Language of document : ECLI:EU:T:2019:652

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Sesta Sezione ampliata)

20 settembre 2019 (*)

«Aiuti di Stato – Regime di esenzione dall’imposta sul reddito delle società cui il Belgio ha dato esecuzione a favore dei suoi porti – Decisione che dichiara il regime di aiuti incompatibile con il mercato interno – Nozione di attività economica – Servizi di interesse economico generale – Attività non economiche – Scindibilità – Selettività – Domanda di periodo transitorio»

Nella causa T‑696/17,

Havenbedrijf Antwerpen NV, con sede ad Anversa (Belgio),

Maatschappij van de Brugse Zeehaven NV, con sede a Zeebrugge (Belgio),

rappresentate da P. Wytinck, W. Panis e I. Letten, avvocati,

ricorrenti,

sostenute da:

Regno del Belgio, rappresentato da J.‑C. Halleux, P. Cottin, L. Van den Broeck e C. Pochet, in qualità di agenti, assistiti da A. Lepièce e H. Baeyens, avvocati,

interveniente,

contro

Commissione europea, rappresentata da B. Stromsky e S. Noë, in qualità di agenti,

convenuta,

avente ad oggetto una domanda fondata sull’articolo 263 TFUE e diretta all’annullamento della decisione (UE) 2017/2115 della Commissione, del 27 luglio 2017, relativa al regime di aiuti SA.38393 (2016/C, ex 2015/E) cui il Belgio ha dato esecuzione – Tassazione dei porti in Belgio (GU 2017, L 332, pag. 1),

IL TRIBUNALE (Sesta Sezione ampliata),

composto da G. Berardis (relatore), presidente, I. Labucka, D. Spielmann, Z. Csehi e O. Spineanu‑Matei, giudici,

cancelliere: L. Ramette, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 4 febbraio 2019,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

 Contesto normativo

1        In Belgio, le norme relative alla tassazione dei redditi sono codificate dal code des impôts sur les revenus de 1992 (codice delle imposte sui redditi del 1992).

2        L’articolo 1 del codice delle imposte sui redditi, quale modificato e aggiornato al 27 luglio 2017 (in prosieguo: il «CIR»), prevede quanto segue:

«§ 1. Sono fissate a titolo di imposte sui redditi:

1)      un’imposta sul reddito complessivo degli abitanti del regno, denominata imposta delle persone fisiche;

2)      un’imposta sul reddito complessivo delle società residenti, denominata imposta delle società;

3)      un’imposta sui redditi delle persone giuridiche belghe diverse dalle società, denominata imposta delle persone giuridiche;

4)      un’imposta sui redditi dei non residenti, denominata imposta dei non residenti.

§ 2. Le imposte sono riscosse mediante ritenute alla fonte nei limiti e alle condizioni di cui al titolo VI, primo capo».

3        L’articolo 2 del CIR, nelle parti che qui rilevano, prevede quanto segue:

«§ 1. Ai fini dell’applicazione del presente Codice, delle disposizioni di legge specifiche relative alle imposte sui redditi e dei decreti adottati per la loro esecuzione, i seguenti termini hanno il significato definito nel presente articolo.

(…)

5)      Società

Si intende per:

a)      società: qualsiasi società, associazione, organizzazione o entità regolarmente costituita, dotata di personalità giuridica e dedita a un’attività o ad operazioni lucrative.

Le entità di diritto belga dotate di personalità giuridica che, ai fini dell’applicazione delle imposte sui redditi, sono considerate prive di personalità giuridica non sono considerate società;

b)      società residente: qualsiasi società che ha la propria sede sociale, il proprio principale centro di attività o la propria sede della direzione o amministrazione in Belgio e che non è esclusa dall’ambito di applicazione dell’imposta delle società.

(…)».

4        L’articolo 179 del CIR così dispone:

«Sono assoggettati all’imposta sul reddito delle società le società residenti e gli organismi di finanziamento di pensioni di cui all’articolo 8 della legge del 27 ottobre 2006 relativa al controllo degli enti pensionistici aziendali o professionali».

5        L’articolo 180 del CIR stabilisce quanto segue:

«Non sono assoggettati all’imposta delle società:

1)      le associazioni intercomunali, le strutture di cooperazione, le associazioni di progetto, le autorità municipali autonome e le associazioni di cui al comma 2 che, nell’ambito del loro oggetto sociale, in via principale:

–        gestiscono un ospedale come definito all’articolo 2 della loi coordonnée du 10 juillet 2008 sur les hôpitaux et autres établissements de soins (legge coordinata del 10 luglio 2008 sugli ospedali e altre strutture sanitarie); oppure

–        gestiscono una struttura che assiste vittime di guerra, disabili, anziani, minori protetti o indigenti;

2)      la SA “Waterwegen en Zeekanaal”, la SA “De Scheepvaart”, la SCRL Port autonome du Centre et de l’Ouest, la Maatschappij van de Brugse Zeehaven, il Porto di Bruxelles, l’autorità portuale municipale autonoma di Ostenda, le società per azioni di diritto pubblico Havenbedrijf Antwerpen e Havenbedrijf Gent e i porti autonomi di Liegi, Charleroi e Namur;

3)      l’Office national du ducroire;

4)      la Compagnie belge pour le financement de l’industrie;

5)      [abrogato];

5°bis)      il Fonds de participation, il Participatiefonds – Vlaanderen, il Fonds de participation – Wallonie e il Fonds de participation – Bruxelles;

6)      la Société régionale wallonne de transport public de personnes e le società di gestione a essa collegate;

7)      la Vlaamse Vervoermaatschappij e le unità di gestione autonoma esistenti al suo interno;

8)      la Société des transports intercommunaux de Bruxelles;

9)      le società di depurazione delle acque disciplinate dalla legge del 26 marzo 1971;

10)      [abrogato];

11)      la società di diritto pubblico a finalità sociale Coopération technique belge;

12)      la società per azioni di diritto pubblico Infrabel;

11)      la società di diritto pubblico a finalità sociale Apetra».

6        A termini dell’articolo 181 del CIR:

«Non sono inoltre assoggettate all’imposta delle società le associazioni senza scopo di lucro e le altre persone giuridiche che non perseguono scopi di lucro e:

1)      che hanno come oggetto esclusivo o principale lo studio, la tutela e lo sviluppo degli interessi professionali o interprofessionali dei loro membri;

2)      che costituiscono il prolungamento o l’emanazione di persone giuridiche di cui al punto 1°, qualora abbiano come oggetto esclusivo o principale di adempiere, in nome e per conto dei loro aderenti, in tutto o in parte gli obblighi o formalità imposti agli stessi per via dell’occupazione di personale o in esecuzione della legislazione tributaria o della legislazione sociale oppure di aiutare i loro aderenti nell’adempimento dei medesimi obblighi o formalità;

3)      che, in applicazione della legislazione sociale, sono incaricate di raccogliere, di centralizzare, di capitalizzare o di distribuire i fondi destinati alla concessione dei benefici previsti dalla legislazione in questione;

4)      il cui oggetto esclusivo o principale è quello di impartire o di sostenere l’insegnamento;

5)      il cui oggetto esclusivo o principale è l’organizzazione di fiere o esposizioni;

6)      che sono autorizzate in qualità di servizio di assistenza alle famiglie e agli anziani dagli organi competenti delle comunità;

7)      che sono autorizzate ai fini dell’applicazione dell’articolo 145, § 1, primo comma, punti 1o, lettere b, d, e, e da h a l, 2o e 3o, o che lo sarebbero se ne facessero richiesta o se soddisfacessero tutte le condizioni cui è subordinata l’autorizzazione, diverse da quella di avere, a seconda dei casi, un’attività a carattere nazionale o una zona di influenza che si estende a una delle comunità o regioni o all’intero paese;

8)      che sono costituite in applicazione della loi du 27 juin 1921 sur les associations sans but lucratif (legge del 27 giugno 1921 sulle associazioni senza scopo di lucro), le associazioni internazionali senza scopo di lucro e le fondazioni, purché esercitino esclusivamente un’attività di certificazione ai sensi della loi du 15 juillet 1998 relative à la certification des titres émis par des sociétés commerciales (legge del 15 luglio 1998 relativa alla certificazione dei titoli emessi da società commerciali) e i certificati da esse emessi siano equiparati ai titoli ai quali si riferiscono per l’applicazione del codice delle imposte sui redditi del 1992, in forza dell’articolo 13, § 1, primo comma, della medesima legge».

7        A norma dell’articolo 182 del CIR:

«In riferimento alle associazioni senza scopo di lucro e alle altre persone giuridiche che non perseguono scopi di lucro non sono considerate operazioni lucrative:

1)      le operazioni isolate o eccezionali;

2)      le operazioni che consistono nel collocamento dei fondi raccolti nell’esercizio della loro missione statutaria;

3)      le operazioni che costituiscono un’attività implicante solo in via accessoria operazioni industriali, commerciali o agricole o che non attuano metodi industriali o commerciali».

8        Per quanto riguarda nello specifico la base imponibile dell’imposta sul reddito delle società (in prosieguo: l’«ISoc»), l’articolo 185, paragrafo 1, del CIR prevede che le società sono tassabili sull’importo totale dei loro utili, inclusi i dividendi distribuiti.

9        L’articolo 220 del CIR prevede quanto segue:

«Sono assoggettati all’imposta sul reddito delle persone giuridiche:

1)      lo Stato, le comunità, le regioni, le province, gli agglomerati, le federazioni di comuni, i comuni, i centri pubblici di intervento sociale, (…) nonché i centri pubblici di culto, le zone di soccorso, le zone di polizia nonché i polder e i wateringues;

2)      le persone giuridiche che, in forza dell’articolo 180, non sono assoggettate all’imposta sul reddito delle società;

3)      le persone giuridiche che hanno la loro sede sociale, il loro principale centro di attività o la loro sede della direzione o amministrazione in Belgio, non dedite a un’attività o a operazioni lucrative o non assoggettate all’imposta sul reddito delle società conformemente agli articoli 181 e 182».

10      A termini dell’articolo 221 del CIR:

«Le persone giuridiche assoggettate all’imposta sul reddito delle persone giuridiche sono tassabili solo:

1)      sulla rendita catastale dei loro beni immobili siti in Belgio, quando tale rendita catastale non è esentata dalla ritenuta alla fonte sui beni immobili in forza dell’articolo 253 o di disposizioni di legge specifiche;

2)      sui redditi e proventi da capitali e da beni mobili (…)».

 Procedimento amministrativo e decisione impugnata

11      Il 3 luglio 2013, i servizi della Commissione europea hanno inviato a tutti gli Stati membri un questionario sul funzionamento e sulla tassazione dei loro porti al fine di ottenere una visione d’insieme della materia e di chiarire la situazione dei porti alla luce delle norme dell’Unione europea sugli aiuti di Stato. In seguito, i servizi della Commissione e le autorità belghe si sono scambiati varie lettere relative a tale questione.

12      Con lettera del 9 luglio 2014, in applicazione dell’articolo 17 del regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio, del 22 marzo 1999, recante modalità di applicazione dell’articolo [108 TFUE] (GU 1999, L 83, pag. 1), la Commissione ha informato le autorità belghe della propria valutazione preliminare, secondo la quale l’esenzione dall’ISoc prevista a favore di alcuni porti belgi costituiva un aiuto di Stato incompatibile con il mercato interno e il medesimo aiuto costituiva un aiuto esistente ai sensi dell’articolo 1, lettera b), del succitato regolamento. Il 23 settembre 2014, si è svolta una riunione con le autorità belghe. La Région wallone (regione vallona) e il Port de Bruxelles (Porto di Bruxelles, Belgio) hanno presentato ciascuno le proprie osservazioni con lettere del 30 settembre 2014, mentre il Vlaams gewest (regione fiamminga) ha trasmesso le proprie osservazioni con lettera del 1o ottobre 2014.

13      Con lettera del 1o giugno 2015, la Commissione ha informato il Regno del Belgio di aver preso atto delle motivazioni da questo presentate e che rimaneva del parere che l’esenzione dall’ISoc a favore di alcuni porti costituisse un aiuto incompatibile con il mercato interno, se e nella misura in cui detti porti svolgevano attività economiche. Contro la medesima lettera è stato proposto un ricorso, il quale è stato respinto in quanto irricevibile con ordinanza del 9 marzo 2016, Port autonome du Centre et de l’Ouest e a./Commissione (T‑438/15, EU:T:2016:142).

14      Con lettera del 21 gennaio 2016, la Commissione ha confermato la propria posizione e ha proposto alle autorità belghe, conformemente all’articolo 108, paragrafo 1, TFUE e all’articolo 22 del regolamento (UE) 2015/1589 del Consiglio, del 13 luglio 2015, recante modalità di applicazione dell’articolo 108 TFUE (GU 2015, L 248, pag. 9), a titolo di opportune misure, di sopprimere l’esenzione dall’ISoc a favore dei porti belgi, nella misura in cui questi ultimi erano dediti ad attività economiche.

15      Le autorità belghe erano invitate ad adeguare la legislazione entro un termine di dieci mesi e la modifica in questione doveva essere applicata ai redditi delle attività economiche generati al più tardi a partire dall’inizio dell’esercizio 2017. Le autorità belghe erano invitate a informare per iscritto la Commissione che, conformemente all’articolo 23, paragrafo 1, del regolamento n. 2015/1589, esse accettavano incondizionatamente, inequivocabilmente e integralmente queste opportune misure entro due mesi dalla data della ricezione della proposta delle stesse misure. Contro la proposta di opportune misure in questione è stato proposto un ricorso, il quale è stato respinto in quanto irricevibile con ordinanza del 27 ottobre 2016, Port autonome du Centre et de l’Ouest e a./Commissione (T‑116/16, EU:T:2016:656).

16      Con lettera del 21 marzo 2016, le autorità belghe hanno trasmesso alla Commissione alcune osservazioni sulle opportune misure proposte. In seguito a tali osservazioni, la Commissione, con lettera dell’8 luglio 2016, ha deciso di avviare il procedimento a norma dell’articolo 108, paragrafo 2, TFUE, in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 2015/1589 (GU 2016, C 302, pag. 5).

17      La Commissione ha invitato le parti interessate a presentare le loro osservazioni sulla misura in questione. Il 24 agosto 2016, si è tenuta una riunione con i rappresentanti di alcuni porti belgi interessati dalla misura. Il Regno del Belgio ha presentato le proprie osservazioni con lettere del 9 settembre 2016, per quanto riguarda il Ministro federale delle Finanze, e del 16 settembre 2016, per quanto riguarda la regione vallona e i porti della Vallonia. La Commissione ha ricevuto osservazioni dalle seguenti parti interessate: Sea Invest, utente dei porti di Anversa (Belgio), Gand (Belgio) e Zeebrugge (Belgio), il porto di Rotterdam (Paesi Bassi), a nome dei cinque porti marittimi pubblici olandesi, il porto di Bruxelles, la commissione portuale fiamminga (Vlaamse Havencommissie, Belgio) e i porti di Anversa e di Zeebrugge.

18      La Commissione ha trasmesso le suddette osservazioni al Regno del Belgio consentendogli di formulare commenti, cosa che il medesimo ha fatto con lettera del 14 novembre 2016. Il 19 dicembre 2016, si è tenuta una riunione tra le autorità belghe e la Commissione, durante la quale sono state presentate ulteriori osservazioni alla Commissione. Il 10 gennaio 2017, si è svolta una nuova riunione tra le autorità belghe federali e regionali, alcuni beneficiari della misura e la Commissione.

19      Dopo aver esaminato le osservazioni presentate dal Regno del Belgio e dalle parti interessate, la Commissione ha adottato, il 27 luglio 2017, la decisione (UE) 2017/2115, relativa al regime di aiuti SA.38393 (2016/C, ex 2015/E) cui il Belgio ha dato esecuzione – Tassazione dei porti in Belgio (GU 2017, L 332, pag. 1; in prosieguo: la «decisione impugnata»).

20      In base alla decisione impugnata, in primo luogo, la Commissione ha constatato che le attività dei porti belgi di cui all’articolo 180, punto 2, del CIR erano – almeno in parte – attività economiche, cosicché i porti dovevano essere qualificati come imprese nei limiti in cui esercitavano simili attività (punti da 40 a 67 della decisione impugnata). In secondo luogo, la Commissione ha sostenuto che, essendo assoggettati all’imposta sul reddito delle persone giuridiche (in prosieguo: l’«IPM») anziché all’ISoc in forza dell’articolo 180, punto 2, del CIR, i porti beneficiavano di un vantaggio ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE corrispondente alla differenza tra l’ISoc che essi avrebbero dovuto pagare per le loro attività economiche e la quota dell’IPM che poteva essere attribuita alle medesime attività economiche (punti da 68 a 73 della decisione impugnata). In terzo luogo, la Commissione ha ritenuto che la misura in questione costituisse un trasferimento di risorse statali ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE (punti da 74 a 77 della decisione impugnata). In quarto luogo, essa ha ritenuto che la misura fosse selettiva (punti da 78 a 107 della decisione impugnata). In quinto luogo, la medesima ha ritenuto che la misura in questione fosse tale da incidere sugli scambi all’interno dell’Unione e da falsare la concorrenza, nella misura in cui essa rafforzava la posizione dei beneficiari negli scambi internazionali (punti da 108 a 115 della decisione impugnata). Ne ha dedotto che l’esenzione fiscale di cui all’articolo 180, punto 2, del CIR a favore dei porti belgi costituiva un aiuto di Stato ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, nella misura in cui i redditi esenti provenivano dalle attività economiche dei porti (punto 116 della decisione impugnata). Infine, la Commissione ha constatato che la misura di aiuto in questione non poteva essere dichiarata compatibile con il mercato interno, né sulla base dell’articolo 93 né sulla base dell’articolo 106, paragrafo 2, TFUE (punti da 117 a 120 della decisione impugnata), e ha negato la concessione di un periodo transitorio per l’attuazione della decisione in parola (punti da 124 a 130 della decisione impugnata).

21      L’articolo 1 della decisione impugnata così dispone:

«L’esenzione dall’imposta sulle società a favore dei porti belgi di cui all’articolo 180, punto 2, del CIR costituisce un regime di aiuto di Stato esistente incompatibile con il mercato interno».

