Language of document : ECLI:EU:C:2005:676

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

ANTONIO Tizzano

presentate il 10 novembre 2005 (1)

Causa C-292/04

Wienand Meilicke

Heidi Christa Weyde

Marina Stöffler

contro

Finanzamt Bonn-Innenstadt

[domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Finanzgericht Köln (Germania)]

«Restrizione alla libera circolazione dei capitali – Imposta sul reddito – Credito di imposta sui dividendi versati da società stabilite in Germania – Effetti nel tempo di una sentenza della Corte – Limiti»





1.        Con ordinanza depositata il 9 luglio 2004 il Finanzgericht Köln ha posto alla Corte una questione pregiudiziale volta ad appurare se una normativa tedesca che concede ai contribuenti un credito d’imposta soltanto sui dividendi loro versati da società stabilite in Germania sia compatibile con gli artt. 56 CE e 58 CE.

I –    Quadro giuridico

A –    Diritto comunitario

2.        Com’è noto, l’art. 56, n. 1, CE vieta «tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi».

3.        L’art. 58 CE aggiunge tuttavia che tale divieto:

«1.      [non pregiudica] il diritto degli Stati membri:

a)      di applicare le pertinenti disposizioni della loro legislazione tributaria in cui si opera una distinzione tra i contribuenti che non si trovano nella medesima situazione per quanto riguarda il loro luogo di residenza o il luogo di collocamento del loro capitale;

b)      di prendere tutte le misure necessarie per impedire le violazioni della legislazione e delle regolamentazioni nazionali, in particolare nel settore fiscale (…).

(…)

3.      Le misure e le procedure [anzidette] non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al libero movimento dei capitali e dei pagamenti di cui all’articolo 56».

B –    Diritto nazionale

4.        L’art. 36, secondo comma, n. 3, dell’Einkommensteuergesetz (legge tedesca sull’imposta sul reddito, in prosieguo: l’«EStG») (2), in combinato disposto con l’art. 20 della medesima legge, permette ai contribuenti di dedurre da quanto dovuto al fisco tedesco a titolo di imposta sul reddito i 3/7 dei dividendi loro versati da società stabilite in Germania. Nessuna disposizione permette invece l’applicazione di tale meccanismo, noto come credito d’imposta, ai dividendi provenienti da società stabilite in altri Stati membri.

5.        L’aliquota dell’imposta che le società stabilite in Germania devono pagare sui loro utili è pari al 30%. Pertanto il credito d’imposta evita che tali utili siano tassati una seconda volta quando vengono distribuiti agli azionisti sotto forma di dividendi (3).

6.        Si noti che, ai sensi dell’art. 36, secondo comma, n. 3, dell’EStG, il credito d’imposta sugli utili distribuiti dalle società tedesche è riconosciuto anche in mancanza dell’avvenuto pagamento da parte di tali società dell’imposta dovuta.

7.        Ricordo infine che con una legge del 2000 (4), applicabile dall’anno fiscale 2001, la Repubblica federale di Germania ha abbandonato il descritto sistema per sostituirlo con il cosiddetto «metodo d’imposizione del 50%» (Halbeinkünfteverfahren), in base al quale l’imposta sul reddito si applica solo a metà dei dividendi percepiti da un azionista. Tale metodo permette di evitare, o quantomeno di limitare fortemente, la doppia imposizione dei dividendi, senza passare però attraverso la concessione di crediti d’imposta (5).

II – Fatti e procedura

8.        Tra il 1995 e il 1997 il sig. Meilicke, cittadino tedesco residente in Germania e detentore di azioni di società olandesi e danesi, aveva da queste percepito, a titolo di dividendi, DEM 16 984,85.

9.        Con lettera del 30 ottobre 2000 gli eredi del sig. Meilicke, nel frattempo deceduto, hanno chiesto alla competente amministrazione fiscale (Finanzamt Bonn-Innenstadt) un credito di imposta pari ai 3/7 della cifra sopra indicata, facendo valere che, sebbene la normativa nazionale in materia riguardasse soltanto i dividendi versati da società stabilite in Germania, l’estensione di tale meccanismo ai dividendi provenienti da società di altri Stati membri sarebbe imposta dal diritto comunitario, come interpretato dalla Corte nella sentenza Verkooijen (6).

10.      L’amministrazione richiesta rigettava però tale domanda, sostenendo che la sentenza appena citata riguardava soltanto la normativa fiscale olandese, la cui corrispondenza con quella tedesca non era stata accertata.

11.      Gli eredi del sig. Meilicke adivano quindi il Finanzgericht Köln, il quale, pur nutrendo forti dubbi sulla compatibilità della normativa nazionale con la libera circolazione dei capitali, ha comunque costatato che le autorità legislative e amministrative tedesche non si ritengono vincolate dalla giurisprudenza comunitaria che non concerna direttamente il diritto nazionale. Di conseguenza, ha ritenuto necessario sospendere il procedimento per rivolgere alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’art. 36, secondo comma, n. 3, dell’[EStG] (nella versione in vigore negli anni controversi), ai cui sensi si deduce dall’imposta sul reddito solo l’imposta sulle società a carico di una società senza restrizioni soggetto passivo d’imposta, ovvero di un’associazione di persone, nella misura dei 3/7 delle entrate di cui all’art. 20, primo comma, nn. 1 o 2, dell’EStG, sia compatibile con gli artt. 56, n. 1, CE e 58, n. 1, lett. a), e n. 3, CE».

