Language of document : ECLI:EU:T:2006:400

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Terza Sezione)

14 dicembre 2006 (*)

«Marchio comunitario – Procedura di opposizione – Domanda di marchio comunitario figurativo MANŪ MANU MANU – Marchio nazionale anteriore denominativo MANOU – Rifiuto di registrazione – Portata e rettifica della decisione della commissione di ricorso – Limitazione della domanda di registrazione – Ritiro parziale dell’opposizione – Interesse ad agire in opposizione – Prova dell’utilizzo del marchio anteriore – Portata della prova dell’utilizzo – Rischio di confusione – Art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento (CE) n. 40/94»

Nella causa T‑392/04,

Salvatore Gagliardi, con sede in Monsummano Terme, rappresentato dagli avv.ti A. Schmitt, P. Biavati, S. Corona,

ricorrente,

contro

Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno      (marchi, disegni e modelli)      (UAMI), rappresentato dal sig. M. Buffolo, in qualità di agente,

convenuto,

altra parte nel procedimento dinanzi alla commissione di ricorso dell’UAMI, interveniente dinanzi al Tribunale:

Norma Lebensmittelfilialbetrieb GmbH & Co. KG, con sede in Norimberga (Germania), rappresentata dall’avv. S. Rojahn,

avente ad oggetto un ricorso proposto avverso la decisione 15 giugno 2004 della quarta commissione di ricorso dell’UAMI (procedimento R 154/2002‑4), relativa ad un procedimento di opposizione tra Norma Lebensmittelfilialbetrieb GmbH & Co. KG e Salvatore Gagliardi,

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO

DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Terza Sezione),

composto dal sig. M. Jaeger, presidente, dal sig. J. Azizi e dalla sig.ra E. Cremona, giudici,

cancelliere: sig.ra B. Pastor, cancelliere aggiunto

visto il ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 24 settembre 2004,

visto il controricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 28 febbraio 2005,

viste le risposte delle parti ai quesiti scritti del Tribunale,

a seguito dell’udienza del 1° dicembre 2005,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Quadro giuridico

1        L’art. 8, n. 1, lett. b), e n. 2, del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), come modificato, intitolato «Impedimenti relativi alla registrazione», così dispone:

«1.      In seguito all’opposizione del titolare di un marchio anteriore il marchio richiesto è escluso dalla registrazione:

(...)

b)      se a causa dell’identità o della somiglianza di detto marchio col marchio anteriore e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi per i quali i due marchi sono stati richiesti, sussiste un rischio di confusione per il pubblico del territorio nel quale il marchio anteriore è tutelato; il rischio di confusione comprende il rischio di associazione con il marchio anteriore.

2.      Ai sensi del paragrafo 1 si intendono per “marchi anteriori”:

a)      i seguenti tipi di marchi la cui data di deposito sia anteriore a quella della domanda di marchio comunitario (…):

(…)

ii)      marchi registrati nello Stato membro (…)».

2        Ai sensi dell’art. 26, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94, «la domanda di marchio comunitario deve contenere (…) l’elenco dei prodotti o dei servizi per i quali si richiede la registrazione».

3        In forza dell’art. 28 del regolamento n. 40/94, «i prodotti e i servizi per i quali sono depositati i marchi comunitari sono classificati secondo la classificazione stabilita dal regolamento [(CE) n. 2868/95]».

4        La regola 2 del regolamento della Commissione 13 dicembre 1995, n. 2868/95, recante modalità di esecuzione del regolamento (CE) n. 40/94 (GU L 303, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento di esecuzione»), così dispone:

«1.      Per la classificazione dei prodotti e dei servizi si applica la classificazione comune di cui all’art. 1 dell’accordo di Nizza [del 15 giugno 1957, sulla classificazione internazionale di merci e servizi per la registrazione dei marchi] (…).

4.      La classificazione dei prodotti e servizi serve esclusivamente a fini amministrativi (…)».

5        L’art. 43, nn. 2, 3 e 5 dal regolamento n. 40/94, dispone che:

«(…)

2.      Su istanza del richiedente, il titolare di un marchio comunitario anteriore che abbia presentato opposizione deve addurre la prova che, nel corso dei cinque anni che precedono la pubblicazione della domanda di marchio comunitario, il marchio comunitario anteriore è stato seriamente utilizzato nella Comunità per i prodotti o i servizi per i quali è stato registrato, e sui quali si fonda l’opposizione […]. In mancanza di tale prova, l’opposizione è respinta. Se il marchio comunitario anteriore è stato utilizzato solo per una parte dei prodotti o dei servizi per i quali è stato registrato, ai fini dell’esame dell’opposizione si intende registrato solo per tale parte dei prodotti o dei servizi.

3.      Il paragrafo 2 si applica ai marchi nazionali anteriori di cui all’articolo 8, paragrafo 2, lettera a), fermo restando che l’utilizzazione nella Comunità è sostituita dall’utilizzazione nello Stato membro in cui il marchio nazionale anteriore è tutelato.

(…)

5.      Se dall’esame dell’opposizione risulta che il marchio è escluso dalla registrazione per la totalità, o per una parte, dei prodotti o dei servizi per i quali è stato richiesto il marchio comunitario, la domanda è respinta per tali prodotti o servizi. Nel caso contrario, l’opposizione è respinta».

6        La regola 22 del regolamento di esecuzione, intitolato «Prova dell’utilizzazione» recita:

«1.      Nei casi in cui, a norma dell’articolo 43, paragrafi 2 o 3 del regolamento, l’opponente deve dimostrare l’utilizzazione (…) l’[UAMI] invita l’opponente a fornire le prove entro un preciso termine. Se l’opponente non fornisce tale prova entro il termine stabilito, l’[UAMI] rigetta l’opposizione.

2.      Le informazioni, le prove e i documenti necessari per dimostrare l’utilizzazione sono costituiti da informazioni relative al luogo, al tempo, alla estinzione e alla natura dell’utilizzazione del marchio anteriore per i prodotti e i servizi per i quali esso è registrato e sui quali si fonda l’opposizione e dalle relative informazioni, ai sensi del paragrafo 3.

3.      Le prove consistono, in linea di principio, nella presentazione di documenti e campioni, come ad esempio imballaggi, etichette, listini di prezzi, cataloghi, fatture, fotografie, inserzioni su giornali e dichiarazioni scritte di cui all’articolo 76, paragrafo 1, lettera f) del regolamento [n. 40/94].

(…)».

7        Ai sensi dell’art. 44 (Ritiro, limitazione e modifica della domanda), n. 1, del regolamento n. 40/94, «[il] richiedente può in qualsiasi momento ritirare la sua domanda di marchio comunitario o limitare la lista dei prodotti o servizi che essa contiene (…)».

8        Secondo l’art. 45 (Registrazione) del regolamento n. 40/94, «se la domanda soddisfa le disposizioni del presente regolamento e (…) se l’opposizione è stata respinta con decisione definitiva, il marchio è registrato come marchio comunitario (…)».

9        L’art. 62 (Decisione sul ricorso), n. 1, del regolamento n. 40/94 recita:

«In seguito all’esame sul merito del ricorso, la commissione di ricorso delibera sul ricorso. Essa può, sia esercitare le competenze dell’organo che ha emesso la decisione impugnata, sia rinviare l’istanza a detto organo per la prosecuzione della procedura».

10      L’art. 74 (Esame d’ufficio dei fatti), nn. 1 e 2, del regolamento n. 40/94 dispone quanto segue:

«1.      Nel corso della procedura, l’[UAMI] procede d’ufficio all’esame dei fatti; tuttavia, in procedure concernenti impedimenti relativi alla registrazione, l’UAMI si limita, in tale esame, ai fatti, prove ed argomenti addotti e alle richieste presentate dalle parti.

2.      L’[UAMI] può non tener conto dei fatti che le parti non hanno invocato o delle prove che esse non hanno presentato in tempo utile».

11      La regola 53 (Rettifica di errori nelle decisioni) del regolamento di esecuzione così dispone:

«Nelle decisioni dell’[UAMI], possono essere rettificati unicamente gli errori linguistici di trascrizione nonché gli errori manifesti. Essi sono rettificati, d’ufficio o su richiesta della parte interessata, dall’organo che ha emesso la decisione».

 Fatti all’origine della controversia

12      Il 21 dicembre 1998, il ricorrente, un operatore italiano che commercializza calzature nonché taluni articoli di marocchineria e di abbigliamento, presentava una domanda di registrazione di marchio comunitario presso l’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI) a norma del regolamento n. 40/94. Il marchio di cui veniva chiesta la registrazione (in prosieguo: il «marchio richiesto») è il segno figurativo qui di seguito riprodotto:

Image not foundImage not found

13      I prodotti oggetto della domanda di registrazione rientrano nelle classi 18, 24 e 25 dell’accordo di Nizza, come riveduto e modificato, e corrispondono, per ciascuna delle classi, alla seguente descrizione:

–        classe 18: «Cuoio e sue imitazioni, articoli in queste materie non compresi in altre classi; pelli di animali; bauli e valigie; ombrelli, ombrelloni e bastoni da passeggio; fruste e articoli di selleria»;

–        classe 24: «Tessuti e prodotti tessili non compresi in altre classi; coperte da letto e copritavoli»;

–        classe 25: «Articoli di abbigliamento, scarpe, cappelleria».

14      Il 4 ottobre 1999, la domanda di registrazione veniva pubblicata sul Bollettino dei marchio comunitari n. 78/99.

15      Il 21 dicembre 1999, la Norma Lebensmittelfilialbetrieb GmbH & Co KG, che gestisce un canale commerciale di discount in Germania con oltre 1 000 filiali che vendono, tra l’altro, prodotti tessili, presentava opposizione, ai sensi dell’art. 42 del regolamento n. 40/94, avverso la registrazione del marchio richiesto. Nell’atto di opposizione si legge che l’opposizione è diretta contro «tutti i prodotti rientranti nella classe 25».

16      A sostegno della sua opposizione, l’interveniente deduce il rischio di confusione, ai sensi dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, tra il marchio richiesto e il marchio denominativo anteriore MANOU, registrato in Germania l’11 marzo 1981 sotto il n. 1-015-278 e rinnovato il 23 maggio 1990, per taluni prodotti rientranti nella classe 25, e cioè «articoli di abbigliamento, in particolare calze da donna e collant; cappelli, cuffie, berretti e calzature (in prosieguo: il «marchio anteriore»).

17      Con lettera 19 maggio 2000, il ricorrente negava qualunque rischio di confusione e chiedeva all’UAMI di invitare l’interveniente a fornire la prova dell’utilizzo per tutti i prodotti coperti dal marchio anteriore.

18      Successivamente l’interveniente produceva, a titolo di prova dell’utilizzo del marchio anteriore per i prodotti sopra indicati al punto 16, una serie di documenti, tra cui documenti che confermavano il pagamento delle tasse per il rinnovo di tale marchio, una dichiarazione datata 9 agosto 2000 di uno dei suoi direttori acquisti, intitolata «Eidesstattliche Versicherung» (in prosieguo: la «prima dichiarazione solenne»), alcuni opuscoli pubblicitari pubblicati tra il 1996 e il 1999 sui quali appare il marchio anteriore, fatture degli anni 1995-1997 relative alla vendita all’interveniente da parte della società tedesca di distribuzione Seibold Textilvertriebs GmbH (in prosieguo: la «Seibold») di prodotti designati MANOU e confezioni ed etichette non datate di collant marcati MANOU.

