Language of document : ECLI:EU:T:2021:312

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Terza Sezione)

2 giugno 2021 (*)

«Marchio dell’Unione europea – Opposizione – Domanda di marchio dell’Unione europea denominativo Hispano Suiza – Marchio dell’Unione europea denominativo anteriore HISPANO SUIZA – Impedimento alla registrazione relativo – Rischio di confusione – Articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (CE) n. 207/2009 [divenuto articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (UE) 2017/1001]»

Nella causa T‑177/20,

Erwin Leo Himmel, domiciliato a Walchwil (Svizzera), rappresentato da A. Gomoll, avvocato,

ricorrente,

contro

Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), rappresentato da M. Fischer, in qualità di agente,

convenuto,

controinteressato nel procedimento dinanzi alla commissione di ricorso dell’EUIPO:

Gonzalo Andres Ramirez Monfort, domiciliato a Barcellona (Spagna),

avente ad oggetto il ricorso proposto avverso la decisione della prima commissione di ricorso dell’EUIPO del 21 gennaio 2020 (procedimento R 67/2019-1), relativa a un procedimento di opposizione tra Erwin Leo Himmel e Gonzalo Andres Ramirez Monfort,

IL TRIBUNALE (Terza Sezione),

composto da A.M. Collins, presidente, Z. Csehi e G. Steinfatt (relatrice), giudici,

cancelliere: E. Coulon

visto il ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 30 marzo 2020,

visto il controricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 21 luglio 2020,

visto che le parti non hanno presentato, nel termine di tre settimane dalla notifica della chiusura della fase scritta del procedimento, domanda di fissazione di un’udienza, e avendo deciso, ai sensi dell’articolo 106, paragrafo 3, del regolamento di procedura del Tribunale, di statuire omettendo la fase orale del procedimento,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        Il 18 febbraio 2017, il sig. Gonzalo Andres Ramirez Monfort, controinteressato nel procedimento dinanzi alla commissione di ricorso dell’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), ha presentato una domanda di registrazione di marchio dell’Unione europea all’EUIPO, ai sensi del regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio dell’Unione europea (GU 2009, L 78, pag. 1), come modificato [sostituito dal regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea (GU 2017, L 154, pag. 1)].

2        Il marchio del quale è stata chiesta la registrazione è il segno denominativo Hispano Suiza.

3        I prodotti per i quali è stata chiesta la registrazione rientrano nella classe 12 ai sensi dell’accordo di Nizza relativo alla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, del 15 giugno 1957, come riveduto e modificato, e corrispondono alla seguente descrizione: «Veicoli».

4        La domanda di marchio è stata pubblicata nel Bollettino dei marchi dell’Unione europea n. 2017/038 del 24 febbraio 2017.

5        In data 17 maggio 2017 il sig. Erwin Leo Himmel, ricorrente, ha proposto opposizione, ai sensi dell’articolo 41 del regolamento n. 207/2009 (divenuto articolo 46 del regolamento 2017/1001), alla registrazione del marchio richiesto per tutti i prodotti indicati al precedente punto.

6        L’opposizione si fondava sul marchio dell’Unione europea denominativo anteriore HISPANO SUIZA, registrato il 1° agosto 2016 con il numero 9184003, che designa taluni prodotti rientranti nelle classi 14 e 25 e corrispondenti, in particolare, per ciascuna di tali classi, alla seguente descrizione:

–        classe 14: «Orologeria e strumenti cronometrici»;

–        classe 25: «Articoli di abbigliamento, scarpe, cappelleria».

7        I motivi dedotti a sostegno dell’opposizione erano quelli di cui all’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009 [divenuto articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento 2017/1001].

8        Con decisione del 12 novembre 2018, la divisione di opposizione ha respinto l’opposizione con la motivazione che, in assenza di somiglianza tra i prodotti contestati e quelli contrassegnati dal marchio anteriore, non poteva sussistere alcun rischio di confusione ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009.

9        Il 10 gennaio 2019 la ricorrente ha proposto un ricorso dinanzi all’EUIPO, a titolo degli articoli da 66 a 68 del regolamento 2017/1001, avverso la decisione della divisione d’opposizione.

10      Con decisione del 21 gennaio 2020 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), la prima commissione di ricorso dell’EUIPO ha respinto il ricorso.

11      La commissione di ricorso ha rilevato che, come spiegato dalla divisione di opposizione, taluni veicoli, come le automobili, non potevano in alcun caso essere considerati simili ad orologi, a cronometri, ad articoli di abbigliamento, a scarpe e a cappelleria (punto 18 della decisione impugnata). Essa ha constatato che i prodotti del primo tipo, che erano mezzi di trasporto, differivano in tutti i punti dagli altri prodotti, che costituivano strumenti di misurazione del tempo e articoli destinati a coprire e a proteggere il corpo (punto 19 della decisione impugnata). Queste due categorie di prodotti si distinguerebbero in modo evidente per la loro natura, la loro destinazione e il loro uso (punto 20 della decisione impugnata). Non si tratterebbe di prodotti concorrenti, dato che essi risponderebbero manifestamente ad esigenze diverse, né di prodotti complementari, in quanto, in particolare, la guida di un’automobile non sarebbe indispensabile per qualcuno che deve vestirsi oppure desideri sapere l’ora (punto 21 della decisione impugnata). Inoltre, il ricorrente non avrebbe fatto valere che i prodotti in conflitto erano simili per natura, destinazione o uso e neppure che erano in concorrenza o complementari (punto 22 della decisione impugnata).

