Language of document : ECLI:EU:T:2021:278

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quarta Sezione ampliata)

19 maggio 2021 (*)

«Dumping – Importazioni di determinati lavori di ghisa originari della Cina – Dazio antidumping definitivo – Ricorso di annullamento – Ricevibilità – Associazione – Legittimazione ad agire – Interesse ad agire – Determinazione del danno – Calcolo del volume delle importazioni – Indicatori macroeconomici e microeconomici – Campionamento – Calcolo del costo di produzione dell’industria dell’Unione – Prezzi fatturati infragruppo – Nesso di causalità – Analisi d’imputazione e di non imputazione – Mancata analisi del danno per segmento – Valutazione dell’importanza della sottoquotazione – Trattamento riservato di informazioni – Diritti della difesa – Metodo NCP per NCP – Comparabilità dei prodotti – Calcolo del valore normale – Paese di riferimento – Adeguamento IVA – Determinazione dei costi di vendita, dei costi generali e delle spese amministrative, nonché dei profitti»

Nella causa T-254/18,

China Chamber of Commerce for Import and Export of Machinery and Electronic Products, con sede a Pechino (Cina), e le altre ricorrenti i cui nomi sono contenuti nell’allegato (1), rappresentati da R. Antonini, E. Monard e B. Maniatis, avvocati,

ricorrenti,

contro

Commissione europea, rappresentata da T. Maxian Rusche e P. Němečková, in qualità di agenti,

convenuta,

sostenuta da

EJ Picardie, con sede a Saint-Crépin-Ibouvillers (Francia), e le altre parti intervenienti i cui nomi sono contenuti nell’allegato II (2), rappresentate da U. O’Dwyer, B. O’Connor, solicitors, e M. Hommé, avvocato,

intervenienti

avente ad oggetto la domanda fondata sull’articolo 263 TFUE e diretta all’annullamento del regolamento di esecuzione (UE) 2018/140 della Commissione, del 29 gennaio 2018, che istituisce un dazio antidumping definitivo e dispone la riscossione definitiva del dazio provvisorio sulle importazioni di determinati lavori di ghisa originari della Repubblica popolare cinese e chiude l’inchiesta sulle importazioni di determinati lavori di ghisa originari dell’India (GU 2018, L 25, pag. 6), nella parte in cui riguarda le ricorrenti,

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione ampliata),

composto da S. Gervasoni, presidente, L. Madise, P. Nihoul (relatore), R. Frendo e J. Martín y Pérez de Nanclares, giudici,

cancelliere: E. Artemiou, amministratrice,

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 29 giugno 2020,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        Il 31 ottobre 2016 è stata presentata, a norma dell’articolo 5 del regolamento (UE) 2016/1036 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2016, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri dell’Unione europea (GU 2016, L 176, pag. 21; in prosieguo: il «regolamento di base»), una denuncia alla Commissione europea affinché questa avviasse un procedimento antidumping relativo alle importazioni di determinati lavori di ghisa originari della Repubblica popolare cinese e della Repubblica dell’India.

2        Tale denuncia è stata presentata da sette produttori dell’Unione europea, vale a dire la Fondatel Lecomte SA, la Fonderies Dechaumont SA, la Fundiciones de Odena, SA, la Heinrich Meier Eisengießerei GmbH Co. KG, la Saint-Gobain Construction Products UK Ltd, la Saint-Gobain PAM SA e l’Ulefos Oy (in prosieguo: le «denuncianti») ed era sostenuta da due produttori dell’Unione, ossia l’EJ Picardie e la Montini SpA.

3        Con avviso pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea il 10 dicembre 2016 (GU 2016, C 461, pag. 22), la Commissione ha avviato un procedimento antidumping relativo alle importazioni di cui trattasi.

4        Il prodotto oggetto dell’inchiesta consisteva in «determinati lavori di ghisa a grafite lamellare (ghisa grigia) o ghisa a grafite sferoidale (detta anche ghisa duttile) e loro parti[,] lavori dei tipi utilizzati per coprire sistemi superficiali o sotterranei e/o accessi a sistemi superficiali o sotterranei, e anche per dare accesso a sistemi superficiali o sotterranei e/o consentire la visuale su sistemi superficiali o sotterranei» (in prosieguo: il «prodotto in esame»).

5        L’inchiesta relativa al dumping e al pregiudizio ha riguardato il periodo compreso tra il 1º ottobre 2015 e il 30 settembre 2016 (in prosieguo: il «periodo dell’inchiesta»). L’analisi delle tendenze utili per valutare il pregiudizio ha riguardato il periodo compreso tra il 1º gennaio 2013 e la fine del periodo dell’inchiesta (in prosieguo: il «periodo in esame»).

6        Il 16 agosto 2017 la Commissione ha adottato il regolamento di esecuzione (UE) 2017/1480, che istituisce un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di determinati lavori di ghisa originari della Repubblica popolare cinese (GU 2017, L 211, pag. 14; in prosieguo: il «regolamento provvisorio»). La Commissione non ha provvisoriamente accertato pratiche di dumping per le importazioni provenienti dalla Repubblica dell’India.

7        In esito al procedimento antidumping, la Commissione ha adottato il regolamento di esecuzione (UE) 2018/140, del 29 gennaio 2018, che istituisce un dazio antidumping definitivo e dispone la riscossione definitiva del dazio provvisorio sulle importazioni di determinati lavori di ghisa originari della Repubblica popolare cinese e chiude l’inchiesta sulle importazioni di determinati lavori di ghisa originari dell’India (GU 2018, L 25, pag. 6; in prosieguo: il «regolamento impugnato»).

8        La China Chamber of Commerce for Import and Export of Machinery and Electronic Products (in prosieguo: la «CCCME») è un’associazione cinese, che annovera tra i suoi membri produttori esportatori cinesi del prodotto in esame. La CCCME ha partecipato al procedimento amministrativo che ha portato all’adozione del regolamento impugnato.

9        Le altre persone giuridiche i cui nomi figurano nell’allegato I sono nove produttori esportatori cinesi, due dei quali sono stati selezionati dalla Commissione per far parte del campione dei produttori esportatori cinesi ivi inseriti ai fini dell’inchiesta.

 Procedimento e conclusioni delle parti

10      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 23 aprile 2018, le ricorrenti, ossia la CCCME e le altre persone giuridiche i cui nomi figurano nell’allegato I, hanno proposto il presente ricorso. Il controricorso, la replica e la controreplica sono stati depositati, rispettivamente, il 22 agosto 2018, il 12 novembre 2018 e il 23 febbraio 2019.

11      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 26 luglio 2018, l’EJ Picardie e le altre persone giuridiche i cui nomi figurano nell’allegato II hanno chiesto di intervenire nella presente causa a sostegno delle conclusioni della Commissione. Con ordinanza del 24 ottobre 2018, il presidente della Prima Sezione del Tribunale ha autorizzato l’intervento.

12      Il 13 dicembre 2018 le intervenienti hanno depositato presso la cancelleria del Tribunale una memoria di intervento. Le ricorrenti e la Commissione hanno depositato le loro osservazioni su tale memoria il 24 gennaio 2019.

13      A seguito della modifica della composizione delle sezioni del Tribunale, il giudice relatore è stato assegnato alla Quarta Sezione, alla quale è stata riassegnata la presente causa.

14      Su proposta della Quarta Sezione, il Tribunale ha deciso, ai sensi dell’articolo 28 del proprio regolamento di procedura, la rimessione della causa dinanzi ad un collegio giudicante ampliato.

15      Su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Quarta Sezione ampliata) ha deciso di avviare la fase orale del procedimento e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste dall’articolo 89 del regolamento di procedura, ha posto quesiti scritti alle parti e ha chiesto alla Commissione di produrre un documento. Le parti hanno risposto a tali quesiti e a tale richiesta di produzione di un documento entro il termine impartito.

16      Le difese orali delle parti sono state sentite all’udienza del 29 giugno 2020.

17      Le ricorrenti chiedono che il Tribunale voglia:

–        annullare il regolamento impugnato nella parte in cui si applica ad esse nonché ai membri della CCCME menzionati nell’allegato A.2;

–        condannare la Commissione e le intervenienti alle spese.

18      Le ricorrenti chiedono altresì al Tribunale di ordinare, a titolo di misura di organizzazione del procedimento, la produzione, da parte della Commissione, dei calcoli e dei dati sorgente riguardanti il volume delle importazioni, il pregiudizio e il margine di dumping dei produttori esportatori cinesi e indiani.

19      La Commissione, sostenuta dalle intervenienti, chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso in quanto irricevibile;

–        in subordine, respingere il ricorso in quanto parzialmente ricevibile;

–        in ulteriore subordine, respingere il ricorso in quanto infondato;

–        condannare le ricorrenti alle spese.

 In diritto

 Sulla ricevibilità

20      Con il sostegno delle intervenienti, la Commissione formula, avverso la ricevibilità del ricorso proposto dinanzi al Tribunale, diverse eccezioni di irricevibilità, relative a:

–        l’assenza di chiarezza e di precisione del ricorso (prima eccezione di irricevibilità, dedotta in via principale);

–        l’impossibilità, per la CCCME, di agire in nome proprio e in nome dei suoi membri (seconda e terza eccezione di irricevibilità, dedotte in subordine);

–        l’irricevibilità del ricorso in quanto proposto dalle altre persone giuridiche i cui nomi figurano nell’allegato I (quarta eccezione di irricevibilità, anch’essa dedotta in subordine).

21      Tali eccezioni di irricevibilità sono analizzate nei punti che seguono.

 Sulla mancanza di chiarezza e di precisione del ricorso

22      In via principale, la Commissione sostiene, nella sua prima eccezione di irricevibilità, che il ricorso è integralmente irricevibile, in quanto l’atto introduttivo non soddisfa i requisiti minimi di chiarezza e di precisione previsti all’articolo 76, lettera d), del regolamento di procedura, dal momento che raggruppare i soggetti che contestano il regolamento impugnato sotto lo stesso vocabolo di «ricorrenti» non consentirebbe di individuare le domande presentate da ciascuno di essi nel ricorso.

23      A tal riguardo, si deve rammentare che, ai sensi dell’articolo 21 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, applicabile al procedimento dinanzi al Tribunale ai sensi dell’articolo 53, primo comma, del medesimo Statuto, e dell’articolo 76, lettera d), del regolamento di procedura, il ricorso deve contenere, in particolare, il nome del ricorrente nonché un’esposizione sommaria dei motivi dedotti.

24      Tali elementi devono essere sufficientemente chiari e precisi per consentire alla parte convenuta di preparare la sua difesa e al Tribunale di pronunciarsi sul ricorso, eventualmente senza il supporto di altre informazioni (sentenza dell’11 settembre 2014, Gold East Paper e Gold Huasheng Paper/Consiglio, T-444/11, EU:T:2014:773, punto 93).

25      Nel caso di specie, la Commissione non sostiene che le ricorrenti non sono debitamente identificate o che i motivi non sono sufficientemente chiari, ma sostiene che, nel loro ricorso, le ricorrenti non hanno precisato i motivi dedotti da ciascuna di esse, mentre tali precisazioni sarebbero necessarie per valutare l’effetto del loro status sulla ricevibilità dei motivi dedotti.

26      A tal riguardo, occorre rilevare che, contrariamente a quanto afferma la Commissione, gli elementi essenziali riguardanti il rapporto tra le ricorrenti e i motivi dedotti emergono dal ricorso.

27      Infatti, al punto 1 del ricorso si precisa che il ricorso è proposto, anzitutto, dalla CCCME per proprio conto per quanto riguarda talune domande, poi, dalla CCCME che agisce per conto dei suoi membri e, infine, da nove produttori esportatori cinesi che agiscono individualmente senza avvalersi della CCCME.

28      Da tale esposizione risulta che solo la domanda di annullamento formulata dalla CCCME per proprio conto è limitata.

29      L’oggetto del ricorso proposto dalla CCCME in proprio è definito, al punto 5 del ricorso, come diretto alla salvaguardia dei diritti procedurali di cui essa disporrebbe, restando inteso che, in tale contesto, essa invoca una violazione del principio di buona amministrazione, dei diritti della difesa e di talune disposizioni del regolamento di base, vale a dire l’articolo 6, paragrafo 7, l’articolo 19, paragrafi da 1 a 3, e l’articolo 20, paragrafi 2 e 4.

30      Pertanto, contrariamente a quanto sostiene la Commissione, può stabilirsi un nesso, sulla base del ricorso, tra i motivi e le ricorrenti che li deducono.

31      Ne consegue che la Commissione era in grado di presentare la propria difesa tenendo conto dell’effetto dei diversi status delle ricorrenti sulla ricevibilità dei motivi nonché di formulare le sue conclusioni su tali punti e che il Tribunale, dal canto suo, può esercitare il suo controllo con piena cognizione di causa, conformemente alla giurisprudenza menzionata al precedente punto 24.

32      Ciò premesso, la prima eccezione di irricevibilità deve essere respinta.

 Sulla ricevibilità del ricorso in quanto proposto in nome proprio dalla CCCME

33      Nel ricorso, la CCCME dichiara di agire in nome proprio al fine di salvaguardare i diritti procedurali che le sono stati conferiti durante l’inchiesta ai sensi del regolamento di base.

34      Secondo la Commissione, sostenuta dalle intervenienti, il ricorso è irricevibile a tal riguardo, in quanto la CCCME non sarebbe un’associazione che rappresenta l’interesse dei suoi membri, bensì un’emanazione della Repubblica popolare cinese. Pertanto, essa non può invocare i diritti procedurali conferiti alle associazioni rappresentative e alle parti interessate dal regolamento di base, ma le dovrebbe essere riconosciuto, alla luce di tale regolamento, lo status di rappresentante del paese esportatore, che le conferirebbe, al massimo, un diritto di informazione.

35      A sostegno di tale posizione, dedotta in subordine e che costituisce la seconda eccezione di irricevibilità sollevata contro la ricevibilità del ricorso, la Commissione e le intervenienti espongono i seguenti elementi.

36      In primo luogo, l’articolo 4 dello statuto della CCCME, disponendo che essa agisce sotto la supervisione, la gestione e l’indirizzo professionale del Ministero degli Affari civili e del Ministero del Commercio cinesi, stabilirebbe che la CCCME costituisce un gruppo di lavoro dell’amministrazione cinese e non un’associazione di categoria.

37      In secondo luogo, l’assemblea generale dei membri della CCCME si riunirebbe soltanto una volta ogni cinque anni, come indicato all’articolo 16 del suo statuto, sebbene detta assemblea sia presentata come la più alta autorità del gruppo e si presume che essa disponga, a tale titolo, dei poteri elencati all’articolo 14 dello statuto della CCCME.

38      In terzo luogo, le camere di commercio cinesi trarrebbero origine da una riorganizzazione di enti governativi e dal Partito comunista cinese. A seguito di tale riorganizzazione, il loro ruolo quale prolungamento del partito e delle autorità pubbliche non sarebbe tuttavia sostanzialmente cambiato. Il loro comportamento resterebbe determinato dai pubblici poteri, di modo che esse non avrebbero l’indipendenza richiesta per poter essere considerate come associazioni rappresentative.

39      In quarto luogo, la CCCME sarebbe gestita dall’ufficio nazionale competente per la gestione delle associazioni, conformemente alla normativa cinese applicabile alle associazioni, con la conseguenza che essa non potrebbe prendere alcuna iniziativa né sostenere alcuna posizione senza la previa autorizzazione della Repubblica popolare cinese.

40      In quinto luogo, l’esistenza di stretti legami con il Ministero del Commercio cinese sarebbe attestata dall’intervento di un vicedirettore di tale Ministero in occasione di una riunione tenuta dalla CCCME il 9 dicembre 2016 al fine di analizzare l’inchiesta allora pianificata dalla Commissione e che ha condotto all’adozione del regolamento impugnato. Per quanto riguarda tale intervento, la cui esistenza è attestata da un verbale di detta riunione prodotto dalle ricorrenti, la Commissione precisa che esso conferma il fatto che la partecipazione della CCCME all’inchiesta costituiva un mezzo per consentire alla Repubblica popolare cinese di seguirne lo svolgimento. È per esercitare un siffatto controllo che la CCCME sarebbe stata sistematicamente presente in occasione delle verifiche effettuate dagli agenti della Commissione presso le sedi dei produttori esportatori cinesi. Questi ultimi la metterebbero peraltro in copia in tutti i messaggi di posta elettronica scambiati con la Commissione, anche quando non sono membri della CCCME.

41      Dal canto loro, le intervenienti sostengono che, su istruzione della Repubblica popolare cinese, la CCCME attua una strategia volta a indebolire la legittimità delle misure di difesa commerciale adottate dall’Unione e dall’Organizzazione mondiale del commercio (OMC). Ciò sarebbe reso manifesto dal fatto che, nella presente controversia, la CCCME agisce per ottenere due modifiche fondamentali, vale a dire, da un lato, l’estensione del controllo esercitato dal Tribunale sulla legittimità del regolamento impugnato e, dall’altro, la concessione di un accesso completo ai dati riservati contenuti nel fascicolo dell’inchiesta formato dalla Commissione.

42      In sesto luogo, le intervenienti sostengono che la CCCME si presenta essa stessa sul suo sito Internet come un’organizzazione che ha il compito di adeguare e disciplinare il sistema nazionale di economia di mercato. In tale ordine di idee, esse indicano che all’interno della CCCME sarebbe stato istituito un comitato di lavoro per l’autodisciplina dell’industria al fine di evitare una concorrenza nociva tra imprese cinesi in materia di scambi esterni e di ingegneria dei mercati esteri.

43      In settimo luogo, le dichiarazioni fornite dalle ricorrenti dimostrerebbero che le 19 imprese a nome delle quali la CCCME sostiene di agire non erano membri di tale ente durante l’inchiesta, ma lo sarebbero divenute soltanto tra il dicembre 2017 e il gennaio 2018. La CCCME non potrebbe, date tali circostanze, sostenere di essere una vera e propria associazione rappresentativa di tali membri. Del resto, il sito Internet della CCCME non menzionerebbe i prodotti di ghisa come un ramo di attività coperto da tale associazione.

44      Per pronunciarsi, occorre ricordare che il compito affidato al giudice dell’Unione, quando è investito di un’eccezione avverso la ricevibilità di un ricorso o di una parte del ricorso, consiste nel determinare se siano soddisfatti i requisiti previsti dalla giurisprudenza a proposito di tale tipo di eccezione.

45      Nel caso di specie, risulta che, secondo la giurisprudenza, per sapere se la CCCME sia legittimata a proporre un ricorso in nome proprio, si deve verificare se essa disponga, da un lato, della legittimazione ad agire e, dall’altro, dell’interesse ad agire, richiesti dall’articolo 263 TFUE (v., in tal senso, sentenza del 17 settembre 2015, Mory e a./Commissione, C‑33/14 P, EU:C:2015:609, punto 62 e giurisprudenza ivi citata).

–       Sulla legittimazione ad agire

46      Per quanto riguarda la legittimazione ad agire, l’articolo 263, quarto comma, TFUE prevede che qualsiasi persona fisica o giuridica possa proporre‚ alle condizioni previste al primo e secondo comma della medesima disposizione, un ricorso contro gli atti adottati nei suoi confronti o che la riguardano direttamente e individualmente, e contro gli atti regolamentari che la riguardano direttamente e che non comportano alcuna misura d’esecuzione.

47      Poiché la CCCME non è destinataria del regolamento impugnato, occorre stabilire se, laddove essa intende salvaguardare i propri diritti procedurali proponendo un ricorso in nome proprio, essa possa basarsi sulla seconda fattispecie prevista all’articolo 263, quarto comma, TFUE, ossia quella a norma della quale la parte ricorrente può dimostrare che l’atto impugnato la riguardi, da un lato, individualmente e, dall’altro, direttamente.

48      Questi due requisiti (essere interessati individualmente e direttamente) sono esaminati in successione nei punti che seguono.

49      Secondo la giurisprudenza, per essere individualmente interessati occorre che l’atto impugnato tocchi il ricorrente a causa di determinate qualità personali, ovvero di particolari circostanze atte a distinguerlo dalla generalità, e quindi lo identifichi alla stessa stregua dei destinatari (sentenza del 15 luglio 1963, Plaumann/Commissione, 25/62, EU:C:1963:17, pag. 220).

50      Il fatto che una persona o un’entità giuridica intervenga, in un modo o in un altro, nel processo che conduce all’adozione di un atto impugnato non basta a contraddistinguerla rispetto all’atto in questione (v., in tal senso, sentenze del 4 ottobre 1983, Fediol/Commissione, 191/82, EU:C:1983:259, punto 31; del 17 gennaio 2002, Rica Foods/Commissione, T-47/00, EU:T:2002:7, punto 55, e del 9 giugno 2016, Growth Energy e Renewable Fuels Association/Consiglio, T‑276/13, EU:T:2016:340, punto 81).

51      Per contro, si può ritenere comprovato il fatto di essere individualmente interessati qualora una disposizione del diritto dell’Unione imponga, al fine di adottare un atto dell’Unione, di seguire un procedimento nell’ambito del quale tale persona o entità può rivendicare eventuali diritti procedurali, tra cui quello di essere sentita, nel qual caso la posizione giuridica particolare di cui essa gode ha quindi l’effetto di contraddistinguerla ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE (v., in tal senso, sentenze del 4 ottobre 1983, Fediol/Commissione, 191/82, EU:C:1983:259, punto 31; del 17 gennaio 2002, Rica Foods/Commissione, T-47/00, EU:T:2002:7, punto 55, e del 9 giugno 2016, Growth Energy e Renewable Fuels Association/Consiglio, T‑276/13, EU:T:2016:340, punto 81).

52      In tale contesto, occorre esaminare se, nel corso del procedimento che ha portato all’adozione del regolamento impugnato, alla CCCME siano stati concessi, dall’autore di quest’ultimo, diritti procedurali di cui essa potrebbe chiedere la tutela agendo in nome proprio dinanzi al giudice dell’Unione.

53      Nell’ambito di tale esame, occorre constatare che la CCCME ha ricevuto dalla Commissione, dopo averla richiesta, l’autorizzazione ad accedere, in applicazione dell’articolo 6, paragrafo 7, del regolamento di base, al fascicolo dell’inchiesta, autorizzazione che è stata rilasciata il 16 dicembre 2016.

54      In seguito, la CCCME ha ricevuto dalla Commissione, conformemente all’articolo 20, paragrafo 1, del regolamento di base, le conclusioni provvisorie da essa elaborate. Secondo gli atti del fascicolo, tale comunicazione è avvenuta il 17 agosto 2017. La CCCME ha presentato osservazioni scritte sulle conclusioni provvisorie il 15 settembre 2017.

55      Successivamente, la CCCME ha ricevuto, l’8 novembre 2017, conformemente all’articolo 20, paragrafo 2, del regolamento di base, le conclusioni definitive, nelle quali la Commissione prevedeva di raccomandare l’adozione di misure definitive.

56      Per quanto riguarda tali conclusioni definitive, il 20 novembre 2017 la CCCME ha presentato osservazioni scritte alle quali la Commissione ha risposto, come indicato al considerando 9 del regolamento impugnato.

57      Infine, la CCCME ha ottenuto dalla Commissione il diritto di partecipare a due audizioni organizzate nell’ambito dell’inchiesta, come previsto dall’articolo 6, paragrafo 5, del regolamento di base per le persone o gli enti che, entro il termine fissato nell’avviso pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, presentino una domanda scritta nella quale dimostrino di essere parti in causa che potrebbero essere coinvolte dall’esito del procedimento e di avere particolari motivi per chiedere di essere sentite.

58      Da tali elementi procedurali risulta che, durante tutto il procedimento amministrativo, la CCCME è stata considerata dalla Commissione come una parte interessata alla quale dovevano essere riconosciuti i diritti procedurali previsti dal regolamento di base.

59      Del riconoscimento di tale status e dei diritti che ne derivano in capo alla CCCME è stato dato atto nel regolamento impugnato, nel quale la Commissione ha indicato, al considerando 25, che, in applicazione delle disposizioni contenute nel regolamento di base, tale ente doveva essere considerato come una parte interessata che rappresentava, in particolare, l’industria cinese delle fusioni.

60      Su tale base, occorre ritenere che, essendo stata così identificata dalla Commissione nel corso del procedimento amministrativo, la CCCME soddisfa i requisiti posti dalla giurisprudenza per essere considerata individualmente interessata dal regolamento impugnato per quanto riguarda il ricorso proposto in nome proprio per la salvaguardia dei propri diritti procedurali.

61      Tale conclusione è contestata dalla Commissione e dalle intervenienti, le quali, pur non contestando il fatto che durante l’inchiesta siano stati riconosciuti alla CCCME diritti procedurali e uno status particolare in applicazione del regolamento di base, sostengono che tale situazione deriva, di fatto, da un errore. Preparando la sua difesa dinanzi al Tribunale, la Commissione si sarebbe resa conto che, essendo un’emanazione della Repubblica popolare cinese, alla CCCME non potevano, in realtà, essere riconosciuti lo status e i diritti procedurali previsti dal regolamento di base. Sebbene intervenga nella fase del ricorso dinanzi al giudice, il riconoscimento di un siffatto errore dovrebbe comportare, secondo tale istituzione, l’irricevibilità del ricorso proposto dalla CCCME in nome proprio.

62      In risposta a tale argomento, da un lato, si deve ricordare che, investito di un’eccezione sulla ricevibilità, il giudice dell’Unione deve verificare se questa soddisfi i requisiti derivanti dal Trattato e se tale verifica abbia portato a ritenere che ciò sia avvenuto nel caso di specie.

63      Dall’altro lato, occorre rilevare che l’argomento della Commissione equivale a suggerire che lo status giuridico da essa conferito alla CCCME, in applicazione del regolamento di base, deve essere ignorato ai fini del presente ricorso, in quanto tale status risulterebbe da un errore ad essa imputabile.

64      Orbene, un siffatto errore, ammesso che sia accertato, non può cancellare quanto è stato riconosciuto e conferito durante il procedimento amministrativo, tanto più che l’autore di un atto impugnato ha la possibilità di correggere gli errori da esso commessi nell’ambito dell’adozione di quest’ultimo. Pertanto, l’autore, quando si rende conto dell’errore, può decidere che i diritti procedurali e lo status riconosciuti siano revocati alla parte interessata, fatta salva la possibilità per quest’ultima di chiedere al giudice dell’Unione di esaminare la validità della decisione così adottata (v., in tal senso, sentenza del 27 gennaio 2000, BEUC/Commissione, T-256/97, EU:T:2000:21, punti 27 e 84). Se l’errore viene individuato dopo la chiusura del procedimento amministrativo, come è avvenuto nel caso di specie in base agli argomenti presentati dalla Commissione, l’autore dell’atto impugnato conserva la possibilità di revocarlo e di riprendere il procedimento, correggendo l’errore nella fase in cui esso è stato commesso (v., in tal senso, sentenza del 16 marzo 2016, Frucona Košice/Commissione, T-103/14, EU:T:2016:152, punto 61 e giurisprudenza ivi citata), fatta salva, anche in questo caso, la possibilità, per la parte interessata, di contestare la decisione adottata nei suoi confronti.

65      Ne consegue che l’argomento formulato dalla Commissione con il sostegno delle intervenienti deve essere respinto.

66      Per quanto necessario, va segnalato che la Commissione sostiene inoltre che, anche supponendo che la CCCME possa rivendicare diritti procedurali che essa trarrebbe dal regolamento di base, tale ente dovrebbe essere riconosciuto come un’associazione rappresentativa ai sensi di detto regolamento, e non come una parte interessata ai sensi del medesimo regolamento. Orbene, lo status di associazione rappresentativa darebbe accesso a diritti processuali più limitati rispetto a quelli conferiti alle parti interessate, con la conseguenza che il ricorso dovrebbe essere dichiarato irricevibile per taluni diritti procedurali invocati dalla CCCME che il regolamento di base conferisce solo alle parti interessate.

67      Per rispondere a tale argomento, è sufficiente segnalare che tale rappresentazione della CCCME da parte della Commissione non corrisponde a quanto indicato nel regolamento impugnato, la cui motivazione costituisce l’elemento da prendere in considerazione nell’ambito del presente ricorso.

68      Infatti, nel regolamento impugnato, la Commissione ha riconosciuto alla CCCME lo status di parte interessata, senza alcuna ambiguità, come indicato al precedente punto 59. Essa si è infatti espressa in questi termini al considerando 25:

«[S]econdo la Commissione il fascicolo pubblico del caso messo a disposizione delle parti, tra cui la CCCME, conteneva tutte le informazioni pertinenti per la tutela dei loro interessi e utilizzate nell’inchiesta. Eventuali informazioni ritenute riservate erano riportate in sintesi nel fascicolo pubblico. Tutte le parti interessate, compresa la CCCME, avevano accesso al fascicolo pubblico e potevano consultarlo. Per quanto concerne la CCCME, la Commissione ha osservato che pur rappresentando, tra gli altri, l'industria cinese delle fusioni, essa non era autorizzata da singoli produttori esportatori inseriti nel campione ad accedere alle loro informazioni riservate. Di conseguenza, le informazioni riservate trasmesse ai singoli produttori esportatori cinesi inseriti nel campione non potevano essere fornite alla CCCME».

69      Inoltre, come risulta dai precedenti punti da 53 a 58, la Commissione ha riconosciuto alla CCCME, nel corso del procedimento, sia diritti procedurali espressamente previsti per le associazioni rappresentative, quali quelli sanciti all’articolo 20, paragrafi 1 e 2, del regolamento di base, che consentono di ottenere informazioni sui principali fatti e considerazioni in base ai quali sono state istituite misure provvisorie o in base ai quali si intende raccomandare l’istituzione di misure definitive, sia altri diritti procedurali che sono indistintamente concessi a tutte le parti interessate a norma del medesimo regolamento, quale quello di essere sentiti ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 5.

70      Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre constatare che la CCCME soddisfa i requisiti necessari per essere considerata individualmente interessata ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, fatta salva la possibilità per la Commissione di rifiutare eventualmente in futuro alla CCCME lo status e le garanzie di cui trattasi e quella, per l’ente interessato, di contestare, in tal caso, tale decisione dinanzi al giudice dell’Unione.

71      Accertato in tal modo l’interesse individuale, occorre esaminare se la CCCME possa essere considerata anche direttamente interessata, il che richiede che siano soddisfatte cumulativamente le condizioni seguenti.

72      Da un lato, l’atto impugnato deve produrre effetti direttamente sulla situazione giuridica del ricorrente (sentenza del 13 ottobre 2011, Deutsche Post e Germania/Commissione, C-463/10 P e C-475/10 P, EU:C:2011:656, punto 66).

73      Dall’altro lato, l’atto impugnato non deve lasciare ai destinatari incaricati della sua applicazione alcun potere discrezionale quanto all’applicazione stessa, la quale ha carattere meramente automatico e deriva dalla sola normativa dell’Unione, senza intervento di altre norme intermedie (sentenza del 13 ottobre 2011, Deutsche Post e Germania/Commissione, C-463/10 P e C-475/10 P, EU:C:2011:656, punto 66).

74      Tali condizioni sono soddisfatte nel caso di specie, dal momento che la CCCME può ottenere il rispetto dei suoi diritti procedurali solo se ha la possibilità di contestare il regolamento impugnato.

75      Poiché la CCCME è quindi direttamente interessata, oltre ad esserlo individualmente, si deve concludere che essa è legittimata ad agire in nome proprio al fine di garantire la salvaguardia dei suoi diritti procedurali (v., in tal senso, sentenza del 28 febbraio 2019, Consiglio/Growth Energy e Renewable Fuels Association, C-465/16 P, EU:C:2019:155, punti da 101 a 109).

76      Per completare l’analisi, si fa presente che, nel controricorso, la Commissione ha sostenuto che la CCCME non era una persona giuridica ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE. In udienza, essa ha tuttavia rinunciato a tale eccezione di irricevibilità dopo aver esaminato i documenti forniti dalle ricorrenti per quanto riguardava la personalità giuridica della CCCME alla luce del diritto cinese, circostanza che è stata riportata nel verbale d’udienza.

–       Sull’interesse ad agire

77      Per quanto riguarda l’interesse ad agire, la giurisprudenza precisa che un ricorso di annullamento proposto da una persona fisica o giuridica è ricevibile solo ove il ricorrente abbia un interesse all’annullamento dell’atto impugnato (sentenza del 10 dicembre 2010, Ryanair/Commissione, da T‑494/08 a T‑500/08 e T‑509/08, EU:T:2010:511, punto 41; ordinanze del 9 novembre 2011, ClientEarth e a./Commissione, T-120/10, non pubblicata, EU:T:2011:646, punto 46, e del 30 aprile 2015, EEB/Commissione, T-250/14, non pubblicata, EU:T:2015:274, punto 14).

78      A tal riguardo, occorre rilevare che l’annullamento del regolamento impugnato imporrebbe alla Commissione di riaprire il procedimento antidumping e, qualora essa ritenesse che fossero soddisfatte le condizioni previste a tal fine dal regolamento di base, di consentire alla CCCME di intervenire nel procedimento ricevendo le sue osservazioni conformemente al regolamento di base.

79      Essendo idoneo a produrre effetti di tale tipo, un annullamento potrebbe avere conseguenze giuridiche per la CCCME che agisce in nome proprio.

80      Ciò premesso, si deve ritenere che la CCCME abbia l’interesse ad agire richiesto per proporre in nome proprio il presente ricorso.

 Sulla ricevibilità del ricorso in quanto proposto dalla CCCME in nome dei suoi membri e sulla ricevibilità degli argomenti addotti a sostegno di tale ricorso

81      Nella terza eccezione di irricevibilità, anch’essa sollevata in subordine, la possibilità per la CCCME di proporre un ricorso in nome dei suoi membri è contestata dalla Commissione mediante quattro argomenti.

–       Assenza di rappresentatività

82      La Commissione, sostenuta dalle intervenienti, afferma che il diritto di agire in giudizio riconosciuto alle associazioni quando agiscono in nome dei loro membri è riservato, nella giurisprudenza, a quelle dotate di rappresentatività. Nella tradizione giuridica degli Stati membri, tale termine designerebbe la natura di un ente di diritto privato in grado di rappresentare gli interessi collettivi dei suoi membri così come questi ultimi li hanno definiti in maniera democratica al suo interno. Tale natura rappresentativa sarebbe assente nel caso della CCCME, che dovrebbe essere considerata un’emanazione della Repubblica popolare cinese e non potrebbe quindi avvalersi della giurisprudenza in parola.

