Language of document : ECLI:EU:T:2019:831

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

3 dicembre 2019 (*)

«Dumping – Importazioni di prodotti piatti di acciaio inossidabile laminati a freddo originari della Cina e di Taiwan – Dazio antidumping definitivo – Regolamento di esecuzione (UE) 2015/1429 – Articolo 2, paragrafi 3 e 5, del regolamento (CE) n. 1225/2009 [divenuto articolo 2, paragrafi 3 e 5, del regolamento (UE) 2016/1036] – Articolo 2, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 1225/2009 [divenuto articolo 2, paragrafi 1 e 2, del regolamento 2016/1036] – Calcolo del valore normale – Calcolo del costo di produzione – Vendite del prodotto simile destinato al consumo sul mercato interno del paese esportatore»

Nella causa T‑607/15,

Yieh United Steel Corp., con sede in Kaohsiung City (Taiwan), rappresentata da D. Luff, avvocato,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata da J.‑F. Brakeland e A. Demeneix, in qualità di agenti,

convenuta,

sostenuta da

Eurofer, Association européenne de l’acier, ASBL, con sede in Lussemburgo (Lussemburgo), rappresentata da J. Killick, G. Forwood e C. Van Haute, avvocati,

interveniente,

avente ad oggetto una domanda basata sull’articolo 263 TFUE e diretta all’annullamento del regolamento di esecuzione (UE) 2015/1429 della Commissione, del 26 agosto 2015, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di prodotti piatti di acciaio inossidabile laminati a freddo originari della Repubblica popolare cinese e di Taiwan (GU 2015, L 224, pag. 10),

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione),

composto da E. Buttigieg (relatore), facente funzione di presidente, B. Berke e M.J. Costeira, giudici,

cancelliere: S. Bukšek Tomac, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 18 giugno 2019,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        La Yieh United Steel Corp., ricorrente, è una società con sede in Taiwan che opera, in particolare, nella fabbricazione e nella distribuzione di prodotti piatti di acciaio inossidabile laminati a freddo (in prosieguo: il «prodotto di cui trattasi»).

2        Ai fini della fabbricazione del prodotto di cui trattasi, la ricorrente utilizza come materia prima arrotolati laminati a caldo che essa stessa produce direttamente o che acquista dalla Lianzhong Stainless Steel Co. Ltd (in prosieguo: la «LISCO»), società collegata produttrice di arrotolati laminati a caldo, avente sede in Cina. Il prodotto di cui trattasi è venduto dalla ricorrente a clienti dell’Unione europea e a clienti nazionali, i quali comprendono produttori e distributori a valle indipendenti del prodotto di cui trattasi e il suo produttore a valle collegato, la società Yieh Mau.

3        A seguito di una denuncia depositata il 13 maggio 2014 dalla Eurofer, Association européenne de l’acier, ASBL (in prosieguo: la «Eurofer»), la Commissione europea pubblicava il 26 giugno 2014 un avviso di apertura di un procedimento antidumping relativo alle importazioni di prodotti piatti di acciaio inossidabile laminati a freddo originari della Repubblica popolare cinese e di Taiwan (GU 2014, C 196, pag. 9), conformemente al regolamento (CE) n. 1225/2009 del Consiglio, del 30 novembre 2009, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea [(GU 2009, L 343, pag. 51, rettifica in GU 2010, L 7, pag. 22), sostituito dal regolamento (UE) 2016/1036 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2016, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri dell’Unione europea (GU 2016, L 176, pag. 21); in prosieguo: il «regolamento di base»].

4        L’inchiesta relativa al dumping e al pregiudizio riguardava il periodo compreso tra il 1o gennaio e il 31 dicembre 2013 (in prosieguo: il «periodo d’inchiesta»). L’esame delle tendenze utili ai fini della valutazione del pregiudizio interessava il periodo dal 1o gennaio 2010 al 31 dicembre 2013.

5        Il 22 settembre 2014 la ricorrente e le sue società collegate depositavano le loro risposte al questionario antidumping della Commissione. Dal 17 al 20 novembre 2014, una visita di verifica veniva effettuata nei locali della ricorrente in Taiwan.

6        Il 24 marzo 2015 la Commissione adottava il regolamento di esecuzione (UE) 2015/501, che istituisce un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di prodotti piatti di acciaio inossidabile laminati a freddo originari della Repubblica popolare cinese e di Taiwan (GU 2015, L 79, pag. 23; in prosieguo: il «regolamento provvisorio»). Il regolamento provvisorio istituiva un dazio antidumping provvisorio del 10,9% sul prodotto in questione della ricorrente.

7        Con lettera del 25 marzo 2015, la Commissione trasmetteva alla ricorrente le sue conclusioni provvisorie, esponendo le considerazioni e i fatti essenziali sulla base dei quali era stato deciso di istituire un dazio antidumping provvisorio (in prosieguo: le «conclusioni provvisorie»).

8        Nelle conclusioni provvisorie, la Commissione affrontava, in particolare, la questione del suo rifiuto di detrarre il valore dei rottami riciclati dal costo di produzione del prodotto di cui trattasi e la questione del suo rifiuto di prendere in considerazione, ai fini della determinazione del valore normale, talune vendite della ricorrente nel paese esportatore.

9        Il 20 aprile 2015 la ricorrente presentava le proprie osservazioni sulle conclusioni provvisorie.

10      Il 23 giugno 2015 la Commissione inviava alla ricorrente le sue conclusioni definitive. Il 3 luglio 2015 la ricorrente presentava le proprie osservazioni su tali conclusioni.

11      Il 26 agosto 2015 la Commissione adottava il regolamento di esecuzione (UE) 2015/1429, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di prodotti piatti di acciaio inossidabile laminati a freddo originari della Repubblica popolare cinese e di Taiwan (GU 2015, L 224, pag. 10; in prosieguo: il «regolamento impugnato»), che modificava il regolamento provvisorio e istituiva un dazio antidumping del 6,8% sulle importazioni nell’Unione del prodotto in esame fabbricato, in particolare, dalla ricorrente.

 Procedimento e conclusioni delle parti

12      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 27 ottobre 2015, la ricorrente ha proposto il presente ricorso.

13      Con decisione del 23 dicembre 2015, la causa è stata assegnata alla Prima Sezione del Tribunale.

14      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 18 marzo 2016, la Eurofer ha chiesto di intervenire nel presente procedimento a sostegno delle conclusioni della Commissione.

15      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 18 aprile 2016, la ricorrente ha chiesto che determinate informazioni contenute nel ricorso, nel controricorso e nella replica fossero oggetto di trattamento riservato nei confronti della Eurofer ove quest’ultima fosse stata autorizzata a intervenire. Essa ha allegato alla sua domanda una versione pubblica di detti atti.

16      Con atto depositato nella cancelleria del Tribunale il 19 maggio 2016, la Commissione ha chiesto che talune informazioni contenute nella controreplica fossero sottoposte a trattamento riservato e ha allegato alla sua domanda una versione pubblica della sua controreplica.

17      Con ordinanza del 20 luglio 2016, il presidente della Prima Sezione del Tribunale ha autorizzato l’intervento della Eurofer. Poiché, conformemente all’articolo 144, paragrafo 2, del regolamento di procedura del Tribunale, la ricorrente e la Commissione hanno chiesto il trattamento riservato di talune informazioni contenute negli atti menzionati ai precedenti punti 15 e 16, tale ordinanza ha provvisoriamente limitato la comunicazione di detti atti all’interveniente alle versioni pubbliche della ricorrente e della Commissione, in attesa di eventuali osservazioni dell’interveniente sulla domanda di trattamento riservato.

18      Con atto depositato nella cancelleria del Tribunale il 22 agosto 2016, la ricorrente ha chiesto che talune informazioni contenute nella controreplica fossero sottoposte a trattamento riservato nei confronti dell’interveniente e ha allegato alla sua domanda una versione consolidata pubblica della controreplica.

19      Con atto depositato nella cancelleria del Tribunale il 12 settembre 2016, l’interveniente ha contestato parzialmente la domanda di trattamento riservato del ricorso, del controricorso e della replica.

20      Con decisione del 6 ottobre 2016, la causa è stata assegnata alla Seconda Sezione del Tribunale ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 5, del regolamento di procedura.

21      Con atto depositato nella cancelleria del Tribunale il 9 gennaio 2017, la ricorrente ha chiesto che talune informazioni contenute nelle sue osservazioni sulla memoria di intervento fossero sottoposte a trattamento riservato nei confronti dell’interveniente e ha allegato alla sua domanda una versione pubblica di tali osservazioni.

22      Con atto depositato nella cancelleria del Tribunale il 1o aprile 2017, l’interveniente ha contestato parzialmente la domanda di trattamento riservato delle osservazioni della ricorrente sulla memoria di intervento.

23      Con ordinanza del 27 settembre 2017, Yieh United Steel/Commissione (T‑607/15, non pubblicata, EU:T:2017:698), il presidente della Seconda Sezione del Tribunale ha parzialmente accolto le domande di trattamento riservato presentate dalla ricorrente e dalla Commissione.

24      Con atto depositato nella cancelleria del Tribunale il 20 marzo 2018, la ricorrente ha chiesto che talune informazioni contenute nelle sue osservazioni sulla memoria di intervento supplementare fossero sottoposte a trattamento riservato nei confronti dell’interveniente e ha allegato alla sua domanda una versione pubblica di tali osservazioni.

25      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 23 maggio 2018, la ricorrente ha chiesto di poter esporre le proprie osservazioni orali.

26      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare gli articoli 1 e 2 del regolamento impugnato nella parte in cui la riguardano;

–        condannare la Commissione alle spese.

27      La Commissione e l’interveniente chiedono che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso in quanto infondato;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 In diritto

28      A sostegno del ricorso, la ricorrente deduce due motivi, relativi, rispettivamente, ad una violazione dell’articolo 2, paragrafi 3 e 5, del regolamento di base (divenuto articolo 2, paragrafi 3 e 5, del regolamento 2016/1036) e ad una violazione dell’articolo 2, paragrafi 1 e 2, del regolamento di base (divenuto articolo 2, paragrafi 1 e 2, del regolamento 2016/1036).

 Sul primo motivo, vertente su una violazione dellarticolo 2, paragrafi 3 e 5, del regolamento di base e su uno sviamento di potere

29      La ricorrente fa valere che la Commissione, avendo rifiutato di accettare la sua domanda di detrazione del valore dei rottami riciclati dal costo di produzione del prodotto di cui trattasi, è incorsa in un errore manifesto di valutazione dei fatti. La Commissione avrebbe indebitamente rifiutato di esaminare i suoi registri contabili nonché il suo metodo di ripartizione delle spese e l’errore di calcolo che avrebbe commesso non rientrerebbe nel potere discrezionale di cui disporrebbe. Detto rifiuto avrebbe comportato un aumento dei suoi costi di produzione nonché della quota di quei prodotti per i quali il valore normale sarebbe stato determinato sulla base delle vendite realizzate a prezzi inferiori ai costi di fabbricazione, conducendo in tal modo a un valore normale complessivamente più elevato.

30      In primo luogo, la Commissione avrebbe violato l’articolo 2, paragrafo 5, del regolamento di base, avendo rifiutato di prendere in considerazione i registri contabili della ricorrente nonché il metodo di ripartizione dei costi che essa avrebbe applicato alle perdite di arrotolati laminati a caldo constatate durante la produzione del prodotto di cui trattasi.

31      Al riguardo, la ricorrente sostiene che, contrariamente alle affermazioni della Commissione, essa ha incluso la perdita di produzione nel calcolo del costo di produzione del prodotto di cui trattasi presentato alla Commissione. La ricorrente afferma di aver spiegato, nelle sue osservazioni sulle conclusioni provvisorie del 20 aprile 2015, sulla base dei registri contabili presentati nella sua risposta al questionario, che essa aveva adeguatamente incluso, nella sua tabella dei costi di produzione, tutte le perdite di produzione in tutte le fasi della produzione per quanto concerne sia gli arrotolati da essa stessa prodotti sia quelli acquistati dal suo fornitore collegato, la LISCO. Il metodo applicato consisterebbe nell’identificare una «perdita di produzione unitaria», espressa in percentuale, per le materie prime utilizzate in tutte le fasi di produzione, imputata non al costo dei materiali, bensì ai costi di produzione della fase di produzione successiva, il cosiddetto «costo di conversione». Pertanto, la perdita di produzione non sarebbe calcolata come costo dei materiali, ma come costo di conversione. Questo metodo di ripartizione dei costi di produzione, denominato «sistema dei costi per processo», sarebbe una tecnica contabile assai nota e ampiamente accettata nel mondo e in Taiwan ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 5, del regolamento di base, che la ricorrente avrebbe spiegato alla Commissione sia durante la visita di verifica sia nelle sue osservazioni sulle conclusioni provvisorie.

