Language of document : ECLI:EU:T:2024:353

Edizione provvisoria

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Terza Sezione ampliata)

5 giugno 2024 (*)

«Politica economica e monetaria – Vigilanza sugli enti creditizi – Compiti specifici di vigilanza affidati alla BCE – Fissazione dei requisiti prudenziali – Impegni di pagamento irrevocabili – Autorità di cosa giudicata – Eccesso di potere – Errore manifesto di valutazione – Principio di buona amministrazione – Proporzionalità»

Nella causa T‑186/22,

BNP Paribas, con sede in Parigi (Francia), rappresentata da A. Gosset‑Grainville e M. Trabucchi, avocats,

ricorrente,

contro

Banca centrale europea (BCE), rappresentata da E. Yoo, D. Segoin e F. Bonnard, in qualità di agenti,

convenuta,

IL TRIBUNALE (Terza Sezione ampliata),

composto da F. Schalin (relatore), presidente, P. Škvařilová‑Pelzl, I. Nõmm, G. Steinfatt e D. Kukovec, giudici,

cancelliere: L. Ramette, amministratore

vista la fase scritta del procedimento,

in seguito all’udienza del 20 giugno 2023,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con il suo ricorso fondato sull’articolo 263 TFUE, l’odierna ricorrente, BNP Paribas, chiede, da un lato, l’annullamento del punto 1.10 e dei punti da 3.10.1 a 3.10.8 della decisione ECB‑SSM‑2022‑FRBNP‑7 della Banca centrale europea (BCE), del 2 febbraio 2022 (in prosieguo: la «decisione del 2 febbraio 2022»), compresi i suoi allegati, nella parte in cui prescrive misure da adottare sugli impegni di pagamento irrevocabili (in prosieguo: gli «IPI») riguardanti i sistemi di garanzia dei depositi o i fondi di risoluzione, e, dall’altro, l’annullamento del punto 1.10 e dei punti da 3.9.1 a 3.9.8 della decisione ECB‑SSM‑2022‑FRBNP‑86 della BCE, del 21 dicembre 2022 (in prosieguo: la «decisione del 21 dicembre 2022»), compresi i suoi allegati, nella parte in cui prescrive misure da adottare sugli IPI riguardanti i sistemi di garanzia dei depositi o i fondi di risoluzione.

 Fatti all’origine della controversia

2        La ricorrente, in quanto soggetto significativo ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 4, del regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio, del 15 ottobre 2013, che attribuisce alla BCE compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi (GU 2013, L 287, pag. 63), ricade sotto la vigilanza prudenziale diretta della BCE.

3        Il 31 marzo 2021, nell’ambito del suo compito di vigilanza prudenziale, la BCE ha inviato alla ricorrente un questionario, relativo al trattamento da parte di quest’ultima degli IPI, che costituiscono un’opzione per l’assolvimento dell’obbligo di contribuire ai fondi di risoluzione o ai sistemi di garanzia, mediante la stipula di un contratto in base al quale si concorda che l’importo dovuto sarà versato a prima richiesta dell’autorità responsabile dei fondi di risoluzione o dei sistemi di garanzia; detto contratto è accompagnato da una garanzia di messa a disposizione esclusiva dei fondi, in pratica sotto forma di deposito in contanti, per un importo pari al contributo dovuto.

4        Il 29 aprile 2021 la ricorrente ha trasmesso le sue risposte al questionario.

5        Il 10 novembre 2021 la BCE ha inviato alla ricorrente un progetto di decisione al termine del processo di revisione e di valutazione prudenziali (Supervisory Review and Evaluation Process, SREP), che prevedeva in particolare, quale requisito prudenziale, che l’importo cumulato degli IPI fosse detratto dai fondi di base di categoria 1 (in prosieguo: i «CET 1»). La ricorrente è stata invitata a pronunciarsi su tale progetto.

6        Con lettera del 22 novembre 2021, la ricorrente ha presentato le proprie osservazioni.

7        In applicazione dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera f), e dell’articolo 16 del regolamento n. 1024/2013, la BCE ha adottato la decisione del 2 febbraio 2022.

8        In tale decisione, la BCE ha stabilito che, ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 1024/2013, i dispositivi, le strategie, i processi e i meccanismi attuati dalla ricorrente, nonché i fondi propri e la liquidità da essa detenuti, non permettevano una gestione solida e la copertura dei suoi rischi, nella misura in cui la ricorrente sopravvalutava il livello dei suoi CET 1.

9        Al fine di coprire tale rischio, la BCE ha imposto, da un lato, una misura ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 2, lettera d), del regolamento n. 1024/2013 (in prosieguo: la «misura di detrazione») e, dall’altro, un obbligo ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 2, lettera j), del medesimo regolamento (in prosieguo: l’«obbligo di segnalazione»).

10      La misura di detrazione imposta equivale, secondo la formula di calcolo contenuta nel punto 1.10 della decisione del 2 febbraio 2022, al valore delle somme appostate quale garanzia e iscritte all’attivo del bilancio della ricorrente, diminuito degli elementi idonei a ridurre il rischio, vale a dire gli elementi dei CET 1 detenuti dalla ricorrente, relativi alle somme appostate in garanzia, e, se del caso, del valore economico positivo attribuito all’attivo registrato, tenuto conto delle somme poste a garanzia degli IPI.

11      L’obbligo di segnalazione mira a consentire alla BCE di assicurarsi della corretta presa in considerazione della detrazione imposta alla ricorrente.

 Conclusioni delle parti e fatti successivi alla presentazione del ricorso

12      Il 12 aprile 2022 la ricorrente ha proposto il presente ricorso.

13      Nell’ambito di un nuovo ciclo del SREP, la BCE ha adottato la decisione del 21 dicembre 2022, che ha sostituito la decisione del 2 febbraio 2022 (in prosieguo, congiuntamente: le «decisioni impugnate»), con effetto dal 1° gennaio 2023, e che mantiene la misura di detrazione e l’obbligo di segnalazione.

14      Per giungere a questa decisione, la BCE ha seguito la stessa procedura descritta nei punti da 3 a 6 supra.

15      Il 15 febbraio 2023 la ricorrente ha depositato presso la cancelleria del Tribunale una memoria di adattamento del ricorso nella quale chiede anche l’annullamento parziale della decisione del 21 dicembre 2022, facendo valere gli stessi motivi inizialmente dedotti nel ricorso avverso la decisione del 2 febbraio 2022.

16      Con lettera del 14 marzo 2023, la BCE ha presentato osservazioni sulla memoria di adattamento del ricorso.

17      La ricorrente conclude che il Tribunale voglia:

–        annullare parzialmente la decisione del 2 febbraio 2022;

–        annullare parzialmente la decisione del 21 dicembre 2022;

–        condannare la BCE alle spese.

18      La BCE conclude che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 In diritto

19      A sostegno del suo ricorso, la ricorrente deduce quattro motivi, vertenti, in primo luogo, su una violazione dell’autorità di cosa giudicata e su un eccesso di potere, in secondo luogo, su un errore manifesto di valutazione e su una violazione del principio di buona amministrazione, in terzo luogo, su un errore di diritto risultante dalla privazione dell’effetto utile della normativa che disciplina il ricorso agli IPI e, in quarto luogo, su una violazione del principio di proporzionalità.

 Sul primo motivo, relativo ad una violazione dellautorità di cosa giudicata e ad un eccesso di potere

20      La ricorrente fa valere, in sostanza, che la BCE ha ecceduto i poteri che le sono conferiti in forza del regolamento n. 1024/2013, come precisati dalle sentenze del 9 settembre 2020, Société Générale/BCE (T‑143/18, non pubblicata, EU:T:2020:389), del 9 settembre 2020, Crédit Agricole e a./BCE (T‑144/18, non pubblicata, EU:T:2020:390), del 9 settembre 2020, Confédération nationale du Crédit Mutuel e a./BCE (T‑145/18, non pubblicata, EU:T:2020:391), del 9 settembre 2020, BPCE e a./BCE (T‑146/18, non pubblicata, EU:T:2020:392), del 9 settembre 2020, Arkéa Direct Bank e a./BCE (T‑149/18, non pubblicata, EU:T:2020:393), e del 9 settembre 2020, BNP Paribas/BCE (T‑150/18 e T‑345/18, EU:T:2020:394) (in prosieguo: le «sentenze del 2020»), imponendo una misura generale che non tiene conto della sua situazione prudenziale individuale. In tal modo, la BCE avrebbe violato l’articolo 266 TFUE nonché l’articolo 4, paragrafo 1, lettera f), e l’articolo 16, paragrafo 1, lettera c), e paragrafo 2, lettere d) e j), del regolamento n. 1024/2013.

