in particolare, in un primo tempo di attuarla. In seguito, la Dalmine e la Mannesmann si sono unite ad esse, come dimostra la conclusione da parte di ciascuna di queste due imprese di un contratto di fornitura con la Corus.

191
Infine, per quanto riguarda le censure relative all’assenza di un pregiudizio sensibile del commercio tra Stati membri, occorre rilevare che esse sono effettivamente irricevibili ai sensi dell’art. 48, n. 2, del regolamento di procedura, conformemente all’argomento della Commissione.

192
Infatti, con i detti argomenti, fatti valere per la prima volta nella replica, la Mannesmann contesta alla Commissione di aver commesso errori di diritto o di valutazione in merito ad una delle condizioni di applicazione dell’art. 81, n. 1, CE. Poiché i motivi di merito non sono di ordine pubblico, non spetta al giudice comunitario sollevarli d’ufficio.

193
Ad ogni buon fine, occorre rilevare che il Tribunale ha respinto argomenti paragonabili a quelli fatti valere dalla Mannesmann in cause che sono state riunite al presente procedimento ai fini dell’udienza (sentenze Dalmine/Commissione, cit. supra al punto 127, in particolare punti 156 e 157, e JFE Engineering e a./Commissione, cit. supra al punto 102, in particolare punti 367‑374 e 386‑395).

194
Per quanto riguarda l’argomento relativo alla natura non considerevole degli effetti anticoncorrenziali del contratto concluso tra la Mannesmann e la Corus, occorre rilevare che esso è ricevibile in quanto costituisce un ampliamento degli argomenti già fatti valere nel ricorso secondo cui la Commissione non ha dimostrato sufficientemente che i contratti di fornitura sanzionati dall’art. 2 della decisione impugnata avessero un oggetto o effetti restrittivi della concorrenza ai sensi dell’art. 81 CE.

195
Nel merito, occorre ricordare, anzitutto, che nel caso di specie la Commissione si è basata non solo sugli effetti, ma anche sull’oggetto restrittivo dell’accordo sanzionato all’art. 2 della decisione impugnata (v. punto 111 della decisione impugnata nonché supra, punti 157 e segg.).

196
A tale proposito, imprese che stipulano un accordo avente in particolare lo scopo di restringere la concorrenza non possono, in linea di principio, essere esonerate dall’applicazione dell’art. 81, n. 1, CE sostenendo che il loro accordo non doveva avere un’incidenza considerevole sulla concorrenza (v. anche supra, punto 130).

197
Infatti, i contratti sanzionati all’art. 2 della decisione impugnata sono stati ideati, come è stato dichiarato supra ai punti 179 e segg., segnatamente per ripartire le forniture di tubi lisci alla Corus, che era la «fornitrice principale» («leader», v. punto 111 della decisione impugnata) sul mercato del Regno Unito, tra le sue concorrenti europee che erano anch’esse membri del club Europa-Giappone. I detti contratti prevedevano, inoltre, la trasmissione illegale da parte della Corus di informazioni commerciali. Così, il loro stesso oggetto comportava restrizioni significative della concorrenza sul mercato del Regno Unito, che era un mercato distinto a causa dell’esistenza dell’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata (sentenza Dalmine/Commissione, cit. supra al punto 127, punti 267 e 268), indipendentemente dai loro possibili effetti.

198
Di conseguenza, le censure riassunte sopra devono essere respinte nel merito in quanto si riferiscono alla questione se l’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata abbia soddisfatto il criterio relativo all’esistenza di un oggetto o di effetti sensibilmente restrittivi della concorrenza.

199
Inoltre, occorre rilevare che l’argomento della Mannesmann basato sulla comunicazione del 1997 è ricevibile nonostante il fatto che sia stato addotto per la prima volta nella replica. Infatti, la Mannesmann si avvale di tale comunicazione al fine di rafforzare il suo argomento, già fatto valere nel ricorso, secondo cui i contratti di fornitura non costituivano accordi anticoncorrenziali in violazione dell’art. 81, n. 1, CE.

200
Nel merito, occorre rilevare, anzitutto, che la comunicazione del 1997 è applicabile ratione temporis nel caso di specie dal momento che la decisione impugnata è stata adottata nel 1999. La detta comunicazione del 1997 costituisce una presa di posizione della Commissione in tale data sugli accordi che vanno considerati una violazione dell’art. 81, n. 1, CE. In particolare, va rilevato che la comunicazione del 1997 fissa soglie in termini di percentuali, di modo che, a differenza delle comunicazioni precedenti che fissano soglie in valore assoluto, essa riflette un’evoluzione della politica e/o della valutazione effettuata dalla Commissione e non una mera considerazione dell’inflazione. Alla luce di ciò, pertinente per la valutazione della decisione impugnata è la comunicazione del 1997 e non quella del 1986, nonostante il fatto che i contratti in questione siano stati firmati nel 1991 e nel 1993.

201
Tuttavia, occorre rilevare che la comunicazione del 1997 non può essere addotta per validare i contratti di fornitura nel caso di specie, dato che questi ultimi hanno contribuito all’attuazione di un più ampio accordo anticoncorrenziale relativo ai tubi filettati, che non può essere coperto dai termini di tale comunicazione (v. supra, punti 179 e segg.). Infatti, l’oggetto e gli effetti anticoncorrenziali di tali contratti superano, in parte, quelli direttamente risultanti dalle loro disposizioni, di modo che un’applicazione meccanica della comunicazione del 1997 ai soli contratti non terrebbe adeguatamente conto della loro incidenza sui mercati in questione.

202
In ogni caso, gli importi addotti dalla Mannesmann per dimostrare che la quota di mercato delle imprese in questione è inferiore alle soglie stabilite nella comunicazione del 1997 si riferiscono al mercato mondiale degli OCTG. Orbene, la comunicazione del 1997 precisa che sono «le quote di mercato detenute dall’insieme delle imprese partecipanti» che non devono superare la soglia rilevante «su nessuno dei mercati rilevanti».

203
A tale proposito, se la definizione riportata al punto 35 della decisione impugnata considera un mercato geografico «mondiale» per gli OCTT senza saldatura, tale definizione dev’essere letta alla luce della descrizione dettagliata dei vari pilastri degli accordi conclusi nell’ambito del club Europa-Giappone, in particolare dei «fundamentals». Infatti, dalla decisione impugnata, considerata complessivamente, in particolare dai punti 53‑77, risulta che il comportamento delle produttrici giapponesi ed europee su ogni mercato domestico o, in alcuni casi, sul mercato di una determinata regione del mondo era stabilito da regole specifiche che variavano da un mercato all’altro e che derivavano da trattative commerciali svolte all’interno del club Europa-Giappone.

204
Alla luce di ciò, la vera analisi dei mercati geografici in questione nella decisione impugnata è costituita dalla descrizione dettagliata della situazione esistente su ciascun mercato. Pertanto, il punto 35 della decisione impugnata dev’essere interpretato nel senso che contiene una definizione del mercato geografico degli OCTG senza saldatura quale dovrebbe esistere normalmente tenuto conto di considerazioni commerciali ed economiche puramente oggettive, astraendo da accordi illeciti aventi per oggetto o per effetto quello di suddividerlo artificialmente.

205
Così, gli argomenti della Mannesmann relativi alla percentuale ridotta delle vendite realizzate dalla Corus e da essa stessa sul mercato mondiale degli OCTG devono essere dichiarati irrilevanti. Pertanto, anche supponendo che sia opportuno applicare la comunicazione del 1997, occorrerebbe prendere in considerazione le quote sul mercato britannico, o almeno sul mercato comunitario. Orbene, dalla decisione impugnata, in particolare dagli importi di cui ai punti 68 e 113 della stessa, risulta che le quote di mercato della sola impresa Corus, che era parte di tutti i contratti di fornitura, sia sul mercato britannico sia sul mercato comunitario, erano nettamente superiori alle soglie fissate dalla comunicazione del 1997, tanto da quella del 10% del mercato applicabile agli accordi verticali quanto da quella del 5% applicabile agli accordi orizzontali. Pertanto, è pacifico che i contratti in questione non costituiscono accordi di importanza minore ai sensi di tale comunicazione del 1997.

206
Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre dichiarare che la Commissione ha giustamente affermato, nella decisione impugnata, che i contratti di fornitura costituivano l’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata e dimostravano quindi sufficientemente l’esistenza della stessa. Occorre altresì rilevare, ad ogni buon fine, che gli elementi probatori complementari addotti dalla Commissione confermano la correttezza della sua tesi secondo cui i detti contratti si iscrivevano nell’ambito di una più ampia politica comune che riguardava il mercato degli OCTG filettati standard.


Sulla domanda di riduzione dell’importo dell’ammenda

Sulle norme che disciplinano il calcolo dell’ammenda

Argomenti delle parti

207
In via preliminare, la Mannesmann contesta alla Commissione di non aver applicato correttamente le norme relative alla determinazione dell’importo delle ammende, in particolare gli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 15, paragrafo 2 del regolamento n. 17 e dell’art. 65, paragrafo 5 del Trattato CECA (GU 1998, C 9, pag. 3, in prosieguo: gli «orientamenti per il calcolo delle ammende») e la comunicazione sulla cooperazione. Essa fa valere altresì, a tale proposito, la prassi decisionale precedente della Commissione che avrebbe originato in capo alla stessa un legittimo affidamento rispetto al metodo di calcolo ed al livello delle ammende inflitte dalla Commissione.

208
Nella replica, la ricorrente aggiunge che la decisione impugnata non si riferisce espressamente agli orientamenti summenzionati e, pertanto, non è conforme ai requisiti di motivazione derivanti dall’art. 253 CE. Infatti, secondo la Mannesmann, se i detti orientamenti non fossero stati applicabili alla fattispecie, la Commissione avrebbe dovuto conformarsi alla sua prassi decisionale precedente e fissare l’importo dell’ammenda in relazione al volume d’affari realizzato dalla Mannesmann sul mercato rilevante. La Commissione non potrebbe discostarsi da tale prassi precedente senza spiegare i motivi di tale decisione. Peraltro, se dovesse risultare che la Commissione ha implicitamente applicato gli orientamenti per il calcolo delle ammende, la Mannesmann sostiene che, in ogni caso, l’art. 253 CE non sarebbe stato rispettato. Infatti, in un caso simile, la Commissione sarebbe stata tenuta a far figurare, nella decisione, gli elementi accertati per determinare l’importo dell’ammenda (sentenza Cemento, cit. supra al punto 42, punti 4725 e segg.; sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑347/94, Mayr-Melnhof/Commissione, Racc. pag. II‑1751, punto 283).