22      Ai sensi dell’articolo 2 della decisione impugnata:

«1. Il Belgio è tenuto a sopprimere l’esenzione dall’imposta sulle società di cui all’articolo 1 e [ad] assoggettare all’imposta sulle società i soggetti a favore dei quali tale esenzione è applicata.

2. La misura con cui il Belgio adempie gli obblighi di cui al paragrafo 1 deve essere adottata entro la fine dell’anno civile in corso alla data della notifica della presente decisione. La misura in questione deve essere applicata ai redditi delle attività economiche generati al più tardi a partire dall’inizio dell’esercizio successivo a quello della sua adozione».

 Procedimento e conclusioni delle parti

23      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 9 ottobre 2017, la Havenbedrijf Antwerpen NV (il porto di Anversa) e la Maatschappij van de Brugse Zeehaven NV (la Compagnia del porto di Bruges, Belgio), ricorrenti, entrambe menzionate all’articolo 180, punto 2, del CIR, hanno proposto il presente ricorso.

24      Con separate istanze, depositate presso la cancelleria del Tribunale il 19 e il 23 gennaio 2018, rispettivamente, il Regno del Belgio e il Vlaams Gewest (la regione fiamminga) hanno chiesto di intervenire nel presente procedimento a sostegno delle conclusioni delle ricorrenti.

25      Con decisione del 15 marzo 2018, il presidente della Sesta Sezione del Tribunale ha ammesso l’intervento del Regno del Belgio. Il Regno del Belgio ha depositato la propria memoria di intervento il 22 maggio 2018 e le parti hanno depositato le loro osservazioni in proposito entro i termini impartiti.

26      Con ordinanza del 25 ottobre 2018, Havenbedrijf Antwerpen e Maatschappij van de Brugse Zeehaven/Commissione (T‑696/17, non pubblicata, EU:T:2018:736), il presidente della Sesta Sezione del Tribunale ha respinto l’istanza d’intervento della regione fiamminga.

27      Con decisione del 7 novembre 2018, il Tribunale ha deciso di rinviare la causa dinanzi alla Sesta Sezione ampliata, conformemente all’articolo 28 del suo regolamento di procedura.

28      Su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Sesta Sezione ampliata) ha deciso di aprire la fase orale del procedimento e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste all’articolo 89 del regolamento di procedura, ha posto una serie di quesiti scritti alle parti, ai quali queste ultime hanno risposto nel termine impartito.

29      Le parti sono state sentite nelle loro difese orali e nelle loro risposte ai quesiti posti dal Tribunale all’udienza del 4 febbraio 2019.

30      A causa dell’impedimento di un membro della Sesta Sezione a partecipare al procedimento, il presidente del Tribunale ha designato un altro giudice per integrare la sezione, conformemente all’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento di procedura.

31      Le ricorrenti, sostenute dal Regno del Belgio, chiedono che il Tribunale voglia:

–        dichiarare il ricorso ricevibile;

–        annullare la decisione impugnata;

–        in subordine, fissare un periodo transitorio sino alla chiusura da parte della Commissione della sua indagine sul regime tributario dei porti dei diversi Stati membri dell’Unione e, in ogni caso, della durata di un intero anno;

–        condannare la Commissione alle spese.

32      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare le ricorrenti alle spese e condannare il Regno del Belgio alle spese conseguenti al suo intervento.

 In diritto

33      A sostegno del ricorso, le ricorrenti deducono quattro motivi. In primo luogo, la Commissione avrebbe violato gli articoli 107 e 296 TFUE nel qualificare le autorità portuali come imprese. In secondo luogo, la Commissione avrebbe violato l’articolo 107 TFUE nel considerare l’esenzione dall’ISoc come una misura selettiva. In terzo luogo, in subordine, la Commissione avrebbe violato l’articolo 107 TFUE nel ritenere che la deroga al sistema di riferimento non fosse giustificata in base alla natura e alla struttura del sistema tributario belga in materia di imposte sul reddito. In quarto luogo, in ulteriore subordine, le ricorrenti chiedono al Tribunale di concedere loro un periodo transitorio fino alla chiusura dell’indagine della Commissione sul regime tributario dei diversi porti dell’Unione e, in ogni caso, della durata di un anno.

 Sul primo motivo di ricorso, vertente sulla violazione degli articoli 107 e 296 TFUE per via della qualificazione delle autorità portuali come imprese

34      Il primo motivo di ricorso, nella misura in cui verte sulla violazione dell’articolo 107 TFUE, si articola in due parti. Nell’ambito della prima parte, le ricorrenti sostengono che non esiste un mercato nel quale esse propongono i loro servizi. Con la seconda parte, le stesse affermano che le loro attività non presentano un carattere economico.

35      Il Tribunale reputa opportuno esaminare inizialmente la seconda parte e poi la prima.

36      In limine, tuttavia, occorre subito respingere il primo motivo di ricorso nella parte in cui verte sulla violazione dell’articolo 296 TFUE per difetto di motivazione della decisione impugnata per quanto riguarda la qualificazione dei porti come «imprese» ai sensi dell’articolo 107 TFUE.

37      Occorre infatti ricordare a tale riguardo che, secondo la giurisprudenza, il motivo vertente sulla violazione dell’articolo 296 TFUE costituisce un motivo distinto da quello relativo all’infondatezza della decisione impugnata. Mentre il primo, che si riferisce a un difetto o a un’insufficienza di motivazione, rientra nella violazione delle forme sostanziali, ai sensi dell’articolo 263 TFUE, e costituisce un motivo di ordine pubblico che dev’essere sollevato dal giudice dell’Unione, il secondo, che verte sulla legalità sostanziale di una decisione, rientra nella violazione di una norma di diritto relativa all’applicazione del Trattato, ai sensi del medesimo articolo 263 TFUE, e può essere esaminato dal giudice dell’Unione solo se è dedotto dal ricorrente. L’obbligo di motivazione è pertanto una questione distinta da quella della fondatezza della motivazione (v., in tal senso, sentenze del 2 aprile 1998, Commissione/Sytraval e Brink’s France, C‑367/95 P, EU:C:1998:154, punto 67, e del 15 giugno 2005, Corsica Ferries France/Commissione, T‑349/03, EU:T:2005:221, punto 52).

38      Orbene, nel caso di specie, al di là del fatto che le ricorrenti non hanno in alcun modo suffragato la censura relativa alla presunta violazione dell’articolo 296 TFUE nel ricorso, è necessario constatare che la decisione impugnata è sufficientemente motivata, atteso che la Commissione ha dedicato non meno di 28 punti della decisione impugnata alla questione della qualificazione dei porti come «imprese» che esercitano attività economiche (v. punti da 40 a 67 della decisione impugnata). Inoltre, dall’esame che segue delle diverse censure prospettate dalle ricorrenti risulta che la decisione impugnata ha consentito loro di conoscere le giustificazioni della misura adottata al riguardo e al Tribunale di esercitare il suo controllo.

39      Pertanto, il primo motivo, nella misura in cui verte sulla violazione dell’articolo 296 TFUE, dev’essere respinto.

 Sulla seconda parte, relativa alla natura non economica delle attività dei porti belgi

40      Nell’ambito della seconda parte del motivo di ricorso in esame, le ricorrenti ricordano, in primo luogo, basandosi sul Decreet houdende het beleid en het beheer van de zeehavens (decreto sulla politica e sulla gestione dei porti marittimi), del 2 marzo 1999 (Belgish Staatsblad dell’8 aprile 1999), che le loro funzioni essenziali comprendono principalmente compiti di interesse generale non economici, quali la gestione amministrativa del demanio portuale pubblico e privato, i servizi di ispezione ambientale o i servizi di capitaneria portuale. Nell’ambito dei compiti in questione, le autorità portuali eserciterebbero pubblici poteri esclusivi, i quali non possono essere trasferiti proprio per via del carattere pubblico della gestione portuale e della sua unità. Inoltre, gli Stati membri disporrebbero di un ampio potere discrezionale al fine di stabilire cosa si debba intendere per «servizi economici» e per «servizi non economici» di interesse generale.

41      In secondo luogo, le ricorrenti rimarcano che occorre operare una distinzione tra i compiti essenziali loro imposti per decreto e i servizi portuali commerciali proposti da terzi. Le autorità portuali, infatti, non investirebbero nell’attrezzatura necessaria alla gestione commerciale del porto, contrariamente, ad esempio, ai gestori di aeroporti. Il solo compito delle autorità portuali sarebbe quello di mettere a disposizione degli utenti, in modo non discriminatorio, l’infrastruttura portuale come le imprese di movimentazione o le imprese di logistica; sarebbero queste ultime a esercitare attività economiche e a poter costruire successivamente su tale infrastruttura di base. Le ricorrenti insistono, a tale proposito, sulla distinzione tra la gestione e l’utilizzo del demanio portuale in quanto infrastruttura di base, che sarebbe di natura non economica, e la gestione e l’utilizzo della sovrastruttura. Una simile distinzione sarebbe confermata dal regolamento (UE) 2017/352 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 febbraio 2017, che istituisce un quadro normativo per la fornitura di servizi portuali e norme comuni in materia di trasparenza finanziaria dei porti (GU 2017, L 57, pag. 1), e dalla prassi decisionale anteriore della Commissione. Dalla giurisprudenza della Corte si evincerebbe altresì che la messa a disposizione di un’infrastruttura appartenente al demanio pubblico in modo non discriminatorio non costituisce un’attività economica, tanto più quando la messa a disposizione e la gestione commerciale della medesima infrastruttura non sono fornite dalla stessa entità, come nel caso di specie.

42      In terzo luogo, le ricorrenti pongono in evidenza l’assenza di attività economica in considerazione della pratica tariffaria delle autorità portuali. A loro avviso, l’esistenza di un corrispettivo non implica sempre, a priori, l’esistenza di un’attività economica. Da un lato, le autorità portuali riscuoterebbero diritti portuali, come contropartita del diritto di accedere alla zona portuale, di attraversarla, di ormeggiarsi o di sostarvi, e come garanzia di uno sviluppo sicuro ed efficace del demanio portuale. Tali diritti portuali sarebbero considerati «corrispettivi», vale a dire la remunerazione per un servizio prestato dall’autorità a beneficio del debitore. I diritti in parola non sarebbero fissati sulla base di meccanismi di mercato, conformemente all’offerta e alla domanda, bensì unilateralmente. Essi non deriverebbero da una negoziazione commerciale e prenderebbero in considerazione i requisiti di legge e il controllo amministrativo. Inoltre, l’autonomia di cui dispongono le ricorrenti per fissare le tariffe dei diritti portuali sarebbe limitata per effetto dei principi di uguaglianza, di trasparenza e di proporzionalità nonché dal controllo amministrativo cui esse sono sottoposte. Dall’altro lato, le autorità portuali riscuoterebbero canoni per la concessione, a terzi, dei beni demaniali pubblici, all’esito di una procedura non discriminatoria e trasparente. I terreni da dare in concessione non sarebbero assegnati automaticamente al miglior offerente, bensì secondo criteri prestabiliti, legati al valore aggiunto del progetto e al benessere sociale. Pertanto, le tariffe non costituirebbero uno strumento di politica commerciale, come afferma la Commissione, bensì uno strumento teso a realizzare compiti di servizio pubblico delle autorità portuali al fine di garantire l’interesse generale.

43      In quarto luogo, le ricorrenti sostengono che le attività economiche dei porti presentano un carattere accessorio, sicché le attività dei porti nel loro complesso dovrebbero essere considerate non economiche o di interesse generale. Esse ricordano al riguardo che i porti non si occupano della gestione commerciale dell’infrastruttura portuale, bensì di mettere a disposizione vie navigabili e bacini e di dare terreni in concessione, dietro versamento di diritti portuali e di canoni di concessione. Pertanto, le loro attività di importanza secondaria dovrebbero seguire la qualificazione delle attività principali.

44      Di conseguenza, la conclusione della Commissione nella decisione impugnata, secondo la quale le autorità portuali sono imprese ai fini dell’applicazione delle norme in materia di aiuti di Stato, sarebbe errata.

45      La Commissione contesta i suesposti argomenti.

46      Occorre anzitutto ricordare, come fatto dalla Commissione al punto 40 della decisione impugnata, che, secondo la giurisprudenza, la nozione di impresa abbraccia qualsiasi entità che esercita un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento. A tale riguardo, costituisce attività economica qualsiasi attività consistente nell’offrire beni o servizi in un determinato mercato (sentenza del 12 settembre 2000, Pavlov e a., da C‑180/98 a C‑184/98, EU:C:2000:428, punti 74 et 75; v. anche, in tal senso, sentenze del 16 giugno 1987, Commissione/Italia, 118/85, EU:C:1987:283, punto 7, e del 23 aprile 1991, Höfner ed Elser, C‑41/90, EU:C:1991:161, punto 21).

47      La giurisprudenza ha inoltre riconosciuto che la gestione commerciale e la costruzione di infrastrutture portuali o aeroportuali ai fini di una simile gestione commerciale costituivano attività economiche (v., in tal senso, sentenze del 24 ottobre 2002, Aéroports de Paris/Commissione, C‑82/01 P, EU:C:2002:617, punto 78; del 19 dicembre 2012, Mitteldeutsche Flughafen e Flughafen Leipzig-Halle/Commissione, C‑288/11 P, EU:C:2012:821, punti da 40 a 43, e del 15 marzo 2018, Naviera Armas/Commissione, T‑108/16, EU:T:2018:145, punto 78).

48      Nel caso di specie, la Commissione ha elencato, al punto 44 della decisione impugnata, una serie di attività economiche che possono essere esercitate dai porti. In primo luogo, i porti forniscono un servizio generale ai loro utenti (soprattutto agli armatori e, in generale, a qualsiasi operatore di una nave) consentendo l’accesso delle navi all’infrastruttura portuale in cambio di un corrispettivo che prende generalmente il nome di «diritti portuali». In secondo luogo, alcuni porti forniscono alle navi servizi particolari come il pilotaggio, il sollevamento, la movimentazione e l’ormeggio, anche in questo caso in cambio di un corrispettivo. In terzo luogo, i porti mettono alcuni terreni o infrastrutture a disposizione delle imprese, a fronte di una remunerazione, e queste ultime utilizzano questi spazi per le proprie necessità o per fornire alle navi alcuni dei servizi particolari suindicati. La Commissione ha precisato, inoltre, al punto 45 della decisione impugnata, che il fatto che imprese terze utilizzassero alcuni terreni e infrastrutture portuali per offrire servizi agli armatori o alle navi non escludeva che anche le attività di gestione esercitate dalle autorità portuali, consistenti in particolare nella locazione dei suddetti terreni e infrastrutture a dette imprese terze, fossero di natura economica.

49      Interpellate a tale proposito in udienza, le ricorrenti hanno confermato, in primo luogo, che esse riscuotevano canoni, qualificati come «diritti portuali», che erano riscossi – almeno in parte – in contropartita del diritto di accesso delle navi all’infrastruttura portuale. In secondo luogo, pur negando di effettuare esse stesse attività di sollevamento, di carico o di scarico di merci per mezzo in particolare di gru, o ancora di movimentazione, esse ammettono nondimeno di effettuare alcune attività di trasbordo e di traino dietro alle chiuse. In terzo luogo, esse non negano di mettere terreni a disposizione di imprese terze, in cambio di canoni di concessione.

50      Di conseguenza, la Commissione non è incorsa in alcun errore di valutazione nel ritenere, al punto 67 della decisione impugnata, che le attività esercitate dai porti fossero — almeno in parte — attività economiche.

51      Nessuno degli argomenti prospettati dalle ricorrenti o dal Regno del Belgio è in grado di mettere in discussione tale conclusione.

52      In primo luogo, le ricorrenti sostengono che le loro attività non sono attività economiche, in quanto esse detengono pubblici poteri e sono incaricate di compiti di interesse generale.

53      A tale riguardo, si deve osservare, come fatto dalla Commissione al punto 47 della decisione impugnata, che, nel caso di specie, è pacifico che ai porti può essere delegato l’esercizio di determinati poteri pubblici, di natura non economica, come il controllo e la sicurezza del traffico marittimo o il presidio antinquinamento.

54      Tuttavia, la circostanza che un’entità disponga, per l’esercizio di una parte delle sue attività, di pubblici poteri non impedisce, di per sé, di qualificarla come impresa. Infatti, per determinare se le attività di cui trattasi siano quelle di un’impresa ai sensi del Trattato, occorre accertare quale sia la natura delle medesime attività (v., in tal senso, sentenze del 24 ottobre 2002, Aéroports de Paris/Commissione, C‑82/01 P, EU:C:2002:617, punti 74 e 75, e del 12 luglio 2012, Compass‑Datenbank, C‑138/11, EU:C:2012:449, punto 37).

55      La circostanza che le ricorrenti possano essere incaricate di servizi di interesse generale non è sufficiente, pertanto, a escludere la loro qualificazione come «imprese», se e nella misura in cui esse esercitano anche attività economiche, consistenti nell’offrire beni e servizi nel mercato dietro corrispettivo, come quelle individuate dalla Commissione al punto 44 della decisione impugnata (v. punto 48 supra).

56      Inoltre, si deve ricordare, al pari di quanto fatto dalla Commissione al punto 48 della decisione impugnata, che sebbene le autorità nazionali dispongano di un ampio potere discrezionale per fornire, commissionare e organizzare i servizi di interesse generale il più vicini possibile alle esigenze degli utenti, ciò non esclude tuttavia che le stesse attività possano presentare un carattere economico. Infatti, secondo costante giurisprudenza (v. punti 46 e 54 supra), la nozione di «attività economica» scaturisce da elementi di fatto, in particolare dall’esistenza di un mercato per i servizi in questione, e non da scelte o da valutazioni nazionali. Pertanto, lo Stato stesso o un’entità statale può agire come impresa (v. sentenza del 12 luglio 2012, Compass-Datenbank, C‑138/11, EU:C:2012:449, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).

57      A tale riguardo, inutilmente il Regno del Belgio richiama il regolamento 2017/352 al fine di dimostrare che i porti non eserciterebbero attività economiche. Se è infatti vero che il regolamento citato prevede che gli Stati membri possano decidere di imporre obblighi di servizio pubblico a prestatori di servizi portuali e affidare il diritto di imporre simili obblighi al gestore del porto o all’autorità competente, al fine di garantire taluni obiettivi di servizio pubblico, non sussiste tuttavia, nel caso di specie, alcun nesso tra la misura di aiuto in questione – vale a dire l’esenzione dall’ISoc di cui beneficiano i porti – e un qualsivoglia compito di servizio pubblico. La decisione impugnata non impedisce del resto in alcun modo alle ricorrenti di concludere convenzioni di delega di servizio pubblico con la regione fiamminga.

