Language of document : ECLI:EU:C:2018:287

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

presentate il 26 aprile 2018 (1)

Causa C17/17

Grenville Hampshire

contro

The Board of the Pension Protection Fund

Interveniente:

Secretary of State for Work and Pensions

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Court of Appeal (Corte d’appello, Regno Unito)]

«Rinvio pregiudiziale – Tutela dei lavoratori in caso di insolvenza del loro datore di lavoro – Articolo 8 della direttiva 2008/94/CE – Tutela dei diritti maturati e in corso di maturazione dei lavoratori in materia di prestazioni di vecchiaia – Regime complementare di previdenza aziendale – Garanzia minima – Applicabilità diretta»






I.      Introduzione

1.        La domanda di pronuncia pregiudiziale qui in esame, in materia di politica sociale, verte sulla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del loro datore di lavoro. Essa riguarda, in concreto, la sorte, in caso di insolvenza, dei diritti risultanti da un regime di previdenza aziendale istituito dal datore di lavoro. Tali diritti vengono contemplati dall’articolo 8 della direttiva 2008/94/CE (2), il quale obbliga gli Stati membri, in caso di insolvenza del datore di lavoro, ad adottare misure necessarie per tutelare gli interessi dei lavoratori per quanto riguarda i loro diritti alle prestazioni di vecchiaia. Tale funzione di tutela è già stata concretizzata dalla Corte nelle sentenze Robins e Hogan nel senso che i lavoratori, in caso di insolvenza del loro datore di lavoro, devono continuare a percepire quantomeno il 50% dei loro diritti a prestazioni di vecchiaia (3).

2.        Nel presente procedimento l’attenzione viene nuovamente focalizzata sull’attuazione della direttiva nel Regno Unito, la quale prevede un massimale assoluto delle indennità spettanti ai lavoratori in caso di insolvenza del loro datore di lavoro. La normativa nazionale controversa interessa soprattutto quei lavoratori le cui spettanze risultanti dal regime complementare di previdenza aziendale siano già relativamente elevate. Nel caso del ricorrente nel procedimento principale, il sig. Hampshire, tale normativa comporta una perdita pari ad oltre il 67% della pensione di vecchiaia al medesimo spettante.

3.        In tale contesto, sorge la questione della portata e dell’attuazione pratica della garanzia minima dei diritti a pensione maturati, elaborata dalla Corte.

4.        Si pone inoltre la questione della possibilità di un’applicabilità diretta dell’articolo 8 della direttiva nel procedimento in esame. È pur vero che, stando al suo testo, tale disposizione è formulata in termini relativamente ampi; tuttavia, essa è già stata ampiamente concretizzata dalla giurisprudenza della Corte.

II.    Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

5.        Il contesto normativo in cui si colloca il caso in esame è rappresentato dalle disposizioni della direttiva 2008/94 relativa alla tutela dei lavoratori subordinati in caso d’insolvenza del datore di lavoro (in prosieguo anche: la «direttiva»). Detta direttiva è espressamente volta, ai sensi del suo terzo considerando, alla tutela dei lavoratori subordinati in caso d’insolvenza del loro datore di lavoro, in particolare con riguardo alla corresponsione di spettanze non versate.

6.        L’articolo 8 della direttiva cosi recita:

«Gli Stati membri si accertano che vengano adottate le misure necessarie per tutelare gli interessi dei lavoratori subordinati e quelli delle persone che hanno già lasciato l’impresa o lo stabilimento del datore di lavoro alla data dell’insorgere della insolvenza di quest’ultimo, per quanto riguarda i diritti maturati o i diritti in corso di maturazione, in materia di prestazioni di vecchiaia, comprese quelle per i superstiti, previste dai regimi complementari di previdenza, professionali o interprofessionali, diversi dai regimi legali nazionali di sicurezza sociale».

7.        Occorre inoltre richiamare il successivo articolo 12, lettera a),, il quale prevede la seguente disciplina:

«La presente direttiva non pregiudica la facoltà degli Stati membri:

a)      di adottare le misure necessarie per evitare abusi;

b)      (…)».

B.      Normativa nazionale

8.        La direttiva 2008/94, nella parte riguardante la tutela dei diritti dei lavoratori subordinati in materia di prestazioni di vecchiaia, è stata attuata nel Regno Unito, sostanzialmente, con il Pensions Act 2004 (legge sulle pensioni del 2004).

9.        La legge sulle pensioni del 2004 istituisce un fondo, imposto ex lege, di garanzia delle pensioni, il Pension Protection Fund (in prosieguo: il «PPF»). In caso di insolvenza di un datore di lavoro, tale fondo, a determinate condizioni, garantisce i diritti dei lavoratori risultanti dal regime complementare di previdenza aziendale. Ai fini del relativo finanziamento, esso impone un prelievo su tutti i regimi complementari di previdenza aziendali riconosciuti. Inoltre, in caso di surrogazione in un regime previdenziale, esso ne rileva l’attivo residuo. Il PPF è gestito dal Board of the Pension Protection Fund (in prosieguo: il «Board»).

10.      A termini della Section 127, paragrafo 2, della legge sulle pensioni del 2004, una delle condizioni per la surrogazione in un regime previdenziale da parte del PPF è che il valore dell’attivo del regime medesimo sia inferiore, al momento del sorgere dell’insolvenza, all’importo delle passività garantite.

11.      Per «passività garantite» ai sensi di tale disposizione non si intendono, tuttavia, i diritti alla pensione pieni di tutti i lavoratori del regime complementare di previdenza aziendale, bensì unicamente le indennità risultanti a favore dei medesimi dalla legge sulle pensioni del 2004 (c.d. indennità garantite dal PPF). Il quantum delle relative indennità, garantite dal PPF, da versare viene stabilito dal Board a seguito del sorgere dell’insolvenza, durante un cosiddetto periodo di accertamento.

12.      Per i lavoratori che, al momento dell’insolvenza del datore di lavoro, abbiano già raggiunto la normale età pensionabile prevista dal rispettivo regime previdenziale, la Section 162 della legge sulle pensioni del 2004 non prevede una riduzione delle loro spettanze. Per contro, i lavoratori che, al momento dell’insolvenza, non abbiano ancora raggiunto la normale età pensionabile, hanno unicamente diritto al 90% del valore dei diritti maturati. Inoltre, le loro spettanze sono soggette al massimale controverso nella specie ai sensi dell’allegato 7, paragrafo 26, della legge sulle pensioni del 2004.

13.      L’importo del massimale annualmente applicabile ai lavoratori di una determinata fascia di età viene stabilito dal PPF. È pur vero che esso viene aumentato annualmente in misura corrispondente alla progressione generale delle retribuzioni. Tuttavia, un beneficiario al quale si applichi il plafond riceve ad vitam l’importo fissato per l’anno di prima corresponsione delle prestazioni da parte del PPF.

14.      Inoltre, l’allegato 7, paragrafo 28, della legge sulle pensioni del 2004, prevede una rivalutazione monetaria con un limite massimo del 2,5% annuo per i tassi fissati una tantum; un adeguamento del tasso in base a tale disposizione non è tuttavia previsto per le indennità percepite in forza di attività lavorativa anteriore al 6 aprile 1997.

15.      Il PPF, nel caso in cui, in esito al proprio accertamento e alla determinazione delle passività garantite, pervenga alla conclusione che, all’epoca dei fatti, nel regime complementare di previdenza aziendale fossero presenti attivi sufficienti a corrispondere ai lavoratori prestazioni pari perlomeno all’importo delle indennità garantite dal PPF, dichiara, ai sensi della Section 154 della legge sulle pensioni del 2004 che non sussiste la necessità di procedere alla surrogazione nel regime medesimo da parte del PPF.

