Language of document : ECLI:EU:T:2022:696

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Ottava Sezione)

9 novembre 2022 (*)

«Diritto delle istituzioni – Iniziativa dei cittadini europei – “Minority SafePack – one million signatures for diversity in Europe” – Comunicazione della Commissione recante le ragioni per non adottare le proposte di atti giuridici contenute nell’iniziativa dei cittadini europei – Obbligo di motivazione – Parità di trattamento – Principio di buona amministrazione – Errore manifesto di valutazione»

Nella causa T‑158/21,

Citizens’ Committee of the European Citizens’ Initiative «Minority SafePack – one million signatures for diversity in Europe», rappresentato da T. Hieber, avvocato,

ricorrente,

sostenuto da

Ungheria, rappresentata da M. Fehér e K. Szíjjártó, in qualità di agenti,

interveniente,

contro

Commissione europea, rappresentata da I. Martínez del Peral, I. Rubene, E. Stamate e D. Drambozova, in qualità di agenti,

convenuta,

sostenuta da

Repubblica ellenica, rappresentata da T. Papadopoulou, in qualità di agente,

e da

Repubblica slovacca, rappresentata da E. Drugda, in qualità di agente,

intervenienti,

IL TRIBUNALE (Ottava Sezione),

composto da J. Svenningsen, presidente, C. Mac Eochaidh (relatore) e J. Laitenberger, giudici,

cancelliere: E. Coulon

vista la fase scritta del procedimento,

visto che le parti non hanno presentato, nel termine di tre settimane dalla notifica della chiusura della fase scritta del procedimento, domanda di fissazione di un’udienza, e avendo deciso, ai sensi dell’articolo 106, paragrafo 3, del regolamento di procedura del Tribunale, di statuire senza fase orale,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con il suo ricorso fondato sull’articolo 263 TFUE, il Citizens’ Committee of the European Citizens’ Initiative «Minority SafePack – one million signatures for diversity in Europe», ricorrente, chiede l’annullamento della comunicazione C(2021) 171 final della Commissione, del 14 gennaio 2021, sulla proposta di iniziativa dei cittadini europei intitolata «Minority SafePack – un milione di firme per la diversità in Europa (“Minority SafePack – one million signatures for diversity in Europe”)» (in prosieguo: la «comunicazione impugnata»).

 Fatti

2        Il ricorrente ha presentato alla Commissione europea una domanda di registrazione della proposta di iniziativa dei cittadini europei intitolata «Minority SafePack – un milione di firme per la diversità in Europa» (in prosieguo: la «proposta di ICE»), ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 4, TUE e del regolamento (UE) n. 211/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, riguardante l’iniziativa dei cittadini (GU 2011, L 65, pag. 1).

3        L’oggetto della proposta di ICE consisteva nell’invitare l’Unione europea ad adottare una serie di atti al fine di migliorare la protezione delle persone appartenenti a minoranze nazionali e linguistiche nonché a rafforzare la diversità culturale e linguistica nell’Unione.

4        Il 29 marzo 2017 la Commissione ha adottato la decisione (UE) 2017/652, sulla proposta di ICE (GU 2017, L 92, pag. 100). All’articolo 1, paragrafo 1, di detta decisione, essa ha dichiarato la registrazione della proposta di ICE e, al paragrafo 2, ha elencato le nove proposte per le quali potevano essere raccolte dichiarazioni di sostegno, ossia:

–        una raccomandazione del Consiglio dell’Unione europea «sulla protezione e sulla promozione della diversità culturale e linguistica nell’Unione» (proposta 1);

–        una decisione o un regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio al fine di adeguare «i programmi di finanziamento rendendoli accessibili per le piccole comunità linguistiche regionali e minoritarie» (proposta 2);

–        una decisione o un regolamento del Parlamento e del Consiglio con l’obiettivo di creare un centro per la diversità linguistica che rafforzerà la consapevolezza dell’importanza delle lingue regionali e minoritarie e promuoverà la diversità a tutti i livelli, finanziato principalmente dall’Unione europea (proposta 3);

–        un regolamento che modifica le disposizioni generali applicabili ai compiti, agli obiettivi prioritari e all’organizzazione dei Fondi strutturali, in modo da tener conto della protezione delle minoranze e della promozione della diversità culturale e linguistica, a condizione che le azioni da finanziare portino al rafforzamento della coesione economica, sociale e territoriale dell’Unione (proposta 4);

–        un regolamento del Parlamento e del Consiglio al fine di modificare il regolamento relativo al programma «Orizzonte 2020» ai fini del miglioramento della ricerca sul valore aggiunto che le minoranze nazionali e la diversità culturale e linguistica possono apportare allo sviluppo sociale ed economico delle regioni dell’UE (proposta 5);

–        una modifica della legislazione dell'UE al fine di garantire la quasi parità di trattamento tra gli apolidi e i cittadini dell'Unione (proposta 6);

–        un regolamento del Parlamento e del Consiglio avente la finalità di introdurre un diritto d’autore unitario in modo che tutta l’UE possa essere considerata un mercato interno nel settore dei diritti d’autore (proposta 7);

–        una modifica della direttiva 2010/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 marzo 2010, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi (direttiva sui servizi di media audiovisivi) (GU 2010, L 95, pag. 1) al fine di garantire la libera prestazione dei servizi e la ricezione di contenuti audiovisivi in regioni in cui risiedono le minoranze nazionali (proposta 8);

–        un regolamento o una decisione del Consiglio avente la finalità di concedere un’esenzione per categoria dalla procedura di cui all’articolo 108, paragrafo 2, del TFUE, per i progetti che promuovono le minoranze nazionali e la loro cultura (proposta 9).

5        Il 1º gennaio 2020, il regolamento n. 211/2011 è stato abrogato e sostituito dal regolamento (UE) 2019/788 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, riguardante l’iniziativa dei cittadini europei (GU 2019, L 130, pag. 55, rettifiche in GU 2019, L 334, pag. 168, GU 2020, L 424, pag. 60 e GU 2021, L 48, pag. 5), come modificato dal regolamento delegato (UE) 2019/1673 della Commissione, del 23 luglio 2019, che sostituisce l’allegato I del regolamento 2019/788 (GU 2019, L 257, pag. 1).

6        Il 10 gennaio 2020, avendo raccolto entro il termine impartito più di 1 300 000 dichiarazioni di sostegno, di cui, secondo la comunicazione impugnata, 1 128 422 dichiarazioni convalidate dalle autorità competenti di undici Stati membri, il ricorrente ha presentato alla Commissione l’ICE intitolata «Minority SafePack – un milione di firme per la diversità in Europa» (in prosieguo: l’«ICE»).

7        Il 5 febbraio 2020, nel corso di una riunione con la Commissione ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 1, del regolamento 2019/788, il ricorrente ha presentato oralmente le proposte dell’ICE e ha trasmesso un documento esplicativo delle relative proposte legislative.

8        Il 15 ottobre 2020 si è svolta l’audizione pubblica dinanzi al Parlamento, ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 2, del regolamento 2019/788. Quest’ultima, inizialmente prevista per il 23 marzo 2020, era stata rinviata a causa della pandemia di COVID-19. Il ricorrente ha partecipato a detta audizione in videoconferenza.

9        Il 17 dicembre 2020, dopo un dibattito in sessione plenaria avvenuto il 14 dicembre 2020, il Parlamento ha adottato la risoluzione (2020) 2846(RSP), P9_TA-PROV(2020)0370, relativa all’ICE. Al punto 20 della risoluzione, il Parlamento ha invitato la Commissione a dare seguito a detta iniziativa presentando proposte di testi legislativi basati sui Trattati e sul regolamento 2019/788, nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, ha sottolineato che l’ICE reclamava proposte legislative in nove settori distinti e ha ricordato che quest’ultima richiedeva la verifica e la valutazione individuale di ciascuna proposta.

10      Il 14 gennaio 2021 la Commissione ha adottato la comunicazione impugnata con la quale ha preso posizione sulla risoluzione del Parlamento e ha risposto alle nove proposte dell’ICE. Al termine di una valutazione di tali proposte, essa ha informato il ricorrente dei motivi del suo rifiuto di realizzare le azioni richieste nell’ICE.

 Conclusioni delle parti

11      Il ricorrente, sostenuto dall’Ungheria, chiede che il Tribunale voglia:

–        in via principale, annullare integralmente la comunicazione impugnata;

–        in subordine, annullare parzialmente la comunicazione impugnata qualora sussistessero le condizioni dell’annullamento parziale;

–        condannare la Commissione alle spese.

12      La Commissione, sostenuta dalla Repubblica ellenica e dalla Repubblica slovacca, chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare il ricorrente alle spese.

13      La Repubblica slovacca ha altresì chiesto che il Tribunale voglia condannare il ricorrente alle spese.

 In diritto

14      A sostegno del proprio ricorso, il ricorrente deduce tre motivi. Il primo motivo verte sulla violazione dell’obbligo di motivazione, il secondo su un errore di diritto e su vari errori manifesti di valutazione, e il terzo, sollevato in fase di replica, su una violazione del principio della parità di trattamento.

 Sul primo motivo di ricorso, relativo alla violazione dellobbligo di motivazione

15      A sostegno del primo motivo, il ricorrente, sostenuto dall’Ungheria, afferma, in sostanza, che, la Commissione ha violato l’obbligo di motivazione nell’adottare la comunicazione impugnata. Da un lato, la Commissione non avrebbe tenuto conto delle spiegazioni orali e scritte da esso formulate, sia nei documenti scritti trasmessi alla Commissione, sia durante la riunione con la Commissione, nonché durante l’audizione dinanzi al Parlamento. Dall’altro, taluni motivi della comunicazione impugnata si limiterebbero a semplici rinvii ad altri atti dell’Unione. Pertanto, la motivazione adottata nella comunicazione impugnata sarebbe insufficiente, ad eccezione di quella relativa alla proposta 5.

16      La Commissione, sostenuta dalla Repubblica ellenica e dalla Repubblica slovacca, contesta tale argomentazione.

17      A tale riguardo, secondo una costante giurisprudenza, l’obbligo di motivare una decisione individuale, sancito dall’articolo 296 TFUE, mira a fornire all’interessato indicazioni sufficienti per stabilire se la decisione sia fondata oppure sia, eventualmente, inficiata da un vizio che consente di contestarne la validità, nonché a permettere al giudice dell’Unione di esercitare il proprio controllo in merito alla legittimità della decisione in esame (v. sentenza del 23 aprile 2018, One of Us e a./Commissione, T‑561/14, EU:T:2018:210, punto 142 e giurisprudenza ivi citata).

18      L’obbligo per la Commissione di esporre, nella comunicazione adottata ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento 2019/788, le proprie conclusioni, sia giuridiche che politiche, in merito all’ICE in questione, l’eventuale azione che essa intende intraprendere a seguito di tale ICE, nonché i motivi che essa ha per intraprendere o non intraprendere tale azione costituisce l’espressione specifica dell’obbligo di motivazione imposto nell’ambito di detta disposizione (v., in tal senso e per analogia, sentenze del 19 dicembre 2019 Puppinck e a./Commissione, C‑418/18 P, EU:C:2019:1113, punto 91, e del 23 aprile 2018, One of Us e a./Commissione, T‑561/14, EU:T:2018:210, punto 143).

