Language of document : ECLI:EU:T:2014:19

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Prima Sezione)

21 gennaio 2014 (*)

«Responsabilità extracontrattuale – Dispositivi medici – Articoli 8 e 18 della direttiva 93/42/CEE – Inerzia della Commissione in seguito alla notifica di una decisione di divieto d’immissione in commercio – Violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica che conferisce diritti ai singoli»

Nella causa T‑309/10,

Christoph Klein, residente a Groβgmain (Austria), rappresentato da D. Schneider-Addae-Mensah, avvocato,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata da A. Sipos e G. von Rintelen, in qualità di agenti, assistiti da C. Winkler, avvocato,

convenuto,

sostenuta da:

Repubblica federale di Germania, rappresentata inizialmente da T. Henze e N. Graf Vitzthum, successivamente da M. Henze e J. Möller, in qualità di agenti,

interveniente,

avente ad oggetto un ricorso per risarcimento dei danni, ai sensi del combinato disposto dell’articolo 268 TFUE e dell’articolo 340, secondo comma, TFUE, volto ad ottenere la rifusione del preteso danno subito dal ricorrente a causa della violazione da parte della Commissione degli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 8 della direttiva 93/42/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1993, concernente i dispositivi medici (GU L 169, pag. 1),

IL TRIBUNALE (Prima Sezione),

composto da S. Frimodt Nielsen, facente funzione di presidente, M. Kancheva (relatore) e E. Buttigieg, giudici,

cancelliere: K. Andová, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 18 giugno 2013,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Contesto normativo

1        La direttiva 93/42/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1993, concernente i dispositivi medici (GU L 169, pag. 1), è volta, in particolare ad armonizzare i procedimenti di omologazione e controllo dei dispositivi medici. Essa prevede l’apposizione di una marcatura CE sui dispositivi medici che, dopo essere stati l’ oggetto di un procedimento di valutazione della loro conformità, sono ritenuti soddisfare i requisiti essenziali stabiliti da tale direttiva. La conformità ai requisiti essenziali è certificata dal fabbricante sulla propria responsabilità oppure dagli organismi di omologazione designati dagli Stati membri.

2        L’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 93/42, intitolato «Definizioni, campo di applicazione», enuncia quanto segue:

«La presente direttiva si applica ai dispositivi medici e ai relativi accessori (…) In appresso i dispositivi medici e i loro accessori vengono indicati col termine “dispositivi”».

3        L’articolo 2 della direttiva 93/42, intitolato «Immissione in commercio e messa in servizio», così recita:

«Gli Stati membri adottano le disposizioni necessarie affinché i dispositivi possano essere immessi in commercio e messi in servizio unicamente se non compromettono la sicurezza e la salute dei pazienti, degli utilizzatori ed eventualmente di terzi, qualora siano correttamente installati, formino oggetto di un’adeguata manutenzione e siano utilizzati secondo la loro destinazione».

4        L’articolo 3 della direttiva 93/42, intitolato «Requisiti essenziali», dispone quanto segue:

«I dispositivi devono soddisfare i pertinenti requisiti essenziali prescritti nell’allegato I in considerazione della loro destinazione».

5        L’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 93/42 così dispone:

«1. Gli Stati membri non impediscono nel proprio territorio l’immissione in commercio e la messa in servizio dei dispositivi recanti la marcatura CE di cui all’articolo 17 che dimostra che essi hanno formato oggetto del procedimento di valutazione della conformità ai sensi dell’articolo 11».

6        L’articolo 8 della direttiva 93/42, intitolato «Clausola di salvaguardia», dispone come segue:

«1. Qualsiasi Stato membro, qualora constati che un dispositivo di cui all’articolo 4, paragrafi 1 e 2, secondo trattino, installato ed utilizzato correttamente secondo la sua destinazione e oggetto di manutenzione regolare, può compromettere la salute e/o la sicurezza dei pazienti, degli utilizzatori o eventualmente di terzi, prende le misure provvisorie necessarie per ritirare tale dispositivo dal mercato, vietarne o ridurne l’immissione in commercio o la messa in servizio. Lo Stato membro comunica immediatamente tali misure alla Commissione, indicando i motivi della sua decisione e in particolare se la non conformità alla presente direttiva derivi:

–        dal mancato rispetto dei requisiti essenziali di cui all’articolo 3;

–        da una scorretta applicazione delle norme di cui all’articolo 5, sempreché sia prevista l’applicazione di dette norme;

–        da una lacuna nelle norme stesse.

2.      La Commissione procede nel minor tempo possibile a consultazioni con le parti interessate. Se dopo tali constatazioni essa ritiene:

–        che il provvedimento è giustificato, essa ne informa immediatamente lo Stato membro che ha preso la misura e gli altri Stati membri. Qualora la decisione di cui al paragrafo 1 sia motivata da carenze esistenti nelle norme, la Commissione, dopo aver consultato le parti interessate, adisce il comitato di cui all’articolo 6, entro un termine di 2 mesi, se lo Stato membro che ha adottato il provvedimento intende mantenerlo in vigore, ed avvia la procedura prevista all’articolo 6;

–        che il provvedimento è ingiustificato, essa ne informa immediatamente lo Stato membro che ha preso la misura nonché il fabbricante o il suo mandatario stabilito nell’[Unione europea].

3. Se un dispositivo non conforme è munito della marcatura CE, lo Stato membro competente adotta nei confronti di chi abbia apposto il marchio al dispositivo le misure del caso e ne informa la Commissione e gli altri Stati membri.

4. La Commissione provvede affinché gli Stati membri siano informati dello svolgimento e dei risultati di questo procedimento».

7        L’articolo 9 della direttiva 93/42, intitolato «Classificazione», dispone che la classificazione dei dispositivi medici segue le regole di cui all’allegato IX.

8        L’articolo 11, paragrafo 5, della direttiva 93/42 così dispone:

«5. Per i dispositivi appartenenti alla classe I, ad esclusione dei dispositivi su misura e di quelli destinati ad indagini cliniche, il fabbricante, ai fini dell’apposizione della marcatura CE, si attiene alla procedura prevista all’allegato VII e redige, prima dell’immissione in commercio, la dichiarazione di conformità CE richiesta».

9        L’articolo 17, paragrafo 1, della direttiva 93/42 enuncia quanto segue:

«1. I dispositivi, ad esclusione di quelli su misura e di quelli destinati ad indagini cliniche, che soddisfano i requisiti essenziali previsti all’articolo 3 devono recare al momento dell’immissione in commercio una marcatura di conformità CE».

10      L’articolo 18 della direttiva 93/42, intitolato «Indebita marcatura CE», così dispone:

«Fatto salvo l’articolo 8:

a)     ogni constatazione, da parte di uno Stato membro, di indebita marcatura CE, comporta per il fabbricante o il suo mandatario stabilito nell’[Unione europea] l’obbligo di far cessare l’infrazione alle condizioni fissate dallo Stato membro;

b)     qualora l’infrazione si protragga, lo Stato membro deve adottare tutte le misure atte a limitare o vietare l’immissione in commercio del prodotto in questione o a garantirne il ritiro dal commercio, secondo la procedura prevista all’articolo 8».