16.      In un caso del genere, il regime complementare di previdenza aziendale viene liquidato al di fuori del PPF. Il rispettivo regime previdenziale complementare è dunque obbligato a garantire ai lavoratori le indennità garantite dal PPF attingendo ai mezzi residui. Ai sensi della Section 154, paragrafo 7, della legge sulle pensioni del 2004, il regime complementare di previdenza aziendale è, in tal caso, soggetto alle istruzioni del PPF.

17.      L’accertamento eseguito dal PPF, non appena ultimato, diviene – salvo impugnazione – vincolante ai sensi della Section 145 della legge sulle pensioni del 2004.

III. Fatti, procedimento principale e domanda di pronuncia pregiudiziale

18.      Il sig. Grenville Hampshire, ricorrente nel procedimento principale, lavorava dal 1971 fino al 1998 per la Turner & Newall plc (in prosieguo: la «T&N»). Per l’intero periodo di attività lavorativa, egli era iscritto al regime complementare di previdenza aziendale della T&N. Nel 1998, all’età di 51 anni, veniva collocato a riposo; in base al calcolo effettuato dall’amministratore del regime previdenziale della T&N, i suoi diritti a pensione erano pari a GBP 48 781,80 lorde annue, oltre ad un incremento annuo ad un tasso minimo del 3%. A seguito dell’acquisizione da parte dell’impresa americana Federal Mogul, nel 2001, la T&N, divenuta Federal Mogul, dichiarava negli Stati Uniti lo stato di insolvenza. Successivamente, il 10 luglio 2006, il PPF avviava nel Regno Unito l’accertamento relativo alla rilevazione del regime complementare di previdenza aziendale.

19.      Al termine dell’accertamento, il 19 settembre 2011, il PFF perveniva alla conclusione che alla data del 10 luglio 2006 sussistessero, nel regime previdenziale della T&N, risorse sufficienti per garantire ad vitam ai restanti lavoratori quantomeno le indennità garantite dal PPF. L’importo delle indennità garantite dal PPF veniva infine fissato, per il sig. Hampshire, a GPB 19 819 lorde annue, in quanto, nel 2006, egli non aveva ancora raggiunto la normale età pensionabile prevista dal regime previdenziale della T&N ed al medesimo era pertanto applicabile la disciplina del plafond.

20.      A ciò va aggiunge che, in relazione a tale importo, non è prevista rivalutazione monetaria, in quanto l’attività lavorativa svolta dal sig. Hampshire si collocava per la maggior parte anteriormente al 6 aprile 1997. Rispetto alle spettanze, pari a GPB 60 240 annue, che il sig. Hampshire avrebbe maturato nel 2006 se il suo datore di lavoro non fosse stato insolvente, siamo in presenza di una riduzione del 67%, percentuale destinata ad aumentare.

21.      Per questo motivo, il sig. Hampshire e altri 15 ex dipendenti della T&N interessati da riduzioni di analoga entità chiedevano, in un primo momento l’avvio della procedura di controllo dell’accertamento compiuto dal PPF prevista dalla legge sulle pensioni del 2004, e, successivamente, impugnavano la decisione che confermava l’accertamento, fondandosi sull’articolo 8 della direttiva 2008/94.

22.      Il PPF ritiene, tuttavia, che dalla giurisprudenza elaborata dalla Corte in relazione all’articolo 8 della direttiva, risulti unicamente l’obbligo, a carico degli Stati membri, di istituire sistemi di tutela che garantiscano mediamente alla totalità dei lavoratori di un regime complementare di previdenza aziendale indennità pari ad almeno il 50% del valore dei diritti maturati e non, per contro, a ciascun singolo lavoratore.

23.      Il procedimento è attualmente pendente dinanzi alla Court of Appeal (Regno Unito), la quale, con decisione del 26 luglio 2016, pervenuta alla Corte in data 16 gennaio 2017, ha sospeso il procedimento sottoponendo alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali ai sensi dell’articolo 267 TFUE:

1)      Se l’articolo 8 della direttiva 80/987/CEE (ora sostituito dall’articolo 8 della direttiva 2008/94/CE) imponga agli Stati membri di garantire che ogni singolo lavoratore percepisca quantomeno il 50% del valore dei diritti a prestazioni di vecchiaia maturati nel caso di insolvenza del datore di lavoro (con la sola eccezione dei casi di abuso, cui si applica l’articolo 10, lettera a, della direttiva medesima).

2)      In via subordinata, sulla base di quanto accertato dai giudici nazionali in relazione ai fatti di cui trattasi, se sia sufficiente, ai sensi dell’articolo 8 della direttiva 80/987, che uno Stato membro disponga di un sistema di tutela per effetto del quale i lavoratori percepiscano mediamente oltre il 50% del valore dei diritti a prestazioni di vecchiaia maturati, laddove, tuttavia, taluni lavoratori percepiscano meno del 50% a causa di:

a)      un plafond finanziario sull’importo delle indennità spettanti ai lavoratori (in particolare, ai lavoratori che non abbiano raggiunto l’età normale di pensionamento prevista dal rispettivo regime di previdenza al momento dell’insolvenza del datore di lavoro); e/o

b)      una disciplina che limiti gli adeguamenti annuali delle indennità spettanti ai lavoratori ovvero la rivalutazione annua delle loro spettanze anteriormente all’età di pensionamento.

3)      Se l’articolo 8 della direttiva 80/987 abbia effetto diretto nelle circostanze fattispecie in esame.

24.      Hanno presentato osservazioni nel procedimento dinanzi alla Corte il sig. Hampshire, il PPF, il Regno Unito, l’Irlanda, nonché la Commissione europea. Le stesse parti sono comparse all’udienza dell’8 marzo 2018.

IV.    Analisi

25.      Il giudice del rinvio interpella la Corte in merito all’interpretazione dell’«articolo 8 della direttiva 80/987 (ora sostituito dall’articolo 8 della direttiva 2008/94)». Il testo della disposizione non è stato modificato nell’ambito della rifusione della direttiva. Poiché la controversia nel procedimento principale verte sulla decisione del PPF del 19 settembre 2011, nel prosieguo mi fonderò unicamente sulle disposizioni della direttiva 2008/94.

A.      Sulla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale

26.      Occorre esaminare, in limine, l’eccezione sollevata dal Regno Unito, secondo la quale la domanda di pronuncia pregiudiziale sarebbe irricevibile, in quanto le questioni ivi sollevate avrebbero natura meramente ipotetica.

27.      Ciò risulterebbe, da un lato, dalla circostanza che non sarebbe in ogni caso la surrogazione da parte del PPF, poiché anche nel caso di una valutazione più elevata delle passività garantite, sussisterebbero attivi sufficienti nel regime previdenziale della T&N.

28.      Dall’altro, il sig. Hampshire, in assenza di applicabilità diretta dell’articolo 8 della direttiva, potrebbe insistere nella propria richiesta soltanto facendo valere la responsabilità dello Stato. Un’azione di tal genere risulterebbe, tuttavia, a priori priva di possibilità di successo, in quanto la Corte avrebbe dichiarato, nella sentenza Hogan, che una violazione qualificata dell’articolo 8 della direttiva può ritenersi sussistente solo successivamente al 25 gennaio 2007 (4); nel caso di specie, tuttavia, l’insolvenza del datore di lavoro risalirebbe già al 2006.

29.      Occorre anzitutto sottolineare che, secondo la giurisprudenza costante della Corte, spetta esclusivamente al giudice nazionale valutare, alla luce delle particolari circostanze della causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale ai fini della pronuncia della propria decisione, sia la rilevanza delle questioni sottoposte alla Corte. Un’eccezione ricorre, peraltro, qualora risulti manifestamente che l’interpretazione del diritto dell’Unione non presenti alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto della causa principale (5).