19      Con lettera 18 dicembre 2000, il ricorrente chiedeva all’UAMI di limitare la portata della registrazione, escludendo dalla classe 25 i seguenti prodotti: «calze da donna, calze da uomo, collant, fuseaux e slip».

20      Rispondendo ad un quesito scritto rivoltogli dal Tribunale, il ricorrente, con lettera 31 ottobre 2005, confermava che, da un lato, i prodotti «calze da donna, calze da uomo», come menzionati nella detta lettera, comprendevano i «gambaletti e calze da uomo, calzini» e che, d’altro lato, i prodotti «slips» comprendevano anche le «mutande da donna». Rispondendo ai quesiti rivolti dal Tribunale, l’UAMI e l’interveniente, con lettere, rispettivamente, 28 e 31 ottobre, dichiaravano che tale significato era anche quello da essi inteso.

21      Con lettera 28 febbraio 2001, l’interveniente precisava che il marchio anteriore era utilizzato, in particolare, per designare i collant, i gambaletti, i calzini, i fuseaux e le mutande da donna, prodotti rientranti nella categoria «articoli di abbigliamento». Nei supermercati, tutti i prodotti inclusi in questa categoria sarebbero raggruppati in modo che dal punto di vista del consumatore non è da escludere un rischio di confusione. Di conseguenza, l’opposizione è stata mantenuta per tutti i prodotti rientranti nella categoria degli «articoli di abbigliamento».

22      Con decisione 19 dicembre 2001, la divisione di opposizione respingeva l’opposizione sulla base dell’art. 43, nn. 2 e 3, del regolamento n. 40/94 e della regola 22 del regolamento di esecuzione ed accoglieva la domanda di registrazione per le classi 18, 24 e 25. La divisione di opposizione ha motivato tale decisione affermando, in sostanza, che i documenti presentati dall’interveniente non erano sufficienti a dimostrare che il marchio anteriore fosse stato oggetto in Germania di un serio utilizzo nei cinque anni che precedono la pubblicazione della domanda di registrazione. A tale proposito, la divisione di opposizione constatava che alcuni opuscoli pubblicitari non erano datati e che, pertanto, sarebbero stati presi in considerazione solo gli opuscoli datati. A proposito delle fatture della Seibold, ha considerato che le dette fatture non riguardavano la vendita al pubblico di prodotti recanti il marchio MANOU, ma unicamente la vendita all’interveniente di detti prodotti da parte della detta società. In merito alla prima dichiarazione solenne, la divisione di opposizione ha sostenuto che, nonostante si trattasse di un elemento probatorio, tale dichiarazione dovrebbe essere suffragata da documenti supplementari, che mancavano, specie per quanto riguarda cappelli, cuffie, berretti e calzature. Infine, da tale dichiarazione non risulterebbe a quali prodotti si riferisca il quantitativo di 500 000 unità, venduto nel 1996.

23      Il 12 febbraio 2002, l’interveniente proponeva ricorso dinanzi alla commissione di ricorso dell’UAMI, ai sensi dell’art. 57 del regolamento n. 40/94, contro la decisione della divisione di opposizione.

24      Con lettera 11 aprile 2002, l’interveniente comunicava che, «al fine di semplificare la procedura di opposizione, l’opposizione [sarebbe stata] limitata ai prodotti “collant da donna”». Inoltre, precisava che «potrebbe fornire ulteriori prove per gli altri prodotti nel caso in cui [il ricorrente] dovesse limitare ulteriormente il suo elenco di prodotti». L’interveniente rilevava inoltre che i collant da donna rientravano nella categoria generale degli articoli di abbigliamento, prodotti coperti dalla domanda di registrazione. Di conseguenza, anche supponendo che i «collant da donna» fossero esclusi da tale elenco di prodotti, ciò non eliminerebbe l’identità esistente tra taluni prodotti coperti dal marchio anteriore e quelli coperti dal marchio richiesto. L’interveniente chiedeva pertanto l’annullamento della decisione della divisione di opposizione e il rigetto della domanda di registrazione «per gli articoli di abbigliamento». A sostegno del suo ricorso, l’interveniente produceva infine una serie di documenti, in particolare una seconda dichiarazione solenne di uno dei suoi direttori acquisti datata 10 aprile 2002 (in prosieguo: la «seconda dichiarazione solenne») e la copia di un annuncio pubblicitario.

25      Con decisione 15 giugno 2004 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), la commissione di ricorso annullava la decisione della divisione di opposizione e respingeva la domanda di registrazione. In sostanza, la commissione di ricorso constatava che le prove fornite circa il serio utilizzo nei cinque anni che precedono la pubblicazione della domanda di registrazione del marchio anteriore per i «collant da donna» erano sufficienti, e che sussisteva un rischio di confusione con il marchio richiesto per quanto riguarda gli articoli di abbigliamento, la cappelleria e le calzature. Circa la prova dell’utilizzo, la commissione di ricorso ha osservato che la seconda dichiarazione solenne si riferiva all’utilizzo regolare del marchio anteriore dopo il 1992 e alla vendita di 400 000 collant etichettati, nel 1996. Parimenti, le fatture prodotte relative all’acquisto da parte dell’interveniente di oltre 10 000 collant, recanti il marchio di cui trattasi, presso la Seibold tra il dicembre 1996 e l’agosto 1997, come pure taluni documenti pubblicitari diffusi in gran numero nel 1998, sarebbero prove sufficienti per dimostrare l’uso del marchio anteriore.

26      Rispondendo a una domanda di chiarimenti del ricorrente, l’UAMI inviava, il 19 agosto 2004, una lettera firmata dal relatore della commissione di ricorso dove veniva precisato che il rigetto della domanda di registrazione disposto dalla decisione impugnata riguardava soltanto «la classe 25, vale a dire, la sola classe oggetto della controversia davanti alla commissione di ricorso», e che, «per quanto riguarda le classi 18 e 24, non vi è dunque ostacolo alla registrazione.

 Procedimento e conclusioni delle parti

27      Con atto introduttivo depositato in cancelleria il 24 settembre 2004, il ricorrente ha proposto al Tribunale il presente ricorso.

28      Il ricorrente conclude che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata «ritenuta l’insussistenza (…) di impedimenti (…) alla registrazione e (…) la registrabilità [del marchio richiesto]»;

–        condannare l’UAMI alle spese.

29      L’UAMI chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso per la parte in cui si richiede l’annullamento in toto della decisione impugnata;

–        accogliere il detto ricorso per la parte in cui si richiede l’annullamento della detta decisione per violazione dell’art. 74, n. 2, del regolamento n. 40/94 per aver rigettato la domanda di registrazione per i prodotti della classe 25 diversi dagli articoli di abbigliamento;

–        condannare la ricorrente alle spese.

30      Con lettera depositata presso la cancelleria del Tribunale il 26 ottobre 2004, l’interveniente ha chiesto di intervenire nel presente procedimento a sostegno dell’UAMI e che, come lingua processuale, fosse scelto il tedesco o, in subordine, il francese.

31      Con lettera 25 novembre 2004, il Tribunale ha constatato, a norma dell’art. 131, n. 2, del regolamento di procedura, che la lingua nella quale il ricorso era stato redatto, cioè, nella specie, l’italiano, costituiva la lingua processuale e ha impartito all’interveniente un termine per il deposito del suo controricorso. L’interveniente non ha depositato controricorso nel termine impartito.

32      Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Terza Sezione) ha deciso di aprire la fase orale e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste dall’art. 64 del regolamento di procedura, ha rivolto quesiti scritti al ricorrente, all’UAMI e all’interveniente, invitandoli a rispondervi per iscritto.

33      Con lettere 31 ottobre 2005, il ricorrente e l’interveniente hanno comunicato, nell’ambito delle loro risposte ai quesiti scritti del Tribunale, che non avrebbero partecipato all’udienza fissata per il 1° dicembre 2005. Con posta elettronica 25 novembre 2005, l’UAMI ha informato il Tribunale che neanch’esso avrebbe partecipato all’udienza.

34      All’udienza del 1° dicembre 2005, il Tribunale ha constatato l’assenza delle parti.

35      Nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento, il Tribunale ha successivamente rivolto quesiti scritti al ricorrente, all’UAMI e all’interveniente. Con lettere 9, 10 e 11 gennaio 2006, ciascuna delle parti ha risposto ai detti quesiti.

 In diritto

 Osservazione in limine

36      Il ricorrente deduce tre motivi a sostegno delle sue conclusioni. Ritiene, in primo luogo, che la commissione di ricorso sia incorsa in errore e abbia statuito ultra petitum, in secondo luogo, che la commissione di ricorso sia incorsa in errore di valutazione delle prove intese a dimostrare il serio utilizzo del marchio anteriore e, in terzo luogo, che la commissione di ricorso abbia concluso a torto che sussistesse un rischio di confusione.

 2. Sul motivo che deduce ultrapetizione nella decisione impugnata


 Argomenti delle parti

37      Il ricorrente sostiene che, nel respingere in toto la domanda di registrazione, la commissione di ricorso è incorsa in errore e ha statuito ultra petitum.

38      Il ricorrente precisa che la commissione di ricorso ha statuito ultra petitum, da un lato, respingendo la domanda di registrazione per i prodotti rientranti nelle classi 18 e 24, e, dall’altro, estendendo la valutazione del rischio di confusione e la decisione di rigetto ai prodotti inclusi nella categorie «calzature» e «cappelleria» rientranti nella classe 25, aspetti che non costituivano oggetto dell’opposizione. In tale contesto, rimette parimenti in discussione la validità della lettera 19 agosto 2004, dove l’UAMI dichiara che il marchio richiesto può essere registrato per le classi 18 e 24. Orbene, secondo il ricorrente, in assenza di errori linguistici, di errori di trascrizione o di errore manifesto ai sensi della regola 53 del regolamento di esecuzione, è dubbio che la precisazione apportata con la lettera del 19 agosto 2004 costituisca una valida rettifica della decisione impugnata. Comunque, la detta lettera non può essere tale da impegnare l’UAMI, essendo firmata da un solo membro e non dal collegio della commissione di ricorso nel suo insieme.

39      L’UAMI ammette che l’interveniente aveva limitato la sua opposizione agli «articoli di abbigliamento» e chiesto alla commissione di ricorso di respingere la domanda di registrazione unicamente per quanto riguarda tali prodotti. La commissione di ricorso, pertanto, allargando l’analisi del rischio di confusione all’insieme dei prodotti della classe 25, avrebbe statuito ultra petitum e violato quindi l’art. 74, n. 1, del regolamento n. 40/94, a norma del quale l’esame dell’UAMI si limita alle sole domande presentate dalle parti.