12.      Nel procedimento così instauratosi hanno presentato osservazioni scritte i ricorrenti nel giudizio principale, il governo tedesco e la Commissione. Gli stessi soggetti, con l’aggiunta del governo del Regno Unito, hanno preso parte all’udienza tenutasi l’8 settembre 2005.

III – Valutazione

La compatibilità della legislazione tedesca in causa

13.      Il giudice nazionale vuole sapere in sostanza se le norme comunitarie che prevedono la libera circolazione dei capitali permettano al sistema fiscale tedesco di limitare la concessione del credito d’imposta ai contribuenti che percepiscono dividendi da società stabilite in Germania.

14.      In senso negativo propongono di rispondere i ricorrenti nel giudizio a quo e la Commissione, mentre di opposto avviso si sono dichiarati il governo tedesco e quello del Regno Unito.

15.      Per parte mia, credo che la soluzione del quesito possa giovarsi in modo determinante della recente sentenza Manninen (7), sentenza nella quale la Corte ha risolto una questione quasi identica, ma della quale il giudice nazionale non ha potuto tener conto perché pronunciata dopo il deposito dell’ordinanza di rinvio.

16.      In quella pronuncia, posta di fronte ad una normativa finlandese assai simile a quella tedesca qui in causa, la Corte ha obiettato che, in quanto limitava il credito d’imposta ai dividendi distribuiti da società stabilite in Finlandia, quella normativa da un lato dissuadeva le persone fiscalmente residenti in tale Stato dall’investire i loro capitali in società aventi sede in altri Stati membri (punto 22), dall’altro rendeva più difficoltosa per tali società la raccolta di capitali in Finlandia (punto 23). Di conseguenza, la normativa in causa doveva essere considerata incompatibile con il diritto comunitario in quanto «costitui[va] una restrizione alla libera circolazione dei capitali, vietata, in linea di principio dall’art. 56 CE» (punto 24).

17.      D’altra parte, la Corte non ha neppure ritenuto sussistenti nella specie le condizioni che la sua giurisprudenza esige per poter eventualmente giustificare simili restrizioni. Com’è noto, secondo tale giurisprudenza, «perché una normativa tributaria nazionale (…) che opera (…) una distinzione tra i redditi da dividendi nazionali e quelli da dividendi stranieri, possa considerarsi compatibile con le disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione dei capitali, occorre che [i)] la differenza di trattamento riguardi situazioni che non siano oggettivamente paragonabili o [ii)] sia giustificata da motivi imperativi di interesse generale, quale quello di salvaguardare la coerenza del regime tributario (sentenza Verkooijen, cit., punto 43)» (punto 29).

18.      Ora, quanto al primo aspetto, la Corte ha ricordato che lo scopo della normativa nazionale è di prevenire la doppia imposizione dei dividendi. Pertanto, la comparabilità tra la situazione di chi investe in azioni di società «nazionali» e quella di chi investe in azioni di società stabilite altrove nella Comunità viene meno soltanto se lo Stato membro di stabilimento della società «estera» ha già scongiurato il rischio di doppia imposizione, ad esempio escludendo dalla base imponibile ai fini dell’imposta sulle società gli utili da queste distribuiti come dividendi. Poiché tale eventualità non si verificava nel caso di specie, la Corte ha escluso l’applicabilità di tale giustificazione (punti 35-37).

19.      Quanto al secondo aspetto, la Corte ha osservato che «la coerenza del regime tributario [nazionale] resta garantita fintantoché perdura la correlazione tra il beneficio fiscale concesso all’azionista e l’imposta dovuta a titolo d’imposta sulle società. Pertanto, (…) la concessione ad un azionista, che sia fiscalmente residente in Finlandia e che detenga azioni di una società avente sede in Svezia, di un credito d’imposta che sia calcolato in base all’imposta dovuta da questa a titolo d’imposta sulle società in tale ultimo Stato membro non comprometterebbe la coerenza del regime tributario finlandese» (punto 46, il corsivo è mio).

20.      Tornando ora al caso oggetto del presente giudizio, mi pare anzitutto fuor di dubbio che, in quanto limita la concessione del credito d’imposta ai dividendi versati da società stabilite in Germania, la normativa tedesca in causa restringe la libera circolazione dei capitali allo stesso modo di come faceva la normativa finlandese esaminata nel caso Manninen.