209
La Commissione ribatte che l’argomento della ricorrente, sviluppato per la prima volta nella replica, riguarda una pretesa violazione della sua prassi decisionale precedente agli orientamenti per il calcolo delle ammende. Si tratterebbe di un motivo nuovo, poiché la Mannesmann aveva inizialmente limitato il suo argomento alla violazione dei detti orientamenti. Tale motivo sarebbe irricevibile ai sensi dell’art. 48, n. 2, del regolamento di procedura. Per quanto riguarda la motivazione della decisione impugnata, la Commissione ritiene che essa sia conforme ai requisiti indicati dalla Corte nella sentenza 16 novembre 2000, causa C‑279/98 P, Cascades/Commissione (Racc. pag. I‑9693, punti 44 e segg.). La Commissione, infatti, si sarebbe pronunciata sulla gravità dell’infrazione (punti 159‑165 della decisione impugnata), sulla sua durata (punto 166 della decisione impugnata) nonché sull’esistenza di circostanze attenuanti (punto 169 della decisione impugnata) e sull’applicazione della comunicazione sulla cooperazione (punto 174 della decisione impugnata). Infine, la decisione impugnata sarebbe conforme agli orientamenti per il calcolo delle ammende.

Giudizio del Tribunale

210
Occorre anzitutto rilevare che, nell’ambito di un ricorso di annullamento, il motivo vertente su una carenza o su un’insufficienza di motivazione di un atto comunitario costituisce un motivo di ordine pubblico che dev’essere sollevato d’ufficio dal giudice comunitario e che, di conseguenza, può essere invocato dalle parti in qualsiasi fase del procedimento (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 13 dicembre 2001, cause riunite T‑45/98 e T‑47/98, Krupp Thyssen Stainless e Acciai speciali Terni/Commissione, Racc. pag. II‑3757, punto 125). Pertanto, la circostanza, secondo cui il motivo vertente su una carenza di motivazione per quanto riguarda la modalità di calcolo delle ammende è stato sollevato per la prima volta solo nella replica, non comporta la conseguenza che il Tribunale non possa esaminarlo nel caso si specie.

211
A tale proposito, secondo una giurisprudenza costante, la necessità di motivazione dev’essere valutata in funzione delle circostanze del caso, in particolare del contenuto dell’atto, della natura dei motivi esposti e dell’interesse che i destinatari dell’atto o altre persone da questo riguardate direttamente e individualmente possano avere a ricevere spiegazioni (sentenze della Corte 29 febbraio 1996, causa C‑56/93, Belgio/Commissione, Racc. pag. I‑723, punto 86, e Commissione/Sytraval e Brink’s France, cit. supra al punto 126, punto 63). La motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti, in quanto l’accertamento se la motivazione di un atto soddisfi i requisiti dell’art. 253 CE va effettuato alla luce non solo del suo tenore, ma anche del suo contesto e del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia (sentenza Petrotub e Republica/Consiglio, cit. supra al punto 72, punto 81).

212
Del resto, se la Commissione dispone di un margine di discrezionalità per fissare l’importo delle ammende (sentenza del Tribunale 6 aprile 1995, causa T‑150/89, Martinelli/Commissione, Racc. pag. II‑1165, punto 59, e, per analogia, sentenza del Tribunale 21 ottobre 1997, causa T‑229/94, Deutsche Bahn/Commissione, Racc. pag. II‑1689, punto 127), occorre rilevare che quest’ultima non può discostarsi dalle regole che essa stessa si è imposta (sentenza Hercules Chemicals/Commissione, cit. supra al punto 44, punto 53, confermata in fase d’impugnazione dalla sentenza della Corte 8 luglio 1999, causa C‑51/92 P, Hercules Chemicals/Commissione, Racc. pag. I‑4235, e giurisprudenza ivi cit.). In tal modo, la Commissione doveva necessariamente tener conto dei termini degli orientamenti per il calcolo delle ammende, in particolare degli elementi ivi indicati in modo imperativo.

213
Nel caso di specie, da una lettura dei punti 156‑175 della decisione impugnata risulta chiaramente che la Commissione ha applicato la modalità di calcolo prevista dagli orientamenti per il calcolo delle ammende, come era tenuta a fare in ogni caso, conformemente alla giurisprudenza citata al punto precedente. Alla luce di ciò, va rilevato che il mancato riferimento esplicito agli orientamenti per il calcolo delle ammende nella decisione impugnata non è tale da invalidare la legittimità della stessa per carenza di motivazione. Infatti, un tale riferimento sarebbe servito solo a confermare una circostanza che doveva essere in ogni caso evidente per la Mannesmann, considerato il contesto giuridico sopra esposto.

214
Di conseguenza, il motivo vertente su una carenza di motivazione a tale proposito è respinto.

215
Per quanto riguarda il motivo della Mannesmann relativo alla prassi decisionale precedente della Commissione e al legittimo affidamento che ne deriverebbe, va rilevato anzitutto che esso è ricevibile, poiché è stato sollevato, sebbene brevemente, nel suo ricorso, ossia al punto 74 di quest’ultimo nell’ambito del suo argomento relativo alla questione della gravità dell’infrazione. Pertanto, l’argomento in questione nella replica dev’essere considerato un ampliamento di tale motivo.

216
Va poi ricordato, per quanto riguarda il detto argomento nel merito, che, considerato il margine di discrezionalità attribuito alla Commissione dal regolamento n. 17 (a tale proposito v. supra, punto 212), l’applicazione da parte di quest’ultima di un nuovo metodo di calcolo dell’importo delle ammende, che può comportare, in alcuni casi, un aumento dell’entità delle ammende, senza peraltro eccedere il limite massimo fissato nel medesimo regolamento, non può essere considerata un aumento, con effetto retroattivo, delle ammende come giuridicamente stabilite all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 (v., benché in fase di impugnazione, sentenza del Tribunale 20 marzo 2002, causa T‑23/99, LR AF 1998/Commissione, Racc. pag. II‑1705, punto 235).

217
È pertanto irrilevante affermare che il calcolo dell’importo delle ammende secondo il metodo esposto negli orientamenti per il calcolo delle stesse può indurre la Commissione ad infliggere ammende più elevate rispetto alla sua prassi precedente, in particolare perché non si tiene conto sistematicamente delle differenze di dimensioni tra le imprese. Infatti, la Commissione dispone di un margine di discrezionalità nel fissare l’importo delle ammende al fine di orientare il comportamento delle imprese verso il rispetto delle regole sulla concorrenza (v. supra al punto 212, e sentenza del Tribunale 11 dicembre 1996, causa T‑49/95, Van Megen Sports/Commissione, Racc. pag. II‑1799, punto 53). Inoltre, il fatto che la Commissione abbia inflitto, in passato, ammende di una certa entità per determinati tipi di infrazioni non può impedirle di aumentare tale entità entro i limiti stabiliti dal regolamento n. 17, se ciò è necessario per garantire l’attuazione della politica comunitaria della concorrenza (sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, cit. supra al punto 96, punto 109; sentenze del Tribunale 10 marzo 1992, causa T‑12/89, Solvay/Commissione, Racc. pag. II‑907, punto 309, e 14 maggio 1998, causa T‑304/94, Europa Carton/Commissione, Racc. pag. II‑869, punto 89). Al contrario, l’efficace applicazione delle norme comunitarie della concorrenza implica che la Commissione possa sempre adeguare il livello delle ammende alle esigenze di questa politica (sentenze Musique diffusion française e a./Commissione, cit., punto 109, e LR AF 1998/Commissione, cit. supra al punto 216, punti 236 e 237).

218
Da quanto precede risulta che la Mannesmann non può far valere la prassi decisionale precedente della Commissione e, pertanto, che il presente motivo dev’essere respinto.

Sulla determinazione dell’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente

219
La Mannesmann fa valere poi quattro censure principali relative alla determinazione dell’importo dell’ammenda che le è stata inflitta.

Sulla gravità dell’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata

    Argomenti delle parti

220
In primo luogo, la ricorrente contesta le valutazioni della Commissione riguardo alla gravità dell’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata. Essa ricorda che la gravità di un’infrazione dev’essere valutata alla luce dei suoi effetti sul mercato (punto 1 A degli orientamenti per il calcolo delle ammende). Pur supponendo che le infrazioni in questione possano essere considerate come «molto gravi» ai sensi dei detti orientamenti, la Mannesmann contesta alla Commissione di aver preso in considerazione i loro effetti sul mercato a titolo di circostanze aggravanti.

221
La ricorrente sostiene di aver già sufficientemente dimostrato che le infrazioni di cui agli art. 1 e 2 della decisione impugnata non erano state commesse. Essa chiede la diminuzione dell’importo dell’ammenda che le è stata inflitta, almeno come nel provvedimento in cui la Commissione ha ritenuto che l’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata abbia avuto l’effetto di alterare la concorrenza.

222
Quando ha stabilito l’importo di base dell’ammenda, senza tener conto delle dimensioni o del volume d’affari realizzato nel mercato in questione da ognuna delle imprese interessate, la Commissione avrebbe superato i limiti del suo potere discrezionale. Orbene, l’equità ed il principio di proporzionalità richiederebbero che le imprese non siano poste su un piano di uguaglianza, ma che il loro comportamento venga sanzionato in funzione del loro ruolo personale o dell’incidenza dell’infrazione. Una certa giustizia «distributiva» dovrebbe essere garantita anche alle grandi imprese, come indicato dalla fissazione di un massimale per l’importo delle ammende al 10% del volume d’affari previsto dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17.

223
La Commissione avrebbe anche agito oltre i limiti del suo potere discrezionale infliggendole un’ammenda distinta a titolo dell’infrazione contestata alla Vallourec, poiché la Mannesmann ne avrebbe assunto il controllo. La Commissione avrebbe dovuto infliggere alla Mannesmann un’ammenda unica, tenendo conto del comportamento della sua filiale Vallourec. Non avendo fatto ciò, la Commissione avrebbe violato il principio di parità di trattamento e commesso uno sviamento di potere.