40      Per quanto riguarda, invece, il presunto rigetto da parte della commissione di ricorso della domanda di registrazione per le classi 18 e 24, non vi sono, secondo l’UAMI, errori, dal momento che la decisione impugnata avrebbe espressamente limitato l’analisi del rischio di confusione ai soli prodotti rientranti nella classe 25 contemplati dall’opposizione. A questo proposito, l’UAMI sostiene che la decisione impugnata non sarebbe affetta da errore, ma che si tratterebbe piuttosto «di un’eventuale lacuna per la mancanza di un riferimento esplicito», nel dispositivo della decisione impugnata, ai prodotti di tale classe, mentre tale riferimento si ritroverebbe nel corpo della decisione. Per quanto riguarda la lettera 19 agosto 2004, firmata dal relatore della commissione di ricorso, l’UAMI ritiene che tale lettera «debba essere considerata adeguata» e che non necessiti della firma degli altri membri della commissione di ricorso.

 Giudizio del Tribunale

 Osservazione in limine

41      Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in sostanza, un errore in quanto la commissione di ricorso avrebbe statuito ultra petitum, da un lato, rifiutando la registrazione del marchio richiesto per l’insieme dei prodotti rientranti nella classe 25, nonostante che l’interveniente avesse limitato la sua opposizione alla sola categoria degli «articoli di abbigliamento» di tale classe, e, dall’altro, respingendo la domanda di registrazione per i prodotti rientranti nelle classi 18 e 24, poiché neppure tali classi hanno costituito oggetto dell’opposizione.

 Sulla censura che deduce ultrapetizione della decisione impugnata per quanto riguarda «cappelleria» e «calzature» rientranti nella classe 25

42      Per quanto riguarda la prima censura, il Tribunale, in limine, rileva che l’UAMI riconosce che la commissione di ricorso ha statuito ultra petitum in quanto ha respinto la registrazione del marchio richiesto per la «cappelleria» e le «calzature», categorie di prodotti rientranti nella classe 25, che non costituivano oggetto dell’opposizione proposta dall’interveniente. L’UAMI, alla stregua del ricorrente, chiede ancora l’annullamento della decisione impugnata a tale titolo per violazione dell’art. 74, n. 1 del regolamento n. 40/94.

43      A questo proposito il Tribunale ricorda che, in deroga alla regola dell’esame di ufficio che disciplina i procedimenti dinanzi all’UAMI, l’art. 74, n. 1, in fine, del regolamento n. 40/94 limita l’esame dell’UAMI nei procedimenti aventi ad oggetto impedimenti relativi alla registrazione ai sensi dell’art. 8 del regolamento n. 40/94, ai motivi invocati dalle parti e alle domande da queste presentate. Questo limite del potere di esame dell’UAMI deriva dalla regola secondo la quale, nell’ambito di un procedimento dove si contrappongono gli interessi divergenti di due o più parti, in particolare nell’ambito di un procedimento di opposizione, rientra, in linea di principio, esclusivamente nel potere delle parti determinare – sia sul piano di merito che di diritto e fatto sempre salvo il rispetto delle norme di ordine pubblico – l’oggetto di un procedimento amministrativo o giurisdizionale che le contrappone, nonché la portata dei motivi che intendono dedurre in tale contesto. Pertanto, in assenza di un motivo fondato su un impedimento relativo alla registrazione sollevato da una parte o nell’ipotesi del ritiro o della limitazione ad opera di una parte di un siffatto motivo, l’UAMI non è autorizzato – fatta salva la presenza di un impedimento assoluto alla registrazione ai sensi dell’art. 7 del regolamento n. 40/94 – a esaminare d’ufficio gli elementi così esclusi dall’oggetto del procedimento e a respingere, sulla base di tali elementi, la registrazione del marchio richiesto (v., in questo senso, sentenze del Tribunale 1° febbraio 2005, causa T-57/03, SPAG/UAMI – Dann e Backer (HOOLIGAN), Racc. pag. II-287, punti 21 e 22; 25 maggio 2005, causa T‑288/03, TeleTech Holdings/UAMI – Teletech International (TELETECH GLOBAL VENTURES), Racc. pag. II-1767, punti 64-66, e 27 ottobre 2005, causa T-336/03, Éditions Albert René/UAMI – Orange (MOBILIX), Racc. pag. II-4667, punti 32-34].

44      Inoltre, per quanto riguarda la determinazione della portata della domanda di registrazione, l’art. 44, n. 1, del regolamento n. 40/94 dispone espressamente che il richiedente di un marchio comunitario può ritirare o limitare, con effetto obbligatorio, a posteriori e in qualsiasi momento, la detta domanda. Alla luce delle considerazioni esposte supra, al punto 43, il Tribunale considera che tale regola si applica mutatis mutandis qualora, nel corso del procedimento di opposizione, l’opponente limiti la portata dell’opposizione o qualora rinunci a un motivo da lui inizialmente dedotto a proprio favore.

45      Del resto, dalla lettura del combinato disposto dell’art. 43, n. 5, prima frase, dell’art. 62, n. 1, prima frase, e dell’art. 74, n. 1, in fine, del regolamento n. 40/94 risulta che la commissione di ricorso, nell’ambito di un ricorso proposto avverso una decisione della divisione di opposizione, può respingere la domanda di marchio comunitario solo nei limiti di quanto fatto valere dall’opponente nell’opposizione diretta contro la registrazione di tale marchio. La commissione di ricorso non può, infatti, statuire al di là dell’oggetto di opposizione (sentenza del Tribunale 14 ottobre 2003, causa T-292/01, Phillips-Van Heusen/UAMI – Pash Textilvertrieb und Einzelhandel (BASS), Racc. pag. II-4335, punto 24).

46      Si deve inoltre ricordare che, nella specie, da un lato, l’atto di opposizione riguardava inizialmente la totalità dei prodotti rientranti nella classe 25. Dall’altro lato, nella lettera 28 febbraio 2001 l’interveniente ha limitato l’opposizione nonché gli impedimenti relativi alla registrazione dedotti a proprio sostegno ai soli «articoli di abbigliamento» ai sensi della classe 25 e, pertanto, ha escluso dall’oggetto della detta opposizione i prodotti rientranti nelle categorie «cappellerie» e «calzature», della medesima classe. Tale limitazione dell’oggetto dell’opposizione è stata confermata dall’interveniente non solo nell’ambito del ricorso da essa proposto avverso la decisione della divisione di opposizione, ma anche, espressamente, nella lettera 9 gennaio 2006 in risposta ad un quesito scritto del Tribunale, nella quale l’interveniente comunica il suo eventuale accordo a che il marchio richiesto venga registrato soltanto per le «calzature» e la «cappelleria», cioè per tutti i prodotti con esclusione di quelli rientranti nella categoria «articoli di abbigliamento».

47      Da ciò consegue che la commissione di ricorso non aveva, in particolare con riferimento all’art. 74, n. 1, in fine, del regolamento n. 40/94, il potere di rifiutare la registrazione del marchio richiesto per tutte le categorie di prodotti rientranti nella classe 25. Per contro, avrebbe dovuto limitare la portata di tale rifiuto, ammesso che sia fondato, ai prodotti rientranti nella sola categoria degli «articoli di abbigliamento» coperti dalla domanda di registrazione al momento dell’adozione della decisione (v. punto 73, supra) e, in assenza di un impedimento assoluto alla registrazione, accogliere la domanda di registrazione per le categorie «cappellerie» e «calzature». Di conseguenza, estendendo illegittimamente la portata della sua decisione di rifiuto a prodotti e a impedimenti relativi alla registrazione non coperti dall’oggetto della controversia, quale fissato dalla domanda di registrazione, da un lato, e dall’opposizione, dall’altro, la commissione di ricorso ha statuito ultra petitum ed è incorsa in un errore che inficia la legittimità della decisione impugnata.

48      La prima censura del presente motivo relativo alla violazione dell’art. 74, n. 1, in fine, del regolamento n. 40/94 va pertanto accolta e, conformemente alle concordi domande delle parti, la decisione impugnata a tale titolo va annullata.

 Sulla censura che deduce ultrapetizione della decisione impugnata per quanto riguarda le classi 18 e 24

–       Sulla portata della decisione impugnata

49      A proposito della seconda censura, che deduce l’errore della commissione di ricorso in quanto ha statuito ultra petitum per aver respinto la domanda di registrazione per i prodotti rientranti nelle classi 18 e 24, il Tribunale rileva, innanzi tutto, che le due classi di cui trattasi, a differenza degli articoli di abbigliamento ai sensi della classe 25, non costituiscono oggetto dell’opposizione proposta dall’interveniente. Infatti, a seguito dell’atto di opposizione 21 dicembre 1999, la controversia con la quale la divisione di opposizione era stata adita era limitata alla questione circa l’esistenza di un rischio di confusione, ai sensi dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, tra il marchio richiesto e il marchio anteriore per i prodotti rientranti nella sola classe 25. Di conseguenza, la divisione di opposizione non ha tenuto conto, nella sua decisione, dei prodotti rientranti nelle classi 18 e 24 e ha respinto l’opposizione per mancanza di prova sufficiente dell’utilizzo serio del marchio anteriore per i prodotti della classe 25.

50      Si deve poi rilevare che, nella specie, dopo essere stata adita con un ricorso proposto dall’interveniente avverso la decisione della divisione di opposizione e, pertanto, dell’opposizione ai sensi dall’art. 62, n. 1, del regolamento n. 40/94, la commissione di ricorso ha esercitato le competenze della divisone di opposizione. Orbene, la commissione di ricorso, nella misura in cui si è sostituita alla detta divisione di opposizione ed è stata investita dalla controversia, era tenuta, esattamente come la divisione di opposizione, in virtù dell’art. 74, n. 1, in fine, del regolamento n. 40/94, a statuire unicamente nei limiti dell’opposizione. Pertanto, tenuto conto dell’assenza di opposizione per i prodotti rientranti nelle classi 18 e 24, la commissione di ricorso non era autorizzata a pronunciarsi sulla questione se il marchio richiesto poteva essere registrato per prodotti rientranti in tali classi.

51      Dal secondo punto del dispositivo della decisione impugnata, risulta però che la commissione di ricorso ha ciò nondimeno respinto la domanda di registrazione nella sua totalità, anche per i prodotti rientranti nelle classi 18 e 24. Orbene, dato che tali classi non costituivano oggetto dell’opposizione, e quindi della controversia per la quale la commissione di ricorso è stata adita, si deve constatare che quest’ultima, contrariamente a quanto prescritto dall’art. 74, n. 1, in fine, del regolamento n. 40/94, ha statuito, anche a tale titolo, ultra petitum ed è incorsa in un errore che inficia la legittimità della decisione impugnata.

–       Sulla portata della lettera 19 agosto 2004

52      Quanto constatato supra al punto 51 non è inficiato dalla lettera 19 agosto 2004 del relatore della commissione di ricorso con la quale il ricorrente veniva informato che la decisione impugnata verteva sulla sola classe 25 e che non vi erano ostacoli alla registrazione del marchio richiesto per i prodotti delle classi 18 e 24.