58      Inoltre, nella misura in cui il Regno del Belgio invoca la comunicazione (2004) 43 della Commissione ‑ Orientamenti comunitari in materia di aiuti di Stato ai trasporti marittimi (GU 2004, C 13, pag. 3), al fine di dimostrare il carattere non economico delle attività dei porti, occorre rilevare che il punto 2.1 degli stessi orientamenti precisa che «[g]li investimenti nell’infrastruttura non sono in linea di massima considerati comportare aiuti di Stato ai sensi dell’articolo [107], paragrafo 1[, TFUE] se lo Stato prevede un accesso all’infrastruttura in condizioni di libertà e di parità per tutti gli operatori interessati». Al pari della comunicazione della Commissione sulla nozione di aiuto di Stato di cui all’articolo 107, paragrafo 1, del trattato FUE (GU 2016, C 262, pag. 1), il punto succitato si riferisce quindi unicamente agli aiuti all’investimento in infrastrutture, e non agli aiuti che assumono la forma di un’esenzione dall’ISoc, il cui importo dipende direttamente dagli utili realizzati, come nel caso di specie.

59      Il Regno del Belgio richiama altresì il punto 59 della sentenza del 22 maggio 2003, Korhonen e a. (C‑18/01, EU:C:2003:300), dal quale emergerebbe che la gestione di terreni e di edifici appartenenti al demanio pubblico risponderebbero a un bisogno di interesse generale, dal carattere non economico. È tuttavia necessario constatare, come fatto dalla Commissione al punto 60 della decisione impugnata, che la sentenza succitata non riguarda la nozione di impresa nel diritto degli aiuti di Stato, bensì la questione se una società per azioni costituita, detenuta e gestita da un ente territoriale risponda a un bisogno di interesse generale, ai sensi dell’articolo 1, lettera b), secondo comma, della direttiva 92/50/CEE del Consiglio, del 18 giugno 1992, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi (GU 1992, L 209, pag. 1).

60      Pertanto, la censura relativa all’assenza di attività economica in considerazione dei pubblici poteri dei porti deve essere respinta.

61      In secondo luogo, le ricorrenti ritengono che occorra distinguere tra le attività di gestione dell’infrastruttura portuale da parte dei porti e le attività commerciali degli utenti dei porti.

62      A tale riguardo, occorre rilevare, anzitutto, che la Commissione ha individuato in modo sufficientemente chiaro le attività economiche effettuate dai porti al punto 44 della decisione impugnata (v. punto 48 supra). Come ha constatato la Commissione al suddetto punto della decisione impugnata, i porti consentono, in particolare, l’accesso delle navi all’infrastruttura portuale in cambio di un corrispettivo e mettono terreni a disposizione a fronte di una remunerazione. Pertanto, l’argomento delle ricorrenti secondo il quale i porti faciliterebbero unicamente l’offerta di servizi da parte di terzi utenti dei porti è carente sotto il profilo fattuale.

63      È inoltre opportuno precisare che la Commissione non ha ritenuto che i porti garantissero essi stessi, in tutti i casi, determinati servizi quali il sollevamento, la movimentazione, l’ormeggio, il trasbordo o il pilotaggio, a favore delle navi che utilizzano le loro infrastrutture. Essa ha infatti riconosciuto che, in taluni casi, i suddetti servizi potessero essere forniti da altre imprese. Al punto 45 della decisione impugnata, la Commissione ha ritenuto nondimeno che il fatto che imprese terze utilizzassero alcuni terreni e infrastrutture portuali per offrire servizi agli armatori o alle navi non escludeva che anche le attività di gestione esercitate dai porti in quanto autorità portuali, consistenti in particolare nella locazione dei suddetti terreni e infrastrutture a dette imprese terze, fossero di natura economica.

64      Per quanto riguarda la situazione specifica delle ricorrenti, la Commissione ha altresì riconosciuto, in udienza, che taluni dei servizi particolari menzionati al punto 44 della decisione impugnata possano non essere offerti da queste ultime, senza che ciò sia tuttavia sufficiente per mettere in discussione il resto della sua analisi (v. punti 48 e 49 supra).

65      A tale proposito, va ricordato infatti che, nel caso di una decisione relativa a un regime di aiuti, come nel caso di specie, la Commissione può limitarsi a studiare, in modo generale e astratto, le caratteristiche del regime di cui trattasi per valutare, nella motivazione della decisione, se, in base alle modalità previste da tale programma, esso costituisca, in linea di principio, un aiuto di Stato per i suoi beneficiari. Pertanto, la Commissione non è tenuta a compiere un’analisi dell’aiuto concesso in ogni singolo caso sulla base di un simile regime (v., in tal senso, sentenze del 9 giugno 2011, Comitato «Venezia vuole vivere» e a./Commissione, C‑71/09 P, C‑73/09 P e C‑76/09 P, EU:C:2011:368, punto 63, e del 26 novembre 2015, Navarra de Servicios y Tecnologías/Commissione, T‑487/13, non pubblicata, EU:T:2015:899, punto 66).

66      Di conseguenza, nell’esaminare le caratteristiche generali di un regime di aiuti, come nel caso di specie, la Commissione può anche individuare, in modo generale e astratto, le attività economiche che possono essere esercitate dai porti, anche se tali attività non sono tutte, in tutti i casi, effettivamente esercitate da ciascun porto. Nell’ipotesi in cui un porto non svolga alcuna delle attività economiche individuate dalla Commissione nella decisione impugnata, esso non può però essere qualificato come impresa, alla quale si applicano le norme del trattato FUE relative agli aiuti di Stato. Tuttavia, ciò non avviene nel caso di specie, atteso che le ricorrenti svolgono la maggior parte delle attività economiche individuate dalla Commissione al punto 44 della decisione impugnata (v. punti 48 e 49 supra).

67      Le ricorrenti richiamano ancora, a sostegno dei loro argomenti, il considerando 43 del regolamento 2017/352, il quale prevede che,«[a]l fine di mantenere condizioni eque di concorrenza, trasparenza nell’attribuzione e nell’uso di fondi pubblici e di evitare distorsioni del mercato, è necessario imporre agli enti di gestione dei porti beneficiari di finanziamenti pubblici, che operano anche in qualità di prestatori di servizi, l’obbligo di mantenere una contabilità relativa alle attività finanziate con fondi pubblici svolte in quanto ente di gestione del porto separata da quella per attività svolte su base concorrenziale». Le ricorrenti ne deducono che solo la prestazione di servizi portuali può essere sottoposta alla disciplina degli aiuti di Stato, a differenza delle attività di gestione del porto. Tuttavia, come sostiene la Commissione, il fatto che i servizi portuali forniti da terzi configurino attività economiche non impedisce che anche i porti possano esercitare a loro volta attività economiche. L’ultima frase del considerando succitato prevede peraltro che, «[i]n ogni caso dovrebbe essere garantito il rispetto della normativa sugli aiuti di Stato».

68      Nella misura in cui le ricorrenti invocano parimenti la prassi decisionale anteriore della Commissione, occorre ricordare che, per giurisprudenza costante, la prassi decisionale della Commissione relativa ad altre cause non può incidere sulla validità della decisione impugnata, che può essere valutata solo alla luce delle norme oggettive del Trattato (sentenze del 16 luglio 2014, Germania/Commissione, T‑295/12, non pubblicata, EU:T:2014:675, punto 181, e del 9 giugno 2016, Magic Mountain Kletterhallen e a./Commissione, T‑162/13, non pubblicata, EU:T:2016:341, punto 59).

69      In ogni caso, come ha rilevato la Commissione al punto 41 della decisione impugnata, la sua prassi decisionale più recente rivela che la gestione commerciale e la costruzione di infrastrutture portuali costituiscono attività economiche. Anche supponendo che la Commissione abbia potuto modificare la propria prassi decisionale in proposito, ciò sarebbe dovuto alla necessità di conformarsi alla giurisprudenza della Corte, in particolare alle sentenze del 24 ottobre 2002, Aéroports de Paris/Commissione (C‑82/01 P, EU:C:2002:617), e del 19 dicembre 2012, Mitteldeutsche Flughafen e Flughafen Leipzig‑Halle/Commissione (C‑288/11 P, EU:C:2012:821).

70      Le ricorrenti ritengono, tuttavia, che dalle sentenze menzionate al punto 69 supra non si possa dedurre che la gestione dell’infrastruttura portuale costituisca necessariamente un’attività economica. Da un lato, infatti, la situazione di cui alla sentenza del 19 dicembre 2012, Mitteldeutsche Flughafen e Flughafen Leipzig‑Halle/Commissione (C‑288/11 P, EU:C:2012:821), sarebbe diversa in quanto esse non gestiscono in proprio l’infrastruttura, ma la metterebbero a disposizione di terzi. Dall’altro, nella sentenza del 24 ottobre 2002, Aéroports de Paris/Commissione (C‑82/01 P, EU:C:2002:617), solo le attività prestate dietro pagamento di un canone commerciale sarebbero state qualificate come economiche dal Tribunale.

71      Come sostiene la Commissione, tuttavia, il Tribunale e la Corte hanno ritenuto espressamente che la messa a disposizione di installazioni aeroportuali a compagnie aeree, dietro pagamento di un canone, costituisse un’attività economica (v., in tal senso, sentenze del 24 ottobre 2002, Aéroports de Paris/Commissione, C‑82/01 P, EU:C:2002:617, punto 78, e del 12 dicembre 2000, Aéroports de Paris/Commissione, T‑128/98, EU:T:2000:290, punto 121). Orbene, non esiste alcuna differenza fondamentale tra la concessione dell’accesso all’infrastruttura di un aeroporto dietro versamento di canoni aeroportuali e la concessione dell’accesso all’infrastruttura portuale dietro versamento di diritti portuali.

72      Inoltre, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti al riguardo, i porti gestiscono essi stessi l’infrastruttura portuale quando concedono alle navi l’accesso all’infrastruttura portuale o danno terreni in locazione dietro corrispettivo, al pari dell’aeroporto di Leipzig‑Halle nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 19 dicembre 2012, Mitteldeutsche Flughafen e Flughafen Leipzig-Halle/Commissione (C‑288/11 P, EU:C:2012:821).

73      Pertanto, le ricorrenti errano nell’affermare che la Commissione avrebbe confuso nella decisione impugnata le attività dei porti con quelle dei loro utenti, nonché la gestione dell’infrastruttura con la gestione commerciale della sovrastruttura portuale.

74      In terzo luogo, le ricorrenti pongono in evidenza l’assenza di attività economica in considerazione della pratica tariffaria delle autorità portuali.

75      A tale riguardo, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza, costituiscono servizi idonei a essere qualificati come attività economiche le prestazioni fornite normalmente dietro remunerazione. La caratteristica essenziale della remunerazione risiede nel fatto che essa costituisce il corrispettivo economico della prestazione di cui trattasi (sentenza del 27 giugno 2017, Congregación de Escuelas Pías Provincia Betania, C‑74/16, EU:C:2017:496, punto 47, e giurisprudenza ivi citata).

76      Pertanto, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti al riguardo, l’esistenza di una remunerazione costituisce effettivamente un elemento rilevante al fine di dimostrare l’esistenza di un’attività economica (v., in tal senso, sentenze del 19 dicembre 2012, Mitteldeutsche Flughafen e Flughafen Leipzig‑Halle/Commissione, C‑288/11 P, EU:C:2012:821, punto 40, e del 24 marzo 2011, Freistaat Sachsen e Land Sachsen‑Anhalt/Commissione, T‑443/08 e T‑455/08, EU:T:2011:117, punto 93).

77      A tale proposito, l’argomento delle ricorrenti secondo il quale i diritti portuali sarebbero stati qualificati come «remunerazione» da parte della Corte costituzionale belga, il che escluderebbe di prendere in considerazione qualsiasi componente legata al profitto, non invalida la tesi della Commissione secondo la quale i suddetti diritti costituiscono il corrispettivo economico della prestazione del servizio in questione.

78      È vero che, come sostengono le ricorrenti, secondo la giurisprudenza, la circostanza secondo cui un prodotto o un servizio fornito da un ente pubblico e inerente all’esercizio, da parte del medesimo, di pubblici poteri venga fornito dietro un corrispettivo previsto dalla legge e non determinato, direttamente o indirettamente, da tale ente di per sé non è sufficiente a fare qualificare l’attività svolta come attività economica e l’ente che la svolge come impresa (v. sentenza del 12 settembre 2013, Germania/Commissione, T‑347/09, non pubblicata, EU:T:2013:418, punto 30 e giurisprudenza ivi citata). Tuttavia, una simile circostanza non può neppure essere sufficiente, di per sé, a escludere l’attività in questione dalla qualificazione come attività economica.

79      Si deve rilevare, inoltre, come fatto dalla Commissione al punto 51 della decisione impugnata, che le caratteristiche delle tariffe applicate dai porti nel caso di specie (pubblicità, non discriminazione ecc.) sono simili a quelle delle tariffe praticate nell’ambito di servizi di interesse economico generale, che costituiscono appunto, di norma, attività economiche e sono sottoposte al diritto degli aiuti di Stato. Analogamente, anche nella maggior parte delle prestazioni economiche, i prezzi sono pubblici, non discriminatori e fissati in anticipo unilateralmente dal prestatore.

80      Per quanto riguarda, infine, l’argomento secondo il quale i porti non perseguirebbero una logica commerciale nel fissare le loro tariffe, ma mirerebbero a realizzare compiti di servizio pubblico, occorre ricordare che la circostanza che l’offerta di beni o di servizi sia fatta senza scopo di lucro non osta a che l’ente che effettua tali operazioni sul mercato debba essere considerato un’impresa, allorché l’offerta di cui trattasi si trova in concorrenza con quella di altri operatori che perseguono uno scopo di lucro (sentenze del 1o luglio 2008, MOTOE, C‑49/07, EU:C:2008:376, punto 27, e del 27 giugno 2017, Congregación de Escuelas Pías Provincia Betania, C‑74/16, EU:C:2017:496, punto 46; v. anche, in tal senso, sentenza del 12 settembre 2013, Germania/Commissione, T‑347/09, non pubblicata, EU:T:2013:418, punto 48).

81      Inoltre, il semplice fatto che i prezzi siano stabiliti unilateralmente dai porti sotto il controllo del commissario portuale regionale non significa che la domanda non venga presa in considerazione. Al contrario, come osserva la Commissione al punto 56 della decisione impugnata, nel determinare le loro tariffe, e in particolare i diritti portuali, i porti tengono effettivamente conto delle circostanze del mercato. In tal senso, le tariffe costituiscono evidentemente uno strumento importante della politica commerciale messa in atto dai porti per incentivare gli armatori e i caricatori a utilizzare le infrastrutture del porto e le imprese a insediarvisi per sviluppare le proprie attività di produzione o di servizio. Per quanto riguarda, in particolare, i porti di Anversa e di Zeebrugge, dalla nota a piè di pagina n. 46 della decisione impugnata risulta che, in forza dell’articolo 25, paragrafo 3, del decreto sulla politica e sulla gestione dei porti marittimi del 2 marzo 1999, «il governo fiammingo e le autorità portuali promuovono iniziative volte a realizzare […] strutture tariffarie armoniose nei porti marittimi fiamminghi al fine di garantire loro una leale posizione concorrenziale».

82      Del resto, è pacifico che i diritti portuali e i canoni di concessione riscossi dai porti coprono almeno la maggior parte dei costi sostenuti da questi ultimi quando offrono i loro servizi sul mercato, come ha constatato la Commissione al punto 53 della decisione impugnata. Nel caso del porto di Anversa, tali entrate superavano persino il totale delle spese correnti nel 2015. Il fatto che dette entrate possano finanziare anche talune attività non economiche non toglie nulla al fatto che esse sono riscosse in cambio di attività economiche quali la messa a disposizione dell’infrastruttura portuale o l’accesso all’infrastruttura portuale.

83      Pertanto, anche la censura relativa all’assenza di attività economica in considerazione della pratica tariffaria dei porti deve essere respinta.

84      In quarto luogo, le ricorrenti sostengono che, anche a voler ammettere che i porti esercitino attività economiche, si tratterebbe di attività puramente accessorie che esulerebbero, pertanto, dall’applicazione dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE.

85      A tale riguardo, va ricordato che la circostanza che un’entità disponga, per l’esercizio di una parte delle sue attività, di pubblici poteri non impedisce, di per sé, di qualificarla come impresa ai sensi del diritto dell’Unione della concorrenza per il resto delle sue attività economiche (sentenze del 24 ottobre 2002, Aéroports de Paris/Commissione, C‑82/01 P, EU:C:2002:617, punto 74, e del 1o luglio 2008, MOTOE, C‑49/07, EU:C:2008:376, punto 25).

86      È vero che, come sostengono le ricorrenti, secondo la giurisprudenza, nei limiti in cui un ente pubblico svolga un’attività economica che può essere dissociata dall’esercizio dei suoi pubblici poteri, in ordine a una simile attività tale ente agisce come impresa, mentre, qualora la suddetta attività economica sia inscindibile dall’esercizio dei suoi pubblici poteri, le attività svolte da tale ente rimangono nel loro insieme attività che si ricollegano all’esercizio dei suddetti poteri (sentenze del 12 luglio 2012, Compass-Datenbank, C‑138/11, EU:C:2012:449, punto 38, e del 12 settembre 2013, Germania/Commissione, T‑347/09, non pubblicata, EU:T:2013:418, punto 29; v. anche, in tal senso, sentenza del 26 marzo 2009, SELEX Sistemi Integrati/Commissione, C‑113/07 P, EU:C:2009:191, punti da 71 a 80).

87      Nella fattispecie, tuttavia, né le ricorrenti né il Regno del Belgio hanno fornito elementi concreti per dimostrare che le attività economiche esercitate dai porti sarebbero inscindibili dai loro pubblici poteri, quali il controllo e la sicurezza del traffico marittimo o il presidio antinquinamento. Il solo fatto che possa sussistere un nesso economico tra tali attività, in quanto le attività economiche dei porti consentono di finanziare, in tutto o in parte, le loro attività non economiche, non è sufficiente per accertare il carattere inscindibile delle medesime attività, ai sensi della giurisprudenza.

