Language of document : ECLI:EU:T:2005:72

Arrêt du Tribunal

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Seconda Sezione)
1° marzo 2005 (1)

«Marchio comunitario – Procedimento di opposizione – Marchio denominativo nazionale e marchio denominativo internazionale MISS ROSSI – Domanda di registrazione di marchio comunitario denominativo SISSI ROSSI – Somiglianza tra i prodotti – Somiglianza tra i segni – Art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento (CE) n. 40/94»

Nella causa T-169/03,

Sergio Rossi SpA, con sede in San Mauro Pascoli (Forlì‑Cesena), rappresentata dall'avv. A. Ruo,

ricorrente,

contro

Ufficio per l'armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), rappresentato dai sigg. P. Bullock e O. Montalto, in qualità di agenti,

convenuto,

altra parte nel procedimento dinanzi alla commissione di ricorso dell'UAMI e interveniente dinanzi al Tribunale:

Sissi Rossi Srl, con sede in Castenaso di Villanova (Bologna), rappresentata dagli avv.ti S. Verea, M. Bosshard e K. Muraro,

avente ad oggetto il ricorso proposto contro la decisione della prima commissione di ricorso dell'UAMI 28 febbraio 2003 (procedimento R 569/2002‑1), relativa ad un procedimento di opposizione tra la Calzaturificio Rossi SpA e la Sissi Rossi Srl,



IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Seconda Sezione),



composto dai sigg. J. Pirrung, presidente, A.W.H.  Meij e S. Papasavvas, giudici,

cancelliere: sig.ra D. Christensen, amministratore

visto il ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 12 maggio 2003,

visto il controricorso dell'UAMI depositato presso la cancelleria del Tribunale il 12 settembre 2003,

visto il controricorso dell'interveniente depositato presso la cancelleria del Tribunale l'11 settembre 2003,

in seguito all'udienza del 14 settembre 2004,

ha pronunciato la seguente



Sentenza




Fatti

1
Il 1º giugno 1998 l’interveniente ha presentato una domanda di marchio comunitario all’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (in prosieguo: l’«UAMI»), ai sensi del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), come modificato.

2
Il marchio per il quale è stata chiesta la registrazione è il segno denominativo SISSI ROSSI.

3
I prodotti per i quali è stata chiesta la registrazione rientrano, in particolare, nella classe 18 dell’Accordo di Nizza 15 giugno 1957, sulla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, come riveduto e modificato, e corrispondono alla seguente descrizione: «Cuoio e sue imitazioni, articoli in queste materie non compresi in altre classi; pelli di animali; bauli e valigie; ombrelli, ombrelloni e bastoni da passeggio; fruste e articoli di selleria».

4
Il 22 febbraio 1999 la domanda di marchio è stata pubblicata nel Bollettino dei marchi comunitari n. 12/1999.

5
Il 21 maggio 1999 la società Calzaturificio Rossi SpA ha proposto opposizione, ai sensi dell’art. 42, n. 1, del regolamento n. 40/94, avverso la registrazione del marchio richiesto per i prodotti «cuoio e sue imitazioni, articoli in queste materie non compresi in altre classi; pelli di animali; bauli e valigie».

6
I marchi invocati a sostegno della domanda di opposizione sono il marchio denominativo MISS ROSSI, registrato in Italia l’11 novembre 1991 (n. 553 016), ed il marchio internazionale MISS ROSSI, registrato lo stesso giorno con efficacia in Francia (n. 577 643). I prodotti contraddistinti da tali marchi anteriori sono le «calzature», rientranti nella classe 25 dell’Accordo di Nizza.

7
Su richiesta dell’interveniente, la società Calzaturificio Rossi SpA ha prodotto alcune prove relative all’uso effettivo dei marchi anteriori nel corso dei cinque anni precedenti alla pubblicazione della domanda del marchio controverso.

8
A seguito della fusione per incorporazione della società Calzaturificio Rossi SpA, formalizzata con rogito 22 novembre 2000, la ricorrente, poi denominata Sergio Rossi SpA, è divenuta titolare dei marchi anteriori.

9
Con decisione 30 aprile 2002, la divisione di opposizione ha respinto la domanda di registrazione per tutti i prodotti di cui all’opposizione. In sostanza, essa ha statuito che la ricorrente aveva provato l’uso effettivo dei marchi anteriori solo per i prodotti «scarpe da donna» e che tali prodotti, da un lato, ed i prodotti «cuoio e sue imitazioni, articoli in queste materie non compresi in altre classi; pelli di animali; bauli e valigie», oggetto della domanda di marchio, dall’altro, erano simili. Inoltre, la divisione di opposizione ha concluso che esisteva una somiglianza tra i segni per il consumatore francese.

10
Il 28 giugno 2002 l’interveniente ha presentato ricorso dinanzi all’UAMI contro la decisione della divisione di opposizione.