32      Avendo ignorato i dati verificati e il metodo di ripartizione dei costi della ricorrente e avendo rifiutato di prendere in considerazione il modo in cui la ricorrente avrebbe contabilizzato la perdita di produzione nei suoi costi di produzione, la Commissione sarebbe giunta a una conclusione manifestamente erronea sulla perdita di produzione.

33      La ricorrente sostiene che occorre rispettare un equilibrio tra l’obbligo della Commissione di condurre un’inchiesta in tempo utile e i diritti legittimi degli operatori economici a che i loro dati reali siano presi in considerazione nel corso di un’inchiesta neutra e obiettiva, e che l’autorità incaricata dell’inchiesta deve utilizzare il sistema di contabilità dei costi del produttore di cui trattasi quando esso riflette «adeguatamente e sufficientemente» i costi sostenuti per la produzione del prodotto considerato.

34      Orbene, la Commissione non contesterebbe che i documenti contabili invocati dalla ricorrente sarebbero stati oggetto di uno studio di verifica e che quest’ultima utilizzerebbe abitualmente il metodo di ripartizione dei costi denominato «Sistema dei costi per processo». La Commissione non dimostrerebbe sotto quale profilo i costi di produzione e di vendita del prodotto in esame non si rifletterebbero adeguatamente nei registri contabili, ma si limiterebbe ad esprimere dubbi sul fatto che tale metodo potrebbe non rispecchiare nel caso di specie il valore reale di ciascun elemento di costo. Orbene, questi dubbi deriverebbero da una formula di calcolo inadeguata e dall’utilizzo contraddittorio dei registri contabili della ricorrente da parte della Commissione, senza che quest’ultima dimostri per quale motivo il metodo alternativo che utilizzerebbe sarebbe più affidabile e rifletterebbe meglio il valore reale di ciascun elemento di costo, violando pertanto l’articolo 2, paragrafo 5, del regolamento di base.

35      La ricorrente fa valere in particolare che la Commissione, nelle sue conclusioni provvisorie e nelle sue conclusioni definitive nonché nel regolamento impugnato, ha invocato il fatto che la ricorrente non aveva contabilizzato la perdita di produzione degli arrotolati laminati a caldo acquistati dalla LISCO nel costo di produzione del prodotto di cui trattasi, il che costituisce già di per sé un errore manifesto di valutazione dei fatti. Inoltre, anche le spiegazioni fornite dalla Commissione nelle sue conclusioni provvisorie, nelle sue conclusioni definitive e nel regolamento impugnato sarebbero manifestamente distorte ed erronee.

36      In proposito, la ricorrente osserva anzitutto che la formula utilizzata dalla Commissione nelle sue conclusioni provvisorie per calcolare il volume degli arrotolati laminati a caldo consumati per la produzione del prodotto in esame, secondo cui tale volume corrisponde al costo totale delle materie prime per arrotolato laminato a caldo acquistato rispetto al costo di acquisto di arrotolati laminati a caldo, non è adeguata tenuto conto del suo metodo di contabilità dei costi. Tale constatazione invaliderebbe la conclusione erronea della Commissione secondo cui il volume degli arrotolati laminati a caldo consumati sarebbe pari al volume di produzione del prodotto in esame, mentre il volume delle materie prime consumate dovrebbe essere superiore a quello del prodotto di cui trattasi se la perdita di produzione fosse stata contabilizzata correttamente.

37      Inoltre, i motivi addotti dalla Commissione nelle sue conclusioni definitive sarebbero parimenti erronei. In primo luogo, nessuna delle informazioni fornite dalla ricorrente nell’esporre il suo metodo di contabilizzazione sarebbe stata nuova per la Commissione al momento della comunicazione delle conclusioni provvisorie, poiché tutte le ripartizioni dei costi, incluse quelle relative alla perdita di produzione, sarebbero emerse chiaramente dalla tabella dei costi di produzione che la ricorrente aveva fornito sin dalla sua risposta al questionario antidumping, vale a dire la tabella del documento 54 allegato a tale questionario. Nella sua risposta alle conclusioni provvisorie, la ricorrente avrebbe altresì fornito un nuovo foglio di lavoro che riporterebbe la ripartizione dei costi di conversione al fine di evidenziare la perdita di produzione, il quale sarebbe stato elaborato esclusivamente a partire dai dati contenuti nelle conclusioni provvisorie.

38      In secondo luogo, la perdita di produzione unitaria di cui si sarebbe avvalsa per contabilizzare il costo di conversione sarebbe stata applicata in termini di valore a tutti gli elementi del costo di conversione, incluse le spese generali, assicurandosi così adeguatamente che tutti i costi relativi alla perdita di produzione, inclusa la perdita causata dalle spese generali utilizzate per produrre la materia «persa», sarebbero stati riprodotti correttamente nel suo sistema di contabilità dei costi.

39      In terzo luogo, contrariamente a quanto asserirebbe la Commissione, il costo delle materie prime incluso nella perdita di produzione non sarebbe inferiore all’importo dichiarato come detrazione di rottami, il che risulterebbe dal foglio di calcolo esplicativo della ricorrente menzionato al punto 37 della presente sentenza. La Commissione avrebbe quindi manifestamente omesso di prendere in considerazione i dati reali e il metodo di contabilità dei costi della ricorrente relativo alla perdita di produzione. A ciò si aggiungerebbe il fatto che, se la Commissione avesse considerato correttamente i dati forniti e avesse seguito il metodo da essa stessa utilizzato nelle sue conclusioni provvisorie per identificare il consumo di materie prime, essa sarebbe stata in grado di determinare la «quantità» reale di materie prime consumate per la produzione del prodotto di cui trattasi.

40      Infine, nel regolamento impugnato, la Commissione avrebbe potuto facilmente calcolare la «quantità» reale di arrotolati laminati a caldo consumati per la produzione del prodotto di cui trattasi sulla base dei dati disponibili, utilizzando il metodo che essa stessa aveva applicato nella fase provvisoria, contrariamente a quanto afferma la Commissione al considerando 61 del regolamento impugnato.

41      La ricorrente respinge altresì l’asserzione formulata dalla Commissione secondo cui essa avrebbe fornito informazioni «frammentarie e fluttuanti» sui costi di produzione durante il periodo d’inchiesta e dopo la visita di verifica. La ricorrente osserva, in proposito, che essa ha risposto a tutti i punti nella sua risposta al questionario, che successivamente si è conformata, nei termini, a tutte le domande della Commissione, prima, durante e dopo la verifica in loco, che ha spiegato il motivo per cui i costi di produzione erano stati modificati quando, su richiesta della Commissione, ha trasmesso la seconda tabella dei costi di produzione, che ha risposto alla totalità del questionario supplementare della Commissione, inviato il 9 febbraio 2015, dopo la visita di verifica e che ha spiegato nuovamente il suo metodo di ripartizione dei costi nelle proprie osservazioni sulle conclusioni provvisorie che, per la prima volta, menzionavano il rifiuto di accettare la detrazione dei rottami. Un metodo del genere renderebbe inutile qualsiasi informazione relativa alle quantità di arrotolati laminati a caldo. Tuttavia, tale informazione sarebbe stata a disposizione della Commissione.

42      Inoltre, anche l’argomentazione della Commissione secondo cui essa non disponeva di dati sufficienti sulle «quantità» di arrotolati laminati a caldo consumati per la fabbricazione del prodotto in esame, «che sono necessari per verificare l’esattezza de[lle] affermazioni [della ricorrente]», sarebbe pertanto erronea.

43      In primo luogo, le informazioni sulle quantità di arrotolati «neri», vale a dire quelli acquistati e utilizzati per la produzione del prodotto di cui trattasi, sarebbero state fornite nel documento 56 allegato alla risposta al questionario, mentre, nella tabella del documento 6 intitolata «Riconciliazione delle vendite» (foglio intitolato «Riconoscimento per tipo di prodotto») risultante dalla verifica, avrebbe indicato la quantità di arrotolati «neri» venduti, tutti prodotti internamente, cosicché la Commissione avrebbe potuto ottenere la quantità di arrotolati «neri» acquistati e consumati per la fabbricazione del prodotto in esame procedendo a un calcolo abbastanza semplice e, pertanto, le informazioni richieste in termini di volume sarebbero state fornite nel corso del procedimento amministrativo. Essa avrebbe anche distinto chiaramente gli arrotolati «neri» dagli arrotolati «bianchi» (o «n. 1») acquistati e venduti. In secondo luogo, la ricorrente afferma di aver sempre risposto alle questioni della Commissione nel corso dell’inchiesta e che, nella risposta al questionario, non sarebbero state richieste informazioni specifiche sulle quantità di arrotolati laminati a caldo acquistati e consumati per la fabbricazione del prodotto di cui trattasi, sebbene il documento 56 allegato alla risposta al questionario fornisse informazioni sulla quantità di arrotolati «neri». Durante la verifica, la ricorrente avrebbe inoltre fornito informazioni sulla quantità di arrotolati «neri» venduti dopo un trattamento complementare (tabella del documento 6 «Rinconciliazione delle vendite»), il che avrebbe consentito di determinare la quantità di arrotolati «neri» utilizzati per la produzione a valle. Dopo la verifica, la Commissione avrebbe trasmesso un questionario supplementare in cui non chiedeva informazioni aggiuntive sulle quantità di arrotolati laminati a caldo acquistati o consumati. In terzo luogo, le informazioni sui volumi di arrotolati laminati a caldo acquistati erano irrilevanti nel caso di specie, poiché la Commissione aveva in ogni caso deciso di non tener conto del costo di tali acquisti e di sostituirlo con il costo degli arrotolati laminati a caldo prodotti internamente.

44      La ricorrente aggiunge che tutte le informazioni e tutti i documenti che aveva fornito alla Commissione dopo la verifica in loco, su richiesta di quest’ultima, nonché nelle sue osservazioni sulle conclusioni di tale istituzione, si basavano su dati e tabelle che la Commissione aveva ricevuto prima della visita di verifica in loco o che essa stessa aveva prodotto e che non richiedevano una verifica effettiva.

45      La Commissione non sarebbe in grado di esibire un documento che attesti l’espressa richiesta alla ricorrente di fornirle i dati asseritamente mancanti relativi ai volumi di arrotolati laminati a caldo acquistati e consumati e il rifiuto della ricorrente di trasmettere tali dati, poiché quest’ultima avrebbe in realtà appreso per la prima volta nel documento contenente le conclusioni definitive che la Commissione contestava la quantità reale di materia prima consumata per la fabbricazione del prodotto di cui trattasi.

46      Più in generale, la ricorrente osserva che la Commissione non ha mai chiesto formalmente informazioni sulle quantità, che tale domanda non figurava nel questionario standard né nel questionario supplementare, che la Commissione ha chiesto dette informazioni una sola volta durante la verifica, che la ricorrente ha fornito le informazioni sulle quantità indicate nel documento 56 allegato al questionario, che, tuttavia, la Commissione non è mai ritornata su tale questione quando, nel corso della verifica, ha formulato l’idea, che alla fine ha accolto, di sostituire il costo degli arrotolati laminati a caldo acquistati con quello degli arrotolati laminati a caldo prodotti internamente, e che, dopo la verifica, la Commissione ha chiesto unicamente di fornirle una nuova tabella dei costi di produzione in cui il costo degli arrotolati acquistati sarebbe stato sostituito con quello degli arrotolati prodotti internamente.

47      In conclusione, le affermazioni della Commissione secondo cui la ricorrente non avrebbe fornito dati sufficienti o sarebbe venuta meno al proprio dovere di cooperazione non sarebbero fondate e non potrebbero giustificare il suo rifiuto di accettarne i suoi documenti contabili e il consueto metodo di ripartizione dei costi da essa applicato, in palese violazione dell’articolo 2, paragrafo 5, del regolamento di base.

48      In secondo luogo, a causa di detta violazione, la Commissione sarebbe giunta alla conclusione manifestamente erronea secondo cui la ricorrente non avrebbe pienamente integrato la perdita di produzione degli arrotolati laminati a caldo acquistati nel costo di produzione del prodotto di cui trattasi, cosicché la Commissione avrebbe parimenti errato nel rifiutare di conseguenza la detrazione dei rottami riciclati dal costo di produzione del prodotto in esame, aumentando così artificiosamente il valore normale in violazione dell’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento di base.

49      In proposito, la ricorrente osserva che se, come sostiene la Commissione, la situazione in esame rientra nell’ambito dell’articolo 2, paragrafo 4, del regolamento di base (divenuto articolo 2, paragrafo 4, del regolamento 2016/1036), che fornisce spiegazioni sul paragrafo 3 di tale articolo, quest’ultimo paragrafo è necessariamente rilevante. Inoltre, ponendo l’accento su prezzi «artificialmente bassi», detto paragrafo riguarderebbe chiaramente le presunte vendite in perdita. Infine, solo l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento di base prevederebbe il calcolo del valore normale e l’errore di calcolo della Commissione, che aumenterebbe artificiosamente il valore normale, violerebbe pertanto tale articolo.