11      L’articolo 19 della direttiva 93/42, intitolato «Decisione di diniego o di restrizione», enuncia quanto segue:

«1. Ogni decisione presa in applicazione della presente direttiva:

a)     che importi il diniego o la limitazione dell’immissione in commercio, della messa in servizio di un dispositivo o dello svolgimento di indagini cliniche, oppure

b)     imponga il ritiro dei dispositivi dal mercato,

è motivata in maniera particolareggiata. Tale decisione è notificata all’interessato al più presto, indicandogli i ricorsi ammessi dal diritto nazionale vigente nello Stato membro in questione e i termini entro i quali gli stessi devono essere presentati.

2. Nel caso della decisione di cui al paragrafo 1 il fabbricante o il suo mandatario stabilito nell’[Unione] deve avere la possibilità di presentare preventivamente il proprio punto di vista, a meno che tale consultazione non sia resa impossibile dall’urgenza del provvedimento».

12      L’allegato I della direttiva 93/42 contiene i requisiti essenziali che i dispositivi medici, che rientrano nel suo ambito di applicazione, devono soddisfare. In particolare esso prevede:

«I. REQUISITI GENERALI

1. I dispositivi devono essere progettati e fabbricati in modo che la loro utilizzazione non comprometta lo stato clinico e la sicurezza dei pazienti, né la sicurezza e la salute degli utilizzatori ed eventualmente di terzi quando siano utilizzati alle condizioni e per i fini previsti, fermo restando che gli eventuali rischi debbono essere di livello accettabile, tenuto conto del beneficio apportato al paziente, e compatibili con un elevato livello di protezione della salute e della sicurezza.

(…)

3. I dispositivi devono fornire le prestazioni loro assegnate dal fabbricante ed essere progettati, fabbricati e condizionati in modo tale da poter espletare una o più delle funzioni di cui all’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), quali specificate dal fabbricante.

(…)

II. REQUISITI RELATIVI ALLA PROGETTAZIONE E ALLA COSTRUZIONE

(…)

13. Informazioni fornite dal fabbricante

(…)

13.6. Le istruzioni per l’uso devono contenere, ove necessario, le informazioni seguenti:

(…)

c)     se un dispositivo deve essere installato o connesso ad altri dispositivi o impianti per funzionare secondo la destinazione prevista, le caratteristiche necessarie e sufficienti per identificare i dispositivi o gli impianti che devono essere utilizzati per ottenere una combinazione sicura;

(…)

m)     le necessarie informazioni riguardanti la specialità o le specialità medicinali che il dispositivo in questione deve somministrare, compresa qualsiasi restrizione alla scelta delle sostanze da somministrare;

(…)

–        il grado di precisione indicato per i dispositivi di misura.

(…)».

13      L’allegato VII della direttiva 93/42, intitolato «Dichiarazione di conformità CE», descrive il procedimento che i fabbricanti di dispositivi medici appartenenti alla classe I devono seguire al fine di garantire e dichiarare che i prodotti in questione soddisfano le disposizioni applicabili della direttiva. Parimenti, tale allegato definisce la documentazione tecnica che il fabbricante dei dispositivi medici appartenenti alla classe I deve tenere a disposizione delle autorità nazionali a fini d’ispezione durante un periodo previsto dallo stesso allegato. La documentazione tecnica comporta, tra altri elementi, un’analisi dei rischi e dei dati clinici da effettuarsi conformemente all’allegato X della direttiva 93/42, nonché l’etichettatura e le istruzioni per l’uso.

14      L’allegato IX della direttiva 93/42, intitolato «Criteri di classificazione», stabilisce le regole destinate alla determinazione della classificazione dei dispositivi medici che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 93/42. In particolare, esso prevede:

«III. CLASSIFICAZIONE

1.      Dispositivi non invasivi

1.1. Regola 1

Tutti i dispositivi non invasivi rientrano nella classe I, a meno che non sia d’applicazione una delle regole seguenti.

1.2. Regola 2

Tutti i dispositivi non invasivi destinati alla canalizzazione o alla conservazione di sangue, liquidi o tessuti corporei, liquidi o gas destinati ad una trasfusione, somministrazione o introduzione nel corpo, rientrano nella classe IIa, quando:

–        possono essere collegati con un dispositivo medico attivo appartenente alla classe IIa o ad una classe superiore,

–        sono destinati ad essere utilizzati per la conservazione o la canalizzazione di sangue o di altri liquidi o la conservazione di organi, di parti di organi o di tessuti corporei.

In tutti gli altri casi, essi rientrano nella classe I.

(…)».

15      L’allegato X, punto 1, della direttiva 93/42, intitolato «Valutazione clinica», nella versione applicabile ai fatti di causa, prevede quanto segue:

«1.      Disposizioni generali

1.1. La conferma del rispetto dei requisiti relativi alle caratteristiche e alle prestazioni specificate ai punti 1 e 3 dell’allegato I in condizioni normali di utilizzazione del dispositivo, nonché la valutazione degli effetti collaterali indesiderati, devono basarsi, in linea di principio, per i dispositivi impiantabili e per i dispositivi appartenenti alla classe III su dati clinici. L’adeguamento dei dati clinici deve basarsi, tenendo conto ove necessario delle norme armonizzate pertinenti, sugli elementi seguenti:

1.1.1. su una raccolta di letteratura scientifica pertinente attualmente disponibile e riguardante l’utilizzazione prevista del dispositivo e delle tecniche da questo attuate, nonché, ove necessario, su una relazione scritta contenente una valutazione critica di detta monografia;

1.1.2. oppure sui risultati di tutte le indagini cliniche realizzate, comprese quelle realizzate secondo il punto 2.

1.2. Tutti i dati devono rimanere riservati, conformemente al disposto dell’articolo 20».

 Fatti

16      Il sig. Christoph Klein, ricorrente, è il direttore dell’atmed AG, una società per azioni di diritto tedesco attualmente in condizione di insolvenza. È altresì l’inventore di un dispositivo medico di agevolazione dell’inalazione per asmatici che ha brevettato all’inizio degli anni ’90.

 Decisione di divieto del dispositivo Inhaler

17      Dal 1996 al 2001 il dispositivo di agevolazione dell’inalazione del ricorrente è stato prodotto dalla Primed Halberstadt GmbH e distribuito dalla società tedesca Broncho-Air Medizintechnik AG con il nome di «Inhaler Broncho Air®» (in prosieguo: il «dispositivo Inhaler»). In occasione della sua immissione in commercio nel mercato tedesco, tale dispositivo disponeva della marcatura CE, al fine di designare la sua conformità ai requisiti essenziali della direttiva 93/42.

18      Nel 1996 le autorità tedesche trasmettevano alla Broncho-Air Medizintechnik un progetto di decisione intesa al divieto di distribuzione del dispositivo Inhaler. In tale progetto, dette autorità spiegavano che, in ragione dell’assenza di una valutazione clinica esauriente, nutrivano dubbi quanto alla conformità di tale dispositivo ai requisiti essenziali previsti dalla direttiva 93/42. Esse esprimevano inoltre l’intenzione di procedere al richiamo degli esemplari di tale dispositivo già messi in circolazione.