83      A tale riguardo, occorre rilevare che, secondo la giurisprudenza, un’associazione è legittimata a proporre un ricorso di annullamento segnatamente quando rappresenta gli interessi di imprese che sono a loro volta legittimate ad agire (ordinanza del 23 novembre 1999, Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio, T-173/98, EU:T:1999:296, punto 47, e sentenza del 15 settembre 2016, Molinos Río de la Plata e a./Consiglio, da T-112/14 a T-116/14 e T-119/14, non pubblicata, EU:T:2016:509, punto 33).

84      La possibilità per un’associazione di agire in nome dei suoi membri si basa sul vantaggio significativo derivante da tale modo di procedere, in quanto consente di evitare la proposizione di un numero elevato di ricorsi diretti contro gli stessi atti da parte dei membri dell’associazione che rappresenta i loro interessi (v., in tal senso, sentenze del 6 luglio 1995, AITEC e a./Commissione, da T-447/93 a T-449/93, EU:T:1995:130, punto 60; del 15 settembre 2016, Molinos Río de la Plata e a./Consiglio, da T-112/14 a T-116/14 e T-119/14, non pubblicata, EU:T:2016:509, punto 35, e del 30 aprile 2019, UPF/Commissione, T-747/17, EU:T:2019:271, punto 25).

85      Dalla giurisprudenza citata al precedente punto 84 risulta che, affinché tale vantaggio si concretizzi, è necessario e sufficiente, in primo luogo, che l’associazione di cui trattasi agisca in nome dei suoi membri (essi stessi legittimati ad agire, circostanza che occorre verificare successivamente) e, in secondo luogo, che la proposizione del ricorso sia consentita dai poteri che le sono conferiti dal proprio statuto.

86      Occorre verificare se si possa ritenere che tali due requisiti siano soddisfatti per quanto riguarda la CCCME.

87      Per quanto riguarda il primo requisito, occorre constatare che, per dimostrare il loro status di membro, la CCCME ha fornito al Tribunale, per ciascuna delle imprese a nome delle quali è proposto il ricorso, un documento attestante la loro qualità di membro.

88      Per quanto riguarda il secondo requisito, si può dare atto che lo statuto prodotto dalla CCCME presenta l’oggetto sociale perseguito da tale associazione in termini che consentono di includere un’azione giudiziaria diretta a difendere gli interessi dei suoi membri contro misure di difesa commerciale.

89      Tale constatazione è fondata sull’articolo 3 dello statuto della CCCME, che definisce il suo oggetto sociale come volto a «fornire ai suoi membri coordinamento, consulenza e servizio; mantenere regole del gioco eque contro il protezionismo; salvaguardare i diritti e i legittimi interessi dei suoi membri; e promuovere lo sviluppo sano delle industrie meccanica ed elettronica».

90      Tale constatazione si fonda anche sull’articolo 6, paragrafi 4, 5 e 9, dello statuto, che conferisce alla CCCME la capacità di «organizzare le imprese per la gestione di ricorsi commerciali e controversie in materia di proprietà intellettuale relative alle esportazioni all’estero di prodotti meccanici ed elettronici della Cina, di fornire consulenze giuridiche e assistenza giuridica ai membri, di chiedere al governo di indagare sulle pratiche di concorrenza sleale delle imprese straniere[,] di predisporre l’elaborazione della regolamentazione dei servizi dell’industria, di promuovere l’autodisciplina dell’industria[,] di mantenere il normale ordine commerciale delle importazioni e delle esportazioni, nonché gli interessi comuni dei membri (...) e di svolgere altre attività secondo le necessità dei membri».

91      Per quanto necessario, si può rilevare che l’oggetto sociale della CCCME è descritto nel suo statuto in termini simili a quelli utilizzati nello statuto delle associazioni ricorrenti nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 28 febbraio 2019, Consiglio/Growth Energy e Renewable Fuels Association (C-465/16 P, EU:C:2019:155, punti da 60 a 63), in cui la Corte ha dichiarato che era soddisfatta la condizione relativa alla legittimazione ad agire per dette associazioni.

92      Pertanto, occorre ritenere che, nel caso di specie, ricorrano le due condizioni previste dalla giurisprudenza per la proposizione di un ricorso da parte di un’associazione a nome dei suoi membri.

93      Tale posizione è tuttavia contestata su due punti dalla Commissione e dalle intervenienti.

94      In primo luogo, le intervenienti rilevano che le certificazioni prodotte dalla CCCME per dimostrare la qualità di membro delle imprese che affermano essere parte della sua organizzazione sono state redatte poco tempo prima della presentazione del ricorso, senza che tale appartenenza sia stata dimostrata durante la fase amministrativa che ha condotto all’adozione del regolamento impugnato.

95      Orbene, per potersi avvalere della giurisprudenza che consente alle associazioni di agire in nome dei loro membri occorrerebbe dimostrare una rappresentanza estesa per tutto il procedimento, compresa la fase amministrativa, altrimenti la rappresentanza avrebbe carattere artificioso, esclusivamente connesso alla proposizione del ricorso.

96      A tal riguardo, è sufficiente ricordare che, secondo la giurisprudenza, il riconoscimento di un diritto di azione alle associazioni in nome dei loro membri si basa su una logica procedurale connessa alla buona amministrazione della giustizia, vale a dire il vantaggio derivante dalla concentrazione, in un solo ricorso, di un insieme di azioni che sarebbero altrimenti proposte dalle imprese interessate (v. punto 84 supra), e che non è necessario che la rappresentanza si estenda per tutto il procedimento, ivi compresa la fase amministrativa, per consentire all’associazione di presentare un ricorso in nome dei propri membri.

97      Nel caso di specie, un simile vantaggio è effettivamente presente, poiché il ricorso proposto dalla CCCME in nome dei suoi membri consente di evitare la proposizione di un’azione da parte di ciascuno dei membri in nome dei quali essa agisce. Inoltre, è pacifico che, alla data di proposizione del ricorso, le imprese per conto delle quali la CCCME agisce in giudizio erano effettivamente membri di tale associazione.

98      In secondo luogo, la Commissione, sostenuta dalle intervenienti, afferma che, al di là dei due requisiti appena esaminati, un terzo, connesso alla rappresentatività dell’associazione in questione secondo la tradizione giuridica comune degli Stati membri, è stato introdotto dalla sentenza del 28 febbraio 2019, Consiglio/Growth Energy e Renewable Fuels Association (C-465/16 P, EU:C:2019:155).

99      A tale riguardo, occorre rilevare che, nella sentenza del 28 febbraio 2019, Consiglio/Growth Energy e Renewable Fuels Association (C‑465/16 P, EU:C:2019:155, punti da 120 a 125), la Corte ha ritenuto che l’assenza di un diritto di voto o di un altro strumento che consenta alle imprese di difendere i propri interessi all’interno di un’associazione non impedisca a quest’ultima di presentare un ricorso in nome dei propri membri.

100    Per tale motivo, la Corte ha annullato la sentenza del 9 giugno 2016, Growth Energy e Renewable Fuels Association/Consiglio (T-276/13, EU:T:2016:340), con la quale, in primo grado, il Tribunale, introducendo un requisito che si aggiungeva alle condizioni sopra esaminate, aveva ritenuto che il diritto di azione delle associazioni doveva essere subordinato, quando esse sostenevano di agire in nome dei loro membri, all’esistenza di un diritto di voto o di un altro strumento che consentisse a questi ultimi di far valere la loro opinione all’interno dell’organizzazione.

101    Occorre dunque respingere l’interpretazione della sentenza del 28 febbraio 2019, Consiglio/Growth Energy e Renewable Fuels Association (C-465/16 P, EU:C:2019:155), fornita dalla Commissione e dalle intervenienti, secondo la quale il diritto delle associazioni di agire in giudizio a nome dei loro membri conterrebbe una condizione supplementare connessa alla natura rappresentativa di tale associazione ai sensi della tradizione giuridica comune degli Stati membri.

102    Inoltre, si può rilevare che il legislatore dell’Unione ha dimostrato un certo realismo prevedendo, nella normativa antidumping, la situazione in cui le importazioni oggetto di dumping provenissero da un paese non retto da un’economia di mercato. Infatti, l’articolo 2 del regolamento di base enuncia norme diverse per la determinazione del valore normale a seconda che i produttori esportatori interessati siano stabiliti o meno in un paese retto da un’economia di mercato.

103    Se fosse richiesta una condizione di rappresentatività per quanto riguarda un ente che si presenta come un’associazione, si dovrebbe tener conto, per valutare se tale condizione sia soddisfatta, da un lato, delle peculiarità dello Stato terzo da cui essa proviene e, dall’altro, del fatto che, se si tratta di uno Stato che non è retto da un’economia di mercato, le autorità pubbliche intervengono maggiormente nel funzionamento e nelle attività delle imprese o delle associazioni attive nel suo territorio.

104    Sulla base di tali considerazioni, si può ritenere che il primo argomento sollevato dalla Commissione e dalle intervenienti avverso la ricevibilità del ricorso proposto dalla CCCME in nome dei suoi membri debba essere respinto.

–       Natura del regolamento impugnato

105    La Commissione sostiene, sempre per contestare la possibilità per la CCCME di agire in nome dei suoi membri, che la natura del regolamento impugnato osta all’applicazione, nel contenzioso relativo alle misure di difesa commerciale, della giurisprudenza sulla ricevibilità dei ricorsi proposti da associazioni.

106    Secondo la Commissione, il regolamento impugnato contiene un insieme di decisioni riguardanti, ciascuna, un produttore esportatore specifico. Poiché gli effetti di un eventuale annullamento di tale regolamento possono avvantaggiare solo il produttore esportatore che ha proposto ricorso, sarebbe essenziale, a fini della certezza del diritto, identificare le imprese che chiedono detto annullamento tramite l’associazione che agisce in loro nome. Orbene, tale identificazione non sarebbe possibile, sulla base della comunicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea relativa ai procedimenti giurisdizionali avviati dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea, qualora un ricorso sia proposto da un’associazione in nome dei suoi membri.

107    A tal riguardo, occorre rilevare che la giurisprudenza non consente di escludere, per un’associazione, il diritto di agire in nome dei suoi membri nel contenzioso relativo alle misure di difesa commerciale (v., in tal senso, sentenze del 28 febbraio 2019, Consiglio/Growth Energy e Renewable Fuels Association, C-465/16 P, EU:C:2019:155, punto 126; del 21 marzo 2012, Fiskeri og Havbruksnæringens Landsforening e a./Consiglio, T-115/06, non pubblicata, EU:T:2012:136, punto 29, e del 15 settembre 2016, Molinos Río de la Plata e a./Consiglio, da T-112/14 a T-116/14 e T-119/14, non pubblicata, EU:T:2016:509, punto 63).

108    I vantaggi procedurali riconosciuti dalla giurisprudenza a questo tipo di ricorsi si presentano anche nel caso di specie, poiché i regolamenti che istituiscono dazi antidumping possono riguardare un numero elevato di produttori esportatori identificati in tali atti o interessati dall’inchiesta che ha preceduto la loro adozione.

109    È vero che, conformemente alla giurisprudenza, un regolamento che impone dazi antidumping diversi riguarda individualmente ogni operatore interessato solo dalle sue disposizioni che gli impongono un dazio antidumping particolare e fissando l’importo, e non da quelle che impongono dazi antidumping ad altre società (sentenza del 10 marzo 1992, Ricoh/Consiglio, C-174/87, EU:C:1992:108, punto 7).

110    Pertanto, un ricorso di annullamento diretto contro un regolamento che impone dazi antidumping, se accolto, comporta l’annullamento di tale regolamento nella parte in cui impone un dazio antidumping al ricorrente e detto annullamento non inficia la validità degli altri elementi di detto regolamento, in particolare del dazio antidumping applicabile agli altri operatori (v., in tal senso, sentenza del 15 febbraio 2001, Nachi Europe, C-239/99, EU:C:2001:101, punto 27).

111    Tuttavia, è sufficiente constatare che i produttori esportatori a nome dei quali la CCCME agisce sono 19 produttori esportatori cinesi individuati nell’allegato A.2 del ricorso, precisamente la Hebei Cheng’An Babel Casting Co. Ltd, la Shanxi Jiaocheng Xinglong Casting Co. Ltd, la Tianjin Jinghai Chaoyue Industrial and Commercial Co. Ltd, la Qingdao Jiatailong Industrial Co. Ltd, la Qingdao Jinfengtaike Machinery Co. Ltd, la Shahe City Fangyuan Casting Co. Ltd, la Shandong Heshengda Machinery Technology Co. Ltd, la Baoding Shuanghu Casting Co. Ltd, la Tang County Kaihua Metal Products Co. Ltd, la Weifang Nuolong Machinery Co. Ltd, la Laiwu Xinlong Weiye Foundry Co. Ltd, la Handan Zhangshui Pump Manufacturing Co. Ltd, la Zibo Joy’s Metal Co. Ltd, la Dingxiang Sitong Forging and Casting Industrial, la Jiaocheng County Honglong Machinery Manufacturing Co. Ltd, la Laiwu City Haitian Machinery Plant, la Lianyungang Ganyu Xingda Casting Foundry, la Rockhan Technology Co. Ltd e la Botou GuangTai Precision Casting Factory.

112    Ne consegue che, conformemente alla giurisprudenza menzionata al precedente punto 110, solo tali membri potrebbero beneficiare di un annullamento se il ricorso proposto in loro nome dalla CCCME venisse accolto dal Tribunale.

113    Per tale ragione, occorre respingere il secondo argomento presentato dalla Commissione per contestare la ricevibilità del ricorso proposto dalla CCCME in nome dei suoi membri.

–       Membri non inseriti nel campione

114    La Commissione ricorda che i membri della CCCME non sono stati inseriti nel campione dei produttori esportatori cinesi da essa selezionati durante l’inchiesta e sostiene che la giurisprudenza riserva la legittimazione ad agire ai soli operatori che sono stati oggetto di una simile selezione.

115    A tal riguardo, occorre ricordare che, come indicato al precedente punto 46, ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, una persona può proporre un ricorso contro gli atti adottati nei suoi confronti o che la riguardano direttamente e individualmente, e contro gli atti regolamentari che la riguardano direttamente e che non comportano alcuna misura d’esecuzione.

116    La prima e la seconda fattispecie previste da tale norma non riguardano i membri della CCCME, giacché, da un lato, questi ultimi non sono i destinatari del regolamento impugnato (v., in tal senso, sentenza del 15 settembre 2016, Molinos Río de la Plata e a./Consiglio, da T-112/14 a T-116/14 e T-119/14, non pubblicata, EU:T:2016:509, punto 39) e, dall’altro, il regolamento impugnato comporta misure di esecuzione, mentre il sistema istituito dal regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 ottobre 2013, che istituisce il codice doganale dell’Unione (GU 2013, L 269, pag. 1), nel quale si inserisce il regolamento impugnato, prevede, in effetti, che i dazi fissati da quest’ultimo siano riscossi mediante misure adottate dalle autorità nazionali (v., in tal senso, ordinanza del 21 gennaio 2014, Bricmate/Consiglio, T-596/11, non pubblicata, EU:T:2014:53, punto 72 e giurisprudenza ivi citata).

117    Poiché la prima e la terza fattispecie previste dall’articolo 263, quarto comma, TFUE non ricorrono nel caso di specie, occorre stabilire se le condizioni previste per l’applicazione della seconda siano soddisfatte per quanto riguarda i membri della CCCME, il che rende necessario analizzare se essi siano direttamente e individualmente interessati.

118    Nel caso di specie, la condizione relativa all’essere direttamente interessati è soddisfatta in quanto il regolamento impugnato produce direttamente effetti sulla situazione giuridica dei membri della CCCME e le autorità doganali degli Stati membri, senza godere di alcun margine di discrezionalità, sono obbligate a riscuotere i dazi imposti dal regolamento impugnato (v., in tal senso, sentenze del 29 marzo 1979, ISO/Consiglio, 118/77, EU:C:1979:92, punto 26, e del 15 settembre 2016, Molinos Río de la Plata e a./Consiglio, da T-112/14 a T-116/14 e T-119/14, non pubblicata, EU:T:2016:509, punto 62).

119    Quanto all’essere individualmente interessati, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza, i regolamenti che istituiscono dazi antidumping hanno, per natura e per portata, carattere normativo in quanto si applicano alla generalità degli operatori economici interessati (sentenze del 16 aprile 2015, TMK Europe, C-143/14, EU:C:2015:236, punto 19, e del 28 febbraio 2019, Consiglio/Marquis Energy, C‑466/16 P, EU:C:2019:156, punto 47). Tale carattere normativo non osta, tuttavia, a che detti regolamenti possano riguardare individualmente quelli fra i produttori ed esportatori del prodotto in esame ai quali vengono attribuite le pratiche di dumping sulla base di dati relativi alla loro attività commerciale. È il caso, in generale, delle imprese produttrici ed esportatrici che possano dimostrare di essere state individuate negli atti della Commissione e del Consiglio o prese in considerazione nelle indagini preparatorie (sentenza del 28 febbraio 2019, Consiglio/Growth Energy e Renewable Fuels Association, C‑465/16 P, EU:C:2019:155, punto 79; v., altresì, sentenza del 16 gennaio 2014, BP Products North America/Consiglio, T-385/11, EU:T:2014:7, punto 74 e giurisprudenza ivi citata).

120    A tal riguardo, occorre constatare che i membri della CCCME sono imprese produttrici ed esportatrici del prodotto in esame che, da un lato, hanno fornito alla Commissione informazioni rispondendo al questionario contenuto nell’allegato I dell’avviso di apertura dell’inchiesta e, dall’altro, sono identificate nel regolamento impugnato, più precisamente nell’allegato al quale rinvia l’articolo 1, paragrafo 2, del dispositivo di tale regolamento. Trattandosi di altre società che hanno collaborato identificate in tale allegato, ai membri della CCCME viene applicato un dazio antidumping di importo specifico, diverso dall’importo applicabile a tutte le altre società non identificate cui si applica il regolamento impugnato. Pertanto, e come sostenuto dalla stessa Commissione, come indicato al precedente punto 106, il regolamento impugnato contiene un insieme di decisioni riguardanti, ciascuna, un particolare produttore esportatore.

121    Date tali circostanze, occorre considerare, alla luce dei criteri derivanti dalla giurisprudenza quali ricordati al precedente punto 119, che, oltre a riguardarli direttamente, il regolamento impugnato riguarda individualmente i membri della CCCME.

122    Infine, i membri della CCCME hanno un interesse ad agire, dal momento che, essendo soggetti ai dazi antidumping istituiti dal regolamento impugnato, hanno interesse all’annullamento di tale regolamento.

123    Pertanto, occorre considerare che i membri della CCCME e, di conseguenza, tale associazione stessa, soddisfano le condizioni che consentono la ricevibilità del loro ricorso e, pertanto, occorre respingere il terzo argomento addotto dalla Commissione contro tale conclusione.

–       Limitazione degli argomenti che possono essere invocati

124    La Commissione sostiene che la CCCME non può dedurre, in nome dei suoi membri, una violazione delle disposizioni che, nel regolamento di base, riguardano elementi diversi da quello vertente sulla determinazione, da parte della Commissione, del pregiudizio causato all’industria dell’Unione.

125    Infatti, la Commissione rileva che il mandato conferito alla CCCME dai produttori esportatori cinesi durante l’inchiesta antidumping aveva ad oggetto solo la difesa di tali imprese contro le sue affermazioni relative al pregiudizio. Ne deriverebbe che i membri della CCCME avrebbero conferito a tale entità il diritto di rappresentarli durante l’inchiesta e, di conseguenza, nell’ambito del presente ricorso, unicamente per difenderli contro le valutazioni della Commissione relative al pregiudizio.

126    A tal riguardo, occorre ricordare che, come indicato ai precedenti punti da 88 a 90, le funzioni affidate alla CCCME dallo statuto e che regolano la sua costituzione e la sua organizzazione, includono la difesa degli interessi dei suoi membri.

127    In virtù della sua natura generale, rientra in tale funzione la proposizione di un’azione in giudizio intesa a difendere gli interessi dei suoi membri contro misure di difesa commerciale e a dedurre, in tale ambito, qualsiasi motivo idoneo a mettere in discussione la legittimità di tali misure, sebbene il mandato ricevuto dai membri fosse limitato, durante l’inchiesta, al pregiudizio.

128    Occorre inoltre rilevare che, secondo la giurisprudenza, non è necessario che un’associazione i cui compiti statutari includono la tutela degli interessi delle sue associate, come nel caso della CCCME, disponga di un mandato o di una procura specifiche, provenienti dalle associate di cui tutela gli interessi, affinché le sia riconosciuta la legittimazione per agire dinanzi ai giudici dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 15 gennaio 2013, Aiscat/Commissione, T-182/10, EU:T:2013:9, punto 53), dal momento che, per sua natura, la proposizione di un ricorso è inerente alla difesa di simili interessi.

129    Pertanto, occorre respingere il quarto argomento avanzato dalla Commissione a proposito dell’impossibilità, per la CCCME, di dedurre, a nome dei suoi membri, la violazione di disposizioni che non riguardano il pregiudizio causato all’industria dell’Unione.

 Sulla ricevibilità del ricorso in quanto proposto dalle altre persone giuridiche i cui nomi figurano nell’allegato I

130    In subordine, la Commissione contesta anche la ricevibilità del ricorso in quanto proposto dalle altre persone giuridiche i cui nomi figurano nell’allegato I.

131    In primo luogo, la Commissione sostiene che, per la ragione già esposta al precedente punto 114, sette delle altre persone giuridiche i cui nomi figurano nell’allegato I, che sono produttori esportatori cinesi non inseriti nel campione, non hanno la necessaria legittimazione ad agire.

132    A tal riguardo, occorre considerare che, al pari dei membri della CCCME, tali imprese, che sono produttori esportatori del prodotto in esame, da un lato, hanno fornito alla Commissione informazioni rispondendo al questionario contenuto nell’allegato I dell’avviso di apertura dell’inchiesta e, dall’altro, sono individuate nel regolamento impugnato come altre società che hanno collaborato elencate nell’allegato di detto regolamento. A tale titolo, il loro nome figura nel suddetto allegato e ad esse è applicato un dazio antidumping di importo specifico, cosicché si deve concludere che il regolamento impugnato contiene un insieme di decisioni riguardanti, ciascuna, un produttore esportatore specifico. Pertanto, per le stesse ragioni esposte ai precedenti punti da 118 a 122, si deve concludere che queste sette persone giuridiche hanno interesse e legittimazione ad agire.

133    In secondo luogo, la Commissione sostiene che i mandati forniti dalle altre persone giuridiche i cui nomi figurano nell’allegato I presentano irregolarità che ostano alla ricevibilità del ricorso, in quanto non precisano chiaramente la qualità delle persone che le hanno firmate e non dimostrano che tali persone avevano il potere di firmare tali atti.

134    Più in particolare, per quanto riguarda sette delle altre persone giuridiche i cui nomi figurano nell’allegato I, la qualità indicata della persona che ha firmato il mandato sarebbe quella di «amministratore delegato», di «direttore generale», di «controllore finanziario» o di «direttore», senza ulteriori precisazioni e senza la dimostrazione che, a norma del diritto cinese, tale persona fosse autorizzata a firmare un simile mandato.

135    Per quanto riguarda le altre due persone giuridiche i cui nomi figurano nell’allegato I, esse avrebbero fornito un mandato che non indicava la qualità del firmatario, senza peraltro allegare documenti comprovanti il potere di quest’ultimo di firmare un tale atto.

136    A tal proposito, occorre rilevare che il regolamento di procedura, nella versione risultante dal regolamento del 23 aprile 2015 (GU 2015, L 105, pag. 1), non richiede più la prova che il mandato all’avvocato sia stato conferito da un rappresentante a ciò legittimato, come invece prevedeva il regolamento di procedura del 2 maggio 1991, precedentemente in vigore [v., in tal senso, ordinanza del 7 marzo 2016, Sopra Steria Group/Parlamento, T-182/15, non pubblicata, EU:T:2016:165, punti da 26 a 29; sentenze del 28 settembre 2016, European Food/EUIPO – Société des produits Nestlé (FITNESS), T-476/15, EU:T:2016:568, punto 19, e del 17 febbraio 2017, Batmore Capital/EUIPO – Univers Poche (POCKETBOOK), T-596/15, non pubblicata, EU:T:2017:103, punti 19 e 20].

137    Ne consegue che l’eccezione di irricevibilità sollevata dalla Commissione dev’essere respinta.

138    Di conseguenza, occorre considerare che le altre persone giuridiche i cui nomi figurano nell’allegato I sono legittimate ad agire per l’annullamento del regolamento impugnato.

 Conclusione sulla ricevibilità

139    Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, si deve concludere per la ricevibilità, in primo luogo, del ricorso in quanto proposto dalla CCCME in nome proprio al fine di garantire la salvaguardia dei propri diritti procedurali, in secondo luogo, del ricorso in quanto proposto dalla CCCME a nome dei 19 membri da essa identificati e, in terzo luogo, del ricorso in quanto proposto dalle altre persone giuridiche i cui nomi figurano nell’allegato I.

 Nel merito

140    Le ricorrenti deducono sei motivi a sostegno del loro ricorso.

141    Il primo motivo verte sulla violazione dell’articolo 3, paragrafi 2, 3 e da 5 a 7, del regolamento di base nonché del principio di buona amministrazione, in quanto la Commissione non ha fondato le sue conclusioni riguardanti il pregiudizio e il nesso di causalità su elementi di prova positivi né su un esame oggettivo.

142    Il secondo motivo verte sulla violazione, da parte della Commissione, dell’articolo 3, paragrafi 6 e 7, del regolamento di base, nella sua analisi del nesso di causalità.

143    Il terzo motivo verte sulla violazione, da parte della Commissione, dei diritti della difesa nonché dell’articolo 6, paragrafo 7, dell’articolo 19, paragrafi da 1 a 3, e dell’articolo 20, paragrafi 2 e 4, del regolamento di base, per aver negato alle ricorrenti l’accesso ad informazioni utili alla determinazione del dumping e del pregiudizio.

144    Il quarto motivo verte sulla violazione dell’articolo 2, paragrafo 10, dell’articolo 3, paragrafo 2, lettera a), dell’articolo 3, paragrafo 3, e dell’articolo 9, paragrafo 4, del regolamento di base nonché del principio di buona amministrazione, nella determinazione del margine di dumping, della sottoquotazione dei prezzi e del livello di eliminazione del pregiudizio.

145    Il quinto motivo verte sulla violazione, da parte della Commissione, dell’articolo 2, paragrafo 10, lettera b), e dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), del regolamento di base, nell’aver effettuato l’adeguamento per l’imposta sul valore aggiunto (IVA), nell’ambito del confronto tra il prezzo all’esportazione e il valore normale.

146    Il sesto motivo verte sulla violazione dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), del regolamento di base, nella determinazione delle spese generali, amministrative e di vendita (in prosieguo: le «SGAV») nonché dei profitti utilizzati per la costruzione del valore medio.

 Sulla portata del controllo giurisdizionale

147    In via preliminare, le ricorrenti sostengono che il controllo giurisdizionale sul regolamento impugnato deve essere completo, e non limitato all’errore manifesto di valutazione che generalmente sottende il controllo, da parte del giudice, delle valutazioni economiche complesse.

148    In udienza, le ricorrenti hanno precisato che, formulando tale considerazione preliminare, esse non intendevano discostarsi dalla giurisprudenza esistente, ma volevano soltanto sottolineare che, a loro avviso, il giudice dell’Unione doveva verificare l’esattezza materiale, l’attendibilità e la coerenza degli elementi di prova invocati dalla Commissione anche nei settori in cui quest’ultima disponeva di un ampio margine discrezionale.

149    A tal riguardo, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza, tenuto conto dell’ampio potere discrezionale di cui godono le istituzioni dell’Unione in materia di misure di difesa commerciale, il giudice dell’Unione deve limitarsi a verificare, nel contenzioso relativo alle misure di difesa commerciale, caratterizzato dalla complessità delle situazioni economiche e politiche che devono essere esaminate, il rispetto delle norme giuridiche, il rispetto delle norme di procedura, l’esattezza materiale dei fatti e considerati nell’operare la scelta contestata, l’assenza di errore manifesto nella valutazione di tali fatti e l’assenza di sviamento di potere (v., in tal senso, sentenza del 19 settembre 2019, Trace Sport, C-251/18, EU:C:2019:766, punto 47 e giurisprudenza ivi citata).

150    In tale contesto, spetta al giudice, come chiedono le ricorrenti, da un lato, verificare l’esattezza materiale degli elementi di prova invocati, la loro affidabilità e la loro coerenza e, dall’altro, controllare se tali elementi costituiscano l’insieme dei dati rilevanti che dovevano essere presi in considerazione per valutare una situazione complessa e verificare se essi sono idonei a fondare le conclusioni che ne sono state tratte (sentenza del 7 aprile 2016, ArcelorMittal Tubular Products Ostrava e a./Hubei Xinyegang Steel, C-186/14 P e C-193/14 P, EU:C:2016:209, punto 36).

 Sul primo motivo, relativo alla determinazione dell’esistenza di un danno e del nesso di causalità

151    Il primo motivo è suddiviso in sei parti.

–       Sulla prima parte del primo motivo, relativa al calcolo del volume delle importazioni

152    Nella prima parte, le ricorrenti sostengono che la Commissione abbia utilizzato dati poco attendibili forniti dalle denuncianti per calcolare il volume delle importazioni oggetto di dumping.

153    Tale argomento è contestato dalla Commissione.

154    In via preliminare, occorre ricordare che, conformemente all’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento di base, su qualsiasi prodotto oggetto di dumping la cui immissione in libera pratica nell’Unione causi un pregiudizio può essere imposto un dazio antidumping.

155    Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, lettera a), del regolamento di base, l’accertamento di un pregiudizio si basa su prove positive e implica un esame obiettivo, in particolare, del volume delle importazioni oggetto di dumping.

156    Per calcolare il volume delle importazioni oggetto di dumping si utilizzano i dati dell’Istituto statistico dell’Unione europea (Eurostat) (v., in tal senso, sentenza del 22 marzo 2012, GLS, C-338/10, EU:C:2012:158, punto 30). Esse sono classificate in funzione dei codici risultanti dalla nomenclatura combinata (NC). Nel caso di specie, il prodotto oggetto del regolamento impugnato rientra in due codici: il codice NC ex 7325 10 00 (ghisa non malleabile) e il codice NC ex 7325 99 10 (ghisa malleabile), laddove la dicitura «ex» che precede il codice indica, in entrambi i casi, che il prodotto oggetto dell’inchiesta rientra solo in una parte del codice considerato.

157    Per accertare il volume delle importazioni oggetto di dumping, occorre sommare le operazioni soggette a registrazione con tali codici durante il periodo considerato, vale a dire tra il 1° gennaio 2013 e il 30 settembre 2016.

158    Nel caso di specie, si sono dovuti operare adeguamenti per risolvere tre difficoltà presentatesi in sede di calcolo del volume delle importazioni oggetto di dumping.

159    La prima difficoltà riguardava i prodotti di ghisa non malleabile (NC ex 7325 10 00). Prima del 2014, tali prodotti facevano parte di un insieme più ampio (NC ex 7325 10), suddiviso in sottocodici, tre dei quali riguardavano il prodotto in esame, mentre il terzo di tali sottocodici, recante il numero NC ex 7325 10 99, non era limitato a tale prodotto. A partire dal 2014 tale ripartizione non è più esistita. Per accertare il volume delle importazioni oggetto di dumping, la Commissione disponeva soltanto dei dati corrispondenti al codice NC ex 7325 10 00 cui apparteneva, insieme ad altri prodotti, il prodotto in esame. Per risolvere la difficoltà è stato necessario isolare, in queste cifre più generali, quelle corrispondenti alle importazioni aventi ad oggetto il prodotto in esame nel corso del periodo in esame. Per raggiungere tale obiettivo, la Commissione si è basata su una proposta, formulata dalle denuncianti, che implicava due decisioni metodologiche. Anzitutto, per accertare la quota delle importazioni riguardanti il prodotto in esame all’interno della categoria generale, le denuncianti hanno suggerito alla Commissione di basarsi sulla percentuale rappresentata da tali importazioni nei tre sottocodici che, prima del 2014, fornivano i dati relativi a tale prodotto. Poi, per il terzo di tali sottocodici, che non riguardava soltanto il prodotto in esame ma che era più ampio, è stato proposto di stimare la proporzione attribuibile al prodotto in esame al 30%.

160    Sulla base di tale ragionamento, è stato osservato che, prima del 2014, per quanto riguardava le importazioni cinesi, il 60% del volume contabilizzato come importazioni cinesi con il codice NC ex 7325 10 proveniva dai tre sottocodici corrispondenti al prodotto in esame. Per quanto riguardava le importazioni indiane, tale percentuale era del 73%, mentre era del 50% per gli altri paesi terzi. Tali percentuali sono state quindi applicate alle importazioni registrate nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2014 e la fine del periodo dell’inchiesta con il codice NC ex 7325 10 00.

161    La seconda difficoltà riguardava la ghisa malleabile (NC ex 7325 99 10). Il codice corrispondente a tale prodotto è rimasto invariato durante tutto il periodo in esame. Tuttavia, tale codice riguardava anche prodotti diversi dal prodotto in esame. Per risolvere la difficoltà, la Commissione ha fatto ricorso, come aveva fatto per la ghisa non malleabile, ad un metodo che era stato proposto dalle denuncianti.

162    Anzitutto, come avevano fatto le denuncianti, la Commissione ha osservato che gli importatori del prodotto in esame di ghisa malleabile proveniente dalla Repubblica popolare cinese avevano iniziato a utilizzare il codice NC ex 7325 99 10 nel 2005, al momento dell’istituzione delle precedenti misure antidumping ad opera del regolamento (CE) n. 1212/2005 del Consiglio, del 25 luglio 2005, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di alcuni tipi di pezzi fusi originari della Repubblica popolare cinese (GU 2005, L 199, pag. 1). Per procedere al calcolo delle importazioni oggetto di tale codice, la Commissione, sulla base di tale osservazione, ha scelto l’anno precedente, vale a dire il 2004, come anno di riferimento. Per tale anno di riferimento, essa disponeva di dati che riportavano, per la Repubblica popolare cinese, le importazioni corrispondenti al codice NC ex 7325 99 10, ma che non riguardavano il prodotto in esame. La Commissione ha quindi calcolato la quantità del prodotto oggetto delle importazioni provenienti dalla Repubblica popolare cinese con tale codice, sottraendo dal volume delle importazioni del periodo in esame le operazioni che erano state realizzate nel 2004. Al termine di tale ragionamento, la Commissione ha quindi ritenuto che, per la Repubblica popolare cinese, le operazioni relative al prodotto in esame rientrassero nel codice NC ex 7325 99 10 in una proporzione pari al 100%, alla quale occorreva sottrarre 14 645 tonnellate.

