Language of document : ECLI:EU:C:2020:375

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MICHAL BOBEK

presentate il 14 maggio 2020 (1)

Causa C-129/19

Presidenza del Consiglio dei Ministri

contro

BV,

con l’intervento di:

Procura della Repubblica di Torino

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte Suprema di Cassazione, Italia]

«Domanda di pronuncia pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Direttiva 2004/80/CE – Articolo 12, paragrafo 2 – Sistemi di indennizzo nazionali delle vittime di reati intenzionali violenti – Situazioni puramente interne – Nozione di “situazioni transfrontaliere” – Indennizzo equo e adeguato»






I.      Introduzione

1.        Nella presente causa, la Corte Suprema di Cassazione (Italia) solleva due questioni giuridiche riguardanti l’interpretazione della direttiva 2004/80/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa all’indennizzo delle vittime di reato (2). In primo luogo, se l’articolo 12, paragrafo 2, di tale direttiva imponga agli Stati membri di istituire un sistema di indennizzo che si estenda a tutte le vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, ivi compresi quindi anche reati «puramente interni». In secondo luogo, in base a quali criteri si debba stabilire se l’indennizzo previsto da un sistema nazionale sia «equo e adeguato» ai sensi di tale direttiva.

II.    Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

2.        La direttiva 2004/80 si compone di tre capi. Il capo I reca il titolo «Accesso all’indennizzo nelle situazioni transfrontaliere». L’articolo 1 dispone quanto segue:

«Gli Stati membri assicurano che, se un reato intenzionale violento è stato commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui il richiedente l’indennizzo risiede abitualmente, il richiedente ha diritto a presentare la domanda presso un’autorità o qualsiasi altro organismo di quest’ultimo Stato membro».

3.        Il capo II, rubricato «Sistemi di indennizzo nazionali», contiene un solo articolo (articolo 12). Esso stabilisce quanto segue:

«1.      Le disposizioni della presente direttiva riguardanti l’accesso all’indennizzo nelle situazioni transfrontaliere si applicano sulla base dei sistemi degli Stati membri in materia di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori.

2.      Tutti gli Stati membri provvedono a che le loro normative nazionali prevedano l’esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime».

4.        Il capo III contiene le «Disposizioni di attuazione». Il suo articolo 18, paragrafo 1, così recita:

«Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 1° gennaio 2006, fatta eccezione per l’articolo 12, paragrafo 2, per il quale tale data è fissata al 1° luglio 2005. Essi ne informano immediatamente la Commissione».

B.      Diritto nazionale

5.        Le disposizioni essenziali del diritto nazionale, applicabili all’epoca dei fatti, erano le seguenti.

6.        L’articolo 609 bis del Codice penale italiano prevede il reato di «violenza sessuale».

7.        Ai sensi dell’articolo 1218 del Codice civile italiano, «[i]l debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile».

8.        L’articolo 11, comma 1, della legge 7 luglio 2016, n. 122 Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge europea 2015-2016, entrata in vigore il 23 luglio 2016, e successive modifiche (3), prevedeva «il diritto all’indennizzo a carico dello Stato alla vittima di un reato doloso commesso con violenza alla persona e comunque del reato di cui all’articolo 603-bis del codice penale, ad eccezione dei reati di cui agli articoli 581 e 582, salvo che ricorrano le circostanze aggravanti previste dall’articolo 583 del codice penale». Ai sensi del comma 2 della medesima disposizione, l’indennizzo per i delitti di omicidio, violenza sessuale o lesione personale gravissima è erogato in favore della vittima o, in caso di morte della vittima in conseguenza del reato, degli aventi diritto, nella misura determinata dal decreto ministeriale di cui al comma 3 dello stesso articolo 11. Per i reati diversi da quelli sopra menzionati, l’indennizzo è invece corrisposto per la rifusione delle spese mediche e assistenziali.

9.        L’articolo 1 del decreto del Ministro dell’interno 31 agosto 2017 – Determinazione degli importi dell’indennizzo alle vittime dei reati intenzionali violenti (4), determina l’importo dell’indennizzo nei seguenti termini: «a) per il reato di omicidio, nell’importo fisso di euro 7.200, nonché, in caso di omicidio commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa, nell’importo fisso di euro 8.200 esclusivamente in favore dei figli della vittima; b) per il reato di violenza sessuale di cui all’art. 609-bis del codice penale, salvo che ricorra la circostanza attenuante della minore gravità, nell’importo fisso di euro 4.800; c) per i reati diversi da quelli di cui alle lettere a) e b), fino a un massimo di euro 3.000 a titolo di rifusione delle spese mediche e assistenziali».

10.      Per completezza, occorre aggiungere che, all’udienza, il governo italiano ha informato la Corte che, con decreto ministeriale del 22 novembre 2019, il governo italiano ha aumentato l’importo dell’indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti. L’indennizzo per la violenza sessuale è stato portato da EUR 4 800 a EUR 25 000. Tuttavia, che io sappia, queste nuove disposizioni non hanno effetti retroattivi. Pertanto, esse non sembrano essere applicabili al caso di specie.

III. Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

11.      Nel mese di ottobre del 2005 la convenuta, residente in Italia, è stata vittima di violenza sessuale commessa da due cittadini rumeni a Torino. Gli autori del fatto sono stati condannati a una pena detentiva di dieci anni e sei mesi. Essi sono stati altresì condannati a risarcire il danno causato, con importo esatto da determinarsi in separato giudizio, con assegnazione, in favore della convenuta, di una provvisionale immediatamente esecutiva di EUR 50 000,00.

12.      Ciò nonostante, la vittima non è riuscita ad ottenere tale somma in quanto gli autori del reato si sono resi latitanti.

13.      Nel febbraio 2009, la convenuta ha citato in giudizio dinanzi al Tribunale di Torino (Italia) la Presidenza del Consiglio dei Ministri (Italia) al fine di ottenere un risarcimento danni per la mancata trasposizione della direttiva 2004/80. Con sentenza del 26 maggio 2010, tale giudice ha dichiarato il ricorso fondato e ha condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri a pagare alla convenuta la somma di EUR 90 000.

14.      La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha impugnato tale sentenza dinanzi alla Corte d’appello di Torino (Italia). Con sentenza del 23 gennaio 2012, detto giudice ha accolto parzialmente l’impugnazione e ha ridotto a EUR 50 000 la somma dovuta alla convenuta.

15.      La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza dinanzi alla Corte Suprema di Cassazione. Il procedimento è stato sospeso in attesa di due pronunce della Corte di giustizia: in relazione alla procedura di infrazione promossa dalla Commissione europea, in data 22 dicembre 2014, contro la Repubblica italiana per la mancata trasposizione della direttiva 2004/80, e in relazione al rinvio pregiudiziale del Tribunale di Roma (Italia), con ordinanza pronunciata il 24 marzo 2015, sull’interpretazione dell’articolo 12, paragrafo 2, della citata direttiva.

16.      A seguito della definizione dei due anzidetti giudizi dinanzi alla Corte di giustizia (il primo con sentenza dell’11 ottobre 2016 (5), il secondo con ordinanza del Presidente della Corte del 28 febbraio 2017 (6)), il procedimento dinanzi alla Corte Suprema di Cassazione è stato ripreso.

17.      Tuttavia, nutrendo dubbi in ordine all’interpretazione della direttiva 2004/80, la Corte Suprema di Cassazione ha nuovamente deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se – in relazione alla situazione di intempestivo (e/o incompleto) recepimento nell’ordinamento interno della [direttiva 2004/80], non self executing, quanto alla istituzione, da essa imposta, di un sistema di indennizzo delle vittime di reati violenti, che fa sorgere, nei confronti di soggetti transfrontalieri cui la stessa direttiva è unicamente rivolta, la responsabilità risarcitoria dello Stato membro, in forza dei principi recati dalla giurisprudenza della CGUE (tra le altre, sentenze “Francovich” e “Brasserie du Pecheur” e “Factortame III”) – il diritto [dell’Unione europea] imponga di configurare un’analoga responsabilità dello Stato membro nei confronti di soggetti non transfrontalieri (dunque, residenti), i quali non sarebbero stati i destinatari diretti dei benefici derivanti dall’attuazione della direttiva, ma, per evitare una violazione del principio di uguaglianza/non discriminazione nell’ambito dello stesso diritto [dell’Unione europea], avrebbero dovuto e potuto – ove la direttiva fosse stata tempestivamente e compiutamente recepita – beneficiare in via di estensione dell’effetto utile della direttiva stessa (ossia del sistema di indennizzo anzidetto).

2)      Condizionatamente alla risposta positiva al quesito che precede:

se l’indennizzo stabilito in favore delle vittime dei reati intenzionali violenti (e, segnatamente, del reato di violenza sessuale, di cui all’art. 609-bis cod. pen.) dal decreto del Ministro dell’interno 31 agosto 2017 [emanato ai sensi del comma 3 dell’art. 11 della legge 7 luglio 2016, n. 122 (Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea - Legge europea 2015-2016) e successive modificazioni (recate dall’art. 6 della legge 20 novembre 2017, n. 167 e dall’art. 1, commi 593-596, della legge 30 dicembre 2018, n. 145)] nell’importo fisso di euro 4.800 possa reputarsi “indennizzo equo ed adeguato delle vittime” in attuazione di quanto prescritto dall’art. 12, par. 2, della direttiva 2004/80».

18.      Osservazioni scritte sono state presentate dalla convenuta, dal governo italiano e dalla Commissione. Tali parti hanno inoltre esposto osservazioni orali all’udienza tenutasi il 2 marzo 2020.

IV.    Analisi

19.      Le presenti conclusioni sono articolate come segue. Anzitutto esaminerò brevemente l’obiezione del governo italiano secondo cui il presente ricorso sarebbe privo di oggetto (A). Mi soffermerò poi sulla questione essenziale posta dall’ordinanza di rinvio: l’ambito di applicazione ratione personae dell’articolo 12 della direttiva 2004/80, letto nel contesto della direttiva in quanto tale, compresa la sua genesi legislativa alquanto complessa (B). Infine, formulerò alcune osservazioni sintetiche sulla seconda questione sollevata dal giudice del rinvio (C).

A.      Ricorso privo di oggetto

20.      Il governo italiano sostiene che la convenuta ha ottenuto un indennizzo nell’ambito del sistema nazionale. Infatti, risulta che il sistema nazionale (7), una volta adottato (tardivamente), è stato reso applicabile retroattivamente nei confronti delle vittime di reati intenzionali violenti commessi a partire dal 30 giugno 2005, conformemente all’articolo 18, paragrafo 2, della direttiva 2004/80. Pertanto, la convenuta avrebbe ricevuto l’importo fisso di EUR 4 800. In tali circostanze, l’ordinanza di rinvio sarebbe divenuta priva di oggetto. Di conseguenza, la Corte dovrebbe respingerla dichiarando che non occorre fornire una risposta.

21.      Tale argomento non merita particolare considerazione. Mi sembra abbastanza chiaro che la convenuta conservi un interesse al procedimento nella misura in cui, dinanzi al giudice del rinvio, chiede un indennizzo superiore a quello percepito in base al sistema. A tal fine, la convenuta deduce, in sostanza, due motivi. In primo luogo, essa invoca la responsabilità dello Stato per tardiva o incompleta trasposizione della direttiva 2004/80 in applicazione della giurisprudenza Francovich (8). In secondo luogo, essa sostiene che l’indennizzo accordatole secondo il sistema italiano, per via del suo importo relativamente esiguo (EUR 4 800), non può essere considerato «equo ed adeguato» ai sensi della direttiva 2004/80.