19      Secondo una giurisprudenza altrettanto costante, la motivazione richiesta dall’articolo 296 TFUE deve essere adeguata alla natura dell’atto di cui trattasi e deve fare apparire in forma chiara, comprensibile e non equivoca l’iter logico seguito dall’istituzione autrice dell’atto, in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e al giudice competente di esercitare il suo controllo. L’obbligo di motivazione deve essere valutato in funzione delle circostanze del caso, in particolare del contenuto dell’atto, della natura dei motivi esposti e dell’interesse che i destinatari dell’atto o altre persone da questo interessate direttamente e individualmente possano avere a ricevere spiegazioni. La motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto rilevanti, in quanto l’accertamento del fatto che la motivazione di un atto soddisfi o meno le condizioni di cui all’articolo 296 TFUE va effettuato non solo alla luce del suo tenore, ma anche del suo contesto e del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia di cui trattasi (v., in tal senso, sentenze del 19 dicembre 2019 Puppinck e a./Commissione, C‑418/18 P, EU:C:2019:1113, punti 92 e 94 e giurisprudenza ivi citata, e del 23 aprile 2018, One of Us e a./Commissione, T‑561/14, EU:T:2018:210, punto 144 e giurisprudenza ivi citata).

20      Occorre osservare, inoltre, che il rispetto dell’obbligo di motivazione e degli altri vincoli formali e procedurali a cui è subordinata l’adozione dell’atto in questione riveste un’importanza ancor più fondamentale nel caso in cui le istituzioni dell’Unione dispongano di un ampio potere discrezionale. Solo così il giudice dell’Unione può verificare se ricorrano gli elementi di fatto e di diritto da cui dipende l’esercizio del potere discrezionale (v. sentenza del 23 aprile 2018, One of Us e a./Commissione, T‑561/14, EU:T:2018:210, punto 145 e giurisprudenza ivi citata).

21      Su quest’ultimo aspetto, è già stato dichiarato che, nell’ambito dell’esercizio del suo potere d’iniziativa legislativa, la Commissione deve godere di un ampio potere discrezionale, nei limiti in cui, mediante tale esercizio, essa è chiamata, ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1, TUE, a promuovere l’interesse generale dell’Unione effettuando, eventualmente, difficili conciliazioni tra interessi confliggenti. Ne consegue che la Commissione deve godere di un ampio potere discrezionale per decidere se agire o meno a seguito di un’ICE, cosicché la comunicazione in questione è soggetta a un controllo limitato da parte dei giudici dell’Unione inteso a verificare, segnatamente, il carattere sufficiente della motivazione (v., in tal senso, sentenze del 19 dicembre 2019 Puppinck e a./Commissione, C‑418/18 P, EU:C:2019:1113, punti 88, 89 e 96, e del 23 aprile 2018, One of Us e a./Commissione, T‑561/14, EU:T:2018:210, punti 169 e 170).

22      Nel caso di specie, la comunicazione impugnata è stata adottata a seguito dell’ICE, la quale, come addotto dal ricorrente, aveva l’obiettivo di mobilitare l’Unione per migliorare la protezione delle persone appartenenti a minoranze nazionali e linguistiche nonché rafforzare la diversità culturale e linguistica nell’Unione. A tal fine l’ICE conteneva nove proposte volte ad adottare nuovi atti o a modificare atti esistenti del diritto dell’Unione. Mediante la comunicazione impugnata, la Commissione, in sostanza, ha rifiutato di realizzare le azioni richieste nell’ICE.

23      A tale riguardo, dalla comunicazione impugnata emerge che la Commissione, conformemente all’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento 2019/788, ha esposto le sue conclusioni di natura giuridica e politica che l’hanno indotta a ritenere che non occorresse intraprendere azioni a seguito dell’ICE. Più precisamente, al termine di un’analisi in particolare del quadro giuridico che delimita i suoi poteri di azione nonché quelli dell’Unione in materia, la Commissione ha concluso che era «[possibile] dare seguito [alle domande] in una serie di settori». Tuttavia, tenendo conto delle azioni già intraprese dalle istituzioni dell’Unione nei settori coperti dall’ICE e del suo monitoraggio dell’attuazione di dette azioni, la Commissione ha ritenuto che, in tale fase, «non [fosse] necessaria alcuna iniziativa legislativa aggiuntiva» per raggiungere gli obiettivi perseguiti dall’ICE. In tal modo, la Commissione ha esposto, in maniera comprensibile e sufficiente, la natura giuridica e politica dei motivi del suo rifiuto di intraprendere le azioni previste dall’ICE.

24      I motivi della comunicazione impugnata, inoltre, si aggiungono agli elementi riportati in particolare nella decisione 2017/652 e fanno altresì seguito agli scambi intervenuti tra il ricorrente e la Commissione il 5 febbraio 2020. La motivazione della comunicazione impugnata è quindi rafforzata dal contesto, ben noto al ricorrente, in cui essa si inscriveva.

25      La Commissione ha quindi esposto le principali ragioni che l’hanno indotta, tenuto conto del suo ampio potere discrezionale, a rifiutare di intraprendere ciascuna delle azioni proposte dall’ICE.

26      Tale conclusione non è inficiata dal fatto che, nella comunicazione impugnata, la Commissione non avrebbe preso espressamente posizione su ciascuna delle spiegazioni scritte e orali formulate dal ricorrente in merito all’insieme delle proposte. Come ricordato al precedente punto 19, infatti, la giurisprudenza non richiede che la motivazione specifichi tutti gli elementi di fatto e di diritto rilevanti, e non si può quindi esigere che la Commissione prenda posizione su ciascuna delle spiegazioni scritte e orali formulate in merito all’insieme delle proposte contenute in un’ICE. Del resto, come indicato al precedente punto 25, la Commissione ha esposto i principali motivi, sia politici che giuridici, che l’hanno indotta a rifiutare di intraprendere le azioni proposte dall’ICE.

27      Analogamente, devono essere respinti gli argomenti del ricorrente secondo cui la Commissione ha ripetutamente violato l’obbligo di motivazione per essersi limitata ad un mero rinvio ad altri atti dell’Unione senza spiegare la rilevanza di tali atti per l’ICE. Contrariamente a quanto afferma il ricorrente, infatti, la Commissione non si limita a rinviare, senza spiegazioni, ad altri atti dell’Unione, ma precisa, al contrario, che tali atti affrontano talune questioni menzionate nell’ICE.

28      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, il Tribunale considera che la motivazione adottata nella comunicazione impugnata consente al ricorrente di determinare se il rifiuto della Commissione di presentare le proposte contenute nell’ICE sia fondato o sia affetto da vizi. D’altro canto, tale motivazione consente altresì al giudice dell’Unione di esercitare il proprio controllo sulla legittimità della comunicazione impugnata. Si deve pertanto concludere che la comunicazione impugnata è motivata in modo giuridicamente sufficiente.

29      Tale conclusione lascia impregiudicati eventuali errori di diritto o di valutazione che la Commissione potrebbe aver commesso. Infatti, l’obbligo di motivazione in quanto formalità sostanziale, che può essere sollevato nell’ambito di un motivo che mette in discussione l’insufficienza o addirittura il difetto di motivazione di una decisione, deve essere distinto dal controllo della fondatezza dei motivi, il quale rientra nell’ambito del controllo di legittimità nel merito dell’atto e presuppone che il giudice verifichi se i motivi su cui l’atto è basato siano o meno inficiati da errore. Infatti, si tratta di due controlli di natura diversa che determinano valutazioni distinte da parte del Tribunale (v. sentenza del 23 aprile 2018, One of Us e a./Commissione, T‑561/14, EU:T:2018:210, punto 146 e giurisprudenza ivi citata). La fondatezza della motivazione adottata per le proposte 1, 3, 6 e 8, le sole considerate dal ricorrente nell’ambito del secondo motivo di ricorso, sarà quindi esaminata ai seguenti punti da 42 a 146.

30      Di conseguenza, il primo motivo deve essere respinto in quanto infondato.

31      Per le stesse ragioni, la censura dedotta dall’Ungheria, vertente sulla violazione del principio di buona amministrazione in quanto la Commissione non avrebbe risposto espressamente a ciascun elemento dedotto dal ricorrente, deve essere anch’essa respinta.

 Sul terzo motivo di ricorso, relativo alla violazione del principio della parità di trattamento

32      Nell’ambito del terzo motivo, sollevato per la prima volta nella replica, il ricorrente addebita, in sostanza, alla Commissione di aver violato il principio della parità di trattamento, in quanto tale istituzione non gli avrebbe offerto le stesse possibilità di discutere dell’ICE e di convincerla delle sue preoccupazioni di quelle di cui avrebbero beneficiato gli organizzatori dell’ICE «End the Cage Age», per la quale la Commissione ha annunciato la sua intenzione di presentare una proposta legislativa. In tal modo, il ricorrente sarebbe stato svantaggiato rispetto agli organizzatori dell’ICE «End the Cage Age».

33      Se si esclude la riunione del 5 febbraio 2020 ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 1, del regolamento 2019/788, la Commissione non avrebbe mai organizzato né proposto riunioni supplementari con il ricorrente al fine di discutere gli obiettivi perseguiti dall’ICE. Orbene, da vari documenti comunicati al ricorrente a seguito di una domanda di accesso ai verbali di tutte le riunioni tenutesi tra la Commissione e gli organizzatori di tre ICE, fra cui, in particolare, l’ICE «End the Cage Age», presentata ai sensi del regolamento (CE) n. 1049/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2001, relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione (GU 2001, L 145, pag. 43), dopo il deposito del presente ricorso, risulterebbe che, nell’ambito dell’ICE «End the Cage Age», la Commissione avrebbe incontrato gli organizzatori di detta iniziativa, o avrebbe avuto con essi scambi di opinioni per telefono, in almeno quattro occasioni oltre alla riunione prevista dall’articolo 15, paragrafo 1, del regolamento 2019/788. Tre di tali scambi supplementari avrebbero avuto luogo prima della presentazione dell’ICE «End the Cage Age».

34      Inoltre, dopo la chiusura della fase scritta del procedimento, il ricorrente ha depositato presso la cancelleria del Tribunale una «memoria integrativa», accompagnata da quattro allegati. In tale «memoria integrativa», esso afferma, in particolare, che dalla risposta della Commissione a una nuova domanda di accesso a documenti, presentata il 4 ottobre 2021, risulta che taluni rappresentanti di gabinetti di membri della Commissione hanno tenuto due riunioni in videoconferenza con alcuni rappresentanti degli organizzatori dell’ICE «End the Cage Age» oltre alle riunioni menzionate al precedente punto 33, prima dell’audizione pubblica. Orbene, tutte le ICE dovrebbero beneficiare delle stesse possibilità di essere portate all’attenzione della Commissione, in quanto l’articolo 9 TUE mira a garantire condizioni di concorrenza eque per ognuna di queste ultime. Nelle sue osservazioni su tale «memoria integrativa», l’Ungheria sostiene l’argomentazione del ricorrente e aggiunge che l’approccio della Commissione non ha violato soltanto il principio della parità di trattamento, ma anche il principio di un’amministrazione diligente e imparziale.