163    Successivamente, è stato effettuato un calcolo analogo per le importazioni provenienti dalla Repubblica dell’India. Le denuncianti hanno osservato che, per il prodotto in esame, le importazioni con il codice NC ex 7325 99 10 provenienti da tale paese erano iniziate dal 2010. A loro avviso, tale fenomeno poteva essere spiegato con la revoca dell’impegno di prezzo minimo di cui beneficiavano la CCCME e talune società cinesi nell’ambito delle precedenti misure antidumping imposte dal regolamento n. 1212/2005. A partire da tale revoca, numerosi operatori avrebbero cercato di rifornirsi presso produttori indiani. Ciò avrebbe provocato lo sviluppo delle importazioni provenienti da tale paese per il prodotto in esame. Effettuata tale constatazione, la Commissione, seguendo il suggerimento presentato dalle denuncianti, ha calcolato la quantità di prodotto in esame con il codice NC ex 7325 99 10 all’interno nelle importazioni provenienti dalla Repubblica dell’India, sottraendo il volume delle importazioni del 2009 dal volume delle importazioni dal periodo in esame. Al termine di tale ragionamento, essa ha quindi ritenuto che le operazioni relative al prodotto in esame rientrassero nel codice NC ex 7325 99 10 in una percentuale del 100%, alla quale dovevano essere sottratte 6 074 tonnellate.

164    Infine, le inchieste effettuate dalle denuncianti avevano dimostrato che era poco probabile che le importazioni provenienti da altri paesi terzi rientranti in tale codice contenessero il prodotto di cui trattasi. La Commissione, seguendo in ciò le denuncianti, ha quindi considerato che, per gli altri paesi terzi, le operazioni relative al prodotto in esame rientrassero nel codice NC ex 7325 99 10 fino a concorrenza dello 0%.

165    La terza difficoltà riguardava le griglie per canali. Tali prodotti sono riportati nei dati Eurostat corrispondenti ai codici utilizzati per il prodotto in esame. Tuttavia, come indicato al considerando 41 del regolamento impugnato, essi sono stati esclusi dall’inchiesta. Per stabilire il volume delle importazioni oggetto di dumping, è stato quindi necessario sottrarre dalle cifre disponibili quelle che potevano essere attribuite alle griglie per canali.

166    Per risolvere tale difficoltà, la Commissione, agendo di propria iniziativa, si è basata su una stima delle importazioni di griglie per canali. Per procedere a tale stima, essa ha considerato le vendite medie di griglie per canali realizzate dai produttori esportatori cinesi inseriti nel campione durante il periodo dell’inchiesta. Tali vendite rappresentavano il 10% del totale delle importazioni considerate per tale periodo. Tale percentuale è stata applicata ai dati ottenuti per le importazioni registrate durante il periodo in esame.

167    Avendo così presentato il contesto della prima parte del primo motivo, occorre rilevare che, in quest’ultimo, le ricorrenti sollevano tre censure relative al calcolo effettuato dalla Commissione per stabilire il volume delle importazioni oggetto di dumping.

168    Con la loro prima censura, le ricorrenti contestano alla Commissione di aver accettato, senza verificarli, i dati presentati dalle denuncianti, in violazione dell’imparzialità che doveva guidare la sua condotta in questo tipo di procedimento.

169    A tal riguardo, occorre rilevare che, nel caso di specie, per calcolare il volume delle importazioni oggetto di dumping, la Commissione non si è limitata a utilizzare dati forniti dalle denuncianti, ma si è invece avvalsa di un metodo che era stato proposto da queste ultime, provvedendo, sulla base di tale metodo, che nel frattempo aveva convalidato, a effettuare autonomamente le operazioni che hanno portato alle cifre da essa infine considerate.

170    In almeno due documenti, la Commissione ha spiegato le ragioni che l’hanno indotta ad adottare il metodo proposto dalle denuncianti. Infatti, al considerando 122 del regolamento provvisorio, essa ha indicato che, «nella denuncia, [le] denuncianti [avevano] spiegato il metodo da ess[e] utilizzato per ottenere dati sulle importazioni esclusivamente attinenti al prodotto in esame utilizzando dati Eurostat» e che, «[i]n mancanza di un metodo e di dati più attendibili», la Commissione aveva, su tale base, «determina[to] il volume delle importazioni del prodotto in esame originario dalla [Repubblica popolare cinese] basa[ndosi] su tale metodo utilizzando dati Eurostat ed escludendo le griglie per canali[, non avendo l]a CCCME [...] peraltro fornito dati alternativi». Inoltre, ai considerando 110 e 111 del regolamento impugnato, la Commissione ha indicato in particolare di aver «osservato che il metodo adottato da[lle] denuncianti per ottenere i dati sulle importazioni relativi al prodotto in esame durante il periodo in esame si basava su dati Eurostat», il quale metodo è poi sinteticamente descritto, e di aver precisato che, «[n]on avendo individuato fonti di informazione alternative che avrebbero rispecchiato con maggiore accuratezza i dati sulle importazioni del prodotto in esame, [essa aveva] ritenuto che il metodo basato sui dati Eurostat fosse il più appropriato».

171    La Commissione ha quindi analizzato il metodo in questione prima di farlo proprio, spiegando perché, a suo avviso, le sembrava adeguato. Infatti, al considerando 113 del regolamento impugnato, la Commissione ha respinto la domanda dell’associazione ad hoc di importatori indipendenti, Free Casting Imports (FCI), e della CCCME di escludere il codice NC 7325 99 10 o di prendere in considerazione una percentuale di tale codice ai fini del calcolo del volume delle importazioni del prodotto in esame, indicando che «un’analisi delle importazioni classificate con questo codice NC dall’istituzione delle misure provvisorie fino agli inizi di ottobre del 2017 [aveva] evidenziato un volume significativo di importazioni dalla [Repubblica popolare cinese] (6 796 tonnellate) con il codice TARIC 7325991051, che si riferi[va] esclusivamente al prodotto in esame» e che «[q]uindi è evidente che il prodotto in esame è importato anche con il codice NC 7325 99 10». In tale occasione, la Commissione ha precisato che «non disponeva di prove del fatto che le importazioni di altri prodotti con questo codice NC avessero seguito la stessa tendenza del prodotto in esame dal 2005» e che «[d]i conseguenza, l’utilizzo di una percentuale nel periodo in esame sarebbe stato inattendibile».

172    Si deve inoltre rilevare che il metodo di calcolo proposto dalle denuncianti non è stato accettato senza verifica da parte della Commissione. Infatti, quest’ultima si è recata presso i locali dei rappresentanti delle denuncianti il 30 maggio 2017. Al termine di tale verifica, è giunta alla conclusione, da un lato, che la ripartizione proposta tra i diversi codici NC era la stima più affidabile per determinare il volume delle importazioni oggetto di dumping e, dall’altro, che tale stima costituiva un’approssimazione oggettiva di tali dati in assenza di dati più dettagliati provenienti da fonti alternative.

173    Di conseguenza, occorre respingere la prima censura dedotta dalle ricorrenti, secondo la quale la Commissione avrebbe «automaticamente» accettato il metodo proposto dalle denuncianti.

174    Le ricorrenti sollevano una seconda censura, secondo la quale i dati utilizzati dalla Commissione si basano su ipotesi ingiustificate e irragionevoli, che non sono fondate su alcun elemento di prova positivo, come avrebbe del resto essa stessa riconosciuto.

175    A tal riguardo, occorre rilevare che, contrariamente a quanto indicato dalle ricorrenti, la Commissione non ha riconosciuto che il metodo di calcolo del volume delle importazioni da essa adottato o che i prezzi all’importazione risultanti da tale metodo fossero errati, irragionevoli o non attendibili.

176    È vero che la Commissione ha indicato, al considerando 126 del regolamento provvisorio, al quale rinviano le ricorrenti, che «[p]oiché questi dati si basa[va]no su statistiche relative alle importazioni e la gamma dettagliata di tipi di prodotto non [era] nota, l’andamento dei prezzi non [era] del tutto attendibile».

177    Tuttavia, tale ammissione significa soltanto che il metodo utilizzato non è sfociato, come indica la Commissione, nel risultato dettagliato che essa avrebbe auspicato, il che non implica che, secondo tale istituzione, i dati ottenuti con tale metodo siano privi di qualsiasi attendibilità e non potessero in alcun modo servire nell’elaborazione del regolamento impugnato.

178    Di conseguenza, è onere delle ricorrenti, qualora intendano contestare l’attendibilità dei dati utilizzati dalla Commissione a proposito del volume delle importazioni oggetto di dumping, suffragare le loro affermazioni con elementi idonei a mettere concretamente in dubbio l’affidabilità del metodo o dei dati utilizzati da tale istituzione [v., in tal senso, sentenza del 20 settembre 2019, Jinan Meide Casting/Commissione, T-650/17, EU:T:2019:644, punto 357 (non pubblicata)].

179    In tale contesto, se una parte ricorrente intende vincere la causa, non può limitarsi a produrre cifre alternative, ad esempio cifre ottenute sulla base di dati provenienti dalle autorità doganali da cui provengono le importazioni controverse, ma deve produrre elementi idonei a mettere in discussione quelle fornite dalla Commissione [v., in tal senso, sentenza del 20 settembre 2019, Jinan Meide Casting/Commissione, T-650/17, EU:T:2019:644, punto 357 (non pubblicata)].

180    Inoltre, si deve ricordare che la Commissione dispone di un ampio margine di discrezionalità nell’analisi dei dati, compresi quelli forniti da Eurostat (sentenza del 23 settembre 2015, Schroeder/Consiglio e Commissione, T-205/14, EU:T:2015:673, punto 41).

181    Nel caso di specie, le ricorrenti contestano cinque ipotesi sulle quali la Commissione si è basata per procedere al calcolo del volume delle importazioni sulla base dei dati di Eurostat.

182    A tal riguardo, occorre rilevare che, su ciascuno di tali punti di contestazione, le ricorrenti hanno ottenuto durante l’inchiesta spiegazioni circa il metodo utilizzato per elaborare le stime su cui si basano gli adeguamenti effettuati dalla Commissione sui dati Eurostat relativi alle importazioni.

183    Orbene, in primo luogo, le ricorrenti contestano che il volume delle importazioni del prodotto in esame rispetto al volume totale delle importazioni dichiarate con il vecchio sottocodice NC ex 7325 10 99 (ghisa non malleabile) sia stato stabile al 30% dal 2009 al 2013, poi sia rimasto invariato dal 2013.

184    Su questo punto, è stato spiegato che, sul totale delle importazioni dichiarate con il vecchio codice NC ex 7325 10 99, circa il 30% aveva ad oggetto il prodotto in esame. Secondo la Commissione, tale stima poteva essere qualificata come prudente al momento dell’entrata in vigore delle misure antidumping del 2005. All’epoca, per tale prodotto era stato definito un codice della tariffa integrata dell’Unione europea (TARIC) a dieci cifre, il che aveva consentito alla Commissione e alle autorità doganali di conoscere gli importi esatti.

185    In tal modo, è stato spiegato che la percentuale del 30% rilevata dalla Commissione corrispondeva a quella constatata dopo l’adozione del regolamento n. 1212/2005, quando erano stati applicati per la prima volta dazi antidumping sulle importazioni di ghisa originarie della Repubblica popolare cinese. Di conseguenza, tale percentuale è stata utilizzata dalla Commissione nell’ambito del presente procedimento in assenza di una stima che apparisse più attendibile.

186    In secondo luogo, le ricorrenti contestano l’applicazione della percentuale del 30%, che risulta da una stima dei dati relativi specificamente alle importazioni provenienti dalla Repubblica popolare cinese, a tutti i paesi dai quali provenivano le importazioni prese in considerazione nell’ambito del procedimento che ha dato luogo all’adozione del regolamento impugnato.

187    Su tale punto, è stato spiegato che la stima del 30% era stata applicata agli altri paesi terzi in quanto non esistevano dati peculiari a tali paesi, giacché le uniche informazioni che potevano essere ottenute erano quelle raccolte grazie all’istituzione, da parte del regolamento n. 1212/2005, delle misure antidumping relative alle importazioni provenienti unicamente dalla Repubblica popolare cinese.

188    In terzo luogo, le ricorrenti contestano l’ipotesi secondo cui il volume delle importazioni del prodotto in esame rispetto al volume totale delle importazioni registrate con il vecchio codice NC ex 7325 10 sarebbe rimasto invariato dal 2013.

189    Su tale punto, la Commissione ha spiegato che, per calcolare il volume delle importazioni relative al prodotto in esame registrate a partire dal 2014 con il codice generale NC ex 7325 10, essa si era basata sulla percentuale rappresentata da tali importazioni nei tre sottocodici che, prima del 2014, fornivano dati più precisi riguardanti tale prodotto, prendendo separatamente i dati relativi alla Repubblica popolare cinese, alla Repubblica dell’India e agli altri paesi terzi (v. punto 159 supra).

190    In quarto luogo, le ricorrenti contestano l’ipotesi secondo cui il volume assoluto delle importazioni provenienti dalla Repubblica popolare cinese, effettuate con il codice NC ex 7325 99 10 (ghisa malleabile) e non relativo al prodotto in esame, sarebbe rimasto invariato dal 2004.

191    Su tale punto, la Commissione ha illustrato il metodo applicato per calcolare il volume delle importazioni provenienti dalla Repubblica popolare cinese effettuate con il codice NC ex 7325 99 10, consistente nell’individuare l’anno nel corso del quale erano iniziate sotto detto codice le importazioni del prodotto oggetto dell’inchiesta nel paese terzo interessato, e nel confrontare il numero di importazioni registrate sotto tale codice l’anno precedente tale anno di riferimento con quello relativo al periodo in esame, in modo da stabilire il volume delle importazioni del prodotto in esame sotto il codice NC ex 7325 99 10 durante il periodo in esame, corrispondente alla differenza (v. punti da 162 a 164 supra).

192    Infine, in quinto luogo, le ricorrenti contestano l’ipotesi secondo cui la percentuale di importazioni cinesi di griglie per canali sul totale delle importazioni cinesi sarebbe rimasta invariata dal 2013 e sarebbe identica alla percentuale delle importazioni di griglie per canali dei produttori esportatori cinesi inclusi nel campione sulle loro importazioni totali. In tale ambito, le ricorrenti contestano altresì l’ipotesi secondo cui i paesi terzi non esporterebbero griglie per canali, poiché, salvo errore da parte loro, i paesi terzi sembrano non essere stati oggetto di alcuna esclusione. Se vi fosse stata esclusione, l’ipotesi, che sarebbe comunque infondata secondo le ricorrenti, sarebbe che la percentuale delle importazioni di griglie per canali da paesi terzi rispetto alle loro importazioni totali sarebbe stata stabile dal 2013 e identica alla percentuale di importazioni di griglie per canali dei produttori esportatori cinesi inclusi nel campione durante il periodo dell’inchiesta.

193    Su quest’ultimo argomento di contestazione, la Commissione ha spiegato che, non disponendo di informazioni sul volume delle importazioni delle griglie per canali che occorreva escludere dal prodotto in esame, si è basata sulla percentuale di griglie per canali importate da taluni produttori inseriti nel campione durante l’inchiesta. Nella sua risposta ai quesiti del Tribunale, la Commissione ha precisato di essersi basata, in tale contesto, sui dati del campione dei produttori esportatori cinesi e su quelli del campione di produttori esportatori indiani relativi al periodo dell’inchiesta. Tale stima è stata poi applicata a tutte le importazioni, vale a dire a quelle provenienti dalla Repubblica popolare cinese, dalla Repubblica dell’India e dagli altri paesi terzi.

194    Dalle considerazioni che precedono risulta che, nei loro punti di contestazione, le ricorrenti non hanno dedotto elementi che consentano di mettere in dubbio l’attendibilità di tali stime, in quanto, in sostanza, esse non contestano l’attendibilità delle stime sulle quali si è basata la Commissione, ma piuttosto la loro applicazione a un periodo successivo a quello al quale corrispondono i dati che hanno dato luogo a tali stime (prima, terza, quarta e quinta ipotesi, affrontate rispettivamente ai precedenti punti 183, 188, 190 e 192) o la loro applicazione a paesi diversi da quello dal quale sono stati tratti i dati che hanno dato luogo alla stima (seconda e quinta ipotesi, affrontate rispettivamente ai precedenti punti 186 e 192).

195    Orbene, la Commissione ha affermato che non disponeva di dati più precisi e più recenti che presentassero un grado di attendibilità simile o più elevato.

196    In un contesto del genere, caratterizzato, da un lato, dalla mancanza di informazioni più precise e più recenti che presentassero un grado di attendibilità simile o più elevato e, dall’altro, dalla ragionevolezza e plausibilità delle stime presentate dalla Commissione, che risultano dalle spiegazioni fornite da quest’ultima per giustificarne l’applicazione, occorre, alla luce dell’ampio margine discrezionale riconosciuto a quest’ultima, respingere la seconda censura delle ricorrenti, secondo la quale i dati utilizzati dalla Commissione si baserebbero su ipotesi infondate e irragionevoli che non sarebbero fondate su elementi di prova positivi.

197    Con la terza censura, le ricorrenti ritengono, in sostanza, che l’assenza di dati alternativi più attendibili sia dovuta alla mancanza di diligenza e alla passività della Commissione, che dovrebbero comportare, a loro avviso, l’annullamento del regolamento impugnato.

198    A tal riguardo, occorre rilevare che, secondo la giurisprudenza, la Commissione deve esaminare d’ufficio tutte le informazioni disponibili dal momento che il suo ruolo in un’inchiesta antidumping non è quello di arbitro, la cui competenza sia limitata a decidere unicamente alla luce delle informazioni e degli elementi di prova forniti dalle parti dell’inchiesta. A tal proposito, occorre osservare che l’articolo 6, paragrafi 3 e 4, del regolamento di base autorizza la Commissione a chiedere agli Stati membri di fornirle informazioni nonché di effettuare tutte le verifiche e i controlli necessari (sentenza del 22 marzo 2012, GLS, C-338/10, EU:C:2012:158, punto 32).

199    Tuttavia, per determinare la portata degli obblighi che incombono alla Commissione, occorre considerare i limiti relativi al tempo a sua disposizione, tenuto conto in particolare dei termini procedurali, che possono essere insufficienti al fine di procedere alle verifiche, ai controlli e alle indagini che si intenderebbe effettuare [v., in tal senso, sentenza del 20 settembre 2019, Jinan Meide Casting/Commissione, T‑650/17, EU:T:2019:644, punto 408 (non pubblicata)].

200    Inoltre, occorre tener conto del fatto che i dati in questione possono o meno condurre, con una probabilità sufficientemente significativa, a risultati più attendibili rispetto a quelli ottenuti entro i termini applicabili [v., in tal senso, sentenza del 20 settembre 2019, Jinan Meide Casting/Commissione, T-650/17, EU:T:2019:644, punto 410 (non pubblicata)].

201    Nel caso di specie, risulta che la Commissione non ha violato la giurisprudenza citata ai precedenti punti da 198 a 200, che le impone di consultare tutte le fonti a sua disposizione.

202    Infatti, per quanto riguarda le informazioni che, secondo le ricorrenti, si sarebbero potute ottenere dalle autorità doganali nazionali, occorre rilevare che, come indicato dalla Commissione, anche laddove il regolamento di base l’autorizzasse a farlo, sarebbe sproporzionato esigere che tale istituzione raccolga elenchi di importazioni, transazione per transazione, dalle autorità doganali di tutti gli Stati membri, analizzandoli per stabilire se possano essere presi in considerazione ed elaborando poi i dati del prodotto in esame in un periodo di quattro anni per tutta l’Unione.

203    Nelle loro memorie, le ricorrenti deducono due argomenti per contestare il comportamento della Commissione per quanto riguarda la ricerca di informazioni attendibili.

204    In primo luogo, le ricorrenti sostengono che la Commissione avrebbe potuto raccogliere taluni dati più dettagliati presso le autorità doganali nazionali in modo da verificare l’attendibilità delle ipotesi formulate e applicare in via generale, successivamente, il risultato di tale analisi a tutti i dati.

205    A tal riguardo, occorre rilevare che tali informazioni non sono immediatamente disponibili, ma dovrebbero essere raccolte anche, in modo specifico, presso le autorità nazionali interessate. La Commissione dovrebbe poi attendere la risposta di tali autorità, con comunicazione dei dati richiesti, per poter costituire un campione di dati. Orbene, un siffatto modo di procedere rappresenterebbe un investimento importante in termini di carico di lavoro e richiederebbe un tempo considerevole, dato che questi due aspetti devono essere messi in relazione con i rigidi termini procedurali imposti alla Commissione, come indicato al precedente punto 199.

206    Del resto, un tale campione di operazioni potrebbe anche sollevare questioni relative alla rappresentatività delle operazioni selezionate, oltre a suscitare dubbi sulla sua pertinenza, poiché non consentirebbe di calcolare con precisione il volume delle importazioni riguardanti il prodotto in esame.

207    In secondo luogo, le ricorrenti sostengono che la Commissione avrebbe potuto rivolgersi agli importatori inviando loro questionari le cui risposte le avrebbero permesso di verificare l’attendibilità dei dati utilizzati e di effettuare rettifiche.

208    Le istituzioni dell’Unione avrebbero fatto ricorso a tale fonte di informazioni in altre inchieste antidumping, come quella sfociata nell’adozione del regolamento di esecuzione (UE) n. 430/2013 del Consiglio, del 13 maggio 2013, che istituisce un dazio antidumping definitivo e dispone la riscossione definitiva del dazio provvisorio istituito sulle importazioni di accessori fusi per tubi filettati di ghisa malleabile originari della Repubblica popolare cinese e della Thailandia e chiude altresì il procedimento nei confronti dell’Indonesia (GU 2013, L 129, pag. 1).

209    A tal riguardo, occorre rilevare che, come indicato dalla Commissione, non era possibile, nel caso di specie, ottenere dati più attendibili da parte degli importatori. Anzitutto, i 28 importatori che si sono manifestati durante l’inchiesta hanno fornito, nelle loro risposte al questionario di cui all’allegato II dell’avviso di apertura dell’inchiesta, una cifra globale che riporta il volume delle importazioni relative al prodotto in esame e riguardante unicamente le importazioni provenienti dalla Repubblica popolare cinese e dalla Repubblica dell’India, che erano i due paesi oggetto dell’inchiesta. Inoltre, tali dati, nel caso di specie, non erano divisi in funzione dei codici NC del prodotto oggetto dell’inchiesta. Infine, tali risposte hanno potuto essere verificate solo per i tre importatori inseriti nel campione che hanno risposto al questionario. Orbene, non è dimostrato che tali importatori fossero sufficientemente rappresentativi dell’insieme degli importatori del prodotto oggetto dell’inchiesta. Infatti, la Commissione ha indicato che il mercato era frammentato e si caratterizzava per un gran numero di piccole e medie imprese e che, in tale contesto, non era escluso che molti altri importatori indipendenti operanti sul mercato, i quali non avevano un interesse diretto a collaborare all’inchiesta, non si fossero manifestati.

210    Pertanto, occorre considerare che, nel caso di specie, la Commissione non è incorsa in un errore manifesto di valutazione limitando la sua valutazione, per il calcolo del volume delle importazioni riguardanti il prodotto in esame, ai dati risultanti dalla banca dati Eurostat, come adeguati sulla base di ipotesi giustificate e che riflettono una stima ragionevole dei dati reali relativi alle suddette importazioni.

211    La prima parte va pertanto respinta.

–       Sulla seconda parte del primo motivo, relativa agli indicatori macroeconomici utilizzati dalla Commissione per stabilire il pregiudizio subito dall’industria dell’Unione

212    Nella seconda parte, le ricorrenti contestano l’attendibilità degli indicatori macroeconomici utilizzati dalla Commissione per accertare il pregiudizio subito dall’industria dell’Unione.

213    In via preliminare, occorre rilevare che, come chiarito nelle risposte delle parti ai quesiti del Tribunale, la Commissione ha valutato gli indicatori macroeconomici per l’intera industria dell’Unione.

214    In tale contesto, la Commissione si è basata su diversi tipi di dati. Per i produttori dell’Unione inseriti nel campione (in prosieguo: i «produttori inseriti nel campione»), la Commissione ha tenuto conto di dati comunicati da tali produttori, che essa ha verificato. Per gli altri produttori dell’Unione che hanno presentato la denuncia all’origine dell’inchiesta o che l’hanno sostenuta (in prosieguo: gli «altri denuncianti»), essa si è basata sui dati che ha tratto dalle risposte ai questionari restituiti da tali imprese. Infine, per i rimanenti produttori dell’Unione (in prosieguo: i «produttori rimanenti»), la Commissione ha utilizzato stime fornite, con riguardo a tali produttori, dalle denuncianti.

215    Nel caso di specie, le ricorrenti formulano sei censure che vengono contestate dalla Commissione.

216    Con la loro prima censura, le ricorrenti contestano alla Commissione di non aver aggiornato i dati di cui disponeva sugli altri denuncianti.

217    A tal riguardo, occorre rilevare che, secondo il considerando 136 del regolamento impugnato, i dati relativi agli altri denuncianti derivano dalle risposte da essi fornite al questionario loro inviato dalla Commissione, fermo restando che tali dati sono stati compilati dalle denuncianti e sono stati «successivamente aggiornati per riferirsi al periodo dell’inchiesta». La Commissione ha prodotto una lettera, da essa inviata alla CCCME, mercoledì 14 giugno 2017, e nella quale ha indicato che la compilazione dei dati da parte delle denuncianti era stata effettuata sulla base delle risposte al questionario, da essa verificate, nonché delle informazioni ricevute con messaggio di posta elettronica inviato dai produttori che avevano depositato o sostenuto la denuncia. Le intervenienti, dal canto loro, hanno precisato che tali dati erano stati aggiornati al fine di escludere i dati relativi alle griglie per canali e di integrare gli ultimi dati trimestrali disponibili.

218    Poiché le ricorrenti non hanno prodotto alcun elemento idoneo a mettere in dubbio tali affermazioni, occorre respingere la prima censura.

219    Nella seconda censura, le ricorrenti contestano il regolamento impugnato in quanto, per adottarlo, la Commissione si sarebbe basata su stime, e non su dati reali, per i produttori rimanenti.

220    A tal riguardo, occorre rilevare che il regolamento di base non conferisce alla Commissione poteri d’inchiesta che le consentano di costringere le imprese a partecipare all’inchiesta o a fornire informazioni. Pertanto, per ottenere le informazioni necessarie entro i termini impartiti, essa dipende dalla collaborazione volontaria delle parti (v., in tal senso, sentenza del 20 maggio 2015, Yuanping Changyuan Chemicals/Consiglio, T-310/12, non pubblicata, EU:T:2015:295, punto 152 e giurisprudenza ivi citata).

221    In un contesto del genere, è necessario verificare se, nel caso di specie, la Commissione abbia cercato in modo diligente di raccogliere dati reali, prima di fondarsi su stime elaborate sulla base delle informazioni che aveva potuto ottenere.

222    Nell’avviso di apertura dell’inchiesta, la Commissione ha invitato i produttori dell’Unione che fabbricano il prodotto in esame a partecipare al procedimento antidumping e le parti interessate a comunicare, entro 21 giorni dalla data di pubblicazione dell’avviso di apertura, le loro osservazioni sulla selezione del campione dei produttori dell’Unione.

223    La Commissione ha successivamente informato espressamente le denuncianti e altri produttori noti nell’Unione in merito all’apertura dell’inchiesta, invitandoli a parteciparvi.

224    Con messaggio di posta elettronica del 16 maggio 2017, la Commissione ha chiesto ai rappresentanti delle denuncianti, dopo aver constatato che i dati forniti da queste ultime riguardavano soltanto la loro situazione, di fornirle dati macroeconomici per tutta l’industria.

225    Date tali circostanze, non si può contestare alla Commissione di essersi basata sulle stime fornite dalle denuncianti per quanto riguarda i produttori rimanenti, dal momento che l’obiettivo era, conformemente all’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento di base, di ottenere una panoramica dell’industria dell’Unione nel suo insieme.

226    Inoltre, come rilevato dalle intervenienti, il ricorso a stime può rivelarsi necessario nell’ambito dei procedimenti antidumping quando alcuni produttori scelgono di non collaborare o quando, come si è verificato nel caso di specie, taluni produttori dell’Unione hanno cessato di produrre o di esistere al momento della raccolta dei dati macroeconomici.

227    Oltre a ciò, occorre ricordare che le stime non sono supposizioni e che le denuncianti hanno seguito un metodo di calcolo che è stato oggetto di verifica da parte della Commissione, la quale ha chiesto, dopo tale verifica, di apportare modifiche. A tal riguardo, le intervenienti hanno rilevato che, contrariamente alla proposta delle denuncianti di stimare la produzione effettiva degli operatori in questione, la Commissione ha deciso di prendere in considerazione, in sostituzione, la capacità produttiva di tali produttori, il che ha aumentato la produzione complessiva dell’Unione e ridotto l’aumento delle quote di mercato ottenute dai produttori esportatori cinesi. Le intervenienti ne deducono, senza che ciò sia contestato, che da tale scelta operata dalla Commissione sia derivato un indicatore del pregiudizio al ribasso, a vantaggio dei produttori esportatori cinesi.

228    La seconda censura deve dunque essere respinta.

229    Nella loro terza censura, le ricorrenti sostengono che i dati utilizzati dalla Commissione sono stati riveduti in maniera sostanziale senza spiegazioni.

230    A tal riguardo, occorre rilevare che, dal fascicolo e dalle risposte delle parti ai quesiti del Tribunale, risulta che la Commissione ha riveduto i dati macroeconomici nel modo seguente.

231    Il 7 aprile 2017 la Commissione ha chiesto, per lettera, ai rappresentanti delle denuncianti di fornirle, entro e non oltre il 12 maggio 2017, taluni dati macroeconomici per il periodo considerato. Il 12 maggio 2017 i rappresentanti delle denuncianti hanno fornito, con messaggio di posta elettronica, una tabella contenente i dati macroeconomici.

232    Il 15 maggio 2017 la Commissione ha chiesto, con messaggio di posta elettronica, una versione non riservata di tale documento. Il 16 maggio 2017 essa ha inviato un altro messaggio di posta elettronica, chiedendo la comunicazione di una versione contenente i dati macroeconomici di tutta l’industria dell’Unione ed escludendo le griglie per canali. Il 24 maggio 2017 la Commissione ha nuovamente inviato un messaggio di posta elettronica ai rappresentanti delle denuncianti, invitandoli a inviare i dati richiesti entro il 29 maggio 2017 e a dare disponibilità per una verifica di tali dati nei loro locali il 30 maggio 2017.

233    Il 29 maggio 2017 i rappresentanti delle denuncianti hanno fornito, con messaggio di posta elettronica, una nuova versione della tabella contenente i dati macroeconomici (in prosieguo: la «seconda versione degli indicatori macroeconomici»). La Commissione ha verificato tali dati il 30 maggio 2017. Nel corso della visita di verifica, le denuncianti hanno presentato informazioni più complete sui dati relativi ai produttori inseriti nel campione, che giustificavano un aggiornamento delle cifre. Peraltro, la Commissione ha indicato che i dati figuranti nella seconda versione degli indicatori macroeconomici evidenziavano dati consolidati per i produttori rimanenti, ma che le denuncianti non erano state in grado di verificare la concordanza tra tali dati e i documenti giustificativi entro il termine impartito per la visita di verifica. Il gruppo incaricato della verifica ha quindi chiesto alle denuncianti di suddividere i dati per produttore noto e di trasmettere una tabella aggiornata di conseguenza.

234    Il 1° giugno 2017 i rappresentanti delle denuncianti hanno fornito, con messaggio di posta elettronica, una nuova versione non riservata dei dati macroeconomici (in prosieguo: la «terza versione degli indicatori macroeconomici»), che integrava le domande della Commissione. Secondo le ricorrenti, tale versione differisce sensibilmente dalla versione precedente. La CCCME ha chiesto alla Commissione, con messaggio di posta elettronica, di spiegare le ragioni di tale differenza. Con messaggio di posta elettronica, la Commissione ha risposto che si trattava di un aggiornamento dei dati a seguito della verifica avvenuta il 30 maggio 2017. Il 2 giugno 2017 la Commissione ha chiesto, con messaggio di posta elettronica, di poter effettuare una verifica delle tabelle aggiornate nei locali dei rappresentanti delle denuncianti lo stesso giorno. Questi ultimi accettavano, con messaggio di posta elettronica.

235    In seguito a tale verifica, le denuncianti hanno fornito alla Commissione, lo stesso giorno, la quarta versione degli indicatori macroeconomici, su una chiave USB. Il 12 giugno 2017 i rappresentanti delle denuncianti hanno nuovamente inviato la quarta versione degli indicatori macroeconomici, ma, per posta elettronica, questa volta sia in una versione riservata sia in una versione non riservata. Le intervenienti hanno precisato che la terza versione degli indicatori macroeconomici, esaminata durante la visita di verifica, conteneva per errore i dati di produzione delle griglie per canali di due produttori e che era stata modificata in loco. Esse indicano, inoltre, che la quarta versione teneva conto anche delle informazioni supplementari, ricevute dall’industria dell’Unione quel giorno stesso, riguardanti altri produttori.

236    La Commissione aggiunge inoltre che, a seguito delle osservazioni presentate dalla FCI il 21 giugno 2017, alla quarta versione degli indicatori macroeconomici sono stati aggiunti i dati di un produttore dell’Unione che era stato omesso per errore dalle denuncianti.

237    Alla luce di tali elementi, si deve concludere che le ricorrenti hanno ottenuto una risposta al loro messaggio di posta elettronica di cui al precedente punto 234, nel quale esse chiedevano alla Commissione la ragione per la quale esisteva una differenza tra la seconda e la terza versione degli indicatori macroeconomici.

238    Per il resto, occorre rilevare che, alla luce degli elementi del fascicolo e delle spiegazioni fornite nelle risposte delle parti ai quesiti del Tribunale, le revisioni intervenute miravano a completare, affinare e, quindi, migliorare l’attendibilità dei dati. Come sottolineato dalle intervenienti, alcune delle revisioni descritte sono state apportate proprio per tener conto delle obiezioni sollevate dalle parti interessate e accolte dalla Commissione. È stato pertanto necessario, da un lato, aggiungere i dati di un ulteriore produttore dell’Unione, che le denuncianti avevano omesso e, dall’altro, escludere dai dati quelli che si riferivano alle griglie per canali che la Commissione aveva accettato di escludere dalla definizione del prodotto oggetto dell’inchiesta.