21.      Quanto poi alle eventuali cause di giustificazione di tale restrizione di cui ho detto poc’anzi (v. supra, paragrafi 17 ss.), osservo in primo luogo che anche nel caso di specie le categorie di dividendi oggetto della contestata disparità di trattamento presentano la stessa situazione, sono cioè «oggettivamente paragonabili». In effetti, posto che gli Stati membri di stabilimento delle società che hanno versato dividendi al sig. Meilicke (Paesi Bassi e Danimarca), così come la Svezia nel caso Manninen, non limitano la base imponibile dell’imposta sulle società agli utili non distribuiti, ne consegue che gli azionisti residenti in Germania si trovano in una situazione paragonabile sia che percepiscano dividendi da una società con sede in tale Stato sia che li percepiscano da un società con sede negli altri Stati membri. In entrambi i casi cioè i pertinenti redditi di quei soggetti sono anzitutto assoggettati all’imposta sulle società e poi, se sono distribuiti sotto forma di dividendi, all’imposta sul reddito dei beneficiari degli stessi.

22.      Né credo che ad una diversa conclusione possa indurre il precedente della sentenza D. (8), evocato in udienza dal Regno Unito proprio a proposito del criterio della «oggettiva comparabilità» delle situazioni rilevanti. Secondo quel governo, se ho ben capito, si dovrebbe dedurre da detta pronuncia che ai fini dell’estensione di eventuali benefici fiscali la comparabilità delle situazioni possa discendere solo da un preciso inquadramento giuridico delle stesse, quale (come appunto in quel caso) l’esistenza di una convenzione sulla doppia imposizione.

23.      Confesso che non sono riuscito a cogliere pienamente il senso del richiamo a quel precedente, né le deduzioni che se ne sono tratte. A me pare, in effetti, che nel caso D. siano state considerate situazioni assai diverse da quelle del presente caso, visto che si discuteva in particolare dell’estensione del beneficio degli abbattimenti sull’imposta patrimoniale a favore di non residenti e della possibilità di far fruire dei benefici di una convenzione bilaterale sulla doppia imposizione anche cittadini comunitari residenti in uno Stato non parte della convenzione.

24.      Ad ogni modo, anche ammesso che quella pronuncia possa rilevare ai fini del problema qui in discussione, resta il fatto che essa si riferisce ad un caso molto specifico e particolare e quindi non suscettibile di generalizzazione. In ogni caso, essa di certo non autorizza a dedurre, come regola generale, che l’applicazione di disposizioni fondamentali del diritto comunitario, quali quelle sulla libera circolazione dei capitali, possa essere condizionata all’esistenza di convenzioni bilaterali tra gli Stati membri.

25.      Venendo poi all’altra giustificazione sopra evocata e fondata sulla necessità di salvaguardare la coerenza del regime tributario, credo che neppure di essa si possa valere nella specie il governo tedesco. Tale coerenza è infatti garantita, conformemente agli insegnamenti della sentenza Manninen, nella misura in cui «perdura la correlazione tra il beneficio fiscale concesso all’azionista e l’imposta dovuta a titolo d’imposta sulle società» (punto 46). Nella specie essa è più specificamente garantita dal fatto che il credito d’imposta da concedere agli eredi del sig. Meilicke viene calcolato tenendo conto di quanto le società danesi ed olandesi di cui il defunto era azionista hanno effettivamente pagato in Danimarca e nei Paesi Bassi a titolo di imposta sulle società.

26.      Né rileva in senso contrario, come invece pretende il governo federale, il fatto che la normativa tedesca oggi in causa, a differenza di quella finlandese, preveda che il credito d’imposta sui dividendi di società tedesche sia concesso indipendentemente dall’avvenuto pagamento dell’imposta sugli utili da parte di dette società (v. supra, paragrafo 6).

27.      Questa caratteristica del sistema di concessione del credito d’imposta – sostiene il governo federale – trova spiegazione nel fatto che, per le società stabilite in Germania, l’amministrazione fiscale tedesca può facilmente verificare se l’imposta dovuta dalle società sia già stata versata e, se così non fosse, altrettanto facilmente potrebbe procedere alla riscossione. Poiché ciò non sarebbe invece possibile per le società stabilite in altri Stati membri, i dividendi da queste versati non dovrebbero godere di alcun credito d’imposta.

28.      Ricordo però che la sentenza Manninen obbliga le autorità nazionali a riconoscere un credito corrispondente all’imposta effettivamente pagata dalle società negli Stati membri di stabilimento, «come determinata in base alle norme generali applicabili al calcolo della base imponibile nonché all’aliquota dell’imposta sulle società» in quegli Stati. In ogni caso, ribadisce quella sentenza, «[e]ventuali difficoltà circa la determinazione dell’imposta effettivamente pagata non possono (…) giustificare un ostacolo alla libera circolazione dei capitali» quale quello rappresentato dalla legislazione nazionale in causa (punto 54).

29.      Infine, osservo che, per compiere i necessari accertamenti, le autorità tedesche potranno servirsi degli strumenti di cooperazione tra amministrazioni fiscali previsti dalla direttiva 77/799/CEE (9), i quali permettono lo scambio delle informazioni necessarie alla corretta determinazione delle imposte sul reddito e sul patrimonio delle persone fisiche e giuridiche. Di fatto, come rilevato dalla Corte, tale direttiva «offre possibilità di ottenere informazioni necessarie analoghe a quelle esistenti fra gli uffici tributari sul piano interno» (10).