50      In terzo luogo, rifiutando di accettare la detrazione dei rottami riciclati, la Commissione sarebbe altresì incorsa in uno sviamento di potere, avendo utilizzato la normativa antidumping per tutelare l’industria dell’Unione violando l’equilibrio negoziato raggiunto dall’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) per il prodotto di cui trattasi.

51      La Commissione e l’interveniente contestano l’argomento della ricorrente.

52      Occorre ricordare, in via preliminare, che, come sottolineato dalla Corte, la determinazione del valore normale di un prodotto costituisce una delle tappe fondamentali che devono consentire di accertare l’esistenza di un eventuale dumping. Al riguardo, tanto dalla formulazione quanto dall’economia dell’articolo 2, paragrafo 1, primo comma, del regolamento di base (divenuto articolo 2, paragrafo 1, primo comma, del regolamento 2016/1036) si evince che, nella determinazione del valore normale, è il prezzo realmente pagato o pagabile nel corso di normali operazioni commerciali che, in linea di principio, occorre prendere in considerazione in via prioritaria. Infatti, in forza dell’articolo 2, paragrafo 3, primo comma, del regolamento di base (divenuto articolo 2, paragrafo 3, primo comma, del regolamento 2016/1036), è possibile discostarsi da tale principio solo se nessuna vendita di un prodotto simile è stata effettuata nel corso di «normali operazioni commerciali», se tali vendite sono insufficienti o se vendite del genere non consentono un valido confronto. Tali deroghe al metodo di calcolo del valore normale in funzione di prezzi effettivi hanno carattere tassativo (v. sentenza del 1o ottobre 2014, Consiglio/Alumina, C‑393/13 P, EU:C:2014:2245, punti 20 e 21 e giurisprudenza ivi citata).

53      La Corte ha altresì rilevato che la finalità della nozione di normale operazione commerciale è di assicurare che il valore normale di un prodotto corrisponda il più possibile al prezzo normale del prodotto simile sul mercato interno dell’esportatore. Se una vendita è conclusa a termini e condizioni che non corrispondono alla prassi commerciale relativa alle vendite del prodotto simile nel suddetto mercato al momento rilevante per la determinazione dell’esistenza, o meno, di un dumping, essa non costituisce una base adeguata per determinare il valore normale del prodotto simile nel suddetto mercato (sentenza del 1o ottobre 2014, Consiglio/Alumina, C‑393/13 P, EU:C:2014:2245, punto 28).

54      Tuttavia, né l’accordo relativo all’applicazione dell’articolo VI dell’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio del 1994 (GATT) (GU 1994, L 336, pag. 103; in prosieguo: l’«accordo antidumping»), che figura nell’allegato 1 A dell’accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) (GU 1994, L 336, pag. 3), né il regolamento di base contengono una definizione della nozione di «normali operazioni commerciali». È vero che l’articolo 2 del regolamento di base prevede espressamente due ipotesi di vendite che, a determinate condizioni, non possono costituire simili operazioni. In primo luogo, l’articolo 2, paragrafo 1, terzo comma, del regolamento di base (divenuto articolo 2, paragrafo 1, terzo comma, del regolamento 2016/1036) specifica che i prezzi praticati tra le parti apparentemente associate oppure vincolate da un accordo di compensazione possono essere considerati come propri di normali operazioni commerciali, e possono quindi essere utilizzati per stabilire il valore normale, unicamente qualora sia dimostrato, in via eccezionale, che tale rapporto non incide sui prezzi (v. sentenza del 1o ottobre 2014, Consiglio/Alumina, C‑393/13 P, EU:C:2014:2245, punto 23 e giurisprudenza ivi citata). In secondo luogo, in forza dell’articolo 2, paragrafo 4, primo comma, del regolamento di base (divenuto articolo 2, paragrafo 4, primo comma, del regolamento 2016/1036), le vendite del prodotto simile sul mercato interno del paese esportatore, oppure le vendite destinate ad un paese terzo che sono effettuate a prezzi inferiori ai costi di produzione unitari, possono essere considerate come non eseguite nel corso di normali operazioni commerciali soltanto se è dimostrato che esse sono avvenute in un periodo di tempo prolungato, in quantitativi consistenti e a prezzi che non consentono di coprire tutti i costi entro un congruo termine (v. sentenza del 1o ottobre 2014, Consiglio/Alumina, C‑393/13 P, EU:C:2014:2245, punti 23 e 24 e giurisprudenza ivi citata).

55      Non per questo l’articolo 2 del regolamento di base fornisce un elenco tassativo dei metodi che consentono di determinare se i prezzi fossero praticati nel corso di normali operazioni commerciali. In proposito, la Corte ha precisato che la nozione di normali operazioni commerciali fa riferimento al carattere delle vendite di per sé considerate. Essa mira ad escludere, nella determinazione del valore normale, le situazioni in cui le vendite sul mercato interno non sono effettuate in condizioni commerciali normali, in particolare allorché il prodotto è venduto ad un prezzo inferiore ai costi di produzione o quando la relativa operazione avviene tra parti associate, o vincolate fra loro da un accordo di compensazione (v. sentenza del 1o ottobre 2014, Consiglio/Alumina, C‑393/13 P, EU:C:2014:2245, punto 25 e giurisprudenza ivi citata).

56      Nel caso di specie, è pacifico che, per confrontare il valore normale del prodotto di cui trattasi con i prezzi all’esportazione di tale prodotto, la Commissione ha utilizzato, nell’ambito dell’inchiesta, 784 tipi del prodotto in esame fabbricati dalla ricorrente e identificati da numeri di controllo dei prodotti. Tale inchiesta ha rivelato che, per 21 tipi di prodotto, il volume delle vendite sul mercato interno era inferiore al 5% dei volumi esportati nell’Unione, cosicché le vendite interne di cui trattasi non erano rappresentative ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, del regolamento di base. Inoltre, la conclusione secondo cui, per una minoranza delle vendite interne della ricorrente, la Commissione ha considerato che, contrariamente alle affermazioni di quest’ultima, il prezzo di vendita fosse inferiore ai costi di produzione ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 4, del medesimo regolamento è il risultato del rigetto da parte della Commissione della richiesta di detrazione dei rottami riciclati dai costi di produzione in questione, che la ricorrente aveva formulato nella tabella del documento 54 allegato alla risposta al questionario antidumping.

57      Come risulta dai punti 30, 48 e 50 della presente sentenza, la ricorrente fa valere, a sostegno del presente motivo, che, rifiutando di detrarre il valore dei rottami riciclati dal costo di produzione del prodotto di cui trattasi, la Commissione avrebbe violato l’articolo 2, paragrafi 3 e 5, del regolamento di base e sarebbe incorsa in uno sviamento di potere.

58      Per quanto concerne, in primo luogo, la presunta violazione dell’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento di base, occorre ricordare che, conformemente a tale disposizione, quando, nel corso di normali operazioni commerciali, non vi sono vendite del prodotto simile, oppure se tali vendite riguardano quantitativi insufficienti oppure se, a causa di una particolare situazione di mercato, tali vendite non permettono un valido confronto, il valore normale del prodotto simile è calcolato in base al costo di produzione nel paese d’origine, maggiorato di un congruo importo per le spese generali, amministrative e di vendita e per i profitti oppure in base ai prezzi all’esportazione, applicati nel corso di normali operazioni commerciali, ad un paese terzo appropriato, purché tali prezzi siano rappresentativi. La medesima disposizione precisa che si ritiene che sussista una particolare situazione di mercato per il prodotto interessato ai sensi della frase precedente, segnatamente, in presenza di prezzi artificialmente bassi, di accordi di compensazione e di altri regimi di perfezionamento non commerciali (sentenza del 15 settembre 2016, PT Musim Mas/Consiglio, T‑80/14, non pubblicata, EU:T:2016:504, punto 64).

59      Inoltre, come rilevato ai punti da 52 a 55 della presente sentenza, la nozione di normali operazioni commerciali di cui all’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento di base ha l’obiettivo di escludere, ai fini della determinazione del valore normale, le situazioni in cui le vendite sul mercato interno non sono effettuate in condizioni commerciali normali, in particolare allorché un prodotto è venduto ad un prezzo inferiore ai costi di produzione ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 4, primo comma, del medesimo regolamento.

60      La circostanza che, nel caso di specie, il valore normale sia stato calcolato per un certo numero di operazioni commerciali dichiarate dalla ricorrente non scaturisce dalla constatazione di una «particolare situazione di mercato per il prodotto interessato» a norma dell’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento di base, contrariamente a quanto lascia intendere la ricorrente, ma è la conseguenza diretta della conclusione della Commissione secondo cui il prodotto di cui trattasi è stato venduto a prezzi inferiori ai costi di produzione unitari (fissi e variabili), maggiorati delle spese generali, amministrative e di vendita ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 4, primo comma, del regolamento di base, a seguito del rigetto da parte della Commissione della richiesta di detrazione dei rottami presentata dalla ricorrente.

61      Pertanto, una violazione dell’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento di base, nella parte in cui elenca le differenti situazioni che determinano l’obbligo dell’autorità incaricata dell’inchiesta di calcolare il valore normale del prodotto in questione del produttore-esportatore, non può, in ogni caso, essere accertata ai fini dell’annullamento del regolamento impugnato, indipendentemente dalla constatazione di una violazione dell’articolo 2, paragrafo 4, dello stesso regolamento. Infatti, come rilevato, in particolare, al precedente punto 60, il regolamento impugnato esclude talune vendite nazionali dalla determinazione del valore normale in quanto non redditizie a norma dell’articolo 2, paragrafo 4, del regolamento di base mentre, per il resto, la ricorrente non contesta, nell’ambito del presente ricorso, il metodo seguito dalla Commissione per l’elaborazione del valore normale, quale indicato all’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento di base.

62      Per quanto concerne, in secondo luogo, la presunta violazione dell’articolo 2, paragrafo 5, del regolamento di base, va ricordato che la constatazione secondo cui le vendite del prodotto di cui trattasi non erano redditizie ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 4, del regolamento di base era la conseguenza del rifiuto della Commissione di accettare, in mancanza di prove sufficienti, la richiesta di detrarre dal costo di produzione del prodotto in esame il valore dei rottami riciclati provenienti dalla perdita di arrotolati laminati a caldo, che si verifica durante la produzione del prodotto in questione. Secondo la ricorrente, detto rifiuto viola, oltre all’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento di base, l’articolo 2, paragrafo 5, di tale regolamento, in quanto la Commissione avrebbe erroneamente rifiutato di prendere in considerazione i suoi registri contabili e il suo metodo di ripartizione dei costi applicato alle perdite di produzione.

63      Dall’articolo 2, paragrafo 5, primo comma, del regolamento di base (divenuto articolo 2, paragrafo 5, primo comma, del regolamento 2016/1036) risulta che i costi di produzione sono di norma calcolati sulla base dei registri contabili tenuti dalla parte sottoposta all’inchiesta, a condizione che tali registri siano conformi ai principi contabili generalmente riconosciuti nel paese interessato ed esprimano adeguatamente i costi di produzione e le spese di vendita del prodotto considerato.

64      In applicazione dell’articolo 2, paragrafo 5, secondo comma, del regolamento di base (divenuto articolo 2, paragrafo 5, secondo comma, del regolamento 2016/1036), se i costi di produzione e le spese di vendita di un prodotto oggetto di un’inchiesta non si riflettono adeguatamente nei registri contabili della parte interessata, essi saranno adeguati o calcolati sulla base dei costi di altri produttori o esportatori dello stesso paese oppure, qualora tali informazioni non fossero disponibili o utilizzabili, sulla base di qualsiasi altro riferimento adeguato, comprese le informazioni ricavate da altri mercati rappresentativi.

65      L’articolo 2, paragrafo 5, terzo comma, del regolamento di base (divenuto articolo 2, paragrafo 5, terzo comma, del regolamento 2016/1036) aggiunge che sono presi in considerazione gli elementi di prova comunicati relativi alla corretta ripartizione dei costi, a condizione che sia dimostrato che tali metodi sono tradizionalmente utilizzati.

66      Pertanto, dalla formulazione testuale dell’articolo 2, paragrafo 5, primo comma, del regolamento di base risulta che i registri contabili della parte sottoposta all’inchiesta costituiscono la fonte privilegiata di informazioni per stabilire i costi di produzione del prodotto in questione, e che l’utilizzazione di dati presenti in tali registri contabili costituisce la regola generale, mentre il loro adeguamento o la loro sostituzione con un’altra base di riferimento adeguata costituisce l’eccezione. Tenuto conto del principio secondo cui una deroga o un’eccezione ad una regola generale deve essere interpretata restrittivamente, si deve considerare che il regime d’eccezione che risulta dall’articolo 2, paragrafo 5, del regolamento di base deve essere interpretato in modo restrittivo (v., in tal senso, sentenza del 15 settembre 2016, PT Musim Mas/Consiglio, T‑80/14, non pubblicata, EU:T:2016:504, punti 68, 69 e 83).