11
Con decisione 28 febbraio 2003 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), la prima commissione di ricorso dell’UAMI ha annullato la decisione della divisione di opposizione e ha respinto l’opposizione. In sostanza, la commissione di ricorso ha giudicato che i segni in questione presentavano una debole somiglianza. Peraltro, dopo un’analisi comparativa dei canali di distribuzione, delle funzioni e della natura dei prodotti in questione, essa ha concluso che le differenze tra i prodotti prevalevano ampiamente sui rari punti in comune. In particolare, essa ha esaminato e respinto la tesi secondo la quale i prodotti «scarpe da donna» e «borse da donna» erano simili in forza di un rapporto di complementarietà. Di conseguenza, a suo parere, non vi era alcun rischio di confusione ai sensi dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94.


Conclusioni delle parti

12
La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

dichiarare l’esistenza di un rischio di confusione tra i marchi in questione ed annullare la decisione impugnata;

in via subordinata, dichiarare l’esistenza di un’«incompatibilità» tra i marchi in questione relativamente alle «borse da donna» e alle «calzature da donna» e dichiarare l’esistenza di una somiglianza tra tali prodotti;

condannare l’UAMI alle spese.

13
Con lettera del 12 febbraio 2004, la ricorrente ha precisato che essa chiedeva, in via principale, l’annullamento totale della decisione impugnata e, in via subordinata, il suo annullamento parziale nella parte in cui constata l’assenza di un rischio di confusione tra i marchi per i prodotti «borse da donna» e «scarpe da donna».

14
L’UAMI e l’interveniente chiedono che il Tribunale voglia:

respingere il ricorso;

condannare la ricorrente alle spese.


In diritto

Sulle prove prodotte per la prima volta dinanzi al Tribunale

15
La ricorrente, a sostegno della sua tesi secondo cui le scarpe da donna e le borse da donna sono prodotti simili, ha depositato un certo numero di documenti, tra i quali articoli di stampa, alcune pubblicità e fotografie, in particolare provenienti da siti Internet, raffiguranti scarpe da donna o borse da donna. L’interveniente ha prodotto estratti di siti Internet per avallare il rigetto degli argomenti e delle prove presentati dalla ricorrente. Nessuno di tali documenti era stato presentato in sede di procedimento amministrativo dinanzi all’UAMI.

Argomenti delle parti

16
L’UAMI sostiene che gli elementi probatori, prodotti dalla ricorrente per la prima volta dinanzi al Tribunale, sono irricevibili.

17
In udienza la ricorrente ha replicato che tali prove andavano ammesse in quanto la commissione di ricorso aveva violato il suo diritto a presentare le proprie deduzioni. Infatti, la divisione di opposizione aveva considerato simili i prodotti contrassegnati dai marchi. Pertanto, poiché la commissione di ricorso intendeva annullare la decisione della divisione di opposizione perché i prodotti considerati non erano simili, essa avrebbe dovuto informarne la ricorrente e darle modo di prendere posizione e di valutare l’opportunità di produrre prove integrative. Secondo la ricorrente, tale violazione, da parte della commissione di ricorso, del suo diritto a presentare le proprie deduzioni giustifica l’annullamento della decisione impugnata. Gli elementi di prova prodotti con il ricorso sarebbero quindi, in ogni caso, ricevibili.

18
Né l’UAMI né la ricorrente si sono espressi sulla ricevibilità dei documenti presentati dall’interveniente.

Giudizio del Tribunale

19
In via preliminare, occorre rilevare che, se e in quanto le osservazioni della ricorrente formulate in udienza devono essere intese nel senso che questa deduce, allo stato, un motivo relativo ad una violazione del suo diritto a presentare le proprie deduzioni, sancito dall’art. 73, seconda frase, del regolamento n. 40/94, tale motivo dev’essere dichiarato irricevibile.

20
Infatti, ai sensi dell’art. 48, n. 2, primo comma, del regolamento di procedura del Tribunale, è vietata la deduzione di nuovi motivi in corso di causa, a meno che essi si basino su elementi di diritto e di fatto emersi durante il procedimento.

21
Innanzi tutto, il Tribunale constata che la ricorrente, nel suo ricorso, non ha contestato alla commissione di ricorso la violazione dell’art. 73, seconda frase, del regolamento n. 40/94.

22
Inoltre, occorre rilevare che la circostanza che la ricorrente non sia stata informata dalla commissione di ricorso del fatto che quest’ultima intendesse annullare la decisione della divisione di opposizione, perché i prodotti contrassegnati dai marchi non erano simili, era già sussistente e nota alla ricorrente al momento del deposito del suo ricorso presso la cancelleria del Tribunale e, pertanto, non può costituire un elemento nuovo di fatto o di diritto ai sensi dell’art. 48, n. 2, primo comma, del regolamento di procedura.

23
Se e in quanto l’argomento relativo ad una violazione, da parte della commissione di ricorso, del diritto della ricorrente a presentare le proprie deduzioni è diretto ad avallare la tesi secondo cui le prove prodotte dalla ricorrente sono ricevibili, tale argomento è inefficace.

24
Al riguardo occorre ricordare che, per giurisprudenza costante, il ricorso di cui il Tribunale viene investito ai sensi dell’art. 63 del regolamento n. 40/94 mira al controllo sulla legittimità delle decisioni emesse dalle commissioni di ricorso dell’UAMI [sentenze del Tribunale 12 dicembre 2002, causa T‑247/01, eCopy/UAMI (ECOPY), Racc. pag. II‑5301, punto 49; 6 marzo 2003, causa T‑128/01, DaimlerChrysler/UAMI (Calandre), Racc. pag. II‑701, punto 18, e 13 luglio 2004, causa T‑115/03, Samar/UAMI – Grotto (GAS STATION), Racc pag. II‑2939, punto 13].