30.      Nella specie occorrerà, tuttavia, in ogni caso chiarire, nell’ambito del procedimento principale, la questione se la determinazione delle passività garantite ai sensi delle disposizioni della legge sulle pensioni del 2004 soddisfi i requisiti dell’articolo 8 della direttiva 2008/94. In caso contrario, infatti, il PPF dovrebbe procedere ad un nuovo accertamento delle passività garantite. È pertanto pacifico che le questioni pregiudiziali vertano sulla controversia concreta nel procedimento principale e che siano rilevanti ai fini della decisione della controversia.

31.      Del resto, la domanda di pronuncia pregiudiziale verte appunto sulla questione se, in presenza delle condizioni del procedimento principale, l’articolo 8 della direttiva esplichi effetti diretti ovvero se possa ipotizzarsi unicamente una responsabilità dello Stato (6). Non è affatto evidente che l’articolo 8 della direttiva sia privo di efficacia diretta.

32.      Ne consegue che la domanda di pronuncia pregiudiziale è ricevibile.

B.      Sulle prime due questioni pregiudiziali

33.      Con la prima questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 8 della direttiva 2008/94, alla luce delle sentenze della Corte nelle cause Robins (7) e Hogan (8), debba essere interpretato nel senso che gli Stati membri debbano prevedere sistemi di tutela che garantiscano a ciascun singolo lavoratore, in caso di insolvenza del proprio datore di lavoro, di percepire quantomeno il 50% del valore dei diritti a prestazioni di vecchiaia maturati.

34.      In via alternativa, il giudice del rinvio chiede, con la seconda questione pregiudiziale, se possa considerarsi conforme alla direttiva anche un sistema nazionale per effetto del quale, nel singolo caso concreto a) in conseguenza dell’istituzione di massimali ovvero b) a causa del mancato adeguamento annuale dei relativi importi, un lavoratore percepisca indennità compensative inferiori al 50% del valore dei diritti maturati. Nell’ipotesi sub b), il livello delle indennità potrebbe pertanto scendere solo col tempo, per effetto del mancato adeguamento, al di sotto del 50% del livello dei diritti maturati.

35.      Ai fini della soluzione della questione 2 b) occorre pertanto chiarire quale sia il valore tutelato dall’articolo 8 della direttiva, segnatamente se esso coincida con l’importo che il lavoratore potesse rivendicare al momento dell’insolvenza del datore di lavoro oppure con il valore totale dei diritti a prestazioni di vecchiaia maturati.

36.      Poiché tanto la prima quanto la seconda questione vertono sull’esegesi dell’articolo 8 della direttiva con riferimento al livello di tutela, nonché sull’interpretazione della giurisprudenza sino ad ora formatasi in merito a tale disposizione, le due questioni devono essere esaminate congiuntamente.

37.      Al riguardo occorre verificare, in un primo momento, se l’articolo 8 della direttiva istituisca una garanzia individuale per ciascun singolo lavoratore – invece di un mero livello di tutela medio per la totalità dei lavoratori – (al riguardo sub 1.), mentre, in un secondo momento, dovrà essere esaminata la questione del valore cui tale garanzia minima deve eventualmente far riferimento (al riguardo sub 2.). Da ultimo, affronterò gli argomenti dedotti dal Regno Unito a favore della limitazione del livello di tutela nel caso di specie (al riguardo sub 3.).

1.      Questione se l’articolo 8 della direttiva istituisca una garanzia minima individuale per ciascun lavoratore (questioni 1 e 2 a)

38.      Ai sensi dell’articolo 8 della direttiva 2008/94, gli Stati membri si accertano «che vengano adottate le misure necessarie per tutelare gli interessi dei lavoratori subordinati (…) per quanto riguarda i diritti maturati o i diritti in corso di maturazione, in materia di prestazioni di vecchiaia (…)».

39.      La questione del livello di tutela che gli Stati membri devono garantire in concreto alla luce di tale disposizione è stata già risolta dalla Corte nelle sentenze nelle cause Robins e Hogan (9). Al riguardo, nella causa Robins, è stato dichiarato che, nel caso di un abbassamento del livello della prestazione, «in talune situazioni (…) al 20 o al 49% dei diritti che un lavoratore subordinato poteva far valere, vale a dire a meno della metà degli stessi», non si può più parlare di una «tutela degli interessi dei lavoratori subordinati» nel senso della summenzionata disposizione (10). Tale interpretazione è stata successivamente confermata dalla Corte nelle cause Hogan e Webb-Sämann (11).

40.      Tale affermazione della Corte, relativa al livello della tutela prevista dall’articolo 8 della direttiva, dev’essere intesa quale garanzia minima individuale per ciascun lavoratore subordinato.

41.      Ciò consegue, da un lato, già dalla formulazione scelta dalla Corte: essa ha dichiarato che la «tutela degli interessi dei lavoratori subordinati», ai sensi dell’articolo 8 della direttiva, non è più garantita già qualora, in talune situazioni (12) venga compensata meno della metà del valore dei diritti maturati. Ciò evidenzia come già un abbassamento del livello di tutela imposto sia sufficiente, in un singolo caso concreto, a realizzare una violazione della direttiva.

42.      Pertanto, ai fini dell’accertamento di una violazione qualificata dell’articolo 8 della direttiva nella causa Hogan era sufficiente che ai dieci lavoratori ivi nominati venisse corrisposto, per effetto del regime applicabile in Irlanda, a seguito dell’insolvenza del loro ex datore di lavoro, meno del 50% del valore dei rispettivi diritti a pensione individuali (13). Ne consegue che è sufficiente che solamente un numero ridotto di beneficiari delle prestazioni – come ad es., nel procedimento principale, dallo 0,1% allo 0,2% circa dei dipendenti della T&N – sia interessato da riduzioni superiori al 50%.

43.      Dall’altro, la Corte ha sottolineato, con costante giurisprudenza, la finalità della direttiva, consistente nel garantire a tutti i lavoratori dipendenti un livello minimo di tutela (14). Tale obiettivo viene tuttavia conseguito in maniera efficace solo qualora il livello minimo valga per ciascun singolo lavoratore e quest’ultimo possa invocarlo. Per contro, secondo la tesi, dedotta dal Regno Unito, di una mera garanzia del percepimento «di regola» del 50% dei diritti a pensione, risulterebbe parimenti che, in un singolo caso concreto la tutela venga meno completamente. Il concetto di armonizzazione minima sotteso alla direttiva vieta, tuttavia, la violazione del livello di tutela imposto dalla direttiva (15). Di conseguenza, l’esclusione di singoli lavoratori da tale standard minimo è inammissibile.

44.      Del resto, anche dai lavori preparatori relativi all’attuale articolo 8 della direttiva, si evince che, con tale disposizione, il legislatore dell’Unione ha inteso impedire che si possano verificare situazioni particolarmente gravose (16). Il fatto che essa debba tenere conto proprio delle peculiarità del singolo caso concreto risponde alla ratio della disciplina dei casi particolarmente gravosi.

45.      Considerazioni analoghe possono essere tratte peraltro già dalle fattispecie oggetto delle sentenze Robins e Hogan: entrambi i procedimenti vertevano parimenti sulla questione della responsabilità del Regno Unito ovvero dell’Irlanda per il risarcimento dei danni arrecati dall’erronea attuazione della direttiva. Un’azione del genere presuppone necessariamente l’esistenza di una norma giuridica che fondi diritti soggettivi del singolo (17). La Corte ha ritenuto al riguardo, in sostanza, che la responsabilità dello Stato membro fosse subordinata unicamente all’accertamento di una violazione qualificata dell’obbligo di attuazione (18), e che tutti gli altri presupposti, ossia in particolare il conferimento di diritti soggettivi da parte dell’articolo 8 della direttiva, fossero pertanto soddisfatti.

46.      Ciò premesso, anche nel presente contesto occorre muovere dal presupposto che l’articolo 8 della direttiva conferisce ai lavoratori di cui trattasi il diritto individuale a che venga garantito quantomeno il 50% dei diritti maturati alla pensione di vecchiaia. Poiché la prima questione dev’essere pertanto risolta affermativamente, alla seconda questione, lettera a) dev’essere corrispondentemente data risposta negativa.