30.      Dato quanto precede, propongo quindi alla Corte di rispondere alla questione pregiudiziale nei medesimi termini utilizzati nella sentenza Manninen, e cioè di dichiarare che «gli artt. 56 CE e 58 CE ostano ad una normativa ai sensi della quale il diritto di una persona, che sia fiscalmente residente in uno Stato membro, al credito d’imposta sui dividendi versatigli da società per azioni sia escluso qualora queste ultime non abbiano sede in tale Stato» (11).

Sugli effetti nel tempo della pronuncia della Corte

31.      Ciò detto, resta però ancora da prendere posizione sulla richiesta, formulata in via subordinata dal governo federale, di limitare nel tempo gli effetti della sentenza che concluderà il presente caso, ove essa dichiarasse – come ho appena proposto – l’incompatibilità della normativa nazionale in causa.

32.      A questo proposito, conviene subito ricordare che, secondo la costante giurisprudenza della Corte, «l’interpretazione di una norma di diritto comunitario fornita dalla Corte, chiarisce e precisa il significato e la portata della norma stessa come deve o avrebbe dovuto essere intesa ed applicata sin dal momento della sua entrata in vigore. (…) Solo in via eccezionale la Corte può, applicando il principio generale della certezza del diritto inerente all’ordinamento comunitario, essere indotta a limitare la possibilità per gli interessati di far valere la disposizione così interpretata onde rimettere in discussione rapporti giuridici costituiti in buona fede» (12).

33.      Sotto questo profilo, precisa la Corte, le conseguenze finanziarie che potrebbero derivare per uno Stato membro da una sentenza pronunciata in via pregiudiziale non possono giustificare, di per sé, la limitazione dell’efficacia nel tempo di tale sentenza (13).

34.      Tale limitazione è invece possibile, sempre in via eccezionale, se ricorrono le seguenti condizioni, e cioè:

i)      se vi sia «un rischio di gravi ripercussioni economiche dovute, in particolare, all’elevato numero di rapporti giuridici costituiti in buona fede sulla base della normativa ritenuta validamente vigente» (14). E ciò vale anche nel caso in cui si tratti di rimettere in causa imposte riscosse dalle competenti autorità nazionali (15);

ii)      e se «i singoli e le autorità nazionali [siano] stati indotti ad un comportamento non conforme alla normativa comunitaria in ragione di una obiettiva e rilevante incertezza circa la portata delle disposizioni comunitarie, incertezza alla quale avevano eventualmente contribuito gli stessi comportamenti tenuti da altri Stati membri o dalla Commissione» (16).

35.      Ora, nel caso di specie la prima condizione potrebbe dirsi soddisfatta, se dovessero risultare esatte le cifre ufficialmente fornite dal governo tedesco. Questo ha stimato infatti, senza peraltro essere contestato, che i rimborsi da concedere in caso di mancata limitazione degli effetti della eventuale sentenza di incompatibilità ammonterebbero a euro 9-13 miliardi (pari rispettivamente allo 0,41%-0,59% del PIL nazionale del 2004). È vero che in udienza la stima è stata ridotta a euro 5 miliardi (pari allo 0,25% del PIL del 2004), dato che, per effetto di sopravvenute modifiche delle procedure nazionali in materia fiscale, i crediti d’imposta non corrisposti possono essere reclamati solo per i dividendi versati a partire dal 1998. Ma si tratta pur sempre, mi sembra, di importi considerevoli e tali comunque da implicare un «rischio di gravi ripercussioni economiche».

36.      Meno evidente appare la sussistenza della seconda condizione sopra indicata. Risulta in effetti dal fascicolo che con lettera del 31 ottobre 1995 la Commissione aveva segnalato al governo tedesco che la normativa sul credito d’imposta violava il diritto comunitario. Si potrebbe dunque concludere che la condizione in questione non sia soddisfatta nella specie, atteso che non esisteva quell’obiettiva e rilevante incertezza richiesta dalla giurisprudenza di cui si è detto poc’anzi.

37.      Devo però osservare che alla citata lettera del 1995 non ha fatto seguito alcuna ulteriore azione da parte della Commissione. Nelle osservazioni presentate alla Corte, quest’ultima ha dichiarato di non aver avviato una procedura d’infrazione in quanto la normativa tedesca sul credito d’imposta era poi stata abrogata. In realtà, però, la riforma con cui il legislatore tedesco ha introdotto un nuovo e diverso sistema di tassazione, che non prevede crediti d’imposta, è avvenuta solo con la ricordata legge del 2000 (v. supra, paragrafo 7). Per un consistente lasso di tempo, dunque, la Commissione non ha dato seguito ai suoi avvertimenti.

38.      Ora, nella sentenza Defrenne II, la Corte ha osservato che «[i]l fatto che la Commissione non [avesse] promosso [un] ricors[o] per infrazione (…), nonostante gli avvertimenti da essa dati, [era] stato atto a corroborare un’opinione erronea circa l’efficacia» della norma comunitaria di cui si pretendeva la violazione (17).

