Language of document : ECLI:EU:T:2015:481

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Nona Sezione)

9 luglio 2015 (*)

«Marchio comunitario – Procedimento di dichiarazione di nullità – Marchio comunitario denominativo CAMOMILLA – Marchio nazionale figurativo anteriore Camomilla – Impedimento assoluto alla registrazione – Articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (CE) n. 207/2009 – Insussistenza di malafede del titolare del marchio comunitario – Impedimento relativo alla registrazione – Uso effettivo del marchio anteriore – Elementi di prova complementari prodotti dinanzi alla commissione di ricorso»

Nella causa T‑100/13,

CMT Compagnia manifatture tessili Srl (CMT Srl), con sede a Napoli (Italia), rappresentata da G. Floridia, R. Floridia, M. Franzosi e G. Rubino, avvocati,

ricorrente,

contro

Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), rappresentato da L. Rampini, in qualità di agente,

convenuto,

controinteressata nel procedimento dinanzi alla commissione di ricorso dell’UAMI e interveniente dinanzi al Tribunale:

Camomilla SpA, con sede a Buccinasco (Italia), rappresentata da A. Tornato e M. Mussi, avvocati,

interveniente

avente ad oggetto un ricorso proposto contro la decisione della prima commissione di ricorso dell’UAMI, del 29 novembre 2012 (procedimento R 1616/2011‑1), relativa a un procedimento di dichiarazione di nullità tra la CMT‑Compagnia manifatture tessili Srl (CMT Srl) e la Camomilla SpA,

IL TRIBUNALE (Nona Sezione),

composto da G. Berardis, presidente, O. Czúcz e A. Popescu (relatore), giudici,

cancelliere: C. Heeren, amministratore

visto il ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 20 febbraio 2013,

visto il controricorso dell’interveniente depositato presso la cancelleria del Tribunale il 10 giugno 2013,

vista la decisione del 4 dicembre 2013 con cui si constata il deposito oltre il termine del controricorso dell’UAMI e si nega l’inserimento del medesimo nel fascicolo,

vista la decisione del 13 gennaio 2014 di diniego dell’autorizzazione a depositare una replica,

in seguito all’udienza del 28 gennaio 2015, nella quale l’UAMI non è stato autorizzato a prendere la parola,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        Il 21 luglio 2008 l’interveniente, la Camomilla SpA, ha presentato una domanda di registrazione di marchio comunitario all’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI) ai sensi del regolamento (CE) n. 40/94 del Consiglio, del 20 dicembre 1993, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), come modificato [sostituito dal regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio comunitario (GU L 78, pag. 1)].

2        Il marchio oggetto della domanda di registrazione è il segno denominativo CAMOMILLA.

3        I prodotti per i quali è stata chiesta la registrazione rientrano, segnatamente, nelle classi 3, 9, 11, 14, 16, 18, 20, 21, 24, 25, 27, 28, 30 e 33 ai sensi dell’Accordo di Nizza relativo alla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, del 15 giugno 1957, come riveduto e modificato, e corrispondono, per ciascuna di tali classi, alla seguente descrizione:

–        classe 3: «Dentifrici; preparati per la sbianca e altre sostanze per il bucato; preparati per pulire, lucidare, sgrassare e abradere»;

–        classe 9: «Occhiali, loro parti e accessori quali catenelle, portaocchiali, porta-cellulari; caschi di protezione; caschi da moto; macchine calcolatrici; compact disc; DVD; supporti di registrazione magnetica e/o ottica; apparecchi e strumenti d’insegnamento; computer hardware e software»;

–        classe 11: «Lampade e lampadari; apparecchi di illuminazione, di riscaldamento, di produzione di vapore, di cottura, di refrigerazione, di essiccamento, di ventilazione, di distribuzione d’acqua e impianti sanitari»;

–        classe 14: «Articoli di oreficeria e di gioielleria composti da materiali preziosi o meno, gemelli e fermacravatte, gioielli e loro imitazioni, orologeria, parti e accessori»;