19      Il 22 maggio 1997, la Broncho-Air Medizintechnik, in seguito a un colloquio con le autorità tedesche, inviava alle stesse una lettera con cui le informava che il dispositivo Inhaler non era più stato commercializzato dal 1° gennaio 1997 e che la sua distribuzione sarebbe stata sospesa fino a che non fossero disponibili studi e sperimentazioni ulteriori sulla conformità di tale prodotto alla direttiva 93/42. Essa faceva inoltre sapere alle autorità tedesche che il dispositivo in questione non era stato distribuito all’estero.

20      Il 23 settembre 1997, le autorità tedesche adottavano, tuttavia, una decisione che vietava l’immissione in commercio del dispositivo Inhaler. In tale decisione le autorità tedesche constatavano, in sostanza, che, conformemente al parere del Bundesinstitut für Arzneimittel und Medizinprodukte (Istituto federale per i medicinali e i dispositivi medici; in prosieguo: il «BfArM»), il dispositivo medico in questione non soddisfaceva i requisiti essenziali di cui all’allegato I della direttiva 93/42 poiché la sua innocuità non era stata dimostrata a sufficienza in modo scientifico alla luce degli elementi messi a disposizione dal fabbricante.

21      Il 7 gennaio 1998, le autorità tedesche trasmettevano alla Commissione delle Comunità europee una lettera intitolata «Procedimento di clausola di salvaguardia ai sensi dell’articolo 8 della direttiva 93/42/CEE relativo all’apparecchio di inalazione (…) “Inhaler Broncho Air”», nella quale le comunicavano la loro decisione di divieto, nonché i motivi sui quali era fondata tale decisione.

22      In seguito alla notifica da parte delle autorità tedesche, la Commissione non adottava alcuna decisione.

 Decisione di divieto del dispositivo effecto

23      Dal 2002, il dispositivo di agevolazione dell’inalazione è stato distribuito in modo esclusivo dall’atmed con il nome «effecto®» (in prosieguo: il «dispositivo effecto»). Nel 2003 tale società si era altresì incaricata della sua fabbricazione. In occasione della sua immissione in commercio nel mercato tedesco, tale dispositivo disponeva della marcatura CE, che designava la sua conformità ai requisiti essenziali della direttiva 93/42.

24      Il 18 maggio 2005, le autorità tedesche adottavano una decisione che vietava all’atmed di immettere in commercio il dispositivo effecto. Esse ritenevano, in sostanza, che il procedimento di valutazione della conformità, segnatamente la valutazione clinica, non fosse stato effettuato in modo adeguato e che, per tale ragione, detto dispositivo non poteva essere ritenuto soddisfare i requisiti essenziali previsti dalla direttiva 93/42. Tale decisione non era stata notificata alla Commissione dalle autorità tedesche ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 93/42.

25      Il 16 gennaio e il 17 agosto 2006, l’atmed contattava i servizi della Commissione per denunciare il fatto che le autorità tedesche non avevano notificato alla Commissione la decisione di divieto dell’immissione in commercio del dispositivo effecto. A suo avviso, doveva essere avviato un procedimento di clausola di salvaguardia ai sensi dell’articolo 8 della direttiva 93/42.

26      Il 6 ottobre 2006, alla luce delle informazioni ricevute dall’atmed, la Commissione chiedeva alle autorità tedesche se, a loro avviso, fossero state rispettate le condizioni di un procedimento di clausola di salvaguardia ai sensi dell’articolo 8 della direttiva 93/42.

27      Il 12 dicembre 2006, la Repubblica federale di Germania spiegava alla Commissione che, a suo avviso, il procedimento avviato nel 1998 relativo al dispositivo Inhaler costituiva un procedimento di clausola di salvaguardia ai sensi di detta disposizione e che un nuovo procedimento, per un medesimo dispositivo con un altro nome, non era giustificato. Inoltre, le autorità tedesche informavano la Commissione del persistere dei loro dubbi quanto alla conformità del dispositivo effecto ai requisiti essenziali di cui alla direttiva 93/42 e chiedevano, pertanto, alla Commissione di confermare la loro decisione di divieto.

28      Il 13 dicembre 2006, la Commissione informava l’atmed della risposta delle autorità tedesche.

29      Il 18 dicembre 2006, l’atmed domandava alla Commissione di aprire un procedimento d’inadempimento ai sensi dell’articolo 226 CE avverso la Repubblica federale di Germania, nonché di proseguire il procedimento di clausola di salvaguardia che, a suo avviso, era stato avviato nel 1998.

30      Il 22 febbraio 2007, la Commissione proponeva alle autorità tedesche di valutare la decisione del 18 maggio 2005 nel contesto del procedimento di clausola di salvaguardia del 1998 e di trattarla sulla base delle nuove informazioni. Secondo la Commissione, tale approccio avrebbe permesso di evitare una nuova notifica e avrebbe garantito una maggiore efficacia.

31      Il 18 luglio 2007, la Commissione comunicava alle autorità tedesche la sua conclusione secondo la quale la presente fattispecie costituiva un caso di indebita marcatura CE e, per tale ragione, avrebbe dovuto essere trattata alla luce dell’articolo 18 della direttiva 93/42. A tale riguardo, la Commissione metteva in dubbio il fatto che il dispositivo effecto non potesse soddisfare i requisiti essenziali previsti da tale direttiva. Per contro, essa riteneva che fossero necessari ulteriori dati clinici al fine di dimostrare che il dispositivo effecto fosse conforme a detti requisiti e invitava le autorità tedesche a cooperare strettamente con l’atmed al fine di stabilire quali fossero i dati mancanti. La Commissione rimetteva al ricorrente una copia della lettera indirizzata alle autorità tedesche a tale scopo.

32      Nel 2008 il ricorrente presentava una petizione al Parlamento europeo sul mancato intervento della Commissione con riferimento al suo caso e sull’impatto negativo di tale comportamento per la società interessata.

33      Il 12 gennaio 2011, il Parlamento europeo adottava la risoluzione B7‑0026/2011.

34      Il 9 marzo 2011, il ricorrente chiedeva alla Commissione il pagamento di un’indennità di EUR 170 milioni per la società atmed AG e di EUR 130 milioni per se stesso.

35      L’11 marzo 2011, la Commissione respingeva la domanda di risarcimento del ricorrente.

 Procedimento e conclusioni delle parti

36      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 27 luglio 2010, il ricorrente ha chiesto di essere ammesso al beneficio del gratuito patrocinio ai sensi degli articoli 94 e 95 del regolamento di procedura del Tribunale, prima della presentazione di un ricorso per risarcimento dei danni.

37      Con ordinanza del presidente del Tribunale in data 13 settembre 2010, il Tribunale ha accolto tale domanda.

38      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 2 maggio 2011, il ricorrente ha chiesto di essere ammesso al beneficio del gratuito patrocinio supplementare ai sensi degli articoli 94 e 95 del regolamento di procedura.

39      Con ordinanza in data 9 giugno 2011, il Tribunale ha respinto tale domanda.

40      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 15 settembre 2011, il ricorrente ha proposto il presente ricorso.

41      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 12 gennaio 2012, la Repubblica federale di Germania ha chiesto di essere autorizzata ad intervenire a sostegno delle conclusioni della Commissione. Con ordinanza del 19 aprile 2012, il presidente della Seconda Sezione del Tribunale ha consentito tale intervento. La Repubblica federale di Germania ha depositato la propria memoria d’intervento il 4 giugno 2012.