25
Orbene, fatti invocati dinanzi al Tribunale che non siano stati previamente dedotti dinanzi agli organi dell’UAMI potrebbero viziare la legittimità di una tale decisione solo se l’UAMI avesse dovuto tenerne conto d’ufficio (sentenza ECOPY, cit., punto 46, e sentenza GAS STATION, cit., punto 13). Come emerge dall’art. 74, n. 1, in fine, del regolamento n. 40/94, secondo cui, in procedimenti concernenti impedimenti relativi alla registrazione, l’UAMI si limita ad esaminare i fatti, le prove e gli argomenti addotti e le richieste presentate dalle parti, quest'ultimo non è obbligato a tenere conto, d’ufficio, dei fatti che non siano stati dedotti dalle parti. Pertanto, fatti del genere non possono mettere in discussione la legittimità di una decisione della commissione di ricorso (sentenza GAS STATION, cit., punto 13).

26
Qualora la ricorrente intenda sostenere che, in violazione dell’art. 73, seconda frase, del regolamento n. 40/94, la commissione di ricorso l’ha privata della possibilità di produrre le prove di cui trattasi in tempo utile nell’ambito del procedimento amministrativo, essa avrebbe dovuto dedurre tale motivo nella sua domanda di annullamento della decisione impugnata. La violazione, da parte della commissione di ricorso, del diritto della ricorrente a presentare le proprie deduzioni non può comunque implicare che il Tribunale proceda alla valutazione di fatti e di prove non preventivamente dedotti dinanzi agli organi dell’UAMI, almeno qualora quest’ultimo non fosse tenuto a tenerne conto d’ufficio.

27
Per quanto riguarda i documenti presentati dall’interveniente, valgono considerazioni analoghe a quelle esposte nei precedenti punti 24 e 25. Non essendo stati presentati dinanzi agli organi dell’UAMI, essi non possono né mettere in discussione la legittimità della decisione impugnata né giustificarla a posteriori.

28
Ne consegue che le prove prodotte dalla ricorrente e dall’interveniente in allegato alle loro memorie non verranno prese in considerazione.

Sul rinvio all’insieme del fascicolo dell’UAMI

29
Sia la ricorrente che l’interveniente rinviano, nelle loro rispettive memorie, all’insieme dei motivi e degli argomenti dedotti in sede di procedimento amministrativo.

30
In forza dell’art. 21 dello Statuto della Corte di giustizia e dell’art. 44, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura, il ricorso deve contenere un’esposizione sommaria dei motivi dedotti. Secondo la giurisprudenza, tale indicazione dev’essere tanto chiara e precisa da consentire al convenuto di preparare la sua difesa e al Tribunale di statuire sul ricorso, eventualmente senza corredo di altre informazioni. Peraltro, il Tribunale ha statuito che, pur se il contenuto del ricorso può essere avvalorato da rinvii a determinati passaggi della documentazione allegata, un rinvio complessivo ad altri documenti, anche se allegati al ricorso, non può supplire alla mancanza degli elementi essenziali dello stesso e che non spetta al Tribunale sostituirsi alle parti, provando a ricercare gli elementi rilevanti negli allegati [v. sentenza del Tribunale 21 marzo 2002, causa T-231/99, Joynson/Commissione, Racc. pag. II‑2085 (confermata mediante ordinanza della Corte 10 dicembre 2003, causa C‑204/02 P, Joynson/Commissione, Racc. pag. I‑14763), punto 154, e ordinanza del Tribunale 29 novembre 1993, causa T-56/92, Koelman/Commissione, Racc. pag. II‑1267, punti 21 e 23, e giurisprudenza ivi citata]. Tale giurisprudenza può essere estesa anche al controricorso presentato dalla controparte nel procedimento di opposizione dinanzi alla commissione di ricorso e interveniente dinanzi al Tribunale, in forza dell’art. 46 del regolamento di procedura, applicabile in materia di proprietà intellettuale ai sensi dell’art. 135, n. 1, secondo comma, di tale regolamento (sentenza del Tribunale 13 luglio 2004, causa T-115/02, AVEX/UAMI – Ahlers (a), Racc. pag. II‑2907, punto 11).

31
Ne deriva che il ricorso ed il controricorso, nella parte in cui rinviano ai documenti depositati rispettivamente dalla ricorrente e dall’interveniente dinanzi all’UAMI, sono irricevibili nelle parti in cui il rinvio complessivo in essi contenuto non è collegabile ai motivi e agli argomenti in essi rispettivamente dedotti.

Sulla domanda diretta, in via principale, all’annullamento totale della decisione impugnata e, in via subordinata, all’annullamento parziale della decisione impugnata

Argomenti delle parti

32
A sostegno del suo ricorso, la ricorrente deduce un unico motivo, relativo alla violazione dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94.