53      A proposito della lettera 19 dicembre 2004, il Tribunale in primo luogo considera che, sotto l’aspetto formale, è comunque escluso che il solo relatore possa revocare o rettificare a posteriori una decisione emessa dall’insieme del collegio della commissione di ricorso. Infatti, conformemente alla regola del parallelismo delle forme e dell’actus contrarius, che corrisponde ad un principio generale di diritto (v., in questo senso, sentenza del Tribunale 20 novembre 2002, causa T‑251/00, Lagardère e Canal+/Commissione, Racc. pag. II-4825, punto 130), una siffatta rettifica deve intervenire nello stesso modo della decisione iniziale. Pertanto spettava alla sola commissione di ricorso rettificare la decisione impugnata (v., in questo senso, sentenza BASS, punto 45 supra, punti 14 e 25). Del resto, quand’anche si supponesse che fosse possibile assimilare la lettera del 19 agosto 2004 alla correzione di un errore rientrante sotto la regola 53 del regolamento di esecuzione (v. punti 54 e 55 infra), tale regola esige, conformemente al principio generale qui sopra enunciato, che tali errori vengano rettificati «dall’organo che ha emesso la decisione», e cioè, nella specie, il collegio della commissione di ricorso e non il solo relatore. Di conseguenza, dato il carattere grave e manifesto dell’irregolarità da cui è inficiata, la lettera 19 agosto 2004 non ha prodotto alcun effetto giuridico sulla decisione impugnata e non può, pertanto, essere presa in considerazione dal Tribunale.

54      In secondo luogo, per quanto riguarda il contenuto della detta lettera, la precisazione con essa apportata non costituisce, come rilevato dal ricorrente, la rettifica di un errore linguistico o di trascrizione ovvero di un errore manifesto ai sensi della regola 53 del regolamento di esecuzione e, pertanto, non vale regolarizzazione dell’illegittimità derivante dal fatto che la commissione di ricorso non abbia statuito sulla domanda di registrazione nella sua integralità, quale risulta dal dispositivo e dalla motivazione della decisione impugnata.

55      Tenuto conto dell’importanza del carattere vincolante del dispositivo di una decisione definitiva pronunciata da un organo competente e in osservanza del principio della certezza del diritto, la regola che consente di apportare, in via eccezionale, ulteriori rettifiche a una siffatta decisione deve essere interpretata restrittivamente e, pertanto, limitata ad errori materiali evidenti, come il lapsus calami, la cui erroneità risulta chiaramente dal corpo della decisione stessa. Per tale ragione la regola 53 del regolamento di esecuzione prevede, alla stregua della formulazione restrittiva dell’art. 84, n. 1, del regolamento di procedura, a titolo esclusivo («unicamente»), taluni errori linguistici e di trascrizione che non incidono sulla portata e sulla sostanza della decisione adottata quale caratterizzata dal suo dispositivo e dalla sua motivazione, ma unicamente sulla sua forma. Pertanto, nella nozione di «errore manifesto» ai sensi della regola 53 del regolamento di esecuzione non rientra l’errore che inficia la legittimità della sostanza della decisione impugnata, che, nella specie, è dato dal fatto che la commissione di ricorso ha statuito ultra petitum.

56      Di conseguenza, anche la seconda censura va accolta e la decisione impugnata va annullata su questo punto.

57      Alla luce delle illegittimità nelle quali è incorsa la commissione di ricorso, il presente motivo va accolto e la decisione impugnata va annullata.

58      Considerate le domande del ricorrente, il Tribunale reputa necessario esaminare anche il secondo motivo.

 3. Sul motivo che deduce assenza di prove sufficienti sul serio utilizzo del marchio anteriore


 Argomenti delle parti

59      Il ricorrente ritiene, in sostanza, che l’interveniente non abbia sufficientemente dimostrato l’uso del marchio anteriore ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 43, nn. 2 e 3, al nono ‘considerando’ del regolamento n. 40/94 e alla regola 15, n. 1, del regolamento di esecuzione.

60      Il ricorrente sostiene che le prove presentate dall’interveniente non sono sufficienti a soddisfare il requisito di prova di cui all’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94. Ciò sarebbe in particolare vero per le due dichiarazioni solenni le quali sarebbero imprecise, in parte contraddittorie e fornirebbero soltanto cifre approssimative di vendita («più di 500 000 unità [recanti il marchio anteriore]» e «oltre 400 000 collant», per il 1996). Inoltre, il ricorrente sostiene che tali vaghe dichiarazioni sarebbero in contraddizione con i quantitativi sostanzialmente inferiori di collant da donna fatturati dalla Seibold nel corso dello stesso anno. Inoltre, il ricorrente contesta il regolare utilizzo da parte dell’interveniente del marchio anteriore quale asserito nelle dichiarazioni solenni. A questo proposito osserva che la prima dichiarazione solenne ha avuto ad oggetto «articoli di abbigliamento, in particolare calze da donna, collant, cappelli, cuffie, berretti e calzature» senza mettere in evidenza i collant, mentre la seconda dichiarazione solenne farebbe riferimento al fatto che l’utilizzo avrebbe avuto ad oggetto principalmente «collant da donna».

61      A proposito dei quantitativi di prodotti venduti con il marchio anteriore, il ricorrente invoca la giurisprudenza secondo la quale occorre tener conto, per valutare la serietà dell’utilizzo del marchio anteriore, del rapporto tra il fatturato realizzato dalle vendite dei prodotti con il marchio anteriore e il fatturato globale dell’impresa (sentenze del Tribunale 8 luglio 2004, causa T‑334/01, MFE Marienfelde/UAMI – Vétoquinol (HIPOVITON), Racc. pag. II-2787, punti 49-51, e causa T‑203/02, Sunrider/UAMI – Espadafor Caba (VITAFRUIT), Racc. pag. II-2811, punto 42). Il ricorrente considera infatti che la forza commerciale dell’interveniente – trattandosi della più grande rete commerciale di discount in Germania con oltre mille filiali e punti di vendita – sarebbe difficilmente conciliabile con l’uso ristretto del marchio anteriore, considerato, segnatamente, il notevole numero di altri prodotti commercializzati e il fatturato totale dell’interveniente.

62      A questo proposito, il ricorrente nega la pertinenza, riconosciuta invece dalla commissione di ricorso, delle apparizioni del marchio anteriore in annunci pubblicitari, che sarebbero rari e unicamente per bisogni di vendita in offerta speciale di prodotti di biancheria mischiati con altri prodotti. Sottolinea, inoltre, che solo sette degli annunci pubblicati nel corso di un periodo di cinque anni fanno riferimento al marchio anteriore, mentre l’interveniente pubblica, secondo il suo stesso dire, un totale di oltre 170 annunci alla settimana. Del resto, gli annunci contenuti in tre documenti versati agli atti non conterrebbero alcuna indicazione stampata dell’anno di riferimento, ma soltanto date manoscritte.

63      Rispondendo ad un quesito scritto del Tribunale, il ricorrente sostiene infine che l’interveniente, a seguito della limitazione da parte del ricorrente della domanda di registrazione, non ha, comunque, più alcun interesse ad agire in opposizione.

64      L’UAMI è del parere che l’interveniente abbia soddisfatto l’onere della prova dell’utilizzo del marchio anteriore che su di essa gravava e che a tal riguardo la commissione di ricorso non sia incorsa in errore di valutazione.

65      In risposta ad un quesito scritto del Tribunale, l’UAMI afferma inoltre che, malgrado la limitazione da parte del ricorrente della domanda di registrazione, l’interveniente conserva un interesse ad agire in opposizione «in ragione del permanere di un rischio di confusione con i prodotti» oggetto della domanda di registrazione.

66      Rispondendo al medesimo quesito scritto, l’interveniente, dal suo canto, rileva che la limitazione della domanda di registrazione operata dal ricorrente non può considerarsi sufficiente, dal momento che i prodotti rientranti nella categoria degli «articoli di abbigliamento», anche con la limitazione introdotta, e i prodotti del marchio anteriore sarebbero somiglianti. L’interveniente deduce inoltre che, qualora la domanda di registrazione fosse respinta per gli «articoli di abbigliamento» globalmente, potrebbe dare il suo assenso alla registrazione del marchio richiesto per gli altri prodotti «purché non le vengano poste a carico le spese processuali» dato che, in tal caso, l’opposizione perderebbe il suo oggetto e l’interveniente non avrebbe più interesse ad agire.

 Giudizio del Tribunale


 Osservazioni in limine

67      Con il secondo motivo, il ricorrente sostiene, in sostanza, che l’interveniente non avrebbe sufficientemente dimostrato l’utilizzo serio del marchio anteriore nel corso dei cinque anni che hanno preceduto la pubblicazione della domanda di registrazione. In limine va ricordato che la commissione di ricorso ha ritenuto provato il carattere serio dell’utilizzo del marchio anteriore e annullato la decisione della divisione di opposizione su tale punto.

68      Si deve poi constatare che dal nono ‘considerando’ del regolamento n. 40/94 risulta che la protezione di un marchio anteriore è giustificata solo nella misura in cui questo sia stato effettivamente utilizzato. Pertanto, l’art. 43, nn. 2 e 3, del regolamento n. 40/94 prevede che il richiedente di un marchio comunitario può chiedere la prova che il marchio anteriore sia stato seriamente utilizzato nel corso dei cinque anni che precedono la pubblicazione della domanda di marchio oggetto di un’opposizione (sentenza del Tribunale 12 dicembre 2002, causa T‑39/01, Kabushiki Kaisha Fernandes/UAMI – Harrison (HIWATT), Racc. pag. II-5233, punto 34). Inoltre, tale utilizzo serio deve essere dimostrato «per i prodotti o i servizi per i quali il marchio anteriore è stato registrato e sui quali si fonda l’opposizione». Infine, dall’art. 43, n. 2, ultima frase, del regolamento n. 40/94 risulta che, se il marchio comunitario anteriore è stato utilizzato solo per una parte dei prodotti e servizi per i quali è stato registrato, ai fini dell’esame dell’opposizione si intende registrato solo per tale parte dei prodotti o servizi.

69      Nella specie, a seguito della richiesta di prova del ricorrente, l’interveniente era invitata a provare l’utilizzo in Germania, durante il periodo dal 4 ottobre 1994 al 3 ottobre 1999 – essendo la data di pubblicazione della domanda di registrazione sul Bollettino dei marchi comunitari il 4 ottobre 1999 –, del marchio anteriore relativo agli «articoli di abbigliamento» rientranti nella classe 25, prodotti nei cui confronti essa ha proposto e mantenuto l’opposizione.

70      A questo proposito, si deve esaminare, innanzi tutto, l’argomento del ricorrente secondo il quale, a seguito dell’esclusione dalla sua domanda di registrazione di taluni prodotti della categoria degli «articoli di abbigliamento», ivi compresi i «collant da donna», per i quali l’interveniente ha prodotto documenti per dimostrare l’utilizzo del marchio anteriore, sarebbe venuto meno l’oggetto dell’opposizione e, pertanto, l’interesse dell’interveniente a continuare la sua opposizione.