21      Più precisamente, la ricorrente addebita alla BCE di aver fondato la propria decisione su un ragionamento che poteva condurre soltanto ad una detrazione totale dell’importo delle garanzie associate agli IPI. Per tale ragione, la BCE non si sarebbe conformata agli obblighi che le incombevano in forza dell’articolo 266 TFUE.

22      A tal riguardo, la ricorrente sostiene che un confronto tra, da un lato, le decisioni annullate dal Tribunale nelle sentenze del 2020 e, dall’altro, le decisioni impugnate dimostra che tali decisioni sono fondate su motivazioni, in sostanza, identiche.

23      Inoltre, la BCE non avrebbe proceduto ad un esame particolare della sua situazione individuale. A tal riguardo, la ricorrente fa valere che la BCE ha inteso dare l’illusione di un esame individuale, menzionando gli elementi da essa dichiarati in occasione delle sue risposte del 29 aprile 2021 al questionario inviatole dalla BCE il 31 marzo 2021, e accrescendo formalmente la sua motivazione delle decisioni impugnate. Tuttavia, la parte delle decisioni impugnate che tratta della quantificazione dei rischi degli IPI sarebbe completamente standardizzata e non si fonderebbe su considerazioni specificamente attinenti ad essa ricorrente, bensì su constatazioni di natura generale, che possono applicarsi a qualsiasi ente creditizio che opti per il trattamento fuori bilancio degli IPI.

24      La BCE contesta gli argomenti della ricorrente.

25      Nel caso di specie, la ricorrente imputa alla BCE, in sostanza, di aver violato non soltanto l’articolo 4, paragrafo 1, lettera f), e l’articolo 16, paragrafo 1, lettera c), e paragrafo 2, lettera d), del regolamento n. 1024/2013, come precisati dalle sentenze del 2020, nonché l’articolo 16, paragrafo 2, lettera j), del medesimo regolamento n. 1024/2013, ma anche l’articolo 266 TFUE, a causa dell’asserito mancato rispetto dell’interpretazione di tale regolamento risultante da dette sentenze. La BCE avrebbe nuovamente adottato una misura di detrazione e non avrebbe realmente effettuato un esame individuale.

26      Ai sensi del primo comma dell’articolo 266 TFUE, l’istituzione da cui promana l’atto annullato è tenuta a prendere i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza di annullamento comporta. Queste disposizioni prevedono una ripartizione delle competenze tra l’autorità giudiziaria e l’autorità amministrativa, in virtù della quale spetta all’istituzione da cui promana l’atto annullato stabilire quali siano le misure necessarie per eseguire una sentenza di annullamento (v. sentenza del 5 settembre 2014, Éditions Odile Jacob/Commissione, T‑471/11, EU:T:2014:739, punto 55 e la giurisprudenza ivi citata).

27      A questo riguardo, per conformarsi ad una sentenza di annullamento e dare ad essa piena esecuzione, l’istituzione interessata è tenuta, secondo una costante giurisprudenza, a rispettare non solo il dispositivo della sentenza, ma anche le motivazioni che hanno portato a quest’ultimo e che ne costituiscono il necessario sostegno, nel senso che esse sono indispensabili per determinare il senso esatto di quanto è stato statuito nel dispositivo. Sono infatti queste motivazioni che, da un lato, identificano la disposizione esatta considerata illegittima e che, dall’altro, fanno apparire le ragioni esatte dell’illegittimità constatata nel dispositivo e che l’istituzione interessata deve prendere in considerazione nel sostituire l’atto annullato (sentenze del 26 aprile 1988, Asteris e a./Commissione, 97/86, 99/86, 193/86 e 215/86, EU:C:1988:199, punto 27; del 6 marzo 2003, Interporc/Commissione, C‑41/00 P, EU:C:2003:125, punto 29, e del 13 settembre 2005, Recalde Langarica/Commissione, T‑283/03, EU:T:2005:315, punto 50).

28      L’articolo 266 TFUE impone all’istituzione interessata di evitare che ogni atto destinato a sostituire l’atto annullato sia viziato dalle stesse irregolarità individuate nella sentenza di annullamento (sentenze del 6 marzo 2003, Interporc/Commissione, C‑41/00 P, EU:C:2003:125, punto 30, e del 13 settembre 2005, Recalde Langarica/Commissione, T‑283/03, EU:T:2005:315, punto 51).

29      Occorre sottolineare, inoltre, che l’articolo 266 TFUE impone un obbligo all’istituzione da cui promana l’atto annullato solo nei limiti di quanto è necessario per assicurare l’esecuzione della sentenza di annullamento (sentenze del 6 marzo 2003, Interporc/Commissione, C‑41/00 P, EU:C:2003:125, punto 30, e del 5 settembre 2014, Éditions Odile Jacob/Commissione, T‑471/11, EU:T:2014:739, punto 57). Il procedimento volto a sostituire tale atto può dunque essere ripreso dal punto preciso nel quale si è verificata l’illegittimità (v. sentenza del 29 novembre 2007, Italia/Commissione, C‑417/06 P, non pubblicata, EU:C:2007:733, punto 52 e la giurisprudenza ivi citata; sentenza del 5 settembre 2014, Éditions Odile Jacob/Commissione, T‑471/11, EU:T:2014:739, punto 58).

30      In via preliminare, occorre osservare che la BCE non ha proposto impugnazioni contro le sentenze del 2020 che avevano annullato parzialmente le sue decisioni oggetto di tali sentenze. Tuttavia, le decisioni impugnate nella presente causa non hanno l’obiettivo di sostituire le decisioni che sono state annullate nella sentenza del 9 settembre 2020, BNP Paribas/BCE (T‑150/18 e T‑345/18, EU:T:2020:394). Infatti, la BCE adotta ogni anno una decisione nell’ambito dello SREP che entra in vigore alla data specificata in tale decisione. Alla stessa data, la decisione relativa allo SREP dell’anno precedente cessa di applicarsi, salvo che la nuova decisione relativa allo SREP disponga diversamente. Pertanto, nei limiti in cui la ricorrente deduce la violazione dell’articolo 266 TFUE, il presente motivo non può essere accolto. Tuttavia, occorre stabilire se la BCE abbia commesso un eccesso di potere adottando, in violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera f), e dell’articolo 16, paragrafo 1, lettera c), e paragrafo 2, lettere d) e j), del regolamento n. 1024/2013, come precisati dalle sentenze del 2020, una misura di detrazione senza aver realmente effettuato un esame individuale.

31      In questo contesto, va ricordato che il regolamento n. 1024/2013 ha istituito il meccanismo di vigilanza unico e mira a garantire la sicurezza e la solidità degli enti creditizi. Detto regolamento conferisce alla BCE la competenza ad assolvere i compiti di vigilanza prudenziale menzionati al suo articolo 4, paragrafo 1. Conformemente all’articolo 6 del medesimo regolamento, la BCE assolve i propri compiti nel quadro del meccanismo di vigilanza unico, composto dalla BCE stessa e dalle autorità nazionali competenti. In particolare, la BCE è competente a garantire la vigilanza prudenziale sugli enti creditizi della zona euro classificati come «significativi». In tale contesto, essa valuta ogni anno gli enti significativi sulla base dello SREP, al fine, in particolare, di determinare «se i dispositivi, le strategie, i processi e meccanismi instaurati dagli enti creditizi e i fondi propri e la liquidità da essi detenuti permettano una gestione solida e la copertura dei rischi». La BCE adotta quindi, come già rilevato al punto precedente, ogni anno, o almeno ad intervalli regolari, una decisione nell’ambito dello SREP che entra in vigore alla data specificata in tale decisione.

32      Il fatto che la BCE non abbia impugnato le sentenze del 2020 implica che queste ultime sono passate in giudicato. Anche se la BCE non ha, in senso proprio, sostituito le decisioni annullate con nuove decisioni relative allo SREP dell’anno interessato dalle cause suddette, ciò non toglie che, nei nuovi cicli delle decisioni relative allo SREP, al fine di evitare che le nuove decisioni siano viziate dalle stesse irregolarità che viziavano le sentenze del 2020, la BCE è tenuta a rispettare i termini delle sentenze del Tribunale (v., in tal senso e per analogia, sentenze del 26 aprile 1988, Asteris e a./Commissione, 97/86, 99/86, 193/86 e 215/86, EU:C:1988:199, punti 27 e 29, e del 23 ottobre 2008, People’s Mojahedin Organization of Iran/Consiglio, T‑256/07, EU:T:2008:461, punto 62).