    Sul pubblico di riferimento

33
La ricorrente e l’UAMI sostengono che il consumatore medio dei prodotti di cui trattasi è di sesso femminile, francese e italiano. L’interveniente, da parte sua, ritiene che il territorio rilevante per la comparazione dei marchi sia solo quello francese.

    Sulla somiglianza tra i prodotti

34
Per quanto riguarda la somiglianza tra i prodotti, la ricorrente fa valere che prodotti quali «calzature da donna», tutelati dai marchi anteriori, ed i prodotti oggetto della domanda di marchio, quali «cuoio e sue imitazioni, articoli in queste materie non compresi in altre classi; pelli di animali; bauli e valigie» e, in particolare, «borse da donna» sono simili.

35
La ricorrente sottolinea che sia le scarpe che le borsette rispondono ad una funzione estetica e decorativa nell’ambito dell’abbigliamento femminile. I prodotti «calzature da donna» e «borse da donna» hanno la medesima natura in quanto spesso realizzati con gli stessi materiali. Inoltre, i consumatori finali ed i canali distributivi di tali prodotti sono identici. Nella percezione delle consumatrici italiane e francesi, le borse e le scarpe costituiscono un tutt’uno. La ricorrente ne deduce che questi prodotti sono talmente complementari da dover essere considerati simili. In udienza, essa ha precisato che anche l’UAMI aveva espresso tale opinione nelle sue direttive sull’opposizione del 10 maggio 2004.

36
Per quanto riguarda la somiglianza tra i prodotti, l’UAMI condivide l’analisi effettuata dalla commissione di ricorso secondo cui le «scarpe da donna» ed i prodotti «cuoio e sue imitazioni; pelli di animali; bauli e valigie» non sono simili.

37
L’UAMI rileva tuttavia che, in base ad una prassi adottata dalle divisioni di opposizione, gli «articoli di abbigliamento» e le «calzature», da un lato, e gli «articoli in cuoio e sue imitazioni e borse» e, in particolare, le «borsette», dall’altro, sono considerati complementari. A titolo esemplificativo, l’UAMI rinvia alle decisioni della divisione di opposizione 30 giugno 2000, n. 1440/2000 (Local Boy’z/WHG Westdeutsche Handelsgesellschaft), e 9 agosto 2000, n. 2008/2000 (T. J. Hughes/TJ Investments). L’UAMI evidenzia che le direttive sull’opposizione, citate al precedente al punto 35, precisano, in particolare, nella loro parte 2, capitolo 2, punto 2.6.2, che le «borsette», le «calzature» e gli «articoli di abbigliamento» sono prodotti complementari nella mente del consumatore. Esso ha aggiunto, in risposta ad un quesito posto dal Tribunale in udienza, che tale punto non era stato oggetto di critica unanime da parte delle autorità nazionali competenti in materia di marchi al momento delle consultazioni precedenti all’adozione, da parte dell’UAMI, di tali direttive, in quanto, se così fosse stato, l’UAMI, come di regola, non avrebbe confermato il punto criticato.

38
L’interveniente sostiene che i prodotti oggetto dei marchi in questione non sono simili. Al riguardo essa evidenzia, innanzi tutto, che la ricorrente non ha avanzato nessun argomento avverso la conclusione della commissione di ricorso secondo cui le «scarpe da donna» ed i prodotti indicati nella domanda di marchio diversi dalle «borse da donna» non sono simili. Inoltre, l’interveniente afferma che il fatto che il consumatore ricerchi l’abbinamento delle scarpe con la borsa non può bastare, di per sé, a considerare simili i prodotti.

    Sulla somiglianza tra i segni

39
La ricorrente sostiene che il grado di somiglianza tra i segni deve essere qualificato come «elevato e non tenue». In udienza essa ha sottolineato che il fatto che «Rossi» sia un cognome comune non esclude un suo carattere distintivo in relazione ai prodotti contrassegnati dal marchio MISS ROSSI.

40
L’UAMI condivide la conclusione della commissione di ricorso secondo cui il grado di somiglianza tra i segni è poco elevato.

41
L’interveniente respinge la conclusione della commissione di ricorso secondo cui i segni MISS ROSSI e SISSI ROSSI sono simili. Al riguardo, essa precisa che i marchi anteriori non possiedono un elevato carattere distintivo. Non avendo la ricorrente contestato la natura molto comune del cognome «Rossi», l’analisi dei segni deve concentrarsi sulla prima parola dei rispettivi segni («miss» e «Sissi»). Secondo l’interveniente, le prime parole sono sufficientemente diverse per escludere una somiglianza tra i segni in questione. Essa aggiunge che essi sono concettualmente diversi, il che può bastare a distinguerli [sentenze del Tribunale 14 ottobre 2003, causa T‑292/01, Phillips-Van Heusen/UAMI – Pash Textilvertrieb und Einzelhandel (BASS), Racc. Pag. II‑4335, punto 54, e 22 giugno 2004, causa T‑185/02, Ruiz-Picasso e a./UAMI – DaimlerChrysler (PICARO), Racc. pag. II‑1739, punto 56].

    Sul rischio di confusione

42
La ricorrente sostiene che esiste un rischio di associazione tra i marchi in questione, connesso al fatto che il marchio SISSI ROSSI è specificamente usato per le borse da donna e che la ricorrente opera già in tale settore.