35      La Commissione contesta tale argomentazione, sostenendo che il presente motivo è infondato e che la «memoria integrativa» e i suoi allegati sono irricevibili.

36      Nel caso di specie, senza che sia necessario interrogarsi sulla ricevibilità del terzo motivo alla luce dell’articolo 84 del regolamento di procedura del Tribunale, e delle prove prodotte dopo la chiusura della fase scritta del procedimento alla luce dell’articolo 85, paragrafo 3, del medesimo regolamento, occorre rilevare che le circostanze invocate dal ricorrente non sono idonee a dimostrare una violazione del principio della parità di trattamento.

37      Da un lato, il ricorrente non afferma che la Commissione non ha pienamente rispettato, nel corso del procedimento sfociato nell’adozione della comunicazione impugnata, i suoi obblighi derivanti dagli articoli 14 e 15 del regolamento n. 2019/788.

38      Dall’altro lato, oltre al fatto che si tratta di due ICE registrate che hanno raggiunto la soglia di sostegno richiesta, il ricorrente non ha affatto spiegato in che modo l’ICE sarebbe paragonabile all’ICE «End the Cage Age», in particolare per quanto riguarda i loro rispettivi obiettivi e le difficoltà politiche o giuridiche che esse presentano.

39      Orbene, fatto salvo il rispetto delle prescrizioni derivanti dagli articoli 14 e 15 del regolamento 2019/788, il numero di riunioni che la Commissione organizza con gli organizzatori di un’ICE può variare, a seconda in particolare della natura o della complessità dell’ICE, cosicché la Commissione non è tenuta ad organizzare un numero identico di riunioni con gli organizzatori di ciascuna ICE. Come ricorda il considerando 28 del regolamento 2019/788, inoltre, la Commissione è tenuta ad esaminare le ICE conformemente al principio della buona amministrazione, quale sancito dall’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

40      Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve concludere che la Commissione, nell’ambito del suo esame dell’ICE sfociato nella comunicazione impugnata, ha potuto ritenersi sufficientemente edotta dalle informazioni scritte e orali di cui disponeva e dichiarare che non erano necessarie riunioni supplementari, senza con ciò violare il principio della parità di trattamento.

41      Per le stesse ragioni, la censura dedotta dall’Ungheria, vertente sulla violazione del principio di buona amministrazione in quanto la Commissione avrebbe prestato maggiore attenzione all’ICE «End the Cage Age» che all’ICE, deve essere parimenti respinta.

 Sul secondo motivo di ricorso, vertente su un errore di diritto e su vari errori manifesti di valutazione

 Sulla prima parte del secondo motivo, vertente su un errore di diritto e su vari errori manifesti di valutazione della Commissione per quanto riguarda la proposta 1

42      In via preliminare, il Tribunale ricorda che la proposta 1 ha come obiettivo l’adozione di una raccomandazione del Consiglio che definisca le modalità per proteggere e promuovere la diversità culturale e linguistica, in particolare al fine di proteggere l’uso delle lingue regionali e minoritarie nei settori della pubblica amministrazione, dei servizi pubblici, dell’istruzione, della cultura, della magistratura, dei mezzi di comunicazione, della sanità, del commercio e della tutela dei consumatori (inclusa l’etichettatura).

43      Tuttavia, nella proposta di ICE, il ricorrente fa unicamente riferimento all’articolo 165, paragrafo 4, secondo trattino, e all’articolo 167, paragrafo 5, secondo trattino, TFUE quali basi giuridiche della raccomandazione prevista dalla proposta 1 [punto a) del considerando 4 della decisione 2017/652]. Orbene, è evidente che tali fondamenti giuridici menzionano solo i settori dell’educazione e della cultura.

44      Peraltro, dal combinato disposto dell’articolo 2, paragrafo 5, dell’articolo 6, lettere c) ed e), dell’articolo 165, paragrafo 1, e dell’articolo 167, paragrafo 2, TFUE, risulta che gli Stati membri dispongono di un’ampia competenza nel settore della cultura e dell’istruzione [v., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2020, Commissione/Ungheria (Insegnamento superiore), C‑66/18, EU:C:2020:792, punto 74], avendo l’Unione in tale materia soltanto una competenza «per svolgere azioni intese a sostenere, coordinare o completare l’azione degli Stati membri», senza tuttavia che tale competenza dell’Unione sostituisca quella degli Stati membri.

45      Di conseguenza, è alla luce dell’obiettivo perseguito dalla proposta 1 e delle basi giuridiche indicate dal ricorrente in relazione a tale proposta che occorre valutare se, nel caso di specie, la comunicazione impugnata sia viziata da un errore di diritto e da errori manifesti di valutazione.

–       Sulla prima censura, relativa ad un errore di diritto

46      Con la prima censura, il ricorrente, sostenuto dall’Ungheria, contesta, in sostanza, alla Commissione di essere incorsa in un errore di diritto nel ritenere che l’Unione non fosse competente ad adottare raccomandazioni relative alla promozione e alla protezione delle lingue regionali o minoritarie.

47      La Commissione, sostenuta dalla Repubblica ellenica e dalla Repubblica slovacca, contesta tale argomentazione.

48      A tale riguardo, occorre constatare che, nell’ambito della valutazione della proposta 1, la Commissione ha indicato che l’Unione non disponeva di una «competenza legislativa» nel caso di specie, e non che essa non disponeva di alcuna competenza in tale settore. Se è vero che tale motivo non consente di giustificare il rifiuto di adottare una proposta di raccomandazione del Consiglio, che non è un atto legislativo, occorre tuttavia rilevare che ciò è privo di incidenza sulla fondatezza della comunicazione impugnata per quanto riguarda la proposta 1, dal momento che, come risulta dal punto 3.1 della comunicazione impugnata, il rifiuto della Commissione di proporre l’adozione di una raccomandazione al Consiglio deriva dalla constatazione che l’obiettivo perseguito da detta proposta può essere conseguito mediante altri strumenti esistenti ed iniziative in corso. Tale constatazione, che, secondo il ricorrente, è viziata da vari errori manifesti di valutazione, sarà esaminata nell’ambito della seconda censura, ai seguenti punti da 50 a 89.

49      Di conseguenza, la prima censura deve essere respinta in quanto inoperante.

–       Sulla seconda censura, relativa a vari errori manifesti di valutazione

50      Con una seconda censura, il ricorrente, sostenuto dall’Ungheria, addebita, in sostanza, alla Commissione di essere incorsa in vari errori manifesti di valutazione rifiutando di dare seguito alla proposta 1.

51      La Commissione, sostenuta dalla Repubblica ellenica e dalla Repubblica slovacca, contesta tale argomentazione.

52      A tale riguardo, quando le istituzioni dell’Unione dispongono, come la Commissione nella presente fattispecie, di un ampio potere discrezionale, e quando, in particolare, esse sono chiamate ad operare delle scelte di natura, segnatamente, politica e valutazioni complesse, il controllo giurisdizionale, per sua natura limitato, delle valutazioni sottese all’esercizio di tale potere deve consistere nel verificare l’assenza di errori manifesti (v., in tal senso, sentenze del 19 dicembre 2019 Puppinck e a./Commissione, C‑418/18 P, EU:C:2019:1113, punti 95 e 96, e del 23 aprile 2018, One of Us e a./Commissione, T‑561/14, EU:T:2018:210, punti 169 e 170, e giurisprudenza ivi citata).

53      Peraltro, un errore può essere qualificato come manifesto solo qualora possa essere individuato in modo evidente. Dimostrare che la Commissione ha commesso un errore manifesto nella valutazione dei fatti tale da giustificare l’annullamento della comunicazione impugnata presuppone quindi che gli elementi di prova, che spetta alla parte ricorrente fornire, siano sufficienti per privare di plausibilità le valutazioni operate dalla Commissione. In altri termini, il motivo vertente sull’errore manifesto di valutazione deve essere respinto se, malgrado gli elementi addotti dalla parte ricorrente, la valutazione contestata può sempre essere ammessa come giustificata e coerente [v., in tal senso, sentenza del 2 aprile 2019, Fleig/SEAE, T‑492/17, EU:T:2019:211, punto 55 (non pubblicata) e giurisprudenza ivi citata].

54      In primo luogo, il ricorrente adduce, in sostanza, che l’esistenza della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie del Consiglio d’Europa del 5 novembre 1992 (Serie dei Trattati europei – n. 148; in prosieguo: la «Carta del Consiglio d’Europa») non può giustificare, come ha fatto la Commissione nella comunicazione impugnata, il rifiuto di tale istituzione di dare seguito alla proposta 1. Infatti, da un lato, l’Unione non sarebbe parte della Carta del Consiglio d’Europa. Dall’altro, diversi Stati membri dell’Unione non l’avrebbero firmata o ratificata.

55      A tale riguardo, la Commissione afferma, nella comunicazione impugnata, che l’Unione incoraggia i suoi Stati membri a firmare la Carta del Consiglio d’Europa e che essa rinvia regolarmente a quest’ultima in quanto strumento giuridico che definisce gli orientamenti relativi alla promozione e alla protezione delle lingue regionali o minoritarie.

56      Il fatto che l’Unione non sia parte della Carta del Consiglio d’Europa non dimostra che la Commissione abbia commesso un errore manifesto di valutazione, dal momento che il ricorrente non contesta che l’Unione faccia regolarmente riferimento a tale testo come lo strumento giuridico che definisce gli orientamenti per la promozione e la protezione delle lingue regionali e minoritarie. Inoltre, il fatto che taluni Stati membri non l’abbiano ancora firmata o ratificata è irrilevante ai fini della valutazione dell’azione dell’Unione in questo settore.

57      Peraltro, è irrilevante l’affermazione, dedotta dall’Ungheria, secondo cui taluni Stati membri che hanno ratificato la suddetta Carta riservano la protezione conferita da tale testo a un numero limitato di lingue, mentre la proposta 1 mira a sostenere tutte le lingue minoritarie in tutti gli Stati membri.

58      Infatti, non può essere richiesto alla Commissione, e non vi è alcuna disposizione del regolamento 2019/788 che lo preveda, di tenere conto, nel caso di specie, soltanto degli atti che riguardano l’insieme degli Stati membri e tutte le lingue regionali o minoritarie cui si riferisce la proposta 1. Un atto può dunque essere correttamente preso in considerazione dalla Commissione, anche se esso consente di raggiungere solo parzialmente gli obiettivi perseguiti dalla proposta in questione. In altri termini, poco importa che un atto, considerato isolatamente, non consenta di raggiungere pienamente l’obiettivo perseguito dalla proposta 1, se l’insieme degli atti menzionati nella comunicazione impugnata sono idonei, congiuntamente, a realizzare detto obiettivo.

59      Infine, il ricorrente afferma erroneamente che la Commissione non può rifiutarsi di realizzare un’azione rinviando ad altri strumenti di diritto internazionale e che l’Unione è tenuta ad esercitare le competenze conferitele dagli Stati membri.