67      Inoltre, per quanto riguarda l’onere della prova della sussistenza di elementi che giustifichino l’applicazione dell’articolo 2, paragrafo 5, primo comma, del regolamento di base, incombe alle istituzioni, qualora ritengano di dover ignorare i costi di produzione presenti nei documenti contabili della parte sottoposta all’inchiesta per sostituirli con un altro prezzo ritenuto adeguato, fondarsi su prove o quanto meno su indizi che consentano di accertare la sussistenza del fattore, in considerazione del quale si procede all’adeguamento (sentenza del 15 settembre 2016, PT Musim Mas/Consiglio, T‑80/14, non pubblicata, EU:T:2016:504, punto 82).

68      Infine, va altresì ricordato che, nell’ambito delle misure di difesa commerciale, le istituzioni godono di un ampio potere discrezionale in considerazione della complessità delle situazioni economiche, politiche e giuridiche che devono esaminare (v. sentenza del 23 settembre 2009, Dongguan Nanzha Leco Stationery/Consiglio, T‑296/06, non pubblicata, EU:T:2009:347, punto 40 e giurisprudenza ivi citata). Pertanto, il controllo del giudice dell’Unione sulle valutazioni delle istituzioni deve limitarsi all’accertamento del rispetto delle norme procedurali, dell’esattezza materiale dei fatti considerati nell’operare la scelta contestata, nonché dell’assenza di errore manifesto nella valutazione di tali fatti o di sviamento di potere (v. sentenze del 28 ottobre 2004, Shanghai Teraoka Electronic/Consiglio, T‑35/01, EU:T:2004:317, punti 48 e 49 e giurisprudenza ivi citata, e del 4 ottobre 2006, Moser Baer India/Consiglio, T‑300/03, EU:T:2006:289, punto 28 e giurisprudenza ivi citata). Tale limitato controllo giurisdizionale si estende in particolare alla scelta fra i diversi metodi di calcolo del margine di dumping e alla determinazione del valore normale di un prodotto (v. sentenza del 23 settembre 2009, Dongguan Nanzha Leco Stationery/Consiglio, T‑296/06, non pubblicata, EU:T:2009:347, punto 41 e giurisprudenza ivi citata).

69      È alla luce di tali considerazioni che occorre esaminare se il rifiuto della Commissione di accettare la detrazione dei rottami riciclati dal costo di produzione del prodotto in esame, quale rivendicata dalla ricorrente, violi l’articolo 2, paragrafo 5, del regolamento di base.

70      È evidente anzitutto che, come risulta dalla giurisprudenza richiamata ai punti 66 e 67 della presente sentenza, l’articolo 2, paragrafo 5, del regolamento di base non obbligava la Commissione ad accettare incondizionatamente e senza procedere alle verifiche necessarie le informazioni relative ai costi di produzione e alla detrazione dei rottami contenute nei registri contabili della ricorrente.

71      Tale conclusione è confermata dall’articolo 6, paragrafo 8, del regolamento di base (divenuto articolo 6, paragrafo 8, del regolamento 2016/1036), il quale stabilisce che, salvo nei casi di cui all’articolo 18 del regolamento di base (divenuto articolo 18 del regolamento 2016/1036), l’esattezza delle informazioni comunicate dalle parti interessate e sulle quali si basano le risultanze deve essere accertata con la massima accuratezza (v., per analogia, sentenza del 15 giugno 2017, T.KUP, C‑349/16, EU:C:2017:469, punto 32), e ciò nonostante l’affermazione della ricorrente secondo cui, da un lato, il metodo di ripartizione dei costi, denominato «Sistema dei costi per processo», da essa utilizzato ai fini del calcolo del costo di produzione del prodotto di cui trattasi sarebbe ampiamente noto e accettato e, dall’altro, i documenti contabili sarebbero stati conformi ai principi contabili generalmente riconosciuti in Taiwan. Analogamente, l’articolo 6.6 dell’accordo antidumping prevede che, salvo nei casi di cui all’articolo 6.8, le autorità debbano accertarsi, nel corso di un’inchiesta, dell’«esattezza delle informazioni fornite dalle parti interessate e sulle quali basano le proprie conclusioni». Tale obbligo di verifica costituisce l’espressione, nell’ambito dell’imposizione di misure antidumping, di un principio più generale che impone a qualsiasi organismo, nonostante il suo ampio potere discrezionale, di effettuare un esame preciso e di basare la propria valutazione su prove sufficienti [v., per analogia, sentenza del 12 dicembre 2014, Crown Equipment (Suzhou) e Crown Gabelstapler/Consiglio, T‑643/11, EU:T:2014:1076, punto 101 (non pubblicata)].

72      In tale contesto va ricordato, in particolare, che dall’articolo 6, paragrafo 2, del regolamento di base (divenuto articolo 6, paragrafo 2, del regolamento 2016/1036) emerge che i servizi della Commissione, al fine di ottenere le informazioni necessarie per l’inchiesta antidumping, elaborano e trasmettono alle parti interessate un questionario e che dette parti hanno l’obbligo di fornire a tali servizi le informazioni che consentiranno loro di condurre a buon fine l’inchiesta antidumping [sentenza del 14 dicembre 2017, EBMA/Giant (Cina), C‑61/16 P, EU:C:2017:968, punti 50 e 51].

73      Questa conclusione è ulteriormente confermata dall’articolo 16, paragrafi 1 e 3, del regolamento di base (divenuto articolo 16, paragrafi 1 e 3, del regolamento 2016/1036), secondo cui, da un lato, la Commissione è autorizzata ad effettuare visite per verificare, in particolare, le informazioni fornite in merito al dumping e al pregiudizio e, dall’altro, le imprese interessate sono informate sulla natura delle informazioni da verificare e su tutte le altre informazioni da fornire durante tali visite, il che non impedisce di chiedere in loco altre precisazioni alla luce delle informazioni ottenute. Ne consegue, segnatamente, che le informazioni contenute nei registri dell’impresa interessata devono poter essere oggetto di verifiche incrociate.

74      Infatti, uno degli strumenti di cui dispone l’autorità incaricata dell’inchiesta per adempiere al suo obbligo in forza dell’articolo 6, paragrafo 8, del regolamento di base è la visita di verifica in loco a norma dell’articolo 16 del medesimo regolamento, se detta autorità lo ritiene opportuno. L’articolo 6.7 dell’accordo antidumping stabilisce che, «[a]l fine di verificare le informazioni ricevute o di ottenere ulteriori particolari, le autorità possono svolgere le indagini necessarie nel territorio di altri [Stati] membri, sempreché ottengano il consenso delle aziende interessate e ne diano notifica ai rappresentanti del governo del[lo Stato] membro in questione, e sempreché tale [Stato] membro non si opponga all’indagine».

75      Come dichiarato dal Tribunale, le risposte delle parti al questionario di cui all’articolo 6, paragrafo 2, del regolamento di base nonché la successiva verifica cui la Commissione può procedere in loco, prevista all’articolo 16 del medesimo regolamento, sono essenziali per lo svolgimento della procedura antidumping (v. sentenza del 30 aprile 2015, VTZ e a./Consiglio, T‑432/12, non pubblicata, EU:T:2015:248, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).

76      Va altresì ricordato che, conformemente all’articolo 18, paragrafo 3, del regolamento di base (divenuto articolo 18, paragrafo 3, del regolamento 2016/1036), «[l]e informazioni presentate da una parte interessata che non sono perfettamente conformi alle condizioni richieste non devono essere disattese, a condizione che le eventuali carenze non siano tali da provocare eccessive difficoltà per l’elaborazione di conclusioni sufficientemente precise e che le informazioni siano state presentate correttamente entro i termini[,] siano verificabili e la parte interessata abbia agito con la migliore diligenza». Inoltre, dall’articolo 18, paragrafi 3 e 6, del regolamento di base (divenuto articolo 18, paragrafi 3 e 6, del regolamento 2016/1036) emerge che le informazioni che le parti interessate hanno l’obbligo di fornire alla Commissione devono essere utilizzate dalle istituzioni dell’Unione ai fini dell’elaborazione delle conclusioni dell’inchiesta antidumping e che queste stesse parti non devono omettere di comunicare informazioni pertinenti. Il carattere necessario di un elemento d’informazione specifico va valutato caso per caso [sentenza del 14 dicembre 2017, EBMA/Giant (Cina), C‑61/16 P, EU:C:2017:968, punto 52].

77      Inoltre, come rilevato dal giudice dell’Unione, è vero che spetta alla Commissione, in quanto autorità investigatrice, determinare l’esistenza di un dumping, di un danno e di un nesso di causalità tra le importazioni oggetto del dumping e il danno. Tuttavia, poiché nessuna disposizione del regolamento di base conferisce alla Commissione il potere di costringere le parti interessate a partecipare all’inchiesta o a fornire informazioni, tale istituzione è tributaria della cooperazione volontaria di dette parti a fornirle le informazioni necessarie (v., per analogia, sentenza del 30 aprile 2015, VTZ e a./Consiglio, T‑432/12, non pubblicata, EU:T:2015:248, punto 29).

78      Dalle considerazioni che precedono si evince che la verifica è intesa a consentire alla Commissione di adempiere ai propri compiti e, in particolare, di comprendere e verificare le modalità di elaborazione dei dati e, più in generale, di assicurarsi dell’«esattezza» delle informazioni fornite dall’impresa sottoposta a verifica, la quale deve rispondere al meglio delle sue possibilità e in modo esaustivo alle questioni poste dalla Commissione e non deve omettere di fornire tutti i dati e le spiegazioni utili affinché quest’ultima possa procedere ai controlli incrociati, necessari per verificare l’esattezza dei dati forniti e giungere a conclusioni sufficientemente precise in tempo utile e, in ogni caso, prima della fine della verifica, a pena di non poterne più tener conto. Come giustamente rilevato dall’interveniente, ciò vale segnatamente quando, come nella fattispecie, si tratta di dati numerici che possono essere elaborati sulla base di differenti ipotesi e la cui verifica è essenziale per garantire l’integrità della procedura, in particolare quando è inoltre pacifico che la ricorrente aveva dichiarato un basso profitto di [riservato] (1) sulle vendite interne del prodotto in questione.

79      A quest’ultimo riguardo, si deve rammentare in particolare che, come rilevato, segnatamente, ai punti 54 e 55 della presente sentenza, in forza dell’articolo 2, paragrafo 4, primo comma, del regolamento di base, le vendite del prodotto di cui trattasi sul mercato interno del paese esportatore a prezzi inferiori ai costi di produzione unitari (fissi e variabili), maggiorati delle spese generali, amministrative e di vendita, possono, a determinate condizioni, essere considerate come non eseguite nel corso di normali operazioni commerciali. La nozione di normali operazioni commerciali mira ad escludere, nella determinazione del valore normale, le situazioni in cui le vendite sul mercato interno non sono effettuate in condizioni commerciali normali, in particolare allorché un prodotto è venduto ad un prezzo inferiore ai costi di produzione (v. sentenza del 1o ottobre 2014, Consiglio/Alumina, C‑393/13 P, EU:C:2014:2245, punto 25 e giurisprudenza ivi citata).

80      La verifica della redditività delle vendite sul mercato interno costituisce quindi un elemento chiave dell’inchiesta antidumping. A tal fine, in particolare, il questionario antidumping prevede, segnatamente, due sezioni, intitolate rispettivamente «Costi di produzione» (sezione F) e «Redditività» (sezione G). La verifica in loco consente alla Commissione di effettuare ulteriori controlli a seguito delle risposte ricevute nel frattempo dall’impresa sottoposta a controllo.

81      Orbene, secondo la Commissione, l’inchiesta aveva rivelato che la tecnica contabile utilizzata dalla ricorrente per contabilizzare la detrazione dei rottami di cui trattasi le aveva consentito di detrarre, in un primo tempo, le perdite materiali subite durante il processo produttivo e, in un secondo tempo, le perdite materiali tra tali perdite che erano state trasformate in rottami, il che aveva portato, in definitiva, a una doppia detrazione di queste ultime perdite dal costo di produzione. Sebbene la ricorrente avesse tentato di chiarire il proprio sistema di contabilità dei costi durante la visita di verifica in loco, sarebbe stato solo dopo l’adozione del regolamento provvisorio, nelle sue osservazioni sulle conclusioni provvisorie del 20 aprile 2015, che essa avrebbe spiegato che, nel suo sistema di contabilità analitica, le perdite materiali di rottami, in realtà, avrebbero fatto parte delle spese generali di produzione, ragion per cui non figuravano nel costo di produzione.