88      A tale proposito, occorre altresì osservare che, nel caso di specie, le attività economiche dei porti non sono rese obbligatorie dalle loro attività non economiche di interesse generale e che, in loro assenza, tali attività non economiche non sarebbero necessariamente private della loro utilità (v., in tal senso, sentenze del 12 luglio 2012, Compass‑Datenbank, C‑138/11, EU:C:2012:449, punto 41, e del 12 settembre 2013, Germania/Commissione, T‑347/09, non pubblicata, EU:T:2013:418, punto 41).

89      È necessario constatare, dunque, che le attività economiche dei porti non sono inscindibili dalle loro attività non economiche di interesse generale, ai sensi della giurisprudenza (v. punto 86 supra).

90      Del resto, va osservato che né le ricorrenti né il Regno del Belgio hanno dimostrato che le attività economiche dei porti sarebbero secondarie o accessorie rispetto alle loro attività non economiche di interesse generale.

91      Al contrario, come risulta in particolare dai punti 53 e 65 della decisione impugnata, i diritti portuali e i canoni di concessione rappresentano la stragrande maggioranza del volume d’affari dei porti. In risposta a un quesito scritto del Tribunale, le ricorrenti hanno peraltro confermato che più del 75% dei loro redditi erano generati da tre tipi di attività, vale a dire le concessioni, la navigazione e il traino. Orbene, come risulta dall’esame degli altri argomenti delle ricorrenti, la Commissione non è incorsa in alcun errore di valutazione nel qualificare le attività in questione come economiche nella decisione impugnata.

92      Pertanto, anche la censura con cui si adduce che le attività economiche dei porti presenterebbero solo un carattere accessorio rispetto alle loro attività non economiche di interesse generale deve essere respinta.

 Sulla prima parte del motivo in esame, vertente sull’assenza di un mercato nel quale le autorità portuali offrono i loro servizi

93      Nell’ambito della prima parte del primo motivo, le ricorrenti sostengono che, in assenza di un mercato nel quale offrire i loro servizi, le autorità portuali non possono essere considerate imprese. Invero, in forza del decreto sulla politica e sulla gestione dei porti marittimi del 2 marzo 1999, sarebbe stato creato un monopolio legale, nell’ambito di un decentramento delle competenze amministrative di autorità pubblica, che esclude qualsiasi concorrenza potenziale istituendo un prestatore esclusivo del servizio in questione. Non esisterebbe dunque alcun «mercato» per quanto riguarda la gestione dei porti di Anversa e di Bruges, il che sarebbe confermato da una relazione della Nederlandse Mededingingsautoriteit (autorità olandese garante della concorrenza).

94      Le ricorrenti ricordano, a tale riguardo, che le autorità portuali non fanno che facilitare l’offerta di servizi da parte di terzi, vale a dire di imprese di trasbordo o imprese industriali, nel mercato nel quale i medesimi terzi sono attivi, in particolare dando terreni in concessione, senza tuttavia esercitare a loro volta dette attività economiche.

95      Inoltre, la gestione dei porti dovrebbe essere distinta dalla gestione degli aeroporti, per la quale una normativa nazionale conferma il contesto di mercato e, di conseguenza, la concorrenza, nella quale vengono svolte le attività di gestione di un aeroporto.

96      Nella replica, le ricorrenti contestano altresì alla Commissione, da un lato, il fatto di aver erroneamente ritenuto che esistesse un mercato sulla base del rilievo che esse fornivano i loro servizi dietro corrispettivo e, dall’altro, il fatto di non aver esaminato se altri operatori fossero disposti a fornire i servizi in questione nel mercato interessato e potessero farlo, conformemente al paragrafo 14 della comunicazione della Commissione sulla nozione di aiuto di Stato di cui all’articolo 107, paragrafo 1, del trattato FUE.

97      La Commissione contesta i suesposti argomenti.

98      Occorre rilevare, in proposito, che un ente che dispone di un monopolio legale può senz’altro proporre beni e servizi in un mercato e, pertanto, essere un’«impresa» ai sensi dell’articolo 107 TFUE. Come ha rilevato la Commissione al punto 48 della decisione impugnata, infatti, la nozione di attività economica è una nozione oggettiva, che scaturisce da elementi di fatto, in particolare dall’esistenza di un mercato per i servizi in questione, e non da scelte o da valutazioni nazionali.

99      Nel caso di specie, come in precedenza constatato, le ricorrenti effettuano appunto in proprio la maggior parte delle attività qualificate come economiche dalla Commissione al punto 44 della decisione impugnata (v. punto 49 supra). Orbene, anche a voler ammettere, come affermano le ricorrenti, che esse beneficino di un monopolio legale e che non esistano, in Belgio, operatori portuali privati che siano in concorrenza con le medesime per le attività in questione, si deve osservare che, come confermato dalla Commissione in udienza, esiste sicuramente una concorrenza a livello dell’Unione tra i diversi porti marittimi, in particolare sull’asse Amburgo-Rotterdam-Anversa, per attirare navi o altri prestatori di servizi, circostanza che le ricorrenti non contestano. Le ricorrenti dunque errano nel ritenere che non vi sia alcun mercato per tali attività in conseguenza del mero fatto che esse godono di un monopolio naturale e legale in Belgio per esercitarle.

100    Le ricorrenti richiamano altresì una relazione dell’autorità olandese garante della concorrenza, da cui risulterebbe che non esiste alcuna concorrenza tra i gestori portuali. Occorre tuttavia rilevare che la suddetta relazione, che verte nello specifico sulla situazione concorrenziale del porto di Rotterdam nei Paesi Bassi, nell’ambito di un’inchiesta relativa a un abuso di posizione dominante, risulta poco pertinente al fine di stabilire, in generale, l’assenza di attività economica dei porti. Inoltre, la relazione in parola si limita a constatare la scarsa concorrenza che si fanno tra loro le autorità portuali per quanto riguarda la fissazione delle tariffe portuali nei Paesi Bassi, senza tuttavia concludere che la messa a disposizione dell’infrastruttura portuale nonché l’assegnazione di terreni industriali non sarebbero attività economiche.

101    Al contrario, la giurisprudenza ha riconosciuto che la gestione commerciale e la costruzione di infrastrutture portuali o aeroportuali ai fini di una simile gestione commerciale costituivano attività economiche (v., in tal senso, sentenze del 24 ottobre 2002, Aéroports de Paris/Commissione, C‑82/01 P, EU:C:2002:617, punto 78; del 19 dicembre 2012, Mitteldeutsche Flughafen e Flughafen Leipzig‑Halle/Commissione, C‑288/11 P, EU:C:2012:821, punti da 40 a 43, e del 15 marzo 2018, Naviera Armas/Commissione, T‑108/16, EU:T:2018:145, punto 119).

102    A tale riguardo, le ricorrenti errano nel sostenere che la gestione dei porti dovrebbe essere distinta da quella degli aeroporti. Come infatti sostiene la Commissione, il fatto che la gestione di alcuni aeroporti avvenga sulla base di una concessione non significa che la gestione di un aeroporto o di un porto da parte di un’impresa pubblica o dotata di pubblici poteri non costituisca un’attività economica.

103    Inoltre, nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 15 marzo 2018, Naviera Armas/Commissione (T‑108/16, EU:T:2018:145), se è vero che si trattava principalmente di esaminare se un’impresa utente del porto, che beneficiava di un diritto esclusivo per svolgervi attività commerciali, fosse per tale ragione beneficiaria di un aiuto di Stato, il Tribunale ha tuttavia esplicitamente constatato al punto 119 della sentenza succitata che l’attività mediante la quale il gestore del porto gestiva l’infrastruttura portuale e la metteva a disposizione di una compagnia marittima utente, dietro pagamento di tasse portuali, costituiva senz’altro un’attività «economica».

104    Infine, le ricorrenti richiamano il paragrafo 14 della comunicazione della Commissione sulla nozione di aiuto di Stato di cui all’articolo 107, paragrafo 1, del trattato FUE per sostenere che quest’ultima avrebbe dovuto esaminare se altri operatori fossero disposti a fornire i servizi in questione nel mercato interessato e potessero farlo. Il paragrafo succitato così recita:

«La decisione di un’autorità pubblica di non permettere a terzi di svolgere un determinato servizio (ad esempio perché desidera prestare il servizio in proprio), non esclude l’esistenza di un’attività economica. Nonostante tale chiusura del mercato, un’attività economica può esistere se altri operatori sono disposti a fornire il servizio nel mercato interessato e possono farlo. In linea generale, il fatto che un particolare servizio sia prestato in proprio non incide sulla natura economica dell’attività».

105    La Commissione ha precisato nella controreplica nonché in udienza che il paragrafo 14 della sua comunicazione sulla nozione di aiuto di Stato di cui all’articolo 107, paragrafo 1, del trattato FUE non poteva essere utilmente invocato dalle ricorrenti, giacché, nel caso di specie, esse fornivano direttamente taluni servizi in proprio, circostanza che, a norma del medesimo paragrafo, non era sufficiente per ritenere che non sussistesse alcuna attività economica. Non si può infatti escludere che altre imprese private possano essere in grado di esercitare le attività economiche esercitate dalle ricorrenti e siano disposte a farlo, se tali attività fossero effettivamente aperte alla concorrenza e non fossero oggetto di un monopolio legale.

106    Pertanto, anche la prima parte del primo motivo deve essere respinta.

107    Tenuto conto dell’insieme delle considerazioni suesposte, occorre constatare che la Commissione non è incorsa in alcun errore di valutazione nel ritenere, al punto 67 della decisione impugnata, che le attività esercitate dai porti belgi fossero – almeno in parte – attività economiche.

108    Il primo motivo di ricorso dev’essere quindi respinto.

 Sui motivi di ricorso secondo e terzo, vertenti, in sostanza, sulla violazione del criterio di selettività

109    Con i motivi di ricorso secondo e terzo, le ricorrenti deducono, in sostanza, la violazione del criterio di selettività previsto all’articolo 107, paragrafo 1, TFUE.

110    Prima di esaminare le diverse censure delle ricorrenti e del Regno del Belgio nell’ambito di questi due motivi, occorre ricordare la posizione adottata dalla Commissione nella decisione impugnata per sostenere il carattere selettivo della misura in questione, nonché la giurisprudenza pertinente.

 Sintesi dell’analisi della Commissione per quanto riguarda la selettività della misura nella decisione impugnata

111    Al paragrafo 5.1.4 della decisione impugnata, dedicato alla selettività della misura, la Commissione ha sostenuto anzitutto che non si contestava il fatto che i porti belgi non pagassero l’ISoc. Il fondamento di tale non pagamento dell’ISoc poteva essere, secondo le autorità belghe, l’articolo 180, punto 2, del CIR oppure gli articoli 1 e 2 del CIR (punto 81 della decisione impugnata).

112    La Commissione ha poi proceduto a un’analisi in due tempi, a seconda che gli articoli 1 e 2 del CIR costituissero la base giuridica del non pagamento dell’ISoc da parte dei porti belgi (in prosieguo: la «seconda ipotesi») o che l’articolo 180, punto 2, del CIR costituisse la base giuridica del non pagamento dell’ISoc da parte dei porti belgi (in prosieguo: la «prima ipotesi»).

113    In primo luogo, nell’ambito della seconda ipotesi, la Commissione ha analizzato l’argomento delle autorità belghe secondo il quale l’articolo 180, punto 2, del CIR non farebbe che trarre le conseguenze dalle norme generali contenute negli articoli 1 e 2 del CIR e non costituirebbe pertanto una deroga al sistema di riferimento (punti da 82 a 91 della decisione impugnata). La Commissione ha ritenuto, a tale proposito, che una simile interpretazione si basasse fondamentalmente sull’ipotesi secondo la quale le attività esercitate dai porti porterebbero necessariamente a escludere di considerare questi ultimi come «società» ai fini dell’imposta sul reddito (delle persone giuridiche residenti), mentre essi costituiscono delle «imprese» ai sensi dell’articolo 107 TFUE. Orbene, la Commissione ha ritenuto, al contrario, che i porti fossero in linea di principio «società» ai fini dell’imposta sul reddito per gran parte delle loro attività e che essi esercitassero attività economiche tali da poter essere qualificati come «imprese» ai sensi dell’articolo 107 TFUE (punti 84 e 85 della decisione impugnata). Essa ha osservato, inoltre, che l’ipotesi su cui si fondava il ragionamento delle autorità belghe contraddirebbe non solo il commento ufficiale del CIR, ma anche altri testi interni e le prese di posizione ufficiali del governo belga (punto 86 della decisione impugnata).

114    Pertanto, la Commissione ha riferito di non condividere la posizione secondo cui, anche in caso di soppressione dell’articolo 180, punto 2, del CIR, i porti non sarebbero comunque soggetti all’ISoc in applicazione dei criteri generali degli articoli 1 e 2 del CIR. Per gli stessi motivi, la Commissione ha contestato il fatto che le norme relative all’IPM costituivano il sistema di riferimento per la tassazione dei porti. Alla luce degli elementi suindicati, la Commissione ha ritenuto che la normale applicazione delle norme generali del diritto belga condurrebbe ad assoggettare i porti all’ISoc per quanto concerne i redditi delle loro attività economiche (punti da 87 a 89 della decisione impugnata).

115    La Commissione ha precisato, del resto, che, anche se le norme nazionali in questione ‑ o la loro interpretazione da parte dell’amministrazione ‑ fossero tali da determinare un non pagamento dell’ISoc da parte dei porti belgi, queste stesse norme introdurrebbero una discriminazione tra «imprese» che esercitano attività economiche ai sensi dell’articolo 107 TFUE. Alla stregua dell’articolo 180, punto 2, del CIR nell’analisi illustrata qui di seguito, le norme in questione o l’intero sistema belga di tassazione dei redditi sarebbero quindi all’origine dei vantaggi concessi ad alcune «imprese» (ovvero i porti), mentre sul fronte degli utili ricavati da «attività economiche» queste stesse imprese si trovano in una situazione paragonabile a quella delle altre imprese (persone giuridiche residenti) soggette all’ISoc rispetto all’obiettivo dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche residenti, che è di tassare gli utili. Secondo la Commissione, inoltre, i porti non erano retti «da principi di funzionamento peculiari, che [li] differenzia[va]no nettamente dagli altri operatori economici» soggetti all’ISoc. In particolare, ad avviso della Commissione, il fatto che i porti non perseguano scopi di lucro non è un motivo sufficiente per ritenere che essi si trovino in una situazione diversa da quella degli altri operatori assoggettati all’ISoc. Stando a quest’ipotesi, secondo la medesima, lo stesso sistema belga sarebbe selettivo (punto 90 della decisione impugnata).

116    Dunque, secondo la Commissione, anche se la base giuridica del non pagamento dell’ISoc da parte dei porti belgi fosse costituita dagli articoli 1 e 2 del CIR, questo non pagamento sarebbe una misura prima facie selettiva per quanto riguarda le attività economiche dei porti (punto 91 della decisione impugnata).

117    In secondo luogo, la Commissione ha analizzato la prima ipotesi, da essa privilegiata, secondo la quale l’articolo 180, punto 2, del CIR costituirebbe la base giuridica del non pagamento dell’ISoc da parte dei porti belgi, in quanto deroga al sistema di riferimento, costituito dagli articoli 1 e 2 del CIR (punti 92 e 107 della decisione impugnata).

118    A tale riguardo, la Commissione ha ritenuto, anzitutto, che il sistema di riferimento nel caso di specie fosse costituito dalle norme fiscali generali derivanti dagli articoli 1 e 2 del CIR, mentre l’articolo 180, punto 2, del CIR costituirebbe una deroga alle suddette norme fiscali generali. Per quanto riguarda le persone giuridiche residenti in Belgio, l’articolo 1 del CIR stabilirebbe infatti un sistema dualistico di tassazione dei redditi in cui le «società» sarebbero assoggettate all’ISoc, mentre le «persone giuridiche diverse dalle società» sarebbero assoggettate all’IPM. L’articolo 2 del CIR illustrerebbe i criteri che permettono di definire una «società» e di individuare quindi le persone giuridiche che saranno assoggettate all’ISoc e, per eliminazione, quelle i cui redditi saranno sottoposti all’IPM. L’articolo 179 del CIR confermerebbe peraltro che i contribuenti assoggettati all’ISoc sono le società residenti. Orbene, secondo la Commissione, l’articolo 180, punto 2, del CIR esenta incondizionatamente i porti dall’ISoc, senza applicare i criteri generali di ripartizione tra ISoc e IPM di cui agli articoli 1 e 2, vale a dire senza tenere conto della qualificazione dei suddetti porti come «società» (o meno) (punti 93 e 94 della decisione impugnata).

119    Inoltre, la Commissione ha ritenuto che la summenzionata deroga al sistema di riferimento introducesse differenziazioni tra operatori che si trovano, sotto il profilo dell’obiettivo perseguito dal sistema tributario di riferimento, in una situazione fattuale e giuridica analoga. Infatti, indipendentemente dal sistema di riferimento considerato (ISoc o tassazione dei redditi delle persone giuridiche residenti in generale), l’obiettivo dell’imposta sui redditi sarebbe quello di tassare i redditi ed è sotto tale profilo che, per quanto riguarda gli utili delle loro attività economiche, tutte le imprese sono nella stessa situazione fattuale e giuridica. Il fatto che i porti non perseguirebbero scopi di lucro o che sarebbero meno attenti al rendimento degli investimenti a breve termine non condurrebbe a una diversa valutazione. Il fatto che i porti belgi siano posseduti e controllati da autorità pubbliche o che esercitino in particolare attività non economiche, come incarichi di competenza delle autorità pubbliche, non implicherebbe che essi siano in una situazione fattuale e giuridica diversa per quanto riguarda l’applicazione dell’ISoc ai redditi generati dalle loro attività economiche (punti 97 e 98 della decisione impugnata).

120    La Commissione ne ha dedotto, quindi, che la misura era prima facie selettiva per quanto riguardava le attività economiche dei porti (punto 99 della decisione impugnata).