60      Su tale punto, è sufficiente ricordare che risulta dal tenore letterale stesso dell’articolo 11, paragrafo 4, TUE che l’ICE mira ad «invitare» la Commissione a presentare una proposta appropriata ai fini dell’attuazione dei Trattati, e non, come sostiene il ricorrente, a obbligare tale istituzione a intraprendere l’azione o le azioni prospettate dall’ICE in questione (sentenza del 19 dicembre 2019, Puppinck e a./Commissione, C‑418/18 P, EU:C:2019:1113, punto 57). Inoltre, le spiegazioni fornite dalla Commissione nella comunicazione impugnata dimostrano l’esercizio effettivo, da parte dell’Unione, delle competenze limitate ad essa riconosciute dai Trattati. Infatti, incoraggiando gli Stati membri a sottoscrivere la Carta del Consiglio d’Europa e rinviando ad essa, l’Unione sostiene e completa l’azione degli Stati membri in tale settore.

61      In secondo luogo, il ricorrente fa valere, in sostanza, che le misure adottate dalla Commissione ai sensi dell’articolo 7 della Convenzione sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali, adottata in occasione della Conferenza generale dell’Unesco tenutasi a Parigi il 20 ottobre 2005 e approvata a nome della Comunità europea con decisione del Consiglio, del 18 maggio 2006, 2006/515/CE (GU 2006, L 201, pag. 15; in prosieguo: la «Convenzione dell’Unesco»), non possono giustificare, come ha fatto tale istituzione nella comunicazione impugnata, il diniego di dare seguito alla proposta 1. Non ci sarebbe alcun nesso tra le misure di attuazione menzionate nella comunicazione impugnata, e incentrate sull’inclusione sociale, e l’obiettivo perseguito dalla proposta 1, ossia la tutela e la promozione delle lingue regionali o minoritarie.

62      Questa tesi non può essere accolta. Come precisa la comunicazione impugnata, l’articolo 7 della Convenzione dell’Unesco intende incoraggiare gli individui, «comprese le persone appartenenti a minoranze», e i gruppi sociali, a creare, produrre, diffondere e distribuire le proprie espressioni culturali e ad accedere alle stesse. Come precisa, inoltre, anche la comunicazione impugnata, la stessa Convenzione dell’Unesco ricorda che la diversità linguistica è un elemento fondamentale della diversità culturale e ribadisce il ruolo basilare svolto dall’educazione per la protezione e la promozione delle espressioni culturali.

63      Contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, la Convenzione dell’Unesco non è quindi manifestamente priva di nesso con l’obiettivo perseguito dalla proposta 1.

64      Allo stesso modo, le misure di attuazione adottate dalla Commissione sulla base dell’articolo 7 della Convenzione dell’Unesco, ossia l’organizzazione di dialoghi con gli Stati membri e il settore culturale sul contributo della cultura all’inclusione sociale e al dialogo interculturale, non sono manifestamente prive di nesso con gli obiettivi perseguiti dalla proposta 1.

65      È vero che la proposta 1 non è incentrata sull’inclusione sociale. Ciononostante, e come sostiene la Commissione, l’organizzazione di tali dialoghi può, alla luce degli obiettivi perseguiti dalla Convenzione dell’Unesco, promuovere e proteggere le lingue regionali o minoritarie, se non altro nel settore della cultura. La circostanza che le misure di attuazione di cui trattasi favoriscano l’inclusione sociale non esclude quindi che queste stesse misure possano, contemporaneamente, partecipare alla promozione e alla protezione delle lingue regionali o minoritarie.

66      Inoltre, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente nella replica, l’adozione di tali misure di attuazione dimostra l’esercizio effettivo, da parte dell’Unione, delle competenze limitate che le sono riconosciute dai Trattati. Infatti, organizzando dialoghi con gli Stati membri e con il settore culturale in applicazione dell’articolo 7 della Convenzione dell’Unesco, l’Unione sostiene ed integra l’azione degli Stati membri in tale settore.

67      In terzo luogo, il ricorrente deduce, in sostanza, che il piano di lavoro per la cultura 2019-2022 del Consiglio e le misure concrete che dovrebbe raccomandare il gruppo di esperti «Multilinguismo e traduzione», creato nell’ambito di detto piano di lavoro, non hanno alcun nesso con l’obiettivo perseguito dalla proposta 1, in quanto non fanno alcun riferimento alle lingue regionali o minoritarie. Di conseguenza, tale piano di lavoro e tali misure concrete non possono giustificare, come ha fatto la Commissione nella comunicazione impugnata, il rifiuto, da parte di tale istituzione, di dar seguito a tale proposta.

68      Tale tesi deve essere respinta. L’allegato I delle conclusioni del Consiglio sul piano di lavoro per la cultura 2019-2022 (GU 2018, C 460, pag. 12) prevede, infatti, che il piano di lavoro per la cultura si fondi su otto principi guida. Orbene, il terzo di tali principi guida precisa espressamente che la diversità culturale e linguistica è una risorsa fondamentale dell’Unione e che la sua tutela e promozione sono centrali per la politica culturale a livello europeo (allegato I, titolo I, terzo trattino). Analogamente, il Consiglio constata, nella descrizione della terza priorità, relativa a «[u]n ecosistema che sostenga gli artisti, i professionisti creativi e della cultura e i contenuti europei», del medesimo allegato, che il settore culturale in Europa è caratterizzato, in particolare, da diversità culturale e linguistica (allegato I, titolo II, lettera C).

69      Peraltro, lo stesso allegato I prevede che i membri del gruppo di esperti «Multilinguismo e traduzione» procederanno a uno scambio di migliori pratiche per sostenere la traduzione nel settore librario ed editoriale, nonché in altri settori creativi e culturali, e raccomanderanno misure concrete nell’ambito del programma «Europa creativa» per promuovere la diversità linguistica e la diffusione delle opere (allegato I, titolo IV, lettera C).

70      Pertanto, il piano di lavoro in questione e le azioni che devono essere intraprese dal gruppo di esperti «Multilinguismo e traduzione» non sono manifestamente estranee all’obiettivo perseguito dalla proposta 1, ossia la promozione e la protezione delle lingue regionali o minoritarie, quantomeno nel settore della cultura.

71      Tale conclusione non è inficiata dal fatto che né il piano di lavoro in questione né la descrizione delle azioni del gruppo di esperti «Multilinguismo e traduzione» fanno espresso riferimento alle lingue regionali o minoritarie. A tale riguardo, è sufficiente constatare che le conclusioni del Consiglio sul piano di lavoro per la cultura 2019-2022 non contengono alcuna esclusione esplicita delle lingue regionali o minoritarie. Parimenti, da tali conclusioni del Consiglio non emerge in nessun punto che il piano di lavoro in questione e le azioni del gruppo di esperti «Multilinguismo e traduzione» siano limitati alle lingue ufficiali dell’Unione.

72      In quarto luogo, il ricorrente adduce, in sostanza, che la raccomandazione del Consiglio, del 22 maggio 2018, sulla promozione di valori comuni, di un’istruzione inclusiva e della dimensione europea dell’insegnamento (GU 2018, C 195, pag. 1), non ha alcun nesso con l’obiettivo perseguito dalla proposta 1, dal momento che essa non propone soluzioni concrete per la protezione e per la promozione della diversità culturale e linguistica. Di conseguenza, tale raccomandazione non può giustificare, come ha fatto la Commissione nella comunicazione impugnata, il rifiuto, da parte di tale istituzione, di dare seguito a tale proposta.

73      Tale tesi deve essere respinta. Risulta espressamente da tale raccomandazione, la cui concreta attuazione rientra essenzialmente nella competenza degli Stati membri, che essa intende, in particolare, promuovere i valori comuni sui quali si fonda l’Unione, e ciò fin dalla più giovane età e a tutti i livelli dell’istruzione. Orbene, il rispetto dei diritti delle minoranze previsto all’articolo 2 TUE, in combinato disposto con l’obiettivo di rispettare la ricchezza della diversità culturale e linguistica di cui all’articolo 3, paragrafo 3, quarto comma, TUE, e all’articolo 165, paragrafo 1, TFUE, figura tra tali valori dell’Unione (v., in tal senso, sentenze del 20 gennaio 2022, Romania/Commissione, C‑899/19 P, EU:C:2022:41, punto 54, e del 24 settembre 2019, Romania/Commissione, T‑391/17, EU:T:2019:672, punto 56).

74      Pertanto, la Commissione non è incorsa in alcun errore manifesto di valutazione quando ha ritenuto che la raccomandazione di cui trattasi, nella misura in cui essa intende promuovere i valori dell’Unione nel settore dell’istruzione, fosse idonea a contribuire, anche solo parzialmente, alla realizzazione dell’obiettivo perseguito dalla proposta 1.

75      In quinto luogo, il ricorrente fa valere, in sostanza, che la raccomandazione del Consiglio, del 22 maggio 2019, su un approccio globale all’insegnamento e all’apprendimento delle lingue (GU 2019, C 189, pag. 15), non ha alcun nesso con l’obiettivo perseguito dalla proposta 1, dal momento che essa pone l’accento soltanto sull’apprendimento delle lingue ufficiali dell’Unione al fine di rafforzare la competitività economica e la mobilità professionale. Di conseguenza, tale raccomandazione non può giustificare, come ha fatto la Commissione nella comunicazione impugnata, il rifiuto, da parte di tale istituzione, di dare seguito a tale proposta.

76      Tale tesi deve essere respinta. In effetti, detta raccomandazione, che ha ad oggetto il miglioramento dell’insegnamento e dell’apprendimento delle lingue, non contiene, alcuna limitazione espressa alle sole lingue ufficiali dell’Unione.

77      Parimenti, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, l’allegato alla raccomandazione di cui trattasi, relativo alla consapevolezza linguistica nelle scuole, non si limita all’apprendimento delle sole lingue ufficiali dell’Unione.

78      Tali elementi sono sufficienti per concludere che né la raccomandazione di cui trattasi, né il suo allegato si limitano all’apprendimento e all’insegnamento delle sole lingue ufficiali dell’Unione.

79      Infine, il ricorrente sostiene erroneamente che, in ogni caso, la proposta 1 non riguarda l’insegnamento e l’apprendimento delle lingue, bensì la possibilità per i locutori di utilizzare la propria lingua madre, quando quest’ultima è una lingua regionale o minoritaria, «in tutti i settori della vita».

80      Come è stato rilevato al precedente punto 43, la proposta 1 si inserisce unicamente nel settore della cultura e in quello dell’educazione. L’utilizzo delle lingue regionali o minoritarie in altri «settori della vita» sfuggiva, quindi, all’esame della Commissione. Peraltro, e in ogni caso, il ricorrente ha indicato che la raccomandazione, prevista dalla proposta 1, avrebbe dovuto, in particolare, presentare e proporre le migliori soluzioni per «arrestare l’estinzione» delle lingue regionali o minoritarie nell’Unione. Il ricorrente ha altresì precisato, nella proposta di ICE, che tale raccomandazione avrebbe dovuto prendere in considerazione il calo della diversità linguistica e dell’«apprendimento delle lingue» nell’Unione. Il ricorrente stesso ha quindi stabilito un nesso chiaro e diretto tra la proposta 1 e l’«apprendimento delle lingue».