82      La Commissione fa valere al riguardo che il metodo di ripartizione dei costi molto specifico utilizzato dalla ricorrente, basato «sui costi di produzione», poiché, secondo le spiegazioni della stessa ricorrente, imputa la perdita di produzione unitaria ai vari elementi del costo di conversione, quali i costi di manodopera, gli ammortamenti, i costi di energia elettrica o altri costi di conversione, comporta una mescolanza di dati sui costi di produzione ben definiti e di dati generali relativi alle spese generali, con il rischio di una doppia detrazione della perdita di produzione e di una riduzione artificiale dei costi che ciò comporta, e non consente di verificare con precisione se i costi di produzione e di vendita si riflettano adeguatamente nei registri contabili.

83      Inoltre, la Commissione osserva che essa ha dovuto affrontare ulteriori problemi per verificare la veridicità dell’affermazione della ricorrente secondo cui il costo di produzione doveva essere ridotto a causa della detrazione dei rottami richiesta. Da un lato, come anche rilevato al considerando 76 del regolamento provvisorio, le cui conclusioni sono confermate al considerando 62 del regolamento impugnato, la Commissione ricorda di non aver potuto prendere in considerazione i dati sul prezzo di acquisto del volume significativo di arrotolati laminati a caldo acquistati dalla ricorrente dal suo fornitore collegato LISCO, in quanto tali prezzi non erano stati stabiliti secondo il principio di piena concorrenza, il che non è contestato dalla ricorrente. Dall’altro lato, e soprattutto, come sottolineato al considerando 61 del regolamento impugnato, la ricorrente non avrebbe mai fornito, nel corso del procedimento amministrativo, informazioni affidabili e precise sulle quantità effettive di arrotolati laminati a caldo acquistati che sarebbero stati specificamente consumati nel processo di fabbricazione del prodotto di cui trattasi, ma si sarebbe riferita ai suoi metodi contabili, mentre sarebbe pacifico che essa vende anche arrotolati laminati a caldo che, pertanto, non sarebbero stati tutti utilizzati in detto processo.

84      In proposito, la Commissione sostiene, in primo luogo, che la tabella sui costi di produzione, oggetto del documento 54 fornito dalla ricorrente in risposta al questionario antidumping, non indica la «quantità» totale degli arrotolati laminati a caldo che sono stati «acquistati e consumati» nel processo di fabbricazione del prodotto in esame, mentre quest’ultima vende anche arrotolati laminati a caldo.

85      La Commissione afferma, in secondo luogo, che la tabella riveduta sui costi di produzione del prodotto di cui trattasi, fornita dalla ricorrente al termine della visita di verifica in loco il 17 novembre 2014, in risposta a una richiesta, formulata all’inizio di detta visita, di fornire informazioni sulla quantità di arrotolati laminati a caldo acquistati presso la LISCO, in particolare, nella misura in cui, da un lato, la tabella iniziale sui costi di produzione del prodotto in questione non distingueva tra il costo di produzione del prodotto fabbricato a partire da arrotolati acquistati dalla LISCO e il costo di produzione del prodotto fabbricato a partire da arrotolati prodotti internamente e, dall’altro, la ricorrente non aveva dichiarato separatamente il costo di produzione degli arrotolati laminati a caldo e il costo di produzione del prodotto di cui trattasi fabbricato a partire da questi ultimi, riguardava unicamente il «valore di acquisizione» degli arrotolati acquistati e non la loro quantità come richiesto.

86      In terzo luogo, la Commissione afferma che, nella seconda tabella riveduta sui costi di produzione fornita dalla ricorrente dopo la visita di verifica in loco, il 21 novembre 2014, durante la quale la Commissione aveva chiesto alla ricorrente che le indicasse, nella tabella del documento 54 comunicata nella risposta al questionario antidumping, il punto in cui figuravano le informazioni sul volume reale degli arrotolati laminati a caldo «acquistati e consumati nella fabbricazione del prodotto di cui trattasi», spiegando che doveva sostituire i dati riguardanti l’acquisto di arrotolati con quelli relativi alla produzione interna, i costi di produzione unitari erano inferiori a quelli forniti nel questionario antidumping e verificati in loco e, pertanto, non avevano potuto essere utilizzati in quanto non potevano più essere verificati.

87      Va osservato, in proposito, che la ricorrente non contesta il fatto di non aver mai indicato la quantità esatta di arrotolati laminati a caldo acquistati presso il suo fornitore collegato, la LISCO, che sono stati utilizzati specificamente nella fabbricazione del prodotto in esame.

88      Orbene, come rilevato al punto 78 della presente sentenza, e anche supponendo che la ricorrente abbia fornito tempestivamente tutte le spiegazioni necessarie sul metodo di ripartizione dei costi da essa utilizzato e che questo metodo possa essere considerato ampiamente noto e accettato, la Commissione era, in ogni caso, legittimata a chiedere alla ricorrente di fornirle tutte le informazioni essenziali che riteneva necessarie per comprendere le modalità di elaborazione dei dati in questione e verificare l’esattezza della detrazione dei rottami richiesta e, in particolare, le informazioni relative a tutte le quantità di arrotolati laminati a caldo che erano stati utilizzati specificamente per la fabbricazione del prodotto di cui trattasi e che costituivano il principale fattore che aveva inciso sul costo di produzione del prodotto in esame, senza le quali era impossibile effettuare un controllo incrociato sulle informazioni espresse in valore e procedere ad una riconciliazione corretta delle vendite. Infatti, come sostengono giustamente la Commissione e l’interveniente, e come risulta dal considerando 61 del regolamento impugnato, le informazioni espresse in valore presentate nei conti devono poter essere verificate, per quanto possibile, sulla base di dati quantitativi affidabili per garantire che i conti presentino un’immagine fedele della situazione dell’impresa e per poter verificare, nel caso di specie, la validità del metodo di ripartizione dei costi applicato dalla ricorrente.

89      Gli argomenti addotti dalla ricorrente per giustificare la mancata comunicazione di informazioni sul volume esatto di acquisto di arrotolati laminati a caldo utilizzati specificamente per la produzione del prodotto in esame non possono essere accolti.

90      Anzitutto, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, nella sezione F, intitolata «Costi di produzione», punto 2, intitolato «Processo di produzione e costo di produzione del prodotto oggetto dell’inchiesta», paragrafo 6, del questionario antidumping, erano state effettivamente chieste informazioni sul volume degli «acquisti totali di materie prime utilizzate nella fabbricazione del prodotto oggetto dell’indagine» mentre, come si evince dal punto 102 della presente sentenza, la ricorrente ha fornito, in proposito, il documento 56 relativo al consumo in volume di arrotolati laminati a caldo per tutti i prodotti fabbricati a partire da tali arrotolati, senza limitare tale documento agli arrotolati consumati per la fabbricazione dell’unico prodotto di cui trattasi.

91      Inoltre, come rilevato al punto 85 della presente sentenza, poiché, tra l’altro, la ricorrente aveva raggruppato nella stessa tabella del documento 54, fornita in risposta al questionario antidumping, il costo di produzione del prodotto di cui trattasi che fabbricava utilizzando arrotolati laminati a caldo prodotti «internamente» e il costo di produzione del prodotto in questione che fabbricava a partire da arrotolati laminati a caldo «acquistati», e poiché non aveva dichiarato separatamente il costo di produzione degli arrotolati laminati a caldo e il costo di produzione del prodotto in esame fabbricato a partire da questi ultimi, la Commissione poteva ritenere, senza incorrere in errore manifesto, che le fosse impossibile verificare che tutti i costi si riflettessero fedelmente nel costo di produzione dichiarato e che si dovesse prestare particolare attenzione alla ripartizione esatta dei costi ricorrendo alle informazioni relative ai volumi consumati.

92      Contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, la circostanza – enunciata nelle conclusioni provvisorie e al considerando 76 del regolamento provvisorio – che, alla luce dei legami esistenti tra la ricorrente e il suo fornitore LISCO, la Commissione, per la determinazione del costo di produzione del prodotto in esame, abbia dovuto sostituire il costo di acquisto degli arrotolati laminati a caldo acquistati dalla LISCO con il costo di produzione degli arrotolati laminati a caldo fabbricati internamente non ha in alcun modo prodotto la conseguenza di esentare la ricorrente dal fornire tutte le informazioni necessarie e affidabili, su richiesta esplicita della Commissione, in merito al volume di arrotolati laminati a caldo acquistati e consumati nella fabbricazione del prodotto in questione.

93      Infatti, in mancanza di detta informazione, la Commissione ha dovuto fare affidamento su una percentuale di quantitativi di arrotolati laminati a caldo, indipendentemente dal loro uso, per valutare la detrazione dei rottami richiesta e sostituire le quantità sconosciute acquistate presso la LISCO destinate specificamente alla fabbricazione del prodotto di cui trattasi. Inoltre, la sostituzione del costo degli acquisti di arrotolati laminati a caldo dalla LISCO rendeva necessario conoscere il volume esatto degli arrotolati in questione, dato che il costo di produzione interno era applicato a tale volume. Infine, come osserva ancora una volta giustamente la Commissione, poiché il processo di produzione di un prodotto piatto laminato a freddo a partire da arrotolati laminati a caldo è lo stesso, a prescindere dal fatto che questi ultimi siano acquistati o prodotti internamente, e dal momento che, pertanto, anche il rapporto costi/rottami dovrebbe essere identico in entrambi i casi, è essenziale disporre dei dati sul volume di arrotolati acquistati per verificare che i due processi produttivi raggiungano il medesimo risultato e confermare così la validità dei dati relativi al volume degli arrotolati laminati a caldo prodotti internamente.

94      Inoltre, l’argomento sollevato dalla ricorrente in risposta a un quesito scritto del Tribunale e in udienza, secondo cui la ricerca di informazioni sul volume esatto degli arrotolati laminati a caldo acquistati per fabbricare proprio il prodotto di cui trattasi avrebbe comportato un carico di lavoro sproporzionato in assenza di solleciti da parte della Commissione, e secondo cui essa poteva legittimamente ritenere che tali informazioni non fossero più necessarie, deve essere parimenti respinto, se non altro in quanto, da un lato, la Commissione non ha mai espresso la benché minima intenzione di rinunciare a detta informazione e, dall’altro, la ricorrente non ha diligentemente chiesto a detta istituzione se confermasse la presunta rinuncia all’informazione richiesta. Come osserva ancora una volta giustamente la Commissione, essa non è ritornata su detta richiesta di informazioni nel suo questionario complementare elaborato il 9 febbraio 2015 dopo la visita di verifica, per il solo motivo che tale questionario riguardava unicamente le vendite all’esportazione e non aveva alcuna incidenza sulla richiesta di cui trattasi.

95      La Commissione fa valere che, non avendo potuto quindi verificare l’esattezza della detrazione dei rottami rivendicata in mancanza di informazioni complete e affidabili sui volumi richiesti, e al fine di svolgere correttamente il suo compito di verificare l’esattezza dei dati forniti dalla ricorrente conformemente agli obblighi derivanti, segnatamente, dall’articolo 6, paragrafo 8, del regolamento di base, essa ha calcolato, in particolare, sulla base dei dati e delle spiegazioni forniti dalla ricorrente, la quantità di rottami riciclati generata in occasione della fabbricazione del prodotto di cui trattasi, calcolando anzitutto l’importo totale del prodotto in esame fabbricato a partire da arrotolati laminati a caldo acquistati o prodotti internamente per tre categorie del prodotto in questione, che rappresentavano congiuntamente l’87,5% della produzione totale in volume. Dalle spiegazioni della Commissione si evince che il volume di arrotolati laminati a caldo effettivamente consumati nel processo di fabbricazione del prodotto di cui trattasi è stato calcolato dividendo il valore totale degli arrotolati laminati a caldo acquistati e consumati nel processo di fabbricazione del prodotto in esame, quale indicato dalla ricorrente stessa nel documento 54 allegato alla risposta al questionario antidumping, per il loro prezzo medio ponderato durante il periodo d’inchiesta. Orbene, il confronto tra le due cifre rivelava, secondo la Commissione, che il volume di arrotolati laminati a caldo consumati era quasi equivalente al volume del prodotto in questione fabbricato, e ciò valeva sia per gli arrotolati acquistati sia per quelli prodotti internamente. La conclusione secondo cui, alla luce dei dati forniti, la detrazione dei rottami richiesta era già stata pertanto effettuata e, di conseguenza, non poteva essere accettata una seconda volta, per non creare una doppia detrazione dell’importo in questione dai costi di produzione dei vari tipi del prodotto in esame, è stata spiegata al considerando 77 del regolamento provvisorio e nell’allegato 2 alle conclusioni provvisorie.