47.      Infine, va ancora osservato che la garanzia minima prevista dall’articolo 8 della direttiva dev’essere naturalmente applicata in qualsiasi fase del procedimento, in particolare anche nel corso del periodo di accertamento di cui alla legge sulle pensioni del 2004 (19).

2.      Questione se l’articolo 8 della direttiva tuteli anche la progressione dei diritti a pensione prevista (questione 2 b)

48.      Si pone inoltre la questione se la garanzia minima ai sensi dell’articolo 8 della direttiva 2008/94 si riferisca unicamente al quantum dei diritti al momento dell’insolvenza del datore di lavoro ovvero includa la prevista progressione del livello delle prestazioni nell’arco dell’intera durata della pensione.

49.      La giurisprudenza ha già avuto modo di chiarire, al riguardo, che l’articolo 8 della direttiva è volto a tutelare la totalità dei diritti pensionistici maturati con il pagamento dei contributi. In tal senso, la Corte ha dichiarato, nella causa Webb‑Sämann, che l’articolo 8 – a differenza, ad esempio, dall’articolo 3 della direttiva – «è volto a garantire una tutela degli interessi a lungo termine dei lavoratori subordinati, dato che simili interessi, per quanto riguarda i diritti maturati o in corso di maturazione, si estendono in linea di principio su tutta la durata della pensione» (20).

50.      Ciò si evince parimenti dai lavori preparatori del progetto di direttiva, ai sensi dei quali l’articolo 8 della direttiva deve provvedere a che venga garantita l’assistenza alla quale i lavoratori hanno acquisito il diritto «con il loro pluriennale lavoro nell’azienda» (21). Di conseguenza, la Corte, con costante giurisprudenza, ha considerato i diritti a pensione dei lavoratori risultanti da un regime complementare di previdenza aziendale quale forma di «retribuzione differita» (22).

51.      Qualora, tuttavia, ai fini della determinazione della tutela minima, non si tenga conto della prevista progressione dei diritti a pensione, i contributi precedentemente versati non risulteranno sufficientemente considerati. L’adeguamento annuale previsto costituisce, infatti, è incluso nella base di calcolo dei contributi.

52.      Di conseguenza, anche i sistemi di garanzia degli Stati membri ai sensi dell’articolo 8 della direttiva 2008/94 devono garantire la progressione dei diritti maturati nel senso che l’importo garantito non può scendere, neanche con il decorso degli anni, al di sotto del 50% del valore maturato originariamente per un determinato anno pensionistico.

53.      La seconda questione pregiudiziale dev’essere pertanto risolta in toto in senso negativo.

3.      Questione della possibilità di limitare la tutela alla luce delle circostanze del procedimento principale

54.      Resta pertanto da verificare se un livello di tutela individuale inferiore possa essere giustificato, nel caso di specie, per altri motivi.

55.      Quale primo motivo, il Regno Unito deduce che il sig. Hampshire disporrebbe comunque già, rispetto ad altri lavoratori, di un livello di pensione particolarmente elevato, e che una compensazione integrale di tali diritti non risulterebbe socialmente accettabile.

56.      Come già precisato dalla Corte, non sussiste, nell’ambito dell’articolo 8 della direttiva, alcun obbligo di garanzia integrale della perdita di diritti (23). L’imposizione di un massimale ai diritti non è pertanto esclusa a priori. Piuttosto, in sede di attuazione della direttiva, gli Stati membri possono e devono prendere in considerazione i requisiti della necessità di uno sviluppo economico-sociale equilibrato (24).

57.      È pertanto possibile – come previsto, in linea di principio, anche dalla normativa nazionale controversa –, configurare diversamente il livello dell’indennità in funzione della portata totale dei diritti, gravando in misura maggiore i beneficiari che abbiano percepito in passato redditi più elevati e che siano pertanto titolari di diritti corrispondentemente più elevati. Una perequazione sociale può essere conseguita rimborsando a tali beneficiari soltanto il 50% del valore dei loro diritti (25). Negare in larga misura a singoli individui la tutela predisposta della direttiva non può tuttavia costituire una perequazione adeguata.

58.      Da un lato, ciò emerge dalla finalità della direttiva, consistente nell’onorare gli obblighi risultanti dai contributi versati nel corso della vita lavorativa, e tiene conto della circostanza che i diritti risultanti dal regime di previdenza aziendale costituiscono una «retribuzione differita» (26). Dall’altro, il PPF viene finanziato non da introiti fiscali, bensì dai contributi dei regimi complementari di previdenza aziendali e dalla rilevazione dei loro attivi. All’udienza è stato inoltre precisato che tali contributi devono essere oggetto di un calcolo basato sul rischio, cosicché i regimi previdenziali caratterizzati da passività elevate devono versare contributi corrispondentemente elevati al PPF.

59.      Ciò premesso, la previsione, da parte del diritto dell’Unione, di una garanzia minima del 50% per tutti i lavoratori sembra costituire una perequazione adeguata sotto il profilo sociale. Del resto, nel procedimento principale, solo pochi lavoratori sono interessati dall’applicazione di un massimale alle loro spettanze. Pertanto, anche i possibili effetti finanziari sono secondari rispetto ai costi globali del sistema.

60.      Quale secondo motivo per l’applicazione di un plafond dei diritti, il governo del Regno Unito si richiama alla lotta al cosiddetto moral hazard, ossia il rischio di un comportamento consapevolmente lesivo dei dipendenti a livello dirigenziale. I dirigenti, sapendo che i loro diritti a pensione sono garantiti dallo Stato anche in caso di insolvenza dell’impresa, non devono essere indotti ad adottare decisioni rischiose, le quali, in determinate circostanze, conducano all’insolvenza dell’impresa.

61.      È pur vero che, secondo costante giurisprudenza della Corte, nessuno può avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme del diritto dell’Unione (27). In applicazione di tale principio generale (28), l’articolo 10 della direttiva 80/987, ora sostituito dall’articolo 12, lettera a), della direttiva 2008/94, riconosce espressamente il diritto degli Stati membri di adottare le misure necessarie per evitare abusi.

62.      Il Regno Unito non fa tuttavia affatto valere di essersi avvalso, con l’adozione della disciplina del plafond, dell’autorizzazione prevista dall’articolo 10 della direttiva 80/987, ora sostituito dall’articolo 12 della direttiva 2008/94. Di conseguenza, l’applicabilità della normativa nazionale non presuppone nemmeno l’accertamento, da parte dei giudici degli Stati membri, di un comportamento abusivo del beneficiario della prestazione (29). Oltre all’autorizzazione espressa alla repressione degli abusi concreti prevista nella direttiva, non vi è tuttavia spazio per altre misure degli Stati membri caratterizzate unicamente da analoga finalità.

63.      In ogni caso, la disciplina dettata dalla legge sulle pensioni del 2004 eccede quanto necessario a combattere un moral hazard (30).

64.      Da un lato, pare azzardata già la premessa, secondo la quale un dirigente che abbia lasciato anticipatamente il proprio posto e che sia titolare di diritti a pensione corrispondentemente elevati, sia con tutta probabilità direttamente responsabile dell’insolvenza dell’impresa. Dall’altro, i dirigenti che abbiano già raggiunto l’età pensionabile regolare non vengono affatto interessati dal massimale, neanche qualora essi fossero eventualmente coinvolti in decisioni imprenditoriali rischiose e che abbiano contribuito a causare l’insolvenza del datore di lavoro. Pertanto, la normativa nazionale non persegue, quantomeno non in modo coerente e sistematico, l’obiettivo invocato dal governo del Regno Unito (31). È evidente, infatti, che l’età non costituisce un criterio idoneo al quale possa essere ricondotto un rischio di abuso.