12      Peraltro, la commissione di ricorso ha respinto l’argomento del ricorrente secondo cui, in primo luogo, esisterebbe una «prassi commerciale» consistente, per i costruttori di automobili, nell’estendere l’uso del loro marchio ben noto ad altri prodotti, quali articoli di abbigliamento, orologi e altri accessori, in secondo luogo, il grande pubblico sarebbe a conoscenza di tale prassi, in terzo luogo, il grande pubblico presupporrebbe quindi che l’uso di uno stesso marchio per i prodotti in conflitto indichi che essi provengono dalla stessa impresa e, in quarto luogo, tali prodotti sarebbero, di conseguenza, percepiti come «simili» (punti 23 e 26 della decisione impugnata). Secondo la commissione di ricorso, il ricorrente tenterebbe in tal modo di sostituire un nuovo criterio di somiglianza, segnatamente, le «pratiche commerciali», a quelli stabiliti dalla giurisprudenza, vale a dire la natura, la destinazione, l’uso, l’eventuale concorrenza e il rapporto di complementarità (punto 24 della decisione impugnata). Orbene, il ricorrente non avrebbe contestato che, in applicazione di questi ultimi criteri, i veicoli, da un lato, e i prodotti contrassegnati dal marchio anteriore, dall’altro, non presentavano alcuna somiglianza (punto 25 della decisione impugnata).

13      Secondo la commissione di ricorso, le pratiche commerciali possono essere pertinenti unicamente al fine di dimostrare l’esistenza di un «collegamento» tra i marchi e i prodotti da essi designati, nell’ambito dell’impedimento alla registrazione di cui all’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento 2017/1001, che il ricorrente non avrebbe invocato dinanzi alla commissione di ricorso (punto 27 della decisione impugnata).

14      La commissione di ricorso ha concluso che l’uso del marchio contestato per i veicoli non avrebbe dato luogo a un rischio di confusione o di associazione con il marchio anteriore registrato per prodotti delle classi 14 e 25, cosicché ha considerato l’opposizione «manifestamente infondata».

 Conclusioni delle parti

15      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        condannare l’EUIPO alle spese.

16      L’EUIPO chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 In diritto

17      A sostegno del suo ricorso, il ricorrente deduce un unico motivo, vertente sulla violazione, da un lato, dell’articolo 46, paragrafo 1, lettera a), del regolamento 2017/1001, in combinato disposto con l’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), dello stesso, e, dall’altro, dell’obbligo di motivazione.

18      In via preliminare, si deve constatare che, tenuto conto della data di presentazione della domanda di registrazione di cui trattasi, ossia il 18 febbraio 2017, che è decisiva ai fini dell’individuazione del diritto sostanziale applicabile, i fatti del caso di specie sono disciplinati dalle disposizioni sostanziali del regolamento n. 207/2009 (v., in tal senso, sentenze dell’8 maggio 2014, Bimbo/UAMI, C‑591/12 P, EU:C:2014:305, punto 12, e del 18 giugno 2020, Primart/EUIPO, C‑702/18 P, EU:C:2020:489, punto 2 e giurisprudenza ivi citata). Inoltre, le norme procedurali si considerano generalmente applicabili alla data in cui esse entrano in vigore (v. sentenza dell’11 dicembre 2012, Commissione/Spagna, C‑610/10, EU:C:2012:781, punto 45 e giurisprudenza ivi citata). Di conseguenza, nel caso di specie, per quanto riguarda le norme sostanziali, occorre intendere i riferimenti operati dalla commissione di ricorso nella decisione impugnata nonché dal ricorrente e dall’EUIPO nell’argomentazione sollevata all’articolo 8, paragrafi 1 e 5, del regolamento 2017/1001, nel senso che essi riguardano l’articolo 8, paragrafi 1 e 5, di identico tenore, del regolamento n. 207/2009. Per quanto riguarda le norme procedurali, dato che l’opposizione è stata proposta il 17 maggio 2017, occorre intendere i riferimenti fatti dal ricorrente all’articolo 46, paragrafo 1, lettera a), del regolamento 2017/1001, relativo in particolare al termine entro cui deve essere proposta l’opposizione, come riguardanti l’articolo 41, paragrafo 1, lettera a), di identico tenore, del regolamento n. 207/2009 che era in vigore alla data dell’opposizione.

19      Il ricorrente fa valere, in sostanza, che la commissione di ricorso ha ingiustamente concluso nel senso dell’assenza di somiglianza tra i prodotti in conflitto. Infatti, essa non avrebbe né tenuto conto di tutti i fattori pertinenti ai fini del loro raffronto, alla luce delle circostanze del caso di specie, né esaminato tutti gli argomenti pertinenti da lui dedotti a sostegno dell’esistenza di somiglianza tra tali prodotti.

20      In primo luogo, il ricorrente deduce che l’elenco dei fattori sviluppati dalla giurisprudenza ai fini della valutazione della somiglianza dei prodotti o dei servizi non è esaustivo.

21      Dal punto 23 della sentenza del 29 settembre 1998, Canon (C‑39/97, EU:C:1998:442), risulterebbe che, per valutare la somiglianza tra prodotti o servizi in conflitto, occorre tener conto di tutti i fattori pertinenti. Questi fattori includerebbero, in particolare, la loro natura, la loro destinazione, il loro uso nonché la loro concorrenzialità o complementarità (in prosieguo: i «criteri Canon»). L’espressione «in particolare» rivelerebbe che l’elencazione di tali fattori è puramente indicativa, poiché altri fattori pertinenti possono aggiungervisi o sostituirvisi, come avverrebbe nel caso di specie. La somiglianza dei prodotti e dei servizi non dipenderebbe da un numero specifico di criteri che possono essere previamente determinati e applicati a tutte le fattispecie.

22      Secondo una giurisprudenza costante, si dovrebbe altresì tener conto, oltre che dei criteri Canon, di altri fattori, segnatamente, dei canali di distribuzione, del pubblico di riferimento e dell’origine abituale dei prodotti, e perfino dell’identità dei produttori. Nella valutazione della somiglianza dei prodotti, il confronto dovrebbe essere incentrato sull’identificazione dei fattori pertinenti che caratterizzano in modo peculiare i prodotti da confrontare, tenendo conto, in particolare, della realtà commerciale propria di un determinato prodotto. La rilevanza di un dato fattore dipenderebbe, quindi, dai rispettivi prodotti da confrontare. Nel caso di specie, l’origine abituale dei prodotti e una certa prassi di mercato ben consolidata tra i costruttori di automobili all’interno dell’Unione europea sarebbero i fattori determinanti. Tuttavia, la commissione di ricorso non avrebbe tenuto conto di alcun altro fattore oltre ai criteri Canon e si sarebbe limitata ad affermare che il fattore relativo alla prassi commerciale, invocato dal ricorrente, è un fattore nuovo e che non compare nella sentenza del 29 settembre 1998, Canon (C‑39/97, EU:C:1998:442), cosicché non sarebbe ricevibile.