33      Occorre altresì ricordare che, nelle sentenze del 2020, il Tribunale ha statuito che:

–        l’articolo 36 del regolamento (UE) n. 575/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012 (GU 2013, L 176, pag. 1, rettifiche in GU 2013, L 208, pag. 68, e GU 2013, L 321, pag. 6) – regolamento contenente requisiti di portata generale, anch’essi identificati, in tale contesto, come rientranti nel «primo pilastro» – non ostava all’identificazione di un rischio al quale poteva essere posto rimedio mediante una misura adottata ai sensi del regolamento n. 1024/2013, ossia nell’ambito dei poteri della BCE rientranti nel «secondo pilastro»;

–        infatti, l’articolo 16, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 1024/2013 prevedeva che, per l’assolvimento dei compiti di cui all’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 1024/2013, la BCE disponesse di poteri, quali enunciati all’articolo 16, paragrafo 2, del medesimo regolamento, che le consentivano di imporre agli enti creditizi di adottare le misure necessarie per porre rimedio ai problemi constatati in talune situazioni (sentenza del 9 settembre 2020, BNP Paribas/BCE, T‑150/18 e T‑345/18, EU:T:2020:394, punto 58);

–        tra tali situazioni figurava quella in cui, nell’ambito di un esame prudenziale effettuato in applicazione dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 1024/2013, la BCE constatava che i dispositivi, le strategie, i processi e i meccanismi attuati dall’ente creditizio, nonché i fondi propri e le liquidità che quest’ultimo deteneva, non assicuravano una gestione solida e una copertura dei suoi rischi (sentenza del 9 settembre 2020, BNP Paribas/BCE, T‑150/18 e T‑345/18, EU:T:2020:394, punto 58);

–        l’articolo 16, paragrafo 2, lettera d), del regolamento n. 1024/2013 prevedeva che la BCE fosse investita, in particolare, del potere di esigere che gli enti applicassero una politica di accantonamenti specifica o che riservassero alle voci dell’attivo un trattamento specifico con riferimento ai requisiti in materia di fondi propri (v., in tal senso, sentenza del 9 settembre 2020, BNP Paribas/BCE, T‑150/18 e T‑345/18, EU:T:2020:394, punti da 49 a 60);

–        il rischio che la BCE ha individuato in quei casi (come nel presente caso) era la sopravvalutazione dei CET 1, un rischio derivante dal fatto che gli IPI erano trattati come una voce fuori bilancio, che non erano quindi iscritti al passivo del bilancio dell’ente creditizio e che le garanzie collaterali collegate agli IPI non erano disponibili fino al pagamento degli IPI (v., in tal senso, sentenza del 9 settembre 2020, BNP Paribas/BCE, T‑150/18 e T‑345/18, EU:T:2020:394, punto 63);

–        tenuto conto, in particolare, dell’importanza dei CET 1 per la solidità finanziaria degli enti e, più in generale, per la stabilità del settore finanziario, l’esistenza del rischio così identificato dalla BCE non poteva essere negata (sentenza del 9 settembre 2020, BNP Paribas/BCE, T‑150/18 e T‑345/18, EU:T:2020:394, punto 67);

–        la BCE ha potuto ritenere, senza commettere sul punto alcun errore di diritto, che il trattamento prudenziale degli IPI, e quindi della garanzia da esso inscindibile, potesse dare luogo all’applicazione di una delle misure previste dall’articolo 16, paragrafo 2, lettera d), del regolamento n. 1024/2013, e ciò nonostante il fatto che, da un punto di vista contabile, gli IPI in quanto tali fossero contabilizzati come voci fuori bilancio (sentenza del 9 settembre 2020, BNP Paribas/BCE, T‑150/18 e T‑345/18, EU:T:2020:394, punto 70);

–        tuttavia, poiché la BCE non ha effettuato l’esame individuale della situazione delle ricorrenti, quale prescritto dall’articolo 4, paragrafo 1, lettera f), e dall’articolo 16, paragrafo 1, lettera c), e paragrafo 2, lettera d), del regolamento n. 1024/2013, tali disposizioni sono state violate e le decisioni impugnate nell’ambito di tali cause sono state annullate in questa misura (v., in tal senso, sentenza del 9 settembre 2020, BNP Paribas/BCE, T‑150/18 e T‑345/18, EU:T:2020:394, punti da 77 a 84).

34      Pertanto, ne consegue che la BCE può utilizzare i propri poteri (rientranti nel «secondo pilastro»), come ad esempio una misura di detrazione, qualora sia soddisfatto un certo numero di condizioni, vale a dire se un ente creditizio è esposto a un rischio e se tale rischio non è sufficientemente coperto. Tuttavia, la constatazione dell’esistenza di un siffatto rischio e la questione se tale rischio sia coperto o meno richiede un esame individuale caso per caso.

35      Nelle sentenze del 2020, il Tribunale ha considerato che le decisioni impugnate non facevano riferimento ad alcun esame individuale effettuato dalla BCE e inteso a verificare se le parti ricorrenti avessero messo in atto dispositivi, strategie, processi e meccanismi ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera f), e dell’articolo 16, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 1024/2013 al fine di far fronte ai rischi prudenziali legati al trattamento degli IPI fuori bilancio e, se del caso, di assicurarsi della loro pertinenza in rapporto a tali rischi.

36      Per tale motivo, il Tribunale ha giudicato che dall’approccio della BCE discendeva che quest’ultima aveva ritenuto che, nella misura in cui un ente optava per il ricorso agli IPI e per un trattamento fuori bilancio, sussisteva un rischio, che rendeva inutile qualsiasi esame più circostanziato della situazione propria di tale ente.

37      Pertanto, è giocoforza constatare che il Tribunale, nelle sentenze del 2020, ha annullato le decisioni sottoposte al suo esame in quanto la BCE non aveva effettuato la valutazione prudenziale individuale delle parti ricorrenti come richiesto dall’articolo 4, paragrafo 1, lettera f), e dall’articolo 16, paragrafo 1, lettera c), e paragrafo 2, lettera d), del regolamento n. 1024/2013.

38      Il Tribunale non ha rimesso in discussione l’importanza dei CET 1, né il rischio identificato dalla BCE in dette decisioni, ossia il rischio di sopravvalutazione dei CET 1, né la possibilità di imporre una misura di detrazione.

39      Parimenti, il fatto che la BCE abbia imposto, nelle decisioni impugnate, una misura di detrazione che era quasi identica a quella imposta nelle decisioni annullate dalle sentenze del 2020 non implica neppure che la BCE non si sia conformata a dette sentenze o che essa abbia adottato una posizione di principio rientrante nel «primo pilastro».

40      Infatti, il Tribunale non ha statuito che la misura fosse, in quanto tale, illegittima. Al contrario, esso ha dichiarato che la BCE aveva il potere di imporre una siffatta misura. Quanto alla questione se la misura imposta alle parti ricorrenti fosse giustificata o meno, dal momento che le decisioni impugnate oggetto delle sentenze del 2020 sono state annullate per mancanza di un esame individuale, il Tribunale non l’ha risolta. Pertanto, l’argomento della ricorrente secondo cui la BCE non avrebbe rispettato l’obbligo di escludere qualsiasi misura di contenuto identico a quello dichiarato illegittimo non può essere accolto.

41      Inoltre, il Tribunale ha altresì ammesso che rischi identici potevano essere coperti mediante misure identiche (sentenza del 9 settembre 2020, BNP Paribas/BCE, T‑150/18 e T‑345/18, EU:T:2020:394, punto 80).

42      Inoltre, il fatto che il rischio identificato nelle decisioni impugnate sia lo stesso che è stato identificato nelle decisioni annullate dalle sentenze del 2020 non implica, di per sé, che la BCE non si sia conformata agli insegnamenti scaturenti da dette sentenze.

43      Pertanto, occorre verificare se la BCE abbia effettuato un esame individuale della situazione della ricorrente.

44      A tal riguardo, occorre constatare che la BCE, a seguito dell’annullamento delle decisioni oggetto delle sentenze del 2020, ha sviluppato una metodologia per procedere, nell’ambito della sua valutazione relativa allo SREP per gli anni successivi, ad un esame più concreto della situazione degli enti creditizi che sottoscrivono IPI.