39.      Si potrebbe dunque ritenere, analogamente, che anche nel caso in esame la lunga inazione della Commissione abbia potuto determinare un’obiettiva incertezza sull’idoneità della normativa nazionale sul credito d’imposta a restringere la libera circolazione dei capitali.

40.      Ciò tanto più che, come ha riconosciuto in udienza la stessa Commissione (ma si tratta in realtà di una valutazione assai diffusa (18)), fino alla citata sentenza Verkooijen la portata delle norme sulla libera circolazione dei capitali rispetto a meccanismi fiscali del genere di quello oggi in causa non era del tutto chiara. E che questa incertezza fosse reale e non pretestuosa sembra indirettamente confermato anche dal fatto che, una volta intervenuta quella sentenza, il governo federale ha immediatamente provveduto a conformarvi la preesistente legislazione.

41.      Mi sembra dunque che non manchino argomenti per ritenere sussistenti le condizioni per una limitazione nel tempo della dichiarazione di incompatibilità della normativa tedesca.

42.      Potrei ancora aggiungere in tal senso alcune considerazioni di carattere più generale, che in qualche modo discendono dagli stessi criteri enunciati dalla ricordata giurisprudenza della Corte. È vero infatti che, secondo quest’ultima, la limitazione degli effetti di una sentenza può essere decisa solo in via eccezionale. Da quella stessa giurisprudenza può però altresì dedursi che tale decisione deve tener conto della necessità di non appesantire oltre quanto strettamente necessario la situazione degli Stati membri. Le finalità e gli interessi prioritari dell’ordinamento sono di assicurare e, per quanto possibile, ristabilire il rispetto del diritto. Quando tali finalità possono essere utilmente perseguite, non vi è alcun motivo per far giocare criteri interpretativi più severi, che esprimerebbero a quel punto solo intenti afflittivi, l’intento cioè di «punire» il «reo» per aver osato violare il diritto comunitario (qualcosa del genere si ritrova nel nuovo art. 228 CE, ma a tutt’altri fini e tutt’altre condizioni). Ma simili obiettivi, per quanto ciò non sempre appaia evidente nella prassi, sono del tutto estranei al sistema, laddove è coerente con questo (e con la citata giurisprudenza della Corte) evitare, ove non sia strettamente necessario, ricadute negative per gli Stati membri. È noto del resto che questi, in quanto strutture estremamente complesse ed articolate, incontrano normalmente serie difficoltà a star dietro alla incessante e non sempre limpida normativa comunitaria; è quindi lodevole lo sforzo che compiono, nella grande maggioranza dei casi con successo, per conformarsi ad essa. È giusto che, quando così non accade, la Commissione e la Corte non si facciano condizionare da quelle difficoltà per non perseguire o peggio giustificare eventuali violazioni; non è giusto però non tenerne conto quando le finalità dell’ordinamento possono essere perseguite senza che occorra innestarvi implicazioni punitive o comunque appesantire inutilmente la già non facile situazione dello Stato (e questo si potrebbe dire, per altro verso, anche a proposito delle infrazioni del tutto formali o comunque di rilievo estremamente modesto).

43.      Se si ritiene allora, alla luce di tutto quanto precede, che sussistano le condizioni per una limitazione nel tempo degli effetti della vostra sentenza, resta a questo punto da individuare il momento da cui far decorrere tali effetti. Devo avvertire peraltro che, date le particolari caratteristiche del presente caso, la ricerca si rivelerà meno agevole del previsto.

44.      Comincio col ricordare che il governo tedesco ha proposto che, ove la Corte accolga la richiesta limitazione, gli effetti della pronuncia decorrano: a) dallo spirare di un temine che la stessa Corte dovrebbe fissare per dar tempo agli Stati membri di unificare i loro sistemi fiscali o per coordinare, mediante accordi internazionali, l’imputazione nei casi considerati dell’imposta sulle società e quella dell’imposta sui dividendi; b) in subordine, e genericamente, «dal futuro», ma in udienza è stata evocata l’idea che gli effetti decorrano dalla data dell’udienza o da quella della pubblicazione dell’ordinanza di rinvio che ha originato il presente giudizio; c) in ulteriore subordine, a partire dal 6 giugno 2000, cioè dalla data della citata sentenza Verkooijen.

45.      Devo escludere subito però l’idea che possa essere accolta la prima richiesta. Non perché non sia possibile per la Corte, in determinate circostanze, fissare un termine agli Stati membri per consentire loro di pervenire ai risultati indicati dal governo tedesco. Una simile soluzione, com’è noto, è stata prospettata in termini del tutto ragionevoli e convincenti dall’avvocato generale Jacobs nelle sue conclusioni nella causa C-475/03, Banca Popolare di Cremona (19). Il fatto è però che nel nostro caso essa sarebbe legata ad una eventualità così aleatoria e, nell’ipotesi migliore, di così lungo respiro da renderla poco credibile ed ancor meno praticabile.