43
L’UAMI considera tale argomento irrilevante.

Giudizio del Tribunale

44
Ai sensi dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, in seguito all’opposizione del titolare di un marchio anteriore, il marchio richiesto è escluso dalla registrazione se, a causa dell’identità o della somiglianza del detto marchio col marchio anteriore e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi per i quali i due marchi sono stati richiesti, sussiste un rischio di confusione per il pubblico del territorio nel quale il marchio anteriore è tutelato.

    Sulla portata della controversia

45
Innanzi tutto, occorre rilevare che dal ricorso, e in particolare dal primo capo delle conclusioni nonché dalle osservazioni orali della ricorrente, emerge che quest'ultima considera simili tutti i prodotti oggetto dell’opposizione e le «scarpe da donna» contrassegnate con i marchi anteriori.

46
Tuttavia, come ha fatto correttamente osservare l’interveniente, è giocoforza constatare che l’argomentazione formulata nel ricorso si riferisce esclusivamente alle «borse da donna» e alle «scarpe da donna». In assenza di qualsiasi argomento che metta in discussione la conclusione della commissione di ricorso secondo cui i prodotti «cuoio e sue imitazioni; pelli di animali; bauli e valigie» e «scarpe da donna» non sono simili, non occorre, secondo il Tribunale, procedere ad un esame della pretesa somiglianza dei detti prodotti. Inoltre, il rinvio complessivo all’insieme delle osservazioni presentate dalla ricorrente nell’ambito del procedimento dinanzi all’UAMI non può supplire alla mancanza di argomentazione nel ricorso (v. precedente punto 31). Infine, la ricorrente ha fatto valere solo in udienza e quindi tardivamente che l’insieme di tali prodotti era accomunato dagli stessi canali distributivi ed era stato fabbricato con la stessa materia prima.

47
Per quanto riguarda i marchi anteriori, la conclusione della commissione di ricorso, secondo cui, ai sensi dell’art. 43, n. 2, ultima frase, e dell’art. 43, n. 3, del regolamento n. 40/94, occorre considerare i marchi anteriori registrati solo per le «scarpe da donna», non è stata oggetto di contestazione.

48
Dai punti precedenti deriva che la domanda principale, diretta all’annullamento totale della decisione impugnata, deve essere respinta e che va esaminata soltanto la domanda subordinata, diretta all’annullamento parziale della decisione impugnata. Di conseguenza, occorre valutare esclusivamente l’esistenza di una somiglianza tra, da un lato, i prodotti «borse da donna», che ricadono nei prodotti «cuoio e sue imitazioni non compresi in altre classi», rientranti nella classe 18 ed oggetto della domanda di marchio comunitario, e, dall’altro, le «scarpe da donna», rientranti nella classe 25 e contrassegnate dai marchi anteriori.

    Sul pubblico di riferimento

49
Essendo le «scarpe da donna» e le «borse da donna» prodotti di consumo corrente e destinati ad un pubblico femminile, il pubblico di riferimento è sostanzialmente composto da consumatori medi di sesso femminile.

50
Poiché i marchi anteriori sono tutelati in Francia e in Italia, il pubblico di riferimento è, in linea di principio, costituito da consumatori francesi e italiani.

51
L’interveniente, tuttavia, fa valere che nella presente controversia il territorio rilevante si limita alla Francia.

52
A tale proposito occorre rilevare che solo qualora il consumatore francese avesse una percezione diversa da quella del consumatore italiano sarebbe necessario, per il Tribunale, pronunciarsi sulla questione se il territorio rilevante nell’ambito della controversia includa o meno l’Italia. Orbene, il Tribunale constata che nessuna delle parti in causa ha distinto la percezione dei prodotti da parte del pubblico francese dalla percezione degli stessi da parte del pubblico italiano. Pertanto, si deve valutare la somiglianza tra i prodotti nella percezione dei detti consumatori senza che sia necessario operare una distinzione. Quanto alla somiglianza tra i segni, questa sarà esaminata, ove occorra, in rapporto alla percezione che ne hanno i consumatori francesi e italiani.

    Sulla somiglianza tra i prodotti

53
Dalla lettera dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94 emerge che ai sensi di tale disposizione un rischio di confusione presuppone un’identità o una somiglianza tra i prodotti o servizi contrassegnati. Pertanto, anche in caso d’identità tra il segno richiesto ed un marchio dotato di un carattere distintivo particolarmente forte, resta necessario dimostrare che sussiste una somiglianza tra i prodotti o servizi contraddistinti dai marchi contrapposti (v., per analogia, sentenza della Corte 29 settembre 1998, causa C‑39/97, Canon, Racc. pag. I‑5507, punto 22).

54
Per valutare la somiglianza tra i prodotti in questione, si deve tener conto di tutti i fattori rilevanti che contraddistinguono il rapporto tra i prodotti considerati. Questi fattori includono, in particolare, la loro natura, la loro destinazione, il loro uso nonché la loro contrapposizione o complementarietà [v., relativamente all’applicazione della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1), sentenza Canon, cit., punto 23, e, relativamente all’applicazione del regolamento n. 40/94, sentenza del Tribunale 4 novembre 2003, causa T‑85/02, Díaz/UAMI – Granjas Castelló (CASTILLO), Racc. pag. II‑4835, punto 32].