–        classe 16: «Articoli di cartoleria, cartone e prodotti in queste materie non compresi in altre classi, involucri in carta e cartone, porta-blocchi, matite, portamine, penne a sfera, penne a punta sintetica, roller, stilografi, evidenziatori, penne, pastelli, pastelli a cera e a olio, matite nere e colorate, gessetti bianchi e colorati, pennarelli, album fotografici, agende, agendine, portafoto, sacchetti, gomme, colori ad olio e acquarelli, inchiostri, materiale da ufficio, pittura e disegno artistico, astucci, cera, plastilina, argilla, paste colorate, materiale per l’istruzione e l’insegnamento, materie plastiche per l’imballaggio, fotografie, piastre per inchiostro per incisioni, cliché, pannelli, tavoli da disegno, carta e articoli in carta, quali fazzoletti, tovaglioli, tovaglie; adesivi per la cartoleria; adesivi; adesivi da collezione; autoadesivi (per automobili); etichette autoadesive; prodotti per la stampa»;

–        classe 18: «Cuoio e sue imitazioni, articoli in queste materie non compresi in altre classi; pelli di animali; bauli e valigie; ombrelli e bastoni da passeggio; fruste e articoli di selleria; ombrelloni; ombrelloni da spiaggia; zaini, astucci per chiavi (pelletteria), porta‑documenti, portafogli, portamonete non in metalli preziosi, borse, bauletti destinati a contenere articoli da toilette; astucci, trousse»;

–        classe 20: «Mobili, specchi e cornici; divani; poltrone; sedie a sdraio; prodotti, non compresi in altre classi, in legno, sughero, canna, giunco, vimini, corno, osso, avorio, balena, tartaruga, ambra, madreperla, spuma di mare, succedanei di tutte queste materie o in materie plastiche; dispense»;

–        classe 21: «Utensili e recipienti in ceramica e/o in porcellana per uso domestico o di cucina, vetreria, porcellana e maiolica non comprese in altre classi, in particolare piatti e bicchieri, tegami e oggetti simili, caffettiere, eccetto quelle in metalli preziosi ed elettriche, pentole, pentole in ferro, vasellame, eccetto quello in metalli preziosi, secchielli per il ghiaccio, batticarne, spiedi per pesce, contenitori portatili per ghiaccio, filtri, macinini da pepe, zuccheriere, saliere, eccetto quelle in metalli preziosi, portasciugamani e portatovaglioli, vassoi, eccetto quelli in metalli preziosi, porta stuzzicadenti, eccetto quelli in metalli preziosi, cestini in bambù, frullatori, piatti da riso, macinacaffè e macinini da pepe, imbuti, bottiglie in vetro per la conservazione di alimenti, pestelli in legno, oggetti in terracotta, apribottiglie, sottopiatti, mestoli, setacci, taglieri, bottiglie isolanti, mattarelli, griglie, stuzzicadenti, spremiagrumi, stampi per cialde, eccetto quelli elettrici, materiale per pulizia e per il bucato, portasapone, pettini, spugne, spazzole; articoli in carta quali piatti e bicchieri»;

–        classe 24: «Tessuti, tessuti in maglia, prodotti tessili, accessori per prodotti tessili, coperte e copriletti, lenzuola, tende, asciugamani, tovaglie, centrini, fazzoletti, feltri»;

–        classe 25: «Abbigliamento; parti di calzature; cappelleria; guanti, foulards; scialli; accappatoi da bagno»;

–        classe 27: «Tappeti, zerbini, stuoie, linoleum e altri rivestimenti per pavimenti; tappezzerie per pareti in materie non tessili»;

–        classe 28: «Giochi e giocattoli, bambole, imbragature per lo sport e la ginnastica, attrezzature sportive, borse speciali per attrezzature sportive; decorazioni per alberi di Natale; carte da gioco»;

–        classe 30: «Pasta, caffè, cacao, zucchero, riso, tapioca, sago, succedanei del caffè; farine e preparati fatti di cereali, pane, pasticceria e confetteria, gelati; miele, sciroppo di melassa; lievito, polvere per fare lievitare; sale, senape; aceto, salse (condimenti); spezie, ghiaccio; tutti questi prodotti eccetto la camomilla e bevande a base di camomilla»;

–        classe 33: «Bevande alcoliche, escluse le birre; vini e vini spumanti catalani».