224
La Commissione osserva che l’accordo che mira ad assicurare la protezione dei mercati nazionali nell’ambito del club Europa-Giappone costituisce, per sua natura, un’infrazione molto grave (punto 161 della decisione impugnata).

225
Nei limiti in cui l’infrazione di cui all’art. 2 non ha dato luogo all’imposizione di un’ammenda distinta, le censure relative all’assenza di effetti anticoncorrenziali di tale infrazione sarebbero irrilevanti.

226
Inoltre, la Commissione fa valere che la Mannesmann, la Vallourec e la Dalmine devono tutte essere considerate grandi imprese [v. raccomandazione della Commissione 3 aprile 1996, 96/280/CE, relativa alla definizione delle piccole e medie imprese (GU L 107, pag. 4)]. Orbene, il limite superiore assoluto per le ammende previsto dal regolamento n. 17 non obbligherebbe la Commissione a stabilire, al momento del calcolo dell’importo di base di un’ammenda, una differenziazione tra grandi imprese.

227
La Commissione ricorda che la presa del controllo della Vallourec da parte della Mannesmann risale al 1997. Per tutta la durata dell’infrazione, queste due imprese erano indipendenti l’una dall’altra e pertanto la Commissione ha inflitto loro due ammende distinte. Se la Commissione dovesse diminuire l’importo delle ammende a causa della fusione di imprese parti di un’intesa dopo la scoperta di questa, l’effetto dissuasivo delle ammende ne risulterebbe nettamente attenuato.

    Giudizio del Tribunale

228
Occorre rilevare anzitutto che, ai sensi dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, la Commissione può infliggere ammende che variano da un minimo di EUR 1 000 ad un massimo di EUR 1 000 000, con facoltà di elevare quest’ultimo importo fino al 10% del volume d’affari realizzato durante l’esercizio sociale precedente da ciascuna delle imprese che hanno partecipato all’infrazione. Per determinare l’ammontare dell’ammenda entro tali limiti, tale disposizione prescrive di tener conto della gravità e della durata dell’infrazione.

229
Orbene, contrariamente a quanto sostiene la Mannesmann, né il regolamento n. 17, né la giurisprudenza, né gli orientamenti per il calcolo delle ammende prevedono che le ammende debbano essere fissate direttamente in funzione delle dimensioni del mercato pregiudicato, in quanto tale fattore è solo uno dei tanti elementi rilevanti. Infatti, ai sensi del regolamento n. 17, come interpretato dalla giurisprudenza, l’ammenda inflitta ad un’impresa a titolo di un’infrazione in materia di concorrenza dev’essere proporzionata all’infrazione, valutata nel suo complesso, tenendo conto, in particolare, della gravità di questa (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 6 ottobre 1994, causa T‑83/91, Tetra Pak/Commissione, Racc. pag. II‑755, punto 240, e, per analogia, sentenza Deutsche Bahn/Commissione, cit. supra al punto 212, punto 127). Come affermato dalla Corte al punto 120 della sua sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, cit. supra al punto 96, va tenuto conto, per valutare la gravità di un’infrazione, di un gran numero di fattori il cui carattere e la cui importanza variano a seconda del tipo di infrazione e delle circostanze particolari della stessa (v. anche, per analogia, sentenza Deutsche Bahn/Commissione, cit., punto 127).

230
Peraltro, occorre rilevare che, sebbene la Commissione non abbia espressamente invocato gli orientamenti per il calcolo delle ammende nella decisione impugnata, essa ha tuttavia determinato l’importo delle ammende imposte alle imprese destinatarie della decisione impugnata applicando il metodo di calcolo che essa si è imposta (v. supra, punto 212).

231
Orbene, come è stato ricordato sopra, anche se la Commissione gode di un margine discrezionale per stabilire l’importo delle ammende, occorre constatare che la stessa non può discostarsi dalle regole che si è imposta (v. supra, punto 212, e giurisprudenza ivi cit.). In tal modo, la Commissione deve effettivamente tener conto dei termini degli orientamenti nel fissare l’importo delle ammende, in particolare degli elementi ivi indicati in modo imperativo. Tuttavia, il margine di discrezionalità della Commissione ed i limiti che essa vi ha apportato non pregiudicano, in ogni caso, l’esercizio, da parte del giudice comunitario, della sua competenza anche di merito.

232
Occorre rilevare, a tale proposito, che, ai sensi del punto 1 A degli orientamenti per il calcolo delle ammende, «[p]er valutare la gravità dell’infrazione, occorre prenderne in considerazione la natura, l’impatto concreto sul mercato, quando sia misurabile, e l’estensione del mercato geografico rilevante». Orbene, al punto 159 della decisione impugnata, la Commissione dichiara di prendere giustamente in considerazione questi tre criteri per determinare la gravità dell’infrazione.

233
Tuttavia la Commissione, al punto 161 della decisione impugnata, si è basata essenzialmente sulla natura del comportamento illecito di tutte le imprese per fondare la sua conclusione secondo cui l’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata è «molto grave». Al riguardo, essa ha invocato la natura gravemente anticoncorrenziale e nociva al buon funzionamento del mercato interno dell’accordo di ripartizione dei mercati sanzionato, l’intenzionalità dell’infrazione commessa e la natura segreta ed istituzionalizzata del sistema attuato per limitare la concorrenza. La Commissione ha preso in considerazione, al medesimo punto 161, anche il fatto che «i quattro Stati membri in questione rappresentano la maggior parte del consumo degli OCTG e dei linepipe senza saldatura nella Comunità e dunque un vasto mercato geografico».

234
La Commissione ha invece rilevato, al punto 160 della decisione impugnata, che «l’infrazione ha avuto, di fatto, un’incidenza limitata sul mercato», dato che i due prodotti specifici coperti dalla stessa, vale a dire gli OCTG standard ed i linepipe «project», non rappresentavano che il 19% del consumo comunitario di OCTG e di linepipe senza saldatura e che i tubi saldati potevano ormai soddisfare una parte della domanda di tubi senza saldatura grazie ai progressi della tecnologia.

235
Così, al punto 162 della decisione impugnata, la Commissione, dopo aver qualificato tale infrazione nella categoria delle infrazioni «molto gravi» in base ai fattori elencati al punto 161, ha preso in considerazione la quantità relativamente esigua delle vendite dei prodotti in questione da parte dei destinatari della decisione impugnata nei quattro Stati membri interessati (EUR 73 milioni all’anno). Tale riferimento alle dimensioni del mercato rilevante corrisponde alla valutazione dell’impatto limitato dell’infrazione sul mercato al punto 160 della decisione impugnata. La Commissione ha dunque deciso di infliggere un importo in funzione della gravità di soli EUR 10 milioni. Orbene, gli orientamenti per il calcolo delle ammende prevedono, in linea di principio, un importo di «più di 20 milioni di [euro]» per un’infrazione rientrante nella detta categoria.

236
Occorre esaminare se l’impostazione della Commissione esposta sopra sia illegale alla luce degli argomenti fatti valere dalla Mannesmann per censurarla.

237
Va esaminato, anzitutto, l’argomento della Mannesmann vertente sulla pretesa mancanza di effetti dell’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata.

238
A tale proposito, la Commissione ha chiaramente affermato, sia al punto 164 della decisione impugnata sia dinanzi al Tribunale, di non aver imposto un importo supplementare a titolo d’ammenda per la detta infrazione.

239
Da parte sua, il Tribunale ha rilevato, nella sua sentenza JFE Engineering e a./Commissione, cit. supra al punto 102, che, omettendo di prendere in considerazione l’infrazione constatata all’art. 2 della decisione impugnata per stabilire l’importo dell’ammenda inflitta alle produttrici europee, la Commissione ha violato il principio generale di diritto comunitario di parità di trattamento. Tuttavia, poiché la Commissione non ha chiesto che il Tribunale aumenti le ammende inflitte alle produttrici europee, nelle cause T‑44/00, T‑48/00 e T‑50/00, il mezzo più idoneo per rimediare alla disparità di trattamento rilevata è di ridurre l’importo dell’ammenda inflitta a ciascuna delle ricorrenti giapponesi piuttosto che di aumentare l’importo delle ammende inflitte alle tre ricorrenti europee (sentenza JFE Engineering e a./Commissione, cit. supra al punto 102, punti 574‑579).

240
Poiché né la Commissione né il Tribunale hanno preso in considerazione l’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata ai fini del calcolo dell’ammenda inflitta alla Mannesmann, l’argomento fatto valere in proposito dalla detta società si basa su una premessa erronea e pertanto dev’essere respinto.

241
Per quanto riguarda, inoltre, gli argomenti della Mannesmann relativi al fatto che, ai sensi degli orientamenti per il calcolo delle ammende, la Commissione è tenuta a prendere in considerazione gli effetti concreti di un’infrazione sul mercato ai fini del calcolo dell’ammenda, si deve necessariamente rilevare che tale elemento è stato effettivamente preso in considerazione nella decisione impugnata quanto all’infrazione di cui all’art. 1 della stessa. Occorre rilevare che la riduzione dell’ammontare fissato in funzione della gravità al 50% dell’importo minimo generalmente previsto nel caso di un’infrazione «molto grave», indicata supra al punto 235, riflette adeguatamente tale impatto circoscritto.

242
Al riguardo si deve inoltre ricordare che le ammende devono adempiere ad una funzione dissuasiva in materia di concorrenza (v., al riguardo, punto 1 A, quarto comma, degli orientamenti per il calcolo delle ammende). In tal modo, tenuto conto delle vaste dimensioni delle imprese destinatarie della decisione impugnata, rilevate al punto 165 della decisione impugnata (v. anche, infra, punti 243 e segg.), una riduzione sostanzialmente maggiore dell’importo stabilito in funzione della gravità avrebbe potuto privare le ammende del loro effetto dissuasivo.

243
Per quanto riguarda l’argomento della Mannesmann secondo il quale la Commissione non era legittimata ad affermare che gli effetti dell’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata sui mercati in questione costituissero una circostanza aggravante nel caso di specie, è sufficiente rilevare che la Commissione non ha menzionato circostanze aggravanti nella decisione impugnata. Di conseguenza, il detto argomento dev’essere respinto.