 Sull’interesse dell’interveniente ad agire in opposizione

–       Sulla portata dell’oggetto della controversia

71      Il Tribunale constata, in primo luogo, che il marchio anteriore era stato registrato, segnatamente, per gli «articoli di abbigliamento, in particolare, calze da donna e collant», e che l’interveniente ha affermato di aver utilizzato tale marchio in particolare per «i collant, le calze da donna, le calze da uomo, i fuseaux e le mutande da donna». Va poi ricordato che l’interveniente ha presentato elementi di prova dell’utilizzo del marchio anteriore per i detti prodotti dinanzi alla divisione di opposizione e che questa li ha dichiarati insufficienti. Dinanzi alla commissione di ricorso l’interveniente ha precisato che, «al fine di semplificare il procedimento di opposizione», l’opposizione sarebbe stata limitata ai prodotti «collant da donna» ai fini della produzione delle prove dell’utilizzo, pur affermando che «potrebbe fornire ulteriori prove per gli altri prodotti nel caso in cui il ricorrente dovesse limitare ulteriormente il suo elenco di prodotti». L’interveniente ha infine concluso per il rifiuto della domanda di registrazione per quanto riguarda la categoria «articoli di abbigliamento» nel suo insieme.

72      Da ciò consegue che, se è vero che l’interveniente ha mantenuto in pieno la sua opposizione nei confronti dei prodotti inclusi nella categoria «articoli di abbigliamenti rientranti nella classe 25 nel loro insieme, ha ciò nondimeno rinunciato a sottoporre, nel corso del procedimento dinanzi alla commissione di ricorso, documenti giustificativi che dimostrino l’utilizzo serio del marchio anteriore per tutti i detti prodotti, limitandosi a fornire elementi di prova per i soli «collant da donna».

73      Si deve in secondo luogo osservare che, a seguito dell’opposizione dell’interveniente, il ricorrente ha espressamente escluso dalla sua domanda di registrazione «le calze da donna, le calze da uomo, i collant, i fuseaux e gli slip», mantenendo ferma la domanda per quanto riguarda gli altri prodotti rientranti nella classe 25, ivi compresi quelli rientranti nella categoria degli «articoli di abbigliamento». A questo proposito, le parti hanno confermato, rispondendo a quesiti scritti rivolti dal Tribunale, che i prodotti di cui l’interveniente asserisce di aver fatto regolare utilizzo sotto il marchio anteriore, e cioè i «collant, i gambaletti, i calzini, i fuseaux e le mutande da donna», sono identici a quelli esclusi dalla domanda di registrazione.

74      Occorre pertanto esaminare le conseguenze giuridiche di tale limitazione della domanda di registrazione ai fini della portata dell’oggetto della controversia che oppone il ricorrente all’interveniente.

–       Sugli effetti della limitazione della domanda di registrazione

75      Il Tribunale rileva innanzi tutto che l’esclusione dalla domanda di registrazione di «calze da donna, calze da uomo, collant, fuseaux e slip» ha avuto la conseguenza di limitare in termini giuridicamente vincolanti, conformemente all’art. 44, n. 1, del regolamento n. 40/94, l’elenco dei prodotti coperti dalla domanda di registrazione.

76      È tuttavia pacifico che il ricorrente ha mantenuto la domanda di registrazione per gli altri prodotti compresi nella categoria degli «articoli di abbigliamento», rientranti nella classe 25. Pertanto, dato che l’opposizione si dirige nei confronti della registrazione del marchio richiesto per gli «articoli di abbigliamento» in generale, la limitazione della domanda di registrazione di cui al punto 75 supra non può privare l’interveniente del suo interesse ad agire in opposizione. Infatti, quand’anche si supponesse che gli articoli di abbigliamento designati, da un lato, dal marchio richiesto e, dall’altro, dal marchio anteriore non fossero identici, non sarebbe da escludere di primo acchito un rischio di confusione tra questi due marchi, che può risultare sia da un’eventuale somiglianza tra i «collant da donna» e altri prodotti della categoria «articoli di abbigliamento», che continuano a costituire l’oggetto della domanda di registrazione, sia da un’identità o da una somiglianza dei segni di cui trattasi.

77      Questa valutazione è confermata dalla costante giurisprudenza relativa al confronto, nell’ambito della valutazione del rischio di confusione, dei prodotti e servizi di cui trattasi. Siffatto confronto implica che si tenga conto di tutti i fattori pertinenti che caratterizzano il rapporto tra i prodotti o servizi, ivi compresa la loro natura, la loro destinazione, il loro utilizzo nonché il loro carattere concorrente o complementare (v. sentenza del Tribunale 23 ottobre 2002, causa T‑388/00, Institut für Lernsysteme/UAMI – Educational Services (ELS), Racc. pag. II-4301, punto 51 e giurisprudenza ivi citata). Orbene, a tal riguardo, secondo la giurisprudenza, tali prodotti o servizi non devono necessariamente rientrare sotto la medesima classe ovvero sotto una stessa categoria in seno ad una determinata classe, per poter costituire validamente l’oggetto di un confronto e consentire di concludere per l’esistenza o l’assenza di una somiglianza tra tali prodotti o servizi (v. sentenze del Tribunale 13 luglio 2004, causa T‑115/02, AVEX/UAMI – Ahlers (a), Racc. pag. II-2907, punti 24-27, e 15 marzo 2006, causa T-31/04, Eurodrive Services and Distribution/UAMI – Gómez Frías (euromaster), non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 3-5 e 31 e segg., relative alla somiglianza tra le calzature e gli articoli di abbigliamento).

78      Di conseguenza, fatto salvo il carattere sufficientemente omogeneo della nozione di «articoli di abbigliamento» (v. punto 92 infra), l’argomento del ricorrente secondo il quale, a seguito della limitazione della sua domanda di registrazione, all’opposizione sarebbe venuto meno l’oggetto e quindi all’interveniente l’interesse ad agire in opposizione è infondato e va respinto.

79      Si deve pertanto accertare se, producendo documenti giustificativi relativi ai «collant da donna» l’interveniente abbia sufficientemente dimostrato l’utilizzo del marchio anteriore.

 Sulla prova dell’utilizzo del marchio anteriore

–       Osservazioni in limine

80      In limine, a questo proposito vanno ricordate le disposizioni di cui alla regola 22, n. 2, del regolamento di esecuzione, secondo le quali «le informazioni, le prove e i documenti necessari per dimostrare l’utilizzazione sono costituiti da informazioni relative al luogo, al tempo, alla estinzione e alla natura dell’utilizzazione del marchio anteriore per i prodotti e i servizi per i quali esso è registrato e sui quali si fonda l’opposizione».

81      Secondo una giurisprudenza costante, la prova dell’utilizzo serio del marchio anteriore ai sensi dell’art. 43, nn. 2 e 3, del regolamento n. 40/94 nonché della regola 22, nn. 2 e 3, del regolamento di esecuzione richiede, in particolare, che il detto marchio, quale tutelato nel territorio pertinente, venga utilizzato in pubblico e verso l’esterno. La verifica della serietà dell’utilizzo del marchio anteriore deve prendere in considerazione tutti i fatti e le circostanze che possono provare l’effettività del suo sfruttamento commerciale, segnatamente gli usi considerati giustificati nel settore economico interessato, per mantenere o trovare quote di mercato per i prodotti ovvero i servizi tutelati dal detto marchio, la natura di tali prodotti o servizi, le caratteristiche del mercato, l’ampiezza e la frequenza dell’utilizzo del detto marchio (v., in questo senso, sentenza del Tribunale 7 giugno 2005, causa T-303/03, Lidl Stiftung/UAMI – REWE‑Zentral (Salvita), Racc. pag. II-1917, punti 36 e 37 e giurisprudenza ivi citata).

82      Per quanto riguarda l’importanza dell’utilizzo del marchio anteriore, va tenuto conto, tra l’altro, del volume commerciale dell’insieme degli atti di utilizzo, da un lato, e della durata del periodo durante il quale atti di utilizzo sono stati compiuti, nonché della frequenza di tali atti, dall’altro. Inoltre, a questo proposito si deve procedere ad una valutazione globale, tenendo conto di tutti i fattori pertinenti nel caso di specie. Questa valutazione implica una certa interdipendenza tra i fattori presi in considerazione. Pertanto, un debole volume di prodotti commercializzati sotto il detto marchio può essere compensato da una forte intensità o da una certa costanza nel tempo dell’uso di tale marchio e viceversa. Inoltre, il fatturato realizzato nonché la quantità di prodotti venduti sotto il marchio anteriore non possono essere valutati in assoluto, ma debbono esserlo in rapporto con altri fattori pertinenti, come il volume dell’attività commerciale, le capacità di produzione o di commercializzazione o il grado di diversificazione dell’impresa che sfrutta il marchio, nonché le caratteristiche dei prodotti o servizi sul mercato di cui trattasi. Di conseguenza, non è necessario che l’utilizzo del marchio anteriore sia sempre quantitativamente importante perché possa essere qualificato come serio (v. sentenza HIPOVITON, punto 61 supra, punti 35 e 36 e giurisprudenza ivi citata).

–       Sulla prova dell’utilizzo del marchio anteriore per i «collant da donna»

83      Il Tribunale ricorda che, dinanzi alla divisione di opposizione, l’interveniente ha prodotto una serie di documenti diretti a dimostrare l’utilizzo del marchio anteriore per «articoli di abbigliamento, in particolare calze da donna (e) collant; cappelli, cuffie, berretti; calzature» nonché la prima dichiarazione solenne. Da questa prima dichiarazione solenne si apprende che l’interveniente utilizza il marchio anteriore per i detti prodotti, quanto meno, dall’11 novembre 1992 e che, per esempio durante il 1996 avrebbe venduto 500 000 unità di tali prodotti etichettati. Inoltre, tra tali documenti figurano, tra l’altro, depliant contenenti annunci pubblicitari per collant, slip e calze da donna con il marchio MANOU, distribuiti durante gli anni dal 1996 al 1999. A questo proposito il Tribunale ricorda che, contrariamente al parere del ricorrente e a quello della divisione di opposizione, da tali annunci risulta direttamente che questi sono stati pubblicati durante gli anni considerati e che, pertanto, l’aggiunta di date manoscritte su due documenti non può rimetterne in dubbio il carattere probatorio. Del resto, l’interveniente ha prodotto fatture emesse dalla Seibold aventi ad oggetto la fornitura all’interveniente di prodotti marchiati MANOU in date 18 gennaio, 3 aprile e 19 giugno 1995, 7 marzo e 5 luglio 1996, 19 dicembre 1996, nonché 7 febbraio, 12 maggio e 7 agosto 1997. Infine, l’interveniente ha prodotto tre scatole ed etichette non datate per collant da donna che recano il marchio anteriore.

84      Dinanzi alla commissione di ricorso, l’interveniente ha prodotto la seconda dichiarazione solenne nella quale viene tra l’altro precisato che, nel corso del 1996, sarebbero stati venduti nelle filiali tedesche dell’interveniente oltre 400 000 collant da donna. Inoltre, l’interveniente ha prodotto un annuncio pubblicitario per collant da donna in data 12 gennaio 1998, apparso sul quotidiano Nürnberger Nachrichten, nonché documenti che dimostrano che l’interveniente, in quanto distributore delle merci al consumatore finale tramite supermercati detti «discount», dispone in Germania di una rete di oltre 1 000 filiali e che il 60% delle calze da donna, dei gambaletti e dei collant da donna venduti in Germania sono smerciati attraverso il canale commerciale dei generi alimentari.