42      A seguito della modifica delle sezioni del Tribunale, il giudice relatore è stato assegnato alla Prima Sezione, alla quale, di conseguenza, è stata attribuita la presente causa.

43      Sulla base della relazione del giudice relatore, il Tribunale (Prima Sezione) ha deciso, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento di cui all’articolo 64 del regolamento di procedura, di invitare le parti a rispondere per iscritto a taluni quesiti. Le parti hanno dato seguito a tale richiesta nel termine impartito.

44      Le parti hanno svolto le loro difese e hanno risposto ai quesiti del Tribunale nel corso dell’udienza del 18 giugno 2013.

45      Il ricorrente conclude che il Tribunale voglia:

–        constatare che la Commissione, per effetto della propria carenza nel procedimento di clausola di salvaguardia pendente dal 1998 riguardo ai dispositivi medici controversi e in ragione del mancato avvio di un procedimento di clausola di salvaguardia ai sensi dell’articolo 8 della direttiva 93/42 in seguito all’adozione da parte delle autorità tedesche della decisione di divieto di distribuzione, è venuta meno agli obblighi che ad essa incombevano in base alla direttiva 93/42 e al diritto dell’Unione, e in tal modo ha direttamente causato un danno al ricorrente;

–        condannare la Commissione al risarcimento del danno a favore del ricorrente, in misura da determinarsi in prosieguo;

–        condannare la Commissione alle spese.

46      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso in quanto irricevibile nella parte in cui verte sul danno asseritamente prodottosi prima del 29 luglio 2006 e, in ogni caso, in quanto infondato;

–        condannare il ricorrente alle spese.

47      La Repubblica federale di Germania sostiene le conclusioni della Commissione volte al rigetto del ricorso per risarcimento dei danni nonché alla condanna del ricorrente alle spese.

 In diritto

 Sulla ricevibilità

48      La Commissione ritiene che il diritto al risarcimento addotto dal ricorrente sia parzialmente prescritto, conformemente all’articolo 46 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea.

49      Il ricorrente contesta le affermazioni della Commissione.

50      Occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 46 dello Statuto della Corte, applicabile al procedimento dinanzi al Tribunale in forza dell’articolo 53, primo comma, del medesimo Statuto, le azioni contro l’Unione in materia di responsabilità extracontrattuale si prescrivono in cinque anni a decorrere dal momento in cui avviene il fatto che dà loro origine. La prescrizione è interrotta dall’istanza presentata al Tribunale o dalla preventiva richiesta che il danneggiato può rivolgere all’istituzione competente dell’Unione. In quest’ultimo caso l’istanza deve essere proposta nel termine di due mesi previsto dall’articolo 263 TFUE.

51      Secondo una costante giurisprudenza, il termine di prescrizione inizia a decorrere quando sono integrate tutte le condizioni cui è subordinato l’obbligo di risarcimento del danno e, in particolare, quando il danno da risarcire si è concretato [sentenza della Corte del 19 aprile 2007, Holcim (Germania)/Commissione, C‑282/05 P, Racc. pag. I‑2941, punti 29 e 30, e ordinanza del Tribunale del 1° aprile 2009, Perry/Commissione, T‑280/08, non pubblicata nella Raccolta, punto 36].

52      Peraltro, nel caso di un danno a carattere continuato, la prescrizione prevista dall’articolo 46 dello Statuto della Corte si applica, in base alla data dell’atto interruttivo, al periodo che precede di oltre cinque anni tale data, senza pregiudizio per eventuali diritti sorti nel corso dei periodi successivi (ordinanze del Tribunale del 14 dicembre 2005, Arizona Chemical e a./Commissione, T‑369/03, Racc. pag. II‑5839, punto 116, e del 10 aprile 2008, 2K-Teint e a./Commissione e BEI, T‑336/06, non pubblicata nella Raccolta, punto 106).

53      Nella fattispecie, dal fascicolo di causa emerge che il ricorrente ha presentato una richiesta preventiva alla Commissione per ottenere un risarcimento del suo danno subìto. Orbene, detta richiesta, presentata il 9 marzo 2011, non può essere considerata come costituente un atto interruttivo della prescrizione ai sensi dell’articolo 46 dello Statuto della Corte in quanto non è stata seguita dalla proposizione di un’istanza nei due mesi successivi come richiesto da detta disposizione. In tali circostanze, solo la domanda depositata nella presente causa il 15 settembre 2011 può essere considerata come costituente un atto interruttivo della prescrizione.

54      Alla luce di quanto precede la presente domanda, nell’ipotesi di un danno a carattere continuato, deve, in ogni caso, essere respinta in quanto irricevibile nella parte in cui riguarda il danno asseritamente subìto prima del 15 settembre 2006.

 Nel merito

 Osservazioni preliminari

55      A termini dell’articolo 340, secondo comma, TFUE, in materia di responsabilità extracontrattuale, l’Unione deve risarcire, conformemente ai principi generali comuni ai diritti negli Stati membri, i danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell’esercizio delle loro funzioni.

56      Secondo una costante giurisprudenza, il sorgere della responsabilità extracontrattuale dell’Unione, ai sensi dell’articolo 340, secondo comma, TFUE, per comportamento illecito dei suoi organi presuppone che siano soddisfatte varie condizioni cumulative, vale a dire l’illiceità del comportamento di cui si fa carico all’istituzione, l’effettività del danno e l’esistenza di un nesso di causalità fra il comportamento fatto valere e il danno lamentato (sentenza della Corte del 29 settembre 1982, Oleifici Mediterranei/CEE, 26/81, Racc. pag. 3057, punto 16, e sentenza del Tribunale del 14 dicembre 2005, Beamglow/Parlamento e a., T‑383/00, Racc. pag. II‑5459, punto 95).

57      Per quanto attiene, anzitutto, alla condizione dell’illiceità del comportamento di cui si fa carico all’istituzione o all’organo in questione, la giurisprudenza esige che si dimostri l’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica avente l’obiettivo di conferire diritti ai singoli (sentenza della Corte del 4 luglio 2000, Bergaderm e Goupil/Commissione, C‑352/98 P, Racc. pag. I‑5291, punto 42). Per quanto riguarda la condizione per cui la violazione deve essere sufficientemente qualificata, il criterio decisivo che consente di ritenere che essa sia soddisfatta è quello della violazione grave e manifesta, commessa dall’istituzione o dall’organo dell’Unione in questione, dei limiti posti al suo potere discrezionale. Qualora l’istituzione o l’organo in questione disponga solamente di un margine di discrezionalità considerevolmente ridotto, se non addirittura inesistente, la semplice trasgressione del diritto dell’Unione può essere sufficiente per constatare l’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata (sentenza della Corte del 10 dicembre 2002, Commissione/Camar e Tico, C‑312/00 P, Racc. pag. I‑11355, punto 54, e sentenza del Tribunale del 12 luglio 2001, Comafrica e Dole Fresh Fruit Europe/Commissione, T‑198/95, T‑171/96, T‑230/97, T‑174/98 e T‑225/99, Racc. pag. II‑1975, punto 134).