239    Ciò premesso, la terza censura dev’essere respinta.

240    Nella quarta censura, le ricorrenti sostengono che l’elenco delle fonti utilizzate dalla Commissione per calcolare gli indicatori macroeconomici è viziato da incoerenza, poiché conterrebbe dati che, come gli investimenti, non potrebbero essere presi in considerazione in quanto non costituirebbero un indicatore macroeconomico.

241    A tal riguardo, occorre rilevare che, come indicato al precedente punto 214, la Commissione si è basata su diversi tipi di dati in funzione della categoria di produttori dell’Unione di cui trattasi. Risulta quindi che l’elenco in questione, intitolato «Documenti giustificativi aggiuntivi», non comprende l’insieme delle fonti utilizzate, ma presenta una natura meramente integrativa rispetto all’insieme dei dati utilizzati.

242    Inoltre, per quanto riguarda il contenuto di tale elenco, come indicato dalle ricorrenti, esso menziona tre documenti intitolati «[nome della società] re investments». Tuttavia, tale numero di documenti contestati dalle ricorrenti è limitato rispetto a tutti quelli contenuti nell’elenco di cui trattasi. Infatti, almeno 13 documenti fra tutti i 22 documenti elencati – taluni riguardanti alcune delle denuncianti, altri riguardanti altri produttori dell’Unione – riguardano le «attività», gli «attivi e gli investimenti», i «bilanci finanziari», i «rapporti finanziari», gli «occupati», i «dipendenti indiretti» e i «dipendenti», i quali sono pertinenti per accertare i dati macroeconomici.

243    Infine, nelle osservazioni presentate dalle denuncianti, nel corso dell’inchiesta esse hanno fornito precisazioni aggiuntive sulle fonti utilizzate per calcolare gli indicatori macroeconomici, indicando quanto segue:

«[A]bbiamo raccolto i dati relativi alle denuncianti e alle imprese che hanno sostenuto la denuncia provenienti dalla loro contabilità. Per le altre imprese, le denuncianti hanno formulato stime, sulla base di dati estrapolati dai bilanci finanziari di tali altre imprese, da siti Internet, da articoli di stampa e dalla loro conoscenza del mercato».

244    Alla luce di tutti questi elementi, la quarta censura deve essere respinta.

245    Nella quinta censura, le ricorrenti contestano alla Commissione il fatto che la sua unica attività sia stata quella di recarsi presso gli uffici dei rappresentanti delle denuncianti al fine di verificare i dati forniti da queste ultime. Esse affermano che la Commissione avrebbe potuto, ad esempio, contattare i produttori rimanenti e chiedere loro di confermare o commentare le stime che li riguardavano.

246    A tal proposito, occorre rilevare che, conformemente all’articolo 6, paragrafo 8, del regolamento di base, l’esattezza delle informazioni comunicate dalle parti interessate e sulle quali si basano le risultanze deve essere accertata con la massima accuratezza.

247    È già stato rilevato, in risposta ad altri argomenti presentati dalle ricorrenti, che la Commissione non disponeva di poteri di indagine che le consentissero di costringere le imprese a partecipare all’inchiesta o a fornire informazioni, ma che, per ottenere informazioni, dipendeva dalla collaborazione volontaria delle parti (punto 220 supra).

248    Nel caso di specie, la Commissione ha invitato i produttori dell’Unione che fabbricano il prodotto in esame a partecipare all’inchiesta (v. punti 222 e 223 supra). Tuttavia, solo le denuncianti hanno fornito le informazioni necessarie per calcolare gli indicatori macroeconomici. È in tale contesto che la Commissione si è rivolta alle denuncianti per ottenere dati relativi ai produttori dell’Unione che non hanno collaborato all’inchiesta e ha ricevuto da queste ultime le stime che li riguardavano (punto 224 supra).

249    L’articolo 16, paragrafo 1, del regolamento di base consente alla Commissione di effettuare visite, se lo ritiene necessario, al fine di verificare le informazioni comunicate.

250    Ne deriva quindi che la Commissione poteva, per verificare l’esattezza delle informazioni comunicate, procedere a una visita di verifica presso gli autori delle informazioni di cui trattasi, fermo restando che, nella fattispecie, tali informazioni provenivano dalle denuncianti.

251    Per quanto riguarda il fatto che tale verifica è stata effettuata nei locali dei rappresentanti delle denuncianti, occorre rilevare che la Commissione ha chiesto alle denuncianti, sin dall’inizio del procedimento, tramite i loro rappresentanti, di conservare tutti i «documenti giustificativi e i fogli di lavoro utilizzati per la preparazione delle domande alla presente lettera nonché per i dati macroeconomici indicati nella denuncia per gli anni 2013-2015».

252    Per ragioni pratiche era accettabile che la Commissione si recasse presso gli uffici dei rappresentanti delle denuncianti per consultare, ai fini di un accertamento, i documenti da cui provenivano i dati forniti da queste ultime, considerata la necessità di basare le analisi su dati attendibili e credibili.

253    Pertanto, occorre respingere la quinta censura.

254    Nella sesta censura, le ricorrenti contestano alla Commissione di non aver individuato con precisione gli elementi oggetto degli accertamenti.

255    A tal riguardo, occorre rilevare che, nel corso del procedimento, la Commissione ha precisato che la verifica del 30 maggio 2017 verteva sui «dati relativi agli indicatori macroeconomici che [erano] stati presentati (i documenti sorgente utilizzati per i dati dichiarati, modalità di compilazione dei dati, modalità di ottenimento di talune cifre menzionate nella denuncia in relazione al consumo e alle importazioni, ecc.)» e ha così individuato, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, gli elementi che sarebbero stati oggetto delle verifiche.

256    Poiché tale informazione è stata portata a conoscenza delle ricorrenti, la censura deve essere respinta così come, pertanto, la seconda parte del primo motivo nella sua interezza.

–       Sulla terza parte del primo motivo, relativa alla redditività dei produttori dell’Unione

257    Nella terza parte, le ricorrenti contestano le cifre prese in considerazione dalla Commissione per dimostrare il peggioramento che, a suo avviso, caratterizza l’andamento della redditività dei produttori dell’Unione nel corso degli anni che hanno preceduto l’inchiesta.

258    Al considerando 162 del regolamento provvisorio, la Commissione ha indicato che la redditività dei produttori dell’Unione si situava intorno al 10% nel 2006, che essa si attestava solo al 5,3% durante il primo anno del periodo in esame, ossia il 2013, e che aveva continuato a peggiorare nello stesso periodo.

259    Su tale sfondo, le ricorrenti presentano tre censure che sono contestate dalla Commissione.

260    Nella loro prima censura, le ricorrenti sostengono, in sostanza, che la Commissione ha divulgato le cifre prese in considerazione per calcolare la redditività dell’industria dell’Unione senza fondamento, dal momento che gli unici dati da essa ricevuti da parte dell’industria dell’Unione sarebbero stati comunicati il 2 ottobre 2017, vale a dire successivamente all’adozione del regolamento provvisorio e oltre cinque mesi dopo gli accertamenti effettuati nei locali dei rappresentanti delle denuncianti.

261    A tal riguardo, occorre rilevare che la censura è infondata in fatto.

262    Infatti, i dati relativi alla redditività per gli anni dal 2006 al 2012 sono stati comunque comunicati alla Commissione l’11 maggio 2017, vale a dire prima, da un lato, dell’adozione del regolamento provvisorio e, dall’altro, delle visite di verifica, che hanno avuto luogo il 30 maggio e il 2 giugno 2017. Il messaggio di posta elettronica con cui i dati sono stati comunicati è stato prodotto dalla Commissione, la quale ha spiegato che tale documento era stato comunicato dalle denuncianti, di propria iniziativa, in una versione riservata, ragion per cui non era stato inserito nel fascicolo accessibile alle parti interessate, ma unicamente nella parte del fascicolo riservata alla Commissione. Tale istituzione ha altresì precisato che il documento del 2 ottobre 2017 inviato dalle denuncianti era solo una versione del documento dell’11 maggio 2017 consultabile dalle parti interessate.

263    Quanto alla redditività dell’industria dell’Unione durante il periodo in esame, risulta che essa è stata calcolata sulla base delle risposte del campione dei produttori dell’Unione al questionario loro inviato dalla Commissione, che doveva esserle restituito entro il 22 febbraio 2017, ossia prima dell’adozione del regolamento provvisorio.

264    La prima censura dev’essere pertanto respinta.

265    Nella seconda censura, le ricorrenti affermano che il documento del 2 ottobre 2017, menzionato al precedente punto 260, non fornisce alcuna informazione sulle fonti utilizzate.

266    A tal riguardo, è sufficiente constatare che le fonti utilizzate dalle denuncianti per dimostrare la redditività dell’industria dell’Unione dal 2006 al 2012 nel documento dell’11 maggio 2017, richieste dalle ricorrenti, non sono pertinenti per analizzare la legittimità della valutazione da parte della Commissione degli indicatori microeconomici. Infatti, come sottolineato dalla Commissione, nonostante il livello di redditività dell’industria dell’Unione nel 2006 sia menzionato al considerando 162 del regolamento provvisorio, essa si è basata unicamente sulla redditività dell’industria dell’Unione durante il periodo in esame (dal 1° gennaio 2013 al 30 settembre 2016) per valutarne l’andamento, come risulta dal considerando 168 di detto regolamento.

267    Tale censura è di conseguenza inoperante, così come lo è, per la stessa ragione, la terza censura sollevata dalle ricorrenti, secondo la quale le cifre prese in considerazione dalla Commissione sarebbero contraddette da quelle citate nella domanda di riesame presentata dall’industria dell’Unione nel 2010 in previsione della scadenza delle misure antidumping imposte dal regolamento n. 1212/2005.

268    Infatti, i dati relativi alla redditività dell’industria dell’Unione oggetto di tale domanda di riesame si riferivano necessariamente agli anni precedenti al 2010. Orbene, come indicato al precedente punto 266, sebbene la Commissione abbia menzionato l’anno 2006 al considerando 162 del regolamento provvisorio, sono invece i dati del periodo in esame, vale a dire il periodo compreso tra il 1º gennaio 2013 e il 30 settembre 2016, ad essere pertinenti e a costituire il fondamento dell’adozione della decisione della Commissione.

269    In ogni caso, come sostenuto dalle intervenienti, la redditività stimata nell’ambito dell’inchiesta è stata calcolata sulla base dei dati del campione di produttori dell’Unione, mentre la redditività media comunicata dall’industria dell’Unione nella sua domanda di riesame presentata in previsione della scadenza delle misure antidumping imposte dal regolamento n. 1212/2005 si fondava sui dati di sei ulteriori produttori.

270    Tenuto conto delle considerazioni che precedono, occorre respingere la terza parte del primo motivo.

–       Sulla quarta parte del primo motivo, relativa al campione dei produttori dell’Unione

271    Nella quarta parte, le ricorrenti contestano la scelta operata dalla Commissione tra i produttori dell’Unione al fine di costituire il campione sulla base del quale essa ha valutato gli effetti delle importazioni oggetto di dumping.

272    In tale contesto, le ricorrenti deducono due censure che sono contestate dalla Commissione.

273    Nella loro prima censura, le ricorrenti sostengono che la Commissione non ha effettivamente invitato le parti interessate a presentare osservazioni sul campione provvisorio.

274    Infatti, la CCCME avrebbe avuto accesso, il 18 gennaio 2017, dopo aver contattato la Commissione su tale punto, da un lato, a un documento datato 12 dicembre 2016, intitolato «Proposta di campione di produttori dell’Unione», contenente il campione di tre produttori dell’Unione, e, dall’altro, ai questionari inviati il 16 gennaio 2017 dalla Commissione a «EJ Picardie + altri 4» produttori dell’Unione, come recita il titolo di tale documento.

275    Secondo le ricorrenti, da tali documenti emerge l’impressione che il campione provvisorio sia stato a un certo punto esteso ad altri produttori dell’Unione. Tuttavia, il 20 gennaio 2017, la Commissione avrebbe inserito nel fascicolo non riservato il campione definitivo dei produttori dell’Unione, datato 16 gennaio 2017, nel quale avrebbe confermato la selezione iniziale di tre produttori.

276    Secondo le ricorrenti, tali circostanze dimostrano che la Commissione ha comunicato il campione provvisorio alle parti interessate dopo che era stato stabilito il campione definitivo e dopo che i questionari erano stati inviati ai produttori inseriti nel campione, il che costituirebbe una violazione dei diritti della difesa delle parti interessate e dell’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento di base, il quale prevede che di preferenza la scelta del campione avviene previa consultazione e con il consenso delle parti interessate.

277    A tal riguardo, occorre rilevare che, ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento di base, «[l]a selezione definitiva di parti, tipi di prodotti o operazioni a norma delle disposizioni in materia di campionamento spetta alla Commissione, anche se di preferenza la scelta del campione avviene previa consultazione e con il consenso delle parti interessate, a condizione che dette parti, entro tre settimane dalla data di apertura dell’inchiesta, si siano manifestate e abbiano comunicato informazioni sufficienti ai fini della selezione di un campione rappresentativo».

278    Affinché la consultazione delle parti interessate di cui all’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento di base sia effettiva, essa deve avere luogo in una fase in cui la Commissione sia in grado di tener conto delle osservazioni presentate e, se del caso, di modificare il campione.

279    Occorre rilevare che, nel caso di specie, la Commissione ha indicato, nell’avviso di apertura dell’inchiesta, di aver deciso di limitare a un numero ragionevole i produttori dell’Unione interessati dall’inchiesta selezionando un campione e che, a tal fine, essa aveva costituito un campione provvisorio la cui composizione era messa a disposizione delle parti interessate per la consultazione. In tale avviso, la Commissione ha altresì precisato che, salvo indicazione contraria, le parti interessate che intendevano comunicare altre informazioni utili sulla selezione del campione dovevano farlo entro 21 giorni dalla data di pubblicazione di detto avviso nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.

280    Nelle sue memorie, la Commissione sostiene che la ragione per la quale il documento del 12 dicembre 2016, intitolato «Proposta di campione di produttori dell’Unione», non è stato inizialmente inserito nel fascicolo non riservato, come era stato annunciato nell’avviso di apertura, è un errore di scrittura da parte del gruppo incaricato dell’inchiesta. Il documento è stato contrassegnato accidentalmente come «riservato», mentre avrebbe dovuto recare la dizione «non riservato» affinché fosse accessibile a tutte le parti interessate. Non appena la CCCME ha comunicato alla Commissione, il 18 gennaio 2017, che tale documento non era presente fra le informazioni alle quali detto ente aveva accesso, il documento è stato contrassegnato come «non riservato» nel sistema affinché le parti interessate, fra cui la CCCME, potessero consultarlo.

281    Ne consegue che la CCCME è stata consultata il 18 gennaio 2017, ossia poco più di un mese dopo l’avvio dell’inchiesta, vale a dire in un momento in cui le sue osservazioni potevano essere prese in considerazione nella selezione del campione.

282    Orbene, benché ne abbia avuto la possibilità a partire da tale momento, la CCCME non ha depositato osservazioni sulla composizione di tale campione.

283    In effetti, le ricorrenti sostengono che il numero di imprese inserite nella selezione del campione sarebbe stato modificato e poi completato prima che esse fossero state consultate, il che avrebbe avuto come risultato, a loro avviso, la mancanza di efficacia della consultazione, dato che la composizione del campione sarebbe stata decisa prima che esse potessero pronunciarsi.

284    Anche supponendo che la Commissione abbia effettivamente previsto di modificare il campione provvisorio, e poi che essa sia ritornata sulla sua posizione prima che la CCCME avesse potuto consultare la composizione del campione proposto, è sufficiente, in ogni caso, rilevare, in risposta a tale argomento, in primo luogo, che le parti interessate sono state messe in condizione di pronunciarsi, nel caso di specie, sulla composizione del campione proposta dalla Commissione, in secondo luogo, che la composizione oggetto della consultazione comprendeva tre imprese e, in terzo luogo, che il campione finale era infine costituito effettivamente da tali tre imprese.

285    Pertanto, le ricorrenti avrebbero potuto far valere, sul campione di produttori dell’Unione, osservazioni che la Commissione avrebbe potuto prendere in considerazione, il che implica che, contrariamente a quanto esse sostengono, i loro diritti della difesa nonché l’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento di base sono stati rispettati.

286    Per questi motivi, la prima censura deve essere respinta.

287    Nella loro seconda censura, le ricorrenti sostengono che il campione scelto dalla Commissione non rappresenta la diversità delle situazioni in cui si trovano i produttori all’interno dell’Unione, in particolare la situazione specifica dei produttori dell’Europa orientale.

288    Secondo la Commissione, l’argomento formulato dalle ricorrenti su tale punto non è fondato oltre a non essere ricevibile, in quanto formulato per la prima volta dinanzi al Tribunale.

289    A tal riguardo, occorre rilevare, nel merito, che, a norma dell’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento di base, l’analisi della Commissione deve fondarsi sul complesso dell’industria dell’Unione al fine di ottenere una rappresentazione attendibile della situazione economica dell’industria in tutto il territorio dell’Unione.

290    Tuttavia, la Commissione è autorizzata, nei casi di notevoli dimensioni, a limitare l’inchiesta a un numero adeguato di parti, facendo ricorso al metodo di campionamento di cui all’articolo 17 del regolamento di base.

291    L’articolo 17, paragrafi 1 e 2, del regolamento di base prevede due metodi per costituire un campione che possa essere considerato rappresentativo ai sensi di detto regolamento. Secondo il primo metodo, la Commissione si basa su un campione di parti, prodotti o operazioni che presenta la caratteristica di essere statisticamente valido sulla base delle informazioni disponibili al momento della selezione. Per quanto riguarda il secondo metodo di campionamento di cui all’articolo 17, paragrafo 1, del medesimo regolamento, la rappresentatività del campione si basa sul fatto che esso comprende il massimo volume rappresentativo della produzione, delle vendite o delle esportazioni che possa essere adeguatamente esaminato entro il periodo di tempo disponibile (v. sentenza del 15 giugno 2017, T.KUP, C-349/16, EU:C:2017:469, punto 24 e giurisprudenza ivi citata).

292    Oltre a ciò, dall’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento di base risulta che la selezione definitiva del campione spetta alla Commissione, a norma delle disposizioni in materia di campionamento (sentenze del 10 settembre 2015, Fliesen-Zentrum Deutschland, C-687/13, EU:C:2015:573, punto 87, e del 15 marzo 2018, Caviro Distillerie e a./Commissione, T-211/16, EU:T:2018:148, punto 48).

293    Inoltre, si deve considerare che, al momento dell’utilizzo dei campioni, la Commissione dispone di un ampio potere discrezionale e il controllo del giudice dell’Unione è, di conseguenza, limitato nel modo indicato ai precedenti punti 149 e 150 (v., in tal senso, sentenza del 10 settembre 2015, Fliesen-Zentrum Deutschland, C-687/13, EU:C:2015:573, punto 93).

294    Infine, la giurisprudenza precisa che, qualora opti per il secondo metodo di campionamento, la Commissione dispone di un certo margine di flessibilità nella valutazione prospettica di ciò che può ragionevolmente compiere entro il termine che le è stato impartito per condurre la propria inchiesta (sentenze del 15 giugno 2017, T.KUP, C-349/16, EU:C:2017:469, punto 31, e del 15 marzo 2018, Caviro Distillerie e a./Commissione, T-211/16, EU:T:2018:148, punto 41).

295    In un contesto del genere, caratterizzato dall’esistenza di un ampio potere discrezionale della Commissione e di una limitazione che incide sul controllo del giudice dell’Unione, spetta alle ricorrenti, applicando la giurisprudenza, fornire gli elementi di prova che consentano al Tribunale di constatare che la Commissione, nel costituire il campione dell’industria Unione come ha fatto, è incorsa in un errore manifesto di valutazione nell’accertamento del pregiudizio (v., in tal senso, sentenza del 15 marzo 2018, Caviro Distillerie e a./Commissione, T-211/16, EU:T:2018:148, punto 49).

296    Nel caso di specie, la Commissione, applicando il secondo metodo di cui al precedente punto 291, ha selezionato il campione sulla base dei volumi di produzione e delle vendite più elevati, come autorizzata dall’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento di base.

297    Secondo il considerando 13 del regolamento provvisorio, tale campione rappresentava il 48% del volume totale della produzione e il 43% del totale delle vendite dell’industria dell’Unione, lasciando incontestata dalle ricorrenti l’entità del volume di produzione e del totale delle vendite di tali produttori.

298    Infatti, la scelta di tale metodo di campionamento impedisce di sollevare una contestazione fondata su un’insufficiente rappresentatività geografica, dato che si ritiene che i volumi della produzione, delle vendite o delle esportazioni inseriti nel campione, forniscano, laddove siano elevati, una base adeguata per valutare la situazione in tutta l’industria.

299    Pertanto, erroneamente le ricorrenti ritengono che il campione della Commissione non fosse sufficientemente rappresentativo ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento di base, in quanto non comprendeva produttori dell’Europa orientale.

300    La seconda censura deve quindi essere respinta nel merito senza che sia necessario pronunciarsi sugli argomenti addotti dalla Commissione sul piano della ricevibilità.

301    Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre respingere la quarta parte del primo motivo.

–       Sulla quinta parte del primo motivo, relativa all’inclusione di prezzi infragruppo nel calcolo dei costi dell’industria dell’Unione

302    Nella quinta parte, le ricorrenti sostengono che, per calcolare il pregiudizio subito dall’industria dell’Unione, la Commissione ha utilizzato, nel caso della Saint-Gobain PAM, prezzi fatturati per rivendite all’interno del gruppo di società di cui tale produttore fa parte (uso di prezzi di trasferimento), senza valutare la natura autonoma di tali prezzi di acquisto.

303    Orbene, per valutare l’effettiva redditività, la Commissione avrebbe dovuto confrontare, da un lato, il valore delle vendite realizzate a clienti indipendenti e, dall’altro, i costi sostenuti per la produzione dei prodotti e le SGAV dei rivenditori, altrimenti la sua analisi del pregiudizio sarebbe falsata.

304    La Commissione contesta l’argomento delle ricorrenti.

305    A tal riguardo, occorre rilevare che, nella risposta ai quesiti del Tribunale, la Commissione ha spiegato che la Saint-Gobain PAM vendeva il prodotto considerato, direttamente, a clienti indipendenti, ma anche, come rilevato dalle ricorrenti, indirettamente tramite operatori commerciali collegati.

306    Tuttavia, tale circostanza non ha avuto alcuna incidenza sull’accertamento dei costi di produzione, dal momento che, da un lato, i due tipi di vendita riguardano prodotti fabbricati dall’impresa interessata e, dall’altro, il valore preso in considerazione in sede di calcolo della Commissione corrisponde ai costi di produzione sostenuti da quest’ultima nell’ambito della fabbricazione, indipendentemente dal tipo di vendita che avrebbe successivamente avuto luogo.

307    Quindi, come indicato dalla Commissione, il fatto che talune vendite siano state effettuate tramite società collegate non ha avuto alcuna incidenza sul calcolo dei costi di produzione della Saint-Gobain PAM e, pertanto, sulla valutazione del pregiudizio subito dall’industria dell’Unione.

308    È vero che, nella risposta ai quesiti del Tribunale, la Commissione ha fatto presente che la Saint-Gobain PAM acquistava talune materie prime da imprese collegate.

309    Tuttavia, per poter includere nel calcolo i costi di produzione connessi a tali operazioni, la Commissione ha verificato se queste ultime potessero essere considerate operazioni effettuate in condizioni normali di mercato.

310    Infatti, confrontando i costi diretti all’interno dei costi di produzione unitari e all’interno del prezzo di rivendita a parti non collegate nell’Unione, essa ha constatato che la Saint-Gobain PAM si collocava nella stessa forbice degli altri due produttori del campione che avevano acquistato materie prime da fornitori non collegati.

311    La quinta parte del primo motivo deve pertanto essere respinta.

–       Sulla sesta parte del primo motivo, relativa principalmente alla differenza nelle pratiche imputate ai produttori esportatori a seconda che fossero indiani o cinesi

312    Nella sesta parte, le ricorrenti sollevano diverse censure di cui una è esaminata di seguito mentre le altre, a motivo del loro oggetto, saranno affrontate in altre sezioni della presente sentenza (v. punto 325 infra).

313    Nella censura esaminata nella specie, le ricorrenti ritengono incomprensibile la conclusione della Commissione secondo cui nessuna pratica di dumping si è potuta imputare ai produttori esportatori indiani, mentre l’esistenza di una siffatta pratica è stata constatata per i produttori esportatori cinesi. Secondo le ricorrenti, tale conclusione è incompatibile con i due seguenti elementi di fatto. In primo luogo, i prezzi all’esportazione indiani erano inferiori ai prezzi all’esportazione cinesi. In secondo luogo, poiché la Repubblica dell’India è stata scelta come paese di riferimento, i dati utilizzati dalla Commissione per determinare il valore normale erano gli stessi per i produttori esportatori indiani e cinesi.

314    La Commissione chiede il rigetto della presente censura.

315    Per prendere posizione, occorre rilevare che, come ricordano le ricorrenti, le importazioni nell’Unione del prodotto in esame provenienti dalla Repubblica dell’India sono state oggetto, parallelamente alle importazioni provenienti dalla Repubblica popolare cinese, di un’inchiesta volta ad accertare l’eventuale esistenza di pratiche di dumping (v. punto 3 supra).

316    Nell’ambito dell’inchiesta, la Commissione ha constatato che, in base al volume in tonnellate, i prezzi delle importazioni originarie della Repubblica popolare cinese erano in media superiori ai prezzi delle importazioni originarie della Repubblica dell’India.

317    Allo stesso tempo, poiché la Repubblica popolare cinese non è considerata un paese retto da un’economia di mercato, il valore normale utilizzato per determinare l’esistenza di una pratica di dumping da parte dei produttori esportatori cinesi è stato calcolato sulla base dei dati della Repubblica dell’India, conformemente all’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), del regolamento di base (in prosieguo: il «metodo del paese di riferimento»).

318    Orbene, a norma dell’articolo 1, paragrafo 2, del regolamento di base, si deve concludere che un prodotto è oggetto di dumping quando il suo prezzo all’esportazione nell’Unione è inferiore ad un prezzo comparabile di un prodotto simile, applicato nel paese esportatore nell’ambito di normali operazioni commerciali.

319    Secondo le ricorrenti, dato che, in sede di accertamento dell’esistenza di una pratica di dumping da parte dei produttori esportatori cinesi e indiani, la Commissione doveva tener conto del fatto che, da un lato, il valore normale era in entrambi i casi basato sui dati indiani e, dall’altro, che i prezzi all’esportazione dei produttori esportatori indiani erano inferiori a quelli praticati dai produttori esportatori cinesi, la conseguenza logica doveva essere che i produttori esportatori indiani avevano margini di dumping più elevati e che la Commissione avrebbe dovuto constatare l’esistenza di una pratica di dumping da parte dei produttori esportatori di tale paese, dal momento che era giunta a una siffatta conclusione per quanto riguardava i produttori esportatori cinesi.

320    Al riguardo, occorre rilevare che tale differenza tra i produttori esportatori cinesi e indiani è stata spiegata dalla Commissione durante l’inchiesta.

321    Anzitutto, sebbene la Commissione abbia riconosciuto che, in base al volume in tonnellate, i prezzi all’esportazione indiani erano in media inferiori ai prezzi cinesi, essa ha spiegato che tali prezzi non potevano essere confrontati adeguatamente. Infatti, come indicato in dettaglio dalla Commissione al considerando 179 del regolamento provvisorio, al quale rinvia il considerando 19 del regolamento impugnato, la differenza di prezzo si spiegava, a suo avviso, con la circostanza che i produttori esportatori indiani esportavano ghisa grigia, che, essendo più fragile, richiedeva l’utilizzo di un quantitativo maggiore di materia prima rispetto ai prodotti di ghisa duttile originari della Repubblica popolare cinese per ottenere un risultato uguale. Per tale ragione, i prezzi cinesi erano più elevati se il confronto veniva effettuato sulla base del volume in tonnellate. Diverso sarebbe stato, invece, se il confronto fosse stato effettuato per prodotto, il che costituiva il criterio adeguato per le vendite da confrontare.

322    Come rilevato poi dalla Commissione al considerando 20 del regolamento impugnato, i prezzi nel mercato interno dei prodotti indiani presentavano un peculiarità sul piano fiscale, che comportavano taluni adeguamenti. Dall’analisi effettuata dalla Commissione risultava che non era applicata l’IVA ai prezzi indiani nel mercato interno utilizzati, in base al metodo del paese di riferimento, per ricavare il valore normale atto a determinare l’esistenza di una pratica di dumping dalla Repubblica popolare cinese. Tale situazione creava un’asimmetria tra i prezzi all’esportazione cinesi e i prezzi indiani nel mercato interno utilizzati per ricavare il valore normale. Al fine di consentire un confronto tra questi ultimi, la Commissione ha quindi adeguato il valore normale includendovi l’IVA e, quindi, ha rivisto al rialzo il valore normale utilizzato per accertare l’esistenza di una pratica di dumping dei produttori esportatori cinesi.

323    È al termine di tale ragionamento, la cui coerenza non ha potuto essere messa in dubbio dalle ricorrenti, che la Commissione ha formulato conclusioni diverse per quanto riguardava l’esistenza di una pratica di dumping per i produttori esportatori cinesi e i produttori esportatori indiani.

324    Ciò considerato, la prima censura dev’essere respinta.

325    Nella sesta parte, le ricorrenti sollevano altre due censure che saranno analizzate con altri motivi ai quali si riferiscono. A tal proposito, le ricorrenti contestano alla Commissione di aver rifiutato alla CCCME qualsiasi accesso alle informazioni necessarie per verificare le analisi da essa effettuate. Tale censura sarà esaminata nell’ambito del terzo motivo. Inoltre, le ricorrenti contestano il rifiuto opposto dalla Commissione di raccogliere dati al fine di valutare gli indicatori di pregiudizio per Stato membro e per categoria di prodotto, di ghisa grigia o di ghisa duttile. Tale censura sarà esaminata nell’ambito della seconda parte del secondo motivo.

326    Tenuto conto delle considerazioni che precedono, occorre respingere la sesta parte del primo motivo per quanto riguarda la censura esaminata sopra, e, di conseguenza, l’intero primo motivo, mentre si rinvia, per quanto riguarda le due censure connesse ad altri motivi, all’analisi delle stesse.

 Sul secondo motivo, relativo al nesso di causalità

327    Suddiviso in tre parti, il secondo motivo verte sull’articolo 3, paragrafi 6 e 7, del regolamento di base, secondo il quale la Commissione deve esaminare in quale misura il pregiudizio all’industria dell’Unione derivi, se del caso, dalle importazioni controverse, e non da altri fattori.

–       Sulla prima parte del secondo motivo, relativa all’assenza di simultaneità tra l’aumento delle importazioni oggetto di dumping e il peggioramento della situazione dell’industria dell’Unione

328    Nella prima parte, le ricorrenti contestano il ragionamento svolto dalla Commissione per dimostrare l’esistenza di un nesso di causalità tra, da un lato, l’aumento delle importazioni oggetto di dumping e, dall’altro, il peggioramento constatato per quanto riguarda la situazione dell’industria dell’Unione durante il periodo in esame.

329    Tale parte, contestata dalla Commissione, è suddivisa in quattro censure.

330    Nella prima censura, le ricorrenti sostengono che, per dimostrare il nesso di causalità, la Commissione ha confrontato gli indicatori economici all’inizio e alla fine del periodo in esame, mentre avrebbe dovuto analizzare le tendenze osservate nel corso di detto periodo. Se avesse adottato tale approccio, essa avrebbe potuto constatare che gli indicatori che caratterizzavano la situazione dell’industria dell’Unione erano peggiorati a partire dal 2014. Orbene, dai dati forniti dalla Commissione risulta che, a partire da quel momento, le importazioni provenienti dalla Repubblica popolare cinese sono diminuite. Secondo le ricorrenti, una siffatta diminuzione è incompatibile con la conclusione secondo la quale dette importazioni avrebbero contribuito al peggioramento della situazione dell’industria dell’Unione.

331    A tal riguardo, occorre rilevare che gli indicatori ripresi nella tabella riportata di seguito hanno avuto il seguente andamento nel corso del periodo in esame.

Indice (2013 = 100)

2013

2014

2015

Periodo dell’inchiesta

Volume delle vendite dell’industria dell’Unione (in tonnellate)

100

97

90

89

Volume di produzione dell’industria dell’Unione (in tonnellate)

100

103

96

96

Quota di mercato dell’industria dell’Unione (in%)

100

97

95

97

Volume delle importazioni dalla Repubblica popolare cinese (in tonnellate)

100

124

120

116

Quota di mercato dell’Unione detenuta dalle importazioni provenienti dalla Repubblica popolare cinese (in%)

100

125

126

126


332    Da tale tabella risulta che, come indicato dalle ricorrenti, il volume delle importazioni provenienti dalla Repubblica popolare cinese è diminuito, nel 2015, rispetto al livello raggiunto nel 2014.

333    Ciò non significa, tuttavia, che si debba escludere un nesso di causalità tra l’andamento che hanno sperimentato tali importazioni e quello che caratterizza gli indicatori concernenti l’industria dell’Unione.

334    Infatti, la tabella mostra che il calo subito dalle suddette importazioni a partire dal 2014 è relativo, poiché il livello di importazione resta nettamente superiore a quello raggiunto all’inizio del periodo considerato (+16%), cosicché sembra artificioso parlare di diminuzione delle importazioni se viene preso in considerazione un periodo più lungo.

335    Inoltre, la presentazione fornita dalle ricorrenti non riferisce dell’aumento rilevante delle importazioni di cui trattasi tra il 2013 e il 2014 (+24%). Orbene, un aumento di tale entità è stato in grado di saturare il mercato dell’Unione portando all’anticipo di ordini da parte dei clienti dell’Unione, con la conseguenza che in seguito le vendite sono crollate, in particolare nel 2015, anno nel corso del quale il volume delle vendite dell’industria dell’Unione è diminuito (-10% rispetto all’indice di partenza), mentre le importazioni subivano anch’esse una diminuzione, sebbene relativa rispetto a quella subita dalle vendite di detta industria.

336    Nei loro argomenti, le ricorrenti contestano alla base, al di là delle considerazioni specifiche esaminate sopra, il metodo secondo il quale la Commissione fonda le proprie conclusioni sul confronto tra i dati che caratterizzano l’inizio e la fine del periodo in esame.