85      Alla luce di quanto precede, il Tribunale considera che, per quanto riguarda i collant da donna, l’interveniente ha prodotto, nel corso del procedimento di opposizione, una serie di elementi probatori ai sensi della regola 22, nn. 2 e 3, del regolamento di esecuzione sufficienti a dimostrare, conformemente all’art. 43, n. 2, del regolamento n. 40/94, il serio utilizzo del marchio anteriore durante gli anni dal 1995 al 1999 e che a tale titolo la valutazione della commissione di ricorso non è inficiata da errore.

86      A questo proposito, il Tribunale rileva, innanzi tutto, che i documenti giustificativi prodotti, in particolare gli annunci pubblicitari, coprono integralmente tale periodo. Parimenti, le fatture emesse dalla Seibold negli anni dal 1995 al 1997 hanno ad oggetto la vendita all’interveniente di quantitativi sostanziali di prodotti etichettati MANOU, i quali confermano l’utilizzo effettivo, da parte di quest’ultima, del marchio anteriore durante il detto periodo. A tal titolo, il fatto che l’interveniente non abbia prodotto fatture della Seibold per gli anni 1998 e 1999 non rimette in discussione tale constatazione, dato che gli elementi probatori vanno valutati nel loro insieme. Il Tribunale considera infatti che i documenti sopra considerati, in combinazione con i campioni di scatole o etichette per collant da donna etichettati MANOU, costituiscono un insieme di elementi sufficientemente concreti ed oggettivi tali da fornire una dimostrazione sufficiente dell’utilizzo effettivo e regolare del marchio anteriore da parte dell’interveniente nonché della serietà di tale utilizzo nel corso del periodo di cinque anni che precede la pubblicazione della domanda di registrazione. Infine, il fatto che l’interveniente abbia regolarmente offerto i propri prodotti etichettati col marchio MANOU, mediante annunci pubblicitari diffusi in numero considerevole (170 alla settimana) su quotidiani regionali, costituisce un altro indizio importante del serio utilizzo del marchio anteriore durante tale periodo.

87      Inoltre, tenuto conto della natura dell’attività commerciale gestita dall’interveniente, e cioè la vendita al dettaglio al consumatore finale in numerose filiali di tipo supermercato o «discount», i documenti giustificativi di cui supra ai punti 83 e 84 debbono considerarsi prove tanto adeguate quanto sufficienti.

88      Parimenti, non può risultare fruttuoso l’argomento del ricorrente secondo cui la quota di prodotti del marchio anteriore venduti non sarebbe sufficiente rispetto al fatturato e alla forza commerciale dell’interveniente. Al contrario, le fatture della Seibold indicano che l’interveniente ha ordinato, a intervalli regolari, quantitativi importanti (tra 1 400 e 3 000) unità di prodotti etichettati MANOU, che la totalità di tali ordini ammonta, sulla base delle fatture presentate, a circa 35 000 esemplari, venduti tra il 1995 e il 1997. Inoltre, la seconda dichiarazione solenne prodotta dall’interveniente fa riferimento a un quantitativo totale di 400 000 collant da donna etichettati MANOU venduti nel 1996 e attesta l’utilizzo regolare del marchio anteriore dal 1992. Inoltre, come ammesso dalla giurisprudenza relativa all’art. 76, n. 1, lett. f), del regolamento n. 40/94 e alla regola 22 del regolamento di esecuzione, dichiarazioni solenni aventi carattere probatorio in forza della normativa nazionale costituiscono, in linea di principio, mezzi di prova ricevibili nell’ambito di un procedimento di opposizione (v., in questo senso, sentenza Salvita, punto 81 supra, punto 40), senza che si renda necessario, con riferimento all’insieme dei documenti giustificativi disponibili, verificarne l’esatta portata nel caso di specie.

89      Di conseguenza, l’utilizzo serio del marchio anteriore per «collant da donna» deve considerarsi provato.

 c) Sulla portata della prova dell’utilizzo

90      Il Tribunale considera tuttavia che, nella specie, dalla prova dell’utilizzo del marchio anteriore per i soli «collant da donna» non consegue la prova, ai sensi dell’art. 43, n. 2, ultima frase, del regolamento n. 40/94, dell’utilizzo del marchio anteriore per l’insieme dei prodotti coperti dalla categoria «articoli di abbigliamento», rientranti nella classe 25, categoria sulla quale si fonda l’opposizione.

91      Dalla giurisprudenza del Tribunale risulta che, qualora un marchio sia stato registrato per una categoria di prodotti sufficientemente ampia affinché, nel suo ambito, possano essere distinte varie sottocategorie inquadrabili autonomamente, la prova della seria utilizzazione del marchio per una parte di tali prodotti comporta la tutela, nell’ambito di un procedimento di opposizione, unicamente per la o le sottocategorie cui appartengono i prodotti per i quali il marchio è stato effettivamente utilizzato. Per contro, qualora un marchio sia stato registrato per prodotti definiti in modo talmente preciso e circoscritto che non sia possibile, operare suddivisioni significative all’interno della relativa categoria, la prova della seria utilizzazione del marchio per tali prodotti ricomprende necessariamente, ai fini dell’opposizione, l’intera categoria medesima. Infatti, se è pur vero che la nozione di utilizzo parziale ai sensi dell’art. 43, n. 2, ultima frase, del regolamento n. 40/94 è diretta a non rendere indisponibili marchi di cui non si sia fatto utilizzo per una determinata categoria di prodotti, tale nozione non deve, tuttavia, produrre l’effetto di privare il titolare del marchio anteriore di qualsiasi protezione per prodotti che, senza essere rigorosamente identici a quelli per i quali ha potuto provare una seria utilizzazione, non differiscono sostanzialmente da questi ed appartengono ad uno stesso gruppo non altrimenti suddivisibile se non in modo arbitrario. A tal riguardo si deve rilevare che è praticamente impossibile per il titolare di un marchio fornire la prova dell’utilizzo del marchio medesimo per tutte le varianti immaginabili dei prodotti oggetto della registrazione. Conseguentemente, la nozione di «parte dei prodotti» ai sensi della disposizione sopra menzionata non contempla tutte le declinazioni commerciali di prodotti analoghi, bensì unicamente prodotti sufficientemente differenziati per poter costituire categorie o sottocategorie coerenti (sentenza del Tribunale 14 luglio 2005, causa T-126/03, Reckitt Benckiser (España)/UAMI – Aladin (ALADIN), Racc. pag. II-2861, punti 44-46).

92      Alla luce di tale giurisprudenza, il Tribunale constata che i gruppi di prodotti coperti dalla categoria degli «articoli di abbigliamento» non sono sufficientemente omogenei e, quindi, idonei ad essere coperti da un’eventuale prova dell’utilizzo del marchio anteriore fornita soltanto per i «collant da donna». In particolare, l’eventuale prova dell’utilizzo del marchio anteriore per gli abbigliamenti intimi «collant», ivi compresi, se del caso le «calze da donna» e le «calze da uomo» e, in una certa misura, i «fuseaux» e gli «slip» non può essere considerata prova sufficiente dell’utilizzo per quanto riguarda l’insieme dei gruppi di prodotti rientranti nella categoria degli «articoli di abbigliamento», in particolare, per quanto riguarda gruppi di abiti come i pantaloni, le camicie, i pullover o le giacche, specie quando sono destinati ad essere portati da uomini. Il Tribunale considera che questi ultimi gruppi di prodotti costituiscono, nell’ambito della categoria degli «articoli di abbigliamento», sottocategorie sufficientemente autonome e distinte ai sensi della giurisprudenza sopra citata al punto 91.

93      Da ciò consegue che, a tenore dell’art. 43, n. 2, ultima frase, del regolamento n. 40/94, il marchio anteriore è ritenuto registrato ai fini dell’opposizione solo per la parte dei prodotti per i quali il serio utilizzo di tale marchio è stato dimostrato, e cioè, nella specie, la sottocategoria dei «collant da donna», ivi compresi eventualmente altri indumenti intimi destinati ad essere portati da donne, come le «calze da donna», le «mezze calze» i «fuseaux» e gli «slip». Per quanto riguarda gli altri gruppi di prodotti rientranti nella categoria degli articoli di abbigliamento, invece, non è dimostrato il serio utilizzo del marchio anteriore.

94      Pertanto, la valutazione di un eventuale rischio di confusione tra il marchio anteriore e il marchio richiesto va limitata, per quanto riguarda l’eventuale somiglianza dei prodotti di cui trattasi, ai prodotti per i quali è stata fornita la prova dell’utilizzazione (v., in questo senso, sentenze del Tribunale ELS, punto 77 supra, punto 50; 1° marzo 2005, causa T‑169/03, Sergio Rossi/UAMI – Sissi Rossi (SISSI ROSSI), Racc. pag. II-685, punto 48, e 24 novembre 2005, causa T‑346/04, Sadas/UAMI – LTJ Diffusion (ARTHUR ET FELICIE), non ancora pubblicata nella Raccota, punto 35), cioè, nella specie, i prodotti rientranti nella sottocategoria «collant da donna».

95      Ne consegue che, fatte salve le precisazioni cui supra ai punti 90‑94, il secondo motivo deve essere respinto.

 4. Sul motivo che deduce assenza di rischio di confusione ai sensi dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94


 Argomenti delle parti

96      Il ricorrente ritiene che la commissione di ricorso, avendo ritenuto erroneamente l’esistenza di una somiglianza tra i marchi e tra i prodotti di cui trattasi e quindi un rischio di confusione ai sensi dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, ha violato i requisiti posti a tal riguardo dalla giurisprudenza. Il ricorrente invoca in particolare le sentenze della Corte 29 settembre 1998, causa C-39/97, Canon (Racc. pag. I-5507, punto 29), e 22 giugno 1999, causa C-342/97, Lloyd Schuhfabrik Meyer (Racc. pag. I‑3819, punto 17), e le sentenze Tribunale 23 ottobre 2002, causa T‑104/01, Oberhauser/UAMI – Petit Liberto (Fifties) (Racc. pag. II-4359, punto 25); 30 giugno 2004, causa T-186/02, BMI Bertollo/UAMI – Diesel (DIESELIT) (Racc. pag. II-1887, punto 34); e causa T-281/02, Norma Lebensmittelfilialbetrieb/UAMI (Mehr für Ihr Geld) (Racc. pag. II-1915, punto 24), e 6 luglio 2004, causa T‑117/02, Grupo El Prado Cervera/UAMI – Héritiers Debuschewitz (CHUFAFIT) (Racc. pag. II-2073, punto 37).