81      Tenuto conto delle considerazioni che precedono, il ricorrente non ha dimostrato che la Commissione ha commesso un errore manifesto di valutazione quando ha ritenuto che la raccomandazione di cui trattasi, nella misura in cui essa intende promuovere l’insegnamento e l’apprendimento delle lingue, potesse contribuire alla realizzazione dell’obiettivo perseguito dalla proposta 1.

82      In sesto luogo, il ricorrente deduce, in sostanza, che le misure contenute nella comunicazione della Commissione al Parlamento e al Consiglio, intitolata «Un’Unione dell’uguaglianza: quadro strategico dell’UE per l’uguaglianza, l’inclusione e la partecipazione dei Rom» [COM(2020) 620 final] e nella proposta di raccomandazione del Consiglio sull’uguaglianza, l’inclusione e la partecipazione dei Rom [COM(2020) 621 final], non tengono conto dell’obiettivo perseguito dalla proposta 1 e hanno un ambito di applicazione ristretto, in quanto si riferiscono ad un gruppo specifico di persone, ossia i Rom. Di conseguenza, né detta comunicazione né tale proposta di raccomandazione possono giustificare, come ha fatto la Commissione nella comunicazione impugnata, il rifiuto, da parte di tale istituzione, di dare seguito a tale proposta.

83      Tale tesi deve essere respinta. Anche se la comunicazione e la proposta di raccomandazione di cui trattasi si focalizzano sui Rom, tale circostanza nulla toglie alla loro rilevanza nel caso di specie. Infatti, lo stesso ricorrente ha fatto riferimento a tale comunità di persone nella proposta di ICE, indicando, in particolare, che si trattava «[del] più grande e [del] più escluso tra i gruppi minoritari in Europa». L’ambito di applicazione personale di detta comunicazione e di tale proposta di raccomandazione coincide dunque parzialmente con quello della proposta 1. In ogni caso, non può essere richiesto alla Commissione, né vi è alcuna disposizione del regolamento 2019/788 che lo preveda, di tenere conto, in sede di esame di una ICE, soltanto degli atti dell’Unione che riguardano l’insieme delle persone interessate da tale ICE. Come indicato al precedente punto 58, poco importa che un atto, considerato isolatamente, non consenta di raggiungere pienamente l’obiettivo perseguito dalla proposta 1, se l’insieme degli atti menzionati nella comunicazione impugnata sono idonei, congiuntamente, a realizzare detto obiettivo.

84      Inoltre, il ricorrente afferma erroneamente che la comunicazione e la proposta di raccomandazione di cui trattasi non avrebbero alcun nesso con l’obiettivo perseguito dalla proposta 1. A tale riguardo, è sufficiente constatare che il ricorrente non ha affatto contestato, né nel ricorso né nella replica, l’affermazione della Commissione, contenuta nella comunicazione impugnata, secondo cui la proposta di raccomandazione di cui trattasi invita in particolare «gli Stati membri a includere la lingua romaní [...] nei programmi scolastici e nei libri di testo per studenti rom e non rom». Tale affermazione è peraltro corroborata dal punto 2, lettera g), di tale proposta di raccomandazione, che invita gli Stati membri a promuovere la sensibilizzazione alla lingua romaní, «tra l’altro impartendo una formazione specifica agli insegnanti e progettando curricoli scolastici adeguati».

85      In settimo luogo, il ricorrente sostiene, in sostanza, che l’inclusione delle questioni connesse alle minoranze nelle relazioni annuali della Commissione sull’applicazione della Carta non apporta nessun valore aggiunto rispetto alla proposta 1. L’applicabilità della Carta è infatti ridotta, dal momento che l’uso delle lingue rientra principalmente nella competenza degli Stati membri. Di conseguenza, l’inclusione delle questioni connesse alle minoranze nelle relazioni annuali sull’applicazione della Carta non possono giustificare, come ha fatto la Commissione nella comunicazione impugnata, il rifiuto, da parte di tale istituzione, di dare seguito a tale proposta.

86      Su tale punto, se è vero che l’uso delle lingue rientra in gran parte nella competenza degli Stati membri, l’Unione non è tuttavia priva di competenza al riguardo nei settori dell’istruzione e della cultura (v. precedente punto 44). Del resto, dai precedenti punti da 54 a 84 risulta che l’Unione ha precisamente esercitato la propria competenza nei settori contemplati dalla proposta 1, in particolare, come indicato ai precedenti punti da 64 a 66, quando ha approvato e attuato la Convenzione dell’Unesco. In tal modo, non si può escludere che la Carta si applichi a situazioni contemplate dalla proposta 1 e che, in caso di necessità, la Commissione faccia riferimento a dette situazioni nelle sue relazioni annuali tematiche.

87      Peraltro, occorre respingere l’argomento del ricorrente secondo cui l’inclusione della questione della promozione delle lingue regionali e minoritarie nelle relazioni annuali tematiche non consente di contribuire in modo sostanziale all’obiettivo della proposta 1. Infatti, i motivi della comunicazione impugnata che giustificano il rifiuto di dare seguito alla proposta 1 non si fondano unicamente sull’inclusione di tale questione nelle relazioni annuali tematiche. Come indica la comunicazione impugnata, ma anche il ricorrente al punto 52 della replica, la Commissione ha giustificato il suo rifiuto basandosi su «un insieme» di misure. Pertanto, come già rilevato ai precedenti punti 58 e 83, è irrilevante che le suddette relazioni annuali tematiche, considerate isolatamente, presentino, eventualmente, un valore aggiunto minore rispetto alla raccomandazione prevista nella proposta 1.

88      Tenuto conto dell’insieme delle considerazioni che precedono, il ricorrente non ha dimostrato che la Commissione è incorsa in errori manifesti di valutazione quando ha ritenuto, sulla base degli elementi di diritto e di fatto esistenti alla data di adozione della comunicazione impugnata e per i motivi esposti ai punti 2.1 e 3.1 di tale comunicazione, che non fosse necessaria alcuna iniziativa legislativa aggiuntiva per raggiungere l’obiettivo perseguito dalla proposta 1, dato che tale obiettivo poteva essere realizzato attraverso l’insieme degli atti menzionati nella comunicazione impugnata, considerati congiuntamente. La Commissione non ha dunque commesso alcun errore manifesto di valutazione quando ha rifiutato di dare seguito alla proposta 1.

89      Di conseguenza, la seconda censura deve essere respinta e, pertanto, la prima parte del secondo motivo deve essere integralmente respinta.

 Sulla seconda parte del secondo motivo, vertente su vari errori manifesti di valutazione della Commissione per quanto riguarda la proposta 3

90      Nell’ambito della seconda parte, il ricorrente, sostenuto dall’Ungheria, addebita, in sostanza, alla Commissione di essere incorsa in un errore manifesto di valutazione per aver rifiutato di dare seguito alla proposta 3, che mirava alla creazione di un centro per la diversità linguistica nel settore delle lingue regionali e minoritarie, finanziato dall’Unione, incaricato di sensibilizzare sull’importanza delle lingue regionali e minoritarie e di promuovere la diversità a tutti i livelli, e i cui compiti sarebbero consistiti nel rendere le conoscenze e le competenze accessibili all’insieme dei soggetti interessati nel settore di dette lingue e nel dare la priorità, in particolare, alle comunità più piccole e più vulnerabili d’Europa. Secondo il ricorrente, le altre misure che sono state preferite dalla Commissione nel caso di specie, in particolare, il mantenimento e lo sviluppo della sua cooperazione con il Centro europeo di lingue moderne del Consiglio d’Europa (in prosieguo: l’«ECML»), non sono idonee a conseguire gli obiettivi perseguiti da tale proposta.

91      La Commissione, sostenuta dalla Repubblica ellenica e dalla Repubblica slovacca, contesta tale argomentazione, sostenendo che la parte in esame non è fondata.

92      In via preliminare, il Tribunale ricorda che la proposta 3, così come è stata registrata, invitava la Commissione ad adottare una proposta di decisione o di regolamento del Parlamento e del Consiglio avente ad oggetto la creazione di un centro per la diversità linguistica che rafforzerebbe la consapevolezza dell’importanza delle lingue regionali e minoritarie, che promuoverebbe la diversità a tutti i livelli e che sarebbe finanziato principalmente dall’Unione.

93      Ai punti 2.3 e 3.3 della comunicazione impugnata, da un lato, la Commissione afferma che gli sforzi dell’Unione intesi a sensibilizzare sull’importanza della diversità linguistica, compreso l’apprendimento delle lingue, sono incentrati sulla stretta collaborazione con il Consiglio d’Europa, la cui azione in tale settore si basa sulla Carta del Consiglio d’Europa menzionata al precedente punto 54 e sull’ECML, che funge da centro di competenza per l’insegnamento e l’apprendimento delle lingue e sostiene l’insegnamento nella lingua madre dello studente, in particolare per quanto riguarda le lingue minoritarie. Essa spiega di sostenere l’ECML e di collaborare con esso nel quadro di accordi comuni specifici volti a migliorare la qualità, l’efficienza e l’attrattiva dell’insegnamento delle lingue, nonché a sviluppare ulteriormente la verifica e la valutazione dei risultati dell’apprendimento, stabilendo così progressivamente una base comune per i sistemi di valutazione nazionali basati sul quadro comune europeo di riferimento per le lingue (in prosieguo: il «QCER»). Dall’altro, la Commissione sottolinea che essa sostiene gli Stati membri dell’Unione nell’attuazione della raccomandazione relativa a un approccio globale all’insegnamento e all’apprendimento delle lingue, menzionata al precedente punto 75. Essa ritiene, in sostanza, che sia efficace ed essenziale mantenere e sviluppare la cooperazione attraverso l’ECML nonché fornire il suo sostegno agli Stati membri per l’attuazione di tale raccomandazione al fine di concentrare gli sforzi dell’Unione ed evitare il rischio di duplicazioni di sforzi e risorse, e che non sia necessaria alcuna iniziativa legislativa aggiuntiva.

94      In primo luogo, il ricorrente, sostenuto in sostanza dall’Ungheria, sostiene che l’ECML non è idoneo ad assolvere i compiti affidatigli e a conseguire gli obiettivi perseguiti da un centro per la diversità linguistica nel settore delle lingue regionali o minoritarie. Da un lato, le competenze dell’ECML non si estenderebbero a detti compiti e obiettivi, il che sarebbe dimostrato dal fatto che il suo Statuto non fa alcun riferimento a dette lingue o agli altri compiti menzionati dalla proposta 3. Dall’altro, le attività dell’ECML non si estenderebbero alla promozione di queste stesse lingue regionali o minoritarie, e nemmeno agli obiettivi perseguiti dalla proposta 3, il che sarebbe dimostrato dal fatto che dette lingue non sarebbero menzionate esplicitamente in nessun progetto del programma per il periodo 2020-2023 dell’ECML e che le attività di formazione e di consulenza di detto programma non darebbero atto dell’esistenza di alcuna attività significativa ad esso associata. Inoltre, secondo l’architettura istituzionale del Consiglio d’Europa, sarebbe il segretariato di quest’ultimo ad essere incaricato della promozione delle lingue regionali o minoritarie, sulla base della Carta del Consiglio d’Europa di cui al precedente punto 54. Orbene, diversi paesi che hanno rifiutato di firmare o di ratificare la Carta del Consiglio d’Europa hanno aderito all’accordo dell’ECML. L’Ungheria sostiene, dal canto suo, che l’ECML e il dipartimento del Consiglio d’Europa competente per le lingue minoritarie sono unità organizzative distinte tra le quali non esisterebbe alcun collegamento né cooperazione.