244
Per quanto riguarda l’argomento della Mannesmann secondo cui la Commissione, nel fissare l’importo dell’ammenda, deve tenere conto delle dimensioni di ogni singola impresa nonché dell’importanza della sua partecipazione all’infrazione, occorre sottolineare anzitutto che il riferimento di cui all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, al 10% del volume d’affari mondiale, menzionato supra al punto 228, rileva esclusivamente per il calcolo del limite superiore dell’ammenda che può essere inflitta dalla Commissione (v. primo comma degli orientamenti per il calcolo delle ammende nonché sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, cit. supra al punto 96, punto 119) e non comporta che debba esistere una relazione proporzionale tra le dimensioni di ogni impresa e l’importo dell’ammenda che le viene inflitta (v. anche supra, punto 227).

245
Va inoltre rilevato che il punto 1 A, sesto comma, degli orientamenti per il calcolo delle ammende, applicabili nel caso di specie (v. supra, punto 230), prevede la possibilità «in certi casi, [di] ponderare gli importi determinati nell’ambito di ciascuna delle tre categorie [di gravità], in modo da tenere conto del peso specifico e dunque dell’impatto reale sulla concorrenza del comportamento configurante infrazione di ciascuna impresa». Ai sensi di tale comma, la detta impostazione è adeguata «in particolare qualora esista una disparità considerevole nella dimensione delle imprese che commettono il medesimo tipo di infrazione».

246
Tuttavia, dall’uso dell’espressione «in certi casi» e del termine «in particolare» negli orientamenti per il calcolo delle ammende risulta che una ponderazione in funzione delle dimensioni individuali delle imprese non costituisce una tappa di calcolo sistematica che la Commissione si è imposta, ma una possibilità di essere flessibile che essa si è riservata nei casi che lo richiedono. Va ricordata, in tale contesto, la giurisprudenza secondo cui la Commissione dispone di un potere discrezionale che le consente di prendere o non prendere in considerazione taluni elementi quando essa stabilisce l’importo delle ammende che intende infliggere, in funzione in particolare delle circostanze del caso di specie (v., in tal senso, ordinanza della Corte 25 marzo 1996, causa C‑137/95 P, SPO e a./Commissione, Racc. pag. I‑1611, punto 54, e sentenze della Corte Ferriere Nord/Commissione, cit. supra al punto 108, punti 32 e 33; 15 ottobre 2002, cause riunite C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, Racc. pag. I‑8375, punto 465; v. inoltre, in tal senso, sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑309/94, KNP BT/Commissione, Racc. pag. II‑1007, punto 68).

247
Tenuto conto dei termini del punto 1 A, sesto comma, degli orientamenti per il calcolo delle ammende indicati sopra, occorre considerare che la Commissione ha mantenuto un certo margine di discrezionalità rispetto all’opportunità di una ponderazione delle ammende in funzione delle dimensioni di ogni impresa. Così, la Commissione non è tenuta, in sede di determinazione dell’ammontare delle ammende, ad assicurare, nel caso in cui siano inflitte ammende a diverse imprese coinvolte in una stessa infrazione, che gli importi finali delle ammende rendano conto di una differenza tra le imprese interessate in ordine al loro fatturato complessivo (v., in tal senso, benché in fase di impugnazione, sentenze del Tribunale LR AF 1998/Commissione, cit. supra al punto 216, punto 278, e 19 marzo 2003, causa T‑213/00, CMA CGM e a./Commissione, Racc. pag. II‑913, punto 385).

248
Nel caso di specie, la Commissione ha constatato, al punto 165 della decisione impugnata, che tutte le imprese destinatarie della decisione impugnata erano di grandi dimensioni, per cui non occorreva procedere, a tale titolo, ad una differenziazione tra gli importi applicati per le ammende.

249
A tale proposito, la Commissione ha sottolineato nel controricorso, senza essere contraddetta dalla Mannesmann, che quest’ultima non è una piccola o media impresa. Infatti, la raccomandazione 96/280, applicabile al momento dell’adozione della decisione impugnata, precisa, in particolare, che le imprese devono avere meno di 250 dipendenti e avere o un fatturato annuo non superiore a EUR 40 milioni, o un bilancio annuo non superiore a EUR 27 milioni. Nella raccomandazione della Commissione 6 maggio 2003, 2003/361/CE, relativa alla definizione delle microimprese, piccole e medie imprese (GU L 124, pag. 36), le due ultime soglie di cui sopra sono state elevate e fissate rispettivamente a EUR 50 milioni ed EUR 43 milioni.

250
Se il Tribunale non dispone di dati relativi al numero di dipendenti ed al bilancio della Mannesmann, va rilevato che il fatturato della Mannesmann nel 1998, pari a EUR 2 321 milioni (v. punto 13 della decisione impugnata), era più di quaranta volte superiore al limite previsto nelle raccomandazioni successive della Commissione rispetto a tale criterio. Occorre pertanto rilevare, sulla base delle informazioni presentate al Tribunale, che la Commissione non ha commesso errori affermando, al punto 165 della decisione impugnata, che tale impresa era di grandi dimensioni.

251
Per quanto riguarda il ruolo svolto dalla Mannesmann nell’infrazione, occorre rilevare che la sua partecipazione all’accordo di ripartizione dei mercati risulta dal fatto che essa si è impegnata a non vendere i prodotti in questione su altri mercati. Ogni produttrice ha assunto lo stesso impegno, vale a dire quello di non vendere gli OCTG standard e i linepipe sul mercato nazionale di ciascuno degli altri membri del club Europa-Giappone. Orbene, come è stato affermato sopra, al punto 233, la Commissione si è basata essenzialmente sulla natura gravemente anticoncorrenziale di tale impegno ai fini di determinare la natura «molto grave» dell’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata.

252
Poiché la Mannesmann è l’unico membro tedesco del club Europa-Giappone, si deve necessariamente rilevare che la sua presenza è stata sufficiente per estendere l’ambito di applicazione geografica dell’accordo anticoncorrenziale al territorio di uno Stato membro delle Comunità. Impegnandosi a non vendere i suoi tubi sul mercato degli altri tre Stati membri della Comunità interessati dall’accordo, la Mannesmann ha inoltre contribuito a ridurre la concorrenza attuale o potenziale su questi altri mercati. Per mezzo della sua presenza alle riunioni del detto club, essa ha aderito, o almeno ha fatto credere alle altre partecipanti che aderiva, in via di principio, al contenuto dell’accordo anticoncorrenziale ivi concordato. Orbene, dal fascicolo, in particolare dalle cifre riportate nella tabella di cui al punto 68 della decisione impugnata, risulta che la ripartizione dei mercati prevista dall’intesa è stata applicata in pratica, perlomeno entro certi limiti, e che la stessa ha avuto necessariamente un impatto reale sulle condizioni di concorrenza esistenti sui mercati comunitari. Pertanto, occorre rilevare che la partecipazione della Mannesmann all’infrazione ha avuto un impatto considerevole sul mercato comunitario.

253
In tal modo, poiché la Commissione ha affermato, nella decisione impugnata, che le quattro imprese giapponesi interessate erano di grandi dimensioni (v. supra, punto 248) e ha tenuto conto complessivamente dell’impatto relativamente modesto dell’infrazione sui mercati in questione (v. supra, punti 235 e 241), l’argomento della Mannesmann non è sufficiente per dimostrare che la Commissione abbia oltrepassato i limiti del suo potere discrezionale nella fattispecie per il fatto che essa non ha applicato il punto 1 A, sesto comma, degli orientamenti per il calcolo delle ammende.

254
Infine, per quanto riguarda l’argomento della Mannesmann vertente sul fatto che alla stessa ed alla Vallourec sono state inflitte due ammende distinte nonostante la fusione delle loro attività di produzione di tubi nel 1997 (v. punti 12 e 15 della decisione impugnata), si deve rilevare che, in via di principio, la responsabilità per la violazione delle disposizioni comunitarie sulla concorrenza incombe alla persona fisica o giuridica che dirigeva l’impresa in questione al momento in cui tale violazione è stata commessa, sebbene, alla data di adozione della decisione che ha constatato l’infrazione, la gestione dell’impresa sia stata posta sotto la responsabilità di un altro soggetto (sentenza Krupp Thyssen Stainless e Acciai speciali Terni/Commissione, cit. supra al punto 210, punto 57). Tuttavia, ciò non si verifica quando la persona sotto la cui responsabilità sia stata ormai posta la gestione dell’impresa abbia dichiarato di accettare di essere considerata responsabile dei fatti contestati al suo predecessore (citata sentenza Krupp Thyssen Stainless e Acciai speciali Terni/Commissione, punto 62).

255
Si deve necessariamente rilevare che, nel caso di specie, la Mannesmann è la persona giuridica che ha diretto un’impresa la quale ha preso parte all’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata durante il periodo di tale infrazione e che la Vallourec è la persona giuridica che ha diretto, nello stesso periodo, un’altra impresa, indipendente dalla prima, la quale ha preso parte alla stessa infrazione. Orbene, dal fascicolo non si evince in alcun modo che la Mannesmann, la Vallourec o una delle loro filiali abbia reso una dichiarazione di responsabilità nella fattispecie in esame. In ogni caso, la regola descritta al punto precedente non consente di affermare che, in circostanze in cui chi rende la dichiarazione abbia parimenti partecipato all’infrazione autonomamente, debba essergli inflitta un’ammenda unica, il cui importo sia inferiore alla somma delle due ammende che sarebbero state inflitte ad imprese autonome.

256
Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che gli argomenti della Mannesmann riassunti sopra non possono giustificare una riduzione dell’importo della sua ammenda nel procedimento in esame.

Sulla durata

    Argomenti delle parti

257
La Mannesmann contesta il giudizio della Commissione riguardo alla durata dell’infrazione. Anche se le riunioni del club Europa-Giappone sono cominciate nel 1977 per concludersi nel 1995, il periodo dell’infrazione constatato sarebbe limitato a 5 anni (1990‑1995), a causa degli accordi di autolimitazione delle esportazioni conclusi tra la Commissione e le autorità giapponesi (punto 108 della decisione impugnata). La Mannesmann contesta alla Commissione di non aver preso in considerazione la proroga degli accordi di autolimitazione fino al 31 dicembre 1990, ai sensi dell’accordo del 28 dicembre 1989 concluso tra la Commissione e il Ministero internazionale giapponese del Commercio e dell’Industria. Ne consegue, secondo la Mannesmann, che l’importo di base dell’ammenda che le è stata inflitta, fissato a EUR 10 milioni, poteva essere aumentato solo del 40% (10% all’anno) in ragione della durata dell’infrazione. In tal modo, la durata dell’infrazione avrebbe giustificato solo un aumento dell’importo di base di EUR 4 milioni. Pertanto, la Mannesmann chiede al Tribunale di ridurre l’importo dell’ammenda di EUR 1 milione.