337    A tal riguardo, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza, l’idea sottostante alla fissazione di un «periodo in esame» è di consentire alla Commissione di esaminare un periodo più lungo di quello oggetto dell’inchiesta in senso stretto, in modo da fondare la sua analisi su tendenze reali e virtuali che richiedono, per poter essere individuate, una durata sufficientemente lunga (v., in tal senso, sentenza del 7 maggio 1991, Nakajima/Consiglio, C-69/89, EU:C:1991:186, punto 87).

338    È esattamente quanto ha fatto la Commissione, nel caso di specie, non limitando la sua analisi agli sviluppi intervenuti nel corso di uno o di due anni, ma esaminando le tendenze su un periodo più lungo [v., in tal senso, sentenza del 12 dicembre 2014, Crown Equipment (Suzhou) e Crown Gabelstapler/Consiglio, T-643/11, EU:T:2014:1076, punto 145 (non pubblicata)]. Essa è quindi giunta alla conclusione che, in totale, le importazioni oggetto di dumping erano aumentate del 16% tra il 2013 e la fine del periodo dell’inchiesta, mentre il volume delle vendite dell’industria dell’Unione era diminuito dell’11% e che la quota di mercato di tale industria era diminuita del 3% durante lo stesso periodo.

339    In definitiva, le ricorrenti, dal momento che contestano la possibilità per la Commissione di basarsi sull’inizio e sulla fine del periodo in esame, mettono in discussione una scelta metodologica effettuata da tale istituzione.

340    Orbene, su questo genere di questioni la giurisprudenza riconosce alle istituzioni dell’Unione un ampio potere discrezionale che impone al ricorrente, se vuole contestare con successo l’azione di queste ultime, di dimostrare, nei loro confronti, l’esistenza di un errore manifesto di valutazione (sentenza del 14 marzo 2007, Aluminium Silicon Mill Products/Consiglio, T-107/04, EU:T:2007:85, punto 71).

341    Nel caso di specie, è giocoforza constatare che, con i loro argomenti, le ricorrenti non forniscono elementi che consentano di constatare l’esistenza di un siffatto errore, ma propongono piuttosto un’interpretazione alternativa dell’andamento degli indicatori economici rilevando che l’approccio seguito dalla Commissione sembra loro artificioso (v., in tal senso, sentenza del 4 febbraio 2016, C & J Clark International e Puma, C-659/13 e C-34/14, EU:C:2016:74, punto 172).

342    Per questi motivi, la prima censura deve essere respinta.

343    Nella seconda censura, le ricorrenti rilevano che la Commissione ha affermato, al considerando 174 del regolamento impugnato, da un lato, che le importazioni oggetto di dumping avevano determinato un peggioramento della situazione dell’industria dell’Unione e, dall’altro, che dette importazioni avevano conosciuto una tendenza parallela a quella della produzione dell’Unione, ossia un aumento seguito da un calo.

344    Le ricorrenti sostengono che il ragionamento della Commissione è difficile da seguire, dal momento che il fatto che l’aumento delle importazioni oggetto di dumping sia contemporaneo all’aumento del volume di produzione dell’industria dell’Unione e che la diminuzione delle importazioni che ne è seguita sia concomitante a una diminuzione del volume dell’industria dell’Unione attesta piuttosto l’assenza di nesso di causalità.

345    A tal riguardo, occorre rilevare che, come indicato dalle ricorrenti, la Commissione, nel regolamento impugnato, ha menzionato una tendenza parallela per le importazioni oggetto di dumping e la produzione dell’industria dell’Unione.

346    Tale constatazione è esatta, dal momento che, come indicato nella tabella di cui al punto 331 supra, le importazioni oggetto di dumping sono aumentate nel 2014, passando dall’indice 100 all’indice 124, così come il volume di produzione dell’industria dell’Unione che, a sua volta, era passato dall’indice 100 all’indice 103. Nel 2015 tali indici sono entrambi diminuiti: le importazioni oggetto di dumping sono calate all’indice 120 mentre il volume di produzione dell’industria dell’Unione all’indice 96.

347    Ciò premesso, occorre riprendere i termini utilizzati dalla Commissione in tutto il considerando 174 del regolamento impugnato per determinare come essa sia giunta alla conclusione che esisteva un nesso di causalità tra le importazioni oggetto di dumping e il peggioramento dell’industria dell’Unione.

348    Orbene, sulla base dell’insieme delle spiegazioni fornite dalla Commissione al considerando 174 del regolamento impugnato, è possibile comprendere perché essa abbia ritenuto, alla luce delle cifre riportate negli indicatori di pregiudizio riguardanti l’industria dell’Unione, che questi ultimi fossero peggiorati contemporaneamente alle importazioni oggetto di dumping e che fosse possibile stabilire un nesso di causalità tra questi due fenomeni.

349    Al considerando 174 del regolamento impugnato, la Commissione indica, infatti, che la tendenza riguardante l’intero periodo in esame testimonia dell’esistenza di un nesso di causalità tra il peggioramento dell’industria dell’Unione, osservato sia in termini di volumi che di quote di mercato, e l’aumento delle importazioni oggetto di dumping durante tale periodo.

350    Tale conclusione è suffragata dai dati forniti nella tabella di cui al precedente punto 331, dai quali risulta che le importazioni oggetto di dumping sono aumentate nel corso del periodo considerato, passando dall’indice 100 all’indice 116, mentre gli indicatori che descrivono la situazione dell’industria dell’Unione subivano globalmente un calo, dato che il volume di produzione passava dall’indice 100 all’indice 96, quello delle vendite dall’indice 100 all’indice 89 e la quota di mercato diminuiva dall’indice 100 all’indice 97 nel medesimo periodo.

351    Pertanto, le ricorrenti possono seguire il ragionamento della Commissione e comprendere le ragioni per le quali essa ha concluso, senza incorrere in un errore manifesto di valutazione, che, per tutto il periodo in esame, vi era stata una coincidenza temporale tra l’andamento delle importazioni oggetto di dumping e gli indicatori rilevati al precedente punto 350.

352    Per questi motivi, la seconda censura deve essere respinta.

353    Nella terza censura, le ricorrenti contestano l’affermazione della Commissione secondo cui il calo del consumo nell’Unione non ha spezzato il nesso di causalità tra l’aumento delle importazioni oggetto di dumping e il peggioramento degli indicatori che descrivono la situazione dell’industria dell’Unione.

354    A tal riguardo, occorre rilevare che, al considerando 191 del regolamento provvisorio, la Commissione ha riconosciuto che il consumo del prodotto in esame era diminuito durante il periodo in esame.

355    Tuttavia, la Commissione ha sottolineato, al medesimo considerando, che l’esistenza di tale diminuzione e l’eventuale incidenza di quest’ultima sull’andamento degli indicatori non avevano potuto inficiare il nesso di causalità tra l’aumento delle importazioni oggetto di dumping e il pregiudizio subito dall’industria dell’Unione.

356    Per giustificare tale posizione, la Commissione si è basata su tre serie di cifre. Anzitutto, essa ha osservato che il consumo del prodotto in esame era diminuito dell’8%. Ha poi constatato che il volume delle vendite dell’industria dell’Unione era diminuito dell’11%. Poiché tale seconda cifra è più elevata della prima, la Commissione ha considerato che la diminuzione del volume delle vendite non poteva essere spiegata interamente con la diminuzione del consumo. Infine, essa ha rilevato che, nello stesso periodo, le importazioni oggetto di dumping erano aumentate del 16%. A suo avviso, tale aumento ha permesso di spiegare la differenza tra il calo del consumo e quello, maggiore, che ha inciso sul volume delle vendite dell’industria dell’Unione.

357    Nel loro argomento, le ricorrenti non hanno addotto l’esistenza di elementi che consentano di ritenere che, nel formulare tale ragionamento, la Commissione abbia commesso un qualsiasi errore manifesto di valutazione. Risulta al contrario che un siffatto ragionamento sia conforme alla giurisprudenza [v., in tal senso, sentenza del 12 dicembre 2014, Crown Equipment (Suzhou) e Crown Gabelstapler/Consiglio, T-643/11, EU:T:2014:1076, punto 122 (non pubblicata)].

358    La terza censura deve essere quindi respinta.

359    Nella quarta censura, le ricorrenti contestano che, come indicato dalla Commissione nel regolamento impugnato, la sottoquotazione risultante dalle importazioni oggetto di dumping abbia potuto incidere negativamente sulla quota di mercato e sul profitto dei produttori dell’Unione, dal momento che la quota di mercato dell’industria dell’Unione è aumentata durante il periodo in cui è stata accertata una sottoquotazione, ossia il periodo dell’inchiesta, passando dall’indice 95 all’indice 97.

360    A tal riguardo, risulta che, per dimostrare il nesso di causalità, la Commissione si è basata, da un lato, sull’esistenza di una sottoquotazione (compresa fra il 31,6% e il 39,2%) accertata per il periodo dell’inchiesta e, dall’altro, sul fatto che, durante il periodo in esame, la quota di mercato dell’industria dell’Unione aveva registrato un calo di 2,1 punti percentuali, mentre quella delle importazioni oggetto di dumping era aumentata di 5,6 punti percentuali.

361    In tale contesto, si pone la questione se la Commissione possa basarsi su una sottoquotazione constatata per il periodo dell’inchiesta al fine di accertare un’incidenza sull’industria dell’Unione per tutto il periodo in esame.

362    A tal riguardo, occorre anzitutto ricordare che la sottoquotazione è oggetto di esame, a norma dell’articolo 3, paragrafi 2 e 3, del regolamento di base, per determinare se le importazioni oggetto di dumping abbiano potuto incidere, in termini di prezzo, sulle vendite del prodotto simile dell’industria dell’Unione. Si perviene alla sua determinazione mediante i dati forniti dai produttori esportatori inseriti nel campione, in particolare al fine di determinare i loro margini di dumping. Orbene, tali dati sono calcolati sulla base del periodo dell’inchiesta. Ciò premesso, non si può ritenere che la Commissione abbia commesso un errore nel calcolare la sottoquotazione sulla base di dati relativi a tale periodo (v., in tal senso, sentenza del 24 settembre 2019, Hubei Xinyegang Special Tube/Commissione, T-500/17, non pubblicata, con impugnazione pendente, EU:T:2019:691, punto 51).

363    Occorre poi sottolineare che esiste un rapporto tra, da un lato, la determinazione della sottoquotazione dei prezzi e, più in generale, dell’effetto delle importazioni oggetto di dumping sul prezzo del prodotto simile dell’industria dell’Unione, ai sensi dell’articolo 3, paragrafi 2 e 3, del regolamento di base, e, dall’altro, l’accertamento di un nesso di causalità, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 6, del regolamento di base (v. sentenza del 24 settembre 2019, Hubei Xinyegang Special Tube/Commissione, T-500/17, non pubblicata, con impugnazione pendente, EU:T:2019:691, punto 32; v. anche, in tal senso, sentenza del 30 novembre 2011, Transnational Company «Kazchrome» e ENRC Marketing/Consiglio e Commissione, T-107/08, EU:T:2011:704, punto 59).

364    Gli elementi di prova dell’esistenza di un pregiudizio, compresi quelli relativi all’effetto delle importazioni in dumping sul prezzo del prodotto simile dell’industria dell'Unione, sono infatti presi in considerazione nell’ambito dell’analisi condotta dalla Commissione sul nesso di causalità di cui all’articolo 3, paragrafo 6, del regolamento di base. Pertanto, il confronto effettuato dalla Commissione nell’ambito dell’articolo 3, paragrafo 3, del regolamento di base deve servire da fondamento alla sua analisi relativa all’esistenza di un nesso di causalità tra le importazioni in dumping e il pregiudizio subito dall’industria dell’Unione (sentenza del 24 settembre 2019, Hubei Xinyegang Special Tube/Commissione, T-500/17, non pubblicata, con impugnazione pendente, EU:T:2019:691, punto 57).

365    Ne consegue che non si può contestare alla Commissione di aver preso in considerazione una sottoquotazione constatata per il periodo dell’inchiesta al fine di valutare i suoi effetti sul peggioramento dell’industria dell’Unione, accertato su un periodo più ampio.

366    In un contesto del genere, la circostanza che, durante l’anno dell’inchiesta, nel corso del quale è stata accertata la sottoquotazione, la quota di mercato dell’industria dell’Unione sia aumentata, mentre essa è diminuita nel 2014 e nel 2015 e, in generale, durante il periodo in esame, non può inficiare il nesso di causalità dimostrato a tal riguardo dalla Commissione.

367    Per questi motivi, la quarta censura deve essere respinta.

368    Nella quinta censura, le ricorrenti sostengono che la Commissione avrebbe dovuto valutare l’andamento delle quote di mercato e delle importazioni oggetto di dumping distinguendo i prodotti di ghisa duttile dai prodotti di ghisa grigia.

369    Essendo strettamente connessa alla seconda censura della seconda parte del secondo motivo, essa sarà esaminata nell’ambito di quest’ultimo.

370    Tenuto conto delle considerazioni che precedono, occorre respingere la prima parte del secondo motivo per quanto riguarda le quattro censure sin qui esaminate, mentre per la quinta censura connessa ad un’altra parte si rinvia all’analisi che la riguarda.

–       Sulla seconda parte del secondo motivo, relativa alla necessità di effettuare un’analisi del pregiudizio per segmento

371    Secondo le ricorrenti, la Commissione non poteva affermare in maniera generale che le importazioni oggetto di dumping avevano causato il pregiudizio constatato, ma avrebbe dovuto dimostrare, mediante un’analisi per segmento, l’esistenza di un nesso tra questi due elementi.

372    La Commissione sostiene che tale parte è infondata, oltre ad essere irricevibile, in quanto gli argomenti esposti dalle ricorrenti non sarebbero articolati giuridicamente.

373    Sulla ricevibilità, occorre osservare che le ricorrenti fanno valere una violazione dell’articolo 3, paragrafi 6 e 7, del regolamento di base, in quanto la Commissione non avrebbe valutato in quale modo le importazioni oggetto di dumping, consistenti in un tipo di prodotto (standard e quasi esclusivamente di ghisa duttile), potessero aver causato il pregiudizio constatato, mentre tale pregiudizio riguardava anche altri tipi di prodotti. Poiché è possibile, da un lato, individuare le disposizioni di cui trattasi e, dall’altro, comprendere l’argomento delle ricorrenti, la presente parte deve essere dichiarata ricevibile.

374    Nel merito, le ricorrenti richiamano la sentenza del 28 ottobre 2004, Shanghai Teraoka Electronic/Consiglio (T-35/01, EU:T:2004:317), a sostegno del loro argomento.

375    Al punto 127 della sentenza del 28 ottobre 2004, Shanghai Teraoka Electronic/Consiglio (T-35/01, EU:T:2004:317), il Tribunale ha dichiarato che il Consiglio non aveva violato il regolamento di base procedendo ad un’analisi per segmento del prodotto interessato in tale causa, vale a dire bilance elettroniche, per valutare i diversi indicatori del pregiudizio. Il Tribunale ha rilevato che un’analisi per segmento non era esclusa dal regolamento di base e che le istituzioni potevano farvi ricorso, in particolare se i risultati ottenuti con un altro metodo si fossero rilevate non attendibili per l’una o l’altra ragione. In tale causa, il Consiglio aveva constatato, al considerando 83 del regolamento impugnato, che il metodo di calcolo dei prezzi medi di vendita di tutte le bilance elettroniche avrebbe alterato i risultati a causa di «cambiamenti nel dosaggio dei prodotti (ossia a cambiamenti sostanziali del volume delle vendite nei vari segmenti tra il 1995 e il periodo d’inchiesta)».

376    Inoltre, occorre rilevare che, nella sentenza del 24 settembre 2019, Hubei Xinyegang Special Tube/Commissione (T-500/17, non pubblicata, con impugnazione pendente, EU:T:2019:691), richiamata dalle ricorrenti nella risposta ai quesiti scritti del Tribunale, è stato dichiarato che, poiché la Commissione aveva constatato che il prodotto in esame (vale a dire, in tale causa, taluni tubi senza saldatura in ferro o acciaio) rientrava in tre segmenti diversi (petrolio e gas, edilizia e produzione di elettricità), essa doveva tener conto di tale segmentazione nello stabilire l’esistenza di un pregiudizio e, in particolare, nell’ambito dell’analisi della sottoquotazione. Il Tribunale ha precisato che l’analisi per segmento era giustificata, in tale causa, dalla interscambiabilità limitata dei prodotti dal lato della domanda, dalla variazione dei prezzi tra i segmenti, dal fatto che il maggior produttore dell’Unione incluso nel campione operasse prevalentemente nel settore del petrolio e del gas e che le importazioni dei produttori esportatori inclusi nel campione si concentravano nel segmento dell’edilizia. In tale contesto, il Tribunale ha indicato che l’utilizzo di un metodo di confronto basato sui numeri di controllo dei prodotti (NCP) per stabilire una corrispondenza tra tipi di prodotti, detto «metodo NCP per NCP», poteva essere utilizzato se si inseriva nell’ambito di un’analisi che tenesse conto della segmentazione del mercato.

377    Dalle sentenze del 28 ottobre 2004, Shanghai Teraoka Electronic/Consiglio (T-35/01, EU:T:2004:317), e del 24 settembre 2019, Hubei Xinyegang Special Tube/Commissione (T-500/17, non pubblicata, con impugnazione pendente, EU:T:2019:691), risulta che un’analisi per segmento può essere giustificata qualora i prodotti oggetto dell’inchiesta non siano interscambiabili e uno o più segmenti possano essere interessati più di altri dalle importazioni oggetto di dumping.

378    Per contro, una siffatta analisi per segmento non è necessaria quando i prodotti sono sufficientemente interscambiabili. In un caso del genere, l’assenza di una chiara delimitazione tra i prodotti o i segmenti (A, B e C) e il rapporto esistente tra essi fanno sì che anche le vendite dei prodotti A e C da parte dei produttori dell’Unione potrebbero diminuire a vantaggio delle importazioni del prodotto B verso l’Unione. Pertanto, benché concentrate su un segmento di mercato (B), le importazioni oggetto di dumping potrebbero avere un impatto sull’intera industria dell’Unione.

379    È solo nel caso in cui i risultati si rivelassero non attendibili per l’una o l’altra ragione che sarebbe giustificata un’analisi segmentata in presenza di prodotti comunque interscambiabili. In un caso del genere, spetta alla parte interessata fornire elementi concreti che consentano di suffragare la sua affermazione secondo la quale prodotti differenti non sono sufficientemente interscambiabili o secondo la quale senza un’analisi segmentata in presenza di prodotti sufficientemente interscambiabili si produrrebbero, nella specie, risultati inattendibili.

380    Su tale questione della segmentazione, le ricorrenti sollevano tre censure a sostegno del loro argomento.

381    Nella prima censura, le ricorrenti rinviano alla denuncia che ha dato luogo all’apertura dell’inchiesta. In tale denuncia, i produttori dell’Unione interessati hanno indicato che le importazioni oggetto di dumping riguardavano esclusivamente prodotti standard e che la situazione era diversa nell’Unione, in cui la produzione comprendeva in generale il 90% di prodotti standard e il 10% di prodotti non standard. Secondo le ricorrenti, in un contesto del genere, solo un’analisi per segmento avrebbe potuto garantire che il pregiudizio subito dall’industria dell’Unione per quanto riguarda i suoi prodotti non standard non fosse erroneamente imputato alle importazioni provenienti dalla Repubblica popolare cinese.

382    A tal riguardo, occorre rilevare che i prodotti standard sono definiti, nella denuncia, come prodotti conformi alle norme EN 124 o EN 1433. Alla luce di tali norme, i prodotti non standard presentano aperture più ampie e sono dotati di ulteriori caratteristiche che dovrebbero aggiungere valore al prodotto: ermeticità, sistema di chiusura, brevetto, ecc.

383    Orbene, il fatto che i prodotti appartengano a gamme diverse non è sufficiente a dimostrarne, di per sé, la mancanza di interscambiabilità e quindi l’opportunità di effettuare un’analisi per segmento, dal momento che prodotti appartenenti a gamme diverse possono avere funzioni identiche o soddisfare le stesse esigenze (v., in tal senso, sentenza del 10 marzo 1992, Sanyo Electric/Consiglio, C-177/87, EU:C:1992:111, punto 12).

384    A tal riguardo, occorre rilevare che, nel caso di specie, le ricorrenti non hanno fornito alcun elemento sulle eventuali specifiche e distinte esigenze dei clienti soddisfatte da ciascuna di tali categorie di prodotti (standard e non standard).

385    Ciò premesso, si deve ritenere che, senza di elementi forniti in senso contrario dalle ricorrenti, l’assenza di un’analisi segmentata che distinguesse i prodotti standard dai prodotti non standard non ha violato, nel caso di specie, i requisiti giurisprudenziali, cosicché la prima censura deve essere respinta.

386    Nella seconda censura, le ricorrenti sostengono che, per valutare il pregiudizio all’industria dell’Unione, la Commissione avrebbe dovuto distinguere i prodotti interessati a seconda che fossero fabbricati in ghisa duttile o in ghisa grigia. Tale argomento è sollevato anche nell’ambito della sesta parte del primo motivo e della quinta censura della prima parte del secondo motivo.

387    A tal riguardo, occorre rilevare che i legami tra la ghisa duttile e la ghisa grigia erano stati analizzati in occasione del riesame delle prime misure antidumping adottate nei confronti delle importazioni effettuate per tale tipo di prodotto dalla Repubblica popolare cinese.

388    Nella fattispecie, il procedimento di riesame mirava a stabilire se i pezzi fusi di ghisa duttile rientrassero, come quelli di ghisa grigia, nella definizione del prodotto oggetto del regolamento n. 1212/2005, vale a dire alcuni articoli di ghisa non malleabile.

389    Nel regolamento adottato in esito a tale riesame, vale a dire il regolamento (CE) n. 500/2009 del Consiglio, dell’11 giugno 2009, recante modifica del regolamento n. 1212/2005 (GU 2009, L 151, pag. 6), la Commissione ha ritenuto che i pezzi fusi di ghisa duttile costituissero un unico prodotto ai fini del procedimento antidumping, poiché avevano le stesse caratteristiche (fisiche, chimiche e tecniche), potevano essere utilizzati per le stesse applicazioni ed erano intercambiabili.

390    In tale contesto, la Commissione ha indicato che la ghisa grigia e la ghisa duttile provenivano entrambe da una lega di ferro e di carbonio, sebbene potessero esistere leggere differenze di struttura della materia prima e nei materiali aggiunti durante il processo di produzione. Essa ha aggiunto che, effettivamente, la ghisa duttile, contrariamente a quella grigia, ha proprietà tecniche che le conferiscono una maggiore resistenza alla rottura e, soprattutto, la rendono molto più deformabile quando è sottoposta a compressione, senza che subisca rotture. Tuttavia, tale differenza è compensata da caratteristiche meccaniche/tecniche simili, quali la capacità di formatura, la resistenza all’usura e l’elasticità. Inoltre, dal regolamento n. 500/2009 risulta che la differenza sopra menzionata incide solo sul design richiesto del pezzo fuso (cioè se è richiesto un dispositivo di chiusura) e non sulla sua adeguatezza per l’utilizzo previsto, che è quello di coprire e/o dare accesso a sistemi superficiali o sotterranei. Nella sua analisi, la Commissione ha altresì rilevato che i consumatori considerano i due tipi di pezzi fusi un unico prodotto, utilizzato per coprire pozzetti, resistere al carico del traffico, fornire un accesso sicuro e agevole alle reti interrate e raccogliere acqua di superficie (griglie per canali) e che entrambi i tipi di pezzi fusi forniscono soluzioni durevoli a lungo termine.

391    Nel caso di specie, occorre rilevare che le ricorrenti non forniscono elementi che mettono in discussione tali constatazioni, ma affermano che, in taluni Stati membri, esiste una «priorità» o una «preferenza» per l’uno o l’altro tipo di ghisa. A loro avviso, il mercato tedesco sarebbe quindi dominato dalla ghisa grigia e il mercato francese dalla ghisa duttile.

392    Non essendo sostenuta da elementi concreti, una siffatta affermazione non è sufficiente a mettere in discussione l’analisi della Commissione. In ogni caso, una mera priorità non consente di dimostrare con certezza un’assente o un’insufficiente interscambiabilità dei prodotti, cosicché anche la seconda censura deve essere respinta.

393    Nella terza censura, le ricorrenti sostengono che la Commissione avrebbe dovuto valutare il pregiudizio arrecato all’industria dell’Unione distinguendo l’Europa orientale dal resto dell’Unione, date le condizioni di concorrenza che sarebbero meno sviluppate in tale parte dell’Unione.

394    A tal riguardo, occorre rilevare che tale censura non è sufficientemente suffragata da poter essere debitamente analizzata, dal momento che le ricorrenti si sono limitate ad indicare, senza fornire alcuna spiegazione specifica, che l’Europa orientale e altre regioni dell’Europa non condividevano le stesse condizioni concorrenziali.

395    È vero che le ricorrenti rilevano che, nel regolamento n. 1212/2005, che ha portato all’adozione delle misure antidumping del 2005, la Commissione ha proceduto ad un’analisi per segmento escludendo una determinata zona geografica, nella fattispecie la Francia.

396    Tuttavia, al considerando 73 del regolamento n. 1212/2005, la Commissione ha motivato un tale modo di procedere con il fatto che la penetrazione delle importazioni oggetto di dumping nel mercato dell’Unione non era omogenea. Il mercato francese, infatti, non risentiva ancora di tali importazioni, che pure affluivano in misura massiccia in quattordici Stati membri. Al tempo stesso, il fattore di ponderazione dei due produttori francesi del campione nella situazione globale dell’industria dell’Unione era particolarmente elevato, poiché la loro produzione e le loro vendite di pezzi fusi in Francia rappresentavano il 36% circa della produzione e delle vendite totali di tale industria. Considerata questa situazione particolare, la Commissione ha ritenuto opportuno presentare, unitamente all’analisi del pregiudizio per l’industria dell’Unione nel suo insieme, un’analisi delle tendenze di determinati indicatori per il mercato dell’Unione interessato, cioè tale mercato senza la Francia.

397    Le ricorrenti non hanno dimostrato che circostanze di questo tipo giustificassero, nel caso di specie, di considerare separatamente il pregiudizio causato all’industria dell’Europa occidentale e all’industria dell’Europa orientale, cosicché la terza censura e, di conseguenza, l’intera seconda parte del secondo motivo devono essere respinte.

–       Sulla terza parte del secondo motivo, relativa ai prezzi delle importazioni e all’importanza della sottoquotazione

398    Nella terza parte del secondo motivo, le ricorrenti sollevano due censure, contestate dalla Commissione.

399    Nella prima censura, le ricorrenti affermano che la Commissione non disponeva di informazioni attendibili sui prezzi delle importazioni oggetto di dumping.

400    A tal riguardo, occorre constatare che, al considerando 126 del regolamento provvisorio, la Commissione ha ammesso che l’andamento dei prezzi delle importazioni oggetto di dumping non era «del tutto attendibile» in quanto i dati si basavano su statistiche relative alle importazioni e la gamma dettagliata di tipi di prodotto non era nota.

401    Tuttavia, occorre rilevare che, in tale passaggio, la Commissione, contrariamente a quanto osservano le ricorrenti, non ha ammesso che l’andamento dei prezzi delle importazioni oggetto di dumping non fosse sufficientemente attendibile per poter essere utilizzato, ma soltanto che il calcolo del prezzo delle importazioni non aveva dato luogo al risultato così dettagliato che essa avrebbe auspicato, senza tuttavia ritenere tali dati privi di qualsiasi attendibilità e senza ritenere che essi non potessero in alcun modo servire nell’elaborazione del regolamento impugnato.

402    Orbene, il fatto che l’andamento di detti prezzi non sia «del tutto attendibile» risulta dalla circostanza che i dati Eurostat classificano il prodotto in esame con codici che comprendono anche altri prodotti e che, per tale ragione, sono stati effettuati adeguamenti su tali dati, come indicato ai punti da 158 a 166 supra.

403    In risposta alla prima parte del primo motivo, è stato dichiarato che la Commissione aveva potuto basarsi su tali dati, come riadeguati, per determinare il volume delle importazioni oggetto di dumping, in assenza di informazioni più precise, più recenti e più attendibili.

404    Sulla scia di tale valutazione, occorre considerare che la Commissione poteva servirsi anche di tali dati per valutare il prezzo delle importazioni oggetto di dumping e ripercorrerne l’andamento.

405    La prima censura dev’essere pertanto respinta.

406    Nella seconda censura, le ricorrenti lamentano che la Commissione non avrebbe valutato a sufficienza l’importanza della sottoquotazione rispetto alla quota di produzione dell’industria dell’Unione per la quale non era stata constatata alcuna sottoquotazione dei prezzi.

407    A tal riguardo, occorre rilevare che, al considerando 187 del regolamento impugnato, la Commissione ha precisato di aver stabilito che le importazioni oggetto di dumping dai produttori esportatori della Repubblica popolare cinese inseriti nel campione erano sottoquotate rispetto al 62,6% delle vendite totali effettuate nell’Unione dai produttori dell’Unione inseriti nel campione. Per giungere a tale conclusione, essa si è basata sul fatto che, da un lato, tutte le tipologie dei prodotti importati erano paragonabili alle tipologie dei prodotti venduti dai produttori dell’Unione inseriti nel campione e, dall’altro, che i prezzi di tutte le tipologie dei prodotti importati avevano sottoquotato i prezzi di vendita delle tipologie comparabili vendute dai produttori dell’Unione inseriti nel campione. Da tali vari elementi, la Commissione ha concluso che gli effetti pregiudizievoli dei prezzi delle importazioni oggetto di dumping sulle vendite dell’industria dell’Unione erano stati sufficientemente dimostrati.

408    Secondo le ricorrenti, la Commissione non poteva giungere a tale conclusione, considerata la percentuale limitata rispetto alla quale era stata effettivamente constatata una sottoquotazione — nella fattispecie il 62,6% delle vendite effettuate dai produttori dell’Unione inseriti nel campione. A loro avviso, tale percentuale è, per due ragioni, insufficiente. La prima obiezione sollevata dalle ricorrenti è che la percentuale delle vendite per la quale è stata accertata una sottoquotazione equivarrebbe soltanto al 26,9% delle vendite dell’Unione, dal momento che il campione di produttori dell’Unione rappresenta il 43% delle vendite totali dell’industria dell’Unione. La seconda obiezione sollevata dalle ricorrenti è che tale percentuale del 62,6% implicherebbe che non sia stata constatata alcuna sottoquotazione per la parte restante, non trascurabile, di tali vendite (più del 37%). In un siffatto contesto, la Commissione avrebbe dovuto esaminare, secondo le ricorrenti, l’effettiva possibilità di dimostrare un nesso di causalità con il pregiudizio constatato per l’industria dell’Unione nel suo insieme. A tal riguardo, esse sottolineano che le vendite dell’industria dell’Unione presentavano, rispetto alle importazioni oggetto di dumping, differenze significative a seconda dei prodotti (di ghisa duttile o di ghisa grigia) e degli Stati membri.

409    A tal riguardo, occorre rilevare che, come indicato al precedente punto 290, la Commissione è autorizzata dal regolamento di base a fondare la sua inchiesta, nelle cause di notevole entità, su un numero di parti determinato avvalendosi di un metodo di campionamento previsto all’articolo 17 del suddetto regolamento, e le ricorrenti non hanno contestato, sollevando un’eccezione di illegittimità, tale possibilità o i metodi previsti in detta disposizione.

410    Nel caso di specie, per procedere a tale campionamento la Commissione ha utilizzato, come indicato al punto 296 supra, il secondo metodo previsto in tale disposizione, vale a dire una selezione basata sui volumi «più elevati» (produzione e vendite).

411    Pertanto, si deve ritenere, in applicazione del regolamento di base, che l’analisi effettuata dalla Commissione sia stata fondata su dati che dovevano essere considerati rappresentativi, con la conseguenza che, essendo stata constatata per le vendite dei produttori dell’Unione inseriti nel campione, la sottoquotazione dei prezzi deve essere considerata rappresentativa per tutta l’industria dell’Unione.

412    La prima obiezione delle ricorrenti riguardante l’esistenza di una sottoquotazione per il 26,9% delle vendite dell’Unione, che equivale, in sostanza, a contestare la possibilità per la Commissione di basarsi su campioni rappresentativi, deve essere quindi respinta.

413    Per quanto riguarda la seconda obiezione formulata dalle ricorrenti, queste ultime sottolineano, nella risposta ai quesiti scritti posti dal Tribunale, che le vendite corrispondenti al 37,4% non preso in considerazione non erano paragonabili alle importazioni dei produttori esportatori cinesi inseriti nel campione e, per definizione, non erano sottoquotate.

414    A sostegno del loro argomento, i ricorrenti rinviano alla sentenza del 24 settembre 2019, Hubei Xinyegang Special Tube/Commissione (T-500/17, non pubblicata, con impugnazione pendente, EU:T:2019:691), che annulla un regolamento antidumping della Commissione con la motivazione, in particolare, che, nella sua analisi, tale istituzione non aveva tenuto conto dell’8% del volume delle vendite dei produttori dell’Unione inseriti nel campione ai fini dell’esame della sottoquotazione dei prezzi, in quanto non esisteva un tipo corrispondente del prodotto importato.

415    Secondo le ricorrenti, la stessa conclusione si impone nel caso di specie, tenuto conto delle analogie esistenti tra le due cause, tanto più che la percentuale trascurata dalla Commissione sarebbe qui più importante (circa il 37%) rispetto a quella individuata in tale precedente (8%). Nelle due cause, il complesso dei dati utilizzati dalla Commissione per determinare i prezzi di vendita unitari medi e la redditività delle vendite nell’Unione ad acquirenti indipendenti si baserebbe sul complesso dei tipi di prodotti venduti dai produttori dell’Unione inseriti nel campione. Allo stesso modo, la Commissione avrebbe stabilito un nesso specifico, nei due casi, tra l’analisi della sottoquotazione dei prezzi delle importazioni oggetto di dumping e l’andamento dei prezzi dell’industria dell’Unione. Sempre nella stessa linea, la Commissione avrebbe individuato una relazione, in entrambi i casi, tra, da un lato, il calo dei prezzi dell’industria dell’Unione e, dall’altro, il peggioramento della redditività di detta industria nonché di quella delle sue quote di mercato. Infine, la Commissione, nel caso di specie, come nella citata causa precedente, avrebbe omesso di fornire una motivazione specifica che consentisse di escludere che i prodotti non presi in considerazione abbiano potuto concorrere, per una parte non trascurabile, al calo dei prezzi dei produttori dell’Unione inseriti nel campione.