55
Nella fattispecie occorre innanzi tutto rilevare che la circostanza che i prodotti in questione siano spesso fabbricati con la stessa materia prima, ossia in pelle e similpelle, può essere tenuta in considerazione nella valutazione della somiglianza tra i prodotti. Tuttavia, data la grande varietà di prodotti fabbricabili in pelle o in similpelle, tale fattore non basta, di per sé, a stabilire una somiglianza tra i prodotti.

56
Per quanto riguarda i consumatori finali ai quali sono destinati i prodotti in questione, occorre precisare che tale elemento non figura tra quelli rilevanti, quali espressamente menzionati al punto 23 della citata sentenza Canon, in quanto la Corte non fa riferimento ai «consumatori finali», ma alla destinazione («Verwendungszweck») dei prodotti. Ad ogni modo, al punto 36 della decisione impugnata, la commissione di ricorso ha correttamente rilevato che il pubblico di riferimento non era specializzato, ma comprendeva potenzialmente l’insieme delle consumatrici francesi o italiane. Alla luce di ciò, l’identità dei consumatori finali dei prodotti non può rappresentare un elemento significativo ai fini della valutazione della somiglianza tra i prodotti.

57
Per quanto riguarda la destinazione dei prodotti, la commissione di ricorso ha opportunamente rilevato che questa è differente, in quanto le scarpe servono a rivestire i piedi e le borse a trasportare oggetti. Ne deriva che i prodotti non sono intercambiabili e, quindi, nemmeno concorrenti.

58
L’argomento della ricorrente secondo cui le funzioni primarie dei prodotti, descritte al punto precedente, rivestono un ruolo secondario rispetto alla loro funzione estetica nell’ambito dell’abbigliamento femminile e secondo cui le borse e le scarpe da donna sono prodotti di lusso non convince il Tribunale. Innanzi tutto, benché sia vero che numerosi prodotti, in particolare nel settore dell’abbigliamento e della moda, possono soddisfare contemporaneamente la loro funzione primaria ed una funzione estetica, tale circostanza non può, di per sé, indurre il consumatore a pensare che i detti prodotti provengono dalla stessa impresa o da imprese collegate economicamente. Si tratta di un criterio troppo generale per poter constatare l’esistenza di una somiglianza tra i prodotti. In secondo luogo, le scarpe da donna e le borse da donna non rappresentano solo prodotti di lusso la cui funzione decorativa prevarrebbe sulla loro funzione primaria che, per quanto riguarda le scarpe, resta quella di rivestire i piedi e, per le borse, quella di trasportare oggetti.

59
La ricorrente, inoltre, afferma che le «scarpe da donna» e le «borse da donna» sono prodotti complementari e, pertanto, simili.

60
In base alla definizione dell’UAMI di cui alle direttive sull’opposizione, parte 2, capitolo 2, punto 2.6.1, citate al precedente punto 35, sono complementari quei prodotti tra i quali esiste una stretta correlazione, nel senso che l’uno è indispensabile o importante per l’uso dell’altro, di modo che i consumatori possano supporre che la produzione di entrambi i prodotti sia riconducibile a una stessa impresa.

61
Nella fattispecie, la ricorrente non ha provato l’esistenza di un tale rapporto di complementarietà funzionale tra i prodotti in questione. Come emerge dal punto 2.6.2 della parte 2, capitolo 2, delle direttive citate al precedente punto 35, l’UAMI, da parte sua, ammette una complementarietà estetica e quindi soggettiva, determinata dalle abitudini o dalle preferenze dei consumatori quali risultanti dagli sforzi di marketing delle imprese produttrici, ossia da semplici fenomeni della moda.

62
Tuttavia, occorre rilevare che, nel corso del procedimento dinanzi agli organi dell’UAMI o anche al Tribunale, la ricorrente non ha provato che tale complementarietà estetica o soggettiva abbia raggiunto il livello di una vera e propria «esigenza» estetica, nel senso che i consumatori considererebbero inusuale o scioccante indossare una borsa non perfettamente abbinata alle loro scarpe. Il Tribunale afferma, innanzi tutto, che la ricerca di un certa armonia estetica nell’abbigliamento costituisce un tratto comune a tutto il settore della moda e dell’abbigliamento e rappresenta un fattore troppo generale per poter giustificare, di per sé, la conclusione che tutti i prodotti considerati siano complementari e, pertanto, simili. Inoltre, il Tribunale ricorda che i fatti e le prove che la ricorrente ha presentato, per la prima volta, dinanzi al Tribunale non possono, nella fattispecie, rimettere in discussione la legittimità della decisione impugnata, come emerge dai precedenti punti 19 e seguenti.

63
Per di più, non basta che i consumatori considerino un prodotto complementare o accessorio ad un altro per poter ritenere che questi prodotti abbiano la stessa origine commerciale. Perché ciò avvenga occorre anche che i consumatori reputino abituale il fatto che tali prodotti siano venduti con lo stesso marchio, il che, di solito, implica che un’ampia parte dei rispettivi produttori o distributori coincidano.