45      Nel caso di specie, l’esame è stato condotto conformemente a detta metodologia della BCE e consiste in un questionario che ha portato la BCE ad esaminare, alla luce delle risposte degli enti soggetti alla vigilanza prudenziale e che contribuiscono al finanziamento del Fondo di risoluzione unico (FRU) e ai sistemi di garanzia dei depositi sottoscrivendo IPI, se essi fossero esposti al rischio di sopravvalutazione dei CET 1 e, eventualmente, se tale rischio fosse coperto.

46      A tal fine, le questioni sollevate riguardavano gli importi degli IPI sottoscritti, le garanzie fornite, il trattamento contabile e prudenziale degli IPI e delle garanzie e i possibili scenari di recupero delle garanzie o di escussione degli IPI, comprese le connessioni tra questi diversi scenari. Inoltre, al fine di valutare i dispositivi, le strategie, i processi e i meccanismi attuati dall’ente creditizio interessato per gestire il rischio nonché i fondi propri e le liquidità detenuti per coprire tale rischio, la BCE ha chiesto informazioni aggiuntive in merito, in particolare, al trattamento contabile e prudenziale, alle misure di attenuazione dei rischi, alle misure di liquidità e di capitale e a qualsiasi altra misura utilizzata per attenuare il rischio di sopravvalutazione dei CET 1.

47      La BCE, in una prima fase dell’esercizio dei poteri conferiti dall’articolo 16, paragrafo 1, lettera c), e dall’articolo 16, paragrafo 2, lettera d), del regolamento n. 1024/2013, ha determinato se la ricorrente fosse esposta al rischio di sopravvalutare i CET 1 e, in una seconda fase, ha effettuato un esame della situazione individuale della ricorrente per determinare se i dispositivi, le strategie, i processi e i meccanismi che questa stava attuando, e se i fondi propri e le liquidità che essa deteneva, garantissero una gestione solida e la copertura del rischio di sopravvalutazione dei CET 1.

48      Pertanto, dopo l’esercizio della quantificazione del rischio, la BCE ha valutato, nell’ambito della seconda fase, se i CET 1 detenuti dalla ricorrente assicurassero una gestione e una copertura solide del rischio di sopravvalutazione dei CET 1 e ha seguito un approccio in cinque fasi.

49      In primo luogo, la BCE ha valutato se la ricorrente avesse parzialmente coperto il rischio di sopravvalutazione dei CET 1 mediante CET 1 che essa era già tenuta a detenere a titolo del sistema di fondi propri applicabili e che avrebbero potuto contribuire a coprire tale rischio. In secondo luogo, essa ha verificato se il livello dei CET 1, detenuti dalla ricorrente al di là delle esigenze complessive di fondi propri che erano ad essa applicabili, fosse idoneo a coprire il rischio di sopravvalutazione dei CET 1. In terzo luogo, la BCE ha valutato se un valore economico positivo potesse essere attribuito alle garanzie fornite per gli IPI da un punto di vista prudenziale, e potesse così ridurre l’effetto della sottoscrizione di IPI e della concessione delle garanzie corrispondenti sulla capacità dei CET 1 di sopportare i rischi. In quarto luogo, la BCE ha valutato se esistessero attività o passività fiscali differite idonee a ridurre il livello di sopravvalutazione dei CET 1 e, in quinto luogo, la BCE ha esaminato se esistessero altre circostanze o altre misure particolari applicate dalla ricorrente, idonee ad attenuare il rischio di sopravvalutazione dei CET 1.

50      Dopo l’esame sopra descritto e vertente sui fondi propri, la BCE ha esaminato se le liquidità detenute dalla ricorrente assicurassero una gestione solida e la copertura del rischio individuato.

51      Inoltre, la BCE ha esaminato se e come i dispositivi, le strategie, i processi e i meccanismi attuati dalla ricorrente assicurassero una gestione e una copertura solide del rischio di sopravvalutazione dei CET 1.

52      La BCE è infine giunta alla conclusione che i dispositivi, le strategie, i processi e i meccanismi attuati, nonché i fondi propri e le liquidità detenuti dalla ricorrente, non assicuravano una gestione e una copertura solide del rischio identificato, il che ha giustificato la misura di detrazione.

53      Si deve concludere che da quanto sopra esposto risulta che la BCE ha preso in considerazione i fattori rilevanti, quali contemplati dall’articolo 4, paragrafo 1, lettera f), e dall’articolo 16, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 1024/2013, e ha effettuato un esame individuale della situazione della richiedente.

54      Inoltre, occorre respingere l’argomento della ricorrente secondo cui la BCE non avrebbe fornito la prova di un rischio che le sarebbe proprio, in quanto il rischio identificato sarebbe «proprio» di tutti gli enti che ricorrono agli IPI, cosicché, in realtà, l’esercizio effettuato dalla BCE sarebbe solo una facciata avente lo scopo di creare una regola di portata generale.

55      In primo luogo, occorre osservare che, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, la BCE ha effettivamente individuato un rischio proprio della ricorrente stessa. Infatti, nel suo compito di vigilanza prudenziale, la BCE ha preso in considerazione, come punto di partenza, il trattamento contabile applicato dalla ricorrente, quale elemento di fatto, insieme ad altri, per determinare se e come la ricorrente gestiva e copriva i rischi prudenziali cui si esponeva a causa della sottoscrizione degli IPI e della concessione di garanzie.

56      Pertanto, la BCE ha constatato che la ricorrente aveva optato per un trattamento contabile combinato, consistente in un trattamento fuori bilancio degli IPI, pur facendo figurare nel suo bilancio, come un attivo, quale credito di restituzione, somme collocate in garanzia al loro valore nominale totale. Una scelta del genere implicava, per la BCE, che il contributo al finanziamento dei fondi di risoluzione e di garanzia dei depositi non si rifletteva nel bilancio, con la conseguenza di un rischio di sopravvalutazione dei CET 1.

57      In secondo luogo, è giocoforza constatare che la BCE non ha creato alcuna regola di portata generale, dal momento che il trattamento contabile degli IPI e la garanzia associata sono propri di ciascun ente e che le norme contabili applicabili lasciano un certo margine, o addirittura una certa libertà di scelta, di cui la ricorrente beneficiava.

58      A questo proposito, come fatto valere dalla BCE, sono possibili più scelte, o per evitare tale rischio o per porvi rimedio con altri mezzi, il che può, del resto, essere stabilito solo sulla base di un esame individuale.

59      Pertanto, è possibile far figurare l’impegno di pagamento nel bilancio, come passività, o il contratto di garanzia nel conto profitti e perdite. L’ente che applicasse tale trattamento registrerebbe una perdita, cosicché un importo equivalente sarebbe detratto dal suo CET 1 al momento della sottoscrizione dell’impegno. È altresì possibile non registrare in bilancio gli IPI come passività, quindi operare un trattamento fuori bilancio, e, allo stesso tempo, iscrivere i contanti forniti a titolo di garanzia all’attivo del bilancio come credito di restituzione nei confronti del FRU. Un tale trattamento contabile non si traduce in una diminuzione degli elementi di CET 1, sebbene le garanzie non siano a disposizione dell’ente interessato. Allo stesso modo, dal punto di vista del trattamento prudenziale, è possibile effettuare una riduzione volontaria ai sensi dell’articolo 3 del regolamento n. 575/2013 o, in alternativa, considerare che l’attivo iscritto in bilancio, che rappresenta il credito per la restituzione delle somme poste a garanzia, genera un’esposizione a un rischio a cui deve essere assegnata una ponderazione specifica, che darà luogo a requisiti di fondi propri e, quindi, coprirà parzialmente il rischio di sopravvalutazione dei CET 1.

60      Tutte queste possibilità si riflettono, in particolare, nelle decisioni prese nel contesto dello SREP per l’anno 2022, che la BCE ha prodotto a seguito di una misura di organizzazione del procedimento, e che dimostrano che l’esame della situazione individuale dei vari enti che sottoscrivono degli IPI ha portato a conclusioni diverse. Infatti, l’importo delle somme poste in garanzia e divenute, di conseguenza, indisponibili, è stato oggetto di una detrazione parziale, di una detrazione totale o di nessuna misura di detrazione a seconda degli enti interessati.