4        La domanda di marchio comunitario è stata pubblicata nel Bollettino dei marchi comunitari n. 2009/017, dell’11 maggio 2009.

5        Il 9 settembre 2009 il segno è stato registrato come marchio comunitario con il numero 7077555.

6        Il 17 dicembre 2009 la ricorrente, la C.M.T. – Compagnia manifatture tessili Srl (CMT Srl), ha presentato una domanda di dichiarazione di nullità del marchio comunitario denominativo dell’interveniente, per tutti i prodotti per i quali esso era stato registrato.

7        I motivi di nullità dedotti a sostegno di tali domande erano fondati sui motivi di nullità assoluta di cui all’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009 e sui motivi di nullità relativa di cui all’articolo 53, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 207/2009, in combinato disposto con l’articolo 8, paragrafo 1, lettera a) e lettera b), del regolamento n. 207/2009 e l’articolo 8, paragrafo 5, dello stesso regolamento.

8        La domanda di dichiarazione di nullità era fondata, per quanto riguarda i motivi di nullità relativa, sul marchio figurativo italiano di seguito riprodotto:

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9        Tale marchio è stato depositato in Italia il 17 aprile 1978 e registrato il 24 febbraio 1986 con il numero 407266, per designare prodotti della classe 25 corrispondenti alla seguente descrizione: «Abbigliamento e accessori per l’abbigliamento in tutte le forme».

10      Con decisione del 25 luglio 2011, la divisione di annullamento ha respinto la domanda di dichiarazione di nullità, ritenendo che la ricorrente non avesse fornito la prova dell’uso, che non sussistesse alcun rischio di confusione, che non fossero state provate la notorietà del marchio nazionale anteriore o anche solo la malafede dell’interveniente al momento del deposito.

11      Il 5 agosto 2011 la ricorrente ha proposto ricorso dinanzi all’UAMI, ai sensi degli articoli da 58 a 64 del regolamento n. 207/2009, contro la decisione della divisione di annullamento.

12      Con decisione del 29 novembre 2012 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), la prima commissione di ricorso dell’UAMI ha respinto il ricorso della ricorrente.

13      In primo luogo, per quanto riguarda il motivo di nullità basato sulla malafede del richiedente [articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009], la commissione di ricorso ha ritenuto che i motivi dedotti dalla ricorrente fossero insufficienti e basati su circostanze inesistenti. In sostanza, secondo la commissione di ricorso, la ricorrente si è limitata ad asserire, senza alcuna sorta di motivazione, che l’interveniente aveva agito in malafede, lasciando a quest’ultima l’onere di dimostrare la propria buona fede. La commissione di ricorso ha indicato che l’onere della prova è invece a carico di colui che agisce per far dichiarare la nullità e che deve pertanto argomentare e produrre le prove a sostegno della propria azione, mentre spetta alla parte avversaria confutare tale argomentazione e tali prove. La commissione di ricorso ha concluso nel senso che la ricorrente non aveva dimostrato in maniera convincente che l’interveniente era in malafede allorquando ha depositato il marchio, quand’anche quest’ultima fosse stata a conoscenza del fatto che un marchio comprendente la medesima parola era in quel momento usato in Italia da terzi per contraddistinguere prodotti della classe 25.

14      In secondo luogo, per quanto riguarda la causa di nullità fondata sulla violazione dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera a) e lettera b), del regolamento n. 207/2009, la commissione di ricorso ha ritenuto che si dovesse, in via preliminare, verificare l’uso del marchio anteriore conformemente all’articolo 57 del regolamento n. 207/2009, come richiesto dall’interveniente.