23      Il ricorrente sostiene che la valutazione della somiglianza dei prodotti in conflitto non può, nel caso di specie, limitarsi ai soli criteri Canon, a meno di trascurare elementi pertinenti ai fini della valutazione della somiglianza tra i prodotti, come la prassi corrente della maggioranza dei costruttori di automobili all’interno dell’Unione che consisterebbe nel produrre e vendere capi di abbigliamento su vasta scala, da un lato, e il fatto che i consumatori siano a conoscenza di tale pratica e vi siano abituati, dall’altro. Inoltre, detta pratica di mercato avrebbe, in questo caso, indotto ad un certo comportamento cognitivo, ad un certo stato d’animo.

24      Inoltre, una certa prassi di mercato in un determinato settore commerciale sarebbe generalmente considerata un fattore determinante, come illustrerebbero le decisioni della quinta commissione di ricorso dell’EUIPO dell’8 giugno 2017 (procedimento R 1447/2016-5, punto 54), della quinta commissione di ricorso dell’EUIPO del 16 novembre 2017 (procedimento R 968/2015-5, punto 49) e della seconda commissione di ricorso dell’EUIPO del 15 dicembre 2017 (procedimento R 1527/2017-2, punto 26).

25      In secondo luogo, il ricorrente deduce che, se la commissione di ricorso avesse valutato la somiglianza dei prodotti in conflitto alla luce del criterio della prassi commerciale, nota ai consumatori, consistente, per i costruttori di automobili dell’Unione, nel proporre non solo automobili, parti ed equipaggiamenti automobilistici, ma anche un’ampia gamma di articoli di abbigliamento e di accessori, essa avrebbe dovuto concludere che tali prodotti erano simili. Gli acquirenti effettivi e potenziali di capi di abbigliamento e di accessori recanti un marchio utilizzato anche per i veicoli intenderebbero così esprimere, in genere, che possiedono un veicolo proveniente da un determinato costruttore o che nutrono interesse o ammirazione per i veicoli di quest’ultimo, così associando tali diverse categorie di prodotti. Inoltre, quando uno stesso marchio è utilizzato sia per veicoli sia per articoli di orologeria, strumenti cronometrici, abbigliamento, scarpe e cappelleria, il pubblico di riferimento sarebbe convinto che tutti questi prodotti siano fabbricati o commercializzati sotto il controllo unico di un’impresa o, quantomeno, di imprese economicamente collegate, benché non siano né concorrenti né complementari.

26      In terzo luogo, il ricorrente sostiene che la commissione di ricorso ha erroneamente concluso che tali prodotti non erano simili anche perché essa ha omesso di tener conto del fatto che i prodotti in conflitto provenivano dagli stessi produttori ed erano venduti attraverso gli stessi canali di distribuzione. A questo proposito, anzitutto, egli sostiene che il luogo effettivo di produzione non è decisivo quanto la questione se il pubblico pertinente tenga conto dell’identità dell’entità che dirige o controlla la produzione o la fornitura dei prodotti e osserva che la divisione d’opposizione ha rilevato che, al giorno d’oggi, i produttori di automobili offrono con i loro marchi anche prodotti come quelli delle classi 14 e 25. Quest’ultima ha anche riconosciuto che le automobili, l’abbigliamento e gli orologi sono spesso prodotti e forniti sotto la responsabilità degli stessi produttori, vale a dire le case automobilistiche. Inoltre, egli sostiene che dalle stampe di pagine dei siti Internet allegate al ricorso risulta che gli articoli di abbigliamento e gli accessori proposti dai costruttori di automobili sono disponibili sui siti Internet di questi ultimi, che recherebbero spesso anche informazioni dettagliate sui veicoli proposti. Peraltro, numerosi produttori proporrebbero i loro articoli di abbigliamento tramite i loro concessionari automobilistici abituali.

27      Ne consegue che la somiglianza dei prodotti di cui trattasi deriverebbe anche dal fatto che essi provengono dal medesimo produttore e che sono proposti o venduti attraverso gli stessi canali di distribuzione. L’uso del marchio richiesto per automobili sarebbe quindi all’origine di un rischio di confusione e di associazione con il marchio anteriore registrato per prodotti rientranti nelle classi 14 e 25.

28      L’EUIPO contesta gli argomenti del ricorrente.

29      In primo luogo, l’EUIPO fa valere che, sebbene la giurisprudenza non fornisca un elenco esaustivo dei fattori pertinenti, essa ne stabilisce un certo numero che devono essere sistematicamente presi in considerazione al fine di valutare la somiglianza dei prodotti e/o dei servizi interessati, vale a dire i criteri Canon. In funzione delle peculiarità di ciascun caso, potrebbero risultare rilevanti anche fattori «supplementari», quali i circuiti di distribuzione, il pubblico interessato o l’origine abituale dei prodotti o dei servizi.

30      Orbene, il ricorrente non contesterebbe che l’applicazione dei criteri Canon non condurrebbe ad alcun grado di somiglianza tra i veicoli, da un lato, e l’orologeria e gli strumenti cronometrici, gli articoli di abbigliamento, le scarpe e la cappelleria, dall’altro.