22.      Entrambe le problematiche, sottese alle questioni sollevate dal giudice del rinvio, richiedono senz’altro una risposta da parte della Corte. Per questo motivo mi soffermerò ora sul merito delle due questioni pregiudiziali.

B.      Sulla prima questione

23.      Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se possa essere dichiarata la responsabilità di uno Stato membro che non ha recepito la direttiva 2004/80 per i danni extracontrattuali nei confronti delle vittime di reati intenzionali violenti che risiedono in quello stesso Stato membro, sebbene la direttiva 2004/80 si applichi solo alle situazioni transfrontaliere, ove il diritto nazionale di detto Stato membro osti a una discriminazione alla rovescia.

24.      Ritengo che la questione andrebbe riformulata nel modo seguente: se la direttiva 2004/80, in particolare l’articolo 12, paragrafo 2, obblighi gli Stati membri a istituire un sistema nazionale di indennizzo per tutte le vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, applicabile anche alle situazioni non transfrontaliere.

25.      Ricordo che, all’epoca in cui la convenuta – residente in Italia – è stata vittima del reato violento di cui trattasi, l’Italia non aveva ancora trasposto la direttiva 2004/80, anche se i termini per la trasposizione erano scaduti. Tuttavia, quando l’Italia ha finalmente trasposto la direttiva 2004/80, la convenuta ha ottenuto un indennizzo nell’ambito del sistema nazionale di indennizzo di nuova attuazione. Tale sistema è stato reso applicabile retroattivamente a tutte le vittime, comprese quelle residenti in Italia.

26.      In tale contesto, il giudice del rinvio ritiene che la convenuta non possa chiedere (direttamente) all’Italia il risarcimento dei danni per la tardiva attuazione della direttiva 2004/80. Secondo il giudice del rinvio, tale direttiva imporrebbe agli Stati membri di istituire un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti soltanto in presenza di situazioni transfrontaliere. Tuttavia, non era questa la situazione della convenuta: la vittima era residente in Italia e il reato era stato commesso in Italia. Pertanto, la situazione era interamente circoscritta al territorio di detto Stato membro. Per questo il giudice del rinvio si chiede se la responsabilità extracontrattuale dell’Italia possa nondimeno sussistere per un altro motivo, vale a dire per il fatto che il diritto italiano vieta le discriminazioni alla rovescia.

27.      Detta questione comporta inevitabilmente una risposta in senso negativo: se una situazione non è disciplinata dal diritto dell’Unione, non può sussistere violazione di tale diritto e, di conseguenza, il diritto dell’Unione non può essere all’origine di un’eventuale responsabilità extracontrattuale di uno Stato membro (9). Semmai, una responsabilità di questo tipo potrebbe derivare dal diritto nazionale, se e nei limiti in cui le autorità nazionali abbiano violato il diritto interno (ad esempio, il divieto di discriminazione alla rovescia).

28.      La soluzione non potrebbe essere diversa neppure se si dovesse prendere in considerazione il principio di non discriminazione in base alla nazionalità, menzionato dal giudice del rinvio nella sua domanda di pronuncia pregiudiziale. In proposito occorre ricordare che tale principio (sancito all’articolo 18 TFUE e all’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in prosieguo: la «Carta»), si applica solo nelle situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione. Tuttavia, qualora le disposizioni pertinenti del diritto dell’Unione riguardino solo situazioni transfrontaliere, lasciando così gli Stati membri liberi di disciplinare situazioni puramente interne, tale principio non è applicabile. Allo stato attuale del diritto dell’Unione spetta al diritto nazionale, se e ove opportuno, rimediare a qualsiasi effetto di discriminazione alla rovescia che potrebbe scaturire in tali situazioni (10).

29.      Alla luce di quanto precede, il problema centrale che si pone con la prima questione sollevata dalla Corte Suprema di Cassazione è un altro, vale a dire se il postulato sul quale si basa la prima questione del giudice del rinvio sia effettivamente corretto: se la direttiva 2004/80, in particolare il suo articolo 12, si applichi unicamente alle situazioni transfrontaliere, ad esclusione delle situazioni puramente interne.

30.      Nel presente procedimento, la convenuta afferma che a quest’ultima questione si deve rispondere in senso negativo, mentre il governo italiano e la Commissione suggeriscono il contrario. Entrambe le parti sostengono che il tenore letterale, l’obiettivo e la genesi della direttiva 2004/80 corroborano la loro tesi. Esse invocano altresì a tal fine talune decisioni della Corte.

31.      Nelle considerazioni che seguono spiegherò, in un primo tempo, perché il testo e l’architettura interna della direttiva 2004/80 manchino di chiarezza e non forniscano, se considerati separatamente, una risposta alla suddetta questione (1). Tenterò poi di individuare l’obiettivo (o gli obiettivi) perseguiti dal legislatore dell’Unione con l’adozione della direttiva 2004/80, e in particolare dell’articolo 12, paragrafo 2, della medesima, esaminandone il preambolo (2) e i lavori preparatori (3). In un secondo tempo, analizzerò la base giuridica della direttiva 2004/80 (4), ed esaminerò poi la giurisprudenza della Corte (5) per verificare se tali elementi possano offrire ulteriori indicazioni.

32.      Al termine di questa analisi complessiva, mi troverò tuttavia costretto ad ammettere che, a mio avviso, non vi è una risposta chiara in un senso o nell’altro. Entrambe le interpretazioni proposte restano sostenibili. Concluderò proponendo altri tre argomenti di ordine costituzionale in considerazione dei quali, in ultima analisi, suggerirei alla Corte di adottare l’interpretazione proposta dalla convenuta (6).

1.      Sul testo e sull’architettura interna della direttiva 2004/80

33.      In primo luogo, il governo italiano e la Commissione deducono che da una lettura complessiva dell’articolo 12 della direttiva 2004/80 risulta chiaramente che esso impone agli Stati membri di istituire sistemi di indennizzo unicamente per quanto riguarda le situazioni transfrontaliere. Il paragrafo 1 di detto articolo riguarda espressamente le situazioni transfrontaliere. Sarebbe singolare interpretare il secondo paragrafo della stessa disposizione come dotato di una portata più ampia del primo.

34.      Tale argomento non convince.

35.      L’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2004/80 così dispone: «Le disposizioni della presente direttiva riguardanti l’accesso all’indennizzo nelle situazioni transfrontaliere si applicano sulla base dei sistemi degli Stati membri in materia di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori». A sua volta, l’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80 enuncia: «Tutti gli Stati membri provvedono a che le loro normative nazionali prevedano l’esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime».

36.      Il primo paragrafo di detta disposizione si limita a indicare che il sistema di cooperazione istituito dalla direttiva al fine di garantire l’indennizzo per i reati transfrontalieri (previsto agli articoli da 1 a 11 della direttiva 2004/80) deve essere «innestato» sui sistemi di indennizzo nazionali. Tale disposizione afferma semplicemente che le norme imposte dalla presente direttiva sono un’«aggiunta» ai sistemi nazionali di indennizzo istituiti dagli Stati membri per le vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori.

37.      L’articolo 12, paragrafo 2, procede poi da tale affermazione, aggiungendo che gli Stati membri devono disporre di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori. Ovviamente, se già a livello nazionale non esistesse nulla, le regole enunciate al capo I della direttiva 2004/80 non avrebbero nulla su cui innestarsi.

38.      Sul piano testuale, non vi è nulla in tali disposizioni che limiti l’ambito di applicazione dell’articolo 12 alle sole situazioni transfrontaliere. Pertanto, la lettura proposta dalla convenuta per il secondo paragrafo di detta disposizione nel senso che impone agli Stati membri di istituire sistemi che coprano tutti i «reati intenzionali (...) commessi nei rispettivi territori» è, per quanto concerne il testo di detta disposizione, del tutto giustificata. Inoltre, essa non comporta alcuna contraddizione interna nell’interpretazione dell’articolo 12 della direttiva 2004/80.

39.      In secondo luogo, il governo italiano e la Commissione sono dell’avviso che dall’articolo 1 della direttiva 2004/80 discenda che l’obbligo di istituire sistemi di indennizzo nazionali è limitato alle situazioni transfrontaliere. Tale disposizione impone agli Stati membri di garantire il diritto di chiedere un indennizzo se «un reato intenzionale violento è stato commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui il richiedente l’indennizzo risiede abitualmente» (11). Più in generale, tale posizione sarebbe, secondo il governo italiano e la Commissione, corroborata dal resto della direttiva: è incontestabile che il sistema di cooperazione istituito dalla direttiva al fine di facilitare l’accesso all’indennizzo riguarda solo le vittime di reato nelle situazioni transfrontaliere.

40.      Tali argomenti sono, a mio avviso, corretti per quanto riguarda l’interpretazione del capo I della direttiva 2004/80. Essi non convincono, tuttavia, per quanto concerne l’ambito di applicazione del capo II e del suo articolo 12.

41.      Anzitutto, devo sottolineare che – contrariamente a molti altri strumenti simili – la direttiva 2004/80 non contiene, nel primo o nei primi articoli, alcuna disposizione che ne precisi lo scopo o l’oggetto, che ne definisca l’ambito di applicazione e/o contenga le definizioni. L’articolo 1 non fa parte di un capo introduttivo definito, ad esempio, «Disposizioni generali», applicabile all’intero strumento legislativo. L’articolo 1 è di fatto già parte del capo I (articoli da 1 a 11), rubricato «Accesso all’indennizzo nelle situazioni transfrontaliere». Detto capo è seguito dal capo II, rubricato «Sistemi di indennizzo nazionali» (contenente il solo articolo 12).

42.      Per questo motivo, non vedo come, in base a qualsiasi prassi ordinaria di interpretazione giuridica, la o le disposizioni introduttive di un capo di uno strumento legislativo possano essere utilizzate per limitare la portata di altri capi del medesimo strumento. Detto articolo 1 riguarda soltanto il sistema di cooperazione definito al capo I di tale direttiva. Per contro, l’esistenza di due capi distinti può senz’altro essere interpretata come un’indicazione che ciascuno di essi verta su un aspetto diverso del corpus normativo che la direttiva 2004/80 ha inteso instaurare. Se ciò è vero, la direttiva 2004/80 può effettivamente essere interpretata, come sostiene la convenuta, nel senso che prevede due obblighi distinti per gli Stati membri: i) l’istituzione di un sistema di cooperazione volto a facilitare l’accesso all’indennizzo nelle situazioni transfrontaliere, e ii) la predisposizione di un sistema nazionale di indennizzo applicabile in presenza di qualsiasi reato intenzionale violento.

43.      In terzo luogo, tale tesi è corroborata anche dall’articolo 18 della direttiva 2004/80, che prevede per la trasposizione due termini distinti: uno (anteriore) per l’articolo 12, paragrafo 2, e uno (successivo) per il resto della direttiva (12). Detta disposizione potrebbe dimostrare il carattere autonomo o indipendente dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80. Se i sistemi nazionali mirassero semplicemente a consentire il buon funzionamento del meccanismo istituito dalle altre disposizioni della direttiva 2004/80, la logica sottesa a tale differenza nei termini risulterebbe di difficile comprensione.