95      Tale argomentazione deve essere respinta.

96      Anzitutto, la circostanza che lo statuto dell’ECML non contenga alcun riferimento specifico alle lingue regionali e minoritarie non significa affatto che tali lingue siano escluse dai compiti affidatigli e dagli obiettivi da esso perseguiti.

97      Inoltre, come menzionato al punto 2.3 della comunicazione impugnata e negli scritti difensivi della Commissione, tra i compiti affidatigli e gli obiettivi strategici e operativi perseguiti dall’ECML, descritti all’articolo 1 del suo Statuto, figurano l’attuazione di politiche linguistiche, la promozione di approcci innovativi per l’apprendimento e l’insegnamento di lingue «moderne», la pratica dell’apprendimento e l’insegnamento di dette lingue, la promozione di dialoghi e di scambi, il sostegno a progetti di ricerca, nonché l’acquisizione e la diffusione di buone pratiche nel settore dell’apprendimento e dell’insegnamento delle lingue. Orbene, niente indica che tali compiti e tali obiettivi non possano concorrere, almeno in certa misura, a rafforzare la consapevolezza dell’importanza di tutte le lingue «moderne» dei paesi interessati, lingue regionali o minoritarie incluse, e a promuovere la diversità, anche solo linguistica e culturale, essendo tali obiettivi quelli perseguiti dalla proposta 3 così com’è stata registrata.

98      Per quanto riguarda poi le attività dell’ECML, da un lato, risulta dal fascicolo di causa che il programma per il periodo 2020-2023 di tale centro menziona, in particolare, un progetto intitolato «Incoraggiare l’istruzione linguistica nella formazione professionale transfrontaliera», il cui scopo ricorda il ruolo particolarmente importante svolto dalla promozione dell’apprendimento delle lingue nelle regioni transfrontaliere. Orbene, tale progetto non risulta manifestamente estraneo alla realizzazione degli obiettivi perseguiti dalla proposta 3 di rafforzare la consapevolezza dell’importanza del multilinguismo, in particolare per quanto riguarda le lingue regionali o minoritarie, e di promuovere la diversità, in particolare negli ambienti educativi e professionali.

99      Dall’altro, per quanto riguarda le attività di formazione e di consulenza dell’ECML, dal fascicolo di causa risulta che tale centro offre una formazione intitolata «Approcci plurilingui e interculturali» riguardante il «Quadro di riferimento per approcci plurali alle lingue e alle culture» e il cui ambito di applicazione comprende le lingue frequentemente insegnate nonché le lingue minoritarie. Del pari, esso offre una formazione intitolata «Un’istruzione di qualità in romaní per l’Europa (QualiRom)». Quest’ultima fa riferimento all’obiettivo di un’iniziativa denominata «QualiRom», che consiste, in particolare, nel promuovere l’inclusione della lingua romaní nei sistemi educativi e nel facilitare l’integrazione dei bambini rom. Detta formazione fa altresì riferimento al materiale pedagogico «QualiRom», elaborato nelle sei varietà della lingua romaní, relativo al ciclo di studi primario, secondario e terziario, e che costituisce la più grande risorsa di questo tipo nel settore dell’insegnamento e dell’apprendimento di tale lingua. Tali elementi sono sufficienti ad attestare che, come indicato al punto 2.3 della comunicazione impugnata, le lingue regionali e minoritarie sono parte integrante del programma per il periodo 2020-2023 dell’ECML.

100    Ne consegue che la Commissione non ha commesso alcun errore manifesto di valutazione quando ha considerato, in sostanza, che le attività dell’ECML possono contribuire alla realizzazione degli obiettivi perseguiti dalla proposta 3, così come è stata registrata, consistenti nel rafforzare la consapevolezza dell’importanza delle lingue regionali e minoritarie e nel promuovere la diversità a tutti i livelli.

101    Infine, il ricorrente e l’Ungheria non hanno presentato alcun elemento concreto che rimetta in discussione l’esistenza degli stretti legami tra il Consiglio d’Europa e l’ECML evocati nella comunicazione impugnata e negli scritti difensivi della Commissione.

102    In secondo luogo, il ricorrente, sostenuto in sostanza dall’Ungheria, fa valere che la Commissione non può né esercitare un’influenza sulle attività dell’ECML, né concludere con esso accordi di cooperazione nei settori rilevanti della proposta 3, dal momento che l’Unione non è parte dell’accordo che istituisce tale centro e che la promozione delle lingue regionali o minoritarie non rientra nelle competenze di quest’ultimo. Esso afferma, poi, in sostanza, che l’accordo di cooperazione per il periodo 2020-2021, menzionato nella comunicazione impugnata, mostrerebbe che la promozione delle lingue regionali o minoritarie non avrebbe alcuna rilevanza per la Commissione nell’ambito della sua cooperazione con l’ECML, dato che il seminario sugli «approcci olistici dell’apprendimento, dell’alfabetizzazione e dell’insegnamento linguistico, comprensivo delle lingue straniere, regionali o minoritarie, e delle lingue parlate in casa» ed il webinar sulla «situazione delle lingue regionali o minoritarie durante la pandemia di COVID-19», evocati in detto accordo, non costituiscono, evidentemente, un’alternativa adeguata al centro per la diversità linguistica prospettato nell’ambito della proposta 3. Inoltre, la cooperazione tra la Commissione e l’ECML mirerebbe essenzialmente a stabilire una base comune ai sistemi di valutazione nazionali basati sul QCER. Infine, il riferimento, contenuto nella comunicazione impugnata, al prossimo accordo di cooperazione sarebbe irrilevante, dal momento che non sarebbe in corso alcuna negoziazione e che, nella valutazione della legittimità della comunicazione impugnata, non possono essere presi in considerazione sviluppi ipotetici.

103    Tale argomentazione deve essere respinta.

104    Anzitutto, come rilevato ai precedenti punti 96 e 97, lo Statuto dell’ECML non contiene alcuna limitazione espressa delle lingue «moderne» interessate dai compiti affidatigli e dagli obiettivi che esso persegue, e talune delle sue attività si estendono espressamente alle lingue regionali o minoritarie. La Commissione non ha commesso, pertanto, alcun errore manifesto di valutazione quando ha considerato che i compiti affidati all’ECML nonché gli obiettivi perseguiti e le attività da esso prese in carico possano contribuire alla realizzazione degli obiettivi perseguiti dalla proposta 3, così come è stata registrata, consistenti nel rafforzare la consapevolezza dell’importanza, in particolare, delle lingue regionali o minoritarie e nel promuovere la diversità a vari livelli.

105    Inoltre, contrariamente a quanto afferma il ricorrente, se è vero che l’Unione non partecipa all’«Accordo parziale allargato» del Consiglio d’Europa che istituisce l’ECML, l’accordo di cooperazione per il periodo 2020-2021, menzionato nella comunicazione impugnata, attesta la possibilità, da parte della Commissione, di influenzare le attività dell’ECML e di concludere accordi di cooperazione nei settori relativi alla proposta 3. Tale accordo di cooperazione attesta parimenti, come indicato nella comunicazione impugnata, che le lingue regionali o minoritarie sono incluse nella gamma di attività cui partecipa l’ECML.

106    Dal fascicolo di causa risulta, infatti, che l’accordo di cooperazione per il periodo 2020-2021, che verte sull’azione relativa alle «[m]etodologie e valutazione innovative nell’apprendimento delle lingue», si inserisce nell’ambito di una cooperazione di lunga durata, ossia sette anni, tra la Commissione e l’ECML e di settori d’azione decisi congiuntamente. Come esposto dalla Commissione, l’iniziativa «Sostegno alle classi multilingue» dell’azione summenzionata propone una serie di moduli che affrontano, in particolare, la sensibilizzazione linguistica in tutta la scuola e il sostegno alle lingue di scolarizzazione utilizzando approcci che valorizzano le lingue materne dei discenti, in particolare per quanto riguarda le lingue regionali o minoritarie. Inoltre, detta azione è intesa ad includere non solo il seminario e il webinar evocati dal ricorrente, ma anche una «scuola estiva», una serie di gruppi di riflessione che hanno ad oggetto, tra l’altro, la «valorizzazione dei repertori linguistici dei discenti» nonché le sfide che devono affrontare, in particolare, le lingue regionali o minoritarie, l’elaborazione di studi scientifici e un convegno.

107    Infine, gli elementi esposti al precedente punto 106 avvalorano la conclusione secondo cui, contrariamente a quanto afferma il ricorrente e come indicato nella comunicazione impugnata, la cooperazione tra la Commissione e l’ECML non si limita a stabilire una base comune per i sistemi di valutazione nazionali basati sul QCER e detta cooperazione tiene conto delle esigenze della diversità linguistica.

108    In terzo luogo, il ricorrente, sostenuto, essenzialmente, dall’Ungheria, deduce che era manifestamente inadeguato, da parte della Commissione, rifiutarsi di dare seguito alla proposta 3 invocando un accordo internazionale del quale l’Unione non è parte e che non costituisce parte integrante dell’ordinamento giuridico dell’Unione.

109    Tale tesi deve essere respinta. Da un lato, come ricordato al precedente punto 60, non esiste alcun obbligo per la Commissione di intraprendere le azioni proposte da un’ICE registrata e che abbia raccolto le adesioni necessarie. Dall’altro, come ricordato, in sostanza, dalla Commissione, sia l’articolo 165, paragrafo 3, TFUE che l’articolo 167, paragrafo 3, TFUE, che costituiscono le basi giuridiche della proposta 3, invitano l’Unione a promuovere la cooperazione, in particolare con le organizzazioni internazionali competenti e, nello specifico, con il Consiglio d’Europa, nei settori dell’istruzione e della cultura. Pertanto, la Commissione non ha commesso alcun errore manifesto di valutazione quando nella comunicazione impugnata ha considerato, in sostanza, che mantenere e sviluppare una cooperazione con un’altra organizzazione internazionale in settori corrispondenti a quelli che il ricorrente intendeva assegnare al centro della diversità linguistica, ossia con l’ECML, al quale hanno aderito la maggior parte degli Stati membri dell’Unione e che è strettamente legato al Consiglio d’Europa, possa contribuire alla realizzazione degli obiettivi perseguiti dalla proposta 3, come è stata registrata, e ad evitare duplicazioni di sforzi e risorse.

110    Tenuto conto delle considerazioni che precedono, il ricorrente non ha dimostrato che la Commissione è incorsa in un errore manifesto di valutazione che inficia i motivi esposti ai punti 2.3 e 3.3 della comunicazione impugnata.

111    Di conseguenza, la seconda parte del secondo motivo deve essere respinta.

 Sulla terza parte del secondo motivo, vertente su vari errori manifesti di valutazione della Commissione per quanto riguarda la proposta 6

112    Nell’ambito della terza parte, il ricorrente, sostenuto dall’Ungheria, fa valere, in sostanza, che ingiustamente la Commissione non ha dato seguito alla proposta 6, volta a garantire la quasi parità di trattamento tra gli apolidi appartenenti a minoranze nazionali e i cittadini dell’Unione, e, questo, assimilando la situazione di detti apolidi a quella dei migranti e dei cittadini dell’Unione provenienti da un contesto migratorio.