31      In secondo luogo, l’EUIPO contesta la rilevanza della peculiare prassi commerciale del settore automobilistico invocata dal ricorrente. Le pratiche commerciali potrebbero presentare una certa rilevanza nell’ambito della valutazione di un nesso ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 207/2009. Tuttavia, esse non costituirebbero un fattore rilevante, né tanto meno decisivo, nell’ambito della valutazione della somiglianza dei prodotti ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del medesimo regolamento. Infatti, il concetto di collegamento, nel cui ambito le pratiche commerciali potrebbero svolgere un ruolo, sarebbe più ampio del concetto di somiglianza dei prodotti o dei servizi ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009. L’EUIPO osserva, a tal riguardo, che la decisione della quinta commissione di ricorso dell’EUIPO dell’8 giugno 2017 (procedimento R 1447/2016-5), su cui si basa il ricorrente, non riguarda la somiglianza dei prodotti ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, bensì l’accertamento di un nesso nell’ambito dell’articolo 8, paragrafo 5, del medesimo regolamento. Dato che, nel caso di specie, il ricorrente non avrebbe invocato una violazione dell’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 207/2009, l’argomento che egli trae dalla presunta importanza delle pratiche commerciali quale fattore decisivo per la presente causa dovrebbe essere respinto.

32      In terzo luogo, per quanto riguarda, anzitutto, il criterio supplementare dell’origine abituale dei prodotti, l’EUIPO ritiene che sia necessario adottare un approccio restrittivo al fine di evitare di indebolirlo. Nel caso di specie, se si considerassero tutti i tipi di prodotti o di servizi, provenienti da una stessa grande impresa o società, come aventi la stessa origine, tale criterio perderebbe il suo significato. Esso ritiene che, sebbene non sia inusuale per i costruttori di automobili apporre il loro marchio d’auto su numerosi altri prodotti, il pubblico è ben consapevole del fatto che si tratta generalmente di un’attività realizzata nel contesto di articoli derivati e di accessori, fabbricati da altre imprese, con l’intenzione di promuovere il prodotto principale, vale a dire veicoli, e non dell’attività commerciale principale del costruttore automobilistico che possiede il marchio. Il pubblico sarebbe del tutto consapevole del fatto che il mercato degli articoli di abbigliamento e degli orologi differisce fondamentalmente da quello dei veicoli, e, di conseguenza, non si aspetterebbe generalmente che i prodotti in conflitto siano fabbricati e proposti dalla stessa impresa.

33      Inoltre, l’EUIPO ritiene che i prodotti in conflitto potrebbero essere tutti efficacemente indirizzati ai consumatori finali. Taluni orologi o articoli di abbigliamento potrebbero anche, occasionalmente, condividere gli stessi canali di distribuzione dei veicoli, in quanto potrebbero essere proposti sui siti Internet dei concessionari di automobili o ancora fisicamente nelle concessionarie di automobili come articoli derivati. Tuttavia, tale eventuale rapporto non implicherebbe che taluni prodotti, come capi di abbigliamento o orologi, formino un gruppo omogeneo con dei veicoli, né che siano generalmente proposti e venduti a fianco dei veicoli. In ogni caso, anche eventuali legami riguardanti fattori supplementari relativamente deboli, quali il pubblico pertinente o i canali di distribuzione, non potrebbero in alcun modo superare l’assenza di somiglianze per quanto riguarda la natura, la destinazione e l’uso dei prodotti, né qualsiasi altro criterio Canon.

34      Ne consegue, secondo l’EUIPO, che, non essendo soddisfatta una delle condizioni di cui all’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, ossia la somiglianza dei prodotti, la commissione di ricorso ha giustamente respinto il ricorso in quanto manifestamente infondato.

35      In via preliminare, occorre rilevare che, sebbene il ricorrente invochi, a sostegno del suo ricorso, non solo l’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, ma anche l’articolo 41, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 207/2009, egli non deduce alcun argomento specifico riguardante quest’ultima disposizione, la quale peraltro prevede essenzialmente talune regole relative alla presentazione dell’opposizione alla registrazione di un marchio. Occorre quindi considerare che il presente motivo verte unicamente su una violazione dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009.

36      Ai sensi di quest’ultima disposizione, in seguito all’opposizione del titolare di un marchio anteriore, il marchio richiesto è escluso dalla registrazione qualora, a causa della sua identità o della sua somiglianza con un marchio anteriore e a causa dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi per i quali i due marchi sono stati richiesti, sussista un rischio di confusione per il pubblico del territorio nel quale il marchio anteriore è tutelato. Il rischio di confusione comprende il rischio di associazione con il marchio anteriore.

37      La nozione di rischio di associazione non è un’alternativa alla nozione di rischio di confusione, ma serve a chiarirne la portata. La formulazione stessa dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009 esclude, dunque, che la nozione di rischio di associazione possa essere applicata se non vi è alcun rischio di confusione nella mente del pubblico di riferimento [v. sentenza dell’11 settembre 2014, Continental Wind Partners/UAMI Continental Reifen Deutschland (CONTINENTAL WIND PARTNERS), T‑185/13, non pubblicata, EU:T:2014:769, punto 75 e giurisprudenza ivi citata].

38      Secondo una giurisprudenza costante, costituisce un rischio di confusione, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, il rischio che il pubblico possa credere che i prodotti o i servizi controversi provengano dalla stessa impresa o da imprese economicamente collegate. L’esistenza di un rischio di confusione nella percezione del pubblico di riferimento deve essere oggetto di valutazione globale tenendo conto di tutti i fattori pertinenti del caso di specie, tra i quali figurano in particolare il grado di somiglianza tra i segni in conflitto e tra i prodotti o i servizi contrassegnati di cui è causa, nonché l’intensità della notorietà e il grado del carattere distintivo, intrinseco o acquisito mediante l’uso, del marchio anteriore [sentenze del 24 marzo 2011, C‑552/09 Ferrero/UAMI, EU:C:2011:177, punto 64, e dell’8 maggio 2014, Bimbo/UAMI, C‑591/12 P, EU:C:2014:305, punto 20; v. anche sentenza del 9 luglio 2003, Laboratorios RTB/UAMI – Giorgio Beverly Hills (GIORGIO BEVERLY HILLS), T‑162/01, EU:T:2003:199, punti da 30 a 32 e giurisprudenza ivi citata].