65.      In sintesi, la normativa nazionale stabilisce nei confronti dei dirigenti che non abbiano ancora raggiunto l’età pensionabile una sorta di sospetto generale, il quale contrasta con la concezione fondamentale della repressione dagli abusi. Secondo la giurisprudenza, una presunzione generale di abuso è infatti inammissibile (32).

4.      Conclusione intermedia

66.      Si deve pertanto rispondere alle prime due questioni dichiarando che l’articolo 8 della direttiva 2008/94 dev’essere interpretato nel senso che ciascun singolo lavoratore – fatti salvi i casi concreti di abuso ai sensi dell’articolo 12, lettera a), di tale direttiva – può rivendicare, in caso di insolvenza del proprio datore di lavoro, indennità pari ad almeno al 50% del valore totale dei diritti maturati o in corso di maturazione a prestazioni di vecchiaia.

C.      Sulla terza questione pregiudiziale

67.      La terza questione pregiudiziale verte sull’applicabilità diretta dell’articolo 8 della direttiva 2008/94 nel procedimento principale.

68.      Secondo costante giurisprudenza, i giudici nazionali devono assicurare ai singoli la tutela giurisdizionale derivante dalle disposizioni del diritto dell’Unione e garantirne la piena efficacia (33). Qualora disposizioni di tal genere siano contenute in una direttiva, i giudici degli Stati membri sono inoltre tenuti, nell’applicare il diritto nazionale, ad interpretarlo, per quanto possibile, alla luce del testo e della finalità di tale direttiva per giungere a una soluzione conforme all’obiettivo perseguito da quest’ultima e rispettare in tal modo l’articolo 288, terzo comma, TFUE (34).

69.      Qualora, secondo il giudice nazionale, un’interpretazione conforme alla direttiva non sia possibile, la disposizione di una direttiva può essere applicata anche direttamente. Ciò vale nel caso di mancata trasposizione nei termini oppure di trasposizione non corretta per tutte le disposizioni di una direttiva, le quali appaiano, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise (al riguardo sub 1.), sempreché esse debbano essere fatte valere nei confronti dello Stato (al riguardo sub 2.) (35).

1.      Carattere incondizionato e sufficientemente preciso dal punto di vista sostanziale della disposizione

70.      Nella causa Francovich, la Corte ha specificato i requisiti che consentono di ritenere una disposizione incondizionata e sufficientemente precisa dal punto di vista sostanziale. Tre aspetti sono al riguardo rilevanti: in primo luogo, il beneficiario; in secondo luogo, il contenuto del diritto e, in terzo luogo, il suo destinatario, vale a dire l’identità del soggetto cui incombe l’azione o l’obbligo (36). Diversamente rispetto alla causa Francovich, questi tre criteri necessari ad un’applicazione diretta sono tutti soddisfatti nel caso di specie, fermo restando che il destinatario risulta chiaramente dalla normativa nazionale di attuazione (37).

–       Beneficiari

71.      Dal testo dell’articolo 8 della direttiva 2008/94 risulta univocamente che devono essere tutelati i lavoratori interessati dallo stato di insolvenza del loro datore di lavoro. La Corte ha già avuto modo di precisare che la categoria dei beneficiari della garanzia prevista da tale direttiva dev’essere indicata nel modo preciso e incondizionato richiesto dalla giurisprudenza ai fini di un’applicazione diretta della disposizione (38).

–       Contenuto del diritto

72.      È ben vero che, limitandosi a considerare il dettato dell’articolo 8 della direttiva, il contenuto concreto del diritto che dev’essere conferito ai lavoratori è poco chiaro (39).

73.      Tuttavia, già nella causa Francovich, la Corte ha precisato che la facoltà di scegliere tra una molteplicità di mezzi non esclude di per sé che le disposizioni di cui trattasi della direttiva possano essere applicate direttamente (40). Piuttosto, è sufficiente che sia possibile determinare una garanzia minima sulla base della rispettiva disposizione (41). In tal senso, la Corte ha dichiarato, nella causa Webb‑Sämann, che gli Stati membri, anche se godono di un ampio potere discrezionale nell’attuazione dell’articolo 8 della direttiva 2008/94, sono nondimeno tenuti a garantire ai lavoratori subordinati il minimo di tutela richiesto da tale disposizione (42).

74.      Il contenuto esatto di tale garanzia minima si evince pacificamente dalla giurisprudenza emessa dalla Corte relativa a tale disposizione (43). La giurisprudenza ha chiarito e precisato al riguardo al significato e la portata di detta disposizione, nel senso in cui deve o avrebbe dovuto essere intesa e applicata sin dal momento della sua entrata in vigore (44).

75.      Il requisito del carattere preciso e incondizionato, dal punto di vista sostanziale, di una disposizione di cui si intenda far valere l’efficacia diretta, è inteso a garantire un diritto di cui ci si possa avvalere nella pratica. In tal senso, la Corte ha sottolineato, con costante giurisprudenza, che una disposizione dev’essere sufficientemente precisa per poter essere invocata da un singolo ed applicata da un giudice (45). Ai fini di tale valutazione è pertanto determinante se il contenuto esatto sia desumibile in maniera inequivocabile per l’operatore del diritto, segnatamente dalla disposizione stessa, dal suo contesto e dalla sua genesi (46), nonché con l’ausilio della giurisprudenza elaborata in relazione alla medesima (47).

76.      I responsabili presso il PPF ben dovevano sapere, quantomeno successivamente alla pronuncia della sentenza nella causa Robins, il 25 gennaio 2007, che essi non potevano applicare una base di calcolo in forza della quale, per determinati lavoratori, risultavano indennità di valore inferiore al 50% dei diritti maturati (48), laddove, per contro, applicando direttamente l’articolo 8 della direttiva, l’indennità compensativa non avrebbe dovuto risultare inferiore al 50% dei diritti a pensione maturati.

77.      Il contenuto dell’obbligo risultante dall’articolo 8 della direttiva 2008/94 doveva pertanto essere considerato incondizionato e sufficientemente preciso al 19 settembre 2011, data della controversa decisione di accertamento del PPF (49).

–       Destinatario dell’obbligo

78.      Per quanto riguarda il destinatario dell’obbligo, la Corte ha precisato che gli Stati membri dispongono, nell’ambito dell’articolo 8 della direttiva, di un ampio potere discrezionale per quanto riguarda la realizzazione della tutela. In tal senso, la tutela può essere garantita, ad esempio, attraverso un finanziamento diretto da parte delle autorità pubbliche, un obbligo di assicurazione a carico dei datori di lavoro oppure l’istituzione di un organismo di garanzia (50).

79.      Peraltro, nella causa Gharehveran, la Corte ha dichiarato, sempre in relazione alla questione della determinatezza del destinatario, che i singoli devono poter far valere la direttiva, una volta che lo Stato membro abbia completamente utilizzato tale potere discrezionale (51). Di conseguenza, lo Stato membro deve attenersi ad una decisione adottata nell’ambito dell’attuazione della direttiva, qualora essa costituisca l’esercizio del potere discrezionale spettante allo Stato membro (52).

80.      Nella causa Francovich, la Corte non ha considerato l’articolo 3 della direttiva 80/987 direttamente applicabile con riferimento alla determinatezza del destinatario solo in quanto tale direttiva non era stata trasposta affatto nello Stato membro interessato. In tale occasione, la Corte ha deciso che la Repubblica italiana non poteva essere considerata essa stessa il soggetto sul quale incombeva l’obbligo di cui trattasi per il solo fatto che essa non aveva recepito la direttiva (53).

81.      Questo caso è, tuttavia, differente. Il Regno Unito ha adottato una normativa intesa ad attuare la direttiva 2008/94, la quale non è conforme alle prescrizioni di cui all’articolo 8 di tale direttiva soltanto per quanto riguarda la garanzia minima prescritta del 50%. La normativa nazionale determina, tuttavia, in termini chiari il soggetto competente per il compimento dei calcoli e che è tenuto ad assumere la responsabilità, segnatamente il PPF. Sono state inoltre adottate disposizioni dettagliate sul finanziamento del PPF e sulla liquidazione dei regimi complementari di previdenza aziendali (54).