121    In terzo luogo, qualunque sia l’ipotesi accolta, la Commissione ha proceduto all’esame di una possibile giustificazione della misura in base alla natura o alla struttura generale del sistema tributario. Essa ha ricordato, anzitutto, che la conformità di una misura al diritto interno non poteva in quanto tale costituire una giustificazione in base alla struttura del sistema finché non era dimostrato che tale giustificazione scaturiva dalle caratteristiche inerenti al sistema tributario di riferimento. Inoltre, essa ha osservato che l’assenza di discriminazione nel diritto nazionale non pregiudicava l’assenza di selettività ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE (punti 101 e 102 della decisione impugnata).

122    Parimenti, secondo la Commissione, dal momento che il criterio determinante per l’assoggettamento all’ISoc o all’IPM risiede nel fatto che l’entità interessata sia dedita a un’«attività» o a «operazioni lucrative» (v. articolo 2 del CIR), i fatti addotti ‑ secondo cui i porti sarebbero esenti dall’ISoc perché non distribuiscono profitti ma li reinvestono, perché perseguono un obiettivo che va oltre il loro singolo interesse, perché non hanno come scopo statutario quello di realizzare profitti, perché rientrano nella categoria delle autorità pubbliche e perché eseguono compiti di interesse generale ‑ non bastano a giustificare un trattamento fiscale più favorevole di quello delle altre società residenti in base ai principi basilari del sistema tributario. L’esenzione dall’ISoc a favore dei porti non potrebbe essere giustificata nemmeno dalla considerazione addotta secondo cui le risorse dei porti non sempre ne coprirebbero i costi o dal fatto che alcuni costi non inerenti all’oggetto sociale di un’impresa non siano detraibili dall’ISoc, in applicazione dell’articolo 49 del CIR. Inoltre, il fatto che l’esenzione dall’ISoc a favore dei porti scaturirebbe da un principio generale del diritto, o addirittura dalla stessa Costituzione belga, ammesso che tale fatto sia accertato, non potrebbe necessariamente giustificare in quanto tale l’esenzione in base alla natura o alla struttura generale del sistema, nella misura in cui le eventuali considerazioni contemplate dal costituente o dalle giurisdizioni nazionali possono essere esterne al corretto funzionamento del sistema tributario o ai suoi principi basilari (punti da 103 a 106 della decisione impugnata).

123    Infine, secondo la Commissione, le motivazioni delle autorità belghe e delle parti interessate relative ai criteri sviluppati dalla giurisprudenza nazionale per valutare se una persona giuridica sia una «società» ai sensi degli articoli 1 e 2 del CIR (in particolare, assenza di metodi industriali e commerciali) sono inefficaci per dimostrare la giustificazione della misura attraverso la logica intrinseca del sistema tributario, nella misura in cui tali motivazioni mirano in realtà a dimostrare che i porti non sono «società»; in tal caso, l’assenza di assoggettamento all’ISoc sarebbe selettiva proprio per la scelta dei criteri utilizzati per determinare i limiti del sistema di riferimento e non per effetto di una deroga a questo sistema di riferimento che potrebbe eventualmente essere giustificata (punto 107 della decisione impugnata).

 Richiamo della giurisprudenza pertinente

124    L’articolo 107, paragrafo 1, TFUE prevede che, «[s]alvo deroghe contemplate dai trattati, sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza».

125    Secondo costante giurisprudenza, la qualificazione di una misura nazionale come «aiuto di Stato» ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE esige che siano soddisfatti tutti i requisiti seguenti. In primo luogo, deve trattarsi di un intervento dello Stato o effettuato mediante risorse statali. In secondo luogo, tale intervento deve essere idoneo a incidere sugli scambi tra gli Stati membri. In terzo luogo, deve concedere un vantaggio selettivo al suo beneficiario. Infine, deve falsare o minacciare di falsare la concorrenza (sentenze del 21 dicembre 2016, Commissione/World Duty Free Group e a., C‑20/15 P e C‑21/15 P, EU:C:2016:981, punto 53; del 6 marzo 2018, Commissione/FIH Holding e FIH Erhvervsbank, C‑579/16 P, EU:C:2018:159, punto 43, e del 28 giugno 2018, Germania/Commissione, C‑208/16 P, non pubblicata, EU:C:2018:506, punto 79).

126    Per quanto riguarda il requisito di selettività del vantaggio che è un elemento costitutivo della nozione di «aiuto di Stato», ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, da una giurisprudenza parimenti costante risulta che la valutazione del requisito in parola richiede di stabilire se, nell’ambito di un dato regime giuridico, la misura nazionale in discussione sia tale da favorire «talune imprese o talune produzioni» rispetto ad altre che si trovino in una situazione fattuale e giuridica analoga, tenuto conto dell’obiettivo perseguito da detto regime, e che sono quindi oggetto di un trattamento differenziato idoneo, in sostanza, a essere qualificato come discriminatorio (v. sentenza del 21 dicembre 2016, Commissione/World Duty Free Group e a., C‑20/15 P e C‑21/15 P, EU:C:2016:981, punto 54 e giurisprudenza ivi citata).

127    Peraltro, quando la misura di cui trattasi è considerata un regime di aiuti e non un aiuto individuale, incombe alla Commissione dimostrare se tale misura, benché essa preveda un vantaggio di portata generale, ne attribuisca il beneficio esclusivo a talune imprese o a taluni settori di attività (v. sentenza del 21 dicembre 2016, Commissione/World Duty Free Group e a., C‑20/15 P e C‑21/15 P, EU:C:2016:981, punto 55 e giurisprudenza ivi citata).

128    L’esame della selettività di una misura, in particolare in materia fiscale, mira quindi a stabilire se essa favorisca «talune imprese o talune produzioni» ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE o se, al contrario, essa costituisca una misura generale di politica fiscale, applicabile senza distinzione a tutte le imprese situate sul territorio nazionale (v., in tal senso, sentenze dell’8 novembre 2001, Adria-Wien Pipeline e Wietersdorfer & Peggauer Zementwerke, C‑143/99, EU:C:2001:598, punto 35; del 15 novembre 2011, Commissione e Spagna/Government of Gibraltar e Regno Unito, C‑106/09 P e C‑107/09 P, EU:C:2011:732, punto 73, e del 18 luglio 2013, P, C‑6/12, EU:C:2013:525, punto 18).

129    Premesso ciò, ai fini della qualificazione di una misura fiscale nazionale come «selettiva», la Commissione deve individuare, in un primo tempo, il regime tributario comune o «normale» applicabile nello Stato membro interessato e dimostrare, in un secondo tempo, che la misura fiscale considerata deroga a tale regime comune, in quanto introduce differenziazioni tra operatori che si trovano, sotto il profilo dell’obiettivo perseguito da detto regime comune, in una situazione fattuale e giuridica analoga (v. Sentenza del 19 dicembre 2018, A-Brauerei, C‑374/17, EU:C:2018:1024, punto 36 e giurisprudenza ivi citata).

130    La nozione di «aiuto di Stato» non riguarda tuttavia i provvedimenti che stabiliscono una differenziazione tra imprese che si trovano, in relazione all’obiettivo perseguito dal regime giuridico di cui si tratti, in una situazione fattuale e giuridica analoga e, pertanto, a priori selettivi, qualora lo Stato membro interessato possa dimostrare che tale differenziazione è giustificata in quanto risulta dalla natura o dalla struttura del sistema tributario in cui tali provvedimenti si inseriscono (v. sentenza del 21 dicembre 2016, Commissione/World Duty Free Group e a., C‑20/15 P e C‑21/15 P, EU:C:2016:981, punto 58 e giurisprudenza ivi citata).

131    L’esame del requisito di selettività comporta quindi, in linea di principio, la determinazione, in un primo tempo, del quadro di riferimento nel quale si inserisce la misura in questione, determinazione che assume un’importanza maggiore nel caso di misure fiscali, dal momento che l’esistenza stessa di un vantaggio può essere accertata solo rispetto a un livello di tassazione definito «normale» (v. sentenza del 28 giugno 2018, Germania/Commissione, T‑208/16, non pubblicata, EU:T:2018:506, punto 85 e giurisprudenza ivi citata).

132    Tuttavia, la qualificazione di un sistema tributario come «selettivo» non è subordinata al fatto che quest’ultimo sia concepito in maniera che le imprese che beneficiano eventualmente di un vantaggio selettivo siano, in generale, assoggettate agli stessi oneri fiscali delle altre imprese, ma godano di deroghe, di modo che il vantaggio selettivo possa essere identificato come la differenza tra l’onere fiscale normale e quello sopportato da queste prime imprese (sentenze del 15 novembre 2011, Commissione e Spagna/Government of Gibraltar e Regno Unito, C‑106/09 P e C‑107/09 P, EU:C:2011:732, punto 91, e del 28 giugno 2018, Germania/Commissione, C‑208/16 P, non pubblicata, EU:C:2018:506, punto 87).

133    Una simile interpretazione del criterio di selettività presupporrebbe, infatti, che un regime tributario, per poter esser qualificato come «selettivo», sia concepito secondo una determinata tecnica normativa, con la conseguenza che talune norme fiscali nazionali sfuggirebbero immediatamente al controllo in materia di aiuti di Stato per il solo fatto di rientrare in un’altra tecnica normativa benché producano, in diritto o di fatto, mediante l’adeguamento e la combinazione di diverse norme fiscali, i medesimi effetti. Essa contrasterebbe quindi con la costante giurisprudenza secondo la quale l’articolo 107, paragrafo 1, TFUE non distingue gli interventi statali secondo le cause o gli obiettivi, bensì li definisce in funzione dei loro effetti e, quindi, indipendentemente dalle tecniche impiegate (v. sentenza del 28 giugno 2018, Germania/Commissione, C‑208/16 P, non pubblicata, EU:C:2018:506, punto 88 e giurisprudenza ivi citata).

134    Tuttavia, da questa stessa giurisprudenza emerge inoltre che, sebbene per dimostrare la selettività di una misura fiscale la tecnica normativa utilizzata non sia decisiva, sicché non è sempre necessario che la misura abbia carattere derogatorio rispetto a un regime tributario comune, la circostanza che essa presenti un simile carattere utilizzando detta tecnica normativa è rilevante a tali fini, qualora ne consegua che viene fatta una distinzione tra due categorie di operatori e che a queste viene riservato a priori un trattamento differenziato, ossia distinguendo tra coloro a cui si applica la misura derogatoria e coloro cui continua ad applicarsi il regime tributario comune, quando invece le due categorie in parola si trovano in una situazione paragonabile alla luce dell’obiettivo perseguito dal regime in questione (sentenze del 21 dicembre 2016, Commissione/World Duty Free Group e a., C‑20/15 P e C‑21/15 P, EU:C:2016:981, punto 77; del 28 giugno 2018, Germania/Commissione, C‑208/16 P, non pubblicata, EU:C:2018:506, punto 90, e del 19 dicembre 2018, A‑Brauerei, C‑374/17, EU:C:2018:1024, punto 33).

135    È alla luce delle considerazioni suesposte che occorre esaminare le diverse censure delle ricorrenti e del Regno del Belgio.

136    A tale riguardo, il Tribunale ritiene opportuno esaminare la selettività della misura in questione – ossia l’esenzione dall’ISoc di cui beneficiano i porti in forza dell’articolo 180, punto 2, del CIR – in due tempi, così come fatto dalla Commissione nella decisione impugnata, a seconda che l’articolo 180, punto 2, del CIR costituisca una deroga al quadro di riferimento, costituito dagli articoli 1 e 2 del CIR (v. punti da 117 a 120 supra), o che faccia parte integrante del quadro di riferimento (v. punti da 113 a 116 supra).

 Sulla selettività della misura in questione nell’ipotesi in cui l’articolo 180, punto 2, del CIR costituisca una deroga al quadro di riferimento

–       Sulla censura relativa all’errata individuazione del quadro di riferimento

137    Nell’ambito del secondo motivo di ricorso, le ricorrenti, sostenute dal Regno del Belgio, sostengono che la Commissione ha errato nel concludere che la misura in questione era selettiva ritenendo, in primo luogo, che l’ISoc costituisse il sistema di riferimento per entità come le ricorrenti e, in secondo luogo, che l’assoggettamento dei porti all’IPM costituisse una deroga al sistema di riferimento, il che comporterebbe una disparità di trattamento tra operatori che si trovavano, alla luce dell’obiettivo del sistema tributario di cui trattasi, in una situazione fattuale e giuridica analoga.

138    Secondo le ricorrenti, infatti, l’esenzione dall’ISoc concessa ai porti belgi in forza dell’articolo 180, punto 2, del CIR altro non sarebbe che una semplice applicazione delle norme generali degli articoli 1 e 2 del CIR. Le ricorrenti sostengono altresì che il commento ufficiale del CIR, sul quale si è basata la Commissione nella decisione impugnata, indica unicamente che le persone giuridiche che sono incondizionatamente esentate dall’ISoc, in applicazione dell’articolo 180, punto 2, del CIR, possono, in linea di principio, essere considerate come contribuenti soggetti all’ISoc. Non sarebbe quindi possibile dedurre da tale commento che la soppressione dell’articolo 180, punto 2, del CIR condurrebbe automaticamente ad assoggettare specificamente i porti all’ISoc. Il fatto di essere assoggettato all’IPM non potrebbe di per sé essere considerato una deroga al quadro di riferimento.

139    Secondo il Regno del Belgio, le entità assoggettate all’IPM sono caratterizzate, da un lato, dal fatto di non essere dedite né a un’attività né a operazioni lucrative e, dall’altro, dal fatto di perseguire uno scopo che va al di là del loro interesse personale o di quello dei loro azionisti. Nel caso delle autorità portuali, anche se queste ultime esercitano, in modo marginale, attività economiche, l’assenza di scopo di lucro e la natura di interesse generale dei loro compiti giustificherebbero il loro non assoggettamento all’ISoc. Operando un collegamento automatico tra attività economica e ISoc, la Commissione non terrebbe quindi conto della nozione di società nel diritto belga, che sarebbe caratterizzata da uno scopo di lucro, vale a dire dal fatto di procurare ai soci un beneficio patrimoniale diretto o indiretto.

140    La Commissione contesta i suesposti argomenti.

141    A tale riguardo, occorre rilevare anzitutto che, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, la Commissione non ha ritenuto, nella decisione impugnata, che il sistema di riferimento fosse costituito unicamente dall’ISoc, al quale derogherebbero altri sistemi di tassazione. Dai punti 83 e 93 della decisione impugnata emerge infatti che la Commissione ha ritenuto che il sistema di riferimento fosse costituito, nel caso di specie, dalle norme fiscali generali derivanti dagli articoli 1 e 2 del CIR, che dispongono che le «società» sono soggette all’ISoc, mentre le persone giuridiche residenti diverse dalle «società» sono soggette all’IPM. La Commissione ha verificato, nondimeno, se, in applicazione delle norme generali in parola, i porti ricadessero, in linea di principio, nella nozione di «società» di cui all’articolo 2, punto 5, del CIR, di modo che l’articolo 180, punto 2, del CIR dovrebbe essere interpretato come una deroga al sistema di riferimento a loro favore, o se, in applicazione delle medesime norme generali, essi ricadessero naturalmente nell’ambito dell’IPM, di modo che l’articolo 180, punto 2, del CIR avrebbe un effetto meramente declaratorio.

142    L’argomento delle ricorrenti secondo il quale la Commissione avrebbe erroneamente individuato il sistema di riferimento nell’ISoc si basa quindi su una lettura erronea della decisione impugnata e deve, di conseguenza, essere respinto.

143    Occorre poi rilevare che l’approccio sostenuto dalle ricorrenti e dal Regno del Belgio, secondo il quale l’articolo 180, punto 2, del CIR non costituisce una deroga al quadro di riferimento, corrisponde alla seconda ipotesi esaminata dalla Commissione, ai punti da 82 a 97 della decisione impugnata, al fine di dimostrare la selettività della misura in questione (v. punti da 113 a 116 supra).

144    Al fine di respingere il summenzionato approccio, la Commissione si è basata essenzialmente sul fatto che i porti erano in linea di principio «società» ai fini dell’imposta sui redditi per gran parte delle loro attività, che erano attività economiche. Essa ha quindi ritenuto che, in assenza dell’articolo 180, punto 2, del CIR, i porti sarebbero di norma soggetti all’ISoc e ha respinto la tesi secondo la quale, in forza di un’applicazione «normale» degli articoli 1 e 2 del CIR, i porti sarebbero soggetti all’IPM e non all’ISoc.

145    È necessario constatare che il suesposto ragionamento non è viziato da alcun errore di valutazione.

146    L’articolo 1 del CIR, infatti, definisce l’ISoc come «un’imposta sul reddito complessivo delle società residenti», mentre l’IPM è ivi definito come «un’imposta sui redditi delle persone giuridiche belghe diverse dalle società», senza altre precisazioni.

147    L’articolo 2, punto 5, del CIR, che, come riconosce la Commissione nella decisione impugnata, rientra anch’esso nel quadro di riferimento, definisce peraltro cosa si debba intendere per «società» e per «società residente». La «società» è infatti definita all’articolo 2, punto 5, lettera a), del CIR come «qualsiasi società, associazione, organizzazione o entità regolarmente costituita, dotata di personalità giuridica e dedita a un’attività o ad operazioni lucrative». La «società residente» è definita all’articolo 2, punto 5, lettera b), del CIR come «qualsiasi società che ha la propria sede sociale, il proprio principale centro di attività o la propria sede della direzione o amministrazione in Belgio e che non è esclusa dall’ambito di applicazione dell’imposta sul reddito delle società».

148    Interpellate in proposito mediante una misura di organizzazione del procedimento nonché in udienza, le parti riconoscono che il criterio determinante al fine di stabilire se una persona giuridica residente debba essere assoggettata all’ISoc o all’IPM consiste nell’accertare se l’entità di cui trattasi sia dedita o no a «un’attività o ad operazioni lucrative», ai sensi dell’articolo 2, punto 5, lettera a), del CIR.

149    Si deve, dunque, verificare se i porti siano dediti a «un’attività o ad operazioni lucrative», ai sensi dell’articolo 2, punto 5, lettera a), del CIR e se rientrino, in linea di principio, nella definizione di «società» prevista al medesimo articolo.