44.      In quarto luogo, va considerato il titolo della direttiva 2004/80: è una direttiva «relativa all’indennizzo delle vittime di reato». Non si tratta né di «una direttiva relativa all’indennizzo delle vittime di reato nelle situazioni transfrontaliere», né di «una direttiva sulla cooperazione in materia di indennizzo delle vittime di reato» né – come proposto dalla Presidenza del Consiglio in una determinata fase della procedura legislativa – di «una direttiva volta a facilitare l’indennizzo delle vittime di reato» (13). Ciascuno di questi titoli sarebbe stato probabilmente più adatto per uno strumento riguardante solo situazioni transfrontaliere.

45.      È vero che tale argomento potrebbe sembrare formalistico o scarsamente rilevante. Tuttavia, il titolo della direttiva riflette effettivamente la formulazione dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80. Detto articolo si riferisce ai «sistem[i]» degli Stati membri «di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori» (senza alcuna ulteriore qualificazione o limitazione), nonché alle «vittime» (anche qui, senza ulteriore qualificazione o limitazione). Inoltre, a differenza dell’articolo 1 della direttiva 2004/80, che è applicabile solo all’interno del capo I, il titolo generale di una direttiva dovrebbe essere indubbiamente rilevante per l’intera direttiva, e non solo per uno dei suoi capi.

46.      In quinto e ultimo luogo, nell’impianto sistematico della direttiva, se l’articolo 12 fosse stato inteso solo come una disposizione con una funzione strumentale o di ordine procedurale, come sostengono in sostanza la Commissione e il governo italiano, esso avrebbe potuto eventualmente essere incluso nel capo III della direttiva («Disposizioni di attuazione»). Tuttavia, tale disposizione è stata considerata sufficientemente importante da meritare un capo specifico (capo II), dotato di un titolo «sostanziale» («Sistemi di indennizzo nazionali»).

47.      A mio avviso, il testo e l’impianto sistematico della direttiva 2004/80, considerati isolatamente deporrebbero piuttosto a favore dell’interpretazione proposta dalla convenuta. Tuttavia, il quadro si rivela certamente più articolato se si passano ad esaminare gli obiettivi e le finalità di detto strumento, nella misura in cui possono essere desunti dall’analisi dei considerando di detta direttiva (2) e dall’iter legislativo che ha condotto alla sua adozione (3).

2.      Obiettivi del legislatore dell’Unione I: il preambolo della direttiva 2004/80

48.      Ciascuna delle due parti asserisce che l’ambito di applicazione dell’articolo 12 della direttiva 2004/80 diviene più chiaro se si prendono in considerazione gli obiettivi perseguiti con la suddetta direttiva dal legislatore dell’Unione, come illustrano taluni specifici considerando contenuti nel preambolo di detto strumento.

49.      L’unico problema di questo argomento è che dalle due parti vengono evocati diversi considerando a sostegno delle rispettive tesi. Ancora più sconcertante è il fatto che, in un certo qual modo, entrambe le parti hanno ragione. L’ambiguità intrinseca degli articoli della direttiva 2004/80 si riflette anche nel suo preambolo. Lungi dal chiarire quale interpretazione dare all’articolo 12 della direttiva 2004/80, lo studio del preambolo sembra più che altro aggiungere ulteriore incertezza.

50.      Semplificando, nonostante una certa vaghezza, gli obiettivi enunciati nei singoli considerando della direttiva 2004/80 potrebbero essere collocati in tre gruppi distinti (14): i) aiuti alle vittime nelle situazioni transfrontaliere; ii) libera circolazione delle persone e dei servizi; iii) tutela delle vittime di reato nei procedimenti penali.

51.      In primo luogo, come sostenuto dal governo italiano e dalla Commissione, il primo gruppo di considerando indicherebbe che la direttiva 2004/80 si limita a introdurre norme relative all’accesso all’indennizzo nelle situazioni transfrontaliere. Con l’espressione «situazioni transfrontaliere», dette parti intendono le situazioni in cui la vittima di un reato risiede in uno Stato membro diverso da quello in cui è stato consumato il reato.

52.      Al riguardo, dette parti fanno riferimento in particolare al primo e al secondo considerando. Il primo considerando è così formulato: «Uno degli obiettivi [dell’Unione europea] consiste nell’abolizione degli ostacoli tra Stati membri alla libera circolazione delle persone e dei servizi» (15). Il riferimento alla libera circolazione è completato dal secondo considerando, ai sensi del quale: «La Corte di giustizia ha statuito nella causa Cowan che, allorché il diritto [dell’Unione] garantisce alle persone fisiche la libertà di recarsi in un altro Stato membro, la tutela della loro integrità personale in detto Stato membro alla stessa stregua dei cittadini e dei soggetti che vi risiedano costituisce il corollario della libertà di circolazione. Dovrebbero concorrere alla realizzazione di tale obiettivo misure volte a facilitare l’indennizzo delle vittime di reato» (16).

53.      Inoltre, il governo italiano e la Commissione sottolineano che i considerando 11, 12 e 13 si riferiscono (esplicitamente o implicitamente) alle situazioni in cui il reato viene commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui la vittima risiede. Inoltre, essi aggiungono che, al considerando 15, l’adozione della direttiva 2004/80 è giustificata, sotto il profilo della proporzionalità e della sussidiarietà, solo con riferimento alla necessità di «facilitare alle vittime di reato l’accesso all’indennizzo nelle situazioni transfrontaliere». Una siffatta giustificazione potrebbe forse essere considerata insufficiente per uno strumento il cui obiettivo va al di là della disciplina delle situazioni transfrontaliere.

54.      Tuttavia, la formulazione di tali considerando non mi sembra determinante, nonostante i numerosi rinvii alle situazioni transfrontaliere ivi contenuti. A mio avviso solo il considerando 15 potrebbe essere inteso come un’indicazione chiara dell’intenzione del legislatore dell’Unione di limitare l’ambito di applicazione della direttiva 2004/80. Malgrado l’apparenza, gli altri considerando non sono altrettanto univoci nel corroborare la posizione sostenuta dal governo italiano e dalla Commissione. Peraltro, i considerando 11, 12 e 13 fanno semplicemente riferimento al sistema di cooperazione istituito dal capo I della direttiva 2004/80. Pertanto, essi forniscono ben poche indicazioni quanto all’interpretazione da dare all’articolo 12.

55.      In secondo luogo, le «situazioni transfrontaliere» menzionate dal governo italiano e dalla Commissione (vale a dire quando la vittima del reato si è avvalsa del proprio diritto alla libera circolazione) non esauriscono le «situazioni transfrontaliere» che, alla luce della sua ratio, potrebbero essere disciplinate dalla direttiva 2004/80.

56.      Detta ratio emerge ad un’analisi più approfondita del primo considerando (il quale ricorda che l’eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione delle persone e dei servizi è uno degli obiettivi dell’Unione europea), insieme alla formulazione generale degli altri considerando. In particolare, il considerando 10 così recita: «Le vittime di reato, in molti casi, non possono ottenere un risarcimento dall’autore del reato, in quanto questi può non possedere le risorse necessarie per ottemperare a una condanna al risarcimento dei danni, oppure può non essere identificato o perseguito».

57.      Se il considerando 10, ma anche, in parte, i considerando 7 e 1, dovessero essere considerati una spiegazione del motivo per cui il legislatore dell’Unione ha ritenuto necessario intervenire in questa materia, allora emergerebbe un altro tipo di situazione transfrontaliera: non solo quella della «vittima itinerante», ma anche quella dell’«autore del reato itinerante». È piuttosto frequente che le situazioni in cui le vittime di reati intenzionali violenti non riescono a ottenere un indennizzo dall’autore del reato, e manifestano quindi un’esigenza particolare di tutela, al fine di eliminare gli ostacoli alla libera circolazione delle persone, sono quelle in cui l’autore del reato si è avvalso della sua libertà di circolazione. In dette situazioni, infatti, può essere più agevole per l’autore del reato eludere le indagini o rendersi latitante semplicemente ritornando nel proprio paese di residenza.

58.      Pertanto, il fatto che i considerando 1 e 2 pongano l’accento sul nesso tra la direttiva 2004/80 e le libertà di circolazione non depone necessariamente a favore di un ambito di applicazione di detta direttiva così ristretto come lo intendono il governo italiano e la Commissione. Se si dovesse seguire la loro tesi, alcuni reati transfrontalieri rimarrebbero in ogni caso «esclusi», il che sarebbe difficilmente in linea con la ratio della direttiva, che è chiaramente di tutela.

59.      Di conseguenza, per principio, i considerando 1 e 2 non escludono, quantomeno esplicitamente, una più ampia nozione del termine «transfrontaliero». Tale nozione potrebbe comprendere, pertanto, le situazioni in cui vuoi la vittima, vuoi l’autore del reato, si siano avvalsi della propria libertà di circolazione.

60.      Tale posizione sarebbe altresì coerente con il considerando 7. Detto considerando, che riguarda specificamente l’obbligo degli Stati membri di istituire un sistema nazionale di indennizzo, così recita: «La presente direttiva stabilisce un sistema di cooperazione volto a facilitare alle vittime di reato l’accesso all’indennizzo nelle situazioni transfrontaliere, che dovrebbe operare sulla base dei sistemi degli Stati membri in materia di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori (...)» (17).

61.      In terzo e ultimo luogo, esiste ancora un altro gruppo di considerando che sembra confermare chiaramente la posizione sostenuta dalla convenuta. Infatti, vi sono parti del preambolo della direttiva 2004/80 in cui figurano espressioni o termini che, al pari dell’articolo 12, paragrafo 2, vanno ben oltre le semplici situazioni transfrontaliere. Tali passaggi sembrano segnatamente ispirati dall’obiettivo più generale del legislatore dell’Unione di assistere le vittime dei reati.

62.      Ad una più attenta lettura, sembrerebbe che il considerando 10 si spinga persino oltre quanto sopra indicato. Infatti, non vi è nulla nella formulazione di detto considerando che circoscriva la sua validità alle situazioni transfrontaliere: esso menziona semplicemente la necessità per le vittime di reato di ottenere un indennizzo, senza alcuna limitazione territoriale.

63.      Inoltre, cosa ancora più importante, il considerando 6 enuncia che «[l]e vittime di reato nell’Unione europea dovrebbero avere il diritto di ottenere un indennizzo equo e adeguato per le lesioni subite, indipendentemente dal luogo della Comunità europea in cui il reato è stato commesso» (18).

64.      Nello stesso ordine di idee, anche i riferimenti al contesto «storico» della direttiva 2004/80, che figurano nei considerando da 3 a 6 e 8, suggeriscono un più ampio ambito di applicazione di detta direttiva. Infatti, gli strumenti menzionati nei suddetti considerando (19) non erano in alcun modo «incentrati sul mercato interno». Al contrario, tali strumenti erano principalmente connessi al perseguimento di obiettivi maggiormente tipici delle disposizioni relative allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Pertanto, risulta più coerente con tali obiettivi una direttiva che miri a tutelare, sia pure in modo asimmetrico, tutte le vittime di reati nell’Unione europea, indipendentemente dalla loro cittadinanza o residenza.

65.      In particolare, se esaminiamo i considerando da 3 a 6 che, tenuto conto del loro ordine di collocazione e del loro contenuto, sono piuttosto generali e applicabili all’intero strumento legislativo, la terminologia e gli argomenti utilizzati sono quelli che si ritroverebbero tipicamente in un atto dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Non vi è assolutamente nulla nei suddetti considerando che limiti le considerazioni ivi contenute ai soli reati transfrontalieri commessi in danno di vittime che si trovino esse stesse fuori dal loro Stato membro di residenza.