46.      Ma a parte ciò, la richiesta va incontro alle medesime obiezioni cui si presta la seconda e subordinata alternativa prospettata dal governo federale, e cioè di far decorrere gli effetti della presente sentenza dalla data della sua pronuncia (o eventualmente da quella dell’udienza o della pubblicazione dell’ordinanza di rinvio). Se si assume infatti che la corretta interpretazione del diritto comunitario era già stata resa nella sentenza Verkooijen, le menzionate richieste tedesche implicherebbero, in punto di principio, avallare il comportamento illegittimo tenuto da uno Stato in una situazione di non dubbio contrasto con il diritto comunitario e autorizzerebbero quindi a negare, senza giustificato motivo, il rimborso di imposte indebitamente riscosse.

47.      Ma vi è ancora un’altra obiezione. È noto infatti che una limitazione nel tempo degli effetti di una sentenza «può essere ammessa, secondo la costante giurisprudenza della Corte, solo nella sentenza stessa che statuisce sull’interpretazione richiesta» (20). Così non avverrebbe però nella specie perché, come ho rilevato più volte, l’interpretazione delle norme comunitarie da cui consegue l’illegittimità della legislazione tedesca oggi in causa nasce, per l’essenziale, dalla sentenza Verkooijen, per la quale una limitazione degli effetti nel tempo non era stata né richiesta né sancita d’ufficio.

48.      Mi pare allora che l’unica richiesta del governo tedesco compatibile con tali principi sia quella – da esso pure proposta, ancorché in via ulteriormente subordinata – di far risalire la limitazione degli effetti della presente sentenza al 6 giugno 2000, cioè alla data della pronuncia della sentenza Verkooijen.

49.      Si tratterebbe in effetti di supplire all’omessa statuizione sul punto in quella sentenza e di regolare ora per allora il problema, senza però venir meno nella sostanza all’enunciato principio della giurisprudenza della Corte, visto che gli effetti risalirebbero pur sempre alla «sentenza stessa che statuisce sull’interpretazione richiesta».

50.      Conseguenza di tale soluzione sarebbe che il diritto al credito d’imposta spetterebbe ai soggetti che hanno percepito dividendi di società non stabilite in Germania a partire dalla data indicata, fatti salvi, sempre in conformità con la giurisprudenza della Corte, i diritti di coloro che prima della sentenza Verkooijen si fossero fatti parte attiva per chiedere il credito d’imposta o per impugnare l’eventuale decisione di rifiuto (21).

51.      Detto questo, devo aggiungere tuttavia che vi sono buone ragioni per ritenere che, su quest’ultimo punto, la questione non possa ritenersi interamente ed equamente risolta. È vero in effetti che la soluzione prospettata, con l’indicato e non marginale correttivo, avrebbe il merito di trasporre esattamente al caso di specie la giurisprudenza della Corte sulla limitazione degli effetti di una sentenza nel tempo. Sono altresì convinto però che, date le caratteristiche del presente caso, essa richieda di essere ulteriormente precisata e più correttamente delimitata.

52.      Osservo anzitutto che nei termini indicati quella soluzione non sarebbe di grande utilità sul piano pratico. In effetti, come ho sopra ricordato, il problema del riconoscimento dei crediti d’imposta non dovrebbe più porsi per i dividendi maturati dopo la menzionata legge del 2000 (v. paragrafo 7), mentre dal presente procedimento è risultato che esso sembra permanere proprio per quelli distribuiti prima di tale legge.

53.      D’altra parte, e mi pare l’argomento più importante, occorre considerare che la soluzione prospettata riposa su una sfasatura temporale tra la «sentenza che statuisce sull’interpretazione richiesta» e quella che decide la limitazione degli effetti della stessa. Se infatti, per motivi di coerenza giuridica, gli effetti dell’interpretazione richiesta verrebbero fatti retroagire alla prima pronuncia, a sancire la limitazione temporale sarebbe pur sempre la sentenza che emetterete nel presente procedimento.

54.      In questa situazione allora, fissare alla data della sentenza Verkooijen il momento entro il quale i soggetti che a quella data avevano maturato un credito d’imposta avrebbero dovuto rivendicare i propri diritti significherebbe, a mio avviso, non tener conto dell’indicata sfasatura; il che rischierebbe in particolare di penalizzare quei soggetti, aggravando il dovere di diligenza di cui avrebbero dovuto dar prova e rendendolo in un certo senso perfino più oneroso di quello incombente alla Commissione.

55.      Se dunque si vuole evitare tale risultato e dare al tempo stesso una concreta utilità alla presente sentenza, credo che la soluzione più ragionevole sia di far salvi i diritti non solo dei soggetti che si siano attivati prima della sentenza Verkooijen, ma anche di quelli che si siano fatti parti diligenti in un momento successivo, sempre beninteso che non siano prescritti.

56.      Quale sia però tale «momento successivo» non è affatto evidente. Certo, viene naturale pensare alla data della sentenza che chiuderà il presente giudizio; a me pare però che, a ben vedere, questa non sarebbe la soluzione più conforme ai criteri che ho sopra enunciato.