416    A tal riguardo, occorre ricordare che, nella sentenza del 24 settembre 2019, Hubei Xinyegang Special Tube/Commissione (T-500/17, non pubblicata, con impugnazione pendente, EU:T:2019:691), richiamata dalle ricorrenti, il Tribunale si è pronunciato in un contesto nel quale la Commissione stessa aveva rilevato l’esistenza di segmenti distinti all’interno dell’insieme costituito dai prodotti oggetto dell’inchiesta. In tale contesto, il Tribunale ha constatato che l’analisi della sottoquotazione dei prezzi era stata effettuata dalla Commissione senza distinguere tra i segmenti da essa stessa tuttavia individuati. Inoltre, ha ritenuto che, nella sua analisi, tale istituzione non avesse tenuto conto di alcuni tipi di prodotti venduti dai produttori dell’Unione inclusi nel campione, per i quali non esisteva un tipo corrispondente del prodotto importato. In tale ambito specifico, ha dichiarato, al punto 74 di detta sentenza, che, «in mancanza di una motivazione specifica al riguardo nel regolamento impugnato, non si può escludere che i 17 tipi di prodotti in questione, che rappresentano l’8% del volume delle vendite di detti produttori e forse più in termini di valore, tenuto conto della variazione dei prezzi tra segmenti, abbiano concorso, per una parte non trascurabile, al calo dei prezzi dei produttori dell’Unione inclusi nel campione».

417    Tale situazione è diversa da quella riscontrata nel caso di specie, in cui la Commissione non ha rilevato l’esistenza di diversi segmenti nel mercato del prodotto in esame e ha ampiamente spiegato la posizione da essa assunta su tale punto, mentre le ricorrenti non hanno potuto fornire elementi che consentissero di inficiare o di mettere in dubbio tale valutazione.

418    Le ricorrenti ritengono che la loro seconda obiezione sia sostenuta anche dalle conclusioni presentate dall’organo d’appello dell’OMC nella controversia «Cina - Misure che impongono dazi antidumping sui tubi senza saldatura di acciaio inossidabile ad alto rendimento “HP-SSST” provenienti dal Giappone» (WT/DS 454/AB/R e WT/DS 460/AB/R, relazione del 14 ottobre 2015).

419    A tale riguardo occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza, le interpretazioni dell’accordo relativo all’applicazione dell’articolo VI del GATT (GU 1994, L 336, pag. 103; in prosieguo: l’«accordo antidumping»), di cui all’allegato 1 A dell’accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) (GU 1994, L 336, pag. 3), adottate da tale organo, non possono vincolare il Tribunale nella sua valutazione della validità del regolamento impugnato (v., in tal senso, sentenza del 1° marzo 2005, Van Parys, C-377/02, EU:C:2005:121, punto 54).

420    Del resto, occorre rilevare che, nella relazione menzionata al precedente punto 418, l’organo di appello dell’OMC ha precisato che l’autorità inquirente, al fine di valutare oggettivamente l’effetto delle importazioni oggetto di dumping sui prezzi interni, doveva adottare una valutazione dinamica dell’andamento e delle tendenze dei prezzi riscontrati considerando il rapporto tra, da un lato, i prezzi delle importazioni oggetto di dumping e, dall’altro, quelli del prodotto nazionale simile per tutta la durata del periodo oggetto dell’inchiesta, tenendo conto di tutti gli elementi di prova pertinenti, ivi compresi, ove opportuno, la quota di mercato relativa a ciascun tipo di prodotto.

421    Tuttavia, tale affermazione deve essere collocata nel suo contesto. In tale causa era stato accertato che i prodotti in questione, vale a dire i tubi senza saldatura di acciaio inossidabile ad alto rendimento (HP-SSST), dovevano essere distinti in diversi segmenti sul mercato, corrispondenti a diverse gamme di prodotti la cui fungibilità non era stata dimostrata. Inoltre, durante l’inchiesta, l’autorità inquirente cinese aveva osservato che, nel corso del periodo oggetto dell’inchiesta, le importazioni oggetto di dumping e le vendite interne si erano concentrate su segmenti diversi del mercato degli HP-SSST. Infatti, mentre la maggior parte della produzione nazionale cinese di HP-SSST corrispondeva a prodotti di qualità A, la quota di mercato detenuta dalle importazioni di prodotti di qualità A oggetto di dumping era stata dell’1,45% nel 2008 e dello 0% dopo tale data.

422    È in tale contesto specifico che l’organo di appello dell’OMC ha ritenuto che l’autorità inquirente cinese non potesse limitarsi, come aveva fatto, a constatare l’esistenza di una sottoquotazione dei prezzi per i prodotti di qualità B e C importati, ma che doveva tener conto anche della quota di mercato relativa di ciascun prodotto, A, B e C.

423    La situazione è diversa nel caso di specie dal momento che, sebbene sia stato suddiviso in codici NCP dalla Commissione ai fini del confronto, il prodotto in esame include una varietà di tipi di prodotti che rimangono interscambiabili.

424    Tale metodo è stato peraltro convalidato dall’organo di appello dell’OMC nella sua relazione citata al precedente punto 418, il quale, al punto 5.180, ha indicato che l’autorità incaricata dell’inchiesta non era tenuta, ai sensi dell’articolo 3.2 dell’accordo antidumping, a dimostrare l’esistenza di una sottoquotazione per ciascuno dei tipi di prodotti oggetto dell’inchiesta o per tutta la gamma delle merci che costituivano il prodotto nazionale simile.

425    Date tali circostanze, si deve ritenere che l’esistenza di un margine di sottoquotazione compreso tra il 31,6 e il 39,2%, relativo al 62,6% delle vendite dei produttori dell’Unione inseriti nel campione, sembra sufficiente, nel caso di specie, ad affermare l’esistenza di una sottoquotazione notevole del prezzo rispetto al prezzo di un prodotto simile dell’industria dell’Unione ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 3, del regolamento di base.

426    Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre respingere la seconda censura e, pertanto, l’intera terza parte del secondo motivo.

427    Poiché tutti gli argomenti dedotti nell’ambito del secondo motivo sono stati respinti, tale motivo deve essere respinto.

 Sul terzo motivo, relativo al rifiuto di comunicare talune informazioni

428    Con il terzo motivo, le ricorrenti contestano alla Commissione di aver rifiutato di comunicare loro informazioni utili ai fini della determinazione del dumping e del pregiudizio. Tale censura è formulata anche nell’ambito della sesta parte del primo motivo.

–       Sulla ricevibilità del terzo motivo

429    Secondo la Commissione, il terzo motivo deve essere dichiarato irricevibile nei confronti di tutte le ricorrenti. Da un lato, non essendo una parte interessata ai sensi del regolamento di base, la CCCME non potrebbe dedurre una violazione di diritti procedurali derivanti da detto regolamento. Dall’altro, non avendo partecipato all’inchiesta presentando osservazioni e chiedendo l’accesso al fascicolo non riservato, i membri della CCCME e le altre persone giuridiche i cui nomi figurano nell’allegato I non potrebbero dedurre una violazione di diritti procedurali relativi alla mancata comunicazione di informazioni nei loro confronti.

430    Per esaminare tale eccezione di irricevibilità, occorre distinguere tre fattispecie, che dipendono dall’identità dell’ente o dell’impresa che deduce il motivo.

431    Pertanto, la prima fattispecie da esaminare è quella in cui l’argomento è dedotto dalla CCCME che agisce in nome proprio.

432    A tal riguardo, occorre rilevare che la CCCME, avendo partecipato all’inchiesta e avendo chiesto di poter disporre nel proprio interesse delle informazioni indicate nel terzo motivo, dispone di diritti procedurali di cui può chiedere la tutela nell’ambito del presente ricorso.

433    Date tali circostanze, il terzo motivo è dichiarato ricevibile nella parte in cui è dedotto dalla CCCME che agisce in nome proprio.

434    La seconda fattispecie da esaminare è quella in cui il motivo è dedotto dai membri della CCCME e dalle altre persone giuridiche i cui nomi figurano nell’allegato I, i quali contestano il regolamento impugnato in quanto non sarebbero state comunicate loro informazioni essenziali per la difesa dei propri interessi.

435    A tal riguardo, occorre rilevare che queste due categorie sono composte da imprese che non hanno dimostrato di aver partecipato all’inchiesta o formulato richieste dirette a ottenere la comunicazione delle informazioni in questione.

436    Orbene, dal regolamento di base e in particolare dal suo articolo 5, paragrafo 10, risulta che, poiché le istituzioni non sono in grado di identificare tutte le imprese potenzialmente interessate da un procedimento antidumping e determinare così i destinatari della comunicazione delle informazioni la cui divulgazione è autorizzata, spetta alle parti interessate manifestarsi e indicare il loro interesse a essere informate e a partecipare all’inchiesta.

437    Come indicato dalla giurisprudenza, tali parti devono porre le istituzioni in condizione di valutare i possibili problemi causati loro dall’assenza di un elemento nelle informazioni messe a loro disposizione, fermo restando che esse non sono legittimate a censurare dinanzi al giudice dell’Unione il fatto che un’informazione non sia stata messa a loro disposizione se, nel corso del procedimento di inchiesta esse non hanno formulato presso le istituzioni nessuna domanda concernente tale informazione (v. sentenza del 30 giugno 2016, Jinan Meide Casting/Consiglio, T-424/13, EU:T:2016:378, punto 93 e giurisprudenza ivi citata).

438    Di conseguenza, il terzo motivo non può essere considerato ricevibile nei confronti dei membri della CCCME e delle altre persone giuridiche i cui nomi figurano nell’allegato I nei limiti in cui tali imprese mirano ad ottenere l’annullamento del regolamento impugnato in quanto non sarebbero state comunicate loro informazioni che avrebbero dovuto esserlo.

439    Infine, la terza e ultima fattispecie da considerare è quella in cui il motivo è dedotto dai membri della CCCME e dalle altre persone giuridiche i cui nomi figurano nell’allegato I e secondo il quale i diritti della difesa non sarebbero stati rispettati nei confronti della CCCME.

440    A tal riguardo, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza, la violazione dei diritti della difesa costituisce un’illegittimità per sua natura soggettiva (v., in tal senso, sentenza del 26 ottobre 2010, CNOP e CCG/Commissione, T-23/09, EU:T:2010:452, punto 45), il che comporta che dev’essere dedotta dalla persona interessata stessa e non da un’altra parte (v., in tal senso, sentenza del 1° luglio 2010, ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni/Commissione, T-62/08, EU:T:2010:268, punto 186).

441    Pertanto, occorre ritenere che, in applicazione di detta giurisprudenza, le altre persone giuridiche i cui nomi figurano nell’allegato I non possono dedurre dinanzi al giudice dell’Unione una violazione dei diritti procedurali che sono stati conferiti durante l’inchiesta alla CCCME.

442    Secondo le ricorrenti, il diritto dell’Unione consente tuttavia ai membri di un’associazione di dedurre una violazione dei diritti procedurali esercitati da quest’ultima se detta associazione ha agito in loro nome dinanzi alla Commissione durante l’inchiesta, intendendo che, in un caso del genere, ciò che essi chiedono, in definitiva, è la tutela dei propri diritti che sarebbero stati esercitati in loro nome dall’associazione durante tale fase amministrativa.

443    A tal riguardo, occorre rilevare che la possibilità per un’associazione di esercitare i diritti procedurali di taluni dei suoi membri nel corso del procedimento antidumping è stata ammessa dalla giurisprudenza (v., in tal senso, sentenza del 19 settembre 2019, Zhejiang Jndia Pipeline Industry/Commissione, T-228/17, EU:T:2019:619, punto 36).

444    Tuttavia, tale possibilità è stata sottoposta dalla medesima giurisprudenza alla condizione che durante l’inchiesta l’ente abbia manifestato l’intenzione di agire in qualità di rappresentante di alcuni dei suoi membri, il che presuppone che questi ultimi siano stati all’epoca identificati e che essa sia in grado di dimostrare di aver ricevuto, da parte loro, il mandato che le consente di esercitare tali diritti procedurali in loro nome.

445    Orbene, dal fascicolo risulta che, nel caso di specie, la CCCME non si è presentata come tale alla Commissione durante l’inchiesta, ma ha agito, al contrario, per tutta la durata di quest’ultima, come un ente che rappresenta l’industria cinese considerata nel suo complesso.

446    Nelle osservazioni da essa depositate il 15 settembre 2017 sul regolamento provvisorio, la CCCME ha rilevato quanto segue:

«L’interesse della CCCME corrisponde all’interesse dell’industria cinese della ghisa nel suo complesso. Tale interesse può, e sarà spesso il caso, coincidere con gli interessi dei diversi produttori esportatori cinesi del prodotto in esame, ma è distinto e oltrepassa tali interessi individuali. In particolare, i membri della CCCME sono non solo i produttori esportatori cinesi inseriti nel campione, ma anche produttori esportatori cinesi che non sono stati inseriti nel campione e che saranno pertanto assoggettati all’aliquota applicabile alle “altre società che hanno collaborato elencate nell’allegato” o a “tutte le altre società”. I suoi membri includono anche società che, in tale fase, non esportano il prodotto in esame nell’Unione europea (“UE”) ma che potrebbero intendere farlo in futuro. La partecipazione della CCCME alla presente inchiesta mira a tutelare l’interesse collettivo dei suoi membri e dell’industria cinese (esportatrice) della ghisa, in contrapposizione agli interessi individuali dei suoi membri. Tali interessi individuali saranno rivendicati dai singoli produttori (esportatori) cinesi stessi, alcuni dei quali partecipano individualmente al presente procedimento».

447    Date tali circostanze, non si può ritenere che siano soddisfatti i requisiti previsti dalla giurisprudenza per consentire ai membri dell’associazione di agire per la tutela di diritti procedurali che sarebbero stati esercitati dalla CCCME durante la fase amministrativa.

448    In udienza, le ricorrenti hanno proposto di produrre i mandati che avrebbero conferito i membri della CCCME per consentire e chiedere a quest’ultima di rivendicare in loro nome i diritti procedurali che essi potevano far valere.

449    Occorre tuttavia considerare tale offerta di prova inoperante in questa fase del procedimento, poiché è durante l’inchiesta che tali mandati, se esistenti, avrebbero dovuto essere prodotti per consentire alla Commissione di concedere alle imprese interessate i diritti procedurali che esse potevano reclamare.

450    Alla luce degli elementi che precedono, il Tribunale ritiene che il terzo motivo possa essere dedotto dalla CCCME che agisce in nome proprio come associazione che rappresenta l’intera industria cinese, respingendo in quanto irricevibili gli argomenti formulati nell’ambito di tale motivo dai membri della CCCME e dalle altre persone giuridiche i cui nomi figurano nell’allegato I.

–       Sul rapporto tra i diritti della difesa e l’obbligo di riservatezza

451    Nel merito, occorre rilevare che, conformemente alla giurisprudenza, il rispetto dei diritti della difesa in qualsiasi procedimento promosso nei confronti di una persona e che possa sfociare in un atto per essa lesivo costituisce un principio fondamentale del diritto dell’Unione che deve essere garantito anche in mancanza di qualsiasi norma riguardante il procedimento (v. sentenza del 1° ottobre 2009, Foshan Shunde Yongjian Housewares & Hardware/Consiglio, C-141/08 P, EU:C:2009:598, punto 83 e giurisprudenza ivi citata).

452    Secondo la Corte, tale principio riveste un’importanza capitale nei procedimenti di inchieste antidumping (v. sentenza del 16 febbraio 2012, Consiglio e Commissione/Interpipe Niko Tube e Interpipe NTRP, C-191/09 P e C-200/09 P, EU:C:2012:78, punto 77 e giurisprudenza ivi citata).

453    In forza di detto principio, le imprese interessate devono essere state messe in condizione, nel corso del procedimento amministrativo, di far conoscere efficacemente il loro punto di vista, da un lato, sulla sussistenza e sulla pertinenza dei fatti e delle circostanze addotti nonché, dall’altro, sugli elementi di prova accolti dalla Commissione a sostegno delle proprie affermazioni relative all’esistenza di una pratica di dumping e del danno che ne conseguirebbe (v. sentenza del 16 febbraio 2012, Consiglio e Commissione/Interpipe Niko Tube e Interpipe NTRP, C-191/09 P e C-200/09 P, EU:C:2012:78, punto 76 e giurisprudenza ivi citata).

454    In tale contesto, le istituzioni dell’Unione devono agire con diligenza cercando di dare alle imprese interessate indicazioni utili per la tutela dei loro interessi e disponendo di una certa libertà nella scelta, eventualmente d’ufficio, dei modi che ritengano appropriati per una siffatta comunicazione (sentenze del 27 giugno 1991, Al-Jubail Fertilizer/Consiglio, C-49/88, EU:C:1991:276, punto 17, e del 3 ottobre 2000, Industrie des poudres sphériques/Consiglio, C-458/98 P, EU:C:2000:531, punto 99; v. altresì, in tal senso, sentenza del 20 marzo 1985, Timex/Consiglio e Commissione, 264/82, EU:C:1985:119, punto 30).

455    Tali principi vengono attuati nel regolamento di base, che prevede un sistema di garanzie che perseguono due obiettivi, vale a dire, da un lato, consentire alle parti interessate di difendere utilmente i loro interessi e, dall’altro, preservare la riservatezza delle informazioni utilizzate nel corso dell’inchiesta (sentenza del 30 giugno 2016, Jinan Meide Casting/Consiglio, T-424/13, EU:T:2016:378, punto 96).

456    Le norme relative a questi due obiettivi sono esaminate nei seguenti punti.

457    Per quanto riguarda il primo obiettivo, le garanzie procedurali che assicurano il diritto all’informazione delle parti interessate sono definite, anzitutto, all’articolo 6, paragrafo 7, e, successivamente, all’articolo 20 del regolamento di base (sentenza del 30 giugno 2016, Jinan Meide Casting/Consiglio, T-424/13, EU:T:2016:378, punto 97).

458    Infatti, l’articolo 6, paragrafo 7, del regolamento di base prevede che le parti interessate, ivi compresi gli esportatori e le loro associazioni rappresentative, che ne facciano richiesta per iscritto possano prendere conoscenza di tutte le informazioni fornite dalle parti interessate all’inchiesta, tranne i documenti interni preparati dalle autorità dell’Unione o degli Stati membri, purché tali informazioni siano pertinenti per la tutela dei loro interessi, non siano riservate e siano utilizzate nell’inchiesta (sentenza del 30 giugno 2016, Jinan Meide Casting/Consiglio, T-424/13, EU:T:2016:378, punto 98).

459    A sua volta, l’articolo 20 del regolamento di base prevede due fasi per la comunicazione alle parti interessate, ivi compresi gli esportatori e le loro associazioni rappresentative, di informazioni specifiche sui principali fatti e considerazioni su cui le misure antidumping possono essere fondate, vale a dire, da un lato, dopo l’istituzione di misure provvisorie e, dall’altro, prima dell’istituzione di misure definitive (sentenza del 30 giugno 2016, Jinan Meide Casting/Consiglio, T‑424/13, EU:T:2016:378, punto 99).

460    Per quanto riguarda il secondo obiettivo, il regolamento di base stabilisce le norme da seguire per rispettare la riservatezza delle informazioni raccolte nel corso dell’inchiesta (v., in tal senso, sentenza del 30 giugno 2016, Jinan Meide Casting/Consiglio, T-424/13, EU:T:2016:378, punto 103).

461    In tale contesto, l’articolo 19, paragrafo 1, del regolamento di base sancisce il principio secondo il quale le informazioni di natura riservata devono essere trattate come tali dalle autorità

462    Tali informazioni sono quelle riservate o per loro natura o perché sono state designate come tali dalle persone o dagli enti che le hanno comunicate. Rientrano nella prima categoria le informazioni la cui divulgazione implicherebbe un significativo vantaggio concorrenziale per un concorrente oppure danneggerebbe gravemente la persona che ha fornito l’informazione o la persona dalla quale l’ha ottenuta. Per quanto riguarda la seconda categoria, l’articolo 19, paragrafo 5, prima frase, del regolamento di base vieta alla Commissione, agli Stati membri e ai loro agenti di rivelare qualsiasi informazione senza l’autorizzazione specifica della persona o ente che l’ha comunicata chiedendo che fosse trattata in modo riservato.

463    Ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 5, seconda frase, del regolamento di base, il divieto di divulgazione si applica anche alle informazioni scambiate tra la Commissione e gli Stati membri e ai documenti interni preparati dalle istituzioni e degli Stati membri, mentre le sole eccezioni autorizzate sono quelle espressamente previste nel regolamento di base.

464    Esposti come precede i due obiettivi perseguiti nella normativa, occorre rilevare che il diritto dell’Unione contiene indicazioni sul modo in cui essi possono essere coordinati (v., in tal senso, sentenza del 30 giugno 2016, Jinan Meide Casting/Consiglio, T-424/13, EU:T:2016:378, punto 105).

465    Talune disposizioni contenute nel regolamento di base sottolineano l’importanza attribuita alla riservatezza. Così, l’articolo 6, paragrafo 7, di detto regolamento, richiamato al precedente punto 458, precisa che il carattere riservato di un’informazione fornita da una parte interessata dall’inchiesta osta a che le parti interessate ne prendano conoscenza. Inoltre, l’articolo 20, paragrafo 4, di tale regolamento prevede che le informazioni finali debbano essere comunicate tenendo «debitamente conto dell’esigenza di tutelare le informazioni riservate» (v., in tal senso, sentenza del 30 giugno 2016, Jinan Meide Casting/Consiglio, T‑424/13, EU:T:2016:378, punto 105).

466    Di converso, la giurisprudenza precisa che l’obbligo del rispetto delle informazioni riservate non può privare del loro contenuto essenziale i diritti della difesa (v., in tal senso, sentenza del 20 marzo 1985, Timex/Consiglio e Commissione, 264/82, EU:C:1985:119, punto 29).

467    Per coordinare i due obiettivi, l’articolo 19, paragrafo 2, del regolamento di base precisa che, qualora siano comunicate informazioni riservate, la parte che chiede il trattamento riservato deve fornire un riassunto non riservato e tale riassunto deve essere sufficientemente particolareggiato affinché le parti interessate possano adeguatamente comprendere la sostanza delle informazioni comunicate.

468    Allo stesso fine di rispettare i diritti della difesa quando la riservatezza osta alla divulgazione delle informazioni, l’articolo 19, paragrafo 4, del regolamento di base incarica le istituzioni di divulgare informazioni generali, in particolare i motivi che hanno giustificato le decisioni adottate nell’ambito del regolamento di base.

469    È alla luce di tali principi e disposizioni che occorre verificare se la CCCME sia stata messa in condizione di far conoscere efficacemente il proprio punto di vista sulla sussistenza e sulla pertinenza dei fatti e delle circostanze addotti, nonché sugli elementi di prova accolti dalla Commissione, fermo restando che, quando occorre conciliare gli obblighi di riservatezza con il diritto all’informazione delle parti interessate, le istituzioni competenti devono valutare la situazione particolare della parte interessata in relazione a tali informazioni e, segnatamente, la posizione occupata da tale parte interessata sul mercato di cui trattasi rispetto a quella della persona che ha fornito tali informazioni (v., in tal senso, sentenza del 30 giugno 2016, Jinan Meide Casting/Consiglio, T-424/13, EU:T:2016:378, punto 199).

470    In tale esame, le tre parti che compongono il motivo saranno esaminate in successione.

–       Sulla prima parte del terzo motivo, relativa alla richiesta di comunicazione dei calcoli effettuati dalla Commissione

471    Nella prima parte, la CCCME contesta alla Commissione di non averle fornito il dettaglio dei calcoli del valore normale, dei margini di dumping, degli effetti delle importazioni cinesi sui prezzi, del pregiudizio e del livello di eliminazione del pregiudizio. Secondo la CCCME, disporre dei calcoli dettagliati della Commissione e dei dati utilizzati per tali calcoli consente alle parti interessate di presentare osservazioni più utili per la loro difesa. Infatti, tali parti possono in tal caso verificare con precisione il modo in cui la Commissione ha utilizzato tali dati e confrontarli con i propri calcoli, il che consente loro di individuare eventuali errori da parte della Commissione che non sarebbero altrimenti rilevabili.

472    La Commissione non contesta che i calcoli richiesti dalla CCCME possano costituire principali fatti e considerazioni ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 2, del regolamento di base per le parti interessate, quali i produttori esportatori, che rischiano di essere assoggettati alle misure antidumping di cui trattasi. Tuttavia, ritiene che la CCCME non possa essere considerata una parte interessata ai sensi del regolamento di base, dal momento che tale ente non opera esso stesso come produttore o commerciante del prodotto in esame. Secondo la Commissione, l’obbligo di fornire informazioni è meno esteso per le associazioni rappresentative che per le parti interessate, in particolare i produttori esportatori.

473    A tal riguardo, occorre anzitutto stabilire se i calcoli ai quali la CCCME ha chiesto l’accesso contengano informazioni riservate ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 1, del regolamento di base, come le ha obiettato la Commissione durante l’inchiesta.

474    Per quanto riguarda i calcoli del valore normale, la Commissione ha spiegato, nel regolamento impugnato, che erano stati utilizzati metodi di calcolo diversi a seconda della fattispecie trattata. Così, la prima fattispecie trattata è quella in cui il tipo di prodotto esportato era identico o comparabile con un tipo di prodotto fabbricato sul mercato indiano, tenendo presente che la Repubblica dell’India è stata scelta come paese terzo ad economia di mercato che funge da riferimento per calcolare il valore normale. In tale caso, sono stati applicati metodi diversi a seconda che il tipo di prodotto in esame fosse venduto sul mercato indiano in quantitativi rappresentativi o meno. Infatti, quando il tipo di prodotto era venduto in quantitativi rappresentativi sul mercato indiano, il che riguardava concretamente un tipo di prodotto venduto da un produttore indiano, la Commissione ha utilizzato i prezzi di vendita praticati nel corso di normali operazioni commerciali. Quando il tipo di prodotto di cui trattasi non era venduto in quantitativi rappresentativi sul mercato indiano, il che era il caso di tutti gli altri tipi di prodotti identici o comparabili ai tipi di prodotti esportati, la Commissione ha ulteriormente distinto a seconda che il tipo di prodotto fosse venduto «in quantitativi sufficienti» da almeno un produttore indiano, nel qual caso ha utilizzato i prezzi di vendita praticati nel corso di normali operazioni commerciali (in prosieguo: il «secondo metodo»), o che il tipo di prodotto non fosse venduto, ma fabbricato da almeno un produttore indiano, nel qual caso ha costruito il valore normale sulla base del costo di produzione maggiorato di un importo per le SGAV e il profitto realizzato con le vendite sul mercato interno nell’ambito di normali operazioni commerciali di tale produttore indiano (in prosieguo: il «terzo metodo»). La seconda fattispecie è quella in cui il tipo di prodotto esportato non era identico o comparabile a un tipo di prodotto fabbricato sul mercato indiano. In tal caso, la Commissione ha utilizzato un valore normale basato sulle vendite di tutte le tipologie di prodotti realizzati con la medesima materia prima (ghisa duttile o grigia) effettuate dai produttori indiani sul mercato nazionale nell’ambito di normali operazioni commerciali.

475    Alla luce di tali spiegazioni, occorre constatare che i calcoli del valore normale ai quali la CCCME ha chiesto l’accesso vertono sui prezzi di vendita nonché sui costi di produzione, sulle SGAV e sui profitti dei produttori indiani, ripartiti per tipologia di prodotto.

476    Orbene, elementi quali i costi di produzione, le SGAV o il profitto hanno, nel caso di specie, carattere riservato per loro natura ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 1, del regolamento di base, dal momento che, come indicato in tale disposizione, la conoscenza di tali elementi da parte di terzi potrebbe implicare, nell’esercizio dell’attività aziendale, un significativo vantaggio concorrenziale per un concorrente oppure danneggiare gravemente la persona che ha fornito l’informazione (v. punto 462 supra).

477    In ogni caso, occorre constatare che, essendo stati inclusi nella versione ristretta del questionario consegnato alla Commissione, le parti dell’inchiesta hanno comunicato detti elementi, come i prezzi, a titolo riservato, il che comporta l’obbligo, per le autorità a conoscenza di tali informazioni, di rispettarne la riservatezza, pena la violazione dell’articolo 19, paragrafi 1 e 5, del regolamento di base (v. punto 462 supra).

478    La stessa constatazione si impone per gli altri calcoli richiesti dalla CCCME.

479    Pertanto, i calcoli dei margini di dumping, poiché consistono in un confronto del valore normale e dei prezzi all’esportazione dei produttori esportatori cinesi inseriti nel campione, riguardano dati riservati dei produttori indiani e dei produttori esportatori cinesi i cui prezzi sono oggetto del confronto.

480    Parimenti, i calcoli del pregiudizio, compreso, in tale contesto, il calcolo degli effetti delle importazioni cinesi sui prezzi, contengono dati riservati. Da un lato, i calcoli della sottoquotazione, che consente di valutare l’effetto delle importazioni sui prezzi dei prodotti nel mercato dell’Unione, derivano da un confronto tra i prezzi all’esportazione dei produttori esportatori cinesi inseriti nel campione e i prezzi di modelli o prodotti simili di produttori dell’Unione inseriti nel campione. Dall’altro, il pregiudizio subito dall’industria dell’Unione è valutato tenendo conto dell’incidenza delle importazioni sull’industria dell’Unione. A tale titolo, i dati riservati dell’industria dell’Unione, ossia i dati dei produttori dell’Unione inseriti nel campione relativi ai prezzi e ai fattori che incidono sui prezzi, al costo del lavoro, alle scorte, alla redditività, al flusso di cassa, agli investimenti, all’utile sul capitale investito e alla capacità di ottenere capitale, sono raccolti e analizzati nel contesto degli indicatori microeconomici valutati dalla Commissione. Lo stesso vale per i dati dei produttori dell’industria dell’Unione relativi alla produzione, capacità produttiva, utilizzo degli impianti, volume delle vendite, quota di mercato, occupazione, crescita, produttività, per quanto riguarda gli indicatori macroeconomici valutati dalla Commissione.

481    Infine, sempre nello stesso senso, i calcoli del livello di eliminazione del pregiudizio riguardano anch’essi dati riservati, in quanto risultano, a loro volta, da un confronto tra i prezzi all’esportazione e i corrispondenti prezzi non pregiudizievoli praticati dall’industria dell’Unione.

482    Pertanto, dall’analisi sin qui svolta risulta che tutti i calcoli richiesti dalla CCCME presentano un carattere riservato tale da meritare una tutela.

483    Tuttavia, occorre ricordare che, qualora talune informazioni non possano essere comunicate a causa del loro carattere riservato, l’articolo 19, paragrafi da 2 a 4, del regolamento di base, da un lato, obbliga le parti interessate a fornire un riassunto non riservato di tali informazioni ogni volta che sia possibile e, dall’altro, obbliga la Commissione a divulgare informazioni generali, in particolare i motivi che hanno giustificato le decisioni adottate nel contesto del regolamento di base.

484    Occorre quindi stabilire se, alla luce delle informazioni che le sono state comunicate, la CCCME sia stata posta in grado, come richiesto dalla giurisprudenza, di fornire indicazioni utili alla sua difesa.

485    In tale esame, occorre tener conto di due aspetti, vale a dire, da un lato, delle informazioni di cui disponeva concretamente la CCCME e, dall’altro, della qualità che quest’ultima rivestiva durante l’inchiesta (v. giurisprudenza ricordata al precedente punto 469). Tali aspetti sono di seguito esaminati.

486    Sul primo di tali aspetti, occorre rilevare che, per quanto riguarda i calcoli del valore normale, nell’intento di proteggere le informazioni commercialmente sensibili dei produttori indiani che hanno collaborato, ma anche dei produttori esportatori cinesi inseriti nel campione, la Commissione ha comunicato alla CCCME una descrizione del metodo di calcolo del valore normale applicato in base alle fattispecie menzionate al precedente punto 474 e talune indicazioni riguardanti il risultato di tali calcoli. La Commissione l’ha quindi informata del fatto che tale risultato si collocava in una forbice compresa tra 3000 e 4000 renminbi-yuan (CNY) e da CNY 8000 a CNY 9000 a seconda del tipo di prodotto. A seguito di una domanda della CCCME, la Commissione ha altresì indicato, al punto 61 delle sue conclusioni finali e al considerando 67 del regolamento impugnato, che la somma delle SGAV e del profitto che era stata aggiunta nell’ambito del terzo metodo era compresa tra l’1 e il 10% del fatturato per i prodotti di ghisa grigia e tra il 10 e il 20% del fatturato per i prodotti di ghisa duttile.

487    Per i calcoli del margine di dumping, la CCCME è venuta a conoscenza del metodo utilizzato dalla Commissione, vale a dire, come indicato al considerando 92 del regolamento provvisorio, che quest’ultima ha calcolato il margine di dumping dei produttori esportatori inseriti nel campione confrontando la media ponderata del valore normale di ciascun tipo di prodotto simile nel paese di riferimento con la media ponderata del prezzo all’esportazione del tipo corrispondente del prodotto in esame. La Commissione ha così ottenuto un margine di dumping per tipo di prodotto. Essa ha poi calcolato il margine di dumping per produttore esportatore inserito nel campione in funzione dei tipi di prodotti da esso venduti. La CCCME è stata informata del fatto che dal risultato di tali calcoli erano emersi margini di dumping tra il 15,5 e il 38,1%.

488    Per i calcoli della sottoquotazione, la CCCME, come indicato ai considerando 127 e 128 del regolamento provvisorio, è stata informata del fatto che la Commissione aveva determinato la sottoquotazione dei prezzi durante il periodo dell’inchiesta confrontando la media ponderata dei prezzi di vendita per tipo di prodotto dei tre produttori dell’Unione inseriti nel campione, praticati sul mercato dell’Unione ad acquirenti indipendenti, adeguati a un «livello franco fabbrica» e la media ponderata dei prezzi per tipo di prodotto delle importazioni provenienti dai cinque produttori esportatori della Repubblica popolare cinese inseriti nel campione al primo acquirente indipendente sul mercato dell’Unione, stabiliti a livello «costo, assicurazione, nolo» (CIF), con gli opportuni adeguamenti per tenere conto dei dazi doganali pari all’1,7% per i prodotti di ghisa grigia e al 2,7% per i prodotti di ghisa duttile. La Commissione ha aggiunto che il confronto fra i prezzi era stato effettuato in base ai singoli tipi di prodotto per transazioni allo stesso stadio commerciale, con i dovuti adeguamenti se necessario e dopo aver dedotto sconti e riduzioni. Il risultato del confronto è stato espresso come percentuale del fatturato dei tre produttori dell’Unione inseriti nel campione durante il periodo dell’inchiesta e sono emersi margini di sottoquotazione compresi tra il 35,4% e il 42,7%, i quali sono stati successivamente adeguati, come indicato al considerando 122 del regolamento impugnato.