66.      In conclusione, un esame dettagliato dei considerando della direttiva 2004/80 non risolve i problemi di interpretazione. Piuttosto, li complica ulteriormente. A questo punto, sono i lavori preparatori che contribuiscono a spiegare come sia venuto in essere un atto legislativo dell’Unione così equivoco.

3.      Obiettivi del legislatore dell’Unione II: la genesi della direttiva 2004/80

67.      Ancora una volta, il governo italiano e la Commissione, da un lato, e la convenuta, dall’altro, sostengono che i lavori preparatori della direttiva 2004/80 depongono a favore della loro interpretazione dell’articolo 12 della stessa.

68.      Alla luce degli atti di causa, la «strada lunga e tortuosa» che ha condotto all’adozione della direttiva 2004/80 può essere riassunta come segue.

69.      La proposta iniziale di direttiva del Consiglio relativa al risarcimento alle vittime di reato (in prosieguo: la «proposta»), presentata nel 2003 dalla Commissione (20), perseguiva due distinti obiettivi, considerati dalla Commissione «strettamente connessi (21)».

70.      Il primo obiettivo era garantire a tutti i cittadini dell’Unione e a tutti coloro che vi risiedono legalmente la possibilità di ottenere un risarcimento adeguato per i danni subiti in seguito a un reato di cui siano rimasti vittima ovunque all’interno dell’Unione europea. Detto obiettivo doveva essere perseguito attraverso la creazione di norme minime per il risarcimento statale alle vittime di reati.

71.      Il secondo obiettivo era quello di far sì che le possibilità in pratica per la vittima di reato di ottenere un risarcimento statale non fossero influenzate negativamente dalle situazioni transfrontaliere. Si rendeva pertanto necessario «facilitare l’accesso al risarcimento nelle situazioni in cui il reato sia stato commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui la vittima ha la sua residenza». Detto obiettivo doveva essere perseguito attraverso la creazione di un sistema di cooperazione tra le autorità dei diversi Stati membri, che consentisse alle vittime di presentare la domanda di risarcimento a un’autorità del proprio Stato membro di residenza.

72.      Questo duplice obiettivo si rifletteva, anzitutto, nell’articolo 1 della proposta, che così recitava: «L’obiettivo della presente direttiva è di fissare norme minime per il risarcimento alle vittime di reati e di facilitare l’accesso a tale risarcimento nelle situazioni transfrontaliere» (22). Il duplice obiettivo era poi rispecchiato nella struttura della direttiva, che comprendeva due sezioni distinte, una per ciascuno di tali obiettivi. La sezione 1 (articoli da 2 a 15) riguardava le «norme minime per il risarcimento alle vittime di reati», mentre la sezione 2 (articoli da 16 a 23), basandosi sulla prima, riguardava l’«accesso al risarcimento nelle situazioni transfrontaliere (23)».

73.      Tuttavia, in seno al Consiglio la proposta non ha ottenuto sostegno unanime (24). È stato comunque raggiunto un ampio consenso nella parte della proposta che riguardava il sistema di cooperazione nelle situazioni transfrontaliere. Per risolvere il problema, la Presidenza del Consiglio ha presentato una proposta di compromesso, che modificava la proposta della Commissione (in prosieguo: il «compromesso») (25). Il compromesso suggeriva di mantenere le disposizioni relative alle situazioni transfrontaliere (sezione 2), ma non quelle relative alle norme minime (sezione 1). Quest’ultima sezione doveva essere sostituita da un’unica disposizione: l’articolo A, che sarebbe in seguito divenuto l’articolo 12. L’articolo A prescriveva agli Stati membri di istituire sistemi nazionali, al fine di consentire un funzionamento efficace del sistema di risarcimento in casi transfrontalieri (26), lasciando al contempo alle istituzioni dell’Unione la libertà di mettere a punto norme minime in materia di indennizzo in futuro (27). Il compromesso è poi divenuto il fondamento della direttiva da ultimo adottata.

74.      Visti in quest’ottica, i lavori preparatori sembrano, in linea di principio, confermare gli argomenti dedotti dal governo italiano e dalla Commissione. In particolare, è vero che il compromesso sembra suggerire, come vigorosamente sostenuto dalla Commissione, che l’istituzione di sistemi nazionali dovrebbe (unicamente) essere strumentale al buon funzionamento del sistema di accesso all’indennizzo nelle situazioni transfrontaliere.

75.      La lettura proposta dalla Commissione pone tuttavia tre problemi.

76.      Anzitutto, tale «carattere strumentale limitato» non risulta chiaramente dal testo così come è stato adottato. Sia detto per inciso, esso non risulta neppure chiaramente dal testo del compromesso. Per quel che può valere, la sezione C di detto documento (punti da 13 a 16) esordisce sottolineando che, a seguito degli atti terroristici commessi a Madrid nel 2004, era importante inviare un messaggio chiaro alle vittime di reato, ossia che a livello dell’Unione erano in via di adozione misure relative al loro risarcimento (28). Dopo aver preso atto della mancanza di unanimità ai sensi dell’allora articolo 308 CE, detta sezione si limita a rilevare che tutti gli Stati membri devono istituire «un sistema di risarcimento», senza limitarlo in alcun modo alle sole situazioni transfrontaliere (29).

77.      In secondo luogo, interrogata in udienza sulle ragioni dell’obbligo degli Stati membri di istituire un sistema nazionale di indennizzo, nonostante la sua asserita limitazione ai reati transfrontalieri, la Commissione ha spiegato che lasciare agli Stati membri la libertà di disporre di sistemi diversi per situazioni transfrontaliere e per situazioni interne avrebbe potuto comportare inutili complicazioni in alcuni casi.

78.      Tuttavia, quando le è stato chiesto se uno Stato membro avesse correttamente trasposto la direttiva 2008/40 qualora esso avesse limitato il sistema nazionale di indennizzo ai soli reati transfrontalieri, la Commissione non ha fornito una risposta chiara, malgrado l’insistenza della Corte su tale punto. Al contrario, la Commissione ha continuato a sostenere che l’unico modo adeguato di trasporre l’articolo 12, paragrafo 2, non era l’istituzione, da parte di uno Stato membro, di un «sistema di indennizzo» o di «vari sistemi di indennizzo», ma piuttosto l’istituzione, da parte di uno Stato membro, di un unico sistema di indennizzo per tutti i reati intenzionali violenti commessi nel territorio di tale Stato membro.

79.      Questa tesi, tuttavia, è difficilmente sostenibile per motivi logici: o i sistemi nazionali possono legittimamente ricomprendere solo situazioni transfrontaliere (sempre che uno Stato membro decida di non avere un sistema di indennizzo per i reati nazionali), oppure tali sistemi devono necessariamente estendersi a situazioni puramente interne.

80.      In altre parole, dal punto di vista della vittima e dei suoi diritti, o (1) il diritto dell’Unione esige unicamente l’indennizzo delle vittime di reati commessi fuori dello Stato membro di residenza (ergo, le vittime «nazionali» non hanno alcun diritto in base alla normativa dell’Unione), oppure (2) gli Stati membri hanno l’obbligo di prevedere un sistema di indennizzo per tutte le vittime di reati intenzionali violenti commessi sul proprio territorio (ergo, tutte le vittime hanno diritto a un indennizzo in forza della normativa dell’Unione ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2). Tertium non datur: non può sussistere un obbligo stabilito dal diritto dell’Unione a beneficio del singolo, a cui non corrisponda un diritto di tale singolo a far rispettare detto obbligo.

81.      In terzo luogo, e in ogni caso, non mi sembra che i documenti citati dalla Commissione forniscano una risposta definitiva e inequivocabile alla questione posta. Non è del tutto chiaro, in tali documenti, se tutte le regole e i principi relativi alle norme minime inizialmente contenute nella proposta siano stati completamente eliminati nel compromesso, o se una parte minima di essi sia stata infine «compressa» nell’articolo 12.

82.      Infatti, il compromesso non dice esplicitamente se l’obiettivo di tutela di un gruppo più ampio di persone (comprese le vittime non transfrontaliere) sia completamente venuto meno, o se sia stato semplicemente ridotto, imponendo agli Stati membri un obbligo de minimis – un minimo comune denominatore sul quale tutti gli Stati membri avrebbero potuto convergere – per assicurare un «adeguato ed equo indennizzo» a tutte le vittime (30).

83.       Inoltre, come rilevato dalla convenuta, esistono documenti preparatori – in particolare i verbali di due riunioni del Consiglio successive al compromesso (31) – che suggeriscono la «sopravvivenza» di questo secondo obiettivo perseguito dalla direttiva: il rafforzamento della tutela di tutte le vittime dei reati intenzionali violenti, assicurando loro l’accesso a un indennizzo equo e adeguato, indipendentemente da dove sia commesso il reato nel territorio dell’Unione. Tale affermazione è in qualche misura confermata dal fatto che alcune considerazioni analoghe sono «sopravvissute» assumendo la forma dei considerando da 3 a 6  (32).

84.      In definitiva, la descrizione dell’iter legislativo che ha condotto all’adozione della direttiva 2004/80 contribuisce a fare luce su come sia nato questo strumento dalla formulazione singolare. Tuttavia, tenendo conto del testo da ultimo adottato, nonché delle ambiguità e delle varie dichiarazioni emerse nell’ambito dell’iter stesso, permane l’incertezza sugli obiettivi precisi che il legislatore dell’Unione intendeva perseguire con la direttiva 2004/80, e in particolare con l’articolo 12, paragrafo 2, della medesima.

4.      Base giuridica

85.      Passo ora a un altro elemento discusso dalle parti nelle loro osservazioni scritte e orali: la scelta della base giuridica – l’articolo 308 CE (divenuto articolo 352 TFUE) – e le sue implicazioni per l’ambito di applicazione della direttiva 2004/80. Tuttavia, contrariamente a quanto sostenuto dalle parti, semplicemente non vedo il minimo argomento che possa essere validamente dedotto al riguardo, poiché, in poche parole, entrambi i tipi di strumenti avrebbero potuto essere adottati sul fondamento dell’articolo 308 CE.

86.      Nella sua proposta, la Commissione ha spiegato che la direttiva avrebbe dovuto avere come base giuridica l’articolo 308 CE. Detto strumento presentava forti legami con il mercato interno, ma il suo oggetto andava oltre, incidendo anche sulla libera circolazione delle persone in generale e sulle legislazioni civili nazionali, materie allora disciplinate nella parte terza, titolo IV, del Trattato CE (33) (divenuto parte III, titolo V del Trattato FUE (34)). Tuttavia – secondo la Commissione – nessuna disposizione del titolo IV conferiva alla Comunità il potere di dettare norme come quelle contenute nella proposta di direttiva. Pertanto, la Commissione ha ritenuto che il legislatore dell’Unione potesse utilizzare soltanto le competenze residuali concesse all’Unione dalla clausola di flessibilità (35).

87.      Alla luce di ciò, non vedo come l’aver mantenuto la base giuridica inizialmente proposta dalla Commissione (anche dopo le modifiche sostanziali apportate dal compromesso) possa corroborare il punto di vista del governo italiano e della Commissione o quello della convenuta. Nonostante la soppressione (della maggior parte delle disposizioni) della sezione 1 della proposta, la direttiva 2004/80 ha mantenuto legami forti tanto con le disposizioni sul mercato interno quanto con quelle che rientrano ora nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Pertanto, la logica seguita dalla Commissione nella sua proposta, per quanto riguarda la base giuridica, è rimasta valida per la versione finale della direttiva.