82.      Pertanto, nel caso di specie, anche il destinatario dell’obbligo risultante dall’articolo 8 della direttiva risulta incondizionato e sufficientemente determinato.

2.      Invocabilità dell’applicabilità diretta nei confronti delle autorità statali

83.      È pacifico che un singolo possa invocare disposizioni incondizionate e sufficientemente precise di una direttiva non soltanto nei confronti di uno Stato membro e di tutti gli organi della sua amministrazione (55), bensì anche nei confronti di altri organismi o enti soggetti all’autorità o al controllo dello Stato o che dispongano di particolari diritti (56).

84.      Secondo giurisprudenza consolidata, fa parte degli enti ai quali si possono opporre le norme di una direttiva idonee a produrre effetti diretti un organismo che, indipendentemente dalla sua forma giuridica, sia stato incaricato, con atto della pubblica autorità, di prestare un servizio d’interesse pubblico e che disponga a tal fine di poteri che oltrepassano quelli risultanti dalle norme che si applicano nei rapporti fra singoli (57).

85.      Il PPF è un organismo del genere. Esso presta il servizio di interesse pubblico contemplato nella direttiva (58), consistente nel fissare caso per caso il livello concreto di tutela e, in presenza di determinate circostanze, nel surrogarsi nell’adempimento degli obblighi nei confronti dei lavoratori. Inoltre, esso dispone di particolari diritti nel senso della menzionata definizione (59), potendo riscuotere un prelievo dai regimi complementari di previdenza aziendali riconosciuti ed essendo inoltre legittimato, ai sensi della Section 154 della legge sulle pensioni del 2004, a impartire ai regimi complementari di previdenza aziendali, nell’ambito della loro liquidazione, le necessarie istruzioni. Del resto, all’udienza è emerso che la qualificazione del PPF quale autorità statale è pacifica inter partes.

86.      Per contro, una direttiva non può fondare direttamente obblighi a carico dei singoli (60).

87.      Per questo motivo, il Regno Unito respinge l’applicazione diretta dell’articolo 8 della direttiva 2008/94 nel procedimento principale, in quanto la disposizione non potrebbe essere opposta ad un ente di diritto privato quale il sistema previdenziale della T&N.

88.      Tuttavia, dalla decisione di rinvio emerge che nel procedimento principale non si tratta di verificare se il sig. Hampshire possa esigere dalla T&N direttamente il pagamento di indennità pari ad almeno il 50% dei diritti a pensione maturati. Il resistente nei due gradi di giudizio nel procedimento a quo è, piuttosto, il PPF. Il giudice nazionale indica, quale oggetto della controversia, l’accertamento effettuato dal PPF, precedente all’erogazione delle passività garantite,. Con tale decisione viene fissato in maniera vincolante l’importo delle indennità che i lavoratori percepiscono tanto in caso di surrogazione del PPF al regime previdenziale de quo, quanto in caso di un’eventuale liquidazione al di fuori del PPF.

89.      Nel procedimento principale si pone pertanto unicamente la questione se un ente quale il PPF possa essere obbligato a procedere a nuovo accertamento delle passività garantite e ad applicare direttamente l’articolo 8 della direttiva.

90.      Orbene, è ben vero che la legge sulle pensioni del 2004 prevede che la T&N continui ad essere competente per il pagamento, qualora nel suo patrimonio dovessero sussistere risorse sufficienti ad assicurare le indennità compensative del PPF garantite dallo Stato. Tuttavia, ciò non implica un’applicazione diretta della disposizione nei confronti della T&N. Piuttosto, la legge sulle pensioni del 2004, nel caso particolare di un’eccedenza, si limita a non prevedere un’incorporazione del regime di previdenza aziendale nel PPF, non essendo necessario alcun finanziamento. Anche in un caso del genere, tuttavia, il regime complementare di previdenza aziendale viene liquidato secondo le istruzioni del Board, seppur al di fuori del PPF. Qualora, a seguito del nuovo accertamento, le passività garantite dovessero superare l’attivo presente, il PPF dovrebbe in ogni caso assumere la relativa responsabilità.

91.      L’oggetto della controversia di cui al procedimento principale, quale emerge dalla domanda di pronuncia pregiudiziale e come illustrato anche all’udienza dinanzi alla Corte, si limita ad esigere dal PPF l’applicazione diretta dell’articolo 8 della direttiva in sede di determinazione delle passività. In determinate circostanze, esso dev’essere inoltre essere obbligato ad esercitare in maniera conforme alla direttiva il proprio potere di direzione nei confronti della T&N.

92.      Gli effetti eventualmente derivanti dalla determinazione delle indennità garantite dal PPF nella fase successiva su tali regimi previdenziali complementari, i cui mezzi siano sufficienti anche senza finanziamento, può pertanto essere considerato come mero riflesso. Esso risulta dalle peculiarità della legge sulle pensioni del 2004 e non dalla direttiva stessa. Qualora si volesse ivi ravvisare uno svantaggio per la T&N, la giurisprudenza della Corte ha riconosciuto che mere ripercussioni negative sui diritti dei terzi, anche se certe, non giustificano la negazione ad un singolo del diritto di far valere una disposizione di una direttiva direttamente applicabile nei confronti dello Stato membro (61).

93.      È stato riconosciuto che gli altri dipendenti della T&N avrebbero percepito, in sede di ripartizione delle eccedenze sorte a seguito della determinazione eccessivamente ridotta dell’indennità compensativa del sig. Hampshire e degli altri ricorrenti, pagamenti supplementari. Al riguardo, occorre tuttavia sottolineare che neanche la mera esclusione di un eventuale beneficio di tal genere può essere considerata quale obbligo incombente ad un terzo in forza della disposizione di una direttiva fatta valere (62).

V.      Conclusione

94.      Suggerisco pertanto di rispondere alle questioni pregiudiziali nei termini seguenti:

1)      L’articolo 8 della direttiva 2008/94/CE dev’essere interpretato nel senso che ciascun singolo lavoratore – ad eccezione dei casi concreti di abuso ai sensi dell’articolo 12, lettera a), di tale direttiva – può rivendicare, in caso di insolvenza del proprio datore di lavoro, un’indennità compensativa quantomeno pari al 50% del valore totale dei diritti maturati o in corso di maturazione a prestazioni di vecchiaia.

2)      L’articolo 8 della direttiva 2008/94 detta un obbligo a carico degli Stati membri, il quale è incondizionato e sufficientemente preciso dal punto di vista sostanziale, cosicché un singolo può farlo valere direttamente nei confronti di un ente quale il Pension Protection Fund.


1      Lingua originale: il tedesco.


2      Direttiva 2008/94/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2008 relativa alla tutela dei lavoratori subordinati in caso d’insolvenza del datore di lavoro (GU 2008, L 283, pag. 36), la quale ha sostituito la direttiva 80/987/CEE del Consiglio del 20 ottobre 1980 concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro (GU 1980, L 283, pag. 23).


3      Sentenze del 25 gennaio 2007, Robins e a. (C‑278/05, EU:C:2007:56, punto 57), e del 25 aprile 2013, Hogan e a. (C‑398/11, EU:C:2013:272, punto 51).


4      Sentenza del 25 aprile 2013, Hogan e a. (C‑398/11, EU:C:2013:272, punto 51).


5      Sentenze del 16 luglio 1992, Meilicke (C‑83/91, EU:C:1992:332, punto 23); del 22 novembre 2005, Mangold (C‑144/04, EU:C:2005:709, punti 34 e 37), e del 21 dicembre 2016, Tele2 Sverige e Watson e a. (C‑203/15 e C‑698/15, EU:C:2016:970, punto 130).