113    La Commissione, sostenuta dalla Repubblica ellenica e dalla Repubblica slovacca, contesta tale argomentazione.

114    In via preliminare, il Tribunale ricorda che l’obiettivo della proposta 6 consisteva nel modificare la direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare (GU 2003, L 251, pag. 12), la direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo (GU 2004, L 16, pag. 44), e la direttiva 2004/114/CE del Consiglio, del 13 dicembre 2004, relativa alle condizioni di ammissione dei cittadini di paesi terzi per motivi di studio, scambio di alunni, tirocinio non retribuito o volontariato (GU 2004, L 375, pag. 12), la direttiva 2005/71/CE del Consiglio, del 12 ottobre 2005, relativa a una procedura specificamente concepita per l’ammissione di cittadini di paesi terzi a fini di ricerca scientifica (GU 2005, L 289, pag. 15), e la direttiva 2009/50/CE del Consiglio, del 25 maggio 2009, sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati (GU 2009, L 155, pag. 17), al fine di ravvicinare lo status degli apolidi a quello dei cittadini dell’Unione, permettendo loro di accedere più facilmente allo status di soggiornante di lungo periodo e garantendo loro il godimento di maggiori diritti rispetto a quelli riconosciuti ai cittadini di paesi terzi.

115    Il ricorrente ha tuttavia riconosciuto che la proposta 6 «pone[va] l’accento in particolare sulla direttiva 2003/109/CE». Inoltre, il ricorrente non ha fatto alcun riferimento, né nel ricorso né nella replica, alle altre direttive menzionate al precedente punto 114.

116    Ai punti 2.6 e 3.6 della comunicazione impugnata, la Commissione ha ritenuto che non fosse necessario modificare la direttiva 2003/109 al fine di ravvicinare ulteriormente i diritti dei cittadini di paesi terzi ai diritti conferiti ai cittadini dell’UE. Per contro, essa afferma che è possibile adottare altre misure, nell’ambito della politica dell’Unione in materia di integrazione dei migranti, per tener conto della situazione degli apolidi. Su tale punto, la Commissione fa riferimento, in particolare, alla sua comunicazione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, intitolata «Piano d’azione per l’integrazione e l’inclusione 2021-2027» [COM(2020) 758 final; in prosieguo: il «piano d’azione»].

117    Il ricorrente contesta tuttavia che il piano d’azione si applichi agli apolidi appartenenti a minoranze nazionali. Il piano d’azione sarebbe rivolto ai migranti e ai cittadini dell’Unione provenienti da un contesto migratorio, ma non menzionerebbe tali apolidi. Inoltre, il contenuto del piano d’azione sarebbe inidoneo a soddisfare le esigenze degli apolidi appartenenti alle minoranze nazionali. Il piano d’azione, infatti, sarebbe incentrato sull’integrazione e sull’inclusione dei migranti e dei cittadini dell’Unione provenienti da un contesto migratorio, ma non terrebbe conto della situazione specifica di detti apolidi. Contrariamente alle persone arrivate recentemente nell’Unione in provenienza da paesi terzi, gli apolidi contemplati dalla proposta 6 apparterrebbero a minoranze nazionali che vivono da tempo nel territorio europeo e che fanno parte della popolazione autoctona. Inoltre, tali apolidi si troverebbero ad affrontare problemi connessi all’assenza di documenti ufficiali e di privazione arbitraria della cittadinanza, il che impedirebbe loro di partecipare alla vita economica, sociale e politica nello Stato membro di nascita o nello Stato membro ospitante. Secondo il ricorrente, pertanto, la Commissione ha commesso un errore manifesto di valutazione assimilando la situazione degli apolidi appartenenti a minoranze nazionali a quella dei migranti e dei cittadini dell’Unione provenienti da un contesto migratorio, benché le loro rispettive situazioni siano diverse.

118    Tale tesi deve essere respinta. È vero che il termine «apolidi» non è utilizzato esplicitamente nel piano d’azione e che il suo ambito di applicazione «si estende sia ai migranti che ai cittadini dell’UE provenienti da un contesto migratorio». Tuttavia, tali elementi non sono sufficienti per ritenere che detti apolidi siano esclusi dall’ambito di applicazione del piano d’azione.

119    Infatti, ai sensi dell’articolo 67, paragrafo 2, TFUE, «gli apolidi sono equiparati ai cittadini dei paesi terzi» ai fini del titolo V relativo allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia.

120    Di conseguenza, gli apolidi appartenenti a minoranze nazionali sono inclusi nell’ambito di applicazione del piano d’azione, poiché, in primo luogo, tale piano d’azione è applicabile a tutti i cittadini di paesi terzi che risiedono legalmente nell’Unione e, in secondo luogo, gli apolidi devono essere equiparati ai cittadini di paesi terzi.

121    Inoltre, come rilevato dalla Commissione, il piano d’azione non va a beneficio soltanto dei migranti arrivati di recente nell’Unione. Esso comporta infatti varie azioni incentrate sull’integrazione a lungo termine e sulla coesione sociale. Nello specifico, il piano d’azione mira, in particolare, a migliorare l’accesso dei cittadini di paesi terzi, e pertanto anche degli apolidi, all’istruzione, all’occupazione, all’assistenza sanitaria e agli alloggi. Del pari, esso mira a combattere l’isolamento, la segregazione e le discriminazioni. Infine, esso ha altresì l’obiettivo di favorire la partecipazione dei cittadini di paesi terzi, e pertanto anche degli apolidi, ai processi consultivi e decisionali a livello locale, regionale, nazionale ed europeo.

122    Ne consegue che la Commissione non è incorsa in alcun errore manifesto di valutazione nel ritenere che il piano d’azione possa rispondere alle situazioni di esclusione sociale nonché alle difficoltà di accesso alle cure sanitarie, all’istruzione e all’assistenza sociale che incontrano tanto i cittadini di paesi terzi quanto gli apolidi appartenenti alle minoranze nazionali, e ciò indipendentemente dal fatto che queste due categorie di persone possano provenire da differenti contesti geografici, storici, personali, culturali e religiosi.

123    Infine, e in ogni caso, dal momento che l’obiettivo del ricorrente, così come formulato nella proposta di ICE, consiste nell’ottenere l’«estensione dei diritti connessi alla cittadinanza alle persone apolidi e alle loro famiglie, che hanno vissuto tutta la loro vita nel loro paese d’origine», occorre ricordare che gli autori dei Trattati hanno istituito un legame inscindibile ed esclusivo tra il possesso della cittadinanza di uno Stato membro e l’acquisizione, ma anche la conservazione, dello status di cittadino dell’Unione. Così facendo, il possesso della cittadinanza di uno Stato membro costituisce una condizione indispensabile affinché una persona possa acquisire e conservare lo status di cittadino dell’Unione e beneficiare pienamente dei diritti ad esso relativi. In tali condizioni, i diritti connessi allo status di cittadino dell’Unione non possono essere estesi alle persone che non possiedono la cittadinanza di uno Stato membro (v., in tal senso, sentenza del 9 giugno 2022, Préfet du Gers e Institut national de la statistique et des études économiques, C‑673/20, EU:C:2022:449, punti 48 e 57).

124    Tenuto conto delle considerazioni che precedono, il ricorrente non ha dimostrato che la Commissione è incorsa in un errore manifesto di valutazione considerando che il piano d’azione può tener conto della necessità degli apolidi di essere meglio integrati nella società grazie a migliori possibilità di lavoro e di istruzione nonché migliori possibilità sociali.

125    Allo stesso modo, il ricorrente non ha neppure dimostrato che la Commissione è incorsa in un errore manifesto di valutazione ritenendo che non fosse necessario procedere a una revisione della direttiva 2003/109 per riconoscere maggiori diritti agli apolidi appartenenti a minoranze nazionali.

126    Di conseguenza, la terza parte del secondo motivo deve essere respinta.

 Sulla quarta parte del secondo motivo, vertente su vari errori manifesti di valutazione della Commissione per quanto riguarda la proposta 8

127    Nell’ambito della quarta parte, il ricorrente, sostenuto dall’Ungheria, addebita, in sostanza, alla Commissione di essere incorsa in un errore manifesto di valutazione quando ha rifiutato di dare seguito alla proposta 8, volta a migliorare l’accesso transfrontaliero delle minoranze nazionali ai contenuti audiovisivi degli altri Stati membri nei quali è parlata la stessa lingua. Esso afferma, in sostanza, che l’accesso a detti contenuti sarebbe rilevante, in quanto il numero di persone appartenenti alle minoranze nazionali in un dato Stato membro sarebbe troppo esiguo per la creazione, in questo stesso Stato membro, di media che siano loro propri. Tale accesso contribuirebbe, peraltro, a preservare e a promuovere le diverse lingue regionali o minoritarie nonché la diversità linguistica e culturale. Secondo il ricorrente, la misura preferita dalla Commissione nel caso di specie, ossia l’applicazione, senza alcuna ulteriore revisione, della direttiva 2010/13, come modificata dalla direttiva (UE) 2018/1808 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 novembre 2018 (GU 2018, L 303, pag. 69), non è idonea a conseguire gli obiettivi perseguiti da tale proposta.

128    La Commissione, sostenuta dalla Repubblica ellenica e dalla Repubblica slovacca, contesta tale argomentazione, sostenendo che la presente parte è infondata.

129    In via preliminare, il Tribunale ricorda che la proposta 8, così come è stata registrata, aveva come obiettivo una modifica della direttiva 2010/13 al fine di garantire la libera prestazione dei servizi e la ricezione di contenuti audiovisivi nelle regioni degli Stati membri in cui risiedono le minoranze nazionali.