96      Nelle sue osservazioni sulle conclusioni provvisorie, la ricorrente ha contestato queste ultime spiegando, per la prima volta, che le perdite in rottami, vale a dire il valore degli arrotolati laminati a caldo trasformati in rottami, erano state contabilizzate come parte delle spese generali di produzione, e fornendo una terza versione della tabella sui costi di produzione che mostrava le perdite in rottami in una colonna separata, trasferendo alcune spese generali in questa nuova colonna. Pertanto, come risulta dal considerando 60 del regolamento impugnato, secondo le spiegazioni della ricorrente, la perdita di produzione equivale al totale del costo delle materie prime non trasformate in prodotto finito, più le spese generali di produzione imputate alla perdita di produzione.

97      In proposito, da un lato, occorre rilevare che tali spiegazioni sul metodo di ripartizione dei costi di produzione della ricorrente sono state fornite per la prima volta unicamente nella risposta alle conclusioni provvisorie, indipendentemente persino dal fatto se detto metodo, come sostiene la ricorrente, sia «ben noto e ampiamente accettato» e se i documenti contabili di cui trattasi siano «conformi ai principi contabili generalmente riconosciuti nel paese interessato» ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 5, primo comma, del regolamento di base (divenuto articolo 2, paragrafo 5, primo comma, del regolamento 2016/1036). Orbene, spettava alla ricorrente trasmettere alla Commissione, sin dall’inizio del procedimento e agendo con la massima diligenza, tutte le informazioni utili per una comprensione appropriata di detto metodo al fine di evitare di ostacolare il corretto svolgimento del procedimento antidumping e di consentire alla Commissione di effettuare tempestivamente le verifiche necessarie.

98      Dall’altro lato, nell’analizzare i dati presentati a seguito delle conclusioni provvisorie, la Commissione ha osservato che, oltre al fatto che l’importo dichiarato delle riduzioni delle spese generali di produzione nella nuova tabella equivaleva all’importo totale delle perdite dichiarate, il valore dei rottami dichiarato come detrazione dai costi, ossia un importo di [riservato] nuovi dollari di Taiwan (TWD), era in realtà più elevato del valore delle materie prime incluso nelle perdite di produzione, vale a dire le perdite in rottami, pari a TWD [riservato].

99      Si deve considerare che, tenuto conto dei dati e delle spiegazioni di cui la Commissione disponeva, non risulta che le valutazioni di quest’ultima, sintetizzate ai punti da 95 a 98 della presente sentenza, siano palesemente erronee, cosicché la Commissione, senza incorrere in errore manifesto, poteva ritenere che le informazioni fornite nelle osservazioni sulle conclusioni provvisorie fossero al tempo stesso tardive e inattendibili.

100    Inoltre, e in ogni caso, come rilevato in particolare ai punti da 83 a 87 della presente sentenza, né nelle osservazioni sulle conclusioni provvisorie, né nelle osservazioni sulle conclusioni definitive la ricorrente ha fornito direttamente l’informazione esatta richiesta sulle quantità effettive di arrotolati laminati a caldo acquistati e utilizzati per la fabbricazione del prodotto di cui trattasi, malgrado la domanda espressa in tal senso dalla Commissione sin dall’inizio della visita di verifica e nonostante il fatto che, contrariamente alle affermazioni della ricorrente, la Commissione l’avesse avvertita, il primo giorno della visita di verifica, delle conseguenze della mancanza di tali informazioni.

101    L’argomento della ricorrente secondo cui essa ha fornito tutti gli elementi necessari affinché la Commissione potesse determinare essa stessa con sufficiente precisione la quantità di arrotolati laminati a caldo acquistati e utilizzati specificamente nella fabbricazione del prodotto in esame deve essere parimenti respinto.

102    Infatti, contrariamente alle affermazioni formulate nella replica, né il documento 56 allegato alla risposta al questionario, che fornisce informazioni sul volume totale di arrotolati laminati a caldo acquistati, né la tabella del documento 6, intitolata «Riconciliazione delle vendite» e risultante dalla verifica, contengono informazioni sul volume di arrotolati laminati a caldo «consumati nella fabbricazione del prodotto di cui trattasi» mentre, in particolare, è pacifico che la ricorrente fabbrica anche altri prodotti oltre a quello di cui trattasi e, in particolare, arrotolati laminati a caldo (19 000 tonnellate sul suo mercato interno) e utilizza arrotolati «neri» laminati a caldo per fabbricare arrotolati «bianchi» laminati a caldo, ossia arrotolati «neri» che sono stati ricotti e decapati. In proposito, l’interveniente osserva giustamente che dalle informazioni fornite dalla ricorrente, in particolare dal documento 10 derivante dalla verifica, emerge che la ricorrente ha fabbricato durante il periodo d’inchiesta 200 000 tonnellate di arrotolati «bianchi» laminati a caldo, un volume significativo rispetto ai quantitativi di arrotolati di acciaio inossidabile laminati a freddo prodotti (550 000 tonnellate) o venduti.

103    La spiegazione fornita per la prima volta nella replica, secondo cui gli arrotolati laminati a caldo acquistati presso la LISCO sono «arrotolati neri», come indicato nel documento 56 allegato alla risposta al questionario antidumping, ossia prodotti semifiniti, i cui pochi prodotti venduti e non consumati durante la fabbricazione del prodotto di cui trattasi sono elencati nella tabella del documento 6 intitolata «Riconciliazione delle vendite» e derivante dalla verifica, cosicché tutti gli altri «arrotolati neri» sono stati consumati per la fabbricazione del prodotto in questione, deve, in ogni caso, essere respinta in quanto tardiva, poiché la Commissione non era più in grado di verificare l’esattezza dei dati ivi contenuti, mentre nulla vietava alla ricorrente di fornire tali precisazioni, in particolare, in risposta alle conclusioni provvisorie o alle conclusioni definitive e alle richieste reiterate della Commissione di disporre di informazioni precise sui differenti arrotolati laminati a caldo consumati durante la fabbricazione del prodotto in esame. A ciò la Commissione aggiunge che le tabelle del documento 56 allegato alla risposta al questionario antidumping non menzionano vendite di «arrotolati neri», in quanto le righe «Vendite» mostrano uno 0 per i quattro trimestri del 2013, e tale conclusione non può essere modificata dalla mera consegna della suddetta tabella del documento 6 durante la verifica, e che, confrontando i dati relativi al consumo totale di arrotolati laminati a caldo da parte della ricorrente nel corso del periodo d’inchiesta contenuti nelle tabelle del documento 56 sopraindicato ([riservato] TWD) e quelli concernenti il consumo di arrotolati laminati a caldo dichiarato nel documento 54 summenzionato ([riservato] TWD), il consumo indicato nel primo è nettamente superiore a quello che figura nel secondo, il che suggerisce che il consumo di arrotolati laminati a caldo non riguardava unicamente la fabbricazione del prodotto di cui trattasi e giustificava a maggior ragione il fatto che la Commissione chiedesse informazioni sui volumi consumati per verificare l’esattezza delle informazioni fornite dalla ricorrente.

104    Va osservato che non risulta che la Commissione, formulando tali valutazioni alla luce delle spiegazioni di cui disponeva, sia incorsa in errore manifesto.

105    In ogni caso, dalle considerazioni che precedono si evince che, sebbene la ricorrente abbia effettivamente fornito ulteriori informazioni, anche dopo la visita di verifica in loco, e altre informazioni supplementari successivamente all’adozione del regolamento provvisorio, essa non ha mai fornito la quantità esatta di arrotolati laminati a caldo consumati per la fabbricazione del prodotto in esame che la Commissione poteva ritenere indispensabile per lo svolgimento dei suoi compiti di verifica nella misura in cui, in particolare, la questione della detrazione dei rottami richiesta è collegata al volume di arrotolati laminati a caldo consumati nella fabbricazione del prodotto in questione. Per rifiutare di fornire le informazioni di cui trattasi, la ricorrente si limita ad affermare che, oltre al fatto che queste informazioni non erano necessarie, la Commissione avrebbe potuto calcolare essa stessa detta quantità sulla base dei dati disponibili.

106    Orbene, l’articolo 6, paragrafo 2, del regolamento di base non può essere interpretato nel senso di consentire alle parti interessate di non fornire immediatamente nelle loro risposte ai questionari antidumping tutte le informazioni e le spiegazioni necessarie per permettere alla Commissione di svolgere il suo compito, consistente nel verificare l’esattezza dei dati forniti per quanto concerne sia i volumi dei prodotti consumati sia i metodi di ripartizione dei costi in valori utilizzati, e di rivelare tali informazioni o spiegazioni indispensabili solo in funzione dell’evoluzione dell’inchiesta (v., in tal senso, sentenza del 22 maggio 2014, Guangdong Kito Ceramics e a./Consiglio, T‑633/11, non pubblicata, EU:T:2014:271, punto 61).

107    Sebbene dalla giurisprudenza richiamata al punto 77 della presente sentenza risulti che, nell’ambito del regolamento di base, spetta alla Commissione, in quanto autorità investigatrice, determinare se il prodotto considerato dal procedimento antidumping costituisca oggetto di dumping e causi un pregiudizio qualora venga immesso in libera pratica nell’Unione e, pertanto, non spetti a detta istituzione, in tale contesto, esonerarsi da una parte dell’onere della prova che le incombe al riguardo, resta cionondimeno il fatto che il regolamento di base non conferisce alla Commissione alcun potere di inchiesta che le consenta di obbligare i produttori o gli esportatori oggetto di una denuncia a fornire informazioni. In tali circostanze, la Commissione dipende dalla collaborazione volontaria delle parti per ottenere le informazioni necessarie entro i termini impartiti. In questo contesto, le risposte di tali parti al questionario di cui all’articolo 6, paragrafo 2, del regolamento di base nonché la successiva verifica cui la Commissione può procedere in loco, prevista all’articolo 16 del medesimo regolamento, sono essenziali ai fini dello svolgimento della procedura antidumping. Il rischio che, in caso di mancata cooperazione da parte delle imprese oggetto dell’inchiesta, le istituzioni prendano in considerazione dati diversi da quelli forniti in risposta al questionario è inerente alla procedura antidumping e mira ad incoraggiare la cooperazione leale e diligente di tali imprese (sentenza del 30 aprile 2015, VTZ e a./Consiglio, T‑432/12, non pubblicata, EU:T:2015:248, punto 29).

108    È vero che spetta al giudice dell’Unione assicurarsi che le istituzioni abbiano tenuto conto di tutte le circostanze rilevanti, e che abbiano valutato gli elementi versati agli atti con tutta la diligenza richiesta, perché si possa affermare che il valore normale è stato determinato in modo ragionevole (v. sentenza del 10 marzo 2009, Interpipe Niko Tube e Interpipe NTRP/Consiglio, T‑249/06, EU:T:2009:62, punto 41 e giurisprudenza ivi citata).

109    Tuttavia, nel caso di specie, la Commissione non ha applicato l’articolo 18, paragrafo 1, del regolamento di base (divenuto articolo 18, paragrafo 1, del regolamento 2016/1036), ma si è limitata a respingere le parti della risposta della ricorrente al questionario antidumping di cui non poteva verificare l’esattezza in tempo utile alla luce delle spiegazioni fornite da quest’ultima. Pertanto, la Commissione ha potuto concludere, senza incorrere in un errore manifesto di valutazione, che i dati in questione presentavano contraddizioni e lacune e che, nonostante tutta la diligenza di cui aveva dato prova nell’esame di tali dati, persisteva un dubbio sulla loro affidabilità, cosicché, nelle circostanze della fattispecie, essa poteva validamente rifiutare di accettare la domanda di detrazione dei rottami dal costo di produzione del prodotto in esame.

110    Infine, si deve aggiungere che, come emerge dalle osservazioni che precedono, la ricorrente non ha fornito elementi sufficienti a privare di plausibilità le valutazioni dei fatti accolte nel regolamento impugnato, riguardanti il rifiuto di detrarre il valore dei rottami dal costo di fabbricazione del prodotto in esame. Orbene, siffatta prova è necessaria al fine di stabilire se un’istituzione dell’Unione sia incorsa in un errore manifesto di valutazione tale da giustificare l’annullamento di un atto (v., per analogia, sentenza dell’11 settembre 2014, Gold East Paper e Gold Huasheng Paper/Consiglio, T‑444/11, EU:T:2014:773, punto 62).

111    In tali circostanze, occorre concludere che la Commissione, senza incorrere in un errore manifesto di valutazione né in un errore nell’interpretazione dell’articolo 2, paragrafo 5, del regolamento di base, ha potuto respingere la domanda di detrazione dei rottami riciclati dal costo di produzione del prodotto di cui trattasi, non avendo potuto verificare con precisione se le spese di produzione e di vendita del prodotto considerato si riflettessero adeguatamente nei registri contabili. Nella misura in cui la ricorrente sostiene che la violazione dell’articolo 2, paragrafo 5, del regolamento di base comporta una violazione dell’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento di base, anche tale addebito deve essere pertanto respinto.