489    Per i calcoli sottostanti all’esame degli indicatori microeconomici e macroeconomici, che consentono di valutare il pregiudizio causato all’industria dell’Unione, la CCCME ha ottenuto le cifre globali per indicatore e per anno, riportati ai considerando da 137 a 166 del regolamento provvisorio.

490    Infine, per quanto riguarda il calcolo del livello di eliminazione del pregiudizio, la CCCME è stata informata del fatto che, per stabilire il profitto che avrebbe potuto essere ragionevolmente ottenuto in condizioni di concorrenza normali dall’industria dell’Unione, la Commissione ha esaminato i profitti ottenuti dalle vendite ad acquirenti indipendenti. Il profitto di riferimento è stato provvisoriamente fissato al 5,3%, in linea con i profitti ottenuti nel 2013 dalle vendite ad acquirenti indipendenti. La Commissione ha precisato, a tal riguardo, che, poiché nel 2014 le importazioni oggetto di dumping avevano registrato un netto aumento, per poi stabilizzarsi, essa aveva ritenuto che il livello dei profitti del 2013 rispecchiasse quello che avrebbe potuto essere ragionevolmente ottenuto in condizioni di concorrenza normali, vale a dire in assenza di importazioni oggetto di dumping. La Commissione ha quindi determinato il livello di eliminazione del pregiudizio confrontando la media ponderata dei prezzi delle importazioni dei produttori esportatori cinesi inseriti nel campione, debitamente adeguata per tener conto di costi di importazione e dei dazi doganali, stabilita per calcolare la sottoquotazione dei prezzi, con la media ponderata dei prezzi non pregiudizievoli del prodotto simile venduto sul mercato dell’Unione dai produttori dell’Unione inseriti nel campione durante il periodo dell’inchiesta Le differenze evidenziate da tale confronto sono state espresse in percentuale sulla media ponderata del valore CIF all’importazione. Il risultato di tali calcoli ha dato una percentuale compresa tra il 70,7 e l’80,7%.

491    Sul secondo aspetto da prendere in considerazione per stabilire se alla CCCME siano state comunicate le informazioni di cui aveva bisogno per esercitare i suoi diritti della difesa, occorre ricordare che tale ente non è un produttore esportatore inserito nel campione. Pertanto, essa non si trova nella situazione degli operatori i cui dati individualizzati, che essi stessi hanno comunicato alla Commissione, sono stati utilizzati da tale istituzione nei suoi calcoli, al fine di procedere agli accertamenti richiesti dal regolamento di base. Orbene, è a tali operatori che la Commissione fornisce i calcoli effettuati, a ciascuno per quanto lo riguarda, una parte dei quali si riferisce ai dati loro propri e che non pongono problemi di riservatezza nei loro confronti e l’altra parte si riferisce ai dati riservati dei produttori indiani o dell’Unione. Nella rispettiva situazione, tali spiegazioni consentono loro di comprendere, con le spiegazioni fornite dalla Commissione, i dazi che sono loro imposti, fermo restando che tali spiegazioni devono essere le più dettagliate e precise possibile, al fine di consentire loro di contestare, se del caso, le scelte operate dalla Commissione.

492    Come indicato al precedente punto 58, la CCCME aveva, durante l’inchiesta, lo status di parte interessata ai sensi del regolamento di base. Nell’ambito dell’inchiesta, essa agiva, secondo l’esposizione da essa stessa fornita all’inizio del procedimento, in qualità di associazione che rappresentava tutti i produttori cinesi attivi nel settore interessato nella Repubblica popolare cinese, vale a dire un numero considerevole di imprese. A tale titolo, essa non può pretendere di ottenere tutte le informazioni relative a taluni produttori esportatori cinesi senza l’autorizzazione di questi ultimi. Inoltre, essa non può neppure pretendere di avere accesso ai dati riservati dei produttori indiani e dell’Unione la cui decisione di collaborare all’inchiesta si fonda in particolare sulle garanzie di riservatezza che sono state loro date. Consentire alla CCCME di ottenere un accesso così esteso quanto quello da essa richiesto non soddisferebbe gli obblighi in materia di rispetto della riservatezza gravanti sulle istituzioni dell’Unione in forza del regolamento di base.

493    Ne consegue che, nel caso di specie, la Commissione poteva, come ha fatto, comunicare alla CCCME informazioni al contempo precise e in forma aggregata, per rispettare gli obblighi di riservatezza, riguardanti i calcoli da essa effettuati.

494    Del resto, è a seguito delle osservazioni formulate dalla CCCME che la Commissione ha modificato il suo metodo di calcolo del valore normale, in particolare il secondo e il terzo metodo, vale a dire, rispettivamente, quello che si applica quando il tipo di prodotto esportato è identico o comparabile a un tipo di prodotto fabbricato e venduto sul mercato indiano in piccoli quantitativi e quello che si applica quando il tipo di prodotto non è venduto, ma prodotto da almeno un produttore indiano del campione. La Commissione ha infine costruito il valore normale sulla base del prezzo delle vendite praticato da tali venditori (secondo metodo), come spiegato al considerando 66 del regolamento impugnato, e su quello del costo di produzione, maggiorato delle SGAV e del profitto realizzato con le vendite sul mercato interno nell’ambito di normali operazioni commerciali del produttore indiano in questione (terzo metodo), come spiegato al considerando 67 del regolamento impugnato, piuttosto che, come in precedenza, fondandosi sul valore normale costruito in base al costo medio di produzione del prodotto simile di ciascun produttore indiano. La CCCME ha altresì potuto contestare il calcolo del valore normale in base a tale terzo metodo e, più precisamente, la presa in considerazione delle SGAV e del profitto di un solo produttore indiano, anche se l’argomento della CCCME è stato respinto, come indicato ai considerando da 70 a 72 del regolamento impugnato.

495    Date tali circostanze, occorre considerare che, nel caso di specie, la Commissione ha potuto validamente negare alla CCCME, la quale agiva in qualità di associazione rappresentativa dell’industria cinese, l’accesso ai dettagli dei calcoli del valore normale, dei margini di dumping, degli effetti delle importazioni cinesi sui prezzi, del pregiudizio e del livello di eliminazione del pregiudizio, che quest’ultima ha richiesto durante l’inchiesta, che, con le informazioni che le erano state comunicate e che sono riportate ai precedenti punti da 486 a 490, la CCCME disponeva dei principali fatti e considerazioni in base ai quali la Commissione ha inteso raccomandare l’istituzione di misure definitive e che, tutelando nel contempo la riservatezza dei dati in esame, la Commissione le ha dato la possibilità di esporre utilmente il suo punto di vista a tal proposito.

496    Contro tale posizione, la CCCME richiama due sentenze.

497    In primo luogo, la CCCME richiama la sentenza del 30 giugno 2016, Jinan Meide Casting/Consiglio (T-424/13, EU:T:2016:378), nella quale il Tribunale aveva dichiarato che la Commissione aveva violato i diritti della difesa della ricorrente, rifiutando di comunicarle i dettagli dei calcoli del valore normale per singolo tipo di prodotto, nonché il risultato di tali calcoli.

498    A tal riguardo, occorre rilevare che i fatti della causa che ha dato luogo alla sentenza del 30 giugno 2016, Jinan Meide Casting/Consiglio (T‑424/13, EU:T:2016:378), richiamata dalla CCCME sono diversi da quelli della causa di cui trattasi nel caso di specie. Da un lato, la prima causa riguardava un produttore esportatore inserito nel campione, e non un’associazione che rappresentava tutta un’industria come la CCCME, che, per le ragioni indicate ai precedenti punti 491 e 492, si trova in una situazione diversa da quella di un siffatto produttore esportatore. Dall’altro, l’annullamento pronunciato dal Tribunale in tale causa è avvenuto, in ogni caso, in un contesto specifico, nel quale il produttore del paese di riferimento i cui dati erano riportati in tali calcoli aveva autorizzato la divulgazione dei suoi dati sottesi a tali calcoli. Come rilevato dalla Commissione, il Tribunale, nella sentenza del 30 giugno 2016, Jinan Meide Casting/Consiglio (T-424/13, EU:T:2016:378), ha quindi condannato un rifiuto da essa formulato nonostante il fatto che l’operatore da cui provenivano i dati avesse accettato la loro divulgazione, ritenendo che ciò che aveva accettato l’operatore poteva essere accettato anche dall’istituzione. Nel caso di specie, non si riscontra una siffatta ipotesi giacché, in particolare, i produttori indiani non hanno prestato il consenso a una tale divulgazione dei loro dati.

499    In secondo luogo, la CCCME richiama la sentenza del 1° giugno 2017, Changmao Biochemical Engineering/Consiglio (T-442/12, EU:T:2017:372), nella quale il Tribunale, per pronunciare l’annullamento del regolamento impugnato, si sarebbe basato sul fatto che la Commissione aveva rifiutato di fornire informazioni riguardanti il calcolo del valore normale, in particolare l’origine dei prezzi utilizzati per il prodotto interessato nonché i fattori che influenzano il confronto dei prezzi.

500    A tal riguardo, occorre sottolineare nuovamente le differenze esistenti tra la presente causa e quella che ha dato luogo alla sentenza del 1° giugno 2017, Changmao Biochemical Engineering/Consiglio (T‑442/12, EU:T:2017:372). Infatti, quest’ultima riguardava anche in questo caso la situazione, diversa da quella di un’associazione che rappresenta l’intera industria, di un produttore esportatore interessato dall’inchiesta. Peraltro, la portata di tale sentenza non è così estesa come sostiene la CCCME. Anzitutto, l’annullamento deciso dal Tribunale verteva sul rifiuto di comunicare informazioni specifiche sul calcolo del valore normale, vale a dire informazioni sulla differenza di prezzo tra l’acido tartarico DL (oggetto dell’inchiesta) e l’acido tartarico L+ (prodotto nel paese di riferimento), non essendo stata trattata in detta sentenza la questione della comunicazione dei prezzi stessi. Inoltre, l’annullamento è stato giustificato dal fatto che il rifiuto, formulato dalla Commissione, di fornire tali informazioni specifiche non era fondato su un motivo valido. Infatti, la Commissione non aveva giustificato il suo rifiuto durante il procedimento amministrativo. Dinanzi al Tribunale, essa ha spiegato che, in definitiva, l’informazione richiesta non era stata comunicata per motivi di riservatezza. Secondo il Tribunale, tuttavia, una spiegazione del genere non poteva essere fornita per la prima volta dinanzi ad esso. Essa avrebbe dovuto essere manifestata al ricorrente durante il procedimento amministrativo. Pertanto, dalla citata sentenza risulta che il Tribunale non ha escluso che la Commissione, se avesse debitamente motivato il suo rifiuto di comunicazione nella fase amministrativa del procedimento, avrebbe potuto opporsi all’accesso del ricorrente alle informazioni in questione.

501    Sulla base di quanto precede, si deve concludere che la CCCME non può avere accesso, in quanto associazione che rappresenta l’industria cinese, ai calcoli dettagliati del valore normale, dei margini di dumping, degli effetti delle importazioni cinesi sui prezzi, del pregiudizio e del livello di eliminazione del pregiudizio, poiché essi riguardano informazioni di natura riservata. Dalle circostanze del caso di specie risulta che le informazioni che tale ente ha ottenuto riguardo ai principali fatti e considerazioni in base ai quali la Commissione ha inteso adottare le misure definitive le hanno consentito di difendere utilmente i propri interessi in quanto associazione che rappresenta l’industria cinese.

502    Durante l’inchiesta, la CCCME ha chiesto che fosse concesso ai suoi avvocati l’accesso alle informazioni summenzionate, restando a loro carico il rispetto della riservatezza connessa a tali dati.

503    A tal riguardo, occorre rilevare che una siffatta modalità non è prevista nel regolamento di base, laddove, come indicato ai precedenti punti 467 e 468, quest’ultimo organizza in modo preciso gli obblighi delle istituzioni e delle parti che dispongono delle informazioni di cui trattasi qualora queste ultime presentino un carattere riservato. Poiché le istituzioni e le parti interessate hanno rispettato gli obblighi loro imposti in tale contesto, non è censurabile la decisione della Commissione di negare tale accesso.

504    La prima parte del terzo motivo va quindi respinta.

–       Sulla seconda parte del terzo motivo, relativa alla richiesta di comunicazione dei calcoli in forma aggregata

505    Nella seconda parte, dedotta in via subordinata rispetto alla prima, la CCCME afferma che la Commissione avrebbe quantomeno dovuto fornire i calcoli oggetto della prima parte in forma aggregata, in particolare per quanto riguarda, da un lato, i calcoli del valore normale, gli effetti delle importazioni cinesi sui prezzi e sul livello di eliminazione del pregiudizio e, dall’altro, le stime relative agli indicatori macroeconomici.

506    La Commissione chiede che tale parte sia respinta.

507    A tal riguardo, in primo luogo, occorre rilevare che la presentazione di dati riservati in forma aggregata non li rende necessariamente non riservati. Ciò vale, nella fattispecie, in particolare, per i calcoli del valore normale. La Commissione ha correttamente sostenuto, a tal proposito, che, dal momento che, per taluni tipi di prodotto, essa aveva utilizzato i dati di un solo produttore indiano e che, per altri, i dati riguardavano due o tre produttori indiani al massimo, l’aggregazione dei dati non poteva garantire a sufficienza che restasse impossibile identificare i dati individuali di tali produttori. Lo stesso vale per le stime relative agli indicatori macroeconomici, effettuate dalle denuncianti per quanto riguarda la situazione dei produttori rimanenti. In tal senso, il Tribunale ha già dichiarato che la produzione stimata dei produttori interessati dell’Unione, sulla quale si era basata la Commissione nell’ambito del calcolo del consumo, era stata giustamente considerata riservata, in quanto era basata sulla conoscenza del mercato posseduta dalle denuncianti. Il Tribunale ha quindi ritenuto che, limitandosi a fornire i dati della produzione totale, la Commissione avesse agito conformemente al regolamento di base (sentenza del 25 ottobre 2011, CHEMK e KF/Consiglio, T-190/08, EU:T:2011:618, punto 231).

508    In secondo luogo, si deve sottolineare che, come sostenuto dalla Commissione, non in tutti i casi essa giunge a disporre, come risultato dei calcoli eseguiti ai fini dell’inchiesta e delle determinazioni richieste dal regolamento di base, di risultati aggregati per tutti i produttori interessati.

509    Infatti, la Commissione ha indicato, al considerando 24 del regolamento impugnato, che i calcoli della sottoquotazione in forma aggregata richiesta dalla CCCME non esistevano, poiché la sottoquotazione era stata calcolata unicamente per tipo di prodotto e per produttore esportatore. Ogni produttore esportatore cinese inserito nel campione ha quindi ricevuto i calcoli della sottoquotazione per ciascuno dei tipi di prodotto che esportava.

510    È vero che la Commissione può essere obbligata a redigere un documento al fine di garantire i diritti della difesa di una parte (v., per analogia, sentenza del 27 novembre 2019, Izuzquiza e Semsrott/Frontex, T-31/18, EU:T:2019:815, punto 53 e giurisprudenza ivi citata).

511    Tuttavia, tale obbligo non può estendersi tanto da obbligare, nel caso di specie, la Commissione, a redigere un documento per una parte quale la CCCME, ossia un’associazione che rappresenta l’industria cinese, al fine di consentire a quest’ultima di disporre di tutte le informazioni in base alle quali si intendono adottare le misure di difesa commerciale, altrimenti la Commissione sarebbe soggetta a obblighi eccedenti quelli previsti dal regolamento di base per quanto riguarda la gestione del rispetto della riservatezza delle informazioni allo scopo di preservare i diritti delle parti interessate.

512    A tal riguardo, occorre rilevare che il volume delle informazioni richieste dalla CCCME, nel caso di specie, è tale che la Commissione avrebbe potuto essere ostacolata nella sua attività e nella sua inchiesta se avesse dovuto fornire tutte queste informazioni in una forma modellata esclusivamente sulle esigenze di una siffatta entità. A tal proposito, occorre ricordare che le diverse fasi di un procedimento antidumping sono delimitate all’interno di termini rigorosi. Infatti, l’articolo 6, paragrafo 9, del regolamento di base impone che l’inchiesta si concluda entro un termine massimo di quindici mesi. L’articolo 7, paragrafo 1, di detto regolamento prevede che i dazi provvisori siano imposti entro nove mesi dalla data di inizio del procedimento e, a norma dell’articolo 9, paragrafo 4, una proposta volta ad imporre dazi definitivi deve essere presentata al più tardi un mese prima della scadenza dei dazi provvisori.

513    Pertanto, l’argomento sviluppato dalla CCCME a sostegno della seconda parte non consente di modificare la conclusione cui è giunto il Tribunale nell’ambito della prima parte, secondo la quale la CCCME disponeva, nel caso di specie, dei principali fatti e considerazioni in base ai quali la Commissione ha inteso adottare le misure definitive, e tale ente ha quindi potuto difendere utilmente i propri interessi di associazione che rappresenta l’industria cinese.

514    La seconda parte del terzo motivo dev’essere quindi respinta.

–       Sulla terza parte del terzo motivo, relativa ad altre informazioni richieste dalla CCCME

515    Nella terza parte, contestata dalla Commissione, la CCCME elenca tre tipi di informazioni che essa ritiene importanti e alle quali la Commissione le avrebbe illegittimamente negato l’accesso.

516    Con la prima censura, la CCCME contesta alla Commissione di non averle comunicato le informazioni diverse dalle caratteristiche contenute nell’NCP, per quanto riguarda i prodotti dei produttori indiani e dell’Unione che sono stati confrontati con i prodotti importati. La CCCME afferma che tale situazione le ha impedito di determinare se fossero necessari adeguamenti per garantire la comparabilità dei prezzi. Le ricorrenti espongono tale argomento anche nell’ambito della seconda parte del quarto motivo.

517    A sostegno di tale censura, la CCCME richiama la relazione dell’organo di appello dell’OMC nella causa «Comunità europee – Misure antidumping definitive su determinati elementi di fissaggio in ferro o acciaio originari della Cina» (WT/DS 397/AB/RW, relazione del 18 gennaio 2016).

518    In detta causa, l’organo di appello dell’OMC ha affermato che, «[n]el caso di un’inchiesta antidumping che coinvolge un produttore di un paese di riferimento, gli esportatori soggetti all’inchiesta [dovevano] essere informati anche “in relazione ai prodotti specifici sulla base quali [era stato] determinato il valore normale”, altrimenti essi non [sarebbero stati] “in grado di chiedere gli adeguamenti da essi ritenuti necessari”». Nella suddetta causa, la posizione dell’organo di appello era fondata sulla circostanza che, in questo tipo di inchiesta, le informazioni riguardanti il valore normale venivano ottenute da una fonte terza, vale a dire il produttore del paese di riferimento. Poiché gli esportatori soggetti all’inchiesta non avevano accesso a tali informazioni, essi non sapevano se avrebbero potuto chiedere adeguamenti al fine di tenere conto delle differenze che incidevano sulla comparabilità dei prezzi tra i prodotti esportati e i prodotti venduti nel mercato interno dal produttore del paese di riferimento. A tali produttori, non era sufficiente comunicare, secondo l’organo d’appello, i «gruppi di prodotti» che erano serviti come base per il confronto delle transazioni, divulgando gli NCP. Occorreva fornire loro tutte le informazioni riguardanti le caratteristiche dei prodotti dei produttori del paese di riferimento utilizzati ai fini del confronto dei prezzi.

519    A tal riguardo, come ricordato al precedente punto 419, secondo la giurisprudenza, le interpretazioni dell’accordo antidumping adottate da tale organo non vincolano il Tribunale nella valutazione della validità del regolamento impugnato (v., in tal senso, sentenza del 1° marzo 2005, Van Parys, C‑377/02, EU:C:2005:121, punto 54).

520    Del resto, l’interpretazione sostenuta dalla CCCME non può essere utilizzata nel caso di specie per fornire una risposta alle questioni sollevate.

521    Infatti, la causa citata dalla CCCME riguarda produttori esportatori i cui dati sono stati presi in considerazione per calcolare il margine di dumping. Nella relazione citata dalla CCCME, l’organo di appello dell’OMC indica, per giustificare la comunicazione delle informazioni relative ai modelli di prodotti nel caso in cui sia applicato il metodo del paese di riferimento, che, in un’inchiesta antidumping «ordinaria», il valore normale si determina di solito sulla base delle vendite dell’esportatore in questione nel suo mercato interno. A suo parere, ci si potrebbe quindi attendere che l’esportatore soggetto all’inchiesta abbia la necessaria conoscenza dei propri prodotti che sono stati utilizzati per determinare contemporaneamente il prezzo all’esportazione e il valore normale.

522    Pertanto, un produttore esportatore i cui dati sono esaminati dalla Commissione per calcolare il margine di dumping, qualora gli fossero comunicate le caratteristiche dei prodotti del paese di riferimento, sarebbe in grado di verificare, essendo a conoscenza di tutti i parametri, la comparabilità di questi ultimi prodotti con i prodotti che esso stesso ha esportato nell’Unione.

523    La situazione è tuttavia diversa nel caso di specie, in quanto è la CCCME, che agisce in qualità di associazione che rappresenta l’intera industria cinese, come già indicato ai precedenti punti 445 e 446, a chiedere l’accesso alle informazioni riguardanti le caratteristiche dei prodotti.

524    Anche se le fossero divulgate, le informazioni relative alle caratteristiche dei prodotti non le consentirebbero di confrontare utilmente i prodotti di cui trattasi, poiché essa non dispone, in linea di principio, dei modelli di prodotti immessi in commercio dai produttori esportatori cinesi inseriti nel campione che sono stati confrontati con i prodotti indiani.

525    Pertanto, non è dimostrato che la divulgazione delle informazioni riguardanti le caratteristiche dei prodotti dei produttori del paese di riferimento avrebbe consentito alla CCCME di garantire meglio i suoi diritti della difesa.

526    In ogni caso, come indicato dalla Commissione durante l’indagine, tali informazioni hanno carattere riservato. Pertanto, e per le stesse considerazioni fatte valere in particolare al precedente punto 501, si deve ritenere che un’associazione che rappresenta un industria nel suo complesso, quale la CCCME, disponga dei principali fatti e considerazioni in base ai quali si prevede l’adozione di misure e può, pertanto, far valere utilmente il suo punto di vista, laddove disponga dei tipi di prodotti (NCP) confrontati per eseguire i calcoli richiesti dal regolamento di base.

527    La stessa conclusione vale per la comunicazione delle caratteristiche dei prodotti dell’industria dell’Unione, i cui prezzi sono confrontati con quelli dei prodotti cinesi al fine di calcolare la sottoquotazione, cosicché la prima censura deve essere respinta.

528    Nella seconda censura, la CCCME ritiene che la Commissione avrebbe dovuto fornirle i calcoli relativi al volume delle importazioni provenienti dalla Repubblica popolare cinese, dalla Repubblica dell’India e da altri paesi terzi nonché i documenti di base.

529    A tal riguardo, risulta dal fascicolo che la CCCME era stata informata, durante il procedimento antidumping, del metodo di calcolo del volume delle importazioni utilizzato dalla Commissione. Essa conosceva, in particolare, le percentuali contabilizzate, per le importazioni originarie della Repubblica popolare cinese, della Repubblica dell’India e degli altri paesi terzi, negli ex sottocodici che avevano preceduto l’introduzione, nel 2014, del codice generale NC ex 7325 10 00; l’importo fisso da sottrarre al codice NC ex 7325 99 10 per ottenere le importazioni originarie della Repubblica popolare cinese, della Repubblica dell’India e dei paesi terzi, nonché la percentuale da sottrarre dal totale delle importazioni al fine di escludere le griglie per canali. Inoltre, poiché i dati utilizzati per stabilire tali importazioni erano stati estratti dalle statistiche fornite Eurostat, che sono disponibili nella banca dati pubblica Comext, la CCCME aveva a sua disposizione tutte le informazioni utili per riprodurre i calcoli della Commissione di cui essa ha chiesto la comunicazione. Alla luce di ciò, non si può concludere nel senso di una violazione del regolamento di base da parte della Commissione su questo punto.

530    È vero che, al punto 207 della sentenza del 30 giugno 2016, Jinan Meide Casting/Consiglio (T-424/13, EU:T:2016:378), richiamata dalla CCCME, il Tribunale ha concluso per una violazione dei diritti della difesa, affermando che l’ottenimento dei calcoli effettuati dalla Commissione avrebbe rappresentato in tale causa, per la ricorrente, un aumento sostanziale delle informazioni idoneo a consentirle di presentare osservazioni più pertinenti di quelle che aveva già presentato.

531    Tuttavia, la causa che ha dato luogo alla sentenza del 30 giugno 2016, Jinan Meide Casting/Consiglio (T-424/13, EU:T:2016:378), differisce da quella di cui trattasi su due importanti punti.

532    Anzitutto, il livello di conoscenza di cui disponeva la parte ricorrente era molto inferiore rispetto a quello che si può riscontrare nel caso di specie. Infatti, nella sentenza del 30 giugno 2016, Jinan Meide Casting/Consiglio (T-424/13, EU:T:2016:378), la ricorrente aveva una conoscenza solo generica del metodo utilizzato per calcolare il valore normale dei tipi di prodotto senza corrispondenza. Essa ignorava quale mercato e quali prezzi di riferimento la Commissione aveva utilizzato per calcolare il valore di mercato dell’adeguamento del valore normale di tali tipi di prodotto, richiesto a causa delle differenze inerenti alle caratteristiche fisiche fra tali tipi di prodotti e i tipi di prodotti corrispondenti. Date tali circostanze, il Tribunale ha osservato che, se la ricorrente fosse stata in possesso dei calcoli del valore normale in base al tipo di prodotto, essa sarebbe stata in grado di paragonare i risultati della Commissione ai propri risultati ottenuti sulla base di un altro metodo. Tali circostanze sono diverse da quelle della presente causa, in cui il metodo di calcolo utilizzato dalla Commissione era noto alla CCCME, come indicato al punto 529 supra.

533    Inoltre, anche il termine di cui disponevano le parti per effettuare i loro calcoli era molto diverso rispetto al numero di documenti da trattare. Nella sentenza del 30 giugno 2016, Jinan Meide Casting/Consiglio (T‑424/13, EU:T:2016:378), la ricorrente disponeva di un termine molto limitato (sette giorni) per riprodurre i calcoli della Commissione, che erano voluminosi, in quanto relativi a 1645 tipi di prodotti. Nella presente causa, i calcoli da effettuare erano più limitati e la CCCME ha ricevuto le informazioni richieste, concernenti il metodo di calcolo delle importazioni utilizzato, entro la data di adozione del regolamento provvisorio, il quale fa riferimento alla denuncia, nella quale sono precisate alcune stime e alla quale la CCCME aveva già accesso.

534    Per questi motivi, la seconda censura deve essere respinta.

535    Nella sua terza censura, la CCCME contesta il rifiuto oppostole dalla Commissione di scindere, per ciascun indicatore macroeconomico utilizzato per dimostrare il pregiudizio subito dall’Unione, le cifre raccolte in due categorie, vale a dire quelle basate su dati reali e quelle basate su stime, affinché le fossero comunicate queste ultime stime in forma aggregata.

536    A tal riguardo, occorre rilevare che, durante l’inchiesta, la CCCME ha avuto accesso, per ciascun indicatore macroeconomico preso in considerazione dalla Commissione, ai dati aggregati, per anno, relativi all’intera industria dell’Unione. Tali cifre aggregate, come indicato nella seconda parte del primo motivo, risultano da una compilazione di dati forniti dalle denuncianti e dai produttori dell’Unione inseriti nel campione e da stime effettuate dalle denuncianti per quanto riguarda i produttori rimanenti.

537    La CCCME ritiene che i suoi diritti della difesa siano stati violati dal rifiuto della Commissione di distinguere, fra le cifre ottenute, da un lato, quelle che provengono da dati reali e, dall’altro, quelle risultanti da stime.

538    A tal riguardo, occorre rilevare, come indicato dalla Commissione, che la stessa non è tenuta ad effettuare una siffatta distinzione quando valuta il pregiudizio dell’Unione, poiché esso si valuta per tutta l’industria dell’Unione. Tuttavia, come indicato al punto 510 supra, la Commissione può essere tenuta a redigere un documento quando è in discussione l’obbligo di garantire i diritti della difesa delle parti interessate nell’ambito di un’inchiesta antidumping e deve, conformemente alla giurisprudenza, entro i limiti di ciò che è compatibile con l’osservanza del segreto professionale, comunicare dati utili per la tutela degli interessi delle parti interessate, scegliendo, eventualmente d’ufficio, i modi appropriati per una siffatta comunicazione (v., in tal senso, sentenza del 20 marzo 1985, Timex/Consiglio e Commissione, 264/82, EU:C:1985:119, punto 30).

539    Nel caso di specie, occorre tuttavia rilevare che i dati reali dei produttori inseriti nel campione e degli altri denuncianti, da un lato, e le stime effettuate per i produttori rimanenti, dall’altro, hanno, sebbene aggregati, natura riservata.

540    In tal senso, come indicato al punto 507 supra, il Tribunale ha dichiarato, nella sentenza del 25 ottobre 2011, CHEMK e KF/Consiglio (T-190/08, EU:T:2011:618, punto 231), che la produzione stimata dei produttori interessati dell’Unione, sulla quale si era basata la Commissione nel contesto del calcolo del consumo, era stata giustamente considerata riservata, in quanto basata sulla conoscenza del mercato posseduta dalle denuncianti. Il Tribunale ha quindi ritenuto che, limitandosi a fornire la cifra della produzione totale, la Commissione avesse agito conformemente al regolamento di base.

541    Per quanto riguarda, come nel caso di specie, una richiesta relativa a dati sensibili a livello commerciale di una parte dell’industria dell’Unione, proveniente da un’associazione che rappresenta tutti i produttori esportatori cinesi attivi nel settore nonché quelli che, in futuro, potrebbero esportare verso l’Unione i prodotti di cui trattasi, come indicato ai precedenti punti 445 e 446, si deve concludere che la conoscenza, da parte di tale associazione, dei dati aggregati relativi all’industria dell’Unione nel suo complesso per ciascuno degli indicatori macroeconomici adottati dalla Commissione fosse sufficiente a consentirle la difesa dei propri interessi.

542    Si deve quindi respingere la terza parte e, di conseguenza, l’intero terzo motivo.

 Sul quarto motivo, relativo alla comparabilità dei prezzi utilizzati per calcolare il margine di dumping ed analizzare il pregiudizio

543    Il quarto motivo si basa su tre parti, che sono contestate dalla Commissione.

–       Sulla prima parte del quarto motivo, relativa al metodo NCP per NCP

544    Nella prima parte, le ricorrenti contestano la semplificazione che sarebbe stata operata dalla Commissione durante l’inchiesta per quanto riguarda le caratteristiche associate agli NCP utilizzati per calcolare il margine di dumping e per analizzare il pregiudizio.

545    A tal riguardo, occorre ricordare, in via preliminare, che gli NCP sono codici utilizzati nelle inchieste antidumping per stabilire una corrispondenza tra tipi di prodotti. Nel corso dell’inchiesta, le imprese contattate sono invitate a classificare i loro prodotti in categorie ai quali corrispondono tali codici. A questi ultimi sono attribuite caratteristiche intese a descrivere i prodotti in esame.

546    Nel caso di specie, la Commissione, durante l’inchiesta, ha escluso dai codici in esame talune caratteristiche che, pur essendo ad essi originariamente collegate, non le sembravano pertinenti. Così, il NCP comunicato ai produttori indiani affinché classificassero i loro prodotti comprendeva, originariamente, quindici caratteristiche. Durante l’inchiesta, solo alcune sono state prese in considerazione ai fini del confronto: un’unica caratteristica (materia prima) nel caso in cui il prodotto di cui trattasi non fosse né fabbricato né venduto da un produttore indiano inserito nel campione e tre caratteristiche (materia prima, classe di carico e tipo di prodotto) negli altri casi.

547    Secondo la Commissione, la prassi consistente nell’escludere talune caratteristiche ai fini del confronto è abituale quando i tipi di prodotti sono complessi, in quanto consente di trovare una certa corrispondenza tra tipi di prodotti che, altrimenti, non potrebbero essere confrontati.

548    Nel loro argomento, le ricorrenti formulano, avverso tale approccio, due censure, che vengono contestate dalla Commissione.

549    Nella prima censura, le ricorrenti sostengono che le quindici caratteristiche inizialmente connesse agli NCP pertinenti erano importanti e avrebbero dovuto essere mantenute durante tutta l’inchiesta e la Commissione non avrebbe dovuto procedere alla semplificazione menzionata al precedente punto 546.

550    A tal riguardo, occorre rilevare che, qualora il prodotto interessato raggruppi un’ampia gamma di beni che presentano rilevanti differenze dal punto di vista delle loro caratteristiche e del loro prezzo, può rivelarsi indispensabile suddividerli in categorie più o meno omogenee (sentenza del 4 marzo 2010, Sun Sang Kong Yuen Shoes Factory/Consiglio, T-409/06, EU:T:2010:69, punto 172; v. altresì, in tal senso, sentenza del 18 novembre 2015, Einhell Germany e a./Commissione, T-73/12, EU:T:2015:865, punto 76).

551    Secondo la giurisprudenza, tale operazione mira a permettere un confronto equo tra prodotti paragonabili e ad evitare quindi un calcolo errato del margine di dumping e del pregiudizio dovuto a confronti inadeguati (sentenza del 4 marzo 2010, Sun Sang Kong Yuen Shoes Factory/Consiglio, T-409/06, EU:T:2010:69, punto 172).

552    Se intendono mettere utilmente in discussione l’approccio utilizzato dalla Commissione in tale contesto, le ricorrenti devono dimostrare che la codificazione proposta da tale istituzione sia manifestamente inadeguata (v., in tal senso, sentenza del 4 marzo 2010, Sun Sang Kong Yuen Shoes Factory/Consiglio, T-409/06, EU:T:2010:69, punto 180).

553    Orbene, nel caso di specie, le ricorrenti non hanno fornito alcun elemento che dimostri concretamente in che modo tale codificazione avrebbe condotto a categorie di prodotti manifestamente inadeguate.

554    In mancanza di tali elementi, non si può ritenere che le ricorrenti abbiano dimostrato il carattere manifestamente inadeguato della codificazione utilizzata dalla Commissione e la prima censura deve, di conseguenza, essere respinta.

555    Nella seconda censura, le ricorrenti contestano alla Commissione di non aver preso in considerazione le stesse caratteristiche connesse agli NCP, da un lato, per la determinazione del dumping e, dall’altro, per l’analisi del pregiudizio.