88.      Inoltre, non esiste neppure la possibilità di ragionare in senso inverso, per limitare (o ampliare, nel caso) l’ambito di applicazione di un atto di diritto derivato sulla base dei suoi fondamenti di diritto primario, in mancanza di una siffatta limitazione nel testo di detto atto di diritto derivato.

89.      Da un lato, ho recentemente espresso un invito alla cautela con riguardo a siffatte limitazioni interpretative ex post degli atti di diritto derivato facendo riferimento alla loro base giuridica, suggerendo che questo tipo di argomenti dovrebbe piuttosto essere limitato all’ambito delle contestazioni sulla validità (36).

90.      Dall’altro lato, in aggiunta, anche se così non fosse, la specificità dell’articolo 308 CE osterebbe semplicemente a qualsiasi «percorso inverso» che potrebbe essere suggerito con riferimento ad altre e più specifiche basi giuridiche del Trattato (37). Nell’economia costituzionale del Trattato, l’articolo 308 CE (al pari dell’articolo 352 TFUE, benché ora accompagnato da qualche altra riserva) è semplicemente aperto: fatta salva l’unanimità tra gli Stati membri, possono essere adottate diverse misure, in nessun modo limitate alle situazioni transfrontaliere (38).

5.      Giurisprudenza esistente

91.      Infine, le parti hanno fatto riferimento a diverse decisioni della Corte a sostegno della loro interpretazione dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80. In particolare, il governo italiano e la Commissione hanno segnalato la giurisprudenza Dell’Orto (39), Giovanardi e a. (40) e C (41). La convenuta ha invocato la sentenza della Corte (42) nonché le conclusioni presentate dall’avvocato generale Bot (43) nella causa Commissione/Italia.

92.      Ancora una volta, nessuna delle parti è manifestamente in errore: detta giurisprudenza fornisce elementi che depongono a favore di entrambe le interpretazioni. Da un lato, è vero che le decisioni meno recenti emesse da sezioni ristrette della Corte seguono le linee proposte dalla Commissione e dal governo italiano. Dall’altro, vi è la più recente sentenza della Grande Sezione della Corte nella causa Commissione/Italia.

93.      Da un lato, nella sentenza Dell’Orto, la Corte ha dichiarato che una situazione in cui il reato è commesso nel territorio dello Stato membro di residenza della vittima non rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 2004/80. Secondo la Corte, tale direttiva «prevede un indennizzo unicamente nel caso di un reato intenzionale violento commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui la vittima risiede abitualmente» (44).

94.      La sentenza Giovanardi è alquanto simile. La Corte ha constatato che dall’articolo 1 della direttiva 2004/80 risultava che quest’ultima è «diretta a rendere più agevole per le vittime della criminalità intenzionale violenta l’accesso al risarcimento nelle situazioni transfrontaliere», mentre era pacifico che, nel procedimento principale, le imputazioni riguardavano «reati commessi colposamente, e, per di più, in un contesto puramente nazionale» (45).

95.      Pertanto, solo la causa C presenta una certa somiglianza con la presente causa. La sig.ra C era stata vittima di un reato intenzionale violento in Italia e aveva citato la Presidenza del Consiglio dei Ministri per la mancata trasposizione della direttiva 2004/80. La Corte si è dichiarata incompetente a rispondere alla questione pregiudiziale (46) poiché ha constatato che il reato era stato commesso nello stesso Stato membro di residenza della vittima (Italia). Alla luce di ciò, secondo la Corte detta situazione non rientrava nell’ambito di applicazione della direttiva 2004/80, bensì unicamente nel diritto nazionale. Su tale base, la Corte ha concluso: «in una situazione puramente interna, la Corte non è, in linea di principio, competente a pronunciarsi sulla questione sollevata dal giudice del rinvio». Poiché il giudice del rinvio non aveva invocato il divieto di discriminazioni alla rovescia nella sua decisione di rinvio, la Corte è giunta alla conclusione di essere manifestamente incompetente a rispondere alla questione sollevata (47).

96.      Peraltro, l’apparente chiarezza di tale giurisprudenza, come giustamente rilevato dalla convenuta, è messa in discussione da una recente decisione della Grande Sezione della Corte. Nella sentenza Commissione/Italia (48), la Corte ha inteso precisare il senso e la portata di tale precedente giurisprudenza. Al punto 49 della sua sentenza, la Corte ha dichiarato che, nelle sentenze Dell’Orto, Giovanardi e C, essa aveva precisato che «il sistema di cooperazione istituito dalla direttiva 2004/80 riguarda unicamente l’accesso all’indennizzo nelle situazioni transfrontaliere, senza tuttavia escludere che l’articolo 12, paragrafo 2, di tale direttiva imponga ad ogni Stato membro di adottare, al fine di garantire l’obiettivo da essa perseguito in siffatte situazioni, un sistema nazionale che garantisca l’indennizzo delle vittime di qualsiasi reato intenzionale violento sul proprio territorio» (49).

97.      La Corte ha poi dichiarato, al punto 50, che, «[u]na siffatta interpretazione dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80 è del resto conforme all’obiettivo di tale direttiva, consistente nell’abolizione degli ostacoli tra Stati membri alla libera circolazione delle persone e dei servizi al fine di migliorare il funzionamento del mercato interno» (50).

98.      Così, nonostante il fatto che tale decisione sia di natura alquanto ambigua (51), nella sentenza Commissione/Italia la Corte ha espressamente: i) dichiarato che la portata dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80 non era stata determinata dalla giurisprudenza precedente e, ii) lasciato aperta tale questione, in quanto una risposta alla stessa non era necessaria per statuire sul ricorso proposto dalla Commissione.

99.      Ciò è comprensibile tenendo conto della natura della causa, che riguardava una procedura di infrazione ai sensi dell’articolo 258 TFUE. La Commissione sosteneva che la Repubblica italiana era venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza della direttiva 2004/80, in quanto le leggi nazionali prevedevano un sistema di indennizzo soltanto per le vittime di alcuni reati specifici, come le azioni di terrorismo o la criminalità organizzata, mentre nessun sistema di indennizzo era stato istituito per quanto riguarda altri reati intenzionali violenti, quali lo stupro o altre gravi aggressioni di natura sessuale (52). Al fine di pronunciarsi su tale specifica questione, l’ambito di applicazione ratione personae dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80 non rivestiva particolare importanza, poiché era piuttosto chiaro, come confermato in definitiva dalla sentenza della Corte, che l’Italia aveva omesso di trasporre la suddetta direttiva per quanto riguarda entrambe (o meglio tutte) le categorie di vittime.

6.      Conclusione provvisoria (e criteri per lo «spareggio»)

100. Riconosco che accade raramente che, dopo aver studiato il testo, il contesto, la finalità, i lavori preparatori, nonché gli argomenti relativi alla base giuridica di uno strumento del diritto dell’Unione, ci si ritrovi pressoché al punto di partenza: smarriti.

101. In estrema sintesi, il testo e la logica interna dello strumento normativo depongono a favore della convenuta. Tuttavia, i lavori preparatori, sia pur non interamente, depongono a favore della Commissione e della Repubblica italiana. La base giuridica è «agnostica» rispetto a entrambe le soluzioni. Il gioco della «scelta del considerando che più aggrada» porta dove si vuole andare: è sufficiente prendere il considerando adatto.

102. Pertanto, con tutti questi elementi esaminati congiuntamente, l’analisi sembra concludersi – se posso utilizzare un termine sportivo – con un «pari merito» tra le due interpretazioni concorrenti dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80.

103. Non è quindi affatto sorprendente che, non solo le parti nel procedimento principale, ma anche diversa giurisprudenza e dottrina nazionali, siano giunte a conclusioni divergenti in materia (53). Una certa diversità di opinioni su tale punto sembra sussistere anche all’interno degli stessi servizi della Commissione (54).

104. In uno scenario così inusuale, per proseguire con una metafora sportiva, sono necessari criteri per uno «spareggio». Alla Corte ne propongo tre, di carattere più ampio e costituzionale.

105. Primo, esiste la Carta. Come risulta dall’articolo 51, paragrafo 2, della Carta, quest’ultima certamente non estende l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione. Tuttavia, la Carta può funzionare come criterio per lo «spareggio» interpretativo in una situazione in cui un ambito di applicazione del diritto dell’Unione è stato chiaramente dischiuso da un atto derivato del diritto dell’Unione, del quale però, a causa di una redazione legislativa tutt’altro che perfetta, sono ugualmente plausibili diverse interpretazioni.

106. Il fatto che la direttiva 2004/80 sia stata adottata prima che la Carta divenisse parte del diritto primario vincolante non cambia molto le cose a tale riguardo. In primo luogo, l’interpretazione di tale direttiva è richiesta oggi, nell’ambito della legislazione e delle circostanze attuali. In secondo luogo, si potrebbe naturalmente discutere di quanto ciò che ora è codificato sotto forma di diritto sancito dalla Carta esistesse già in precedenza sotto forma di un principio generale del diritto. In terzo luogo, la stessa direttiva 2004/80 fa espresso riferimento alla Carta. Il considerando 14 recita: «La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali ed osserva i principi riaffermati in particolare dalla [Carta] come principi generali del diritto comunitario».

107. Una volta definita tale questione, ritengo che non sia neppure necessario discutere in modo approfondito i diritti individuali sanciti dalla Carta che deporrebbero contro l’interpretazione più restrittiva possibile dell’ambito di applicazione dell’articolo 12, paragrafo 2. È abbastanza evidente che i diritti sanciti dall’articolo 1 (dignità umana) e dall’articolo 6 (diritto alla libertà e alla sicurezza) della Carta sarebbero particolarmente pertinenti. Entrambi i diritti sono garantiti a chiunque, così come, stando al testo, il diritto all’indennizzo per le vittime di reati intenzionali violenti commessi nel territorio di uno Stato membro è enunciato all’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80.

108. A mio avviso, la dignità umana, ma anche in parte il diritto alla sicurezza delle persone, sono inviolabili e indivisibili. A causa del loro carattere univoco e assoluto, essi garantiscono in uguale misura la  dignità umana e la protezione della sicurezza delle persone, senza che sia necessaria l’applicazione parallela dell’articolo 21 della Carta (divieto di qualsiasi discriminazione a qualsiasi titolo).

109. In tal modo, e nel particolare contesto normativo, caratterizzato da grande ambiguità, del testo da interpretare, non ritengo che occorra esaminare se l’articolo 21 della Carta contenga o meno, da solo o in combinato disposto con l’articolo 1 della stessa, un divieto di discriminazione alla rovescia. In considerazione del contenuto molto specifico dello strumento di diritto derivato da interpretare nel caso di specie, gli articoli 1 e 6 della Carta forniscono già un corposo fondamento per orientare in una direzione l’interpretazione dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80.

110. In secondo luogo, l’articolo 21 della Carta potrebbe tuttavia essere pertinente in un contesto leggermente diverso: quello dell’eventuale discriminazione tra i diversi scenari transfrontalieri e della differenziazione tra i vari tipi di circolazione e di assenza di circolazione.