58      In seguito, per quanto riguarda la condizione dell’effettività del danno, la responsabilità dell’Unione può sorgere solo se il ricorrente ha effettivamente subìto un danno certo e valutabile (sentenza del Tribunale del 16 gennaio 1996, Candiotte/Consiglio, T‑108/94, Racc. pag. II‑87, punto 54). Spetta al ricorrente fornire elementi di prova al giudice dell’Unione al fine di provare la realtà e l’entità di detto danno (sentenza della Corte del 21 maggio 1976, Roquette frères/Commissione, 26/74, Racc. pag. 677, punti da 22 a 24, e sentenza del Tribunale del 9 gennaio 1996, Koelman/Commissione, T‑575/93, Racc. pag. II‑1, punto 97).

59      Infine, per quanto riguarda la condizione dell’esistenza di un nesso di causalità tra il comportamento fatto valere e il danno lamentato, tale danno deve derivare in modo sufficientemente diretto dal comportamento contestato, cioè tale comportamento deve essere la causa determinante del danno, mentre non sussiste un obbligo di risarcire una qualsiasi conseguenza dannosa, anche lontana, di una situazione illegale (v. sentenza della Corte del 4 ottobre 1979, Dumortier e a./Consiglio, 64/76, 113/76, 167/78, 239/78, 27/79, 28/79 e 45/79, Racc. pag. 3091, punto 21, e sentenza del Tribunale del 10 maggio 2006, Galileo International Technology e a./Commissione, T‑279/03, Racc. pag. II‑1291, punto 130 e giurisprudenza ivi citata). Spetta al ricorrente fornire la prova dell’esistenza di un nesso di causalità tra il comportamento contestato e il danno lamentato (v. sentenza del Tribunale del 30 settembre 1998, Coldiretti e a./Consiglio e Commissione, T‑149/96, Racc. pag. II‑3841, punto 101 e giurisprudenza ivi citata).

60      Qualora uno dei tre requisiti per il sorgere della responsabilità extracontrattuale dell’Unione non sia soddisfatto, le pretese risarcitorie devono essere respinte senza che sia necessario esaminare se gli altri due presupposti siano soddisfatti (v., in tal senso, sentenza della Corte del 15 settembre 1994, KYDEP/Consiglio e Commissione, C‑146/91, Racc. pag. I‑4199, punto 81, e sentenza del Tribunale del 20 febbraio 2002, Förde-Reederei/Consiglio e Commissione, T‑170/00, Racc. pag. II‑515, punto 37). D’altronde, il giudice dell’Unione non ha l’obbligo di esaminare tali condizioni secondo un ordine determinato (sentenza della Corte del 9 settembre 1999, Lucaccioni/Commissione, C‑257/98 P, Racc. pag. I‑5251, punto 13).

61      Nella fattispecie, il ricorrente sostiene che i tre requisiti per la sussistenza della responsabilità extracontrattuale dell’Unione pretesi dalla giurisprudenza sono soddisfatti. Il Tribunale ritiene che si debba esaminare innanzitutto l’esistenza del comportamento illecito contestato alla Commissione, in seguito l’esistenza del danno lamentato e, infine, quella del nesso di causalità tra i due elementi precedenti.

 Sull’illiceità del comportamento

62      Il ricorrente sostiene, in sostanza, che la Commissione ha violato gli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 8 della direttiva 93/42. Innanzitutto, egli contesta alla Commissione di non aver adottato alcuna decisione in seguito alla ricezione della lettera del 7 gennaio 1998, relativa al divieto d’immissione in commercio del dispositivo Inhaler. In seguito, afferma che la Commissione avrebbe dovuto avviare un procedimento di clausola di salvaguardia nel momento in cui è venuta a conoscenza della decisione di divieto d’immissione in commercio del dispositivo effecto, adottata il 18 maggio 2005. Infine, il ricorrente sostiene che le due carenze della Commissione violano la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

–       Sul divieto del dispositivo Inhaler

63      Per quanto riguarda la decisione di divieto del dispositivo Inhaler, il ricorrente osserva che le autorità tedesche, con lettera del 7 gennaio 1998, hanno avviato un procedimento di clausola di salvaguardia, ma che la Commissione non lo ha mai concluso con una decisione definitiva. Il ricorrente sostiene che tale circostanza costituisce una carenza contraria alla direttiva 93/42, poiché, come deriva dall’articolo 8, paragrafo 2, di tale direttiva, qualora la Commissione riceva la notifica di una decisione nazionale che vieta l’immissione in commercio di un dispositivo medico, essa è tenuta ad adottare una decisione che constati se tale misura è giustificata oppure no. Inoltre, conformemente all’articolo 8, paragrafo 4, della direttiva 93/42, la Commissione avrebbe dovuto informare lo Stato membro della sua decisione, nonché le parti interessate da detto procedimento.

64      La Commissione contesta tali affermazioni.

65      In limine, il Tribunale ricorda che la direttiva 93/42, come risulta dal suo terzo considerando, mira ad armonizzare i requisiti correlati alla sicurezza e alla protezione della salute nell’uso dei dispositivi medici, in modo da garantire la libera circolazione degli stessi nel mercato interno (sentenza della Corte del 19 novembre 2009, Nordiska Dental, C‑288/08, Racc. pag. I‑11031, punto 19). La direttiva 93/42 intende, pertanto, conciliare l’obiettivo di tutela della sanità pubblica col principio della libera circolazione delle merci (sentenze della Corte del 14 giugno 2007, Medipac-Kazantzidis, C‑6/05, Racc. pag. I‑4557, punto 52, e del 22 novembre 2012, Brain Products, C‑219/11, punto 28).

66      Ai sensi dell’articolo 2 della direttiva 93/42, i dispositivi medici rientranti nel suo ambito di applicazione possono essere immessi in commercio soltanto qualora soddisfino i requisiti previsti dalla stessa direttiva. Secondo l’articolo 3 della direttiva 93/42, ciò significa, in sostanza, che i dispositivi medici devono rispettare i requisiti essenziali indicati nel suo allegato I.

67      Peraltro, l’articolo 4 della direttiva 93/42 prevede che gli Stati membri non impediscono, nel loro territorio, l’immissione in commercio e la messa in servizio dei dispositivi medici che soddisfano i requisiti essenziali stabiliti dalla medesima direttiva e che recano, conformemente all’articolo 17, paragrafo 1, di tale direttiva, la marcatura CE. Tali prodotti, qualora siano conformi alle norme armonizzate e certificati seguendo le procedure previste da tale direttiva, devono presumersi conformi ai summenzionati requisiti essenziali e, pertanto, devono essere considerati adeguati all’uso cui sono destinati. Inoltre, tali dispositivi medici devono beneficiare della libera circolazione nell’Unione (sentenze Medipac-Kazantzidis, punto 65 supra, punto 42, e Nordiska Dental, punto 65 supra, punto 22).

68      La presunzione di conformità dei dispositivi medici può, tuttavia, essere confutata (sentenze Medipac-Kazantzidis, punto 65 supra, punto 44, e Nordiska Dental, punto 65 supra, punto 23).