57.      Secondo quanto emerso nel presente procedimento, infatti, nell’ordinamento tedesco i contribuenti che non hanno chiesto crediti d’imposta per dividendi iscritti nelle loro dichiarazioni dei redditi possono farne domanda fino a quando la relativa pratica resta soggetta a controllo da parte del fisco e non viene pertanto considerata definitivamente chiusa. Poiché, a quanto pare, tale fase dura in media sette anni, ne consegue che oggi potrebbero ancora essere rivendicati crediti d’imposta per dividendi dichiarati nel 1998.

58.      Ora, com’è stato ricordato dalle parti, in particolare (ma non solo) dal governo tedesco, gli echi avuti sulla stampa specializzata dall’instaurazione del presente giudizio hanno stimolato un diffuso risveglio di attenzione per la questione. Così, la prospettiva di una limitazione temporale degli effetti della relativa sentenza e soprattutto l’eventualità di un’eccezione a favore dei contribuenti che si fossero attivati prima della pronuncia della stessa si sarebbero già tradotte ed ancora potrebbero tradursi in un importante afflusso di richieste di rimborso da parte dei tanti soggetti i cui diritti, come si è appena ricordato, non sono prescritti.

59.      Proprio tali sviluppi, però, alimentano quel «rischio di gravi ripercussioni economiche» in nome del quale ho proposto la limitazione degli effetti della presente sentenza. Dato quanto si è detto, infatti, se il dies ad quem fosse la data della presente sentenza, quasi nessuna richiesta di rimborso resterebbe preclusa: non solo quelle di chi aveva riscosso dividendi dopo la sentenza Verkooijen, ma anche quelle di chi li aveva riscossi prima, e ciò tanto se la richiesta sia stata presentata prima di detta pronuncia, quanto se lo sia ancora alla vigilia della presente sentenza. Si arriverebbe insomma ad un rimborso quasi generalizzato e gli esborsi dello Stato salirebbero proprio ai livelli temuti, privando la proposta limitazione di ogni effetto utile.

60.      Quale soluzione suggerire allora in questa situazione, restando nell’ambito dei principi e dei limiti in precedenza definiti e rispettando l’equilibrio tra i contrapposti interessi? A me pare che l’unica risposta ragionevole a tale quesito sia di fissare il limite alle richieste di rimborso assumendo a riferimento il grado di diligenza di cui gli interessati hanno dato prova dopo la sentenza Verkooijen.

61.      Seguendo tale criterio, a restare esclusi dai benefici della presente sentenza dovrebbero essere, a mio avviso, quei soggetti che per molti anni non hanno fatto nulla per rivendicare il proprio credito d’imposta o per impugnare la relativa decisione di rifiuto, e che ora, invogliati dalla prospettiva della presente sentenza, hanno improvvisamente ritrovato uno stimolo per rispolverare le pretese a lungo sopite.

62.      Se ci si colloca in questa prospettiva, mi pare allora che il momento da assumere a riferimento, com’è emerso anche nel corso dell’udienza, dovrebbe essere la data di comunicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea dell’ordinanza di rinvio che è all’origine del presente giudizio (22), e cioè l’11 settembre 2004. Ciò perché si può ragionevolmente ipotizzare che è da quella data che la possibilità di un recupero abbia avuto adeguata pubblicità e che quindi si sia risvegliata l’attenzione anche dei soggetti meno diligenti.

63.      Provando allora a tirare le fila di tutto quanto precede, credo di potervi proporre, in via conclusiva, di dichiarare che l’incompatibilità della normativa tedesca in causa ha effetto dalla data della sentenza 6 giugno 2000, causa C-35/98, Verkooijen, e che essa non può essere fatta valere per ottenere crediti d’imposta relativi a dividendi percepiti prima di detta sentenza, fatti salvi i diritti di coloro che, prima di tale pronuncia e fino all’11 settembre 2004, data di pubblicazione della comunicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea dell’ordinanza di rinvio che ha dato origine al presente giudizio, abbiano presentato domanda volta ad ottenere quei crediti o impugnato la relativa decisione di rifiuto, purché i loro diritti non siano prescritti conformemente all’ordinamento nazionale.

IV – Conclusioni

64.      Alla luce delle considerazioni esposte, propongo alla Corte di rispondere alla questione pregiudiziale sottopostale dal Finanzgericht Köln nei seguenti termini:

«1)       Gli artt. 56 CE e 58 CE ostano ad una normativa ai sensi della quale il diritto di una persona, che sia fiscalmente residente in uno Stato membro, al credito d’imposta sui dividendi a lei versati da società per azioni sia escluso qualora queste ultime non abbiano sede in tale Stato.

2.      L’incompatibilità di detta normativa ha effetto dalla data della sentenza 6 giugno 2000, causa C-35/98, Verkooijen. Essa non può essere fatta valere per ottenere crediti d’imposta relativi a dividendi percepiti prima di detta sentenza, fatti salvi i diritti di coloro che, prima di tale pronuncia e fino all’11 settembre 2004, data di pubblicazione della comunicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea dell’ordinanza di rinvio che ha dato origine al presente giudizio, abbiano presentato domanda volta ad ottenere quei crediti o impugnato la relativa decisione di rifiuto, purché i loro diritti non siano prescritti conformemente all’ordinamento nazionale».