64
La commissione di ricorso non ha esaminato la questione se, in linea generale, i produttori di scarpe da donna fabbrichino anche borse da donna. Tuttavia, la ricorrente, nell’ambito del procedimento dinanzi all’UAMI, non ha presentato fatti circostanziati o avallati da prove che permettano di concludere che, nella percezione del pubblico di riferimento, i produttori di scarpe e di borse sono di solito gli stessi. Essa si è limitata ad affermare, in via generale, che i produttori che commerciano tali prodotti possono coincidere. Inoltre, sia le direttive sull’opposizione che le due decisioni della divisione di opposizione citate al precedente punto 37 riconoscono che, tradizionalmente, non è comune che le borse e le scarpe siano distribuite dalle stesse imprese produttrici o da imprese collegate. In tale contesto, tale aspetto non può mettere in discussione il risultato della valutazione complessiva circa il rischio di confusione effettuata dalla commissione di ricorso.

65
Per quanto riguarda, poi, i canali distributivi, la commissione di ricorso ha opportunamente rilevato che i prodotti in questione erano talvolta, ma non sempre e non necessariamente, venduti negli stessi negozi. Essa ha anche riconosciuto che, benché tale circostanza rappresentasse effettivamente un elemento di somiglianza tra i prodotti in questione, essa non era sufficiente a far venire meno le differenze esistenti tra i prodotti.

66
La ricorrente non ha dimostrato che i prodotti di cui trattasi siano normalmente venduti negli stessi luoghi, né che i consumatori si aspettino necessariamente di trovare, nei negozi di scarpe, non soltanto queste ultime, ma anche un vasto assortimento di borse da donna e viceversa. Essa non ha nemmeno dimostrato che, solitamente, i consumatori si aspettino che i produttori di scarpe commercino anche borse contrassegnate dallo stesso marchio, e viceversa.

67
In tale contesto, la conclusione della commissione di ricorso secondo cui gli elementi di differenza tra i prodotti prevalgono sugli elementi di somiglianza deve essere accolta.

68
Tuttavia, come emerge dai precedenti punti 55 e 65, i prodotti presentano anche qualche aspetto in comune, in particolare in quanto essi sono talvolta venduti negli stessi negozi. Pertanto, le differenze rilevate tra i prodotti in questione non sono tali da escludere, di per sé, la possibilità di un rischio di confusione, in particolare in caso di identità del segno richiesto con un marchio anteriore dotato di un carattere distintivo particolarmente forte (v. precedente punto 53).

    Sulla somiglianza tra i segni

69
Da una giurisprudenza costante risulta che la valutazione globale del rischio di confusione, per quanto attiene alla somiglianza visiva, fonetica o concettuale dei segni considerati, deve fondarsi sull’impressione complessiva prodotta da questi ultimi, in considerazione, in particolare, dei loro elementi distintivi e dominanti (v. sentenza BASS, cit., punto 47, e giurisprudenza ivi citata). Nella fattispecie, la valutazione va fatta in rapporto alla percezione dei consumatori italiani e francesi (v. precedenti punti 49-52).

70
Sul piano visivo, la seconda parola dei segni in questione, ossia la parola «Rossi», è identica. Le prime parole («Sissi» e «miss») presentano alcuni elementi in comune, ossia le tre lettere «iss». In compenso, la parola «Sissi», contenuta nel segno richiesto, è più lunga della parola «miss», poiché quest’ultima è composta da sole quattro lettere invece delle cinque presenti nel segno richiesto. Le lettere iniziali «s» e «m» e le lettere finali «i» e «s» sono diverse sul piano visivo.

71
Sul piano fonetico, la commissione di ricorso ha correttamente rilevato che i segni di cui trattasi erano entrambi caratterizzati dal suono forte delle due «s» e dalla presenza della sola vocale «i». Essa ha anche osservato, a ragione, che i due termini erano composti da un diverso numero di sillabe e che, in francese, a differenza dell’italiano, l’accento cadeva sull’ultima sillaba.

72
Sul piano concettuale, la commissione ha opportunamente rilevato che i consumatori italiani e francesi percepirebbero la parola «Rossi» come un cognome di origine italiana. Le parti concordano anche sul fatto che la parola «Sissi» può essere intesa come un nome femminile di persona. Inoltre, è pacifico che i consumatori di riferimento capiscono la parola «miss», che significa «signorina» in inglese. Orbene, la ricorrente ha rilevato in modo pertinente che sia il segno MISS ROSSI che il segno SISSI ROSSI richiamavano alla mente una persona di sesso femminile con il cognome «Rossi». Tuttavia, vi è una differenza concettuale tra la parola «miss» («signorina») e un determinato nome di persona, quale «Sissi».

73
Poiché, quindi, i segni presentano qualche somiglianza ma anche alcuni elementi di differenza, il grado di somiglianza dipende dalla questione se l’elemento comune, ossia la parola «Rossi», costituisca l’elemento distintivo e dominante.

74
Al riguardo il Tribunale constata, innanzi tutto, che la parola «Rossi» occupa il secondo posto nei segni in questione e che essa non è in alcun modo messa in risalto nei detti segni.