556    A tal riguardo, occorre rilevare che, come indicato ai precedenti punti 550 e 551, la nomenclatura NCP è utilizzata per identificare i tipi di caratteristiche che, all’interno della categoria costituita dal prodotto interessato, consentono di confrontare i prezzi e i valori nell’ambito dell’inchiesta.

557    Come indicato dalla Commissione, l’uso di tale nomenclatura in un contesto di cui fa parte un paese non retto da un’economia di mercato ha come conseguenza che le caratteristiche derivanti da tale nomenclatura non sono necessariamente identiche a seconda che si tratti di analizzare il pregiudizio o di determinare il margine di dumping.

558    Per analizzare il pregiudizio, si confrontano i prodotti provenienti dalla Repubblica popolare cinese con quelli prodotti nell’Unione. Poiché l’obiettivo è quello di esaminare l’effetto dell’importazione dei primi sul prezzo dei secondi, per effettuare tale confronto deve esistere una corrispondenza tra i tipi effettivamente confrontati.

559    Nell’ambito della determinazione del dumping, il confronto ha ad oggetto i prezzi di vendita dei produttori esportatori nel loro mercato nazionale e quelli dei prodotti esportati verso l’Unione da questi stessi produttori esportatori. Per effettuare tale determinazione nel caso di specie, si è dovuto tener conto del fatto che la Repubblica popolare cinese non era considerata un paese che presentava le caratteristiche di un’economia di mercato. Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), del regolamento di base, tale circostanza rende impossibile l’impiego, ai fini del confronto, dei prezzi praticati sul mercato interno cinese.

560    È in tale contesto che ha luogo la costruzione del valore normale. Per costruire tale valore normale, la Commissione cerca il paese che, tra quelli che presentano le caratteristiche di un’economia di mercato, è più simile, sul piano economico, alla Repubblica popolare cinese. Nel caso di specie, il paese prescelto è stato la Repubblica dell’India.

561    Per effettuare il confronto sopra descritto, la Commissione deve allora individuare i prodotti più simili, per quanto riguarda le caratteristiche connesse agli NCP, a quelli esportati dai produttori esportatori cinesi verso l’Unione. Ai fini di tale individuazione, i servizi della Commissione escludono progressivamente le caratteristiche che non consentono di ricavare una corrispondenza tra i prodotti interessati, fino a quando non riescono a individuare quelle che consentiranno un confronto.

562    In contesto del genere, la differenza tra gli NCP utilizzati nell’ambito della determinazione del dumping e quelli utilizzati nell’ambito dell’analisi del pregiudizio può essere spiegata ricorrendo alla differenza esistente tra i prodotti da confrontare, al fine di effettuare i calcoli necessari in questi due ambiti.

563    Per tali ragioni, la seconda censura deve essere respinta, in quanto non si può contestare alla Commissione di non aver preso in considerazione le stesse caratteristiche connesse agli NCP, da un lato, per la determinazione del dumping e, dall’altro, per l’analisi del pregiudizio.

564    Poiché le due censure sono state respinte, la prima parte del quarto motivo dev’essere integralmente respinta.

–       Sulla seconda parte del quarto motivo, relativa all’assenza di informazioni riguardanti le caratteristiche dei prodotti confrontati

565    Nella seconda parte, le ricorrenti affermano che, sebbene abbia divulgato gli NCP utilizzati, la Commissione non ha fornito alcuna informazione sui modelli di prodotti oggetto del confronto, di conseguenza impedendo loro di stabilire se fossero necessari adeguamenti per garantire la comparabilità dei prezzi.

566    A tal riguardo, occorre rilevare che i membri della CCCME e le altre persone giuridiche i cui nomi figurano nell’allegato I non hanno dimostrato di aver partecipato all’inchiesta o di aver formulato una richiesta alla Commissione intesa ad ottenere la comunicazione delle informazioni di cui trattasi.

567    Non avendo quindi posto la Commissione in grado di valutare i problemi che l’assenza di tali elementi nelle informazioni messe a loro disposizione poteva comportare per loro, i membri della CCCME e le altre persone giuridiche i cui nomi figurano nell’allegato I non sono legittimati a far valere la seconda parte del quarto motivo a sostegno del loro ricorso, conformemente alla giurisprudenza citata al punto 437 supra.

568    Per quanto riguarda, inoltre, tale parte in quanto dedotta dalla CCCME, occorre rilevare che il medesimo argomento, sollevato da tale ente nell’ambito della terza parte del terzo motivo, è stato respinto ai precedenti punti da 519 a 527.

569    Di conseguenza, la seconda parte del quarto motivo dev’essere respinta.

–       Sulla terza parte del quarto motivo, relativa all’adeguamento per i costi di produzione della ghisa duttile

570    Nell’ambito della terza parte, le ricorrenti sostengono che la Commissione avrebbe dovuto procedere a un adeguamento dei prezzi indiani per assicurarne la comparabilità con i prezzi cinesi. La mancanza di specializzazione dei produttori indiani nella fabbricazione di prodotti di ghisa duttile avrebbe un impatto sui costi di produzione considerati dalla Commissione nell’ambito della sua analisi. Tali costi sarebbero nettamente superiori a quelli sostenuti dai produttori esportatori cinesi, data la mancanza di economie di scala e di know-how dei produttori indiani.

571    In tale ambito le ricorrenti sollevano due censure che sono contestate dalla Commissione.

572    Nella prima censura, le ricorrenti sostengono che la domanda di adeguamento non poteva essere respinta per il motivo, opposto dalla Commissione, che essa si era assicurata della rappresentatività delle vendite indiane.

573    A tal riguardo, occorre rilevare che, come indicato al considerando 89 del regolamento impugnato, la Commissione ha verificato se le vendite sul mercato interno di prodotti di ghisa duttile dell’unico produttore indiano inserito nel campione che fabbricava tali prodotti, e i cui prezzi sono stati presi in considerazione, fossero rappresentative ai sensi del regolamento di base, vale a dire se, conformemente all’articolo 2, paragrafo 2, di tale regolamento, tali vendite rappresentassero almeno il 5% del volume totale delle vendite nell’Unione, non fossero state effettuate in perdita commerciale e costituissero normali operazioni commerciali.

574    Contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, da tali verifiche può ritenersi che, poiché le sue vendite sul mercato interno di prodotti di ghisa duttile rappresentavano almeno il 5% del volume totale delle vendite nell’Unione, il produttore indiano i cui dati sono stati utilizzati possiede un certo know-how e dispone di una certa capacità produttiva, il che contrasta con l’obiezione relativa alla mancanza di know-how e di economie di scala dell’industria indiana per la produzione di ghisa duttile dovuta al modesto quantitativo prodotto.

575    Pertanto, la prima censura dev’essere respinta.

576    Nella seconda censura, le ricorrenti sostengono che era impossibile suffragare una domanda di adeguamento senza avere accesso né ai dati relativi ai costi di produzione dei produttori indiani né a una sintesi di tali informazioni. Pertanto, la Commissione avrebbe violato la giurisprudenza derivante dalla sentenza dell’8 luglio 2008, Huvis/Consiglio (T-221/05, non pubblicata, EU:T:2008:258, punti 77 e 78), che vieta di imporre a una persona che rivendichi un adeguamento un onere della prova irragionevole.

577    A tal riguardo, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 10, del regolamento di base, tra il valore normale e il prezzo all’esportazione deve essere effettuato un confronto equo, tenendo conto, se del caso, in forma di adeguamenti, delle differenze tra i fattori che, secondo quanto è affermato e dimostrato, influiscono sui prezzi e quindi sulla loro comparabilità.

578    Secondo la giurisprudenza, spetta alla parte che formula la richiesta dimostrare che l’adeguamento richiesto è necessario per rendere comparabili il valore normale ed il prezzo all’esportazione ai fini della determinazione del margine di dumping (v., in tal senso, sentenza del 16 febbraio 2012, Consiglio e Commissione/Interpipe Niko Tube e Interpipe NTRP, C-191/09 P e C-200/09 P, EU:C:2012:78, punto 58 e giurisprudenza ivi citata).

579    Pertanto, spettava alle ricorrenti, in applicazione di tale giurisprudenza, dimostrare, nel caso di specie, la necessità di un adeguamento.

580    È vero che dalla giurisprudenza richiamata dalle ricorrenti e menzionata al precedente punto 576 si può dedurre che una persona che richiede un adeguamento ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 10, del regolamento di base e alla quale spetta dimostrare la necessità dell’adeguamento richiesto non deve essere tenuta ad assolvere un onere della prova irragionevole e che le istituzioni devono indicarle le informazioni necessarie.

581    Tuttavia, nel caso di specie, sulla base della loro conoscenza del settore, quanto meno del settore cinese, le ricorrenti avrebbero potuto suffragare la loro domanda specificando i modelli e i rapporti di produzione che non determinassero un costo di produzione unitario irragionevole.

582    Nella sua corrispondenza con la Commissione, la CCCME si è tuttavia limitata a osservare che i produttori indiani producevano, in generale, un volume limitato di ghisa duttile, deducendo da tale situazione che i loro costi di produzione unitaria dovevano essere irragionevoli e che i loro prezzi non potevano quindi essere rappresentativi.

583    In un contesto del genere, anch’esso contrassegnato dalla riservatezza delle informazioni di cui trattasi, non era inappropriato da parte della Commissione esigere che la CCCME dimostrasse, in un primo tempo, che la domanda presentava una certa fondatezza e non si basava soltanto su supposizioni generali.

584    Alla luce di tali considerazioni, occorre respingere la seconda censura e, di conseguenza, l’intera terza parte del quarto motivo.

585    Ne consegue che il quarto motivo deve essere respinto.

 Sul quinto motivo, relativo all’adeguamento effettuato per l’IVA

586    Con il quinto motivo, le ricorrenti contestano l’adeguamento per l’IVA operato dalla Commissione sul valore normale.

587    In via preliminare, occorre rilevare che, per determinare se esistesse un dumping, la Commissione ha confrontato il prezzo all’esportazione con il valore normale. In linea di principio, il valore normale è calcolato sulla base dei prezzi pagati o pagabili, nel corso di normali operazioni commerciali, nel paese esportatore, vale a dire la Repubblica popolare cinese. Tuttavia, poiché tale paese non è considerato un paese retto da un’economia di mercato, il valore normale è stato calcolato, nel caso di specie, a partire dai prezzi di vendita sul mercato interno in India, conformemente all’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), del regolamento di base.

588    Dai considerando da 79 a 81 del regolamento impugnato risulta che, nel caso di specie, la Commissione ha proceduto ad un adeguamento per l’IVA, al fine di garantire la comparabilità tra il prezzo all’esportazione dalla Repubblica popolare cinese e il valore normale indiano, fondandosi sull’articolo 2, paragrafo 10, lettera b), del regolamento di base. Per il prezzo all’esportazione, poiché l’aliquota IVA all’esportazione nella Repubblica popolare cinese ammontava al 17%, di cui il 5% era rimborsato, la Commissione ha applicato un prezzo all’esportazione comprensivo di un’aliquota IVA del 12%. Per il valore normale, nella misura in cui i prezzi indiani escludevano l’IVA, la Commissione ha inteso applicare loro l’IVA cinese del 17%, sottraendo il 5% di tale percentuale, tenuto conto dell’articolo 2, paragrafo 10, lettera b), del regolamento di base.

589    Il quinto motivo è suddiviso in due censure che sono contestate dalla Commissione.

590    Con la prima censura, le ricorrenti sostengono che l’articolo 2, paragrafo 10, lettera b), del regolamento di base non consente di procedere all’adeguamento descritto. Infatti, secondo le ricorrenti, dalla formulazione di tale disposizione emerge che essa autorizza un adeguamento solo quando i costi del valore normale non sono riscossi o sono rimborsati al momento delle esportazioni. Nel caso di specie, non esisterebbero tuttavia «imposte indirette che gravano sul prodotto» venduto in India né «imposte indirette che gravano sul prodotto» venduto nella Repubblica popolare cinese. In realtà, l’adeguamento della Commissione sarebbe diretto a correggere una situazione in cui esistono unicamente imposte indirette sulle vendite all’esportazione dalla Repubblica popolare cinese verso l’Unione, che non sono rimborsate. Tuttavia, il testo dell'articolo 2, paragrafo 10, lettera b), del regolamento di base non consentirebbe di operare un adeguamento per tener conto di tale situazione.

591    A tal riguardo, occorre rilevare che, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 10, del regolamento di base, tra il valore normale e il prezzo all’esportazione deve essere effettuato un confronto equo. A tal fine, il confronto deve essere effettuato allo stesso stadio commerciale e prendendo in considerazione vendite realizzate in date per quanto possibile ravvicinate, tenendo debitamente conto di altre differenze incidenti sulla comparabilità dei prezzi.

592    Se il valore normale e il prezzo all’esportazione determinati non si trovano in tale situazione comparabile, si tiene debitamente conto, in forma di adeguamenti, valutando tutti gli aspetti dei singoli casi, delle differenze tra i fattori che, secondo quanto è parzialmente affermato e dimostrato, influiscono sui prezzi e quindi sulla loro comparabilità.

593    Quando viene effettuato, l’adeguamento ha lo scopo di ristabilire la simmetria tra il valore normale e il prezzo all’esportazione di un prodotto. Tale simmetria costituisce quindi un elemento chiave che corrisponde alla necessità di stabilire la comparabilità dei prezzi ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, del regolamento di base (sentenza del 16 dicembre 2011, Dashiqiao Sanqiang Refractory Materials/Consiglio, T‑423/09, EU:T:2011:764, punti 42 e 43).

594    L’articolo 2, paragrafo 10, del regolamento di base elenca i fattori in presenza dei quali possono essere applicati adeguamenti, tra i quali gli oneri all’importazione e le imposte indirette. L’articolo 2, paragrafo 10, lettera b), di detto regolamento dispone infatti che «[i]l valore normale è adeguato di un importo corrispondente agli oneri all’importazione o alle imposte indirette che gravano sul prodotto simile e sui materiali in esso incorporati destinati al consumo nel paese esportatore e che non sono riscossi oppure sono rimborsati per i prodotti esportati nell’Unione».

595    L’articolo 2, paragrafo 10, lettera k), del regolamento di base precisa che un adeguamento può essere ugualmente effettuato per differenze relative ad altri fattori non indicati all’articolo 2, paragrafo 10, lettere da a) a j), se è dimostrato, come prescritto a norma del presente paragrafo, che tali differenze incidono sulla comparabilità dei prezzi, e, in particolare, se gli acquirenti pagano sistematicamente prezzi diversi sul mercato interno a causa della differenza fra tali fattori.

596    Inoltre, occorre rilevare che, secondo la giurisprudenza, l’ampio potere discrezionale di cui dispongono le istituzioni in materia antidumping si applica ai fatti che giustificano il carattere equo del metodo di confronto applicato, laddove la nozione di equità deve essere concretizzata dalle istituzioni caso per caso, tenendo conto del contesto economico pertinente (v., in tal senso, sentenza del 16 dicembre 2011, Dashiqiao Sanqiang Refractory Materials/Consiglio, T-423/09, EU:T:2011:764, punto 41).

597    Nel caso di specie, in primo luogo, occorre rilevare che l’articolo 2, paragrafo 10, lettera b), del regolamento di base non prevede espressamente l’adeguamento del valore normale del paese di riferimento per tener conto dell’IVA all’esportazione applicata nel paese da cui provengono le importazioni oggetto di dumping. Sebbene la Commissione abbia commesso un errore di diritto applicando tale disposizione, tale errore non ha avuto, nelle circostanze del caso di specie, alcuna influenza determinante sull’esito della sua valutazione del caso sottopostole, in quanto l’articolo 2, paragrafo 10, lettera k), del regolamento di base consente alla Commissione di procedere a un siffatto adeguamento allo scopo di ristabilire la simmetria tra il valore normale e il prezzo all’esportazione del prodotto interessato e di garantire un equo confronto tra questi due valori.

598    In secondo luogo, si deve rilevare che la scelta operata, nel caso di specie, dalla Commissione di confrontare il valore normale e il prezzo all’esportazione «IVA inclusa» non può essere censurata, alla luce dell’ampio potere discrezionale di cui essa dispone per quanto riguarda il metodo di confronto applicato.

599    Nella sentenza del 16 dicembre 2011, Dashiqiao Sanqiang Refractory Materials/Consiglio (T-423/09, EU:T:2011:764), il Tribunale ha riconosciuto il carattere equo di un siffatto metodo di confronto tra il valore normale e il prezzo all’esportazione di determinati mattoni di magnesia originari della Repubblica popolare cinese. È stato quindi dichiarato che il Consiglio non aveva commesso un errore manifesto di valutazione ritenendo che, nel caso di specie, il confronto tra il valore normale e il prezzo all’esportazione su una base «IVA inclusa» costituisse un metodo di confronto equo, poiché tale confronto era stato effettuato, nel rispetto dell’esigenza di simmetria tra il valore normale e il prezzo all’esportazione, allo stesso stadio commerciale e prendendo in considerazione vendite interne e all’esportazione realizzate contemporaneamente, tutte soggette all’applicazione di un’aliquota IVA del 17%.

600    Orbene, nel caso di specie, poiché la Commissione può legittimamente considerare un prezzo all’esportazione che includa l’IVA, poiché la Repubblica popolare cinese applica un’IVA all’esportazione del 17%, di cui il 5% è rimborsato, è giustificato che essa proceda ad un adeguamento del valore normale aggiungendo a tale prezzo l’IVA all’aliquota «netto» del 12%, allo scopo di ripristinare una simmetria tra questi due valori.

601    Per questi motivi, la prima censura deve essere respinta.

602    Con la seconda censura, le ricorrenti affermano che l’adeguamento di cui trattasi non può essere effettuato quando la Commissione fa ricorso al metodo del paese di riferimento. Infatti, tale metodo mirerebbe ad evitare che vengano presi in considerazione prezzi e costi vigenti nei paesi non retti da un’economia di mercato, in quanto tali parametri non sono ivi il risultato normale delle forze che si esercitano sul mercato. Orbene, poiché il sistema del rimborso dell’IVA sarebbe considerato dalla Commissione come una distorsione generalizzata dell’economia cinese, che impedisce al paese di vedersi riconoscere lo status di economia di mercato, esso è precisamente un elemento che tale istituzione non dovrebbe voler prendere in considerazione. In altri termini, le ricorrenti sostengono che sarebbe già stato posto rimedio all’asserita distorsione del regime dell’IVA mediante l’applicazione del metodo del paese di riferimento.

603    A tal riguardo, occorre rilevare che, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), del regolamento di base, nel caso di importazioni in provenienza da paesi, come la Repubblica popolare cinese, non retti da un’economia di mercato, il valore normale è, in linea di principio, determinato in base al prezzo o al valore costruito in un paese terzo ad economia di mercato, nella fattispecie la Repubblica dell’India.

604    Secondo la giurisprudenza, l’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), del regolamento di base mira a evitare che vengano presi in considerazione prezzi e costi vigenti in paesi non retti da un’economia di mercato, in quanto tali parametri non sono ivi la risultante normale delle forze che si esercitano sul mercato [v. sentenza del 28 febbraio 2018, Commissione/Xinyi PV Products (Anhui) Holdings, C-301/16 P, EU:C:2018:132, punto 64 e giurisprudenza ivi citata].

605    Tuttavia, ciò non significa che il valore normale così determinato non possa essere oggetto di alcun adeguamento. Infatti, nulla nel regolamento di base indica che l’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), di tale regolamento preveda una deroga generalizzata alla necessità di operare adeguamenti, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 10, dello stesso regolamento, a fini della comparabilità.

606    Pertanto, in un caso come quello di specie, in cui le istituzioni determinano il valore normale in applicazione del metodo del paese di riferimento, a norma dell’articolo 2, paragrafo 10, del regolamento di base, esse devono tener conto, sotto forma di adeguamento, delle differenze accertate tra i fattori di cui si afferma e dimostra l’incidenza sui prezzi e quindi sulla loro comparabilità.

607    Tuttavia, nel caso in cui siano previsti adeguamenti del valore normale, è necessario che l’articolo 2, paragrafo 10, del regolamento di base sia interpretato alla luce e nel contesto dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), del medesimo regolamento. Orbene, al fine di non privare quest’ultima disposizione di effetti utili, occorre che gli adeguamenti effettuati non reintroducano, nell’analisi delle istituzioni, elementi legati ai parametri che, in tale paese, nella fattispecie la Repubblica popolare cinese, non sono il risultato normale delle forze presenti sul mercato (v., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi nelle cause riunite Changshu City Standard Parts Factory e Ningbo Jinding Fastener/Consiglio, C-376/15 P e C-377/15 P, EU:C:2016:928, paragrafo 102).

608    Nel caso di specie, l’applicazione al valore normale dell’aliquota IVA applicabile nella Repubblica popolare cinese non equivale a introdurre o reintrodurre un elemento di distorsione del regime cinese nel calcolo del valore normale determinato sulla base del metodo del paese di riferimento.

609    Infatti, se la Commissione ha potuto ritenere che, in base ai testi prodotti dalle ricorrenti, il regime dell’IVA cinese fosse fonte di distorsioni, ciò è dovuto unicamente, come essa indica, al modo in cui la Repubblica popolare cinese applicava l’IVA all’esportazione, prevedendo il rimborso di tale IVA per taluni prodotti e non per altri.

610    Per tutte queste ragioni, occorre respingere la seconda censura e, pertanto, il quinto motivo.

 Sul sesto motivo, relativo alle SGAV e al profitto

611    Con il sesto motivo, le ricorrenti sostengono che, per stabilire il valore normale dei tipi di prodotti che non erano venduti dai tre produttori indiani inseriti nel campione, ma fabbricati da almeno uno di essi, la Commissione non poteva utilizzare le SGAV né il profitto realizzato con le vendite sul mercato interno nell’ambito di normali operazioni commerciali di tale produttore.

612    Secondo le ricorrenti, la Commissione non può giustificare la propria posizione ricorrendo all’articolo 2, paragrafo 6, del regolamento di base, come ha fatto al considerando 71 del regolamento impugnato. Infatti, tale disposizione si applicherebbe solo alle società che beneficiano del trattamento riservato alle società operanti in condizioni di economia di mercato ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera b), del regolamento di base.

613    La Commissione chiede il rigetto del motivo. Essa precisa che, nella misura in cui le ricorrenti cercano di dedurre un motivo nuovo, vertente sulla violazione dell’articolo 2, paragrafo 6, del regolamento di base, tale motivo deve essere considerato irricevibile, in quanto è stato presentato solo in fase di replica.

614    A tal riguardo, anzitutto, occorre rilevare che la Commissione non presenta correttamente l’argomento sollevato dalle ricorrenti. Infatti, esse sostengono che la Commissione ha violato l’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), del regolamento di base, disposizione che indica come calcolare il valore normale in caso di applicazione del metodo del paese di riferimento. Secondo le ricorrenti, l’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), del regolamento di base escluderebbe quindi che la Commissione possa ricorrere all’articolo 2, paragrafo 6, di detto regolamento, che fissa le modalità di calcolo delle SGAV e dei profitti, poiché tale disposizione si applicherebbe solo in caso di importazioni originarie di un paese retto da un’economia di mercato o alle società di un paese non retto da un’economia di mercato per le quali è stato deciso che possono beneficiare del trattamento di un’economia di mercato in applicazione dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera b), del regolamento di base. Orbene, tale argomento è stato sollevato già nella fase del ricorso ed è, di conseguenza, ricevibile.

615    Occorre poi ricordare che, come indicato dalla Commissione al considerando 67 del regolamento impugnato, nel caso in cui un tipo di prodotto non era venduto dai tre produttori indiani inseriti nel campione ma era comunque fabbricato da almeno uno di essi, essa ha utilizzato un valore costruito nel contesto del calcolo del valore normale. Tale valore è stato costruito sulla base del costo di produzione di tale produttore indiano, maggiorato delle SGAV nonché del profitto realizzato con le vendite sul mercato interno nell’ambito di normali operazioni commerciali di tale produttore.

616    Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 6, del regolamento di base, «[g]li importi relativi alle [SGAV] e ai profitti sono basati su dati effettivi attinenti alla produzione e alla vendita del prodotto simile, nel corso di normali operazioni commerciali, da parte dell’esportatore o del produttore soggetti all’inchiesta». In tale disposizione sono poi elencati altri metodi, nel caso in cui tali importi non possano essere determinati in tal modo.

617    Le ricorrenti non contestano che la Commissione avrebbe potuto prendere in considerazione le SGAV e i profitti dell’unico produttore indiano che fabbricava i tipi di prodotto di cui trattasi conformemente all’articolo 2, paragrafo 6, del regolamento di base, se quest’ultimo fosse stato applicabile. Esse sostengono che, in un caso come quello di specie, in cui il valore normale, conformemente all’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), del regolamento di base, è determinato secondo il metodo del paese di riferimento, i paragrafi da 1 a 6 di tale articolo non sono applicabili.

618    A tal riguardo, occorre rilevare che, come affermato dalle ricorrenti a sostegno del loro argomento, dalla giurisprudenza risulta che, in forza dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), del regolamento di base, nel caso di importazioni in provenienza da paesi non retti da un’economia di mercato, in deroga alle norme di cui ai paragrafi da 1 a 6 del medesimo articolo, il valore normale è determinato, in linea di principio, in base al prezzo o al valore costruito in un paese terzo ad economia di mercato (sentenza del 19 luglio 2012, Consiglio/Zhejiang Xinan Chemical Industrial Group, C-337/09, EU:C:2012:471, punto 66).

619    Così, dalla formulazione e dalla struttura dell’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento di base, risulta che la determinazione del valore normale dei prodotti in provenienza dalla Repubblica popolare cinese in applicazione delle regole enunciate all’articolo 2, paragrafi da 1 a 6, del regolamento di base, è limitata a casi individuali specifici, che non ricorrono nella fattispecie, in cui i produttori interessati hanno, ciascuno per proprio conto, presentato una richiesta debitamente documentata conformemente ai criteri e alle procedure di cui all’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), di detto regolamento (sentenza del 23 ottobre 2003, Changzhou Hailong Electronics & Light Fixtures e Zhejiang Yankon/Consiglio, T-255/01, EU:T:2003:282, punto 40).

620    L’obiettivo è evitare che vengano presi in considerazione i prezzi e i costi vigenti in paesi non retti da un’economia di mercato, nella misura in cui tali parametri non sono la risultante normale delle forze che si esercitano sul mercato (sentenza del 19 luglio 2012, Consiglio/Zhejiang Xinan Chemical Industrial Group, C-337/09 P, EU:C:2012:471, punto 66).

621    Ne consegue che la Commissione non può sottrarsi alle prescrizioni di cui all’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), del regolamento di base per calcolare il valore normale, vale a dire che essa deve, in conformità a tale disposizione, determinare il valore normale «in base al prezzo o al valore costruito in un paese terzo ad economia di mercato oppure al prezzo per l’esportazione da tale paese terzo ad altri paesi; compresa l’Unione, oppure, qualora ciò non sia possibile, su qualsiasi altra base equa, compreso il prezzo realmente pagato o pagabile nell’Unione per un prodotto simile, se necessario debitamente adeguato per includere un equo margine di profitto».

622    Tanto precisato, occorre rilevare che, fatta eccezione per la fonte dei prezzi o dei costi da utilizzare, che corrisponde al paese terzo retto da un’economia di mercato scelto dalla Commissione, vale a dire, nella specie, la Repubblica dell’India, e l’ordine di esposizione dei metodi enunciati, che deve essere rispettato dalla Commissione, come ricorda la giurisprudenza (v., in tal senso, sentenza del 22 marzo 2012, GLS, C‑338/10, EU:C:2012:158, punti da 24 a 26), l’articolo 26, paragrafo 7, lettera a), del regolamento di base non fornisce indicazioni sulle modalità di calcolo del prezzo o del valore costruito nel paese di riferimento, in particolare per quanto riguarda le SGAV e il profitto.

623    In tale contesto, non è escluso che la Commissione possa riprendere taluni elementi metodologici contenuti nell’articolo 2, paragrafi da 1 a 6, del regolamento di base, a condizione che essi non siano manifestamente inidonei e non abbiano l’effetto di reintrodurre parametri del paese originario che non sono il risultato normale delle forze che si esercitano sul mercato.

624    Nel caso di specie, le SGAV e il profitto presi in considerazione nel calcolo del valore normale costruito per un tipo di prodotto di ghisa duttile e due tipi di prodotto di ghisa grigia sono quelli dell’unico produttore indiano che fabbricava i prodotti di cui trattasi e di cui, di conseguenza, è stato preso in considerazione il costo di produzione.

625    Alla luce dell’ampio potere discrezionale riconosciuto alla Commissione in materia antidumping, non si può ritenere che fosse manifestamente inappropriato da parte sua aggiungere al costo di produzione di tale produttore le SGAV e il profitto relativo alle sue vendite. Inoltre, la presa in considerazione delle sole SGAV e del profitto di tale produttore indiano non ha avuto l’effetto di reintrodurre parametri della Repubblica popolare cinese che non erano il risultato normale delle forze che si esercitavano sul mercato.

626    Il sesto motivo deve pertanto essere respinto.

 Sulla domanda di misura di organizzazione del procedimento

627    A conclusione del loro primo motivo, le ricorrenti chiedono al Tribunale di disporre, a titolo di misura di organizzazione del procedimento, che la Commissione produca informazioni che erano già state richieste a tale istituzione durante l’inchiesta, ossia i calcoli e i dati sorgente riguardanti il volume delle importazioni oggetto di dumping, il pregiudizio e il margine di dumping dei produttori esportatori cinesi e indiani.

628    A tal riguardo, occorre rilevare che, secondo la giurisprudenza, spetta al Tribunale valutare l’utilità delle misure di organizzazione del procedimento (v. sentenza del 9 marzo 2015, Deutsche Börse/Commissione, T-175/12, non pubblicata, EU:T:2015:148, punto 417 e giurisprudenza ivi citata).

629    Nel caso di specie, gli elementi contenuti nel fascicolo sono sufficienti a consentire al Tribunale di pronunciarsi, poiché quest’ultimo ha potuto utilmente statuire sulla base delle conclusioni, dei motivi e degli argomenti sviluppati in corso di causa e alla luce dei documenti depositati dalle parti.

630    Ne consegue che la domanda di misura di organizzazione dev’essere respinta così come l’intero ricorso, senza che sia necessario pronunciarsi sulla ricevibilità o sulla rilevanza di tutte le censure contestate dalla Commissione che sono state respinte nel merito.

 Sulle spese

631    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Le ricorrenti, rimaste soccombenti, devono essere condannate a farsi carico delle proprie spese nonché di quelle sostenute dalla Commissione e dalle intervenienti, conformemente alla domanda di queste ultime.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione ampliata)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La China Chamber of Commerce for Import and Export of Machinery and Electronic Products e le altre parti ricorrenti il cui nome è contenuto in allegato sono condannate alle spese.

Gervasoni

Madise

Nihoul

Frendo

 

Martín y Pérez de Nanclares

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 19 maggio 2021.

Il cancelliere

 

Il presidente

E. Coulon


Indice


Fatti

Procedimento e conclusioni delle parti

In diritto

Sulla ricevibilità

Sulla mancanza di chiarezza e di precisione del ricorso

Sulla ricevibilità del ricorso in quanto proposto in nome proprio dalla CCCME

– Sulla legittimazione ad agire

– Sull’interesse ad agire

Sulla ricevibilità del ricorso in quanto proposto dalla CCCME in nome dei suoi membri e sulla ricevibilità degli argomenti addotti a sostegno di tale ricorso

– Assenza di rappresentatività

– Natura del regolamento impugnato

– Membri non inseriti nel campione

– Limitazione degli argomenti che possono essere invocati

Sulla ricevibilità del ricorso in quanto proposto dalle altre persone giuridiche i cui nomi figurano nell’allegato I

Conclusione sulla ricevibilità

Nel merito

Sulla portata del controllo giurisdizionale

Sul primo motivo, relativo alla determinazione dell’esistenza di un danno e del nesso di causalità

– Sulla prima parte del primo motivo, relativa al calcolo del volume delle importazioni

– Sulla seconda parte del primo motivo, relativa agli indicatori macroeconomici utilizzati dalla Commissione per stabilire il pregiudizio subito dall’industria dell’Unione

– Sulla terza parte del primo motivo, relativa alla redditività dei produttori dell’Unione

– Sulla quarta parte del primo motivo, relativa al campione dei produttori dell’Unione

– Sulla quinta parte del primo motivo, relativa all’inclusione di prezzi infragruppo nel calcolo dei costi dell’industria dell’Unione

– Sulla sesta parte del primo motivo, relativa principalmente alla differenza nelle pratiche imputate ai produttori esportatori a seconda che fossero indiani o cinesi

Sul secondo motivo, relativo al nesso di causalità

– Sulla prima parte del secondo motivo, relativa all’assenza di simultaneità tra l’aumento delle importazioni oggetto di dumping e il peggioramento della situazione dell’industria dell’Unione

– Sulla seconda parte del secondo motivo, relativa alla necessità di effettuare un’analisi del pregiudizio per segmento

– Sulla terza parte del secondo motivo, relativa ai prezzi delle importazioni e all’importanza della sottoquotazione

Sul terzo motivo, relativo al rifiuto di comunicare talune informazioni

– Sulla ricevibilità del terzo motivo

– Sul rapporto tra i diritti della difesa e l’obbligo di riservatezza

– Sulla prima parte del terzo motivo, relativa alla richiesta di comunicazione dei calcoli effettuati dalla Commissione

– Sulla seconda parte del terzo motivo, relativa alla richiesta di comunicazione dei calcoli in forma aggregata

– Sulla terza parte del terzo motivo, relativa ad altre informazioni richieste dalla CCCME

Sul quarto motivo, relativo alla comparabilità dei prezzi utilizzati per calcolare il margine di dumping ed analizzare il pregiudizio

– Sulla prima parte del quarto motivo, relativa al metodo NCP per NCP

– Sulla seconda parte del quarto motivo, relativa all’assenza di informazioni riguardanti le caratteristiche dei prodotti confrontati

– Sulla terza parte del quarto motivo, relativa all’adeguamento per i costi di produzione della ghisa duttile

Sul quinto motivo, relativo all’adeguamento effettuato per l’IVA

Sul sesto motivo, relativo alle SGAV e al profitto

Sulla domanda di misura di organizzazione del procedimento

Sulle spese


*      Lingua processuale: l’inglese.


1      L’elenco delle altre ricorrenti è allegato unicamente alla versione notificata alle parti.


2      L’elenco delle altre intervenienti è allegato unicamente alla versione notificata alle parti.