112    Per quanto concerne, in terzo luogo, la contestazione della ricorrente secondo cui la Commissione sarebbe incorsa in uno sviamento di potere rifiutando di accettare la detrazione del valore dei rottami riciclati dal costo di fabbricazione del prodotto in questione, occorre rammentare che un atto è viziato da sviamento di potere solo se, in base ad indizi oggettivi, rilevanti e concordanti, risulta adottato allo scopo esclusivo, o quanto meno determinante, di raggiungere fini diversi da quelli dichiarati o di eludere una procedura appositamente prevista dal Trattato per far fronte alle circostanze del caso di specie (sentenza del 14 luglio 2006, Endesa/Commissione, T‑417/05, EU:T:2006:219, punto 258). Orbene, dalle considerazioni che precedono non solo risulta che la Commissione non è incorsa in un errore di diritto né in un errore manifesto di valutazione dei fatti rifiutando di accettare la detrazione richiesta, ma anche che la ricorrente non ha motivato la propria affermazione relativa ad un presunto sviamento di potere né l’ha suffragata con una qualsivoglia prova specifica.

113    Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre respingere il primo motivo nel suo insieme.

 Sul secondo motivo, relativo a una violazione dellarticolo 2, paragrafi 1 e 2, del regolamento di base

114    La ricorrente fa valere che le sue vendite del prodotto in esame al proprio cliente indipendente, [riservato] – che è anche distributore del prodotto in questione – pari a 120 000 tonnellate durante il periodo d’inchiesta, che essa non destinava all’esportazione e di cui ignorava la destinazione finale, erano vendite interne di cui la Commissione avrebbe dovuto tener conto per stabilire il valore normale conformemente all’articolo 2, paragrafi 1 e 2, del regolamento di base.

115    Secondo la ricorrente, la Commissione ha violato l’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento di base rifiutando, senza adeguata giustificazione, di prendere in considerazione, ai fini della determinazione del valore normale, le vendite del prodotto di cui trattasi al suo cliente indipendente in Taiwan effettuate nel corso di normali operazioni commerciali.

116    La Commissione avrebbe inoltre violato l’articolo 2, paragrafo 2, del regolamento di base, non avendo tenuto conto dei termini di questa disposizione respingendo le vendite in questione per il solo motivo che sarebbero state esportate dal cliente indipendente dopo la vendita. Infatti, anche supponendo che il considerando 59 del regolamento impugnato possa essere interpretato nel senso che il rifiuto di prendere in considerazione tali vendite al suo cliente interno indipendente si basa sulla sola constatazione dell’esportazione successiva dei prodotti di cui trattasi, un criterio del genere sarebbe contrario all’articolo 2, paragrafo 2, del regolamento di base, secondo cui la Commissione avrebbe dovuto dimostrare che la ricorrente aveva l’«intenzione» di non destinare le vendite al consumo interno. A parere della ricorrente, le vendite di cui trattasi erano destinate ad essere utilizzate da un operatore commerciale interno indipendente ed essa non aveva alcun modo di verificare se tali vendite sarebbero state successivamente esportate.

117    La ricorrente sostiene, al riguardo, che il termine «intended», che figura nella versione inglese dell’articolo 2, paragrafo 2, del regolamento di base, fa riferimento all’intenzione del venditore nel momento in cui conclude la vendita e in cui negozia e determina il prezzo di vendita in funzione della destinazione del prodotto. Secondo la ricorrente, si può presumere l’intenzione di destinare la vendita al consumo interno quando il prodotto è venduto a un cliente indipendente sul mercato interno senza alcuna intenzione specifica o prospettiva di esportazione da parte del venditore, o quando il venditore ignora che il prodotto venduto sarà esportato. L’intenzione o, quantomeno, la conoscenza soggettiva del venditore al momento della vendita per quanto concerne la successiva esportazione costituirebbe il criterio rilevante anche nella giurisprudenza dell’OMC.

118    Tale interpretazione, che si baserebbe su indicatori oggettivamente verificabili, sarebbe inoltre conforme alla logica inerente al funzionamento del regolamento di base, che mirerebbe a determinare le differenze effettive di prezzo tra le vendite interne e le vendite all’esportazione.

119    Per quanto concerne, in particolare, il criterio della «prospettiva» o dell’«anticipazione», quest’ultimo sarebbe utilizzato, segnatamente, per valutare l’esistenza di sovvenzioni all’esportazione sia nel diritto dell’OMC sia nella normativa del diritto dell’Unione. Determinare se la vendita di un prodotto costituisca o meno una vendita all’esportazione seguirebbe una logica simile, che potrebbe essere verificata oggettivamente, in particolare a seconda che la vendita a un cliente indipendente sul mercato interno sia o meno collegata ad un’esportazione reale o anticipata. In proposito, dall’esistenza della politica di sconti all’esportazione della ricorrente non si potrebbe dedurre che essa abbia previsto che le vendite controverse a [riservato] sarebbero state riesportate, poiché tale politica di sconti all’esportazione – denominata «sconti per fabbricazione ulteriore/esportazione» – non riguarderebbe il prodotto in esame in quanto non si applicherebbe alla mera rivendita del prodotto di cui trattasi e, pertanto, sarebbe irrilevante nel caso di specie, ma incoraggerebbe l’esportazione di tale prodotto dopo la trasformazione. Inoltre, la ricorrente non potrebbe determinare se e in che modo le vendite che beneficiano di questo tipo di sconti siano rivendute in un qualsiasi mercato. Le circostanze della fattispecie non comporterebbero che la ricorrente avrebbe dovuto prevedere che i suoi sconti all’esportazione sarebbero stati utilizzati per acquistare prodotti che alla fine sarebbero stati esportati tali e quali, in contraddizione con la propria politica di sconti.

120    Per quanto concerne il criterio della «conoscenza», la ricorrente fa valere che dalla prassi della Commissione risulta che questa istituzione ricorre a tale criterio per identificare le vendite all’esportazione ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 8, del regolamento di base (divenuto articolo 2, paragrafo 8, del regolamento 2016/1036), sebbene il termine «intended» non figuri in questa disposizione, cosicché tale criterio potrebbe, a maggior ragione, essere rilevante nel caso di vendite destinate al consumo interno. Detta conoscenza potrebbe essere dimostrata sulla base di prove oggettive, in funzione degli elementi di fatto del caso. Nella fattispecie, sarebbe pacifico che la ricorrente ignorava che i prodotti che vendeva all’acquirente in questione sarebbero stati riesportati, il che spiegherebbe anche che essa abbia fatturato le vendite a [riservato] applicando l’imposta sul valore aggiunto (IVA) all’aliquota del 5%, e non dello 0% applicabile alle vendite all’esportazione.

121    Infine, l’interpretazione sostenuta dalla Commissione consentirebbe di imporre a un produttore dazi antidumping imprevedibili, indipendentemente dalla politica dei prezzi di quest’ultimo, il che sarebbe contrario all’obiettivo generale di prevedibilità perseguito dal regolamento di base e dal diritto dell’OMC.

122    Pertanto, affermando, al considerando 56 del regolamento impugnato, che «la mancanza di conoscenza circa la destinazione finale di una vendita non è determinante» e non contestando che la ricorrente non avesse avuto conoscenza al momento della vendita della destinazione finale del prodotto venduto dal suo cliente indipendente, la Commissione avrebbe violato l’articolo 2, paragrafo 2, del regolamento di base, avendo rifiutato di prendere in considerazione le vendite di cui trattasi ai fini della determinazione del valore normale.

123    La Commissione e l’interveniente contestano l’argomento della ricorrente.

124    Si deve anzitutto osservare che, conformemente all’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento di base, il valore normale del prodotto in esame è di norma basato sui «prezzi pagati o pagabili, nel corso di normali operazioni commerciali, da acquirenti indipendenti nel paese esportatore» e che, ai sensi del paragrafo 2 del medesimo articolo, sono le vendite del prodotto simile «destinato al consumo sul mercato interno» ad essere di norma utilizzate per determinare il valore normale, a condizione che il volume di tali vendite corrisponda ad almeno il 5% del volume di vendite del prodotto considerato nell’Unione.

125    Inoltre, come rilevato al punto 53 della presente sentenza, la finalità della nozione di normale operazione commerciale è di assicurare che il valore normale di un prodotto corrisponda il più possibile al prezzo normale del prodotto simile sul mercato interno dell’esportatore. Se una vendita è conclusa a termini e condizioni che non corrispondono alla prassi commerciale relativa alle vendite del prodotto simile nel suddetto mercato al momento rilevante per la determinazione dell’esistenza, o meno, di un dumping, essa non costituisce una base adeguata per determinare il valore normale del prodotto simile nel suddetto mercato (sentenza del 1o ottobre 2014, Consiglio/Alumina, C‑393/13 P, EU:C:2014:2245, punto 28).

126    La ricorrente fa valere sostanzialmente che la Commissione avrebbe violato l’articolo 2, paragrafi 1 e 2, del regolamento di base, nel considerare, senza adeguata giustificazione, che talune vendite del prodotto in esame ad acquirenti indipendenti, effettuate nel corso di normali operazioni commerciali, nel paese esportatore dovessero essere escluse ai fini della determinazione del valore normale per il solo motivo che i prodotti in questione erano stati successivamente esportati. Alla luce, in particolare, della formulazione dell’articolo 2, paragrafo 2, del regolamento di base, secondo cui le vendite del prodotto di cui trattasi «destinato al consumo sul mercato interno» sono di norma utilizzate per determinare il valore normale, la Commissione avrebbe potuto validamente escludere dette vendite dal calcolo del valore normale solo dopo aver dimostrato che il venditore era a conoscenza, al momento della vendita, dell’esportazione dei prodotti in questione o aveva previsto che l’acquirente avrebbe rivenduto tali prodotti all’esportazione.

127    Per quanto concerne l’interpretazione delle disposizioni del diritto dell’Unione, da una giurisprudenza consolidata si evince che occorre tener conto non solo dei termini in cui sono redatte, ma anche del loro contesto e degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui esse fanno parte (sentenze del 19 settembre 2000, Germania/Commissione, C‑156/98, EU:C:2000:467, punto 50; del 25 ottobre 2011, eDate Advertising e a., C‑509/09 e C‑161/10, EU:C:2011:685, punto 54, e del 26 luglio 2017, Jafari, C‑646/16, EU:C:2017:586, punto 73).

128    Per quanto riguarda, in particolare, il testo di una disposizione del diritto dell’Unione, sempre per giurisprudenza costante, la formulazione utilizzata in una delle versioni linguistiche non può essere l’unico elemento a sostegno dell’interpretazione di questa disposizione né si può attribuire ad essa un carattere prioritario rispetto alle altre versioni linguistiche. Le disposizioni del diritto dell’Unione devono infatti essere interpretate ed applicate in modo uniforme, alla luce delle versioni esistenti in tutte le lingue dell’Unione. In caso di difformità tra le diverse versioni linguistiche di un testo di diritto dell’Unione, la disposizione in questione dev’essere interpretata alla luce dell’economia generale e della finalità della normativa di cui essa costituisce un elemento (v. sentenza del 1o marzo 2016, Alo e Osso, C‑443/14 e C‑444/14, EU:C:2016:127, punto 27 e giurisprudenza ivi citata).

129    In primo luogo, occorre rilevare che, nel caso di specie, sussistono divergenze tra le diverse versioni linguistiche della disposizione in questione. Infatti, se, nella versione inglese dell’articolo 2, paragrafo 2, del regolamento di base, le vendite del prodotto di cui trattasi da prendere in considerazione come vendite interne ai fini della determinazione del valore normale sono quelle in cui il prodotto in esame è «intended» al consumo sul mercato interno del paese esportatore, il che potrebbe essere interpretato nel senso che l’intenzione del venditore è il criterio rilevante, altre versioni linguistiche di detta disposizione, quali le versioni francese, tedesca, neerlandese, spagnola, italiana, danese, finlandese o ceca, utilizzano, rispettivamente, il termine «destiné», «zum Verbrauch», «bestemde», «destinado», «destinato», «bestemt», «tarkoitetun» e «ke», che fa riferimento alla destinazione del prodotto di cui trattasi senza riferirsi all’intenzione del produttore circa detta destinazione al momento della vendita.

130    In secondo luogo, si deve affermare che, al pari delle versioni dell’articolo 2, paragrafo 2, del regolamento di base menzionate al punto 129 della presente sentenza, facenti riferimento alla destinazione delle vendite e non all’intenzione del venditore circa la loro destinazione, l’articolo 2.1 dell’accordo antidumping utilizza, nelle sue tre lingue ufficiali, rispettivamente, l’espressione «destined for consumption» in inglese, «destiné à la consommation» in francese e «destinado al consumo» in spagnolo [ossia, «destinato al consumo»]. Orbene, dalla giurisprudenza risulta che le disposizioni del regolamento di base devono essere interpretate, per quanto possibile, alla luce delle corrispondenti disposizioni dell’accordo antidumping (sentenza del 22 maggio 2014, Guangdong Kito Ceramics e a./Consiglio, T‑633/11, non pubblicata, EU:T:2014:271, punto 38; v. anche, in tal senso, sentenza del 9 gennaio 2003, Petrotub e Republica/Consiglio, C‑76/00 P, EU:C:2003:4, punto 57).