75
Occorre poi rilevare che la ricorrente non ha sostenuto che la parola «Rossi» costituisse l’elemento dominante del segno, ma essa ha solamente contestato alla commissione di ricorso di avere erroneamente considerato le parole «Sissi» e «miss» come gli elementi dominanti nell’impressione complessiva prodotta dai rispettivi marchi.

76
Tuttavia, anche supponendo che le parole «miss», nei marchi anteriori, e «Sissi», nel segno richiesto, non costituiscano gli elementi dominanti dei rispettivi segni, ma che esse abbiano un impatto uguale a quello della parola «Rossi», gli elementi di differenza, messi in luce ai precedenti punti 70-72, sono sufficienti per respingere la tesi della ricorrente secondo cui la somiglianza tra i segni va qualificata come importante. Tutt'al più si tratta di una somiglianza media, se non debole.

    Sul rischio di confusione

77
Secondo una giurisprudenza costante, costituisce un rischio di confusione il rischio che il pubblico possa credere che i prodotti o i servizi in questione provengano dalla stessa impresa o eventualmente da imprese economicamente collegate. Il rischio di confusione relativamente all’origine commerciale deve essere quindi valutato globalmente, in base alla percezione che il pubblico di riferimento ha dei segni e dei prodotti in questione e prendendo in considerazione tutti i fattori rilevanti del caso di specie, in particolare l’interdipendenza tra la somiglianza dei segni e quella dei prodotti o servizi contrassegnati [v. sentenza del Tribunale 9 luglio 2003, causa T-162/01, Laboratorios RTB/UAMI – Giorgio Beverly Hills (GIORGIO BEVERLY HILLS), Racc. pag. II‑2821, punti 29-33, e giurisprudenza ivi citata].

78
Secondo questa stessa giurisprudenza, il rischio di confusione è tanto più elevato quanto più rilevante è il carattere distintivo del marchio anteriore (v., per analogia, sentenza Canon, cit., punto 18, e sentenza della Corte 22 giugno 1999, causa C‑342/97, Lloyd Schuhfabrik Meyer, Racc. pag. I‑3819, punto 20).

79
Nella fattispecie è pacifico che i marchi anteriori non possiedono un elevato carattere distintivo. È quindi sufficiente esaminare se gli elementi di somiglianza dei segni siano tali da prevalere sugli elementi di differenza tra i prodotti in questione e da determinare un rischio di confusione nella mente del pubblico di riferimento.

80
A tale proposito, viste le differenze tra i prodotti, rilevate ai precedenti punti 57 e seguenti, e gli elementi di differenza tra i segni, esposti ai precedenti punti 70-72, il Tribunale è convinto che il consumatore non confonderà i marchi in questione.

81
La ricorrente sostiene, tuttavia, che vi è un rischio di associazione dal momento che il consumatore potrebbe credere che i prodotti venduti con i marchi in questione provengano dalla stessa impresa o da imprese economicamente collegate.

82
Al riguardo occorre constatare, innanzi tutto, che la ricorrente non ha messo in discussione l’affermazione della commissione di ricorso secondo cui il cognome «Rossi» è molto comune e rappresenta un tipico cognome italiano non solo agli occhi dei consumatori italiani, ma anche a quelli dei consumatori francesi.

83
In un settore quale quello dell’abbigliamento o della moda, in cui l’uso di segni costituiti da patronimici è abituale, si può supporre che, di norma, un nome molto comune appaia in commercio più spesso di un nome raro. Per tale ragione, il consumatore non presupporrà l’esistenza di un collegamento economico tra tutti i titolari dei marchi costituiti dal cognome «Rossi». Pertanto, egli non riterrà che le imprese che commerciano in borse con il marchio SISSI ROSSI siano economicamente collegate o identiche a quelle che commerciano in scarpe con il marchio MISS ROSSI.

84
Infine, la circostanza che la ricorrente operi anche nel settore della produzione di borse da donna non rileva ai fini della valutazione del rischio di confusione tra i marchi anteriori ed il marchio richiesto. Infatti, occorre analizzare i prodotti contrassegnati dai marchi in questione quali tutelati dagli stessi. Orbene, i marchi anteriori non sono registrati per «articoli in cuoio e sue imitazioni non compresi in altre classi», ma si considerano registrati solo per le «scarpe da donna». Ne consegue che la ricorrente non può far richiamo ai marchi anteriori per tutelare la sua linea di produzione di borse da donna.

85
Da quanto precede deriva che la commissione di ricorso ha correttamente dichiarato che non vi era alcun rischio di confusione tra i marchi in questione. Secondo il Tribunale, non è necessario pronunciarsi sulla questione se il territorio rilevante si limiti alla Francia e se i consumatori di riferimento siano particolarmente attenti ai marchi. Pertanto, poiché il motivo unico della ricorrente è infondato, occorre respingere il ricorso.


Sulle spese

86
Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché l’UAMI e l’interveniente ne hanno fatto domanda, la ricorrente, rimasta soccombente, dev'essere condannata alle spese.


Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

dichiara e statuisce:

1)
Il ricorso è respinto.

2)
La ricorrente è condannata alle spese.

Pirrung

Meij

Papasavvas

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 1° marzo 2005.

Il cancelliere

Il presidente

H. Jung

J. Pirrung


1
Lingua processuale: l'italiano.