111. Se la direttiva 2004/80 dovesse essere letta secondo i suggerimenti del governo italiano e della Commissione, si riserverebbe un trattamento diverso a due tipi di situazioni che comportano entrambe elementi transfrontalieri: la situazione in cui la vittima stessa si è avvalsa della propria libertà di circolazione (in prosieguo: la «vittima itinerante») e quella in cui l’autore si è avvalso di tale libertà (in prosieguo: l’«autore del reato itinerante») (55).

112. In entrambe le situazioni, la vittima del reato può imbattersi in ostacoli superiori al normale per ottenere il risarcimento dall’autore del reato. Il caso di specie potrebbe offrire un esempio in tal senso: gli autori del reato erano cittadini rumeni che, dopo la sentenza pronunciata nei loro confronti, si sono resi latitanti. Orbene, se l’obiettivo dichiarato della direttiva è quello di aiutare le vittime di reati transfrontalieri al fine di favorire la libera circolazione delle persone, non si dovrebbero trattare queste due situazioni in maniera analoga, almeno ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80, se il testo di tale disposizione consente chiaramente una siffatta interpretazione (56)?

113. Peraltro, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, TFUE, uno degli obiettivi dell’Unione è quello di «[offrire] ai suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone». Tuttavia, il nobile sogno di uno spazio senza frontiere interne non può affatto essere inteso a senso unico, ove l’apertura imposta dall’alto non sia accompagnata da un corrispondente grado di responsabilità. Non si può ignorare che un aumento della libera circolazione delle persone produce inevitabilmente talune esternalità negative o, per dirla diversamente, che abbia un costo sociale.

114. Pertanto, la lettura molto restrittiva dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80 proposta dal governo italiano e dalla Commissione implicherebbe che tale strumento persegua una promozione alquanto monodimensionale della libera circolazione delle persone: il rafforzamento della posizione di talune vittime di reati transfrontalieri, ignorando quella delle altre vittime, che può altrettanto facilmente risultare pregiudicata dalla libera circolazione delle persone.

115. Per contro, se si adottasse la lettura più ampia dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80 proposta dalla convenuta, detta differenza di trattamento tra due tipologie di situazioni transfrontaliere non si verificherebbe. Infatti, tale disposizione obbligherebbe gli Stati membri a istituire un sistema applicabile a tutte le vittime di reato, indipendentemente dal luogo di residenza.  

116. Tale problematica disparità di trattamento potrebbe altresì essere evitata se la nozione di situazioni «transfrontaliere» potesse essere interpretata in senso più ampio, in modo da comprendere anche le situazioni in cui l’autore del reato si è avvalso della sua libertà di circolazione. Tuttavia, devo ammettere che una siffatta nozione più ampia del termine «transfrontaliero», riferito a situazioni (o reati), è difficilmente conciliabile con l’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80: il termine «transfrontaliero» non è mai utilizzato in detta disposizione (57).

117.  In terzo e ultimo luogo, vi è l’argomento della separazione dei poteri (o, secondo la terminologia dell’Unione, dell’equilibrio istituzionale) tra il legislatore dell’Unione e i giudici. In parole povere, la questione da porre è quanto rispettosi debbano essere i giudici dell’Unione nei confronti dell’intenzione legislativa, percepita o reale, del legislatore storico, laddove tale intenzione non sia espressa chiaramente in alcun punto della normativa adottata e in vigore.

118. La Commissione sostiene che non era intenzione del Consiglio istituire norme ancorché minime in materia di indennizzo che andassero oltre le situazioni in cui il reato sia commesso in uno Stato membro diverso da quello di residenza della vittima. Tuttavia, una siffatta chiara intenzione legislativa non è desumibile, a mio avviso, né dal testo finale dell’atto legislativo adottato, né di fatto da quello del compromesso proposto dal Consiglio (58).

119. Orbene, anche supponendo che tale tesi sia corretta, mi guarderei dal suggerire che una siffatta intenzione legislativa, non espressa chiaramente in alcun punto della legislazione in vigore, divenga determinante. Indubbiamente, rispetto all’interpretazione delle leggi effettuata in vari Stati membri, devo ammettere di essere sempre stato piuttosto colpito dal grado di rispetto che esiste nella prassi interpretativa del diritto dell’Unione nei confronti della volontà del legislatore storico. A livello nazionale, la volontà del legislatore storico è molto probabilmente presa in considerazione (59), ma più che altro come uno degli elementi pertinenti, non di per sé automaticamente determinante. Ciò che in ultima analisi rileva è il testo adottato. Tale approccio ha indotto diversi ordinamenti a stabilire, in nome di un’autentica separazione dei poteri, una certa distanza rispetto all’intenzione soggettiva del legislatore storico che non ha trovato espressione nella normativa in vigore (60).

120. Per contro, nel diritto dell’Unione, il legislatore dispone del privilegio esclusivo di redigere il testo normativo. Inoltre, il legislatore dell’Unione fornisce ulteriori «orientamenti interpretativi autentici» sotto forma di considerando dei suoi atti legislativi. È pur vero che in teoria i considerando non sono vincolanti. La prassi è tuttavia molto meno chiara (61).

121. Pertanto, nel diritto dell’Unione, l’interprete è vincolato non una volta, bensì di fatto due, dall’intenzione legislativa (verosimilmente identica). In un siffatto contesto, suggerire che al di là di questi due livelli ne esista un terzo, che richiede in sostanza uno scavo quasi archeologico su chi abbia detto cosa diversi decenni prima, allo scopo di sistemare, o meglio rifare, un testo legislativo mal redatto, mi sembra un passo troppo lungo, se non addirittura due.

122. Al contrario, una volta adottato, uno strumento legislativo del diritto dell’Unione deve godere di vita propria. Ciò che conta ai fini della sua interpretazione sono gli elementi e le intenzioni espressi nel testo, così come l’intenzione del legislatore espressa nei considerando del testo stesso. Al contrario a nulla rilevano le intenzioni e le idee manifestate nel corso dell’iter legislativo, ma non espresse nel testo (62).

123. Ciò è vero per tre ulteriori ragioni. In primo luogo, la legislazione deve essere interpretata dal punto di vista di un normale destinatario, che verosimilmente non inizia a ricercare diversi documenti (non sempre accessibili al pubblico) relativi alla storia legislativa di uno strumento, al fine di scoprire se ciò che è scritto nel testo rispecchi la volontà soggettiva del legislatore storico. In secondo luogo, occorre ricordare che, nel diritto dell’Unione, generalmente non esiste un solo legislatore, bensì più co-legislatori, ognuno dei quali ha potenzialmente le proprie idee riguardo a ciò che essi intendevano adottare. In terzo luogo, viene altresì invocato l’argomento della responsabilità morale dell’autore, che aveva l’opportunità di indicare chiaramente che cosa intendesse. Se il legislatore non è stato in grado o non ha voluto indicare inequivocabilmente cosa volesse, è complicato farlo successivamente in via interpretativa, specialmente se a danno delle persone interessate, che potrebbero ragionevolmente aver seguito un iter di pensiero diverso, sulla base del testo della norma adottata.

124. Per tutte queste ragioni, ritengo che l’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80 debba essere interpretato nel senso che gli Stati membri devono istituire sistemi di indennizzo nazionali che prevedano un indennizzo a favore di qualsiasi vittima di un reato intenzionale violento commesso nei rispettivi territori, indipendentemente dal luogo di residenza della vittima.

C.      Sulla seconda questione

125. Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se un indennizzo fissato in EUR 4 800 per le vittime di violenza sessuale possa essere considerato «equo ed adeguato» ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80.

126. Prima di affrontare più in dettaglio il problema sollevato da tale questione, si impongono due osservazioni preliminari.

127. Nel procedimento principale, la convenuta chiede alle autorità italiane il risarcimento dei danni per la tardiva o incompleta trasposizione in Italia della direttiva 2004/80. Poiché la convenuta ha beneficiato di un indennizzo nell’ambito del sistema nazionale, per un importo pari a EUR 4 800, le sue pretese nei confronti della Presidenza del Consiglio sarebbero fondate su altri motivi (ad esempio: ritardo nell’attuazione del sistema o nella sua ammissione allo stesso, indennizzo che non equivale alla riparazione integrale, indennizzo per un importo non «equo ed adeguato»). Tuttavia, i motivi esatti non risultano chiaramente né dalla domanda di pronuncia pregiudiziale del giudice del rinvio né dalle osservazioni scritte e orali della convenuta dinanzi alla Corte. Pertanto, per fornire indicazioni più puntuali al giudice del rinvio, esporrò due brevi considerazioni relative all’applicazione della sentenza Francovich in circostanze analoghe a quelle di cui trattasi nel procedimento principale.

128. In primo luogo, secondo una giurisprudenza costante, l’applicazione retroattiva delle misure nazionali di attuazione di una direttiva può rimediare alle conseguenze pregiudizievoli di una tardiva attuazione, a condizione che tale direttiva sia correttamente trasposta. Tuttavia, spetta al giudice nazionale far sì che il risarcimento del danno subito dai beneficiari sia adeguato. A tal fine, chi chiede il risarcimento del danno deve dimostrare l’esistenza di un danno più grave in quanto non ha potuto beneficiare, in tempo utile, dei diritti garantiti dalla direttiva (63).

129. In secondo luogo, è lecito chiedersi se mediante un’azione di risarcimento danni, proposta da vittime di reati in situazioni puramente interne, non sia difficile dimostrare una violazione sufficientemente qualificata del diritto dell’Unione nel caso in cui lo Stato membro abbia istituito un sistema nazionale che copre solo i reati transfrontalieri. Infatti, secondo una giurisprudenza costante, una delle condizioni affinché sussista la responsabilità dello Stato è che la violazione del diritto dell’Unione sia sufficientemente qualificata (64). Tra gli elementi che i giudici nazionali possono prendere in considerazione in tale contesto figurano in particolare «il grado di chiarezza e di precisione della norma violata» (65).

130. L’intera sezione precedente delle presenti conclusioni ha comunque dimostrato che il testo dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80 è ambiguo e che, inoltre, il ricorso ad altri mezzi di interpretazione non apporta molta più chiarezza al riguardo.

131. In ogni caso, tale elemento non sembra affatto essere in discussione nel procedimento principale. La Repubblica italiana ha trasposto la direttiva 2004/80 istituendo un sistema di indennizzo nazionale riguardante tanto le situazioni interne che quelle transfrontaliere. Ritengo, pertanto, che la discussione dinanzi ai giudici nazionali verta unicamente sull’importo adeguato del risarcimento.

132. Fatte queste precisazioni, affronto ora la problematica fondamentale sollevata dalla seconda questione proposta dalla Corte Suprema di cassazione. Se l’indennizzo di importo pari a EUR 4 800 a una vittima di violenza sessuale possa essere considerato «equo ed adeguato» ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80.

133. Mi sembra molto difficile rispondere «sì o no» a tale questione. Spetta al giudice nazionale tener conto di tutte le circostanze del caso di specie al fine di pronunciarsi sulla questione se, nella fattispecie, l’indennizzo concesso dalle autorità alla vittima possa essere considerato «equo ed adeguato». Il ruolo della Corte, nell’ambito di un rinvio pregiudiziale, è quello di fornire un orientamento generale, chiarendo i criteri che detto giudice dovrebbe utilizzare per la sua valutazione nel merito.