150    A tale riguardo, come hanno spiegato le ricorrenti in risposta a una misura di organizzazione del procedimento, il fatto di essere dediti a un’«attività lucrativa» riguarda, secondo il commento 179/10 dell’amministrazione fiscale belga, la «gestione di una qualsiasi impresa industriale, commerciale o agricola», i cui utili sarebbero redditi professionali soggetti in quanto tali all’imposta sul reddito delle persone fisiche, se tale gestione fosse effettuata da una persona fisica o da una società priva di personalità giuridica. Quanto all’espressione «dedita ad operazioni lucrative», essa comprende contemporaneamente le «occupazioni lucrative», nel senso di occupazione a scopo di lucro, e le occupazioni a carattere lucrativo, ma senza scopo di lucro, caratterizzate da un’attività professionale permanente che comporta la ripetizione, sufficientemente frequente da costituire un’«occupazione», di operazioni di carattere industriale, commerciale o agricolo o l’attuazione di metodi industriali o commerciali. Inoltre, secondo il commento 182/10 del CIR, una persona giuridica attua metodi industriali e commerciali quando lavora con un obiettivo, un’organizzazione o una strategia economica e ricorre a metodi di gestione ispirati essenzialmente alle nozioni di costi, di redditi e di redditività.

151    Pertanto, anche se, come sostengono le ricorrenti e il Regno del Belgio, le nozioni di «attività economica» e di «operazioni lucrative» non coincidono interamente, resta il fatto che, nel caso di specie, alla luce delle loro attività precedentemente menzionate (v. punto 49 supra), i porti effettuano operazioni lucrative, ai sensi dell’articolo 2, punto 5, lettera a), del CIR.

152    Secondo il Regno del Belgio, nondimeno, la «società» sarebbe caratterizzata principalmente, a differenza di qualsiasi altra persona giuridica residente, dallo scopo di lucro. Esso fa riferimento al riguardo all’articolo 1 del codice delle società belga, il quale prevede che «una società è costituita da un contratto ai sensi del quale due o più persone mettono qualcosa in comune, per svolgere una o più attività determinate e allo scopo di procurare ai soci un beneficio patrimoniale diretto o indiretto».

153    Occorre tuttavia rilevare, come fatto dalla Commissione, che dagli articoli 1 e 2 del CIR – che costituiscono il quadro di riferimento pertinente nel caso di specie – non emerge che lo scopo di lucro sarebbe un criterio distintivo determinante al riguardo, atteso che l’articolo 2, punto 5, del CIR non fa riferimento allo scopo di lucro, bensì al fatto di essere dediti a un’«attività o ad operazioni lucrative».

154    Interpellate su tale questione mediante una misura di organizzazione del procedimento, le ricorrenti e il Regno del Belgio hanno riconosciuto che la nozione di attività o di operazioni «lucrative», di cui all’articolo 2, punto 5, lettera a), del CIR, non coincideva necessariamente con quella di «scopo di lucro». Tale interpretazione trova del resto conferma nel commento 179/11 dell’amministrazione fiscale belga che interpreta la succitata disposizione, secondo il quale l’espressione «dedita a operazioni lucrative» comprende anche le operazioni lucrative effettuate senza scopo di lucro, che sono assimilabili a un’attività professionale permanente, in quanto esse comportano la ripetizione, sufficientemente frequente da costituire un’occupazione, di operazioni di carattere industriale, commerciale o agricolo o l’attuazione di metodi industriali o commerciali.

155    Inoltre, dal punto 103 della decisione impugnata risulta che anche altre imprese reinvestono i propri profitti, perseguono obiettivi o producono effetti sull’economia che vanno oltre il loro singolo interesse, senza per questo essere esenti dall’ISoc. Nella nota a piè di pagina n. 83 della decisione impugnata, si fa infatti riferimento al fatto che alcune associazioni intercomunali, che svolgono parimenti compiti di interesse generale e che sono state create per scopi di interesse pubblico, sono state recentemente assoggettate all’ISoc in Belgio, circostanza ammessa dalle ricorrenti e dal Regno del Belgio nelle loro risposte alle misure di organizzazione del procedimento. È necessario constatare, pertanto, che la realizzazione di compiti di interesse generale, lo scopo statutario di non mirare a ottenere profitti o lo status pubblico dei soci non sono i criteri determinanti sulla base dei quali si fonda il regime tributario in questione.

156    Contrariamente a quanto sostiene il Regno del Belgio, pertanto, dalla stessa ratio degli articoli 1 e 2 del CIR non risulta che l’articolo 180, punto 2, del CIR non avrebbe alcuna portata giuridica e sarebbe puramente dichiarativo. Al contrario, come sostiene la Commissione, dalla ratio delle succitate disposizioni risulta che le società residenti dedite a un’attività o a operazioni lucrative devono, in linea di principio, essere sottoposte all’ISoc. L’articolo 180, punto 2, del CIR introduce quindi un’esenzione incondizionata dall’ISoc a favore dei porti ivi indicati, nella misura in cui questi ultimi svolgono effettivamente operazioni lucrative, ai sensi dell’articolo 2, punto 5, lettera a), del CIR. Di conseguenza, l’articolo 180, punto 2, del CIR non costituisce parte integrante o non rientra nella logica stessa del quadro di riferimento, come tentano di sostenere le ricorrenti e il Regno del Belgio, ma costituisce appunto una deroga al quadro in questione.

157    La conclusione suesposta è avvalorata dai vari elementi di prova addotti in modo convincente dalla Commissione nella decisione impugnata nonché nell’ambito del procedimento dinanzi al Tribunale quali, in particolare, i commenti ufficiali del CIR effettuati dall’amministrazione fiscale belga e le prese di posizione ufficiali delle autorità belghe effettuate in tempore non suspecto, che considerano i porti come rientranti, di norma, nella definizione del termine «società» di cui all’articolo 2, punto 5, del CIR.

158    Invero, in primo luogo, dal punto 86 della decisione impugnata risulta che, secondo i commenti ufficiali dell’amministrazione fiscale belga, i porti sono imprese pubbliche che, in assenza dell’esenzione incondizionata di cui all’articolo 180, punto 2, del CIR, sarebbero soggette all’ISoc, in applicazione degli articoli 1 e 2 del CIR. Il commento 179/2, citato alla nota a piè di pagina n. 71 della decisione impugnata, precisa, ad esempio, che «benché possano in linea di principio essere considerate contribuenti soggetti all’ISoc, sono escluse dall’ISoc ai sensi degli articoli da 180 a 182 del CIR: 1) le persone giuridiche “incondizionatamente” escluse dall’ISoc».

159    In secondo luogo, dal punto 86 della decisione impugnata risulta altresì che lo stesso governo del Belgio ha sostenuto dinanzi alla Corte costituzionale belga che, tra altre società e persone giuridiche di cui all’articolo 180 e all’articolo 220, punto 2, del CIR, i porti erano effettivamente persone giuridiche dedite a un’attività o a operazioni lucrative ai sensi dell’articolo 2 del CIR. Inoltre, anche il vice Primo Ministro e Ministro delle finanze e del commercio estero ha affermato dinanzi alla Camera dei rappresentanti che i porti erano imprese pubbliche che, in assenza dell’esenzione incondizionata di cui all’articolo 180 del CIR, sarebbero soggette all’ISoc in applicazione degli articoli 1, 2 e 179 del CIR.

160    In terzo luogo, dalla legge adottata dal parlamento federale belga il 29 maggio 2018 – «Legge sulle condizioni del passaggio di imprese portuali all’assoggettamento all’imposta sul reddito delle società» (Moniteur Belge dell’11 giugno 2018, pag. 48409) – risulta che, per conformarsi alla decisione impugnata e sopprimere l’esenzione incondizionata dall’ISoc di cui hanno beneficiato i porti, qualificata come aiuto di Stato dalla Commissione, è previsto all’articolo 2 della legge in questione che «l’articolo 180, primo comma, punto 2, del [CIR] è abrogato». Si deve constatare, di conseguenza, come ha sostenuto la Commissione in udienza, che, secondo il legislatore belga, la semplice soppressione dell’esenzione prevista all’articolo 180, punto 2, del CIR è sufficiente per assoggettare i porti all’ISoc, il che implica che, in assenza di tale esenzione, i porti saranno naturalmente o automaticamente soggetti all’ISoc.

161    In quarto luogo, dalla lettera e dalla ratio degli articoli da 180 a 182 del CIR emerge che l’articolo 180 prevede una deroga incondizionata all’ISoc, nella misura in cui, a differenza degli articoli 181 e 182, esso non subordina il non assoggettamento all’ISoc delle entità ivi indicate a nessun’altra condizione. Da un lato, infatti, l’articolo 181 del CIR prevede che «non sono (…) assoggettate all’[ISoc] le associazioni senza scopo di lucro e le altre persone giuridiche che non perseguono scopi di lucro» e che svolgono determinate attività di interesse generale ivi elencate, quali l’aiuto alle famiglie o l’insegnamento. Dall’altro, l’articolo 182 del CIR prevede che «[i]n riferimento alle associazioni senza scopo di lucro e alle altre persone giuridiche che non perseguono scopi di lucro non sono considerate operazioni lucrative: 1) le operazioni isolate o eccezionali; 2) le operazioni che consistono nel collocamento dei fondi raccolti nell’esercizio della loro missione statutaria; 3) le operazioni che costituiscono un’attività implicante solo in via accessoria operazioni industriali, commerciali o agricole o che non attuano metodi industriali o commerciali». L’articolo 180 del CIR, invece, prevede semplicemente che «non sono assoggettate all’imposta sul reddito delle società» le entità ivi elencate, senza altra condizione connessa all’assenza di scopi di lucro o al carattere accessorio delle operazioni lucrative effettuate dalle medesime entità.

162    La stessa logica si ritrova altresì nell’articolo 220 del CIR, il quale prevede che «[s]ono assoggettati all’imposta sul reddito delle persone giuridiche: 1) lo Stato, le comunità, le regioni, le province, gli agglomerati, le federazioni di comuni, i comuni, i centri pubblici di intervento sociale, (…) nonché i centri pubblici di culto, le zone di soccorso, le zone di polizia nonché i polder e i wateringues; 2) le persone giuridiche che, in forza dell’articolo 180, non sono assoggettate all’imposta sul reddito delle società; 3) le persone giuridiche che hanno la loro sede sociale, il loro principale centro di attività o la loro sede della direzione o amministrazione in Belgio, non dedite a un’attività o a operazioni lucrative o non assoggettate all’imposta sul reddito delle società conformemente agli articoli 181 e 182». Invero, a meno di non voler privare l’articolo 220, punto 2, del CIR di qualsiasi effetto utile e ritenere che la medesima disposizione abbia, al pari dell’articolo 180 del CIR, valore puramente dichiarativo, dalla disposizione in parola emerge altresì che, in assenza dell’esenzione prevista all’articolo 180, punto 2, del CIR, i porti sarebbero, in linea di principio, soggetti all’ISoc, salvo che essi possano dimostrare di non essere dediti a un’attività o a operazioni lucrative, o di soddisfare gli altri requisiti di cui agli articoli 181 e 182 del CIR.

163    Pertanto, alla luce di tutte le considerazioni che precedono, si deve constatare che la Commissione ha giustamente ritenuto, nella decisione impugnata, che il quadro di riferimento ai fini dell’esame della selettività fosse costituito, nel caso di specie, dagli articoli 1 e 2 del CIR, rispetto al quale l’articolo 180, punto 2, del CIR costituisce una deroga, in quanto quest’ultima disposizione esenta incondizionatamente i porti dall’ISoc, quand’anche essi siano dediti a un’attività o a operazioni lucrative, ai sensi dell’articolo 2, punto 5, lettera a), del CIR.

164    La prima censura va quindi respinta in quanto infondata.

–       Sulla censura relativa all’assenza di comparabilità tra i porti e le entità soggette all’ISoc

165    Le ricorrenti sostengono che le autorità portuali non si trovano nella stessa situazione di altre entità assoggettate all’ISoc, contrariamente a quanto constatato dalla Commissione al punto 90 della decisione impugnata. Esse sarebbero sottoposte a un regime giuridico e fattuale diverso da quello di altre entità e rappresenterebbero il prolungamento delle autorità pubbliche, incaricate di eseguire compiti di diritto pubblico. Inoltre, le autorità portuali non potrebbero utilizzare liberamente i fondi di cui dispongono per ottimizzare le loro attività, cosa che possono fare in linea di principio altre entità soggette all’ISoc, come le associazioni senza scopo di lucro quando effettuano operazioni lucrative.

166    Secondo le ricorrenti, ciò che caratterizza le persone giuridiche soggette all’IPM è, da un lato, il fatto che esse non sono dedite a un’attività o a operazioni lucrative oppure, dall’altro, il fatto che esse perseguono un obiettivo più ampio, che va al di là del loro interesse o di quello dei loro azionisti. Contrariamente a quanto afferma la Commissione, la forma giuridica adottata dai porti non sarebbe determinante e l’assenza di scopo di lucro sarebbe quindi in effetti un elemento importante nella distinzione tra l’ISoc e l’IPM. Le società a finalità sociale che non hanno lo scopo di ripartire gli utili potrebbero infatti essere assoggettate all’IPM.

167    Inoltre, le ricorrenti sostengono di non attuare metodi industriali e commerciali per svolgere le loro attività, ai sensi dell’articolo 182, punto 3, del CIR. Si dovrebbe tener conto, a tale riguardo, del fatto che, in primo luogo, la maggior parte dei redditi percepiti dai porti non è determinata dai principi dell’offerta e della domanda, in secondo luogo, i loro compensi hanno carattere remunerativo e mirano, in linea di principio, solo a coprire il costo di talune prestazioni, senza mirare alla massimizzazione del profitto, in terzo luogo, esse non scelgono il porto da gestire e non possono neppure limitare i propri servizi agli utenti più redditizi, in quarto luogo, i loro redditi non sono necessariamente utilizzati per incrementare la loro efficienza o le loro proprie prestazioni, in quinto luogo, i loro investimenti si ispirano a prospettive macroeconomiche a lungo termine, e non unicamente al rendimento microeconomico a breve o a medio termine, e, in sesto luogo, sono le sole competenti a esercitare le competenze amministrative portuali, che non sono trasferibili. L’assenza di scopo di lucro, insieme alla mancanza di comportamenti che attuano metodi industriali o commerciali, giustificherebbe, pertanto, l’assoggettamento dei porti all’IPM anziché all’Isoc.

168    Il Regno del Belgio sostiene altresì, basandosi sulla sentenza dell’8 settembre 2011, Paint Graphos e a. (da C‑78/08 a C‑80/08, EU:C:2011:550), che i porti non si trovano, alla luce degli obiettivi intrinseci del regime dell’ISoc, in una situazione fattuale e giuridica analoga a quella delle società a scopo di lucro soggette a tale imposta. Esso osserva, a tale riguardo, che il decreto sulla politica e sulla gestione dei porti marittimi del 2 marzo 1999 non indica in alcun punto che i porti debbano mirare al profitto.

169    La Commissione contesta i suesposti argomenti.

170    Occorre ricordare a tale proposito che, secondo la giurisprudenza, ai fini della qualificazione di una misura fiscale nazionale come «selettiva», la Commissione deve individuare, in un primo tempo, il regime tributario comune o «normale» applicabile nello Stato membro interessato e dimostrare, in un secondo tempo, che la misura fiscale considerata deroga a tale regime comune, in quanto introduce differenziazioni tra operatori che si trovano, sotto il profilo dell’obiettivo perseguito da detto regime comune, in una situazione fattuale e giuridica analoga (sentenze dell’8 settembre 2011, Paint Graphos e a., C‑78/08 à C‑80/08, EU:C:2011:550, punto 49; del 21 dicembre 2016, Commissione/World Duty Free Group e a., C‑20/15 P e C‑21/15 P, EU:C:2016:981, punto 57, e del 19 dicembre 2018, A-Brauerei, C‑374/17, EU:C:2018:1024, punto 36).

171    È dunque opportuno accertare se un’esenzione fiscale come quella prevista dall’articolo 180, punto 2, del CIR possa favorire talune imprese rispetto ad altre che si trovino in una situazione fattuale e giuridica analoga sotto il profilo dell’obiettivo perseguito dal regime comune.

172    A tale riguardo, la Commissione ha ritenuto, ai punti 97 e 98 della decisione impugnata, che, indipendentemente dal sistema di riferimento considerato (ISoc o tassazione dei redditi delle persone giuridiche residenti in generale), l’obiettivo dell’imposta sui redditi fosse quello di tassare i redditi e che, sotto questo profilo, per quanto riguardava gli utili delle loro attività economiche, tutte le imprese fossero nella stessa situazione di fatto e di diritto.

173    Secondo il Regno del Belgio, invece, i porti non si troverebbero in una situazione analoga a quella delle società assoggettate all’ISoc, poiché, anche supponendo che essi siano dediti a operazioni lucrative, ai sensi dell’articolo 2, punto 5, del CIR, essi avrebbero talune caratteristiche specifiche, quali l’assenza di scopo di lucro delle loro attività, le loro modalità di funzionamento, la loro forma giuridica o ancora l’assenza di concorrenza con il settore privato, che le distinguerebbero dalle suddette società.

174    A tale proposito, occorre rilevare che, contrariamente a quanto sostiene la Commissione, non si può ritenere che i porti debbano necessariamente presentare le stesse caratteristiche delle cooperative di cui alla causa che ha dato luogo alla sentenza dell’8 settembre 2011, Paint Graphos e a. (da C‑78/08 a C‑80/08, EU:C:2011:550), quali il principio della preminenza della persona o la regola «una persona, un voto», per poter essere distinte dalle società soggette all’ISoc nel caso di specie.

175    Secondo la giurisprudenza, infatti, spetta alla Commissione dimostrare il carattere a priori selettivo della misura di cui trattasi (v., in tal senso, sentenza dell’8 settembre 2011, Commissione/Paesi Bassi, C‑279/08 P, EU:C:2011:551, punto 62), il che implica di verificare nel caso di specie se, nonostante talune particolari caratteristiche loro inerenti, i porti si trovino in una situazione fattuale e giuridica analoga a quella delle società soggette all’ISoc, alla luce degli obiettivi del quadro di riferimento.

176    Si deve tuttavia precisare che, a tal fine, il criterio di distinzione adottato, per valutare la comparabilità delle situazioni dei porti e delle società soggette all’ISoc, deve essere fondato su caratteristiche pertinenti e coerenti rispetto agli obiettivi del quadro di riferimento (v., in tal senso, sentenza del 26 aprile 2018, ANGED, C‑233/16, EU:C:2018:280, punti da 52 a 56).