15      A tale riguardo, la commissione di ricorso ha anzitutto precisato che l’uso doveva essere dimostrato unicamente per i prodotti enunciati nella registrazione, vale a dire «abbigliamento ed accessori per l’abbigliamento in tutte le sue forme».

16      La commissione di ricorso ha esaminato un primo gruppo di documenti, denominato il «documento 3», allegato dalla ricorrente alla propria domanda di dichiarazione di nullità. Per quanto concerne tale primo gruppo di documenti, la commissione di ricorso ha ritenuto che la documentazione fornita fosse insufficiente a provare l’uso per gli effetti dell’articolo 57 del regolamento n. 207/2009, in quanto riguardava solo in parte il periodo di riferimento e sussisteva un’ambiguità quanto al segno usato in funzione di marchio di prodotto.

17      La commissione di ricorso ha quindi esaminato un secondo gruppo di documenti forniti dalla ricorrente a seguito dell’invito rivoltole dalla divisione d’annullamento. Per quanto concerne tale secondo gruppo di documenti, la commissione di ricorso ha ritenuto che fosse insufficiente e incoerente per provare l’uso del marchio anteriore. Infatti, secondo la commissione di ricorso, la prova fornita dalla ricorrente non consentiva di rendersi conto di come il consumatore finale percepisse tale marchio. Essa ha ricordato che il consumatore doveva essere in grado di vedere il marchio sul prodotto, non solo nella pubblicità.

18      Per quanto riguarda la violazione dei diritti della difesa di cui all’articolo 75 del regolamento n. 207/2009, la commissione di ricorso ha ritenuto che la ricorrente avesse avuto due opportunità per depositare la prova d’uso e pertanto avesse prodotto il meglio delle prove di cui disponeva. La commissione di ricorso ha parimenti ricordato che l’UAMI non è tenuto ad anticipare la decisione che intende prendere su una determinata questione.

19      Infine, per quanto riguarda un terzo gruppo di documenti depositato dalla ricorrente solo dinanzi alla commissione di ricorso, quest’ultima ha sostanzialmente considerato, sulla base della sentenza del 22 settembre 2011, Cesea Group/UAMI – Mangini & C. (Mangiami) (T‑250/09, EU:T:2011:516, punto 26), che la produzione di detti documenti poteva essere ammessa solamente qualora fossero sopravvenuti «elementi nuovi», tali da renderla necessaria. Alla luce del fatto che il ragionamento della divisione di annullamento che ha condotto a contestare l’insufficienza della prova dell’uso del marchio anteriore non poteva essere considerato di per sé un elemento nuovo che giustificasse la presentazione di prove ulteriori prodotte per la prima volta dinanzi alla commissione di ricorso, essa ha concluso nel senso che la natura delle nuove produzioni – in particolare le fotografie di prodotti marchiati, le copie di fatture di vendita e le dichiarazioni di parte – era tale da consentirne la comunicazione entro il termine fissato dalla divisione di annullamento.

20      Alla luce di tali circostanze, la commissione di ricorso ha ritenuto che, tenuto conto dell’insufficienza delle prove dell’uso, la domanda di dichiarazione di nullità basata sui motivi di nullità relativa dovesse essere respinta.

 Conclusioni delle parti

21      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        in subordine, e nel solo caso in cui il Tribunale dovesse considerare irricevibili i documenti prodotti nell’ambito del ricorso dinanzi alla commissione di ricorso e dovesse considerare questi documenti essenziali ai fini dell’accoglimento del ricorso, annullare la decisione impugnata, poiché non rispetta il principio del contraddittorio e i diritti della difesa, e rinviare la causa dinanzi alla divisione di annullamento affinché statuisca nel merito;

–        in ogni caso, invitare l’UAMI ad adottare i provvedimenti necessari per conformarsi alla sentenza del Tribunale;

–        condannare l’UAMI a sopportare le spese sostenute nel corso del presente procedimento e l’interveniente a sopportare le spese sostenute nell’ambito dei procedimenti dinanzi alla divisione di annullamento e alla commissione di ricorso.