131    È vero che, come sottolinea la ricorrente, il gruppo speciale dell’OMC ha osservato, nella nota a piè di pagina n. 339 della sua relazione, del 16 novembre 2007, nella controversia «Comunità europee – Misure antidumping riguardanti il salmone d’allevamento proveniente dalla Norvegia» (WT/DS 337/R), che, «qualora un produttore vend[esse] un prodotto ad un esportatore (o ad un negoziante) indipendente, sapendo che tale prodotto [sarebbe] esportato, tale vendita non [potrebbe] (…) essere qualificata come vendita destinata al consumo interno». Tuttavia, da questa sola osservazione non si può dedurre che, come asserisce la ricorrente, la mancata conoscenza effettiva della destinazione finale del prodotto in esame all’esportazione avrebbe condotto necessariamente a ritenere che la vendita in questione fosse destinata al consumo interno, laddove, come nella fattispecie, il prodotto di cui trattasi è stato esportato. Le stesse considerazioni si applicano, del resto, all’argomento della ricorrente, basato sul considerando 20 del regolamento (CE) n. 1023/97 della Commissione, del 6 giugno 1997, che impone un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di palette semplici di legno originarie della Polonia e che accetta gli impegni offerti da alcuni esportatori per quanto riguarda tali importazioni (GU 1997, L 150, pag. 4), il quale, in ordine alla determinazione del prezzo all’esportazione, stabilisce che, «[i]n considerazione del fatto che il produttore era consapevole della destinazione finale delle palette, queste ultime sono state considerate come vendute dal produttore in questione per l’esportazione verso la Comunità».

132    In terzo luogo, l’interpretazione secondo cui non è necessario ricercare un’intenzione o una conoscenza specifica del venditore riguardo alla destinazione finale del prodotto in esame è confermata da un’analisi del contesto della disposizione di cui trattasi. Infatti, né la nozione di «dumping» ai sensi dell’articolo 2 del regolamento di base, né quella di «pregiudizio» di cui all’articolo 3 del medesimo regolamento (divenuto articolo 3 del regolamento 2016/1036), né la nozione di «elusione», oggetto dell’articolo 13 dello stesso regolamento (divenuto articolo 13 del regolamento 2016/1036), presuppongono, come condizione di applicazione, la constatazione di un’intenzione particolare da parte dell’interessato, ma richiedono il soddisfacimento di condizioni oggettive indipendentemente da un’intenzione o da una conoscenza specifica di quest’ultimo. Inoltre, né l’articolo 2, paragrafo 2, del regolamento di base, né, del resto, l’articolo 2, paragrafo 8, di quest’ultimo, relativo alla determinazione del prezzo all’esportazione, contengono un qualsiasi riferimento al criterio della «conoscenza» da parte dell’interessato, contrariamente all’articolo 10, paragrafo 4, del regolamento di base (divenuto articolo 10, paragrafo 4, del regolamento 2016/1036), che, ai fini dell’applicazione retroattiva di un dazio antidumping, dispone espressamente che «l’importatore [era], oppure [avrebbe dovuto] essere, informato delle pratiche di dumping per quanto riguarda la loro portata e il pregiudizio presunto o accertato».

133    In quarto luogo, è giocoforza constatare che tale interpretazione è anche conforme alla finalità dell’inchiesta antidumping che consiste, per le istituzioni dell’Unione, nel ricercare elementi di prova oggettivi, utilizzando gli strumenti messi a loro disposizione dal regolamento di base e sul fondamento di una cooperazione volontaria degli operatori economici, vale a dire, in particolare, le risposte al questionario antidumping, le eventuali verifiche in loco e le osservazioni degli interessati sui documenti informativi, come ricordato al punto 107 della presente sentenza, al fine di stabilire l’esistenza di un eventuale dumping dopo aver determinato il valore normale del prodotto in esame conformemente all’articolo 2 del regolamento di base.

134    In tale contesto, subordinare l’esclusione delle vendite di prodotti esportati dalla determinazione del valore normale del prodotto di cui trattasi alla prova dell’intenzione o della conoscenza effettiva del venditore, al momento della vendita, in merito alla destinazione finale del prodotto in questione, nella misura in cui potrebbe spesso risultare impossibile, in pratica, fornire tale prova, equivarrebbe in definitiva a consentire di tener conto, ai fini della determinazione del valore normale conformemente all’articolo 2 del regolamento di base, dei prezzi di prodotti esportati che possono falsare e compromettere la corretta determinazione di detto valore normale.

135    In quinto luogo, occorre aggiungere che tale interpretazione è inoltre compatibile con i principi di prevedibilità e di certezza del diritto invocati dalla ricorrente, mentre l’applicazione di un criterio fondato sull’intenzione o sulla conoscenza specifica del venditore farebbe dipendere la presa in considerazione del prezzo di vendita dei prodotti esportati ai fini della determinazione del valore normale da un elemento soggettivo, la cui esistenza rischierebbe di rivelarsi, in pratica, aleatoria, o addirittura, come appena rilevato, impossibile da stabilire.

136    Nel caso di specie, si deve osservare, in particolare, che, in fase di regolamento provvisorio, la Commissione, partendo dall’interpretazione secondo cui non occorreva stabilire la presenza di un’intenzione o di una conoscenza specifica, da parte del venditore, in merito alla destinazione finale del prodotto di cui trattasi, aveva escluso talune vendite dichiarate come interne dal calcolo del valore normale, dopo aver rilevato, segnatamente al considerando 63 di detto regolamento, che un calcolo, basato sui dati della produzione forniti da cinque società che avevano collaborato e sulle statistiche sulle importazioni e sulle esportazioni del prodotto in questione in Taiwan nel corso del periodo d’inchiesta, aveva confermato che le vendite sul mercato interno dichiarate dai produttori- esportatori che avevano collaborato comprendevano per circa il 50% vendite indirette all’esportazione non destinate al consumo interno. In particolare, dai dati contenuti nelle conclusioni provvisorie emergeva che, se, durante il periodo d’inchiesta, il livello di produzione dichiarato dai cinque produttori-esportatori che avevano collaborato era pari a [riservato] tonnellate del prodotto in esame e le statistiche ufficiali di esportazione indicavano una quantità di 717 671 tonnellate dello stesso prodotto, la quantità delle vendite interne dichiarate dai medesimi produttori-esportatori ammontava a [riservato] tonnellate, vale a dire ad oltre il doppio della differenza tra le prime due cifre. Al fine di assicurarsi che il valore normale fosse basato esclusivamente sui prezzi fissati per il consumo interno, la Commissione, in sede di regolamento provvisorio, aveva dichiarato di adottare un approccio prudente nell’escludere, di conseguenza, dal calcolo del valore normale la totalità delle vendite del prodotto in questione ai «distributori» stabiliti in Taiwan, per un importo di [riservato] tonnellate, a differenza delle vendite agli «utenti finali in Taiwan», di cui si era tenuto conto.

137    Successivamente, la Commissione ha sostituito l’approccio globale basato sui rischi, che prendeva in considerazione grandi categorie di acquirenti del prodotto di cui trattasi, con un approccio basato sull’esistenza di prove oggettive dell’esportazione del prodotto in esame da parte del distributore interessato. Infatti, secondo il considerando 59 del regolamento impugnato, anziché escludere le vendite ai distributori nel loro insieme, la Commissione ha escluso dal calcolo del valore normale unicamente le vendite interne per le quali disponeva di sufficienti prove oggettive della loro esportazione effettiva. Pertanto, ai sensi del medesimo considerando, la Commissione ha esaminato le vendite dichiarate in questione e le ha classificate come vendite interne sulla base della situazione e dei dati specifici di ciascun produttore esportatore interessato. Da detto considerando risulta infine che elementi soggettivi quali l’intenzione o la conoscenza, o la mancata conoscenza, non hanno minimamente influito, nel caso di specie, sulla valutazione oggettiva effettuata dalla Commissione, contrariamente all’esistenza di sconti orientati all’esportazione, che è stata utilizzata, in particolare, come elemento di prova rilevante.

138    In proposito, si deve osservare, in primo luogo, che l’inchiesta ha rivelato, in particolare, che un certo numero di vendite dichiarate dalla ricorrente come interne era stato oggetto di uno sconto all’esportazione sulla base di un sistema applicato per alcuni mesi durante il periodo d’inchiesta e destinato ad incentivare i centri di servizi locali (distributori) che esportavano i loro prodotti siderurgici, come indicato dalla Commissione al considerando 64 del regolamento provvisorio.

139    L’argomento della ricorrente secondo cui detto sconto, recante il titolo «Altro sconto alla produzione/esportazione», non è un elemento di prova rilevante, in particolare poiché non si tratta di uno sconto all’esportazione per il prodotto di cui trattasi, ma riguarda vendite di prodotti non finiti che richiedono trasformazioni prima della loro esportazione come prodotti trasformati, non può essere accolto.

140    Infatti, si deve osservare, al pari della Commissione e come risulta, segnatamente, dalla lettera della ricorrente del 9 febbraio 2015, in risposta a un quesito posto dalla Commissione durante l’inchiesta, che detto sconto riguarda volumi di vendite del prodotto in esame destinato all’esportazione dopo la sua trasformazione conformemente allo scopo del sistema di sconti in questione e che, pertanto, non si riferisce ai volumi del prodotto di cui trattasi destinato al consumo interno in Taiwan. Inoltre, tale trasformazione va di pari passo con l’esportazione del prodotto in questione e, come si evince anche dal considerando 14 del regolamento provvisorio, [riservato] si limita, tutt’al più, ad effettuare su detti prodotti operazioni minori, quali la lucidatura o il taglio, senza che il prodotto che ne risulta sia modificato in misura tale da non rientrare più nella definizione del prodotto di cui trattasi.

141    In secondo luogo, nella sua risposta al questionario antidumping, la ricorrente ha dichiarato che essa applicava tale sconto all’esportazione e che erano state individuate prove di una siffatta applicazione nel registro delle vendite interne della ricorrente durante la visita di verifica in loco. Inoltre, come sottolineato dalla ricorrente stessa nella sua lettera del 9 febbraio 2015, rispondendo a un quesito posto dalla Commissione durante l’inchiesta, detto sconto riguardava, a titolo esemplificativo, il 40% delle vendite della ricorrente al suo maggiore cliente in Taiwan, il distributore [riservato], effettuate nel mese di dicembre del 2013.

142    In terzo luogo, e soprattutto, come risulta anche dal considerando 59 del regolamento impugnato, è stato possibile raccogliere ulteriori prove oggettive dell’effettiva esportazione di prodotti di vendite dichiarate come vendite interne. Al riguardo, la Commissione ha osservato che questo era il caso delle vendite a [riservato], che è anche distributore del prodotto in esame, cosicché, alla fine, essa ha escluso dal computo delle vendite interne solamente le 120 000 tonnellate vendute dalla ricorrente durante il periodo d’inchiesta al suo cliente [riservato] che, secondo l’inchiesta, aveva venduto unicamente una quantità trascurabile del prodotto in questione sul mercato interno.

143    Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve concludere che la ricorrente non ha dimostrato che la Commissione fosse incorsa in un errore di diritto o in un errore manifesto di valutazione dei fatti, avendo rifiutato di prendere in considerazione le vendite della ricorrente al suo cliente [riservato] ai fini della determinazione del valore normale per il motivo che esistevano prove oggettive dell’effettiva destinazione all’esportazione di dette vendite, soprattutto quando è accertato che una parte delle vendite in questione è stata oggetto di un sistema di sconti all’esportazione, come quello applicato dalla ricorrente, ed è stata, pertanto, conclusa a prezzi inferiori al prezzo del prodotto di cui trattasi destinato al consumo sul mercato interno, sapendo che tali prezzi incoraggiavano l’esportazione del prodotto in esame.

144    Di conseguenza, la Commissione poteva legittimamente e senza incorrere in un errore manifesto di valutazione escludere le vendite in questione dalla determinazione del valore normale ai sensi dell’articolo 2, paragrafi 1 e 2, del regolamento di base.

145    Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre respingere il secondo motivo e, pertanto, il ricorso nel suo insieme.

 Sulle spese

146    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la ricorrente è rimasta soccombente, occorre condannarla alle proprie spese nonché a quelle sostenute dalla Commissione e dall’interveniente, conformemente alla domanda di queste ultime.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Yieh United Steel Corp. sopporterà, oltre alle proprie spese, quelle sostenute dalla Commissione europea e dalla Eurofer, Association européenne de l’acier, ASBL.

Buttigieg

Berke

Costeira

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 3 dicembre 2019.

Firme


*      Lingua processuale: l’inglese.


1      Dati riservati omessi.