61      Pertanto, risulta da quanto precede che il primo motivo di ricorso deve essere respinto.

 Sul secondo motivo, relativo ad un errore manifesto di valutazione e ad una violazione del principio di buona amministrazione.

62      La ricorrente addebita alla BCE di aver violato il principio di buona amministrazione e di aver adottato una decisione di principio che non tiene realmente conto della situazione particolare dell’ente, in particolare, in termini di sicurezza prudenziale e di liquidità, e, così facendo, di aver commesso un errore manifesto di valutazione del trattamento prudenziale applicabile agli IPI. Orbene, escludendo i management buffers («cuscinetti di gestione») per valutare se la ricorrente fosse in grado di rispondere al rischio eventuale degli IPI, la BCE avrebbe commesso un errore manifesto di valutazione. Allo stesso modo, ritenendo che il rischio legato alla liquidità fosse intrinsecamente connesso alla contabilizzazione fuori bilancio degli IPI e che nessuna alternativa alla misura di detrazione – in particolare un requisito di liquidità supplementare – potesse porvi rimedio, la BCE avrebbe adottato una posizione di principio senza aver valutato l’esistenza di un rischio per la ricorrente. La ricorrente ritiene altresì che la BCE abbia operato un’inversione dell’onere della prova e non abbia preso in considerazione le risposte al questionario, poiché queste ultime non hanno influito sulla sua posizione finale.

63      La BCE sottolinea che gli argomenti della ricorrente sono basati sul rischio cui essa si esporrebbe in caso di escussione degli IPI, mentre il rischio da essa identificato era quello della sopravvalutazione dei CET 1 della ricorrente. Essa ritiene altresì di aver correttamente valutato l’adeguatezza dei fondi propri e quella delle liquidità della ricorrente alla luce del rischio identificato.

64      Nel caso di specie, dagli scritti difensivi della ricorrente risulta che essa contesta alla BCE di aver violato il principio di buona amministrazione per il fatto che quest’ultima si sarebbe basata su un ragionamento astratto e su rischi la cui verosimiglianza non è stata esaminata. La BCE non avrebbe esaminato se l’escussione degli IPI fosse o no idonea a porre la ricorrente in una situazione di fragilità e avrebbe adottato una motivazione generica e stereotipata.

65      Secondo una giurisprudenza consolidata, se l’istituzione competente dispone di un potere discrezionale, il controllo giurisdizionale che il Tribunale deve esercitare sulla fondatezza della motivazione della decisione impugnata non deve indurlo a sostituire la propria valutazione a quella dell’istituzione competente, ma mira a verificare che la decisione impugnata non sia basata su fatti materialmente inesatti e che non sia viziata da alcun errore di diritto o da alcun errore manifesto di valutazione ovvero da uno sviamento di potere (v., in tal senso, sentenza del 4 maggio 2023, BCE/Crédit lyonnais, C‑389/21 P, EU:C:2023:368, punto 55 e la giurisprudenza ivi citata).

66      A tale riguardo, secondo una costante giurisprudenza, il giudice dell’Unione è tenuto in particolare a verificare non solo l’esattezza materiale degli elementi di prova addotti, la loro attendibilità e la loro coerenza, ma altresì ad accertare se tali elementi costituiscano l’insieme dei dati pertinenti che devono essere presi in considerazione per valutare una situazione complessa e se siano di natura tale da corroborare le conclusioni che ne vengono tratte (v. sentenza del 4 maggio 2023, BCE/Crédit lyonnais, C‑389/21 P, EU:C:2023:368, punto 56 e la giurisprudenza ivi citata).

67      Risulta del pari da una costante giurisprudenza che, quando le istituzioni dispongono di un siffatto potere discrezionale, il rispetto nei procedimenti amministrativi delle garanzie riconosciute dall’ordinamento giuridico dell’Unione riveste un’importanza ancora più fondamentale. Tra tali garanzie riconosciute dall’ordinamento giuridico dell’Unione nei procedimenti amministrativi figura, segnatamente, il principio di buona amministrazione, al quale si ricollega l’obbligo per l’istituzione competente di esaminare, con cura e imparzialità, tutti gli elementi pertinenti della fattispecie (sentenze del 21 novembre 1991, Technische Universität München, C‑269/90, EU:C:1991:438, punto 14, e del 29 marzo 2012, Commissione/Estonia, C‑505/09 P, EU:C:2012:179, punto 95).

68      Occorre ricordare che il rischio identificato dalla BCE è il rischio di sopravvalutazione dei CET 1 e che lo scopo della misura di detrazione è di rimediare a tale rischio, e non di rimediare ai rischi derivanti da un’eventuale richiesta di pagamento degli IPI. Il rischio di sopravvalutazione dei CET 1 è determinato dall’indisponibilità delle somme collocate a garanzia dell’impegno sottoscritto dalla ricorrente. Inoltre, la ricorrente, nei propri scritti difensivi, non ha mai contestato l’indisponibilità di tali somme, né il rischio identificato in quanto tale. Pur essendovi un nesso tra il rischio identificato e la sottoscrizione degli IPI, il rischio di sopravvalutazione dei CET 1 è un rischio diverso da quello di una richiesta di pagamento degli IPI. Il rischio suscitato dalla richiesta di pagamento degli IPI rappresenta per l’ente interessato il rischio di incorrere in perdite una volta che gli IPI sono stati escussi e che gli IPI fuori bilancio divengono una spesa reale che comporta perdite che devono essere registrate nel suo conto economico.

69      Ne consegue che la BCE non era tenuta ad esaminare se la ricorrente fosse in grado di sopportare il rischio di essere chiamata a pagare gli IPI. Pertanto, la censura della ricorrente, in base al principio di buona amministrazione, secondo cui la BCE non avrebbe esaminato se la sua situazione individuale assicurasse la copertura di un rischio diverso da quello identificato dalla BCE, è inoperante.

70      Per quanto riguarda gli argomenti secondo i quali la BCE avrebbe operato un’inversione dell’onere della prova e non avrebbe preso in considerazione gli elementi dichiarati dalla ricorrente nel questionario, essi devono essere respinti.

71      È vero che spetta alla BCE dimostrare l’esistenza di un rischio. Tuttavia, essa può farlo solo sulla base di informazioni specifiche e «proprie» di ciascun ente creditizio. Per questo motivo è stato inviato un questionario dettagliato al fine di ottenere le informazioni necessarie per valutare la situazione individuale della ricorrente. Infatti, il suddetto questionario rientra nell’obbligo di cooperazione previsto dall’articolo 28, paragrafo 3, del regolamento (UE) n. 468/2014 della BCE, del 16 aprile 2014, che istituisce il quadro di cooperazione nell’ambito del Meccanismo di vigilanza unico tra la BCE e le autorità nazionali competenti e con le autorità nazionali designate (in prosieguo: il «regolamento quadro sull’MVU») (GU 2014, L 141, pag. 1). Tale disposizione prevede che la ricorrente, nell’ambito di una procedura di vigilanza prudenziale, come nel caso di specie, sia tenuta a prestare la propria assistenza alla BCE per il chiarimento dei fatti. Il questionario non ha quindi avuto l’effetto di dispensare la BCE dallo svolgimento di un esame individuale, né di invertire l’onere della prova. Al contrario, sulla base delle informazioni ricevute, la BCE ha effettuato la propria analisi, ha identificato il rischio ed è giunta alla conclusione, per quanto riguarda la ricorrente, che tale rischio non era coperto, giustificando così la misura di detrazione e l’obbligo di segnalazione.

72      Per quanto riguarda l’obbligo di segnalazione, occorre rilevare che tale misura è possibile sulla base dell’articolo 16, paragrafo 2, lettera j), del regolamento n. 1024/2013. Il fatto che le informazioni debbano essere fornite utilizzando il modello COREP C 01.00, linea 0529, ID 1.1.1.28 «Elementi del CET 1 o deduzioni – altro», di cui all’allegato I del regolamento di esecuzione (UE) 2021/451 della Commissione, del 17 dicembre 2020, che stabilisce norme tecniche di attuazione per l’applicazione del regolamento n. 575/2013 per quanto riguarda le segnalazioni degli enti a fini di vigilanza e che abroga il regolamento di esecuzione (UE) n. 680/2014 (GU 2021, L 97, pag. 1), non comporta che le informazioni debbano essere fornite utilizzando il modello COREP C 01.00, riga 0529, ID 1.1.1. 1), non permette di concludere, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, che si tratti di una misura appartenente al «primo pilastro». L’utilizzo di tale allegato si spiega, come risulta dalle decisioni impugnate, con il fatto che detto regolamento di esecuzione non prevede, in quella fase, un punto specifico per la dichiarazione di informazioni in virtù di requisiti imposti dalla BCE nell’esercizio del potere di cui all’articolo 16, paragrafo 2, lettera d), del regolamento n. 1024/2013.