69      In particolare, l’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 93/42 impone agli Stati membri che abbiano constatato rischi collegati a dispositivi medici certificati conformi a tale direttiva di adottare qualsiasi misura provvisoria necessaria per ritirare tali dispositivi medici dal mercato e per vietarne o limitarne la commercializzazione o la messa in servizio. In tali condizioni, lo Stato membro interessato è tenuto, secondo la medesima disposizione, a notificare immediatamente alla Commissione le misure adottate, precisando, in particolare, le ragioni che le hanno determinate. Secondo l’articolo 8, paragrafo2, della direttiva 93/42, la Commissione, a sua volta, è tenuta a verificare se tali misure provvisorie siano giustificate e, se è così, a informare immediatamente lo Stato membro che ha preso l’iniziativa di tali misure e gli altri Stati membri (sentenze Medipac-Kazantzidis, punto 65 supra, punto 46, e Nordiska Dental, punto 65 supra, punto 24).

70      Dal canto suo, l’articolo 8, paragrafo 3, della direttiva 93/42 dispone che, qualora risulti che un dispositivo medico, benché munito della marcatura CE, non è però conforme ai requisiti essenziali previsti dalla medesima direttiva, lo Stato membro interessato deve adottare tutte le misure del caso e informarne la Commissione nonché gli altri Stati membri. D’altronde, dall’articolo 18 di detta direttiva risulta che, se uno Stato membro constata l’apposizione indebita di tale marcatura, il fabbricante o il suo mandatario stabilito nell’Unione ha l’obbligo di far cessare l’infrazione alle condizioni fissate da tale Stato membro (sentenza Medipac-Kazantzidis, punto 65 supra, punto 47).

71      Nella fattispecie, è pacifico tra le parti che la Commissione non ha adottato nessuna decisione dopo aver ricevuto la lettera del 7 gennaio 1998 relativa al divieto di immissione in commercio del dispositivo Inhaler. Tuttavia, le parti sono in disaccordo quanto all’obbligo che incombeva alla Commissione in seguito alla ricezione di tale lettera. Infatti, mentre il ricorrente sostiene che la lettera del 7 gennaio 1998 costituiva la notifica di una clausola di salvaguardia ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 93/42, e che la Commissione avrebbe quindi dovuto adottare una decisione ai sensi di tale medesima disposizione, quest’ultima ritiene, per contro, che detta lettera si limitasse a informarla di un caso di indebita marcatura CE ai sensi dell’articolo 18 della direttiva 93/42 e che, di conseguenza, alla luce dell’articolo 8, paragrafo 3, di tale medesima direttiva, essa non fosse tenuta ad agire.

72      A tale riguardo il Tribunale osserva, innanzitutto, che il ricorrente non contesta che il dispositivo Inhaler fosse un dispositivo medico ai sensi dell’articolo 1 della direttiva 93/42, pertanto soggetto alle disposizioni di tale direttiva, né che, per la sua immissione in commercio, dovesse soddisfare i requisiti essenziali previsti dall’allegato I. Il ricorrente ammette altresì che detto dispositivo era stato inizialmente messo in commercio con la marcatura CE, al fine di designare la sua conformità alle disposizioni della direttiva 93/42.

73      In seguito, durante l’udienza, la Commissione ha precisato, senza che ciò fosse a sua volta contestato dal ricorrente, che il dispositivo Inhaler apparteneva alla classe I dei dispositivi medici ai sensi dell’articolo 9 e dell’allegato IX della direttiva 93/42. A tale riguardo si deve rilevare che, conformemente all’articolo 11, paragrafo 5, della direttiva 93/42, per i dispositivi della classe I è il fabbricante che ha l’incarico di assicurare, sotto la propria responsabilità, la conformità di tale dispositivo ai requisiti essenziali della direttiva 93/42 ai fini dell’apposizione della marcatura CE prima dell’immissione in commercio. Inoltre, conformemente al procedimento di cui all’allegato VII, il fabbricante deve tenere a disposizione delle autorità nazionali a fini d’ispezione, oltre una dichiarazione di conformità CE che garantisce e dichiara la conformità del dispositivo ai requisiti essenziali, la documentazione tecnica idonea a dimostrare tale conformità. In particolare, la documentazione tecnica comprende un’analisi dei rischi e i dati clinici da effettuarsi conformemente all’allegato X della direttiva 93/42, nonché l’etichettatura e le istruzioni per l’uso.

74      Infine, con la lettera del 7 gennaio 1998, la Repubblica federale di Germania ha comunicato alla Commissione, come le autorità tedesche avevano già constatato nel progetto di decisione del 1996 e nella decisione del 23 settembre 1997 (v. punti 18 e 20 supra), che il fabbricante del dispositivo Inhaler non era stato in grado di presentare dati clinici idonei a dimostrare l’innocuità e l’efficacia garantita del dispositivo ai sensi dei requisiti essenziali della direttiva 93/42. In particolare, secondo dette autorità, che si basavano a tale riguardo sul parere del BfArM, gli elementi forniti dal fabbricante di detto dispositivo non erano sufficienti a dissipare i dubbi sulla pericolosità dell’inalatore né a dimostrare che i requisiti essenziali previsti ai punti 1 e 3 dell’allegato I della direttiva 93/42 fossero soddisfatti. Inoltre, le autorità tedesche hanno informato la Commissione che mancavano le informazioni che avrebbero dovuto accompagnare il dispositivo medico affinché esso potesse essere utilizzato in completa sicurezza conformemente al punto 13.6 dell’allegato I della direttiva 93/42.

75      Da quanto precede deriva che le autorità tedesche si trovavano di fronte a una fattispecie in cui la marcatura CE era stata indebitamente apposta dal fabbricante sul dispositivo Inhaler, poiché, in sostanza, la verifica della conformità di detto dispositivo ai requisiti essenziali non era stata effettuata conformemente alla direttiva 93/42, e, segnatamente, non aveva rispettato né l’allegato VII né l’allegato X della medesima direttiva. A tale riguardo occorre rilevare che la società distributrice stessa aveva riconosciuto, nella lettera che aveva inviato alle autorità tedesche il 22 maggio 1997 (v. punto 19 supra), la necessità di procedere a ulteriori studi e sperimentazioni sulla conformità del dispositivo medico alla direttiva 93/42.

76      Considerate tali circostanze, la lettera indirizzata alla Commissione dalle autorità tedesche il 7 gennaio 1998 può essere considerata soltanto come intesa a informare quest’ultima di una decisione di divieto di immissione in commercio adottata conformemente all’articolo 18 della direttiva 93/42.

77      Peraltro, poiché l’articolo 8, paragrafo 3, della direttiva 93/42 stabilisce solo un obbligo, per gli Stati membri, di informare la Commissione della decisione di divieto di immissione in commercio e non un obbligo di agire in capo alla Commissione (v. altresì la giurisprudenza citata al precedente punto 70), si deve ritenere che questa non fosse tenuta ad adottare alcuna decisione in seguito alla ricezione di detta lettera.

78      La valutazione che precede non può essere rimessa in discussione dalla circostanza che la lettera del 7 gennaio 1998 facesse riferimento, nel suo titolo, al procedimento di clausola di salvaguardia previsto all’articolo 8 della direttiva 93/42.

79      Infatti, si deve ricordare, a tale riguardo, che, conformemente a una giurisprudenza consolidata, l’analisi del valore giuridico di qualsiasi atto amministrativo deve essere effettuata in base alla sua sostanza e non alla sua presentazione formale (v., in tal senso, sentenza della Corte dell’11 novembre 1981, IBM/Commissione, 60/81, Racc. pag. 2639, punto 9, e sentenza del Tribunale del 29 gennaio 2002, Van Parys e Pacific Fruit Company/Commissione, T‑160/98, Racc. pag. II‑233, punto 60).