39      Tale valutazione globale del rischio di confusione implica una certa interdipendenza tra i fattori presi in considerazione e, in particolare, la somiglianza tra i segni in conflitto e quella tra i prodotti o i servizi in causa. Infatti, un tenue grado di somiglianza tra i prodotti o servizi di cui trattasi può essere compensato da un elevato grado di somiglianza tra i segni in conflitto e viceversa (v. sentenza del 18 dicembre 2008, Les Éditions Albert René/UAMI, C‑16/06 P, EU:C:2008:739, punto 46 e giurisprudenza ivi citata).

40      Tuttavia, ai fini dell’applicazione dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, un rischio di confusione presuppone sia un’identità o una somiglianza tra i marchi in conflitto sia un’identità o una somiglianza tra i prodotti o servizi che essi designano. Si tratta di condizioni cumulative [v. sentenza del 22 gennaio 2009, Commercy/UAMI – easyGroup IP Licensing (easyHotel), T‑316/07, EU:T:2009:14, punto 42 e giurisprudenza ivi citata].

41      Pertanto, resta necessario, anche in caso di identità con un marchio il cui carattere distintivo è particolarmente forte, fornire la prova di una somiglianza tra i prodotti e/o i servizi designati (ordinanza del 9 marzo 2007, Alecansan/UAMI, C‑196/06 P, non pubblicata, EU:C:2007:159, punto 24). Contrariamente a quanto è previsto, ad esempio, dall’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 207/2009, che riguarda esplicitamente l’ipotesi in cui i prodotti o servizi non siano somiglianti, l’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), di tale regolamento stabilisce che un rischio di confusione presuppone un’identità o una somiglianza tra i prodotti o i servizi designati [sentenza del 7 maggio 2009, Waterford Wedgwood/Assembled Investments (Proprietary) e UAMI, C‑398/07 P, non pubblicata, EU:C:2009:288, punto 34].

42      Nel caso di specie, la commissione di ricorso ha ritenuto che non sussistesse alcun rischio di confusione per il pubblico di riferimento sulla sola base di un confronto tra i prodotti in conflitto senza esaminare le altre condizioni ricordate al precedente punto 38, tra cui in particolare la somiglianza tra i segni e senza effettuare una valutazione globale dell’esistenza di un rischio di confusione che tenesse conto di tutti i fattori rilevanti. Tuttavia, una somiglianza, anche tenue, tra i suddetti prodotti avrebbe imposto alla commissione di ricorso di verificare se un eventuale elevato grado di somiglianza tra i segni, o addirittura la loro identità, non fosse idoneo a far sorgere, nella percezione del consumatore, un rischio di confusione in merito all’origine dei prodotti [sentenza dell’11 luglio 2007, El Corte Inglés/UAMI – Bolaños Sabri (PiraÑAM diseño original Juan Bolaños), T‑443/05, EU:T:2007:219, punto 40].

43      Occorre dunque esaminare se a giusto titolo la commissione di ricorso ha concluso nel senso dell’assenza di somiglianza tra i prodotti designati dai marchi in conflitto.

 Sulla pertinenza del criterio di una «prassi commerciale»

44      Secondo la giurisprudenza derivante dal punto 23 della sentenza del 29 settembre 1998, Canon (C‑39/97, EU:C:1998:442), per valutare la somiglianza tra i prodotti o i servizi in conflitto, occorre tener conto di tutti i fattori rilevanti che caratterizzano il rapporto tra essi. Questi fattori includono, in particolare, la loro natura, la loro destinazione, il loro uso nonché la loro concorrenzialità o complementarità. Possono essere presi in considerazione anche altri fattori, come i canali di distribuzione dei prodotti o dei servizi in questione o il fatto che tali prodotti o servizi siano frequentemente venduti negli stessi punti vendita specializzati, il che può facilitare la percezione, da parte del consumatore interessato, degli stretti legami tra essi esistenti e rafforzare l’impressione che la responsabilità della fabbricazione di tali prodotti o della fornitura di tali servizi ricada sulla stessa impresa [sentenze del 21 gennaio 2016, Hesse/UAMI, C‑50/15 P, EU:C:2016:34, punti da 21 a 23, e del 10 giugno 2015, AgriCapital/UAMI – agri.capital (AGRI.CAPITAL), T‑514/13, EU:T:2015:372, punto 29; v., anche, sentenza del 2 ottobre 2015, The Tea Board/UAMI – Delta Lingerie (Darjeeling), T‑627/13, non pubblicata, EU:T:2015:740, punto 37 e giurisprudenza ivi citata].

45      La formulazione secondo cui si deve «tener conto (...) di tutti i fattori pertinenti che caratterizzano il rapporto tra i prodotti o i servizi» e che «[q]uesti fattori includono, in particolare, la loro natura, la loro destinazione, il loro impiego nonché la loro concorrenzialità o complementarità» indica chiaramente, come giustamente sostiene il ricorrente, che tale elenco di criteri non è esaustivo. Quest’ultimo è stato peraltro completato successivamente alla pronuncia della sentenza del 29 settembre 1998, Canon (C‑39/97, EU:C:1998:442), con l’aggiunta di altri criteri [sentenza del 21 luglio 2016, Ogrodnik/EUIPO – Aviário Tropical (Tropical), T‑804/14, non pubblicata, EU:T:2016:431, punto 58], tra cui l’origine abituale dei prodotti interessati [sentenze del 26 settembre 2017, Banca Monte dei Paschi di Siena e Banca Widiba/EUIPO – ING-DIBa (WIDIBA), T‑83/16, non pubblicata, EU:T:2017:662, punto 64, e del 13 novembre 2018, Camomilla/EUIPO – CMT (CAMOMILLA), T‑44/17, non pubblicata, EU:T:2018:775, punti 76 e 91] e, come indicato al precedente punto 44, i loro canali di distribuzione. Inoltre, è stato giudicato che la circostanza che la promozione dei prodotti in conflitto sia garantita dalle stesse riviste specializzate è anch’essa un fattore idoneo a facilitare la percezione, da parte del consumatore interessato, degli stretti legami esistenti tra di essi e ad avvalorare l’impressione che la responsabilità della loro fabbricazione spetti alla stessa impresa [sentenza del 13 febbraio 2014, Demon International/UAMI – Big Line (DEMON), T‑380/12, non pubblicata, EU:T:2014:76, punto 42].