73      Per quanto riguarda l’argomento secondo cui la BCE avrebbe commesso un errore manifesto di valutazione in quanto avrebbe negato l’importanza dei «cuscinetti di gestione» per valutare se la ricorrente fosse in grado di rispondere al rischio al quale avrebbe potuto essere esposta, a causa della sottoscrizione degli IPI e del loro trattamento fuori bilancio, occorre osservare che la BCE ha esaminato tale aspetto. Essa ha concluso che le suddette riserve, vale a dire i fondi propri detenuti dalla ricorrente al di là dei requisiti regolamentari minimi e della raccomandazione di fondi propri a titolo del «secondo pilastro», non potevano essere considerate come fondi propri destinati a coprire il rischio di sopravvalutazione dei CET 1. A questo proposito, come risulta dalle decisioni impugnate, e senza che ciò sia contestato dalla ricorrente, quest’ultima resta libera di utilizzare i «cuscinetti di gestione» per qualsiasi rischio e non specificamente per il rischio correlato agli IPI. Analogamente, essa resta libera di distribuire i «cuscinetti di gestione», attraverso distribuzioni di utili autorizzate, in qualsiasi momento prima che il rischio si concretizzi, a meno che la BCE non chieda una detrazione o vieti la distribuzione di utili. Inoltre, la ricorrente non ha comunicato alcun impegno giuridicamente vincolante che le impedisse di disporre del suo «cuscinetto di gestione» liberamente, per fini diversi dalla copertura del rischio degli IPI. Peraltro, occorre rilevare, al pari della BCE, che la ricorrente sembra confondere il rischio di sopravvalutazione con le sue potenziali conseguenze. Il rischio di sopravvalutazione dei CET 1 consiste in una potenziale sopravvalutazione dei CET 1 alla luce delle capacità effettive di assorbimento delle perdite della ricorrente, il che potrebbe consentirle di sottoscrivere esposizioni non coperte da fondi propri. Sebbene i «cuscinetti di gestione» composti da CET 1 possano coprire le perdite derivanti da tali esposizioni, esse non coprono il rischio di sopravvalutazione dei CET 1 in sé stesso.

74      Pertanto, l’argomento della ricorrente vertente sui «cuscinetti di gestione» e l’affermazione secondo cui la BCE non li avrebbe presi in considerazione non può essere accolto.

75      Parimenti, la censura relativa alle liquidità non può essere accolta. Secondo la ricorrente, la BCE avrebbe adottato una posizione di principio senza aver valutato l’esistenza di un rischio per essa. Infatti, la BCE avrebbe ritenuto che il rischio legato alle liquidità fosse intrinsecamente legato alla contabilizzazione fuori bilancio degli IPI e che nessuna alternativa alla misura di detrazione – in particolare un requisito di liquidità supplementari – potesse porvi rimedio.

76      A questo proposito, occorre rilevare che la BCE ha ritenuto, nelle decisioni impugnate, che le liquidità detenute dalla ricorrente non fossero pertinenti per garantire una gestione solida e una buona copertura del rischio connesso agli IPI. Infatti, essa ha rilevato, come risulta dal punto 3.10.4 della decisione del 2 febbraio 2022 e dal punto 3.9.4 della decisione del 21 dicembre 2022, che, in caso di escussione degli IPI, o i soggetti sottoposti alla vigilanza prudenziale interessata avrebbero fornito contanti in cambio del recupero delle garanzie, a titolo di riequilibrio, o il FRU, il fondo di risoluzione nazionale o il sistema di garanzia dei depositi avrebbero azionato direttamente le garanzie. In ogni caso, ciò non avrebbe alcun impatto sulle liquidità nette dell’ente creditizio. Ad ogni modo, l’uscita di cassa avrebbe già avuto luogo al momento della fornitura iniziale della garanzia e il rischio connesso alle liquidità si sarebbe quindi già concretizzato, come si rifletterebbe nella gestione del rischio legato alle liquidità delle garanzie da parte degli enti interessati.

77      Orbene, è giocoforza constatare che la valutazione secondo cui, poiché il deposito di garanzia era già stato effettuato, le conseguenze di tale operazione sulle liquidità erano già state prese in considerazione dalla ricorrente e l’impatto sui coefficienti di liquidità si era già concretizzato, non è irrilevante. Inoltre, risulta altresì dagli scritti difensivi della ricorrente che essa ammette che il fatto che gli IPI fossero coperti da una garanzia sotto forma di deposito di contanti implica che le uscite di tesoreria hanno già avuto luogo e che la garanzia fornita non darà quindi luogo a uscite supplementari da parte della ricorrente a titolo degli IPI.

78      La BCE ha inoltre esaminato se la detenzione di liquidità supplementari avrebbe attenuato le preoccupazioni in merito ai rischi connessi agli IPI.

79      A questo proposito, la BCE ha concluso nelle decisioni impugnate, alla luce delle informazioni comunicate dalla ricorrente, che le liquidità supplementari non coprivano il rischio di una sopravvalutazione dei CET 1. La detenzione di liquidità supplementari avrebbe avuto un’incidenza indiretta sul rischio gravante sul capitale, dato che abitualmente alle liquidità viene attribuita una modesta ponderazione del rischio. Tuttavia, tali effetti positivi sarebbero già automaticamente presi in considerazione nei sistemi della ricorrente che determinano attivi ponderati in funzione dei rischi. Il fatto di riflettere anche tale impatto nel calcolo della detrazione per il rischio degli IPI equivarrebbe a prendere in considerazione due volte gli effetti positivi ritirati dalla detenzione di liquidità supplementari.

80      Tenuto conto del rischio identificato, tale ragionamento è esente da errori.

81      Il fatto che tale ragionamento si applichi anche ad altri enti creditizi che sottoscrivono IPI non significa che la BCE non abbia condotto un esame della situazione individuale della ricorrente e che essa abbia adottato una motivazione generica e stereotipata, in violazione del principio di buona amministrazione.

82      Alla luce di quanto precede, il secondo motivo dev’essere respinto.

 Sul terzo motivo, relativo ad un errore di diritto risultante dalla privazione delleffetto utile della normativa che disciplina il ricorso agli IPI

83      La ricorrente sostiene che le decisioni impugnate privano gli IPI di qualsiasi effetto utile.

84      In primo luogo, il trattamento contabile e prudenziale differenziato degli IPI (che non danno luogo all’iscrizione come oneri nei suoi conti) rispetto ai contributi diretti in denaro (che danno luogo ad un’iscrizione come oneri nei suoi conti) sarebbe coerente con l’obiettivo del legislatore di preservare la capacità degli enti contributori di finanziare l’economia reale. Imponendo un trattamento prudenziale senza distinzioni tra IPI e contributi in contanti, le decisioni impugnate minaccerebbero l’equilibrio stabilito dal legislatore tra il finanziamento dei fondi di risoluzione e dei sistemi di garanzia dei depositi, da un lato, e il finanziamento dell’economia reale, dall’altro, e ignorerebbero la differenza di natura che esiste tra queste due categorie di contribuzioni.

85      In secondo luogo, la misura di detrazione contrasterebbe con gli obiettivi di flessibilità, rapidità ed effettività perseguiti dal legislatore, come risulta dalla genesi dei testi normativi che hanno fondato l’Unione bancaria e dalla lettura dei dibattiti parlamentari, in quanto detta misura renderebbe più vincolante la messa in atto dei contributi ex ante ai fondi di risoluzione e ai sistemi di garanzia dei depositi.

86      La BCE contesta l’argomentazione della ricorrente.

87      Secondo una costante giurisprudenza, ai fini dell’interpretazione di una disposizione del diritto dell’Unione, si deve tener conto non soltanto del suo tenore letterale, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui è parte (sentenza del 26 gennaio 2012, ADV Allround, C‑218/10, EU:C:2012:35, punto 26; v., anche, sentenza del 19 luglio 2012, A, C‑33/11, EU:C:2012:482, punto 27 e la giurisprudenza ivi citata).