80      Nella fattispecie, il fatto che il titolo della lettera del 7 gennaio 1998 si riferisse al procedimento di clausola di salvaguardia conformemente all’articolo 8 della direttiva 93/42 non può inficiare la conclusione secondo la quale detta lettera, alla luce del suo contenuto e del suo fondamento sulla decisione di divieto del 23 settembre 1997, informasse la Commissione di una fattispecie di indebita marcatura CE, con la conseguenza che non poteva essere stabilito a carico della Commissione alcun obbligo di adottare una decisione a titolo dell’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 93/42. Peraltro, occorre rilevare che, durante l’udienza, la autorità tedesche hanno ammesso, in risposta a un quesito posto dal Tribunale, che la formulazione della lettera del 7 gennaio 1998 era errata e che tale errore era dovuto al fatto che la decisione relativa al dispositivo Inhaler era una delle prime decisioni che dette autorità avevano adottato nell’ambito della direttiva 93/42.

81      Il ricorrente sostiene, inoltre, che l’esigenza dell’adozione di una decisione definitiva da parte della Commissione ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 93/42 si fonda sul fatto che qualsiasi fabbricante interessato da una decisione di divieto deve avere la possibilità di sapere se la decisione di divieto di immissione in commercio delle autorità nazionali sia o meno giustificata. In sostanza, egli considera che, in mancanza di un intervento della Commissione, il diritto alla libera circolazione dei dispositivi medici previsto dalla direttiva 93/42 sarebbe vanificato.

82      Tuttavia, il Tribunale constata che la direttiva 93/42 prevede che spetti ai giudici nazionali verificare la legittimità delle decisioni di divieto di immissione in commercio adottate dalla autorità nazionali in materia. Infatti, l’articolo 19 della direttiva 93/42 prevede, in particolare, che ogni decisione presa in applicazione di tale direttiva dalle autorità nazionali che importi il diniego o la limitazione dell’immissione in commercio di un dispositivo medico o che ne imponga il ritiro dal mercato debba essere notificata all’interessato indicandogli con precisione i ricorsi ammessi dal diritto nazionale vigente nello Stato membro in questione e i termini entro i quali gli stessi devono essere presentati. Nella fattispecie, emerge dalla lettera del 23 settembre 1997 che le autorità tedesche hanno indicato al ricorrente quali fossero i mezzi di ricorso a sua disposizione al fine di contestare la decisione di dette autorità. Inoltre, il ricorrente indica nei suoi scritti che ha proposto un ricorso in opposizione dinanzi all’autorità tedesca competente al fine di contestare la legittimità della decisione di divieto del dispositivo Inhaler.

83      Infine, il ricorrente afferma che, nella fattispecie, l’obbligo, per la Commissione, di adottare una decisione ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 93/42 deriva dal principio della buona governance, quale descritto, da un lato, dal libro bianco sulla governance europea (GU 2001, C 287, pag. 1; in prosieguo: il «libro bianco») e, d’altro lato, dalla Guida all’attuazione delle direttive fondate sul nuovo approccio e sull’approccio globale della Commissione (in prosieguo: la «guida»).

84      Orbene, a tale riguardo, occorre, in primo luogo, ricordare che il libro bianco è solo un documento che contiene proposte di azione dell’Unione in un settore specifico. In linea generale, un libro bianco costituisce spesso l’estensione di un libro verde, il cui scopo è avviare un processo di consultazione a livello europeo. Si tratta, pertanto, di una comunicazione destinata a promuovere un dibattito politico e non a creare obblighi in capo alla Commissione in un caso come quello di specie.

85      In secondo luogo, la guida, oltre a non poter costituire la base giuridica di un obbligo a carico della Commissione nel senso sostenuto dal ricorrente, indica che gli interventi da intraprendere da parte delle autorità nazionali e dalla Commissione, nell’ambito della gestione di una violazione delle disposizioni delle direttive dette «nuovo approccio», come la direttiva 93/42, devono essere decisi caso per caso in funzione del tipo di non conformità constatata. In particolare, secondo la guida, i casi in cui, come nella presente fattispecie, l’obbligo di tenere a disposizione delle autorità competenti le informazioni richieste dalla direttiva, quali la documentazione tecnica o i dati clinici, non è totalmente soddisfatto costituiscono un esempio della «mancanza di conformità non sostanziale». In tali casi, le autorità nazionali sono tenute ad obbligare il fabbricante a mettere fine alla violazione, a limitare o a vietare l’immissione nel mercato del prodotto in questione e, se necessario, a garantire che detto prodotto sia altresì ritirato dal mercato. I casi di «mancata conformità non sostanziale», a differenza di quelli derivanti da una «non conformità sostanziale», che sono ugualmente trattati dalla guida, non giustificano l’avvio di un procedimento di clausola di salvaguardia previsto all’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 93/42 (v. punto 8.2.2 della guida dal titolo «Interventi correttivi»).

86      Alla luce di quanto precede, si deve concludere che, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, e per quanto la mancanza di reazione da parte della Commissione in seguito alla notifica da parte delle autorità tedesche della decisione di divieto del dispositivo Inhaler fosse criticabile, alcun comportamento illecito di tale istituzione può essere dedotto dal fatto che essa non ha adottato una decisione ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 93/42, in seguito a detta notifica.

–       Sul divieto del dispositivo effecto

87      Per quanto riguarda la decisione di divieto del dispositivo effecto, il ricorrente si avvale, in sostanza, di due motivi. Il primo verte sul fatto che la Commissione avrebbe dovuto adottare una decisione ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 93/42, anche in assenza di notifica formale da parte delle autorità tedesche. A tale riguardo, il ricorrente ritiene che la Commissione avrebbe dovuto agire nel momento in cui è venuta a conoscenza dell’esistenza della decisione di divieto del dispositivo effecto. Il secondo motivo verte sul fatto che la Commissione avrebbe dovuto quantomeno avviare un procedimento per inadempimento avverso la Repubblica federale di Germania per costringere quest’ultima a notificare detta decisione di divieto.

88      La Commissione contesta tali affermazioni.

89      Per quanto attiene al primo motivo, volto, in sostanza, a constatare che la Commissione avrebbe dovuto avviare di propria iniziativa un procedimento di clausola di salvaguardia riguardo al dispositivo effecto, si deve constatare, innanzitutto, come ha fatto la Commissione, che tale doglianza non rispetta la ripartizione di competenze stabilita dalla direttiva 93/42 tra la Commissione stessa e gli Stati membri. Infatti, occorre rilevare che, conformemente all’articolo 8, paragrafo 1, di tale direttiva, spetta agli Stati membri prendere le disposizioni necessarie affinché i dispositivi medici non possano essere immessi in commercio qualora compromettano la sicurezza e la salute dei pazienti. Pertanto, la direttiva prevede un sistema nel quale la sorveglianza del mercato spetta alle autorità nazionali, e non alla Commissione. Inoltre, secondo l’articolo 8 della direttiva 93/42, l’iniziativa di un procedimento di clausola di salvaguardia rientra nella competenza esclusiva degli Stati membri, con la conseguenza che spetta unicamente a questi ultimi avviare detto procedimento. A tale riguardo si deve constatare che l’articolo 8 della direttiva 93/42 non prevede che la Commissione possa, di sua propria iniziativa, informare gli Stati membri delle sue constatazioni relative a misure nazionali.