46      In tali circostanze, la commissione di ricorso ha commesso, ai punti 24 e 27 della decisione impugnata, un errore di diritto escludendo a priori la valutazione della somiglianza dei prodotti in conflitto alla luce del criterio delle pratiche commerciali addotto dal ricorrente. Infatti, non è escluso che criteri diversi da quelli enunciati dalla commissione di ricorso al punto 17 della decisione impugnata, cioè, oltre ai criteri Canon, i canali di distribuzione e l’identità dei punti vendita, possano essere rilevanti nell’ambito della valutazione della somiglianza dei prodotti o dei servizi in generale, nonché dei prodotti in conflitto in particolare.

47      È vero che la commissione di ricorso, al punto 17 della decisione impugnata, ha ricordato criteri pertinenti per la valutazione della somiglianza dei prodotti, precisando al contempo che anche altri fattori potevano essere presi in considerazione. Tuttavia, essa ha omesso di valutare la somiglianza dei prodotti in conflitto alla luce di questi altri fattori. Per quanto riguarda, più in particolare, la prassi commerciale invocata dal ricorrente, la commissione di ricorso ha spiegato, al punto 24 della decisione impugnata, che il ragionamento del ricorrente non può essere seguito in quanto egli tenterebbe di sostituire un nuovo criterio di somiglianza, le pratiche commerciali, a quelli stabiliti dalla giurisprudenza, vale a dire la natura, la destinazione, l’uso, la concorrenza e il rapporto di complementarità. Secondo la commissione di ricorso, non sussistendo alcuna somiglianza riguardo a quest’ultimo criterio, l’argomento della ricorrente basato sulla prassi commerciale doveva essere respinto (punti 25 e 26 della decisione impugnata). A suo avviso, le pratiche commerciali potevano essere rilevanti solo al fine di stabilire l’esistenza di un nesso tra i marchi nell’ambito dell’impedimento alla registrazione di cui all’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 207/2009 (punto 27 della decisione impugnata).

48      I punti da 24 a 27 della decisione impugnata non possono essere interpretati nel senso che la commissione di ricorso avrebbe ritenuto che la sua analisi, derivante dall’applicazione dei criteri Canon, non possa essere rimessa in discussione dal solo fattore della prassi commerciale. Infatti, una considerazione di questo tipo sarebbe in contrasto con la conclusione che emerge dai punti 21 e 23 della sentenza del 21 gennaio 2016, Hesse/UAMI (C‑50/15 P, EU:C:2016:34), secondo la quale non è escluso che un criterio pertinente sia idoneo, di per sé, a fondare l’esistenza di una somiglianza tra i prodotti o i servizi, nonostante la circostanza che l’applicazione degli altri criteri indicherebbe piuttosto l’assenza di una siffatta somiglianza. In ogni caso, è impossibile valutare l’impatto di un criterio aggiuntivo, quale la prassi commerciale, sull’analisi già effettuata in applicazione dei fattori derivanti dalla sentenza del 29 settembre 1998, Canon (C‑39/97, EU:C:1998:442), prima che tale criterio sia propriamente esaminato. Orbene, la commissione di ricorso non ha effettuato un tale esame.

49      Inoltre, nella formulazione del punto 27 della decisione impugnata non vi è nulla che consenta di concludere che la commissione di ricorso abbia inteso circoscrivere la constatazione secondo la quale «[l] e pratiche commerciali possono essere rilevanti solo al fine di stabilire l’esistenza di un “nesso” tra i marchi (e i prodotti da essi designati), vale a dire nell’ambito dell’impedimento alla registrazione di cui all’articolo 8, paragrafo 5, del [regolamento n. 1049/2001]» alle circostanze del caso di specie. Pertanto, tale constatazione, redatta in modo apodittico, esprime chiaramente che, secondo la commissione di ricorso, le prassi commerciali non possono in alcun caso avere alcuna rilevanza ai fini dell’esame della somiglianza dei prodotti nell’ambito dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009. Occorre sottolineare che, nel controricorso, l’EUIPO ha confermato che, secondo la sua opinione, le prassi commerciali non costituivano un fattore rilevante nell’ambito della valutazione della somiglianza dei prodotti ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009.

50      È vero che il ricorrente si basa erroneamente su tre decisioni delle commissioni di ricorso dell’EUIPO al fine di sostenere che la prassi decisionale dell’EUIPO ha già riconosciuto tale criterio come rilevante per la valutazione della somiglianza dei prodotti nell’ambito dell’applicazione dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009 (v. precedente punto 24). Da un lato, come fa valere a giusto titolo l’EUIPO, la decisione della quinta commissione di ricorso dell’EUIPO dell’8 giugno 2017 (procedimento R 1447/2016-5) è stata adottata non già in applicazione dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, bensì sul fondamento del paragrafo 5 di tale articolo. Dall’altro lato, la presa in considerazione della prassi commerciale nelle decisioni della quinta commissione di ricorso dell’EUIPO del 16 novembre 2017 (procedimento R 968/2015-5, punto 49), e della seconda commissione di ricorso dell’EUIPO del 15 dicembre 2017 (procedimento R 1527/2017-2, punto 26) si è inserita nell’ambito della valutazione globale dell’esistenza di un rischio di confusione e non nell’ambito di quella della somiglianza dei prodotti.