97      Inoltre, il ricorrente rileva che la commissione di ricorso non avrebbe valutato il rischio di confusione in modo globale prendendo in considerazione tutti gli elementi della specie, tra cui la possibilità di compensare un debole grado di somiglianza tra i prodotti o i servizi designati con un elevato grado di somiglianza tra i marchi e viceversa. A questo proposito il ricorrente invoca, in particolare, la sentenza Canon, punto 96 supra, punto 16, e la sentenza del Tribunale 9 luglio 2003, causa T-162/01, Laboratorios RTB/UAMI – Giorgio Beverly Hills (GIORGIO BEVERLY HILLS) (Racc. pag. II-2821, punto 32). La commissione di ricorso non avrebbe neppure tenuto conto della giurisprudenza secondo la quale il rischio di confusione è tanto più elevato quanto più importante è il carattere distintivo del marchio anteriore e viceversa. A questo proposito il ricorrente si avvale, in particolare, delle sentenze del Tribunale 15 gennaio 2003, causa T‑99/01, Mystery Drinks/UAMI – Karlsberg Brauerei (MYSTERY) (Racc. pag. II‑43, punto 34), e 4 novembre 2003, causa T-85/02, Díaz/UAMI – Granjas Castelló (CASTILLO) (Racc. pag. II-4835, punti 43 e 44).

98      Secondo il ricorrente, innanzi tutto, il marchio anteriore è non solo sconosciuto ai consumatori tedeschi ma altresì non percepibile perché confinato a un ruolo molto marginale nell’attività commerciale della grande catena di distribuzione dell’interveniente. Osserva inoltre che un’ipotetica somiglianza tra i marchi e i prodotti di cui trattasi non è sufficiente a creare un rischio di confusione, tenuto conto, da un lato, di un pubblico molto attento alla griffe e, dall’altro, sotto un aspetto generale, dell’interdipendenza tra la somiglianza dei marchi e quella dei prodotti.

99      Il ricorrente ritiene inoltre che la commissione di ricorso avrebbe dovuto valutare il rischio di confusione dei marchi di cui trattasi, tenendo conto dell’insieme dei criteri pertinenti, e cioè la somiglianza visiva, fonetica e concettuale dei marchi in causa.

100    Per quanto riguarda la somiglianza visiva, la commissione di ricorso avrebbe rilevato l’esistenza di una siffatta somiglianza risultante dal fatto che, in primo luogo, quattro delle cinque lettere del marchio anteriore farebbero egualmente parte integrante del marchio richiesto, che, in secondo luogo, le prime tre nonché l’ultima lettera degli elementi verbali di cui trattasi sarebbero identiche; che, in terzo luogo, il marchio anteriore sarebbe un marchio denominativo utilizzabile sotto qualsiasi forma grafica; e che, in quarto luogo, solo la prima delle tre parole del marchio richiesto attirerebbe l’attenzione del consumatore e verrebbe memorizzata (punto 18 della decisione impugnata).

101    Il ricorrente nega, in particolare, che la triplice ripetizione dell’elemento verbale «MANOU» sia priva di effetto sulla percezione del consumatore. Secondo il ricorrente è proprio la ripetizione dell’elemento visivo del segno MANŪ MANU MANU che sarebbe l’elemento più caratteristico che attira l’attenzione del consumatore e che si imprime nella sua memoria.

102    Per quanto riguarda l’asserita somiglianza fonetica, il ricorrente ritiene che il confronto non deve essere fatto tra gli elementi denominativi «manou» e «manu» ma che deve essere fatto tra gli elementi denominativi «manou» e «manū manu manu». Respinge quindi la constatazione della commissione di ricorso secondo la quale l’abitudine del consumatore di citare soltanto il primo dei termini ripetuti sarebbe corrente. Inoltre il ricorrente respinge l’affermazione secondo la quale, in lingua tedesca, la combinazione delle lettere «ou» si pronuncerebbe come la lettera «u» senza accento. Secondo il ricorrente si tratta di parole straniere rispetto alla lingua tedesca e comunque «in nessuna di esse la combinazione è posta in fondo, ciò che permetterebbe di determinare se la parola [vada] pronunciata in lingua tedesca con l’accento finale oppure no». Il ricorrente aggiunge che il marchio richiesto presenta, in fondo alla prima delle tre parole ripetute, un accento sulla prima «ū» e che, di conseguenza, l’ipotetica pronuncia in tedesco dell’elemento verbale «manou» senza accento contribuirebbe a escludere il rischio di confusione. Infine, il ricorrente sostiene che la commissione di ricorso non avrebbe considerato il fatto che il grado di somiglianza fonetica tra due marchi ha importanza ridotta nel caso di prodotti commercializzati in modo che, al momento dell’acquisto, il pubblico rilevante percepisca in modo visivo il marchio che li designa. Cita a questo proposito la sentenza BASS, punto 45 supra, punto 55.

103    Il ricorrente contesta inoltre la valutazione della commissione di ricorso relativa all’assenza di differenza concettuale tra i termini «manou» e «manu», dato che il primo termine sarebbe conosciuto anche in Germania come un nome di donna diminutivo di Manuelle e che il secondo richiama il concetto di «mano», derivato, tra l’altro, dalla locuzione latina brevi manu. In ogni caso la commissione di ricorso avrebbe sottovalutato l’importanza della triplice ripetizione della parola manu come l’aspetto di più colpisce dal punto di vista del consumatore.

104    Per quanto riguarda la comparazione dei prodotti, secondo il ricorrente proprio la differenza tra i prodotti e la scarsissima rilevanza dell’utilizzo confermano la mancanza di confusione. Il ricorrente sostiene che, nonostante gli elementi lessicali comuni tra i due marchi in questione, nessun consumatore, vedendo il marchio MANŪ MANU MANU, verrebbe indotto ingannevolmente a pensare che determinati articoli di abbigliamento di moda, quali le calzature o i cappelli, possano essere assimilati a collant per donna venduti nelle filiali dell’interveniente. Il ricorrente afferma che a tale proposito la commissione di ricorso non avrebbe tenuto conto della sentenza Canon, punto 96 supra (punto 23), secondo la quale, per valutare la somiglianza tra i prodotti o servizi in questione, si sarebbe dovuto tener conto di tutti i fattori pertinenti che caratterizzano il rapporto tra i prodotti o i servizi. Tali fattori includerebbero, in particolare, la loro natura, destinazione, utilizzazione e funzione concorrente o complementare.

105    Il ricorrente ritiene che la commissione di ricorso, sebbene abbia giustamente negato l’identità dei prodotti, in quanto i prodotti coperti dal marchio anteriore erano espressamente esclusi nell’ambito della domanda di registrazione, avrebbe non di meno sostenuto erroneamente che i collant e la maggior parte degli articoli di abbigliamento diversi dai collant sarebbero somiglianti a questi ultimi unicamente perché si tratta, in tutti i detti casi, di capi di biancheria, realizzati in materia tessile, che rispondono al bisogno di coprire il corpo e sono diretti a un pubblico comune di consumatrici.

106    Per quanto riguarda la nozione di «articoli di abbigliamento» ai sensi della classe 25, il ricorrente sostiene che quest’ultima non può essere interpretata in senso lato. A tale proposito afferma in primo luogo che, se così fosse, le specificazioni e le limitazioni della classe 25 non avrebbero alcun senso; in secondo luogo, che non tutti gli articoli di abbigliamento sarebbero realizzati in materia tessile; e che, infine, nella società attuale tali articoli, ad esempio gli accessori di moda, non svolgerebbero più la funzione primordiale di «coprire il corpo». Di conseguenza, la destinazione e l’utilizzazione dei collant per donna non possono venire genericamente e semplicisticamente assimilate a quelle di altri articoli di abbigliamento solo per il fatto di coprire il corpo.

107    Il ricorrente sostiene inoltre che l’affermazione secondo cui la clientela potenziale sarebbe identica non sarebbe esatta. L’interveniente stessa avrebbe insistito sul fatto che i collant recanti il marchio MANOU sarebbero venduti nelle sue filiali e che non vi sarebbe traccia di alcun altro canale di vendita. Inoltre, l’interveniente avrebbe depositato un documento che dimostra che più del 60% di tutte le calze da donna, dei gambaletti e dei collant venduti in Germania sarebbe venduto attraverso il canale della distribuzione alimentare.

108    Per quanto riguarda la somiglianza tra i collant e le calzature, il ricorrente ritiene che il comportamento di acquisto del consumatore riguardo alle calzature sarebbe meno determinato dal bisogno di coprire i piedi e di proteggerli contro il freddo che da funzioni estetiche. Inoltre, il ricorrente afferma che non gli risulta che in Germania esista un costume commerciale per cui calzature e collant sarebbero venduti come prodotti complementari nei medesimi punti di vendita. Il ricorrente rileva infine che, contrariamente a quanto affermato dalla commissione di ricorso (punto 23 della decisione impugnata), la differenza tra cappelleria e collant sarebbe ancora più evidente, tenuto conto dei differenti tessuti utilizzati, nonché delle diverse parti del corpo umano ricoperte.

109    L’UAMI ritiene che è evidente che entrambe le condizioni relative alla somiglianza dei segni e all’affinità dei prodotti previste dall’art. 8, n. 1, del regolamento n. 40/94 affinché sussista un rischio di confusione presso il pubblico di riferimento sono nel caso di specie riunite.

 Giudizio del Tribunale

 Osservazioni in limine

110    A tenore dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, in seguito all’opposizione del titolare di un marchio anteriore, il marchio richiesto è escluso dalla registrazione se, a causa dell’identità o della somiglianza di detto marchio col marchio anteriore e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi per i quali i due marchi sono stati richiesti, sussiste un rischio di confusione per il pubblico nel cui territorio il marchio anteriore è tutelato.

111    Secondo costante giurisprudenza, costituisce rischio di confusione la possibilità che il pubblico possa credere che i prodotti o i servizi in questione provengano dalla stessa impresa o eventualmente da imprese economicamente legate tra loro (v. sentenza GIORGIO BEVERLY HILLS, punto 97 supra, punto 30 e giurisprudenza ivi citata).

112    Secondo questa stessa giurisprudenza, il rischio di confusione deve essere valutato globalmente, secondo la percezione che il pubblico di riferimento ha dei segni e dei prodotti o servizi, prendendo in considerazione tutti i fattori pertinenti nel caso di specie, in particolare l’interdipendenza tra la somiglianza dei marchi e quella dei prodotti o dei servizi designati (v. sentenza GIORGIO BEVERLY HILLS, punto 97 supra, punti 31-33 e giurisprudenza ivi citata).

113    Siccome i prodotti di cui trattasi, cioè gli articoli di abbigliamento rientranti nella classe 25, sono prodotti di consumo corrente (sentenza del Tribunale 6 ottobre 2004, cause riunite da T-117/03 a T-119/03 e T-171/03, New Look/UAMI – Naulover (NLSPORT, NLJEANS, NLACTIVE e NLCollection), Racc. pag. II‑3471, punto 25), e il marchio anteriore è tutelato solo sul territorio tedesco, il pubblico di riferimento è il consumatore medio tedesco, che è ritenuto essere normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto. Più particolarmente, dal momento che si ritiene il marchio anteriore registrato unicamente per la sottocategoria degli articoli di abbigliamento «collant da donna» e che tali prodotti sono commercializzati dall’interveniente solo tramite le sue filiali di negozi discount, il gruppo di consumatori interessato è, principalmente, di sesso femminile, e si trova nella situazione tipica dell’acquisto di beni di grande consumo in supermercati per il fabbisogno della vita quotidiana.