258
La Commissione respinge tali censure, che essa ritiene infondate. Infatti, la ricorrente non apporterebbe per nulla la prova della sua affermazione secondo cui gli accordi di autolimitazione conclusi con il governo giapponese sarebbero durati sino al 31 dicembre 1990.

    Giudizio del Tribunale

259
Occorre innanzi tutto rilevare che la Commissione, al punto 108 della decisione impugnata, ha affermato che essa avrebbe potuto constatare l’esistenza dell’infrazione a partire dal 1977, ma che ha deciso di non farlo a causa dell’esistenza di accordi di autolimitazione. Così, all’art. 1 della decisione impugnata essa ha constatato l’esistenza dell’infrazione solo a partire dal 1990. Si deve necessariamente rilevare che tale iniziativa costituisce una concessione effettuata da parte della Commissione alle imprese destinatarie della decisione impugnata.

260
Occorre rilevare che nessuna delle parti ha sostenuto dinanzi al Tribunale che fosse necessario rimettere in discussione tale concessione nel procedimento in esame. Di conseguenza, l’esame del Tribunale nell’ambito del presente procedimento non deve riguardare la legalità o l’opportunità di tale concessione, ma unicamente la questione se la Commissione, avendola effettuata espressamente nella motivazione della decisione impugnata, l’abbia applicata correttamente nel caso di specie. Occorre rilevare, a tale proposito, che la Commissione deve fornire prove precise e concordanti per corroborare la ferma convinzione che l’infrazione sia stata commessa, dato che le incombe l’onere della prova in merito all’esistenza dell’infrazione e, pertanto, alla sua durata (sentenze della Corte 28 marzo 1984, cause riunite 29/83 e 30/83, CRAM e Rheinzink/Commissione, Racc. pag. 1679, punto 20; 31 marzo 1993, cause riunite C‑89/85, C‑104/85, C‑114/85, C‑116/85, C‑117/85 e da C‑125/85 a C‑129/85, Ahlström Osakeytiö e a./Commissione, detta «Pâte de bois II», Racc. pag. I‑1307, punto 127; sentenze del Tribunale 10 marzo 1992, cause riunite T‑68/89, T‑77/89 e T‑78/89, SIV e a./Commissione, Racc. pag. II‑1403, punti 193‑195, 198‑202, 205‑210, 220‑232, 249‑250 e 322‑328, e 6 luglio 2000, causa T‑62/98, Volkswagen/Commissione, Racc. pag. II‑2707, punti 43 e 72).

261
Così, la concessione descritta sopra rende la pretesa cessazione degli accordi di autolimitazione il criterio determinante per valutare se l’esistenza dell’infrazione dovesse essere affermata per il 1990. Dato che si tratta di accordi stipulati, sul piano internazionale, tra il governo giapponese, rappresentato dal Ministero internazionale del Commercio e dell’Industria, e la Comunità, rappresentata dalla Commissione, occorre constatare che quest’ultima avrebbe dovuto conservare la documentazione che conferma la data in cui i detti accordi sono terminati, conformemente al principio di buona amministrazione. Pertanto, essa avrebbe dovuto essere in grado di produrre tale documentazione dinanzi al Tribunale. Tuttavia, la Commissione ha affermato dinanzi al Tribunale di aver cercato nei suoi archivi, ma di non essere in grado di produrre documenti attestanti la data di cessazione degli accordi.

262
Sebbene, in generale, un ricorrente non possa trasferire l’onere della prova al convenuto avvalendosi di circostanze che esso non può dimostrare, la nozione di onere della prova non può essere applicata a vantaggio della Commissione nella fattispecie per quanto riguarda la data di cessazione degli accordi internazionali da essa conclusi. L’inspiegabile incapacità della Commissione di produrre elementi probatori relativi ad una circostanza che la interessa direttamente priva il Tribunale della possibilità di statuire con cognizione di causa per quanto riguarda la data di cessazione dei detti accordi. Sarebbe contrario al principio di buona amministrazione della giustizia far sopportare le conseguenze di tale incapacità della Commissione alle imprese destinatarie della decisione impugnata che, a differenza dell’istituzione convenuta, non erano in grado di fornire la prova mancante.

263
Ciò premesso, occorre considerare, in via eccezionale, che spettava alla Commissione fornire la prova di tale cessazione. Orbene, si deve necessariamente rilevare che la Commissione non ha fornito la prova della data in cui gli accordi di autolimitazione sono terminati, né nella decisione impugnata né dinanzi al Tribunale.

264
In ogni caso, le ricorrenti giapponesi hanno prodotto elementi probatori che dimostrano la prosecuzione degli accordi di autolimitazione sino al 31 dicembre 1990, perlomeno a livello giapponese, il che conferma la tesi della ricorrente nel presente procedimento (sentenza JFE Engineering e a./Commissione, cit. supra al punto 102, punto 345). Va affermato che, nell’ipotesi di cause riunite in cui tutte le parti abbiano avuto la possibilità di consultare l’insieme dei fascicoli, il Tribunale può tener conto d’ufficio degli elementi probatori risultanti dai fascicoli delle cause parallele (v., in tal senso, sentenze del Tribunale 13 dicembre 1990, causa T‑113/89, Nefarma e Bond van Groothandelaren in het Farmaceutische Bedrijf/Commissione, Racc. pag. II‑797, punto 1, e T‑116/89, causa Prodifarma e a./Commissione, Racc. pag. II‑843, punto 1). Orbene, nel caso di specie il Tribunale è chiamato a pronunciarsi nell’ambito di cause riunite ai fini dell’udienza aventi ad oggetto un’unica decisione d’infrazione e nelle quali tutte le ricorrenti hanno chiesto che sia modificato l’importo delle ammende che esse sono state condannate a pagare. In tal modo, il Tribunale è formalmente a conoscenza, nel presente procedimento, degli elementi probatori forniti dalle quattro ricorrenti giapponesi.

265
Occorre rilevare, del resto, che la Mannesmann chiede al Tribunale non solo di annullare la decisione impugnata per quanto riguarda la data di inizio dell’infrazione di cui all’art. 1 della stessa e, in tal modo, la durata dell’infrazione, ma anche di diminuire, nell’esercizio della competenza giurisdizionale anche di merito conferita al Tribunale ai sensi dell’art. 229 CE, dall’art. 17 del regolamento n. 17, l’importo della sua ammenda per tener conto di tale riduzione di durata. La detta competenza giurisdizionale anche di merito ha come conseguenza che il Tribunale, nel riformare l’atto impugnato modificando l’importo delle ammende inflitte dalla Commissione, deve tener conto di tutte le circostanze di fatto pertinenti (sentenza Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, cit. supra al punto 246, punto 692). Alla luce di ciò, e poiché tutte le ricorrenti hanno contestato il fatto che la Commissione abbia affermato l’esistenza dell’infrazione dal gennaio 1990, non sarebbe opportuno che il Tribunale valuti in maniera isolata la situazione di ciascuna delle ricorrenti nelle circostanze della fattispecie limitandosi ai soli elementi di fatto che esse hanno deciso di far valere a sostegno della loro causa, non tenendo conto di quelli che altre ricorrenti o la Commissione hanno potuto addurre.

266
D’altra parte, né la Mannesmann né, a fortiori, la Commissione hanno sostenuto che gli accordi di autolimitazione fossero ancora in vigore nel 1991.

267
Alla luce di ciò, va rilevato, ai fini del presente procedimento, che gli accordi di autolimitazione, conclusi tra la Commissione e le autorità giapponesi, sono rimasti in vigore sino alla fine del 1990.

268
Dalle considerazioni che precedono si evince che, alla luce della concessione fatta dalla Commissione nella decisione impugnata, la durata dell’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata dev’essere ridotta di un anno. Pertanto, l’art. 1 della decisione impugnata dev’essere annullato nella parte in cui afferma l’esistenza dell’infrazione contestata alla Mannesmann prima del 1° gennaio 1991.

269
Per quanto riguarda la data in cui l’infrazione è terminata, va rilevato che, all’udienza, in risposta ad un quesito del Tribunale, la Commissione ha precisato che, nella decisione impugnata, il 1995 non è stato tenuto in considerazione ai fini del calcolo dell’importo delle ammende. La Mannesmann non ha contestato dinanzi al Tribunale tale affermazione relativa alla cessazione dell’infrazione.

270
Dalle considerazioni che precedono risulta che la durata da considerare per l’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata è di quattro anni, vale a dire dal 1° gennaio 1991 al 1° gennaio 1995. Pertanto, l’importo dell’ammenda inflitta alla Mannesmann dev’essere ridotto per tener conto di tale circostanza.

Sulle pretese circostanze attenuanti

    Argomenti delle parti

271
La Mannesmann censura la Commissione per non aver preso in considerazione talune circostanze attenuanti che giustificavano una riduzione dell’importo dell’ammenda. Certo, la Commissione avrebbe tenuto conto, a titolo di circostanze attenuanti, della situazione di crisi dell’industria siderurgica e ridotto, a questo titolo, l’importo dell’ammenda del 10%. Tuttavia, altre circostanze avrebbero giustificato una maggiore riduzione dell’importo dell’ammenda. La Mannesmann fa valere, in particolare, il fatto che l’accordo di cui all’art. 1 della decisione impugnata è rimasto senza effetti. Inoltre, essa ricorda che ha messo fine ai comportamenti contestati sin dai primi interventi della Commissione. Infine, la Mannesmann rileva che essa ha cooperato nell’ambito dell’indagine svolta dalla Commissione.

272
La Commissione respinge tali affermazioni. Essa ritiene che la censura relativa all’assenza di effetti dell’accordo in questione può riguardare, al massimo, il contratto di fornitura che essa ha concluso con la Corus, che costituisce l’oggetto dell’art. 2 della decisione impugnata. Poiché nessuna ammenda è stata inflitta a titolo di questo articolo, la questione delle circostanze attenuanti sarebbe irrilevante. Per il resto, le affermazioni della Mannesmann relative alla sua cooperazione non sarebbero sufficientemente dimostrate.