51      Orbene, anche senza essere menzionato esplicitamente, il criterio della pratica commerciale è già stato preso in considerazione per valutare la somiglianza dei prodotti o dei servizi in conflitto. Così, ad esempio, si è tenuto conto del fatto che i prodotti e i servizi in conflitto fossero spesso commercializzati insieme per concludere che esisteva una somiglianza tra detti prodotti e servizi [sentenza 4 giugno 2015, Yoo Holdings/UAMI – Eckes-Granini Group (YOO), T‑562/14, non pubblicata, EU:T:2015:363, punto 27]. Si è altresì sottolineato che occorreva valutare se i consumatori ritenessero una prassi corrente il fatto che i prodotti in conflitto fossero commercializzati con il medesimo marchio, il che implicherebbe, di norma, che una gran parte dei rispettivi produttori o distributori dei prodotti fossero gli stessi [sentenze del 9 luglio 2015, Nanu-Nana Joachim Hoepp/UAMI – Vincci Hoteles (NANU), T‑89/11, non pubblicata, EU:T:2015:479, punto 35, e del 10 ottobre 2018, Cuervo y Sobrinos 1882/EUIPO – A. Salgado Nespereira (Cuervo y Sobrinos LA HABANA 1882), T‑374/17, non pubblicata, EU:T:2018:669, punto 41; v., anche, sentenza del 3 febbraio 2020, Delta-Sport/EUIPO – Delta Enterprise (DELTA SPORT), T‑387/18, non pubblicata, EU:T:2020:65, punti 59 e 60 e giurisprudenza ivi citata].

52      Del resto, contrariamente a quanto potrebbe suggerire il punto 27 della decisione impugnata, nonché gli argomenti dell’EUIPO riprodotti al precedente punto 31, il fatto che un criterio sia considerato rilevante nell’ambito dell’applicazione dell’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 207/2009 non implica, di per sé, che esso non lo sia nell’ambito dell’applicazione del paragrafo 1, lettera b), del medesimo articolo [v., in tal senso, sentenza del 12 febbraio 2015, Compagnie des montres Longines, Francillon/UAMI – Cheng (B), T‑505/12, EU:T:2015:95, punti 47 e 48].

53      Allo stesso modo, si devono respingere gli argomenti dell’EUIPO secondo i quali, da un lato, dalla giurisprudenza risulta che i criteri Canon devono essere sistematicamente presi in considerazione al fine di valutare la somiglianza dei prodotti o dei servizi, mentre taluni criteri supplementari potrebbero essere rilevanti in funzione delle peculiarità di ciascun caso e, dall’altro, che questi ultimi criteri sarebbero «deboli», cosicché essi non potrebbero in alcun caso prevalere sulla mancanza di somiglianza alla luce dei criteri Canon. Infatti, dalla sentenza del 21 gennaio 2016, Hesse/UAMI (C‑50/15 P, EU:C:2016:34, punto 23), risulta che, in primo luogo, ciascuno dei criteri elaborati dalla giurisprudenza, indipendentemente dalla questione se si tratti di uno dei criteri originari o di quelli che sono stati aggiunti, è solo un criterio fra altri, in secondo luogo, i criteri sono autonomi e, in terzo luogo, la somiglianza tra i prodotti o i servizi in conflitto può essere fondata sulla base di uno solo di tali criteri (v. precedente punto 48). Inoltre, l’EUIPO, pur essendo obbligato a tenere conto di tutti i fattori rilevanti che caratterizzano il rapporto fra i prodotti interessati, può non tener conto dei fattori non rilevanti per il rapporto tra detti prodotti [v. sentenza del 23 novembre 2011, Pukka Luggage/UAMI – Azpiroz Arruti (PUKKA), T‑483/10, non pubblicata, EU:T:2011:692, punto 28 e giurisprudenza ivi citata].

54      Va aggiunto che dalle direttive dell’EUIPO relative all’esame dei marchi dell’Unione europea risulta altresì che un uso commerciale consolidato, consistente nel fatto che i produttori estendano il loro ambito di attività a mercati prossimi, riveste un’importanza particolare per concludere che prodotti o i servizi di diversa natura hanno la stessa origine. Secondo tali direttive, in casi di questo tipo occorre stabilire se tale estensione sia corrente nel settore.

55      Ne consegue che l’esistenza di una determinata prassi commerciale può costituire un criterio rilevante per l’esame della somiglianza tra prodotti o i servizi nel contesto dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009.

56      Pertanto, ingiustamente la commissione di ricorso ha escluso a priori la rilevanza del criterio relativo alla pratica commerciale nell’ambito del suo esame della somiglianza dei prodotti in conflitto. Nella misura in cui, a causa del suo errore, essa non ha esaminato specificamente la pertinenza e quindi, se del caso, l’impatto di tale criterio nella valutazione della somiglianza tra i prodotti in conflitto, il Tribunale non può pronunciarsi esso stesso su tale questione [sentenze del 5 luglio 2011, Edwin/UAMI, C‑263/09 P, EU:C:2011:452, punto 72; del 12 luglio 2018, Lotte/EUIPO – Nestlé Unternehmungen Deutschland (Raffigurazione di un koala), T‑41/17, non pubblicata, EU: T: 2018: 438, punti 54 e 55, e del 5 dicembre 2019, Idea Groupe/EUIPO – The Logistical Approach (Idealogistic Verhoeven Greatest care in getting it there), T‑29/19, non pubblicato, EU: T: 2019: 841, punto 91].

 Sui criteri dellidentità dei produttori e dei canali di distribuzione

57      Dinanzi alla commissione di ricorso, il ricorrente ha sostenuto che i prodotti in conflitto risultavano simili anche applicando i criteri dell’origine abituale, e persino dell’identità dei produttori, nonché di quello dei canali di distribuzione. Tuttavia, sebbene questi due criteri siano stati riconosciuti sia dalla giurisprudenza (v., in particolare, quella citata al precedente punto 45) che dalla stessa commissione di ricorso, al punto 17 della decisione impugnata, come rilevanti ai fini della valutazione della somiglianza dei prodotti o dei servizi in applicazione dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, nel caso di specie la commissione di ricorso non ha né esaminato questi due criteri né, del resto, esposto ragioni per le quali essi non possono svolgere un ruolo nell’ambito di tale valutazione, come giustamente sostenuto dal ricorrente (v. precedente punto 19).