6      Le ragioni per cui un rinvio pregiudiziale inteso all’applicazione diretta di una disposizione di diritto dell’Unione debba essere escluso qualora i requisiti per far valere la responsabilità dello Stato non siano soddisfatti, non vengono in ogni caso illustrate. Occorre inoltre sottolineare che la condotta dello Stato rilevante nella specie eventualmente in contrasto con l’articolo 8 della direttiva, non è il verificarsi dell’insolvenza nel 2006, bensì la decisione del PPF nel 2011.


7      Sentenza del 25 gennaio 2007, Robins e a. (C‑278/05, EU:C:2007:56).


8      Sentenza del 25 aprile 2013, Hogan e a. (C‑398/11, EU:C:2013:272).


9      Sentenze del 25 gennaio 2007, Robins e a. (C‑278/05, EU:C:2007:56), e del 25 aprile 2013, Hogan e a. (C‑398/11, EU:C:2013:272).


10      Sentenza del 25 gennaio 2007, Robins e a. (C‑278/05, EU:C:2007:56, punto 57).


11      Sentenze del 25 aprile 2013, Hogan e a. (C‑398/11, EU:C:2013:272, punto 51), e del 24 novembre 2016, Webb-Sämann (C‑454/15, EU:C:2016:891, punto 35).


12      Sentenza del 25 gennaio 2007, Robins e a. (C‑278/05, EU:C:2007:56, punto 57).


13      Pertanto, anche il dispositivo della sentenza del 25 aprile 2013, Hogan e a. (C‑398/11, EU:C:2013:272) fa riferimento al fatto che ai ricorrenti non è rimasto perlomeno il 50% del valore dei loro diritti.


14      Sentenze del 19 novembre 1991, Francovich e a. (C‑6/90 e C‑9/90, EU:C:1991:428, punto 3); del 18 ottobre 2001, Gharehveran (C‑441/99, EU:C:2001:551, punto 26), e del 24 novembre 2016, Webb-Sämann (C‑454/15, EU:C:2016:891, punto 31); v. anche considerando 3 della direttiva 2008/94.


15      V. anche articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2008/94.


16      COM(78) 141 def., pag. 7 in relazione all’articolo 7 del progetto di direttiva, il quale corrisponde, in sostanza, all’articolo 8 della direttiva finale.


17      Sentenze del 19 novembre 1991, Francovich e a. (C‑6/90 e C‑9/90, EU:C:1991:428, punto 38 e segg.); del 5 marzo 1996, Brasserie du Pêcheur e Factortame (C‑46/93 e C‑48/93, EU:C:1996:79, punto 51), e del 25 gennaio 2007, Robins e a. (C‑278/05, EU:C:2007:56 punto 69).


18      Sentenza del 25 gennaio 2007, Robins e a. (C‑278/05, EU:C:2007:56, punto 82).


19      V., al riguardo, supra, paragrafi 11 e 15.


20      Sentenza del 24 novembre 2016, Webb‑Sämann (C‑454/15, EU:C:2016:891, punto 27).


21      COM(78) 141 def., pag. 7.


22      Sentenze del 17 maggio 1990, Barber (C‑262/88, EU:C:1990:209, punto 25); del 1o aprile 2008, Maruko (C‑267/06, EU:C:2008:179, punto 45), nonché le mie conclusioni nella causa Parris (C‑443/15, EU:C:2016:493, paragrafo 33).


23      Sentenze del 25 gennaio 2007, Robins e a. (C‑278/05, EU:C:2007:56, punto 42 e segg.), e del 25 aprile 2013, Hogan e a. (C‑398/11, EU:C:2013:272, punto 42).


24      V., al riguardo, già le mie conclusioni nella causa Robins e a. (C‑278/05, EU:C:2006:476, punto 71).


25      Tale limite costituisce, sotto il profilo del diritto dell’Unione, un indennizzo equo, v. sentenza del 25 aprile 2013, Hogan e a. (C‑398/11, EU:C:2013:272, punto 43 e segg.).


26      V., al riguardo, già il paragrafo 50 supra e le note 21 e 22.


27      Sentenze del 3 dicembre 1974, van Binsbergen (33/74, EU:C:1974:131, punto 13); del 9 marzo 1999, Centros (C‑212/97, EU:C:1999:126, punto 24); del 28 luglio 2016, Kratzer (C‑423/15, ECLI:EU:C:2016:604, punto 37), nonché del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 27).


28      Sentenze del 22 maggio 2008, Ampliscientifica e Amplifin (C‑162/07, EU:C:2008:301, punto 27 e segg.); del 5 luglio 2007, Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:408, punto 38), nonché del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 27).


29      Secondo la giurisprudenza sono tuttavia necessari indizi concreti che si riferiscano al singolo caso considerato, v. ad es. sentenza del 18 dicembre 2014, McCarthy e McCarthy Rodriguez (C‑202/13, EU:C:2014:2450, punto 53).


30      Secondo la formula elaborata nel diritto tributario dalla Corte, corrispondenti disposizioni devono essere specificamente intese a ricomprendere la fattispecie abusiva; v. sentenze del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C‑196/04, EU:C:2006:544, punto 55), e del 13 marzo 2007, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation (C‑524/04, EU:C:2007:161, punto 79).


31      V., in relazione a tale requisito, sentenze del 6 novembre 2003, Gambelli e a. (C‑243/01, EU:C:2003:597, punto 67); del 10 marzo 2009, Hartlauer (C‑169/07, EU:C:2009:141, punto 55), e del 6 marzo 2018, SEGRO e Horváth (C‑52/16 e C‑113/16, EU:C:2018:157, punto 78). Tale giurisprudenza, elaborata in relazione alle libertà fondamentali, deve valere anche per le disposizioni di diritto derivato (v., al riguardo, anche le mie conclusioni nella causa Persidera, C‑112/16, EU:C:2017:250, paragrafo 66 e la nota 46, nonché nella causa Commissione/Austria, C‑187/16, EU:C:2017:578, paragrafo 71).


32      In tal senso, sentenze del 4 marzo 2004, Commissione/Francia (C‑334/02, EU:C:2004:129, punto 27); del 28 ottobre 2010, Établissements Rimbaud (C‑72/09, EU:C:2010:645, punto 34), e del 25 ottobre 2017, Polbud – Wykonawstwo (C‑106/16, EU:C:2017:804, punto 64).


33      V., in relazione alle direttive, sentenze del 9 marzo 2004, Pfeiffer e a. (da C‑397/01 a C‑403/01, EU:C:2004:584, punto 111), e del 15 aprile 2008, Impact (C‑268/06, EU:C:2008:223, punto 42), nonché, in generale, sentenze del 27 febbraio 2018, Associação Sindical dos Juízes Portugueses (C‑64/16, EU:C:2018:117, punto 34), e del 6 marzo 2018, Achmea (C‑284/16, EU:C:2018:158, punto 34).


34      Sentenze del 13 novembre 1990, Marleasing (C‑106/89, EU:C:1990:395, punto 8); del 5 ottobre 2004, Pfeiffer e a. (da C‑397/01 a C‑403/01, EU:C:2004:584, punto 113); del 15 aprile 2008, Impact (C‑268/06, EU:C:2008:223, punto 98); del 15 gennaio 2014, Association de médiation sociale (C‑176/12, EU:C:2014:2, punto 38), e del 19 aprile 2016, DI (C‑441/14, EU:C:2016:278, punti 29 e 31).


35      Sentenze del 19 gennaio 1982, Becker (8/81, EU:C:1982:7, punti da 17 a 25); del 9 marzo 2004, Pfeiffer e a., (da C‑397/01 a C‑403/01, EU:C:2004:584, punto 103); del 24 gennaio 2012 Dominguez (C‑282/10, EU:C:2012:33, punto 33), nonché del 15 febbraio 2017, British Film Institute (C‑592/15, EU:C:2017:117, punto 13).