88      Il fatto che gli IPI possano, a fianco dei contributi ex ante in contanti, essere utilizzati per contribuire ai fondi di risoluzione e ai sistemi di garanzia dei depositi non dà adito a discussioni, vista la chiara formulazione:

–        del regolamento (UE) n. 806/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 luglio 2014, che fissa norme e una procedura uniformi per la risoluzione degli enti creditizi e di talune imprese di investimento nel quadro del meccanismo di risoluzione unico e del Fondo di risoluzione unico e che modifica il regolamento (UE) n. 1093/2010 (GU 2014, L 225, pag. 1);

–        della direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento e che modifica la direttiva 82/891/CEE del Consiglio, e le direttive 2001/24/CE, 2002/47/CE, 2004/25/CE, 2005/56/CE, 2007/36/CE, 2011/35/UE, 2012/30/UE e 2013/36/UE e i regolamenti (UE) n. 1093/2010 e (UE) n. 648/2012, del Parlamento europeo e del Consiglio (GU 2014, L 173, pag. 190);

–        della direttiva 2014/49/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, relativa ai sistemi di garanzia dei depositi (GU 2014, L 173, pag. 149).

89      A questo proposito, l’articolo 70, paragrafo 3, del regolamento n. 806/2014 stabilisce che «[i] mezzi finanziari disponibili che concorrono al raggiungimento del livello‑obiettivo fissato all’articolo 69 possono comprendere [IPI] integralmente coperti dalla garanzia di [attivi] a basso rischio non gravat[i] da diritti di terzi, a libera disposizione e destinate all’uso esclusivo del CRU per gli scopi specificati nell’articolo 76, paragrafo 1», e che «[l]a quota di tali [IPI] non supera il 30% dell’importo complessivo dei contributi raccolti in conformità del presente articolo». Il testo dell’articolo 103, paragrafo 3, della direttiva 2014/59 è identico, quanto al suo contenuto, a quello dell’articolo 70, paragrafo 3, del citato regolamento. Infine, quanto ai sistemi di garanzia dei depositi, l’articolo 10, paragrafo 3, della direttiva 2014/49 prevede parimenti la possibilità di contribuire mediante IPI.

90      Tuttavia, occorre constatare che le citate disposizioni non prendono in considerazione e non mirano a disciplinare i trattamenti contabile e prudenziale degli IPI.

91      La questione dell’effetto utile delle disposizioni pertinenti riguarda quindi il rapporto tra il regolamento che istituisce dei fondi di risoluzione e dei sistemi di garanzia dei depositi e che autorizza l’uso degli IPI come contribuzione ad essi, e i regolamenti n. 575/2013 e n. 1024/2013, che hanno rispettivamente previsto dei requisiti prudenziali e istituito il meccanismo di vigilanza unico. Si tratta quindi di stabilire se l’applicazione del regolamento n. 575/2013 e del regolamento n. 1024/2013 possa avere l’effetto di far venir meno l’effetto utile di alcune disposizioni del regolamento n. 806/2014, tra cui l’articolo 70, paragrafo 3. Lo stesso vale per quanto riguarda la direttiva 2014/59, e segnatamente il suo articolo 103, paragrafo 3, e per quanto riguarda la direttiva 2014/49, tra cui il suo articolo 10, paragrafo 3.

92      Al riguardo, non si può concludere che il legislatore avesse l’intenzione di fare in modo che il ricorso agli IPI potesse consentire agli enti sottoscrittori di assumere rischi non coperti da fondi propri.

93      Infatti, una simile interpretazione sarebbe in contraddizione con le misure più rigorose adottate in risposta alla crisi finanziaria del 2008, che ha dato il via ad un rafforzamento del quadro normativo e della vigilanza prudenziale. È in questo contesto che sono stati istituiti anche i meccanismi di risoluzione volti a prevenire le conseguenze nefaste dei fallimenti bancari verificatisi in passato e ad affrontarli meglio in futuro.

94      A questo proposito, è già stato rilevato, nell’ambito del primo e del secondo motivo di ricorso, che la BCE era legittimata a concludere, sulla base dell’esame individuale, che la ricorrente correva un rischio di sopravvalutazione dei CET 1, essendo questo il risultato del modo in cui la ricorrente contabilizzava gli IPI e la relativa garanzia, e ciò implicando che essa potesse finanziare attività non coperte dai suoi fondi propri.

95      Inoltre, non sono convincenti le citazioni tratte dai considerando facenti parte dei testi normativi che hanno fondato l’Unione bancaria o i dibattiti parlamentari invocati dalla ricorrente nei suoi scritti difensivi. È vero che essi dimostrano che il legislatore ha tentato di trovare un certo equilibrio tra, da un lato, i requisiti necessari per un’unione bancaria sana e, dall’altro, il margine di manovra lasciato alle banche nella loro attività commerciale. Tuttavia, i considerando invocati dalla ricorrente hanno portata generale e non riguardano gli IPI. Inoltre, i passaggi da essa citati sono selettivi e incompleti e da essi non si può trarre alcuna conclusione quanto al trattamento contabile e alle eventuali conseguenze prudenziali.

96      A titolo esemplificativo, il riferimento fatto dalla ricorrente al considerando 18 del regolamento n. 1024/2013, per suffragare i propri argomenti nell’ambito del presente motivo e, in particolare, quelli relativi al trattamento contabile, non è pertinente in quanto l’estratto citato di tale considerando non rispecchia quest’ultimo nella sua interezza. Invero, dalla frase citata risulta che la BCE deve tenere conto dei fattori macroeconomici pertinenti negli Stati membri e, in particolare, della stabilità dell’offerta di credito e della promozione delle attività produttive per l’economia nel suo insieme. Tuttavia, la frase precedente indica, dal canto suo, che la BCE, nell’assolvimento dei suoi compiti, deve evitare «l’azzardo morale e l’assunzione di rischi eccessivi da parte degli enti creditizi che potrebbero derivarne».

97      Orbene, il fatto che la BCE, nell’assolvimento dei suoi compiti, sia tenuta a prendere in considerazione elementi macroeconomici pertinenti, non significa che le sia impedito di adottare misure correttive a livello individuale se ciò è necessario da un punto di vista prudenziale.

98      Analogamente, per quanto riguarda il riferimento al considerando 15 di una versione della proposta di regolamento di esecuzione concernente il regolamento n. 806/2014 [divenuto il regolamento di esecuzione (UE) 2015/81 del Consiglio, del 19 dicembre 2014, che stabilisce condizioni uniformi di applicazione del regolamento n. 806/2014 per quanto riguarda i contributi ex ante al FRU (GU 2015, L 15, pag. 1)], citato dalla ricorrente nei suoi scritti difensivi, occorre rilevare che esso non è pertinente. Infatti, il suo contenuto non è stato ripreso nella versione finale del regolamento di esecuzione, il che tende ad indicare che il legislatore non l’ha ritenuta opportuna.

99      Inoltre, per quanto riguarda l’argomento secondo cui un trattamento indifferenziato annullerebbe l’effetto utile degli IPI, va notato che dalle decisioni adottate dalla BCE e menzionate al punto 60 supra risulta che altri istituti bancari, anch’essi sottoscrittori di IPI, hanno previsto un trattamento contabile diverso dei loro IPI e delle somme poste a garanzia, che non sollevava alcun problema dal punto di vista prudenziale. Del resto, ciò tende a dimostrare che gli IPI non sono privi di interessi per questi ultimi.

100    A tal riguardo, indipendentemente dal trattamento contabile relativo agli IPI, occorre notare che le somme collocate in garanzia presso il fondo di risoluzione o il sistema di garanzia dei depositi producono interessi a vantaggio degli enti sottoscrittori degli IPI, il che costituisce un vantaggio rispetto a una contribuzione in contanti.

101    Per giunta, l’assenza di disposizioni nel regolamento n. 575/2013 che prevedano espressamente uno specifico trattamento contabile e prudenziale degli IPI tende a rafforzare le conclusioni di cui sopra.

102    Inoltre, il fatto che, con l’introduzione dello strumento relativo agli IPI, il legislatore non abbia avuto l’intenzione di concedere un vantaggio preferenziale ai sottoscrittori, tende a emergere anche dal parere espresso dall’Autorità bancaria europea (ABE).