90      In seguito, il ricorrente sostiene che qualsiasi soluzione diversa da un obbligo della Commissione di avviare d’ufficio il procedimento di clausola di salvaguardia in un caso come quello di specie non sarebbe efficace. Orbene, a tale riguardo, basta ricordare che, conformemente al principio di attribuzione delle competenze sancito dall’articolo 5, paragrafo 2, TUE, l’Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei Trattati per realizzare gli obiettivi da questi ultimi stabiliti. Nella fattispecie, la Commissione non poteva agire al di là delle competenze così stabilite dalla direttiva 93/42 e tale circostanza non può esserle contestata sulla base di un criterio di efficacia.

91      Infine, riguardo all’affermazione del ricorrente secondo la quale la Commissione sarebbe venuta meno ai suoi obblighi omettendo di agire nel momento in cui è venuta a conoscenza della decisione di divieto del dispositivo effecto, si deve considerare che tale affermazione è infondata.

92      Infatti, in primo luogo, il messaggio di posta elettronica del 16 gennaio 2006, che secondo il ricorrente avrebbe dovuto fondare l’intervento della Commissione, conteneva solamente questioni astratte, senza alcun riferimento alla decisione di divieto del 18 maggio 2005. La Commissione non era in grado di sapere, alla luce del contenuto di tale messaggio di posta elettronica, che le autorità tedesche avevano adottato una decisione di divieto nei confronti del dispositivo medico contestato. In secondo luogo, non appena la Commissione è venuta a conoscenza della decisione di diniego del dispositivo effecto, mediante informazioni ulteriori del ricorrente, ha avviato una serie di azioni volte a determinare se la decisione di divieto delle autorità tedesche fosse o meno giustificata. In particolare, la Commissione si è rivolta, in un primo tempo, a dette autorità chiedendo loro i motivi che le avevano indotte a non procedere alla notifica della decisione di divieto ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 93/42. In un secondo tempo, la Commissione ha espresso la sua intenzione di esaminare la decisione tedesca sulla base dell’articolo 18 della direttiva 93/42 al fine di evitare una nuova notifica. La Commissione ha, d’altronde, informato regolarmente il ricorrente sia delle risposte delle autorità tedesche ai quesiti da essa posti, sia delle proprie azioni (v. precedenti punti da 26 a 31).

93      Di conseguenza, la prima censura dev’essere respinta.

94      Riguardo alla seconda censura, con cui il ricorrente fonda la domanda di risarcimento dei danni sul fatto che la Commissione non ha avviato un procedimento per inadempimento avverso la Repubblica federale di Germania conformemente all’articolo 226 CE, è sufficiente rilevare che, secondo costante giurisprudenza, la Commissione dispone di un potere discrezionale di instaurare o meno un procedimento di infrazione (sentenza della Corte del 14 febbraio 1989, Star Fruit/Commissione, 247/87, Racc. pag. 291, punto 11, e ordinanza del Tribunale del 12 novembre 1996, SDDDA/Commissione, T‑47/96, Racc. pag. II‑1559, punto 42). Si deve constatare che, nonostante l’invito rivolto alla Commissione ad instaurare un procedimento per inadempimento, si deve ritenere che essa non fosse tenuta ad avviare un tale procedimento, con la conseguenza che la sua mancata instaurazione non costituisce una violazione di una norma dell’Unione.

95      Pertanto, la seconda censura deve essere respinta.

96      Da ciò deriva che, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, nessun comportamento illecito della Commissione può essere dedotto dalla circostanza che essa non ha avviato un procedimento di clausola di salvaguardia ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 93/42 e dalla circostanza che essa non ha nemmeno avviato un procedimento ai sensi dell’articolo 226 CE, nel momento in cui è venuta a conoscenza della decisione di divieto del dispositivo effecto da parte delle autorità tedesche nel 2005.

–       Sulla violazione della Carta dei diritti fondamentali

97      In sede di replica, il ricorrente contesta alla Commissione di aver violato i suoi diritti fondamentali quali previsti dalla Carta dei diritti fondamentali. Esso ritiene, in sostanza, che la carenza della Commissione, nonché l’impossibilità di commercializzare i suoi dispositivi medici, costituiscano una violazione della libertà professionale, della libertà d’impresa e del diritto di proprietà, quali previsti rispettivamente agli articoli 15, 16 e 17 di detta Carta.

98      Il Tribunale ricorda che, secondo l’articolo 48, paragrafo 2, primo comma, del regolamento di procedura, è vietata la deduzione di motivi nuovi in corso di causa, a meno che essi si basino su elementi di diritto e di fatto emersi durante il procedimento.

99      Nella fattispecie, si deve constatare che le censure del ricorrente relative alla violazione di diritti fondamentali sono state formulate per la prima volta in sede di replica e che esse non si fondano su elementi di diritto o di fatto emersi durante il procedimento Esse non costituiscono neppure un’estensione di un motivo precedentemente dedotto dal ricorrente.

100    Pertanto, le censure del ricorrente devono essere respinte in quanto irricevibili.

–       Conclusione sul comportamento illecito

101    Dai precedenti punti da 62 a 100 emerge che il ricorrente non ha dimostrato che la Commissione sia venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 8 della direttiva 93/42, né che essa abbia violato un’altra norma del diritto dell’Unione ai sensi della giurisprudenza citata al precedente punto 57. Di conseguenza, non può constatarsi nella fattispecie alcun comportamento illecito.

 Sul danno e sul nesso di causalità

102    Conformemente alla giurisprudenza citata al precedente punto 60, le condizioni per il sorgere della responsabilità extracontrattuale dell’Unione sono cumulative. L’assenza di una sola di dette condizioni è sufficiente, pertanto, per dichiarare l’inesistenza di detta responsabilità.

103    Nella fattispecie, come deriva dal punto 101 supra, il ricorrente non ha dimostrato che la condizione relativa al comportamento illecito della Commissione fosse soddisfatta.

104    Di conseguenza, sempre che non sia prescritta, si deve in ogni caso respingere in quanto infondata la domanda di risarcimento del ricorrente per il danno asseritamente subìto per effetto del divieto d’immissione in commercio dei dispositivi Inhaler ed effecto, rispettivamente nel 1998 e nel 2005, senza che sia necessario esaminare se le altre due condizioni di detta responsabilità siano soddisfatte nel caso di specie.

105    Alla luce di tutto quanto precede, il ricorso deve essere integralmente respinto.

 Sulle spese

106    Ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, il ricorrente, rimasto soccombente in toto, deve essere condannato a sopportare le proprie spese nonché quelle sostenute dalla Commissione.

107    Ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 4, primo comma, dello stesso regolamento, gli Stati membri intervenuti nella causa sopportano le proprie spese. La Repubblica federale di Germania sopporterà le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Prima Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      Il sig. Christoph Klein è condannato a sopportare le proprie spese nonché quelle sostenute dalla Commissione europea.

3)      La Repubblica federale di Germania sopporterà le proprie spese.

Frimodt Nielsen

Kancheva

Buttigieg

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 21 gennaio 2014.

Firme


* Lingua processuale: il tedesco.