36      Sentenza del 19 novembre 1991, Francovich e a. (C‑6/90 e C‑9/90, EU:C:1991:428, punto 12).


37      V., al riguardo, paragrafi 78 e segg. infra, nonché la sentenza del 18 ottobre 2001, Gharehveran (C‑441/99, EU:C:2001:551, punti da 39 a 44).


38      Sentenze del 19 novembre 1991, Francovich e a. (C‑6/90 e C‑9/90, EU:C:1991:428, punto 22), e del 18 ottobre 2001, Gharehveran (C‑441/99, EU:C:2001:551, punto 33), sulla direttiva 80/987 quale disciplina che ha preceduto la direttiva 2008/94.


39      Ovvero «nebuloso», come formulato dall’avvocato generale Bobek nella causa Webb‑Sämann (C‑454/15, EU:C:2016:653, paragrafo 58).


40      Sentenza del 19 novembre 1991, Francovich e a. (C‑6/90 e C‑9/90, EU:C:1991:428, punto 17).


41      In tal senso, sentenze del 19 novembre 1991, Francovich e a. (C‑6/90 e C‑9/90, EU:C:1991:428, punto 19 e segg.); del 9 marzo 2004, Pfeiffer e a., (da C‑397/01 a C‑403/01, EU:C:2004:584, punto 105), e del 15 aprile 2008, Impact (C‑268/06, EU:C:2008:223, punto 74).


42      Sentenza del 24 novembre 2016, Webb‑Sämann (C‑454/15, EU:C:2016:891, punto 35).


43      V., al riguardo, le considerazioni svolte supra, sub B).


44      V., da ultimo, sentenze del 29 settembre 2015, Gmina Wrocław (C‑276/14, EU:C:2015:635, punto 44); del 19 aprile 2016, Dansk Industri (C‑441/14, EU:C:2016:278, punto 40), e del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 41).


45      Sentenze del 19 gennaio 1982, Becker (8/81, EU:C:1982:7, punto 27); del 26 ottobre 2006, Pohl-Boskamp (C‑317/05, EU:C:2006:684, punto 41), e del 1o luglio 2010, Gassmayr (C‑194/08, EU:C:2010:386, punto 45).


46      V. sentenze del 17 dicembre 1970, SACE (33/70, EU:C:1970:118, punto 13), e del 4 dicembre 1974, Van Duyn (41/74, EU:C:1974:133, punto 12), nonché del 19 gennaio 1982, Becker (8/81, EU:C:1982:7, punto 27 e segg.).


47      V., sulla possibilità di concretizzare una disposizione da parte della giurisprudenza, sentenza del 4 dicembre 1974, Van Duyn (41/74, EU:C:1974:133, punto 14).


48      In tal senso, la Corte, ad esempio nella sentenza del 20 dicembre 2017, Protect Natur-, Arten- und Landschaftsschutz Umweltorganisation (C‑664/15, EU:C:2017:987, punto 45 e seg., 55 e seg.), ha dichiarato che una disposizione nazionale, la quale non garantisca la tutela minima prevista dall’articolo 9, paragrafo 3, della Convenzione di Aarhus, non può essere applicata. V., parimenti, sentenza del 15 ottobre 2009, Djurgården-Lilla Värtans Miljöskyddsförening (C‑263/08, EU:C:2009:631, punto 45).


49      Non rileva, pertanto, la data della domanda di fallimento, ossia il 10 luglio 2006. Del resto, secondo la giurisprudenza, il diritto dell’Unione si applica in ogni caso agli effetti futuri di situazioni giuridiche sorte in passato, v., ad esempio, sentenza del 7 novembre 2013, Gemeinde Altrip e a. (C‑72/12, EU:C:2013:712, punto 22), e del 26 marzo 2015, Commissione/Moravia Gas Storage (C‑596/13 P, EU:C:2015:203, punto 32).


50      Sentenza del 25 gennaio 2007, Robins e a. (C‑278/05, EU:C:2007:56, punto 36 e seg.).


51      Sentenza del 18 ottobre 2001, Gharehveran (C‑441/99, ECLI:EU:C:2001:551, punto 44), sulla direttiva precedente, ossia la direttiva 80/987.


52      V., in tal senso, sentenza del 18 ottobre 2001, Gharehveran (C‑441/99, ECLI:EU:C:2001:551, punto 40).


53      Sentenza del 19 novembre 1991, Francovich e a. (C‑6/90 e C‑9/90, EU:C:1991:428, punto 25). Nella causa Wagner Miret si era a sua volta in presenza di un’attuazione solo parziale, la quale non aveva disciplinato determinati settori, cosicché, al riguardo, il potere discrezionale nazionale non era stato parimenti completamente utilizzato, v. sentenza del 16 dicembre 1993, (C‑334/92, EU:C:1993:945, punto 16 e segg.).


54      Su tali criteri, v. sentenza del 18 ottobre 2001, Gharehveran (C‑441/99, ECLI:EU:C:2001:551, punto 41).


55      V. al riguardo, ad es., sentenze del 19 gennaio 1982, Becker (8/81, EU:C:1982:7 punto 25); dell’8 ottobre 1987, Kolpinghuis Nijmegen (80/86, EU:C:1987:431, punto 7); del 22 giugno 1989, Costanzo (103/88, EU:C:1989:256, punto 31), e del 28 giugno 2007, JP Morgan Fleming Claverhouse (C‑363/05, EU:C:2007:391, punto 58).


56      Sentenze del 12 luglio 1990, Foster e a. (C‑188/89, EU:C:1990:313, punto 18); del 4 dicembre 1997, Kampelmann e a. (da C‑253/96 a C‑258/96, EU:C:1997:585, punto 46), e del 10 ottobre 2017, Farrell (C‑413/15, EU:C:2017:745, punto 33).


57      Sentenze del 12 luglio 1990, Foster e a., (C‑188/89, EU:C:1990:313, punto 18); del 24 gennaio 2012, Dominguez (C‑282/10, EU:C:2012:33, punto 39), nonché del 10 ottobre 2017, Farrell (C‑413/15, EU:C:2017:745, punto 33).


58      V. in merito a tali criteri, anche la sentenza del 10 ottobre 2017, Farrell (C‑413/15, EU:C:2017:745, punto 38 e segg.).


59      V., al riguardo, sentenze del 12 luglio 1990, Foster e a. (C‑188/89, EU:C:1990:313, punto 18); del 4 dicembre 1997, Kampelmann e a. (da C‑253/96 a C‑258/96, EU:C:1997:585, punto 46); del 24 gennaio 2012, Dominguez (C‑282/10, EU:C:2012:33, punto 39), e del 10 ottobre 2017, Farrell (C‑413/15, EU:C:2017:745, punto 38 e segg.).


60      Sentenze del 14 luglio 1994, Faccini Dori (C‑91/92, EU:C:1994:292, punto 25); del 9 marzo 2004, Pfeiffer e a., (da C‑397/01 a C‑403/01, EU:C:2004:584, punto 108); del 15 gennaio 2014, Association de médiation sociale (C‑176/12, EU:C:2014:2, punto 36), e del 19 aprile 2016, Dansk Industri (C‑441/14, EU:C:2016:278, punto 30).


61      In tal senso, sentenze del 26 settembre 2000, Unilever (C‑443/98, EU:C:2000:496, punto 49 e seg.); del 7 gennaio 2004, Wells (C‑201/02, EU:C:2004:12, punto 57); del 17 luglio 2008, Arcor e a. (da C‑152/07 a C‑154/07, EU:C:2008:426, punto 36), nonché del 6 ottobre 2015, T-Mobile Czech Republic e Vodafone Czech Republic (C‑508/14, EU:C:2015:657, punto 48).


62      V. sentenza del 17 luglio 2008, Arcor e a. (da C‑152/07 a C‑154/07, EU:C:2008:426, punto 38).