1 – Lingua originale: l'italiano.


2 – L'ultima pubblicazione integrale della legge in questione compare nel BGBl. I 1990, pag. 1898. Al momento dei fatti di causa tale testo era stato modificato dall'art. 1 del Gesetz zur Verbesserung der steuerlichen Bedingungen zur Sicherung des Wirtschaftsstandorts Deutschland im Europäischen Binnenmarkt (Standortsicherungsgesetz – StandOG), BGBl. I 1993, pag. 1569, e dall'art. 1 del Jahressteuergesetz 1996 (JStG 1996), BGBl. 1995, pag. 1250.


3 – Ammettendo a titolo di esempio che una società realizzi un utile lordo pari a EUR 100 per ogni azione, essa dovrà pagare EUR 30 come imposta sugli utili per ogni azione. Se i restanti 70 EUR sono distribuiti come dividendi, agli azionisti sarà concesso un credito d'imposta pari ai 3/7 di 70, vale a dire 30, cifra esattamente coincidente con quanto già pagato dalla società.


4 – Gesetz zur Senkung der Steuersätze und zur Reform der Unternehmensbesteuerung (Steuersenkungsgesetz – StSenkG) del 23 ottobre 2000, BGBI. I 2000, pag. 1433.


5 – In una Comunicazione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo del 19 dicembre 2003 – Tassazione dei dividendi delle persone fisiche nel mercato interno [COM(2003 810 def.] la Commissione ha spiegato che per i contribuenti ad alto reddito il sistema in questione dà risultati equivalenti a quelli del sistema del credito d'imposta, mentre nel caso dei contribuenti a reddito inferiore per ottenere il medesimo risultato si dovrebbe esentare dall'imposta sul reddito più di metà dei dividendi (punto 2.2.2).


6 – Sentenza 6 giugno 2000, causa C-35/98 (Racc. pag. I‑4071).


7 – Sentenza 7 settembre 2004, causa C-319/02 (Racc. pag I-7477).


8 – Sentenza 5 luglio 2005, causa C-376/03 (Racc. pag. I-5821).


9 – Direttiva 77/799/CEE del Consiglio, del 19 dicembre 1977, relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette (GU L 336, pag. 15).


10 – Sentenza 14 febbraio 1995, Schumacker, causa C-279/93 (Racc. pag. I‑225, punto 45).


11 – V. dispositivo della sentenza Manninen, cit.


12 – V. da ultimo sentenza 15 marzo 2005, causa C-209/03, Bidar (non ancora pubblicata in Raccolta, punti 66-67). V. altresì le conclusioni dell'avvocato generale Jacobs nella causa Banca Popolare di Cremona, C-475/03, pendente (paragrafo 75).


13 – Sentenza Bidar cit., punto 68, nonché sentenze 11 agosto 1995, cause riunite da C‑367/93 a C‑377/93, Roders e a. (Racc. pag. I-2229, punto 48); 19 ottobre 1995, causa C‑137/94, Richardson (Racc. pag. I-3407, punto 37); 13 febbraio 1996, cause riunite C-197/94 e C‑252/94, Bautiaa e Société française maritime (Racc. pag. I‑505, punto 55), e 20 settembre 2001, causa C‑184/99, Grzelczyk (Racc. pag. I-6193, punto 52).


14 –      V. da ultimo sentenza Bidar, cit., punto 69.


15 –      V., ad esempio, sentenza 9 marzo 2000, causa C-437/97, EKW e Wein & Co. (Racc. pag. I‑1157, punto 59).


16 –      V. da ultimo sentenza, Bidar, cit., punto 69 (il corsivo è mio). V. altresì le conclusioni dell'avvocato generale Jacobs nella causa Banca Popolare di Cremona, C-475/03, pendente (paragrafo 75).


17 – Sentenza 8 aprile 1976, causa 43/75, Defrenne II (Racc. pag. 455, punti 71-75). Ma v. anche, nello stesso senso, sentenze 16 luglio 1992, causa C-163/90, Legros e a. (Racc. pag. I-4625, punto 32), e EKW e Wein & Co., cit., punto 58.


18 – V. ad esempio, le conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella citata causa Manninen, punto 36.


19 – Conclusioni cit., paragrafi 85 ss.


20 – Sentenze 2 febbraio 1988, causa 24/86, Blaizot (Racc. pag. 379, punto 28); Legros e a. cit., punto 30, e EKW e Wein & Co., cit., punto 57. In tal senso, v. anche sentenza 17 maggio 1990, causa C-262/88, Barber (Racc. pag. I-1889, punto 41).


21 – V. in tal senso sentenze 26 aprile 1994, causa C-228/92, Roquette Frères (Racc. pag. I‑1445, punti 26-29), e 8 febbraio 1996, causa C-212/94, FMC e a. (Racc. pag. I‑389, punto 58).


22 – GU C 228, pag. 27.