    Giudizio del Tribunale

273
Occorre ricordare anzitutto che, nel caso di specie, la Commissione ha concesso una riduzione del 10% dell’importo dell’ammenda a titolo di una circostanza attenuante, vale a dire la situazione di crisi in cui si trovava l’industria siderurgica all’epoca dei fatti.

274
Occorre poi rilevare che la Commissione, nel fissare l’importo delle ammende, deve conformarsi al disposto dei suoi orientamenti. Tuttavia, negli orientamenti per il calcolo delle ammende non è indicato che la Commissione debba sempre prendere in considerazione separatamente ciascuna delle circostanze attenuanti elencate al punto 3 di tali orientamenti. Infatti, il detto punto 3, intitolato «[c]ircostanze attenuanti», prevede la «riduzione dell’importo di base per circostanze attenuanti quali: (…)». Occorre rilevare che se le circostanze elencate nella lista riportata al punto 3 degli orientamenti sono certamente fra quelle di cui la Commissione può tener conto in un determinato caso, quest’ultima non ha l’obbligo di concedere automaticamente una riduzione supplementare a detto titolo, qualora un’impresa adduca elementi tali da indicare la presenza di una di tali circostanze. Infatti, l’adeguatezza di un’eventuale riduzione dell’ammenda a titolo delle circostanze attenuanti dev’essere valutata da un punto di vista complessivo, tenendo conto dell’insieme delle circostanze pertinenti.

275
Va infatti ricordata, in tale contesto, la giurisprudenza precedente l'adozione degli orientamenti, secondo cui la Commissione dispone di un margine di discrezionalità che le consente di prendere o meno in considerazione determinati elementi quando fissa l’importo delle ammende che intende infliggere, segnatamente in funzione delle circostanze del caso di specie (v., in tal senso, ordinanza SPO e a./Commissione, cit. supra al punto 246, punto 54, e sentenze Ferriere Nord/Commissione, cit. supra al punto 246, punti 32 e 33, e Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, cit. supra al punto 246, punto 465; v. anche, in tal senso, sentenza KNP BT/Commissione, cit. supra al punto 246, punto 68). Così, in mancanza di un’indicazione imperativa negli orientamenti in merito alle circostanze attenuanti che possono essere prese in considerazione, va rilevato che la Commissione ha mantenuto un certo margine discrezionale per valutare nel complesso l’importanza di un’eventuale riduzione dell’importo delle ammende a titolo delle circostanze attenuanti.

276
In ogni caso, per quanto riguarda l’argomento della Mannesmann secondo cui l’accordo di ripartizione dei mercati di cui all’art. 1 della decisione impugnata è rimasto senza effetti, occorre rilevare che, conformemente a quanto è stato dichiarato sopra, ciò non avviene nel caso di specie. Per contro, la ripartizione dei mercati prevista dall’intesa in questione è stata messa in pratica, almeno entro certi limiti, e quest’ultima ha avuto necessariamente un impatto reale sulle condizioni di concorrenza esistenti sui mercati comunitari (v. supra, punti 251 e segg.). Inoltre, va ricordato a tale proposito che la fissazione dell’importo stabilito in funzione della gravità al 50% dell’importo minimo generalmente previsto nel caso di un’infrazione «molto grave», indicata supra al punto 235, riflette adeguatamente il fatto, riconosciuto dalla Commissione, che tale impatto è stato circoscritto (v. anche supra, punto 241).

277
Pertanto, occorre interpretare il secondo trattino del punto 3 degli orientamenti nel senso che la Commissione è tenuta a riconoscere l’esistenza di una circostanza attenuante per il fatto della mancata attuazione di un’intesa solo se l’impresa che fa valere tale circostanza può dimostrare di essersi opposta chiaramente e considerevolmente all’attuazione di tale intesa, al punto di aver perturbato il funzionamento stesso di quest’ultima e di non aver aderito all’accordo apparentemente, istigando così altre imprese ad attuare l’intesa in questione. Infatti, la circostanza che un’impresa, la cui partecipazione ad una concertazione con le sue concorrenti per ripartire i mercati sia dimostrata, non abbia adeguato il proprio comportamento sul mercato a quello concordato con le sue concorrenti non costituisce necessariamente un elemento da prendere in considerazione alla stregua di una circostanza attenuante in sede di determinazione dell’importo dell’ammenda da infliggere (sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑327/94, SCA Holding/Commissione, Racc. pag. II‑1373, punto 142).

278
Come ha rilevato il Tribunale nella sentenza Cemento, cit. supra al punto 42 (punto 1389), un’impresa che non prenda le distanze dai risultati di una riunione a cui ha assistito mantiene, in via di principio, la «sua piena responsabilità per la partecipazione all’intesa». Sarebbe troppo semplice per le imprese minimizzare il rischio di dover pagare un’ammenda ingente qualora potessero approfittare di un’intesa illecita e beneficiare in seguito di una riduzione dell’ammenda per il fatto di aver svolto solo un ruolo limitato nell’attuazione dell’infrazione, mentre il loro atteggiamento ha istigato altre imprese a comportarsi in maniera più dannosa per la concorrenza.

279
Da quanto sopra risulta che, anche supponendo cha la Mannesmann e/o alcuni altri membri del club Europa-Giappone non abbiano rispettato pienamente l’accordo di ripartizione dei mercati, tale circostanza non giustificherebbe l’applicazione del secondo trattino del punto 3 degli orientamenti per ridurre l’ammenda a titolo di una circostanza attenuante nel caso di specie.

280
Per quanto riguarda l’argomento relativo all’aver posto immediatamente fine all’infrazione, occorre rilevare che l’«aver posto fine alle attività illecite sin dai primi interventi della Commissione», menzionato al punto 3 degli orientamenti, può logicamente costituire una circostanza attenuante solo se vi sono motivi di supporre che le imprese in questione siano state indotte dagli interventi di cui trattasi a far cessare i loro comportamenti anticoncorrenziali. Infatti, risulta che l’obiettivo di tale disposizione è quello di incoraggiare le imprese a porre fine immediatamente ai loro comportamenti anticoncorrenziali qualora la Commissione avvii un’indagine in proposito.

281
Da quanto sopra risulta, in particolare, che una riduzione dell’importo dell’ammenda non può essere applicata ai sensi del punto 3 degli orientamenti, riguardante la cessazione dell’attività illecita sin dai primi accertamenti, nel caso in cui l’infrazione sia già terminata anteriormente alla data dei primi interventi della Commissione o nel caso in cui le dette imprese, prima di tale data, abbiano già preso una ferma decisione di porvi fine. Infatti, se è certo auspicabile che alcune imprese pongano fine ad un comportamento illecito prima che la Commissione debba intervenire, dal tenore letterale del punto 3 degli orientamenti risulta che esso riguarda la situazione in cui le imprese reagiscano positivamente ad un simile intervento, ponendo fine ai loro eventuali comportamenti illeciti, poiché l’obiettivo è quello di creare un incentivo a che le imprese reagiscano in tal modo. L’applicazione della detta disposizione in favore di un’impresa, da parte della Commissione nell’esercizio del suo margine di discrezionalità o da parte del Tribunale nell’esercizio del suo potere giurisdizionale anche di merito, sarà particolarmente adeguata in una situazione in cui la natura anticoncorrenziale del comportamento in questione non sia manifesta. Al contrario, la sua applicazione sarà meno adeguata, in via di principio, in una situazione in cui quest’ultimo sia chiaramente anticoncorrenziale, sempre che ciò sia dimostrato. Si deve necessariamente rilevare che, nel caso di specie, la natura anticoncorrenziale dell’accordo di ripartizione dei mercati sanzionato all’art. 1 della decisione impugnata è indubbia.

282
Inoltre, l’applicazione di una riduzione nelle circostanze descritte alla prima frase del punto precedente si cumulerebbe con la presa in considerazione, conformemente agli orientamenti, della durata delle infrazioni nel calcolo delle ammende. Tale presa in considerazione ha proprio lo scopo di sanzionare le imprese che violano le regole in materia di concorrenza per un periodo prolungato in modo più severo di quelle le cui infrazioni sono di breve durata. Così, la riduzione dell’importo di un’ammenda per il fatto che un’impresa abbia posto fine ai suoi comportamenti illeciti precedentemente ai primi accertamenti da parte della Commissione avrebbe l’effetto di avvantaggiare una seconda volta i responsabili delle infrazioni di breve durata.

283
Nel caso di specie, occorre rilevare che, nella sentenza JFE Engineering e a./Commissione, cit. supra al punto 102, il Tribunale ha dichiarato, alla luce dei motivi e degli argomenti sollevati dalle ricorrenti nei detti procedimenti, che l’infrazione non doveva essere affermata nei loro confronti dopo il 1° luglio 1994, dato che non esisteva alcuna prova del fatto che una riunione del club Europa-Giappone fosse stata effettuata nell’autunno 1994 in Giappone conformemente alla prassi seguita fino a quel momento. Da tale circostanza si evince che l’infrazione era probabilmente terminata o che almeno vi si stava ponendo fine all’epoca in cui la Commissione ha effettuato accertamenti, il 1° e il 2 dicembre 1994.

284
Ne consegue che il fatto che i comportamenti illeciti costitutivi dell’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata non siano continuati dopo la data delle prime ispezioni effettuate dalla Commissione non giustifica una riduzione dell’ammenda inflitta alla Mannesmann nelle circostanze della fattispecie.

285
Infine, riguardo all’argomento della Mannesmann secondo cui la sua cooperazione avrebbe dovuto essere presa in considerazione a titolo di una circostanza attenuante, esso verrà esaminato in seguito, ai punti 307 e segg., nell’ambito del motivo relativo alla comunicazione sulla cooperazione.

286
Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono e tenuto conto del fatto che la Commissione ha già ridotto le ammende nel caso di specie per prendere in considerazione la circostanza attenuante relativa alla situazione di crisi economica esistente nel settore dei tubi in acciaio (v. punti 168 e 169 della decisione impugnata), tutte le censure della Mannesmann vertenti sulla mancanza di una riduzione supplementare a titolo di altre pretese circostanze attenuanti devono essere respinte.

Sulla pretesa cooperazione della Mannesmann

    Argomenti delle parti

287
La Mannesmann sostiene che la Commissione non ha rispettato la comunicazione sulla cooperazione. Essa afferma che la Commissione ha violato il principio di parità di trattamento nei suoi confronti.