114    Tenuto conto di quanto considerato supra ai punti 90-94, il Tribunale ritiene necessario verificare innanzi tutto l’eventuale esistenza di una somiglianza tra i prodotti di cui trattasi.

 2. Sul confronto dei prodotti in considerazione

115    Secondo una giurisprudenza costante, per valutare la somiglianza tra i prodotti o i servizi in considerazione, va tenuto conto di tutti i fattori pertinenti che caratterizzano il rapporto tra i detti prodotti o servizi. Tali fattori includono, in particolare, la loro natura, la loro destinazione, il loro utilizzo nonché il loro carattere concorrente o complementare (v. sentenza MYSTERY, punto 97 supra, punto 39 e giurisprudenza ivi citata).

116    Nella specie, è pacifico che, a seguito della limitazione da parte del ricorrente della domanda di registrazione, non esiste identità tra, da un lato, i «collant da donna» e i prodotti appartenenti alla medesima sottocategoria e cioè le «calze da donna», le «calze da uomo», i «fuseaux» e gli «slip», per i quali si ritiene registrato il marchio anteriore, e, dall’altro lato, gli articoli di abbigliamenti per i quali la registrazione del marchio comunitario è stata infine richiesta. Inoltre, alla luce delle considerazioni esposte supra ai punti 90-94, tali prodotti non rientrano in una sottocategoria di prodotti sufficientemente omogenei bensì in gruppi di prodotti distinti, e cioè, da un lato, gli indumenti intimi destinati, principalmente, ad esser portati da consumatori di sesso femminile e, dall’altro, ogni tipo di abbigliamento intimo per uomo e di indumento destinato sia alle donne che agli uomini.

117    Resta ciò non di meno che si tratta comunque di articoli di abbigliamento composti in materia tessile e destinati a coprire, quanto meno in parte, il corpo, sia per proteggerlo dal freddo, sia per rispondere ad interessi estetici, sia per conseguire contemporaneamente questi due obiettivi. Di conseguenza, secondo la giurisprudenza, i prodotti inclusi nella categoria degli «articoli di abbigliamento», rientranti nella classe 25, sono considerati somiglianti ai fini dell’esame del rischio di confusione (sentenze del Tribunale NLSPORT, NLJEANS, NLACTIVE ET NLCollection, punto 113 supra, punto 26; 7 luglio 2005, causa T-385/03, Miles International/UAMI – Biker Miles (Biker Miles), Racc. pag. II‑2665, punti 35-37, e 5 ottobre 2005, causa T-423/04, Bunker & BKR/UAMI – Marine Stock (B.K.R.), Racc. pag. II‑4035, punto 56].

118    Ad ogni modo, come sostenuto dall’interveniente, il Tribunale considera che nella specie, la percezione di una certa somiglianza tra i prodotti di cui trattasi risulta rafforzata dal fatto che, a differenza dei grandi magazzini a più piani con superfici distinte destinate alla vendita di gruppi o di talune sottocategorie di articoli di abbigliamento, come l’abbigliamento per donna e quello per uomini, i detti prodotti vengono generalmente offerti insieme e sono raggruppati negli stessi reparti o nello stesso settore delle filiali del supermercato dell’interveniente.

119    Si deve pertanto concludere che, nell’ottica del pubblico di riferimento, i prodotti di cui trattasi sono somiglianti e che la valutazione della commissione di ricorso non è a questo riguardo inficiata da errore.

 Sul confronto dei segni confliggenti

120    Secondo costante giurisprudenza, la valutazione globale del rischio di confusione, che va effettuata considerando tutti i fattori pertinenti, deve essere basata, per quanto riguarda la somiglianza visiva, fonetica o concettuale dei segni confliggenti, sull’impressione d’insieme prodotta dai segni, tenendo conto, in particolare, dei loro elementi distintivi e dominanti. Infatti, il consumatore medio del tipo di prodotti o servizi di cui trattasi, la cui percezione dei marchi gioca un ruolo determinante nella valutazione globale del rischio di confusione, percepisce normalmente un marchio come un tutt’uno e non si cura di un esame dei vari dettagli (v. sentenza della Corte 11 novembre 1997, causa C‑251/95, SABEL, Racc. pag. I-6191, punto 23).

121    Sul piano visivo, il Tribunale considera che la commissione di ricorso ha giustamente rilevato che vi era identità tra quattro delle cinque lettere che compongono il marchio denominativo anteriore MANOU e quelle che compongono l’elemento verbale determinante del marchio figurativo richiesto e cioè «manū», in quanto le prime tre lettere («man») delle dette due parole coincidono completamente e la loro ultima lettera («u» e rispettivamente «ū») sono pressoché identiche. A questo proposito, il pubblico di riferimento, è infatti, incentivato a soffermare l’attenzione solo sull’elemento verbale dominante – messo in rilievo in grassetto – e cioè «manū», senza necessariamente far caso alla triplice sovrapposizione del detto elemento verbale nel segno figurativo del marchio richiesto.

122    A questo proposito, va altresì presa in considerazione la situazione particolare di commercializzazione invocata dall’interveniente, cioè il self service del consumatore finale nei reparti di abbigliamento dei supermercati. In una siffatta situazione, la scelta dell’abbigliamento viene generalmente fatta in modo visivo, il che conferisce particolare importanza alla percezione visiva dei marchi di cui trattasi nella valutazione globale del rischio di confusione. Inoltre, nel settore dell’abbigliamento è frequente che il medesimo marchio presenti varie configurazioni secondo il tipo di prodotti da esso designato e che la stessa impresa di confezioni utilizzi sottomarchi, cioè segni derivanti da un marchio principale che con questo condividono un elemento dominante comune per distinguere le sue diverse linee di produzione (v., in questo senso, sentenze NLSPORT, NLJEANS, NLACTIVE e NLCollection, punto 113 supra, punti 50 e 51 e giurisprudenza ivi citata). Da ciò consegue che il consumatore di riferimento potrebbe essere indotto a credere che il marchio richiesto designi una particolare linea di produzione di abbigliamento dell’impresa che già commercializza il marchio anteriore per indumenti intimi da donna. È ancora più vero in quanto, come osservato dall’UAMI, il consumatore di riferimento, di lingua tedesca, non associa alcun contenuto semantico agli elementi verbali «manou» o «manū» tale da costituire un elemento distintivo nella sua sensibilità percettiva e che, in assenza di affermazioni contrarie delle parti a tal riguardo, va constatato che nessuno dei marchi confliggenti gode di notorietà in Germania.

123    Pertanto, la commissione di ricorso ha giustamente constatato che i due marchi confliggenti sono somiglianti sotto l’aspetto visivo.

124    Peraltro, sul piano fonetico, gli elementi verbali che compongono il marchio richiesto e quelli del marchio anteriore sono molto somiglianti, se non pressoché identici. A tal titolo, la commissione di ricorso ha correttamente constatato che il consumatore medio di riferimento di lingua tedesca, per quanto il vocabolario tedesco conosca assai poche parole che includono la combinazione di vocali «ou» come «boutique» o «cousin», ha la tendenza a pronunciare le parole «manou» e «manū» allo stesso modo, ponendo gli accenti sulle stesse sillabe (punto 19 della decisione impugnata). Parimenti, tenuto conto del carattere predominante dell’elemento verbale «manū» messo in evidenza in grassetto nel segno figurativo richiesto, il Tribunale considera che, contrariamente al parere del ricorrente, il detto consumatore non sarebbe di norma incentivato a ripetere tale termine conformemente alla sua triplice sovrapposizione, data la tendenza naturale del consumatore a minimizzare gli sforzi e ad evitare ripetizioni inutili.

125    Si deve pertanto concludere che sia sul piano visivo che su quello fonetico i segni confliggenti presentano somiglianze significative.

 Sul rischio di confusione

126    In considerazione di tutto quanto precede, tenuto conto della somiglianza tra i prodotti di cui trattasi come pure della significativa somiglianza del marchio anteriore e del marchio richiesto sia sul piano visivo che su quello fonetico, si deve concludere che esiste, nell’ottica del consumatore di riferimento, un rischio di confusione tra i detti marchi.

127    Pertanto, la valutazione della commissione di ricorso circa il rischio di confusione non è inficiata da errore nella misura in cui verte, da un lato, sugli «articoli di abbigliamento» e, dall’altro, sui due marchi confliggenti.

128    Il terzo motivo va di conseguenza respinto.

 Sulle spese

129    Ai sensi dell’art. 87, n. 3, del regolamento di procedura, il Tribunale può ripartire le spese o decidere che ciascuna parte sopporti le proprie spese, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi. Nelle circostanze di specie, tenuto conto del fatto che il ricorrente è rimasto soccombente sul secondo e sul terzo motivo e che l’UAMI è rimasto soccombente sul primo motivo relativo a gravi illegittimità nelle quali è incorsa la commissione di ricorso, in ragione dell’ultrapetizione della decisione di rigetto della domanda di registrazione, che ha indotto l’UAMI stesso a chiedere l’annullamento parziale della decisione impugnata, va deciso, da un lato, che l’UAMI sopporterà le proprie spese nonché un terzo di quelle esposte dal ricorrente e, dall’altro, che il ricorrente sopporterà i due terzi delle proprie spese.

130    A tenore dell’art. 87, n. 4, quarto comma, il Tribunale può ordinare che una parte interveniente sopporti le proprie spese. Nella specie, le spese sostenute dalla parte interveniente a sostegno dell’UAMI restano a carico della parte stessa.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Terza Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      La decisione della quarta commissione di ricorso dell’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI) 15 giugno 2004 (procedimento R 154/2002-4) è annullata nella parte in cui respinge la domanda di registrazione del marchio MANŪ MANU MANU, da un lato, per i prodotti «calzature» e «cappellerie», rientranti nella classe 25, e, dall’altro, per quelli rientranti nelle classi 18 e 24.

2)      Il ricorso per il resto è respinto.

3)      L’UAMI sopporterà le proprie spese nonché un terzo di quelle esposte dal ricorrente.

4)      Il ricorrente, Salvatore Gagliardi, sopporterà i due terzi delle proprie spese.

5)      L’interveniente, Norma Lebensmittelfilialbetrieb GmbH & Co. KG, sopporterà le proprie spese.



Jaeger

Azizi

Cremona

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 14 dicembre 2006.

Il cancelliere

 

      Il presidente

E. Coulon

 

      M. Jaeger


Indice


Quadro giuridico

Fatti all’origine della controversia

Procedimento e conclusioni delle parti

In diritto

Osservazione in limine

2. Sul motivo che deduce ultrapetizione nella decisione impugnata

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Osservazione in limine

Sulla censura che deduce ultrapetizione della decisione impugnata per quanto riguarda «cappelleria» e «calzature» rientranti nella classe 25

Sulla censura che deduce ultrapetizione della decisione impugnata per quanto riguarda le classi 18 e 24

–  Sulla portata della decisione impugnata

–  Sulla portata della lettera 19 agosto 2004

3. Sul motivo che deduce assenza di prove sufficienti sul serio utilizzo del marchio anteriore

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Osservazioni in limine

Sull’interesse dell’interveniente ad agire in opposizione

Sulle spese



* Lingua processuale: l'italiano.