130    Ai punti 2.8 e 3.8 della comunicazione impugnata, la Commissione conclude che il quadro legislativo esistente fornisce un sostegno sostanziale alla realizzazione degli obiettivi perseguiti dal ricorrente per quanto riguarda la proposta 8 e che, essendo questo sufficiente, non è necessaria alcuna ulteriore modifica della direttiva 2010/13. A tale riguardo, da un lato, la Commissione afferma che la direttiva 2010/13 facilita la circolazione transfrontaliera di servizi di media audiovisivi, garantendo nel contempo che vi siano norme minime armonizzate di interesse pubblico generale, ossia, in particolare, in materia di protezione dei minori, di pubblicità e di promozione di opere europee. Tale direttiva, infatti, si basa sul principio del paese di origine, cosicché gli Stati membri non possono limitare i servizi di media audiovisivi che hanno origine in un altro Stato membro se tali servizi sono conformi alle norme della direttiva 2010/13 nello Stato membro di origine. Essa sottolinea, tuttavia, che la direttiva 2010/13 non tratta questioni di ritrasmissione relative ai diritti d’autore e che la disponibilità transfrontaliera di contenuti audiovisivi può essere influenzata da motivi che esulano dall’ambito di applicazione della direttiva 2010/13, quali i diritti di proprietà intellettuale, la disponibilità di risorse tecniche o ancora considerazioni di natura commerciale o finanziaria. Dall’altro, essa afferma che le revisioni apportate a tale direttiva dalla direttiva 2018/1808 hanno rafforzato la promozione delle opere europee e della diversità culturale all’interno dell’Unione. Ormai, infatti, conformemente all’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2010/13, i fornitori di servizi di media audiovisivi a richiesta (video-on-demand; in prosieguo: i «servizi di VOD») devono proporre una percentuale minima pari al 30% di opere europee nei loro cataloghi e dare risalto a tali opere. Peraltro, la Commissione indica che l’obiettivo di promozione della diversità culturale può essere conseguito efficacemente soltanto se si assicura una percentuale del 30% di presenza di opere europee in ciascuno dei cataloghi nazionali offerti dai fornitori multinazionali di servizi di VOD. Tale approccio garantirebbe che, in ciascuno Stato membro in cui il fornitore offre cataloghi nazionali, sia presentata agli telespettatori la percentuale di opere europee richiesta. Lo stesso approccio potrebbe anche incentivare la circolazione e la disponibilità delle opere europee in tutta l’Unione. La Commissione sostiene, infine, che monitorerà regolarmente l’applicazione di dette norme sulla base delle relazioni presentate dagli Stati membri e di uno studio indipendente.

131    In primo luogo, il ricorrente contesta che la percentuale del 30% di opere europee che i fornitori di servizi di VOD devono proporre nei loro cataloghi e a cui devono dare risalto, prevista all’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2010/13, possa contribuire a raggiungere l’obiettivo della proposta 8. Dato che tale percentuale non è accompagnata da nessun requisito relativo all’origine o alla lingua delle opere europee e che la definizione di «opere europee» di cui all’articolo 1, paragrafo 1, lettera n) di detta direttiva non tratta tale aspetto, la percentuale del 30% potrebbe essere soddisfatta laddove il fornitore di servizi di VOD proponga contenuti di altri Stati membri ad esclusione degli Stati membri confinanti, o laddove il fornitore proponga soltanto contenuti nella lingua maggioritaria dello Stato membro interessato, senza tenere conto delle minoranze nazionali che vi risiedono. Peraltro, i fornitori di servizi di VOD non avrebbero interesse economico ad acquisire i diritti di contenuti che possono presentare un interesse per le persone appartenenti a minoranze nazionali.

132    A tale riguardo, occorre ricordare che, al momento della domanda di registrazione della proposta di ICE, la proposta 8 prevedeva una modifica della direttiva 2010/13, nella versione vigente all’epoca, volta a garantire la libera prestazione di servizi e la libertà di ricezione dei contenuti audiovisivi (ossia, tanto la trasmissione analogica e digitale quanto i servizi su richiesta, a livello terrestre e satellitare) in regioni nelle quali vivono le minoranze nazionali. Tale proposta è stata registrata in termini analoghi (v. precedente punto 129).

133    Orbene, come evocato nella comunicazione impugnata e senza che ciò sia contraddetto dal ricorrente, l’articolo 2, paragrafo 1, e l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2010/13 facilitano già la ricezione e la ritrasmissione dei servizi di media audiovisivi in tutta l’Unione, in particolare di contenuti audiovisivi provenienti da Stati membri limitrofi di un determinato Stato membro, e ciò in lingue che possono presentare un interesse per persone appartenenti a minoranze nazionali che risiedono in quest’ultimo Stato membro.

134    Infatti, come indicato, in sostanza, dalla Commissione nella comunicazione impugnata e nei suoi scritti difensivi, la direttiva 2010/13 concretizza, nel settore dei servizi di media audiovisivi, la libera prestazione di servizi garantita dall’articolo 56 TFUE, istituendo, come risulta dal suo considerando 104, «un’area senza frontiere interne» per tali servizi (sentenza del 4 luglio 2019, Baltic Media Alliance, C‑622/17, EU:C:2019:566, punto 65).

135    In forza del principio dello Stato membro di origine, sancito all’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2010/13, i fornitori di servizi di media audiovisivi sono, in linea di principio, assoggettati unicamente alle norme e alla competenza dello Stato membro in cui sono stabiliti.

136    Nel rispetto di tali norme, i fornitori di servizi di media audiovisivi possono poi distribuire liberamente i loro servizi in tutta l’Unione, dal momento che, conformemente all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2010/13, gli Stati membri devono assicurare la libertà di ricezione e non limitare la ritrasmissione sul proprio territorio di servizi provenienti da altri Stati membri per ragioni pertinenti ai settori coordinati dalla direttiva.

137    Ne consegue che la Commissione non è incorsa in alcun errore manifesto di valutazione quando nella comunicazione impugnata ha concluso, in sostanza, che l’obiettivo della proposta 8, così come è stata registrata, ossia garantire la libera prestazione di servizi e la ricezione di contenuti audiovisivi, era già raggiunto in tutta l’Unione, e dunque anche in regioni dell’Unione dove sono presenti minoranze nazionali.

138    Certamente, taluni elementi sia intrinseci che estranei alla direttiva 2010/13 possono ridurre la disponibilità transfrontaliera di contenuti audiovisivi, in particolare le circostanze che detta direttiva non impone ai fornitori di servizi di media l’obbligo di trasmettere al di là dei confini e che il suo ambito di applicazione non si estende ai diritti di proprietà intellettuale, in particolare ai diritti d’autore, nonché talune considerazioni commerciali. Ciò premesso, il ricorrente non ha dedotto alcun elemento concreto che rimetta in discussione la valutazione della Commissione secondo la quale l’obbligo imposto ai fornitori di servizi di VOD di proporre una percentuale minima pari al 30% di opere europee nei loro cataloghi e di dare risalto a tali opere, previsto all’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2010/13, menzionato nella comunicazione impugnata, può contribuire a migliorare la diversità culturale e a dare accesso a una più ampia gamma transfrontaliera di contenuti audiovisivi, anche in assenza di esigenze più specifiche relative all’origine o alla lingua delle opere europee in questione.

139    In secondo luogo, il ricorrente contesta la pertinenza del monitoraggio, da parte della Commissione, dell’applicazione della direttiva 2010/13, così come menzionato nella comunicazione impugnata, in quanto l’adeguatezza delle misure proposte può essere esaminata solo alla luce delle informazioni disponibili il giorno dell’adozione della comunicazione impugnata.

140    Tale argomentazione deve essere respinta.

141    Infatti, il monitoraggio dell’applicazione della direttiva 2010/13 descritto nella comunicazione impugnata riflette gli obblighi imposti agli Stati membri e alla Commissione conformemente all’articolo 13, paragrafi 4 e 5, e all’articolo 33 di tale direttiva. Tenuto conto dell’uso del modo imperativo in dette disposizioni, la Commissione poteva, a giusto titolo ed il giorno dell’adozione della comunicazione impugnata, riferirsi ad obblighi futuri. Tale conclusione si impone a maggior ragione in quanto detti obblighi vertono sulla valutazione di norme, vigenti il giorno dell’adozione della comunicazione impugnata, sulle quali la Commissione si è fondata per concludere che non fosse necessaria alcuna modifica della direttiva 2010/13 per realizzare l’obiettivo perseguito dalla proposta 8.

142    Inoltre, conformemente all’articolo 13, paragrafo 5, della direttiva 2010/13, la relazione che la Commissione deve presentare al Parlamento e al Consiglio, in particolare sull’applicazione dell’articolo 13, paragrafo 1, di tale direttiva, sulla base delle informazioni comunicate dagli Stati membri e di uno studio indipendente, deve tener conto, tra gli altri elementi, dell’obiettivo della diversità culturale. Pertanto, la Commissione non è incorsa in alcun errore manifesto di valutazione nel ritenere che il monitoraggio dell’applicazione di detta direttiva possa contribuire alla realizzazione di uno degli obiettivi perseguiti dalla proposta 8, così come esposto nella replica, ossia migliorare l’accesso a contenuti audiovisivi di diverse lingue e origini.

143    L’Ungheria contesta infine che il quadro giuridico attuale sia adeguato a realizzare l’obiettivo perseguito dalla proposta 8. Da un lato, il problema, al quale la proposta 8 intende rispondere, risiederebbe nelle restrizioni territoriali inerenti ai contenuti di particolare rilevanza per la società – in particolare, gli eventi sportivi internazionali – contenuti all’interno degli accordi di licenza conclusi tra i titolari di diritti e i prestatori di servizi di media audiovisivi. Tali restrizioni, che ostacolerebbero la ritrasmissione online di eventi sportivi o di altra natura di particolare rilevanza per la società, penalizzerebbero altresì le minoranze nazionali o linguistiche. Secondo tale Stato membro, sarebbe necessaria una modifica dell’articolo 14 della direttiva 2010/13. Dall’altro, per quanto riguarda i servizi di VOD, il problema non risiederebbe nell’insufficienza di contenuti in ciascuna lingua, ma piuttosto nel fatto che sarebbe ostacolato l’accesso a taluni contenuti di particolare rilevanza per la società.

144    Tale argomentazione deve essere respinta. Da un lato, come indicato al precedente punto 129, la proposta 8, così come è stata registrata, non menziona alcuna restrizione territoriale relativa ad eventi di particolare rilevanza per la società. Dall’altro, come rilevato al precedente punto 138, l’ambito di applicazione della direttiva 2010/13 non si estende ai diritti di proprietà intellettuale.

145    Tenuto conto delle considerazioni che precedono, il ricorrente non ha dimostrato che la Commissione è incorsa in un errore manifesto di valutazione quando ha considerato, per i motivi esposti ai punti 2.8 e 3.8 della comunicazione impugnata, le norme contenute nella direttiva 2010/13 idonee a fornire un sostegno sostanziale alla realizzazione degli obiettivi perseguiti dal ricorrente e ad incentivare la circolazione e la disponibilità di opere europee in tutta l’Unione, cosicché non era necessaria alcuna ulteriore modifica di tale direttiva per quanto riguarda la proposta 8.

146    Di conseguenza, la quarta parte del secondo motivo deve essere respinta e, pertanto, il secondo motivo deve essere integralmente respinto.

147    Poiché tutti i motivi sono stati respinti, il ricorso deve essere respinto.

 Sulle spese

148    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Il ricorrente, rimasto soccombente, deve essere condannato alle spese sostenute dalla Commissione, conformemente alla domanda di quest’ultima.

149    Anche la Repubblica slovacca ha chiesto la condanna del ricorrente alle spese. Tuttavia, conformemente all’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, le spese sostenute dagli Stati membri intervenuti nella causa restano a loro carico. Ne consegue che la Repubblica ellenica, l’Ungheria e la Repubblica slovacca sopporteranno, ciascuna, le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Ottava Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      Il Citizens’ Committee of the European Citizens’ Initiative «Minority SafePack – one million signatures for diversity in Europe» sopporterà le proprie spese nonché quelle sostenute dalla Commissione europea.

3)      La Repubblica ellenica, l’Ungheria e la Repubblica slovacca sopporteranno, ciascuna, le proprie spese.

Svenningsen

Mac Eochaidh

Laitenberger

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 9 novembre 2022.

Firme


*      Lingua processuale: l’inglese.