288
Innanzi tutto, essa ritiene di essere stata oggetto di un trattamento discriminatorio rispetto alla Vallourec. Come quest’ultima, essa avrebbe risposto alle richieste d’informazioni della Commissione. Essa avrebbe apportato un valido contributo alla Commissione durante l’indagine (punti 62, 67, 72 e 170 della decisione impugnata), in particolare grazie alle dichiarazioni del sig. Becher. Inoltre, la Mannesmann, come la Vallourec, non avrebbe contestato i fatti materiali che le erano imputati (punto 174 della decisione impugnata).

289
Essa ricorda che la Vallourec non ha fornito informazioni alla Commissione di propria iniziativa, ma è stata la prima impresa ad essere oggetto di accertamenti, nel settembre 1996. La Commissione avrebbe effettuato accertamenti presso la Mannesmann nell’aprile 1997. Se è vero che, cronologicamente, le prime informazioni di cui la Commissione ha potuto disporre provenivano dalla Vallourec, ciò non toglie che tale circostanza derivi solo dalla scelta della Commissione quanto all’ordine adottato per effettuare i suoi accertamenti presso talune imprese interessate. La Commissione non può far derivare da tale scelta discrezionale conseguenze pregiudizievoli per le imprese alle quali essa la impone, nel caso di specie la Mannesmann.

290
La Mannesmann formula critiche simili riguardo al trattamento riservato alla Dalmine (punto 172 della decisione impugnata). Benché la Mannesmann abbia collaborato all’indagine in misura paragonabile alla Dalmine, la Commissione avrebbe ridotto l’ammenda inflitta a quest’ultima del 20%. La Commissione non potrebbe giustificare una tale differenza di trattamento con la circostanza che la Mannesmann abbia proposto ricorso contro una decisione della Commissione adottata ai sensi dell’art. 11, n. 5, del regolamento n. 17. Infatti, la Dalmine ha proposto un ricorso simile, respinto dal Tribunale perché manifestamente irricevibile. In ogni caso, la Commissione non potrebbe far derivare alcuna conseguenza dal legittimo esercizio del suo diritto fondamentale all’impugnazione.

291
La Commissione precisa che essa ha effettuato un accertamento nei locali della Mannesmann il 1º e 2 dicembre 1994. Di conseguenza, le censure relative al trattamento discriminatorio rispetto alla Vallourec sarebbero infondate.

292
Il comportamento della Vallourec non può essere paragonato a quello della Mannesmann. La Vallourec sarebbe stata la sola impresa a comunicare elementi sostanziali sull’esistenza e sul contenuto dell’intesa. Tali elementi avrebbero facilitato il compito della Commissione per quanto riguarda la constatazione delle infrazioni. La Vallourec non avrebbe contestato i fatti materiali. Essa avrebbe così beneficiato di una riduzione dell’ammenda del 40%.

293
La Mannesmann, invece, non avrebbe collaborato all’indagine. Le dichiarazioni del sig. Becher sarebbero state rilasciate in occasione di un accertamento effettuato dalla Commissione nei locali della Mannesmann, in risposta ai quesiti che gli erano stati posti, e avrebbero solo confermato elementi già provati. Durante tutta l’indagine, la Mannesmann avrebbe tenuto un comportamento ambiguo. Sebbene non abbia contestato i fatti, essa non avrebbe espresso chiaramente la sua posizione (punto 174 della decisione impugnata). Per di più, essa si sarebbe rifiutata di fornire talune informazioni richiestele ai sensi dell’art. 11, n. 5, del regolamento n. 17. Per queste ragioni, essa non avrebbe beneficiato di una riduzione dell’ammenda del 20% allo stesso titolo della Dalmine.

294
A tale riguardo, il ruolo passivo di un’impresa non giustificherebbe una riduzione dell’importo dell’ammenda ai sensi della comunicazione sulla cooperazione. Per beneficiare di una riduzione dell’importo dell’ammenda, questa comunicazione richiederebbe infatti che un’impresa informi la Commissione che essa non intende contestare i fatti materiali dopo essere venuta a conoscenza degli addebiti (v. punto D 2 della comunicazione sulla cooperazione e sentenza Mayr-Melnhof/Commissione, cit. supra al punto 208, punto 309).

    Giudizio del Tribunale

295
Secondo una giurisprudenza consolidata, nell’ambito della valutazione della cooperazione fornita dalle imprese, la Commissione non può violare il principio della parità di trattamento, principio generale del diritto comunitario che, per consolidata giurisprudenza, viene trasgredito quando situazioni analoghe siano trattate in maniera differenziata o quando situazioni diverse siano trattate in maniera identica, a meno che un tale trattamento non sia obiettivamente giustificato (sentenza Krupp Thyssen Stainless e Acciai speciali Terni/Commissione, cit. supra al punto 210, punto 237, e giurisprudenza ivi cit.).

296
Occorre inoltre ricordare che, per giustificare la riduzione dell’importo di un’ammenda a titolo della cooperazione, il comportamento di un’impresa deve agevolare il compito della Commissione che consiste nell’accertare e nel reprimere infrazioni alle regole comunitarie della concorrenza (sentenza Mayr-Melnhof/Commissione, cit. supra al punto 208, punto 309, e giurisprudenza ivi cit.).

297
Nel caso di specie, occorre rilevare che le dichiarazioni del sig. Verluca, rese in qualità di rappresentante della Vallourec in risposta ai quesiti posti a tale società dalla Commissione, sono gli elementi probatori chiave del fascicolo nel presente procedimento.

298
Certo, laddove imprese forniscano alla Commissione, nella medesima fase del procedimento amministrativo e in circostanze analoghe, informazioni analoghe sui fatti loro imputati, i gradi della cooperazione fornita dalle stesse devono essere considerati analoghi (v., per analogia, sentenza Krupp Thyssen Stainless e Acciai speciali Terni/Commissione, cit. supra al punto 210, punti 243 e 245).

299
Tuttavia, se le risposte ai quesiti fornite dalla Mannesmann, in particolare la dichiarazione del sig. Becher menzionata al punto 63 della decisione impugnata, sono state di una certa utilità per la Commissione, esse si limitano a confermare, e in maniera meno esplicita e precisa, alcune informazioni già fornite dalla Vallourec per mezzo delle dichiarazioni del sig. Verluca. In particolare, il sig. Verluca ha affermato che ogni membro del club Europa-Giappone era tenuto a rispettare il mercato interno di ciascuno degli altri membri del detto club, precisando che il mercato offshore del Regno Unito aveva uno status particolare, essendo «semiprotetto». Egli ha inoltre precisato la durata e la modalità di funzionamento dell’accordo di ripartizione dei mercati.

300
Si deve necessariamente rilevare che il sig. Verluca non si è limitato a rispondere ai quesiti postigli dalla Commissione, all’epoca del primo accertamento presso la Vallourec nel settembre 1996, in merito al funzionamento del club Europa‑Giappone ed ai «fundamentals». Infatti, dalle dichiarazioni del sig. Verluca, valutate complessivamente, risulta una vera e propria volontà di collaborazione effettiva nell’ambito dell’indagine svolta dalla Commissione. Il sig. Becher, invece, ha unicamente menzionato, per quanto riguarda i «fundamentals», l’esclusione delle produttrici giapponesi dai mercati europei e delle produttrici europee dai mercati giapponesi, senza fornire ulteriori dettagli in proposito.

301
Va rilevato che l’utilità della dichiarazione del sig. Becher si basa esclusivamente sul fatto che lo stesso rafforza, entro certi limiti, quelle del sig. Verluca già a disposizione della Commissione, e che, di conseguenza, la detta dichiarazione non ha agevolato il compito della Commissione in maniera significativa e, pertanto, sufficiente per giustificare una riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta a titolo della cooperazione.

302
Di conseguenza, le informazioni fornite alla Commissione da parte della Mannesmann prima dell’invio della CdA non sono paragonabili a quelle fornite dalla Vallourec. In ogni caso, le dette informazioni non sono sufficienti a giustificare una riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta a titolo della comunicazione sulla cooperazione.

303
Per quanto riguarda il confronto con la cooperazione della Dalmine, fatto valere dalla Mannesmann, occorre rilevare che, per beneficiare di una riduzione dell’importo dell’ammenda a titolo della mancata contestazione dei fatti, conformemente al punto D 2 della comunicazione sulla cooperazione, un’impresa deve esplicitamente informare la Commissione che non intende contestare i fatti materiali, dopo essere venuta a conoscenza della comunicazione degli addebiti (sentenza Mayr‑Melnhof/Commissione, cit. supra al punto 208, punto 309). In mancanza di una tale dichiarazione esplicita, non si può affermare che il mero ruolo passivo di un’impresa agevoli il compito della Commissione, dato che spetta a quest’ultima dimostrare l’esistenza di tutti i fatti nella sua decisione definitiva senza poter far valere una dichiarazione dell’impresa a tal fine.

304
A tale proposito, va rilevato cha la Dalmine ha giustamente beneficiato di una riduzione del 20% poiché ha informato la Commissione che non contestava i fatti materiali sui quali si basavano le accuse (punti 172 e 173 della decisione impugnata). La circostanza, rilevata al punto 5 della decisione impugnata, secondo cui la Dalmine ha rifiutato di rispondere a determinati quesiti posti dalla Commissione prima dell’invio della comunicazione degli addebiti è irrilevante nel presente contesto, dato che dal punto D della comunicazione sulla cooperazione risulta che il fatto di dichiarare la mancata contestazione dei fatti materiali dopo l’invio della comunicazione degli addebiti giustifica una riduzione autonoma dell’ammenda, a prescindere dal comportamento tenuto dall’impresa prima dell’invio della detta comunicazione.

305
Per contro, la Commissione ha affermato, al punto 174 della decisione impugnata, che la Mannesmann non ha mai espresso chiaramente la sua posizione a tale proposito. Se la Mannesmann sottolinea di non aver contestato i fatti esposti nella CdA, essa non sostiene neanche di aver espressamente informato la Commissione che non contestava i fatti materiali.

306
Alla luce di ciò, si deve necessariamente rilevare che l’argomento della Mannesmann non giustifica l’applicazione del secondo trattino del punto D 2 della comunicazione sulla cooperazione al fine di ridurre l’importo dell’ammenda che le è stata inflitta.