134. In quest’ottica, osservo quanto segue.

135. In primo luogo, non posso che concordare con il governo italiano sul fatto che, in mancanza di norme di armonizzazione in materia, gli Stati membri dispongono di un ampio potere discrezionale quanto alla scelta delle voci di indennizzo considerate, dei criteri pertinenti per determinare l’importo dell’indennizzo e, di conseguenza, dell’importo stesso dell’indennizzo.

136. È vero che la nozione di «equo ed adeguato» figura all’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80. Ma non c’è altro. In particolare, il legislatore dell’Unione ha da ultimo deciso di non ricomprendere le regole più dettagliate che fissavano le norme minime per l’indennizzo contenute nella proposta iniziale, specialmente nell’originario articolo 4 della stessa (intitolato «Principi relativi alla determinazione dell’importo del risarcimento»). Pertanto, si potrebbe tranquillamente presumere che il legislatore dell’Unione intendesse lasciare agli Stati membri un margine di manovra particolarmente ampio a tale riguardo.

137. In secondo luogo, concordo con il governo italiano anche sul fatto che la direttiva 2004/80 non contenga alcuna base per corroborare l’opinione che l’indennizzo da concedere nell’ambito dei sistemi nazionali debba equivalere al risarcimento che l’autore del reato sarebbe tenuto a versare in forza della legislazione interna in materia di responsabilità civile. La ragion d’essere e la logica di questi due tipi di pagamento sono diverse.

138. Da un lato, l’indennizzo (o il risarcimento dei danni) che l’autore del reato è tenuto a versare alla vittima tende a seguire la logica della riparazione o del rimborso integrali. La somma riconosciuta dovrebbe rispecchiare, il più strettamente possibile, il risarcimento integrale della perdita, della lesione e del pregiudizio subiti dalla vittima (66).

139. Dall’altro lato, a quanto è dato desumere dalle norme minime adottate, la logica dell’indennizzo fornito in applicazione della direttiva 2004/80 è più che altro quella di un’assistenza (pecuniaria) pubblica (generalizzata) alle vittime di reato. La base per l’intervento del sistema nazionale non può essere rinvenuta in una qualche forma di colpa da parte delle autorità degli Stati membri, quale, ad esempio, nell’identificare o perseguire gli autori del reato. Inoltre, in varie lingue, la denominazione e le disposizioni della direttiva 2004/80 qualificano il risarcimento dovuto in base ai sistemi nazionali anche come un «indennizzo» (67). A quanto capisco, tale termine è spesso associato in numerosi paesi a una forma di risarcimento fisso o forfettario o, in ogni caso, a una forma di riparazione che non corrisponde necessariamente al risarcimento (integrale) dei danni del diritto privato.

140. In terzo luogo, ciò è altresì coerente con il modo in cui il sistema deve essere gestito a livello nazionale. L’importo dell’indennizzo, in forza della direttiva 2004/80, non richiede la determinazione da parte di un giudice che valuti l’insieme delle specifiche circostanze del caso di specie, alla luce degli elementi di prova prodotti dalle parti (68). Inoltre, una procedura lunga e complessa (che sarebbe probabilmente necessaria per garantire che l’indennizzo concesso corrisponda ad un pieno risarcimento (69)) non corrisponderebbe al tipo di procedura prevista dal legislatore dell’Unione. Infatti, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2004/80, gli Stati membri «si impegnano a limitare le formalità amministrative necessarie per la domanda di indennizzo allo stretto indispensabile».

141. In quarto luogo, tale logica e tale procedura si ripercuotono poi sul modo in cui gli importi devono essere fissati. Non ritengo che la nozione di «equo ed adeguato» sia strutturalmente incompatibile con una somma forfettaria o con importi standardizzati. Infatti, nulla nella direttiva 2004/80 osta a che normative e procedure nazionali includano disposizioni che, in sede di determinazione dell’importo dell’indennizzo da concedere, consentano intervalli, massimali e/o soglie minime, nonché valori finanziari standard o fissi per ciascun tipo di perdita o lesione subita dalla vittima, o per il tipo di reato commesso (70).

142. In quinto e ultimo luogo, l’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80 prescrive che l’indennizzo sia «equo ed adeguato», ponendo così un limite al margine di discrezionalità degli Stati membri in questo settore. Detto limite, tuttavia, è particolarmente tenue. Suggerisco di interpretare detta nozione nel senso che deve esistere una certa correlazione tra il pregiudizio e la perdita causati dal reato e l’indennizzo previsto dal sistema. Ciò non significa che l’importo debba essere prossimo al risarcimento integrale. Significa piuttosto che l’importo deve fornire un contributo significativo alla riparazione del danno materiale e immateriale subito dalla vittima, e darle una qualche soddisfazione per il torto subito. In particolare, l’importo dell’indennizzo non può essere talmente esiguo da divenire puramente simbolico, né da far sì che l’utilità e il conforto che la vittima ne trae siano, in pratica, trascurabili o marginali.

143. Aggiungo che non condivido il parere della convenuta secondo cui il requisito dell’«adeguatezza» previsto all’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80 richiede inevitabilmente che l’autorità investita della decisione possa adeguare l’importo previsto dal diritto nazionale alle circostanze specifiche di ciascun caso. Purché l’importo fissato nel diritto nazionale per un determinato tipo di reato sia ragionevole, non vedo alcuna ragione per ritenere che una somma forfettaria sia di per sé in contrasto con le disposizioni della direttiva 2004/80.

144. In definitiva, ammetto che tale orientamento sia minimalista, ed effettivamente un po’ vago. Tuttavia, su questo punto particolare e a differenza della portata dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80, il testo della direttiva così come adottato è sufficientemente chiaro nel non fornire alcun altro orientamento. Sembrerebbe infatti che il legislatore dell’Unione abbia voluto lasciare tale spazio aperto. Quel che ne è conseguito è una grande varietà di regimi, procedure e importi concessi nei singoli Stati membri (71). Qualora tale varietà dovesse essere considerata un problema, l’ulteriore evoluzione di tale settore del diritto mediante l’elaborazione di norme minime comuni, come inizialmente previsto al punto 16 del compromesso del Consiglio del 2004 (72), sarebbe compito del legislatore dell’Unione (73).

V.      Conclusioni

145. Propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali proposte dalla Corte Suprema di Cassazione (Italia) nei termini seguenti:

«1. L’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa all’indennizzo delle vittime di reato, impone agli Stati membri di istituire sistemi di indennizzo nazionali che prevedano l’indennizzo di qualsiasi vittima di un reato intenzionale violento, indipendentemente dal suo luogo di residenza.

2. L’indennizzo delle vittime di reato è “equo ed adeguato” ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004 quando fornisce un contributo significativo alla riparazione del danno subito dalla vittima. In particolare, l’importo dell’indennizzo concesso non può essere talmente esiguo da divenire puramente simbolico, né da far sì che l’utilità e il conforto che la vittima ne trae siano, in pratica, trascurabili o marginali».


1      Lingua originale: l’inglese.


2      GU 2004 L 261, pag. 15.


3      Modificata dall’articolo 6 della legge 20 novembre 2017, n. 167 Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge europea 2017 e dall’articolo 1, commi da 593 a 596, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021.


4      Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n. 237, del 10 ottobre 2017.


5      Sentenza Commissione/Italia (C‑601/14, EU:C:2016:759), che dichiara che la Repubblica italiana, non avendo adottato tutte le misure necessarie al fine di garantire l’esistenza, nelle situazioni transfrontaliere, di un sistema di indennizzo delle vittime di tutti i reati intenzionali violenti commessi sul proprio territorio, è venuta meno all’obbligo ad essa incombente in forza dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80.


6      Ordinanza X (C‑167/15, non pubblicata, EU:C:2017:187) che cancella la causa dal ruolo a seguito di rinuncia al rinvio pregiudiziale da parte del giudice del rinvio.


7      Descritto supra ai paragrafi 8 e 9 delle presenti conclusioni.


8      Sentenza del 19 novembre 1991 (C‑6/90 e C‑9/90, EU:C:1991:428).


9      Secondo una giurisprudenza costante, sussiste la responsabilità di uno Stato membro per danni arrecati ai singoli da violazioni del diritto dell’Unione ad esso imputabili, purché siano soddisfatte tre condizioni, vale a dire che la norma di diritto dell’Unione violata abbia lo scopo di conferire loro diritti, che la violazione di tale norma sia sufficientemente qualificata e che sussista un nesso causale diretto tra questa violazione e il danno subito da tali singoli (in tal senso, da ultimo, v. sentenza del 29 luglio 2019, Hochtief Solutions Magyarországi Fióktelepe (C‑620/17, EU:C:2019:630, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).


10      V., in tal senso, sentenze del 16 giugno 1994, Steen (C‑132/93, EU:C:1994:254, punti da 8 a 11), e del 5 giugno 1997, Uecker e Jacquet (C‑64/96 e C‑65/96, EU:C:1997:285, punto 23). Per una recente rassegna della giurisprudenza della Corte in materia, v. Arena A., «The Wall Around EU Fundamental Freedoms: the Purely Internal Rule at the Forty-Year Mark», Yearbook of European Law, 2020, pagg. da 12 a 67.


11      Il corsivo è mio.


12      Secondo detta disposizione, gli Stati membri erano tenuti a trasporre le disposizioni della direttiva 2004/80 entro il 1º gennaio 2006, «fatta eccezione per l’articolo 12, paragrafo 2, nel qual caso la data di adeguamento [era] il 1º luglio 2005».


13      V. documento del Consiglio 8033/04 del 5 aprile 2004. Alla fine tale proposta non è stata accolta.


14      Senza negare che alcuni di essi possano essere posti in più gruppi.


15      Il corsivo è mio.


16      Il corsivo è mio.


17      Il corsivo è mio.


18      Il corsivo è mio.


19      Le conclusioni del Consiglio europeo di Tampere del 1999, la dichiarazione del Consiglio europeo sulla lotta al terrorismo del 2004, l’adozione della decisione quadro 2001/220/GAI, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale, e la Convenzione europea del Consiglio d’Europa del 24 novembre 1983 sull’indennizzo delle vittime dei reati violenti.


20      COM (2002) 562 def. (GU 2003, C 45 E, pag. 69).


21      V., in particolare, il punto 3 della relazione.


22      Il corsivo è mio.


23      Infine, la sezione 3 (articoli da 24 a 28) riguardava le «disposizioni di attuazione».


24      La proposta era fondata sull’allora articolo 308 CE, divenuto l’articolo 352 TFUE. Tornerò su questo punto infra, ai paragrafi da 85 a 90 delle presenti conclusioni.


25      Documento del Consiglio 7752/04.


26      V. punto 15 del compromesso.


27      V. punto 16 del compromesso.


28      Punto 13 del compromesso.


29      In particolare, punto 16 del compromesso.


30      E non più la tutela di un gruppo più ampio di persone, come inizialmente previsto all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della proposta della Commissione.


31      V. documento del Consiglio 7209/04, pag. 9, e documento del Consiglio 8694/04, pag. II.


32      Supra, paragrafi 64 e 65 delle presenti conclusioni.


33      «Visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone» (articoli da 61 a 69 CE).


34      «Spazio di libertà, sicurezza e giustizia» (Articoli da 67 a 89 TFEU).


35      V. relazione, punti 5.1 e 5.2.


36      V. le conclusioni da me presentate nella causa C‑815/18, Federatie Nederlandse Vakbeweging (EU:C:2020:319, paragrafi da 45 a 49).