177    Orbene, nel caso di specie, nessuna delle caratteristiche dei porti alle quali le ricorrenti e il Regno del Belgio hanno fatto riferimento – supponendo che siano dimostrate – è pertinente e coerente alla luce dell’obiettivo dell’imposta sui redditi, che è, come indica la sua denominazione, quello di tassare i redditi delle persone giuridiche residenti e, per quanto riguarda in particolare le «società» dedite a un’attività o a operazioni lucrative, di tassare gli utili che esse traggono dalle medesime attività.

178    In primo luogo, infatti, per quanto riguarda la circostanza che i porti non perseguirebbero scopi di lucro e reinvestirebbero tutti i loro utili nell’infrastruttura portuale per lo svolgimento dei loro compiti di interesse generale, occorre ricordare, come fa la Commissione, che gli obiettivi di interesse generale qui invocati si riferiscono alle attività economiche dei porti e non alle loro attività non economiche di interesse generale (v. punto 53 supra). Gli obiettivi in parola consisterebbero essenzialmente nel favorire lo sviluppo economico e l’impiego delle ricorrenti e della regione fiamminga. Orbene, occorre constatare, come fa la Commissione al punto 103 della decisione impugnata, che anche altre imprese reinvestono i propri profitti, perseguono obiettivi o producono effetti sull’economia che vanno oltre il loro singolo interesse, senza per questo essere esenti dall’ISoc, constatazione che né le ricorrenti né il Regno del Belgio contestano.

179    Pertanto, anche a voler ammettere che l’assenza di scopo di lucro sia una caratteristica essenziale dei porti e che un criterio distintivo fondato su tale caratteristica possa, insieme ad altri fattori come quelli menzionati all’articolo 182 del CIR, essere pertinente al fine di determinare se una persona giuridica residente debba essere assoggettata all’ISoc o all’IPM, si deve necessariamente constatare che, per valutare la comparabilità delle situazioni dei porti e delle società soggette all’ISoc, il criterio in questione non è, di per sé, pertinente e coerente alla luce dell’obiettivo di tassazione dei redditi perseguito dal regime di cui trattasi.

180    A tale riguardo, né le ricorrenti né il Regno del Belgio possono utilmente invocare la sentenza della Corte d’appello di Bruxelles del 21 giugno 2006 – Oxfam Magasins du monde, cui è stato fatto riferimento in udienza nonché dal Regno del Belgio nelle sue osservazioni scritte. Nella suddetta causa, infatti, la Corte d’appello di Bruxelles ha constatato che l’ASBL Oxfam doveva essere assoggettata all’IPM nella misura in cui le sue attività di vendita di prodotti del commercio equo in occasione di fiere o di mercati non costituivano operazioni lucrative, poiché esse non erano dirette ad attuare metodi industriali o commerciali, ai sensi dell’articolo 182, punto 3, del CIR.

181    L’articolo 182, punto 3, del CIR prevede che «[i]n riferimento alle associazioni senza scopo di lucro e alle altre persone giuridiche che non perseguono scopi di lucro non sono considerate operazioni lucrative (…) 3) le operazioni che costituiscono un’attività implicante solo in via accessoria operazioni industriali, commerciali o agricole o che non attuano metodi industriali o commerciali». Tale articolo prevede quindi due ipotesi distinte nelle quali si presume che le attività delle persone giuridiche che non perseguono fini di lucro non costituiscano operazioni lucrative, ai sensi dell’articolo 2, punto 5, del CIR, vale a dire, da un lato, il fatto di essere dedite a operazioni industriali, commerciali o agricole a titolo accessorio e, dall’altro, il fatto di non attuare metodi industriali o commerciali. Come ha giustamente sostenuto la Commissione, la causa che ha dato luogo alla sentenza della Corte d’appello di Bruxelles del 21 giugno 2006 – Oxfam Magasins du monde riguardava solo la seconda ipotesi, ossia quella dell’attuazione dei metodi industriali o commerciali da parte dell’associazione.

182    A tale riguardo, occorre ricordare che, secondo il commento 182/10 del CIR, una persona giuridica attua metodi industriali e commerciali quando lavora con un obiettivo, un’organizzazione o una strategia economica e ricorre a metodi di gestione ispirati essenzialmente alle nozioni di costi, di reddito e di redditività.

183    Orbene, per quanto riguarda le ricorrenti, come ha osservato la Commissione in udienza, non si può ritenere che esse non attuino metodi industriali o commerciali, ai sensi dell’articolo 182, punto 3, del CIR, alla stregua di Oxfam nella causa citata al punto 180 supra. Come ha ricordato la Commissione in udienza, infatti, i porti elaborano un piano di impresa, hanno una politica di impresa strutturata e hanno anche un servizio del personale. Quand’anche, come sostengono le ricorrenti, i corrispettivi che esse percepiscono mirino solo a coprire i costi di talune prestazioni, senza prevedere alcun margine di utile, dagli stessi termini del decreto sulla politica e sulla gestione dei porti marittimi del 2 marzo 1999, menzionato dalla Commissione al punto 46 della decisione impugnata, emerge che le loro attività comportano l’attuazione di metodi industriali o commerciali. Infine, non risulta nemmeno che le loro attività comportino solo in via accessoria operazioni industriali o commerciali, ai sensi della succitata disposizione, sicché essi non rientrano neppure nella prima ipotesi di cui all’articolo 182, punto 3, del CIR.

184    In ogni caso, anche supponendo che i porti non perseguano scopi di lucro, l’esenzione di cui essi beneficiano nel caso di specie non è fondata sull’articolo 182, punto 3, del CIR, bensì sull’articolo 180, punto 2, del CIR, senza che da alcun elemento del fascicolo risulti che una valutazione concreta delle condizioni di cui all’articolo 182, punto 3, del CIR sia stata effettuata dal legislatore belga per i porti. Al contrario, dai punti da 156 a 163 supra emerge che, in assenza di tale esenzione, essi dovrebbero di norma essere assoggettati all’ISoc, in applicazione dei criteri di cui agli articoli 1 e 2 del CIR.

185    In secondo luogo, per quanto riguarda il criterio distintivo fondato sulla forma o sullo status giuridico dei porti, occorre rilevare, da un lato, che, secondo il commento 179/16 dell’amministrazione fiscale belga, citato al punto 86 della decisione impugnata, anche la maggior parte dei porti belgi, considerata la loro forma giuridica (SA, SPRL o autorità municipale autonoma), dovrebbe di norma essere assoggettata all’ISoc, giacché, in generale, essi sono dediti a una qualche attività industriale o commerciale o a un’occupazione lucrativa, oppure a entrambe, e tutti gli utili e i profitti da essi realizzati devono essere considerati frutto di tale attività. Dall’altro lato, dal punto 103 della decisione impugnata risulta – senza che ciò sia stato contestato dalle parti – che possono essere assoggettate all’IPM entità che non rientrano nella categoria delle autorità pubbliche (come le associazioni senza scopo di lucro), il che significa che nemmeno l’appartenenza alla sfera pubblica è un criterio rilevante rispetto alle norme nazionali. Inoltre, pur non perseguendo per statuto scopi di lucro, tali associazioni possono essere assoggettate all’ISoc in applicazione dei criteri generali se esercitano un’attività oppure operazioni lucrative.

186    Si deve osservare, peraltro, a tale riguardo, come fatto dalla Commissione al punto 98 della decisione impugnata, che, secondo la giurisprudenza, un’esenzione fiscale concessa in considerazione della forma giuridica dell’impresa e dei settori nei quali la medesima impresa esercita la sua attività, che risulta dall’obiettivo del legislatore di favorire organismi considerati socialmente meritevoli, è, in generale, considerata selettiva (v., in tal senso, sentenza del 10 gennaio 2006, Cassa di Risparmio di Firenze e a., C‑222/04, EU:C:2006:8, punti da 136 a 138).

187    In terzo luogo, non può essere accolta nemmeno la tesi del Regno del Belgio, prospettata per la prima volta in risposta a una misura di organizzazione del procedimento, secondo la quale il legislatore belga avrebbe potuto, tenuto conto del quadro normativo che disciplina i porti nelle diverse regioni del paese, legittimamente ritenere che questi ultimi, sulla base delle loro normative, non fossero dediti a un’attività o a operazioni lucrative che entrano in concorrenza con il settore privato, il che avrebbe giustificato di sottoporli, nel loro complesso, all’IPM.

188    Da tutti gli elementi di prova addotti dalla Commissione nel corso del procedimento amministrativo nonché dinanzi al Tribunale risulta infatti che, in assenza dell’articolo 180, punto 2, del CIR, i porti dovrebbero in linea di principio essere assoggettati all’ISoc (v. punti da 156 a 163 supra). Pertanto, nella misura in cui essi sono dediti a un’attività o a operazioni lucrative, ai sensi dell’articolo 2, punto 5, del CIR, essi si trovano in una situazione fattuale e giuridica analoga a quella delle società assoggettate all’ISoc, per quanto riguarda gli utili che traggono da tali attività, e l’esenzione di cui beneficiano in forza dell’articolo 180, punto 2, del CIR costituisce una differenza di trattamento che può, in sostanza, essere qualificata come discriminatoria (v. giurisprudenza citata al punto 126 supra).

189    A tale riguardo, il Regno del Belgio si basa tuttavia sulla sentenza n. 151/2016 della Corte costituzionale belga, del 1o dicembre 2016, che riconoscerebbe la legittimità della scelta del legislatore di continuare a sottoporre i porti di cui all’articolo 180, punto 2, del CIR all’IPM. In tale sentenza, la Corte costituzionale, investita di un ricorso proposto dalle associazioni intercomunali recentemente sottoposte all’ISoc, ha infatti considerato quanto segue:

«Contrariamente alle associazioni intercomunali e ad altre strutture di cooperazione e associazioni di progetto che possono coprire un’ampia gamma di attività che possono entrare in concorrenza con imprese private, gli operatori economici pubblici particolari di cui ai punti da 2o a 13o dell’articolo 180 del [CIR] esercitano un’attività che non entra in concorrenza con le imprese private o che rientra in un interesse pubblico particolare. Il legislatore ha legittimamente ritenuto che essi dovessero pertanto essere oggetto di un trattamento fiscale particolare. La differenza di trattamento non è priva di giustificazione ragionevole».

190    Tuttavia, come ha sostenuto la Commissione al punto 102 della decisione impugnata, la sentenza n. 151/2016 della Corte costituzionale belga del 1o dicembre 2016 non riguarda l’esenzione dall’ISoc a vantaggio dei porti alla luce del diritto degli aiuti di Stato, bensì la valutazione dell’assoggettamento all’ISoc delle associazioni intercomunali, delle strutture di cooperazione e delle associazioni di progetto, alla luce dei principi di uguaglianza e di non discriminazione. Orbene, l’assenza di discriminazione nel diritto nazionale non è necessariamente indice dell’assenza di selettività ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE.

191    In ogni caso, quand’anche la tesi sostenuta da ultimo dal Regno del Belgio (v. punto 187 supra) possa essere accolta, ciò significherebbe che il sistema fiscale belga è concepito in modo che il legislatore possa, in modo discrezionale, ritenere che talune entità non rientrano nell’ambito di applicazione dell’ISoc, nonostante che esse siano in linea di principio «società» dedite a un’attività o a operazioni lucrative, ai sensi dell’articolo 2, punto 5, del CIR. Orbene, secondo la giurisprudenza, se le autorità competenti dispongono di un ampio potere discrezionale per determinare i beneficiari e le condizioni della misura concessa sulla base di criteri estranei al sistema tributario, quali il mantenimento dell’occupazione o l’assenza di concorrenza con il settore privato, l’esercizio di tale potere deve allora essere considerato tale da favorire «talune imprese o talune produzioni» rispetto ad altre, che si troverebbero, alla luce dell’obiettivo perseguito, in una situazione fattuale e giuridica paragonabile (v., in tal senso, sentenza del 18 luglio 2013, P, C‑6/12, EU:C:2013:525, punto 27 e giurisprudenza ivi citata).

192    Si deve concludere, pertanto, che a ragione la Commissione ha constatato, ai punti da 97 a 99 della decisione impugnata, che la misura in questione era prima facie selettiva, in quanto rappresentava una deroga al quadro di riferimento, costituito dagli articoli 1 e 2 del CIR, e introduceva una differenziazione tra i porti e le società assoggettate all’ISoc, nonostante che, alla luce dell’obiettivo del medesimo quadro di riferimento, essi si trovino in una situazione fattuale e giuridica analoga.

 Sulla selettività della misura nell’ipotesi in cui l’articolo 180, punto 2, del CIR non costituisca formalmente una deroga al quadro di riferimento

193    In subordine, occorre esaminare la seconda ipotesi considerata dalla Commissione nella decisione impugnata per dimostrare la selettività della misura in questione. Secondo tale ipotesi, gli articoli 1 e 2 del CIR costituirebbero la base giuridica del non pagamento dell’ISoc da parte dei porti, nel senso che l’articolo 180, punto 2, del CIR non sarebbe formalmente una deroga al quadro di riferimento (v. punti 115 e 116 supra).

194    A tale riguardo, anche a voler ammettere che, come sostengono le ricorrenti e il Regno del Belgio, l’articolo 180, punto 2, del CIR non costituisca una deroga al quadro di riferimento, nel senso che l’IPM sarebbe il quadro di riferimento pertinente per le entità, quali le ricorrenti, occorre rilevare, come fa la Commissione al punto 90 della decisione impugnata, che lo stesso sistema belga di tassazione dei redditi sarebbe selettivo, in quanto porterebbe a favorire «talune imprese», vale a dire i porti, sebbene questi ultimi si trovino in una situazione fattuale e giuridica analoga rispetto alle altre imprese soggette all’ISoc per quanto riguarda la tassazione degli utili che essi traggono dalle loro attività economiche (v., in tal senso, sentenze del 15 novembre 2011, Commissione e Spagna/Government of Gibraltar e Regno Unito, C‑106/09 P e C‑107/09 P, EU:C:2011:732, punti da 101 a 107, e del 21 dicembre 2016, Commissione/World Duty Free Group e a., C‑20/15 P e C‑21/15 P, EU:C:2016:981, punti da 76 a 79).

195    Occorre infatti ricordare che, secondo la giurisprudenza, non è sempre necessario che una misura abbia carattere derogatorio rispetto a un regime tributario comune per stabilire che essa è selettiva, anche se si tratta, in linea di principio, di un criterio pertinente al riguardo (v. giurisprudenza citata ai punti da 132 a 134 supra).

196    Per costante giurisprudenza, tuttavia, il fatto che solo i contribuenti che soddisfano i presupposti per l’applicazione di una misura possano beneficiare di quest’ultima non può, di per sé, conferire a tale misura un carattere selettivo (sentenze del 21 dicembre 2016, Commission/World Duty Free Group e a., C‑20/15 P e C‑21/15 P, EU:C:2016:981, punto 59, e del 19 dicembre 2018, A-Brauerei, C‑374/17, EU:C:2018:1024, punto 24).

197    È per questa ragione che, quando non è possibile individuare una misura avente carattere derogatorio rispetto a un regime tributario comune, per poter essere ritenuti costituire vantaggi selettivi, i criteri di fissazione della base imponibile adottati da tale regime devono essere idonei a caratterizzare le imprese beneficiarie in forza di proprietà loro peculiari quale categoria privilegiata, così da potersi concludere che tale regime favorisce «talune» imprese o «talune» produzioni ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE (sentenza del 15 novembre 2011, Commissione e Spagna/Government of Gibraltar e Regno Unito, C‑106/09 P e C‑107/09 P, EU:C:2011:732, punto 104).

198    Orbene, nel caso di specie, come ha osservato la Commissione in udienza, anche supponendo che l’articolo 180, punto 2, del CIR non deroghi al quadro di riferimento, costituito dagli articoli 1 e 2 del CIR, la disposizione in questione individua nominativamente talune entità, in particolare i porti, e le esenta in tal modo incondizionatamente dall’ISoc, sebbene essi si trovino, per quanto riguarda gli utili tratti da «attività economiche», in una situazione analoga a quella delle altre imprese (persone giuridiche residenti) soggette all’ISoc. I porti sono quindi identificati come categoria privilegiata da tali disposizioni, per via delle loro specifiche caratteristiche e del settore di attività cui appartengono.

199    Pertanto, giustamente la Commissione ha potuto ritenere, ai punti 90 e 91 della decisione impugnata, che, anche se la base giuridica del non assoggettamento all’ISoc da parte dei porti fosse costituita dagli articoli 1 e 2, tale non assoggettamento sarebbe stato una misura a priori selettiva per quanto riguardava le attività economiche dei porti.

200    Occorre inoltre verificare se, conformemente alla giurisprudenza ricordata al punto 130 supra, la misura di cui trattasi, pur essendo prima facie selettiva, e indipendentemente dall’ipotesi accolta a tale riguardo circa il quadro di riferimento, possa nondimeno essere giustificata in base alla natura o alla logica del sistema tributario in cui si inserisce, come sostengono le ricorrenti e il Regno del Belgio.

 Sulla censura relativa alla giustificazione in base alla natura o alla logica del sistema fiscale

201    Nell’ambito del terzo motivo di ricorso, le ricorrenti sostengono, in subordine, che, supponendo che l’assoggettamento delle autorità portuali all’IPM costituisca una deroga al sistema di riferimento, essa può essere giustificata in base alla natura e alla struttura del sistema belga in materia di imposte sui redditi.

202    Le ricorrenti rilevano che la coerenza globale del regime tributario belga implica che le autorità pubbliche non siano soggette all’ISoc, che è un’imposta sugli utili. Le persone giuridiche menzionate all’articolo 180 del CIR, tra le quali figurano i porti belgi, non sarebbero soggette all’ISoc in quanto non perseguono uno scopo di lucro e costituiscono il prolungamento dell’autorità dello Stato. Inoltre, esse non agirebbero in uno spirito di massimizzazione del profitto, ma dovrebbero reinvestire le eventuali eccedenze nelle infrastrutture pubbliche. Sarebbe dunque del tutto logico che le autorità portuali rientrino nell’ambito dell’IPM e non dell’ISoc.