58      Benché il punto 17 della decisione impugnata compia un richiamo «standard» alla giurisprudenza relativa ai fattori rilevanti da prendere in considerazione nella valutazione della somiglianza dei prodotti, è necessario constatare che, al punto 24 di tale decisione, vale a dire nell’ambito dell’applicazione delle norme al caso di specie, essa si riferisce solo ai cinque criteri Canon, senza menzionare quelli specificamente invocati dal ricorrente. Risulta in particolare dai punti 23 e 24 della decisione impugnata che la commissione di ricorso ha valutato gli argomenti ad essa presentati dal ricorrente sotto l’unica angolazione della questione se la pratica commerciale invocata da quest’ultimo potesse essere considerata un fattore rilevante da prendere in considerazione nell’ambito della valutazione della somiglianza dei prodotti in conflitto.

59      Il fatto che la commissione di ricorso non ha preso in considerazione i criteri dell’origine abituale, e persino dell’identità dei produttori, nonché quello dei canali di distribuzione nell’analisi che ha condotto all’adozione della decisione impugnata è altresì corroborata dal punto 7 di quest’ultima, che riassume gli argomenti addotti dal ricorrente a sostegno del suo ricorso. Infatti, tale sintesi omette di menzionare gli argomenti del ricorrente relativi a questi ultimi criteri.

60      Inoltre, ai punti da 19 a 21 della decisione impugnata, la commissione di ricorso ha proceduto essa stessa alla valutazione della somiglianza dei prodotti in conflitto, ma unicamente alla luce dei criteri Canon, sebbene il risultato di tale valutazione non fosse stato contestato dal ricorrente. In tali circostanze, e in assenza anche di qualsiasi argomento dell’EUIPO in tal senso, la decisione impugnata non può essere interpretata in modo tale che la commissione di ricorso abbia inteso confermare la decisione della divisione di opposizione alla luce dei due criteri in questione dedotti specificamente dal ricorrente, ossia l’origine abituale dei prodotti, e persino l’identità dei produttori, e i canali di distribuzione, ma sviluppare al contempo la sua analisi unicamente alla luce dei criteri non considerati dal ricorso proposto dinanzi ad essa, senza effettuare una propria valutazione esplicita per l’appunto in relazione ai criteri su cui si basa l’argomentazione del ricorrente. Infatti, sebbene la commissione di ricorso, al punto 18 della decisione impugnata, abbia fatto riferimento alla conclusione finale cui era giunta la divisione di opposizione nella sua decisione, essa non ha richiamato alcun punto o passaggio preciso di tale decisione, il che avrebbe consentito di concludere che essa intendeva integrare le considerazioni della divisione di opposizione nella propria decisione al fine di evitare ripetizioni.

61      Al punto 19 del controricorso, l’EUIPO sostiene che i fattori aggiuntivi ai criteri Canon, come quello dei circuiti di distribuzione, sono «relativamente deboli» e non possono prevalere sul fatto che nessuno dei criteri Canon sia soddisfatto nel caso di specie. Orbene, da un lato, come ricordato al precedente punto 45, l’elenco dei criteri espressamente menzionati nella sentenza del 29 settembre 1998, Canon (C‑39/97, EU:C:1998:442), non è esaustivo. Dall’altro, ciascun criterio elaborato nel corso della giurisprudenza derivante da tale sentenza è autonomo, così che la valutazione della somiglianza tra i prodotti o i servizi in conflitto può fondarsi su uno solo di tali criteri (precedente punto 53).

62      Di conseguenza, si deve constatare che, astenendosi dall’indicare i motivi per i quali non sono stati presi in considerazione i criteri dell’origine abituale, e persino dell’identità dei produttori, nonché quello dei canali di distribuzione, la commissione di ricorso non ha esposto tutti i fatti e le considerazioni giuridiche aventi un’importanza essenziale per considerare che i prodotti non erano simili, cosicché la decisione impugnata è viziata da un difetto di motivazione (v., in tal senso, sentenza del 21 luglio 2016, Tropical, T‑804/14, non pubblicata, EU:T:2016:431, punto 178).

63      L’EUIPO deduce dinanzi al Tribunale diversi argomenti secondo i quali l’applicazione di tali criteri non porterebbe, nel caso di specie, ad una constatazione di somiglianza tra i prodotti in conflitto (v. precedenti punti 32 e 33).

64      A tal riguardo, occorre osservare che nella decisione impugnata non viene fatta una valutazione di questo tipo. Orbene, da un lato, non spetta al Tribunale procedere, nell’ambito del suo controllo di legittimità della decisione impugnata, ad una valutazione sulla quale la commissione di ricorso non ha ancora preso posizione (sentenza del 5 luglio 2011, Edwin/UAMI, C‑263/09 P, EU:C:2011:452, punto 72) e, dall’altro, dinanzi al Tribunale, l’EUIPO non può porre a sostegno della decisione impugnata elementi non presi in considerazione nella stessa [v. sentenza dell’8 settembre 2017, Aldi/EUIPO – Rouard (GOURMET), T‑572/15, non pubblicata, EU:T:2017:591, punto 36 e giurisprudenza ivi citata].

65      Tale argomentazione è quindi irricevibile [sentenza del 24 settembre 2019, Volvo Trademark/EUIPO – Paalupaikka (V V-WHEELS), T‑356/18, EU:T:2019:690, punto 49].

66      L’errore di diritto e il difetto di motivazione constatati rispettivamente ai precedenti punti 56 e 62 comportano che il motivo unico è fondato.

67      Ne consegue che la decisione impugnata deve essere annullata.

 Sulle spese

68      Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. L’EUIPO, rimasto soccombente, sopporterà le proprie spese nonché quelle sostenute dalla ricorrente, conformemente alla domanda di quest’ultimo.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Terza Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      La decisione della prima commissione di ricorso dell’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) del 21 gennaio 2020 (procedimento R 67/2019-1) è annullata.

2)      L’EUIPO è condannata alle spese.

Collins

Csehi

Steinfatt

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 2 giugno 2021.

Firme


*      Lingua processuale: l’inglese.