37      V., ad esempio, a proposito dell’articolo 114 TFUE, sentenze del 20 maggio 2003, Österreichischer Rundfunk e a. (C‑465/00, C‑138/01 e C‑139/01, EU:C:2003:294, punti da 41 a 43), o del 6 novembre 2003, Lindqvist (C‑101/01, EU:C:2003:596, punti da 40 a 42). Analogamente per quanto riguarda l’articolo 82, paragrafo 2, TFUE, v. sentenza del 13 giugno 2019, Moro (C‑646/17, EU:C:2019:489, punti 32 e 33).


38      In tal senso, v., in particolare, sentenza del 3 settembre 2008, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione (C‑402/05 P e C‑415/05 P, EU:C:2008:461, punto 235), nonché parere 1/94 (Accordi allegati all’accordo OMC), del 15 novembre 1994 (EU:C:1994:384, punto 59).


39      Sentenza del 28 giugno 2007 (C‑467/05, EU:C:2007:395).


40      Sentenza del 12 luglio 2012 (C‑79/11, EU:C:2012:448).


41      Ordinanza del 30 gennaio 2014 (C‑122/13, EU:C:2014:59).


42      Sentenza dell’11 ottobre 2016 (C‑601/14, EU:C:2016:759).


43      C‑601/14, EU:C:2016:249.


44      Sentenza del 28 giugno 2007, Dell’Orto (C‑467/05, EU:C:2007:395, punti da 57 a 59). Il corsivo è mio. Occorre tuttavia ammettere che tale affermazione è stata fatta marginalmente in una causa che riguardava una questione diversa, vale a dire quella se una persona giuridica possa rivendicare la qualità di vittima in forza della direttiva 2004/80, ma soprattutto in forza della decisione quadro del Consiglio, del 15 marzo 2001, 2001/220/GAI, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale (GU 2001 L 82, pag. 1).


45      Sentenza del 12 luglio 2012, Giovanardi e a. (C‑79/11, EU:C:2012:448, punto 37). Il corsivo è mio. Ancora una volta, al pari della causa Dell’Orto, detta causa verteva sull’interpretazione della nozione di vittima alla luce della decisione quadro 2001/220/GAI, mentre la direttiva 2004/80 non era stata neanche menzionata dal giudice del rinvio, in quanto era stata liquidata in un paragrafo come non pertinente per la fattispecie oggetto del procedimento principale.


46      «Se l’art. 12 della direttiva [2004/80] debba essere interpretato nel senso che esso permette agli Stati membri di prevedere l’indennizzo per le vittime di alcune categorie di reati violenti od intenzionali od imponga invece agli Stati membri in attuazione della citata Direttiva di adottare un sistema di indennizzo per le vittime di tutti i reati violenti od intenzionali».


47      Ordinanza del 30 gennaio 2014, C (C‑122/13, EU:C:2014:59, punti da 11 a 18 e dispositivo). Il corsivo è mio.


48      Sentenza dell’11 ottobre 2016 (C‑601/14, EU:C:2016:759).


49      Il corsivo è mio.


50      Il corsivo è mio.


51      Certamente, non è agevole conciliare i punti 49 e 50 di detta sentenza con i punti 44 e 45 della medesima.


52      V. sentenza dell’11 ottobre 2016, Commissione/Italia (C‑601/14, EU:C:2016:759, punti da 18 a 20).


53      V., ad esempio, le posizioni adottate da Mastroianni R., «La responsabilità patrimoniale dello Stato italiano per violazione del Diritto dell’Unione: il caso della direttiva sull’indennizzo delle vittime dei reati», Giustizia Civile, 2014, n. 1, pagg. da 283 a 318, e da Peers S., «Reverse discrimination against rape victims: a disappointing ruling of the CJEU», in EU Law Analysis Blog, 24 marzo 2014 (ultima consultazione: 20 marzo 2020). Il primo di questi due contributi contiene diversi riferimenti alla giurisprudenza italiana.


54      Ad ogni buon conto, un siffatto riferimento illustrativo a materiali simili (naturalmente non vincolanti), sul portale e-justice, gestito dalla Commissione, la direttiva 2004/80 è descritta nel senso che impone agli Stati membri di stabilire «un sistema nazionale di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti» (il corsivo è mio). Ai sensi di tale direttiva, «tutte le vittime di reati intenzionali violenti hanno accesso al sistema nazionale di indennizzo nel paese sul cui territorio il reato è stato commesso» (sito Internet https://e-justice.europa.eu/content_compensation-67-en.do (ultima consultazione il 20 marzo 2020). La Commissione non prende una posizione chiara al riguardo nemmeno nella sua «Relazione sull’applicazione della direttiva 2004/80/CE del Consiglio relativa all’indennizzo delle vittime di reato», del 20 aprile 2009, COM (2009) 170 def., in particolare punto 3.4.1.


55      Argomento discusso anche in precedenza ai paragrafi da 55 a 60 delle presenti conclusioni per quanto riguarda i considerando della direttiva 2004/80.


56      Ricordo che in passato, per ovviare alle discriminazioni individuate all’interno dell’architettura legislativa che consentono di trattare in modo diverso situazioni analoghe, la Corte non ha esitato a spingersi anche molto più in là, si potrebbe dire oltre il testo. V., ad esempio, sentenza del 19 novembre 2009, Sturgeon e a. (C‑402/07 e C‑432/07, EU:C:2009:716, paragrafi da 49 a 54), rispetto alle conclusioni presentate dall’avvocato generale Sharpston nelle cause riunite Sturgeon e a. (EU:C:2009:416, paragrafi da 62 a 97).


57      Come già esaminato in precedenza, l’utilizzo del termine «transfrontalier[o]» all’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2004/80 ha un significato molto diverso rispetto a quello attribuitole dalla Commissione e dal governo italiano (v. supra, paragrafi da 33 a 38).


58      Come esposto dettagliatamente supra, ai paragrafi da 75 a 84 delle presenti conclusioni.


59      A fini comparativi, v. ad esempio Stefan Vogenauer, Die Auslegung von Gesetzen in England und auf dem Kontinent. Eine Vergleichende Untersuchung der Rechtsprechung und ihrer historischen Grundlagen (Mohr (Siebeck), Tübingen, 2001) – Band I, pagg. 31-32 e 115-120 (per quanto riguarda la Germania); Band I, pagg. 235 e 274-276 (per quanto riguarda la Francia).


60      Inducendo taluni sistemi, in particolare quelli di common law, a una grande reticenza, se non al puro e semplice divieto, nei confronti dei riferimenti ai lavori preparatori e ai dibattiti finalizzati all’interpretazione delle leggi – ma v. la sentenza Pepper (Inspector of Taxes) v Hart, [1992] UKHL 3. Tuttavia, al di là della Manica, già FC Von Savigny suggeriva che la volontà del legislatore è rilevante solo nella misura in cui essa è oggettivamente espressa nella legge stessa; i motivi soggettivi del legislatore non espressi non lo sono: FC von Savigny, System des heutigen Römischen Rechts (2. Neudruck der Ausgabe Berlin 1840, Scientia Verlag 1981) al §38 (pag. 241).


61      A titolo illustrativo, v., ad esempio, sentenza del 12 luglio 2005, Alliance for Natural Health e a. (C‑154/04 e C‑155/04, EU:C:2005:449, punti 91 e 92); del 21 dicembre 2011, Ziolkowski e Szeja (C‑424/10 e C‑425/10, EU:C:2011:866, punti 42 e 43); o del 25 luglio 2018, Confédération paysanne e a. (C‑528/16, EU:C:2018:583, punti da 44 a 46 e 51). Con riferimento in particolare a quest’ultima causa, è oggetto di discussione in quale esatta misura tale utilizzo dei considerando resti nell’ambito del semplice orientamento interpretativo.


62      Analogamente alle mie recenti proposte nella causa C‑815/18, Federatie Nederlandse Vakbeweging (EU:C:2020:319, paragrafi da 61 a 63).


63      V., in tal senso, sentenze del 10 luglio 1997, Maso e a. (C‑373/95, EU:C:1997:353, punti da 39 a 42); del 25 febbraio 1999, Carbonari e a. (C‑131/97, EU:C:1999:98, punto 53), nonché del 3 ottobre 2000, Gozza e a. (C‑371/97, EU:C:2000:526, punto 39).


64      V. sentenza del 5 marzo 1996, Brasserie du pêcheur e Factortame (C‑46/93 e C‑48/93, EU:C:1996:79, punto 51) e, più recentemente, sentenza del 10 settembre 2019, HTTS/Consiglio (C‑123/18 P, EU:C:2019:694, punto 32).


65      V. sentenza del 5 marzo 1996, Brasserie du pêcheur e Factortame (C‑46/93 e C‑48/93, EU:C:1996:79, punto 56) e, più recentemente, sentenza del 10 settembre 2019, HTTS/Consiglio (C-123/18 P, EU:C:2019:694, punto 33).


66      Come in generale accade, in via tendenziale, per qualsiasi responsabilità extracontrattuale derivante da un danno causato ad altri. Ad esempio, in materia di responsabilità extracontrattuale dell’Unione europea, v. l’articolo 340 TFUE, ai sensi del quale «l’Unione deve risarcire, conformemente ai principi generali comuni ai diritti degli Stati membri, i danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell’esercizio delle loro funzioni» (il corsivo è mio). I giudici dell’Unione hanno costantemente interpretato detta disposizione come riferentesi, in linea di principio, tanto a perdite di natura pecuniaria (sotto forma di riduzioni patrimoniali e perdite di profitti), quanto a perdite di natura non pecuniaria: v., con ulteriori riferimenti, conclusioni presentate dall’avvocato generale Wahl nella causa Unione europea/Kendrion (C‑150/17 P, EU:C:2018:612, paragrafo 103).


67      Tra cui figurano le versioni in lingua tedesca («Entschädigung»), spagnola («indemnización»), francese («indemnisation»), italiana («indennizzo»), portoghese («indemnização») e slovacca («odškodnenie»).


68      V. articolo 3, paragrafi 1, e 2, della direttiva 2004/80.


69      V. Van Dam C., European Tort Law, 2ª ed., Oxford University Press, Oxford, 2013, pag. 346.


70      Va osservato che, in un certo numero di giurisdizioni, i giudici nazionali utilizzano anche parametri analoghi per quantificare rapidamente e agevolmente il risarcimento dei danni da accordare in casi concreti, garantendo al contempo la parità di trattamento in casi comparabili. A fortiori, ciò dovrebbe essere naturalmente possibile in un sistema come quello istituito dalla direttiva 2004/80.


71      V., ad esempio, «Relazione della Commissione sull’applicazione della direttiva 2004/80/CE», COM (2009) 170 def., corredata degli allegati contenenti riferimenti ai sistemi degli Stati membri nel «Documento di accompagnamento alla relazione della Commissione sull’applicazione della direttiva 2004/80/CE», (in inglese) (SEC (2009) 495). Per informazioni più aggiornate, v. altresì le schede dei singoli paesi sul portale E-justice (https://e-justice.europa.eu/content_if_my_claim_is_to_be_considered_in_this_country-491-en.do).


72      Citato supra, paragrafo 73.


73      V., al riguardo, «Strengthening Victims’ Rights: From Compensation to Reparation - For a new EU Victims’ rights strategy 2020-2025», Relazione di Milquet, J., consigliere speciale del presidente della Commissione europea dal marzo 2019, Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea, Lussemburgo, 2019.