203    Infine, secondo le ricorrenti, l’assoggettamento delle autorità portuali all’ISoc avrebbe un effetto penalizzante e discriminatorio, giacché determinerebbe un aumento sproporzionato della pressione fiscale sulle autorità portuali. A causa dell’assoggettamento all’ISoc, infatti, i porti potrebbero detrarre soltanto le spese inerenti all’attività sociale e destinate a conseguire o a conservare redditi imponibili. Pertanto, le spese sostenute dai porti per motivi di interesse generale non sarebbero detraibili in forza dell’articolo 49 del CIR e sarebbero aggiunte all’utile contabile come «spese non ammesse». Sussisterebbe, inoltre, un rischio che tali spese siano tassate in quanto «benefici straordinari o a titolo gratuito» ai sensi dell’articolo 26 del CIR. Di conseguenza, un assoggettamento all’ISoc delle autorità portuali porterebbe a una discriminazione, poiché verrebbe imposto un trattamento identico a entità che si trovano in situazioni diverse.

204    Il Regno del Belgio sottolinea altresì che, anche a voler ammettere che l’articolo 180, punto 2, del CIR istituisca una deroga a favore delle autorità portuali belghe, circostanza che esso contesta fermamente, essa potrebbe essere giustificata in base alla natura e alla struttura generale del sistema belga di imposta sui redditi. La logica del sistema di imposta belga sui redditi si fonderebbe infatti su una distinzione tra le imprese commerciali, aventi scopo di lucro, e le entità che agiscono nell’interesse pubblico generale. Il non assoggettamento all’ISoc delle autorità portuali, che sono organismi di diritto pubblico che perseguono compiti di interesse pubblico in precedenza affidati alle autorità locali, costituirebbe una semplice applicazione di tale principio.

205    La Commissione contesta i suesposti argomenti.

206    A tale riguardo, occorre osservare che gli argomenti presentati dal Regno del Belgio nell’ambito della censura in esame coincidono ampiamente con quelli che sono stati esaminati nell’ambito della censura relativa all’assenza di comparabilità dei porti con le imprese soggette all’ISoc (v. punti da 173 a 190 supra).

207    Orbene, va ricordato che, secondo la giurisprudenza, una misura che introduce un’eccezione all’applicazione del sistema tributario generale può essere giustificata dalla natura e dall’economia generale del sistema tributario qualora lo Stato membro interessato può dimostrare che tale misura discende direttamente dai principi fondanti o informatori del suo sistema tributario. In proposito, va operata una distinzione fra, da un lato, gli obiettivi che persegue un determinato regime tributario e che sono a esso esterni e, dall’altro, i meccanismi inerenti al sistema tributario stesso, necessari per il raggiungimento di tali obiettivi (sentenze del 6 settembre 2006, Portogallo/Commissione, C‑88/03, EU:C:2006:511, punto 81; dell’8 settembre 2011, Paint Graphos e a., da C‑78/08 a C‑80/08, EU:C:2011:550, punto 69, e del 19 dicembre 2018, A‑Brauerei, C‑374/17, EU:C:2018:1024, punto 48).

208    Pertanto, sebbene la Corte abbia riconosciuto, nella sua giurisprudenza, che obiettivi inerenti al sistema tributario generale di cui trattasi, come quelli diretti a evitare una doppia imposizione o a prevenire gli abusi, potevano giustificare un regime tributario a priori selettivo (v., in tal senso, sentenze del 29 aprile 2004, GIL Insurance e a., C‑308/01, EU:C:2004:252, punti da 74 a 76; dell’8 settembre 2011, Paint Graphos e a., da C‑78/08 a C‑80/08, EU:C:2011:550, punti da 64 a 76, e del 19 dicembre 2018, A‑Brauerei, C‑374/17, EU:C:2018:1024, punti da 50 a 53), essa ha tuttavia costantemente rifiutato di riconoscere che obiettivi esterni al sistema tributario, quali la volontà di preservare la competitività internazionale o di salvaguardare l’impiego in determinati settori, ovvero di favorire enti socialmente meritevoli, possano giustificare una misura a priori selettiva, sottraendola in tal modo all’ambito di applicazione dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE (v., in tal senso, sentenze del 17 giugno 1999, Belgio/Commissione, C‑75/97, EU:C:1999:311, punti da 37 a 39; dell’8 novembre 2001, Adria-Wien Pipeline e Wietersdorfer & Peggauer Zementwerke, C‑143/99, EU:C:2001:598, punto 54, e del 10 gennaio 2006, Cassa di Risparmio di Firenze e a., C‑222/04, EU:C:2006:8, punti da 136 a 138).

209    Orbene, è necessario constatare che, nel caso di specie, le nozioni di interesse generale, di assenza di scopo di lucro, così come la natura pubblica o privata delle entità interessate, sono estranee alla natura e alla logica del sistema tributario belga dell’imposta sui redditi, il quale poggia, essenzialmente, per quanto riguarda la distinzione tra l’ISoc e l’IPM, sulla definizione del termine «società», come stabilita all’articolo 2, punto 5, del CIR (v. punto 148 supra).

210    Pertanto, la Commissione non è incorsa in alcun errore di valutazione nel ritenere, al punto 103 della decisione impugnata, che, dal momento che il criterio determinante per l’assoggettamento all’ISoc o all’IPM era il fatto che l’entità interessata fosse dedita a un’«attività» o a «operazioni lucrative» (v. articolo 2 del CIR), i fatti addotti ‑ secondo cui i porti sarebbero esenti dall’ISoc perché non distribuiscono profitti ma li reinvestono, perché perseguono un obiettivo che va oltre il loro singolo interesse, perché non hanno come scopo statutario quello di realizzare profitti, perché rientrano nella categoria delle autorità pubbliche e perché eseguono compiti di interesse generale ‑ non bastavano a giustificare un trattamento fiscale più favorevole di quello delle altre società residenti in base ai principi basilari del sistema tributario.

211    In ogni caso, anche supponendo che gli obiettivi cui ha fatto riferimento il Regno del Belgio possano rientrare nella natura o nella logica del sistema tributario, va necessariamente constatato che essi non sono perseguiti in modo coerente dalla misura di cui trattasi nella fattispecie (v., in tal senso, sentenze del 22 dicembre 2008, British Aggregates/Commissione, C‑487/06 P, EU:C:2008:757, punto 88, e dell’8 settembre 2011, Paint Graphos e a., da C‑78/08 a C‑80/08, EU:C:2011:550, punti 73 e 74).

212    Come ha infatti constatato la Commissione al punto 103 della decisione impugnata, anche altre imprese reinvestono i propri profitti, perseguono obiettivi o producono effetti sull’economia che vanno oltre il loro singolo interesse, senza per questo essere esenti dall’ISoc. Viceversa, possono essere assoggettate all’IPM entità che non rientrano nella categoria delle autorità pubbliche (come le associazioni senza scopo di lucro), sempre che rispettino il criterio generale di cui all’articolo 2 del CIR, il che significa che nemmeno l’appartenenza alla sfera pubblica è un criterio rilevante rispetto alle norme nazionali.

213    Infine, per quanto riguarda l’argomento delle ricorrenti secondo il quale il loro assoggettamento all’ISoc avrebbe un effetto penalizzante e discriminatorio (v. punto 203 supra), occorre osservare, come fatto dalla Commissione al punto 105 della decisione impugnata, che l’esenzione dei porti dall’ISoc non è legata al fatto che questi ultimi sarebbero finanziariamente penalizzati dall’articolo 49 del CIR, poiché l’esenzione in parola riguarda tutti i profitti realizzati e non solo quelli derivanti dall’eventuale assenza di detraibilità di alcune spese in applicazione dell’articolo 49 del CIR. L’esenzione prevista all’articolo 180, punto 2, del CIR non è dunque giustificata da un principio basilare del sistema tributario belga, anche ipotizzando che l’articolo 49 del CIR costituisca un simile principio basilare.

214    Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, la Commissione non è incorsa in alcun errore di valutazione nel ritenere, nella decisione impugnata, che l’esenzione dall’ISoc di cui beneficiavano i porti procurasse loro un vantaggio selettivo ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE.

215    Pertanto, occorre respingere i motivi di ricorso secondo e terzo.

 Sul quarto motivo di ricorso, vertente, in ulteriore subordine, su una domanda di periodo transitorio

216    In ulteriore subordine, le ricorrenti chiedono al Tribunale di concedere un periodo transitorio fino alla chiusura da parte della Commissione della sua indagine sul regime tributario dei diversi porti dell’Unione e, in ogni caso, della durata di un intero anno, affinché esse possano adeguarsi alla nuova situazione. Nella causa riguardante la tassazione dei porti nei Paesi Bassi, infatti, la Commissione avrebbe concesso un intero anno al legislatore e ai porti olandesi per adeguarsi alla nuova situazione. Vi sarebbero peraltro indicazioni secondo le quali misure analoghe esisterebbero in altri Stati membri, sicché un trattamento differenziato nuocerebbe alle eque condizioni di concorrenza e rafforzerebbe le disparità tra i porti dei diversi Stati membri.

217    In primo luogo, il Regno del Belgio sostiene che la Commissione, svolgendo determinate indagini in maniera selettiva unicamente in taluni Stati membri, avrebbe in tal modo concesso un vantaggio concorrenziale alle autorità portuali dell’Unione che non sono assoggettate ad alcuna forma o ad altre forme d’imposta e che non sono sottoposte ad alcuna indagine. In secondo luogo, il Regno del Belgio, invocando possibilità pratiche di adeguamento della legislazione tributaria belga e basandosi sull’esempio olandese, ritiene che la Commissione non abbia garantito eque condizioni di concorrenza negando la concessione di un periodo di transizione al fine di consentire tale adeguamento.

218    La Commissione contesta i suesposti argomenti.

219    In limine, occorre constatare che, con il motivo in esame, le ricorrenti chiedono al Tribunale di concedere un periodo transitorio, e non di annullare la decisione impugnata per via di un vizio da cui quest’ultima sarebbe inficiata. Orbene, occorre ricordare, al pari di quanto fatto dalla Commissione, che il Tribunale non è competente a rivolgere ingiunzioni alle istituzioni dell’Unione o a sostituirsi a queste ultime nell’ambito del controllo di legittimità da esso esercitato (v., in tal senso, sentenze del 22 aprile 2016, Italia ed Eurallumina/Commissione, T‑60/06 RENV II e T‑62/06 RENV II, EU:T:2016:233, punto 43, e del 12 maggio 2016, Hamr ‑ Sport/Commissione, T‑693/14, non pubblicata, EU:T:2016:292, punto 91).

220    Nella replica, le ricorrenti sostengono, tuttavia, che i limiti del controllo del Tribunale non ostano a che una decisione della Commissione sia annullata sulla base del rilievo che essa non prevede una misura provvisoria adeguata. Un simile motivo di ricorso potrebbe essere inteso, pertanto, come vertente, in sostanza, sulla violazione del principio di parità di trattamento, che dovrebbe portare all’annullamento della decisione impugnata a tale titolo, a causa della mancata inclusione di un periodo transitorio nella decisione in questione teso a consentire al Regno del Belgio di non assoggettare i porti belgi all’ISoc fino a quando la Commissione abbia chiuso la sua indagine sul regime tributario dei diversi porti in tutti gli Stati membri dell’Unione.

221    A tale riguardo, anzitutto, nella misura in cui le ricorrenti sembrano sostenere che la Commissione avrebbe dovuto concedere un periodo transitorio di un anno, così come nella sua decisione (UE) 2016/634, del 21 gennaio 2016, relativa all’aiuto di Stato SA.25338 (2014/C) (ex E 3/2008 ed ex CP 115/2004) al quale i Paesi Bassi hanno dato esecuzione – Esenzione dall’imposta sulle società per le imprese pubbliche (GU 2016, L 113, pag. 148), è necessario constatare che dal dispositivo della decisione citata non risulta che la Commissione abbia concesso un periodo transitorio al Regno dei Paesi Bassi. Al contrario, l’articolo 2 della medesima decisione prevede che «[i] Paesi Bassi sopprimono l’esenzione dall’imposta sulle società per i porti marittimi di cui all’articolo 1 entro due mesi dalla data della notifica della presente decisione e il regime dell’imposta sulle società così modificato si applica al più tardi a decorrere dall’esercizio fiscale successivo all’adozione della presente decisione». Gli obblighi imposti al Regno dei Paesi Bassi in forza della suddetta decisione sono quindi simili a quelli che sono stati imposti al Regno del Belgio in forza dell’articolo 2 della decisione impugnata nel caso di specie (v. punto 22 supra), senza che possa essere constatata al riguardo una disparità di trattamento.

222    Inoltre, nella misura in cui le ricorrenti sembrano altresì sostenere che la Commissione avrebbe dovuto attendere di aver chiuso le sue indagini relative alla tassazione dei porti in tutti gli Stati membri dell’Unione, al fine di non creare ulteriori distorsioni della concorrenza, occorre constatare che un argomento simile è stato esaminato e respinto dal Tribunale nella sentenza del 31 maggio 2018, Groningen Seaports e a./Commissione (T‑160/16, non pubblicata, EU:T:2018:317).

223    Nella sentenza succitata, pronunciata a seguito di un ricorso proposto da alcuni porti olandesi contro la decisione 2016/634 (v. punto 221 supra), il Tribunale ha respinto l’argomento dei ricorrenti, relativo alla violazione del principio di parità di trattamento, ricordando anzitutto che, secondo una giurisprudenza costante, il rispetto del principio della parità di trattamento doveva conciliarsi con il principio di legalità, il che implicava che nessuno poteva invocare a proprio vantaggio un illecito commesso a favore di altri (v. sentenza del 31 maggio 2018, Groningen Seaports e a./Commissione, T‑160/16, non pubblicata, EU:T:2018:317, punto 116 e giurisprudenza ivi citata).

224    Pertanto, le ricorrenti, per ottenere l’annullamento della decisione impugnata, non possono far leva sul fatto che la Commissione non avrebbe richiesto, nello stesso momento, agli altri Stati membri di abolire gli aiuti concessi ai loro porti (v., in tal senso, sentenza del 31 maggio 2018, Groningen Seaports e a./Commissione, T‑160/16, non pubblicata, EU:T:2018:317, punto 117).

225    In ogni caso, occorre rilevare che, per costante giurisprudenza, il rispetto del principio della parità di trattamento o di non discriminazione richiede che situazioni analoghe non siano trattate in maniera differente e che situazioni diverse non siano trattate in maniera identica, a meno che un simile trattamento non sia oggettivamente giustificato. Per giurisprudenza parimenti costante, la violazione del principio della parità di trattamento per effetto di un trattamento differenziato presuppone che le situazioni considerate siano comparabili alla luce di tutti gli elementi che le caratterizzano (v. sentenza del 31 maggio 2018, Groningen Seaports e a./Commissione, T‑160/16, non pubblicata, EU:T:2018:317, punto 119 e giurisprudenza ivi citata).

226    Orbene, nella fattispecie, esistono differenze relative, da un lato, alla fase di avanzamento dei vari procedimenti concernenti i regimi tributari degli Stati membri e, dall’altro, alle legislazioni tributarie applicabili ai porti dei diversi Stati membri. Simili differenze possono costituire ragioni oggettive che giustificano il fatto che la Commissione abbia adottato la decisione impugnata e disposto che l’esenzione di cui beneficiavano i porti belgi nel caso di specie fosse abolita prima di aver chiuso le sue indagini relative alla tassazione dei porti in tutti gli Stati membri dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 31 maggio 2018, Groningen Seaports e a./Commissione, T‑160/16, non pubblicata, EU:T:2018:317, punti da 120 a 130).

227    Inoltre, accedere all’argomento delle ricorrenti significherebbe che la Commissione debba attendere di terminare tutte le sue indagini nei confronti di tutti gli Stati membri che concedono aiuti ai loro porti per adottare le sue decisioni finali e disporre la soppressione di detti aiuti, a scapito degli Stati membri che non concedono aiuti ai loro porti (v., in tal senso, sentenza del 31 maggio 2018, Groningen Seaports e a./Commissione, T‑160/16, non pubblicata, EU:T:2018:317, punto 132).

228    Infine, occorre constatare che gli argomenti del Regno del Belgio a sostegno delle ricorrenti devono essere intesi nello stesso senso di quelli menzionati ai punti da 219 a 227 supra. Supponendo, tuttavia, che gli argomenti presentati dal Regno del Belgio possano essere intesi nel senso che vertono sulla violazione dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, per quanto riguarda le nozioni di distorsione della concorrenza e di incidenza sugli scambi tra Stati membri, a causa dell’assenza di eque condizioni di concorrenza nell’Unione, si deve osservare, come fatto dalla Commissione, che un simile motivo di ricorso non è stato sollevato dalle ricorrenti e costituisce, pertanto, un motivo nuovo, irricevibile. È infatti opportuno ricordare che, sebbene l’articolo 40, quarto comma, dello Statuto della Corte, applicabile al procedimento dinanzi al Tribunale a norma dell’articolo 53, primo comma, del medesimo Statuto, e l’articolo 142, paragrafo 3, del regolamento di procedura non ostino a che un interveniente presenti argomenti nuovi o diversi da quelli della parte sostenuta ‑ pena vedere il suo intervento limitato a ripetere gli argomenti prospettati nel ricorso ‑ non si può tuttavia ammettere che le succitate disposizioni gli consentano di modificare o di alterare l’ambito della controversia definito dal ricorso adducendo nuovi motivi (v. sentenza del 12 dicembre 2006, SELEX Sistemi Integrati/Commissione, T‑155/04, EU:T:2006:387, punto 42 e giurisprudenza ivi citata).

229    Pertanto, anche il quarto motivo di ricorso deve essere respinto, così come il ricorso nella sua integralità.

 Sulle spese

230    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

231    Inoltre, ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, gli Stati membri intervenuti nella causa sopportano le proprie spese.

232    Le ricorrenti, rimaste soccombenti, devono essere condannate alle spese, conformemente alla domanda della Commissione, ad eccezione di quelle sostenute dal Regno del Belgio, il quale sopporterà le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Sesta Sezione ampliata),

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Havenbedrijf Antwerpen NV e la Maatschappij van de Brugse Zeehaven NV sopportano, oltre alle proprie spese, le spese sostenute dalla Commissione europea.

3)      Il Regno del Belgio sopporta le proprie spese.

Berardis

Labucka

Spielmann

Csehi

 

      Spineanu‑Matei

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 20 settembre 2019.

Firme


Indice



*      Lingua processuale: il neerlandese.