103    In proposito, l’ABE ha ritenuto, come risulta dalle sue risposte ai commenti formulati nell’ambito della consultazione condotta sul progetto di orientamenti dell’ABE sugli IPI ai sensi della direttiva 2014/49, che né i considerando né gli articoli della direttiva 2014/49 prevedessero che l’obiettivo perseguito dal legislatore dell’Unione, al momento dell’introduzione degli IPI, fosse di concedere agli enti creditizi un trattamento contabile preferenziale. Inoltre, secondo l’ABE, contrariamente alle contribuzioni dirette in contanti, gli enti che sottoscrivono degli IPI possono beneficiare di tali impegni conservando il ricavato degli importi trasferiti in garanzia. Inoltre, sempre secondo l’ABE, gli IPI offrono agli enti creditizi un trattamento preferenziale delle liquidità (rispecchiato nella tabella dei flussi di cassa).

104    Sebbene l’interpretazione dell’ABE non sia vincolante, nel caso di specie può essere pertinente prenderla in considerazione dal momento che l’ABE è una fonte di riferimento nel settore dell’Unione bancaria.

105    Inoltre, gli orientamenti sugli IPI che l’ABE ha stabilito ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 3, secondo comma, della direttiva 2014/49 e dell’articolo 16 del regolamento (UE) n. 1093/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, che istituisce un’ABE, modifica la decisione n. 716/2009/CE e abroga la decisione n. 2009/78/CE della Commissione (GU 2010, L 331, pag. 12), confermano altresì che il trattamento contabile degli IPI e delle somme poste in garanzia può condurre all’adozione di misure prudenziali.

106    Occorre dunque respingere l’interpretazione suggerita dalla ricorrente e, di conseguenza, il terzo motivo nel suo insieme.

 Sul quarto motivo, relativo ad una violazione del principio di proporzionalità

107    Anzitutto, la ricorrente ricorda che il rischio potenziale creato dagli IPI può concretizzarsi solo in caso di richiesta di pagamento e che tale rischio, il cui verificarsi è ipotetico, perché la probabilità di essere chiamati al pagamento degli IPI è bassa, è comunque coperto tramite la corretta applicazione dei requisiti prudenziali, come gli attivi ponderati in funzione del rischio (risk weighted assets). Ne risulterebbe che la BCE non avrebbe tenuto conto della sua situazione specifica, che la misura di detrazione sarebbe ingiustificata e che essa pregiudicherebbe, per ciò solo, il principio di proporzionalità.

108    Inoltre, la BCE avrebbe escluso qualsiasi misura alternativa alla misura di detrazione, in virtù di una posizione di principio, con il pretesto che, senza detrazione, l’importo dei CET 1 comunicato agli operatori del mercato non rifletterebbe le capacità reali di assorbimento delle perdite.

109    La ricorrente ritiene quindi che l’imposizione della misura di detrazione, che produce effetti negativi su di essa, sia manifestamente inadeguata e sproporzionata rispetto all’obiettivo dichiarato di ottenere, ai fini della supervisione, un’adeguata informazione sui rischi.

110    Infine, la ricorrente ritiene che la BCE abbia riconosciuto, nell’ambito delle risposte alle osservazioni da essa formulate, che l’adeguatezza dei suoi fondi propri, valutata a «rischio mediamente basso» nel caso di specie, era un parametro indifferente. Essa ne conclude che la BCE ammette, di conseguenza, che anche un ente che presenti una situazione patrimoniale adeguata si vedrebbe applicare la stessa misura di detrazione, il che è in totale contraddizione con il principio di proporzionalità.

111    La BCE contesta gli argomenti della ricorrente.

112    In limine, si deve ricordare che, secondo l’articolo 5, paragrafo 4, TUE, in virtù del principio di proporzionalità, il contenuto e la forma dell’azione dell’Unione si limitano a quanto è necessario per il conseguimento degli obiettivi dei Trattati. Le istituzioni dell’Unione applicano il principio di proporzionalità conformemente al Protocollo n. 2 sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, allegato al TFUE.

113    Secondo una costante giurisprudenza, il principio di proporzionalità, che fa parte dei principi generali del diritto dell’Unione, esige che gli atti delle istituzioni dell’Unione siano idonei a realizzare i legittimi obiettivi perseguiti dalla normativa di cui trattasi e non eccedano i limiti di quanto è necessario alla realizzazione di tali obiettivi, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta tra più misure appropriate, si deve ricorrere a quella meno restrittiva e che gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti (v. sentenza del 16 maggio 2017, Landeskreditbank Baden‑Württemberg/BCE, T‑122/15, EU:T:2017:337, punto 67 e la giurisprudenza ivi citata).

114    Inoltre, secondo la Corte, la valutazione della proporzionalità di una misura deve conciliarsi con il rispetto del margine di discrezionalità eventualmente riconosciuto alle istituzioni dell’Unione in occasione della sua adozione (v. sentenza dell’8 maggio 2019, Landeskreditbank Baden‑Württemberg/BCE, C‑450/17 P, EU:C:2019:372, punto 53 e la giurisprudenza ivi citata).

115    Nel caso di specie, la BCE, dopo aver constatato che l’esistenza del rischio identificato non coperto dava luogo alla situazione problematica di cui all’articolo 16, paragrafo l, lettera c), del regolamento n. 1024/2013 e che, per porvi rimedio, essa poteva esercitare i poteri conferitile dall’articolo 16, paragrafo 2, lettera d), del medesimo regolamento per richiedere all’ente interessato di applicare ai propri attivi una politica di accantonamento speciale o un trattamento speciale in termini di requisiti patrimoniali, ha esaminato la proporzionalità della misura di detrazione.

116    In primo luogo, la BCE ha stabilito che la prescrizione di apportare una detrazione era adeguata per porre rimedio al rischio di sopravvalutazione dei CET 1, in quanto rimediava specificamente alla perdita di risorse economiche già verificatasi. In secondo luogo, la BCE ha valutato se la prescrizione della detrazione fosse necessaria e, in particolare, se esistessero altre misure alternative, meno onerose e idonee a raggiungere allo stesso modo l’obiettivo di dichiarare solo i CET 1 in grado di supportare i rischi.

117    La BCE ha ritenuto che tale obiettivo non sarebbe stato raggiunto ricorrendo ad altre misure a titolo del «secondo pilastro» ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 2, lettera a), riguardante l’aumento dei requisiti di fondi propri, e lettera i), riguardante la limitazione della distribuzione di dividendi, del regolamento n. 1024/2013.

118    È giocoforza constatare che l’esame condotto dalla BCE sulla proporzionalità della misura di detrazione è stato strutturato ed effettuato in modo corretto. Quest’ultimo non è viziato da illegittimità ed è privo di errori. Inoltre, tale ragionamento della BCE non è rimesso in discussione dagli argomenti invocati dalla ricorrente.

119    In primo luogo, l’argomento secondo cui la materializzazione di un’escussione degli IPI resta molto ipotetica non è pertinente alla luce del rischio identificato.

120    In secondo luogo, la ricorrente non può, per il fatto che la BCE ha esaminato e, successivamente, escluso misure alternative alla misura di detrazione, trarre la conclusione che la misura imposta fosse inidonea e sproporzionata per ottenere informazioni sui rischi. In ogni caso, la ricorrente non ha spiegato perché il ragionamento della BCE, a tal riguardo, sarebbe errato. Inoltre, la misura di detrazione mira a rimediare alla perdita di risorse economiche già verificatasi, dato che la comunicazione al mercato o ai supervisori del livello esatto di capacità di assorbimento delle perdite dei CET 1 della ricorrente è solo una conseguenza indiretta della misura imposta, ma non uno scopo in sé.

121    In terzo luogo, il fatto che l’adeguatezza dei fondi propri abbia dato luogo ad una valutazione come «rischi mediamente bassi» non significa che la misura di detrazione imposta sia sproporzionata e, in ogni caso, occorre rilevare che tale qualificazione non pone rimedio al rischio di sopravvalutazione identificato.

122    Da quanto precede risulta che occorre respingere il quarto motivo e, di conseguenza, il ricorso nella sua interezza.

 Sulle spese

123    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Essendo rimasta soccombente, la ricorrente deve dunque essere condannata alle spese, conformemente alle conclusioni formulate dalla BCE.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Terza Sezione ampliata)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La BNP Paribas è condannata alle spese.

Schalin

Škvařilová-Pelzl

Nõmm

Steinfatt

 

      Kukovec

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 5 giugno 2024.

Firme


*      Lingua processuale: il francese.