307
Per quanto riguarda l’argomento della Mannesmann secondo cui la sua cooperazione giustifica nondimeno una riduzione dell’importo dell’ammenda a titolo delle circostanze attenuanti, conformemente al punto 3 degli orientamenti, va ricordato, come è stato dichiarato sopra, che la Commissione dispone di un margine di discrezionalità riguardo all’applicazione delle circostanze attenuanti. Orbene, il punto 3, sesto trattino, degli orientamenti per il calcolo delle ammende prevede, ad esempio, come circostanza attenuante la «collaborazione effettiva dell’impresa alla procedura, al di là del campo di applicazione della comunicazione [sulla cooperazione]». Pertanto, in tale sesto trattino si tratta necessariamente, almeno per quanto riguarda le intese orizzontali oggetto della comunicazione citata, di una cooperazione insufficiente per giustificare una riduzione a titolo della comunicazione sulla cooperazione.

308
Tuttavia, va altresì ricordato che, per giustificare la riduzione dell’importo di un’ammenda a titolo della cooperazione, il comportamento di un’impresa deve agevolare il compito della Commissione che consiste nell’accertare e nel reprimere infrazioni alle regole comunitarie della concorrenza (v. supra, punto 296, e giurisprudenza ivi cit.). Alla luce di ciò, va rilevato che l’ipotesi prevista dal punto 3, sesto trattino, degli orientamenti per il calcolo delle ammende costituisce una situazione eccezionale riguardo alle intese orizzontali di cui agli orientamenti, dato che deve trattarsi di una cooperazione «effettiva» che abbia agevolato il compito della Commissione, ma a cui non si applichi la comunicazione sulla cooperazione.

309
Nel caso di specie, la Mannesmann non ha dimostrato che la sua cooperazione abbia effettivamente agevolato il compito della Commissione che consiste nell’accertare e nel reprimere infrazioni (v. supra, punti 297‑306). Pertanto, non vi è alcun motivo di ritenere che la Commissione abbia superato i limiti del suo potere discrezionale per non aver concesso una riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta alla Mannesmann per il fatto che quest’ultima avrebbe cooperato effettivamente nel corso dell’indagine ai sensi del punto 3, sesto trattino, degli orientamenti.

310
Ad ogni modo, la Commissione rileva che la Mannesmann, lungi dall’aver cooperato nell’ambito della sua indagine, si è persino rifiutata di fornire determinate informazioni, e ciò nonostante l’adozione, il 15 maggio 1998, di una decisione ai sensi dell’art. 11, n. 5, del regolamento n. 17 che la obbligava a trasmetterle. Se la Mannesmann ha proposto dinanzi al Tribunale un ricorso diretto all’annullamento di tale decisione, il quale è stato registrato con il numero T‑112/98, essa non ha presentato una domanda di provvedimenti provvisori nell’ambito del detto procedimento, come avrebbe potuto fare ai sensi degli artt. 242 CE e 243 CE. L’iniziativa della Mannesmann diretta a contestare la legittimità della decisione 15 maggio 1998 era, in tutta evidenza, perfettamente legittima e non si può affermare che essa costituisca una mancata cooperazione. Tuttavia, si deve necessariamente rilevare che la Mannesmann non era legittimata a persistere nel rifiutarsi di fornire le informazioni in questione, in mancanza di provvedimenti provvisori che sospendessero l’applicazione della decisione 15 maggio 1998, e che, comportandosi come se fossero stati adottati in suo favore provvedimenti provvisori, mentre non li aveva neanche richiesti, essa non ha adempiuto ai suoi obblighi di diritto comunitario.

311
Occorre inoltre rilevare che se la Mannesmann ha ottenuto l’annullamento parziale di tale decisione in quanto il Tribunale, con la sentenza Mannesmannröhren-Werke/Commissione, cit. supra al punto 8, ha annullato alcuni dei quesiti che erano oggetto della decisione 15 maggio 1998, da tale sentenza si evince che la maggior parte dei dati che la Mannesmann si è rifiutata di fornire era stata richiesta dalla Commissione legittimamente. La citata sentenza del Tribunale è stata oggetto di un ricorso d’impugnazione proposto dinanzi alla Corte dalla Mannesmann, registrato con il numero C‑190/01. Tuttavia, la detta sentenza è stata cancellata dal ruolo della Corte con ordinanza 4 ottobre 2001, Mannesmannröhren-Werke AG/Commissione (non pubblicata nella Raccolta). A tale proposito, dal riferimento contenuto nella detta ordinanza all’art. 69, n. 5, del regolamento di procedura della Corte, in combinato disposto con l’art. 122, terzo comma, del detto regolamento, risulta che la Corte ha considerato, nonostante la menzione di un accordo tra le parti nella domanda iniziale di cancellazione dal ruolo della ricorrente, che quest’ultima ha semplicemente rinunciato all’azione e doveva, pertanto, sopportare le spese relative.

312
Di conseguenza, dalla detta ordinanza risulta che la sentenza Mannesmannröhren-Werke/Commissione, cit. supra al punto 8, è divenuta definitiva. Va pertanto affermato che, a causa del comportamento illecito della Mannesmann, la Commissione non ha mai disposto di un numero rilevante di dati di cui aveva legalmente richiesto la produzione nella fase del procedimento amministrativo. In tali condizioni, non si può ritenere che il comportamento della Mannesmann nella fase del procedimento amministrativo, valutato complessivamente, costituisca un comportamento di cooperazione effettiva nel caso di specie.

313
Alla luce delle considerazioni che precedono, le censure della Mannesmann basate sulla sua pretesa cooperazione nella fase del procedimento amministrativo devono essere respinte.


Sul calcolo dell’ammenda

314
Da quanto precede risulta che l’importo dell’ammenda imposta alla Mannesmann dev’essere ridotto per tener conto del fatto che la durata dell’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata è fissata, nel presente procedimento, a quattro anni e non a cinque anni.

315
Poiché il metodo di calcolo dell’importo delle ammende previsto dagli orientamenti è stato correttamente applicato dalla Commissione, nel caso di specie, il Tribunale dichiara, nell’esercizio della sua competenza anche di merito, che occorre applicare tale metodo anche alla luce della considerazione svolta al punto precedente.

316
Così, l’importo di base dell’ammenda è fissato a EUR 10 000 000, maggiorato del 10% per ogni anno di infrazione, vale a dire del 40% in totale, per una cifra complessiva di EUR 14 000 000. Tale importo deve poi essere ridotto del 10% a motivo delle circostanze attenuanti, ai sensi dei punti 168 e 169 della decisione impugnata, fino a giungere ad un importo definitivo per la Mannesmann di EUR 12 600 000 anziché EUR 13 500 000.


Sulle spese

317
Ai sensi dell’art. 87, n. 3, del regolamento di procedura, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi di conclusioni, il Tribunale può ripartire le spese o decidere che ciascuna parte sopporti le proprie spese. Poiché nel caso di specie ciascuna parte è effettivamente risultata soccombente su uno o più capi di conclusioni, occorre statuire che la ricorrente e la Commissione sopporteranno ciascuna le proprie spese.


Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

dichiara e statuisce:

1)
L’art. 1, n. 2, della decisione della Commissione 8 dicembre 1999, 2003/382/CE, relativa ad un procedimento d’applicazione dell’art. 81 CE (Caso IV/E‑1/35.860‑B – Tubi d’acciaio senza saldatura), è annullato nella parte in cui afferma l’esistenza dell’infrazione contestata da tale disposizione alla ricorrente anteriormente al 1° gennaio 1991.

2)
L’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente all’art. 4 della decisione 2003/382 è fissato a EUR 12 600 000.

3)
Il ricorso, quanto al resto, è respinto.

4)
La ricorrente e la Commissione sopporteranno le proprie spese.

Forwood

Pirrung

Meij

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo l'8 luglio 2004.

Il cancelliere

Il presidente

H. Jung

J. Pirrung

Indice

Fatti e procedimento

    Procedimento amministrativo

    Prodotti in questione

    Infrazioni constatate dalla Commissione nella decisione impugnata

    Fatti salienti constatati dalla Commissione nella decisione impugnata

    Dispositivo della decisione impugnata

    Procedimento dinanzi al Tribunale

Conclusioni delle parti

Sulla domanda di annullamento della decisione impugnata

    Sui motivi vertenti su vizi di procedura

        Sul motivo vertente su una violazione dei diritti della difesa in quanto la Commissione avrebbe impedito alla ricorrente l’accesso a determinati elementi del fascicolo

            – Argomenti delle parti

            – Giudizio del Tribunale

        Sulla pretesa insufficienza del termine di risposta alla CdA

            – Argomenti delle parti

            – Giudizio del Tribunale

        Sull’utilizzazione del documento «Sharing key» quale documento a carico

            – Argomenti delle parti

            – Giudizio del Tribunale

        Sulla pretesa violazione dei diritti della difesa derivante da una discordanza tra la CdA e la decisione impugnata in merito all’infrazione di cui all’art. 2 di quest’ultima

            – Argomenti delle parti

            – Giudizio del Tribunale

    Sull’esistenza della violazione dell’art. 81, n. 1, CE di cui all’art. 1 della decisione impugnata

        Sulla pretesa contraddizione tra l’art. 1 e l’art. 2 della decisione impugnata

            – Argomenti delle parti

            – Giudizio del Tribunale

        Sulle pretese debolezze del ragionamento della Commissione riguardante l’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata

            – Argomenti delle parti

            – Giudizio del Tribunale

    Sull’esistenza della violazione dell’art. 81, n. 1, CE di cui all’art. 2 della decisione impugnata

        Argomenti delle parti

        Giudizio del Tribunale

Sulla domanda di riduzione dell’importo dell’ammenda

    Sulle norme che disciplinano il calcolo dell’ammenda

        Argomenti delle parti

        Giudizio del Tribunale

    Sulla determinazione dell’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente

        Sulla gravità dell’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata

            – Argomenti delle parti

            – Giudizio del Tribunale

        Sulla durata

            – Argomenti delle parti

            – Giudizio del Tribunale

        Sulle pretese circostanze attenuanti

            – Argomenti delle parti

            – Giudizio del Tribunale

        Sulla pretesa cooperazione della Mannesmann

            – Argomenti delle parti

            – Giudizio del Tribunale

Sul calcolo dell’ammenda

Sulle spese



1
Lingua processuale: il tedesco.