22      L’interveniente chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso e confermare la decisione impugnata;

–        condannare la ricorrente a sopportare tutte le spese, comprese quelle sostenute dall’interveniente.

 In diritto

 Sulla ricevibilità del terzo capo delle conclusioni della ricorrente

23      Emerge da una giurisprudenza costante che, nell’ambito di un ricorso proposto dinanzi al giudice dell’Unione europea contro la decisione di una commissione di ricorso dell’UAMI, quest’ultimo, conformemente all’articolo 65, paragrafo 6, del regolamento n. 207/2009, è tenuto a prendere i provvedimenti diretti all’esecuzione della sentenza del giudice dell’Unione. Di conseguenza, non spetta al Tribunale rivolgere ingiunzioni all’UAMI, incombe a quest’ultimo trarre le conseguenze dal dispositivo e dalla motivazione delle sentenze del giudice dell’Unione [sentenze dell’11 luglio 2007, El Corte Inglés/UAMI – Bolaños Sabri (PiraÑAM diseño original Juan Bolaños), T‑443/05, Racc., EU:T:2007:219, punto 20, e del 27 giugno 2013, Repsol YPF/UAMI – Ajuntament de Roses (R), T‑89/12, Racc., EU:T:2013:335, punto 15].

24      Tale capo di conclusioni della ricorrente è pertanto irricevibile.

 Nel merito

25      A sostegno della sua domanda di annullamento della decisione impugnata, la ricorrente deduce sostanzialmente tre motivi, vertenti, in primo luogo, sulla violazione dell’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, in secondo luogo, sulla violazione dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009 in combinato disposto con l’articolo 53, paragrafo 1, lettera a), dello stesso regolamento e, in terzo luogo, sulla violazione dell’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 207/2009 in combinato disposto con l’articolo 53, paragrafo 1, lettera a), dello stesso regolamento.

 Sulla violazione dell’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009

26      La ricorrente fa valere che l’errore, commesso sia dalla divisione di annullamento sia dalla commissione di ricorso, è quello di non aver tenuto conto della specificità della fattispecie di cui è causa e di avere conseguentemente applicato il principio tradizionale per cui la semplice conoscenza del marchio anteriore non è sufficiente a configurare la malafede del richiedente.

27      Nel caso di specie, secondo la ricorrente, per constatare la malafede al momento del deposito successivo dello stesso marchio in quanto marchio comunitario, occorreva prendere in considerazione circostanze che prescindono e sono comunque distinte rispetto alla pura e semplice conoscenza del marchio anteriore da parte del titolare.

28      Nel caso di specie, le circostanze pertinenti sarebbero quelle risultanti dall’eccessiva lunghezza del contenzioso, durato anni, tra la ricorrente e l’interveniente, tanto sul piano nazionale quanto sul piano dell’Unione, relativo alla proprietà del marchio Camomilla come segno distintivo di abbigliamento e accessori di abbigliamento. Tale contenzioso avrebbe dovuto condurre la commissione di ricorso a concludere che l’interveniente, con il deposito dei suoi marchi comunitari, non aveva lo scopo di ottenere un diritto legittimo, bensì quello di appropriarsi del marchio Camomilla, già registrato ed utilizzato dalla ricorrente.

29      L’interveniente contesta gli argomenti della ricorrente.

30      A tale riguardo occorre ricordare anzitutto che il sistema di registrazione di un marchio comunitario si basa sul principio del «primo depositante», sancito all’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009. In forza di tale principio, un segno può essere registrato in quanto marchio comunitario solo qualora non vi osti un marchio anteriore, sia che si tratti di un marchio comunitario, sia di un marchio registrato in uno Stato membro o dall’Ufficio del Benelux per la proprietà intellettuale, sia di un marchio registrato in base ad accordi internazionali con effetto in uno Stato membro sia ancora di un marchio oggetto di registrazione internazionale avente efficacia nell’Unione. Per contro, fatta salva un’eventuale applicazione dell’articolo 8, paragrafo 4, del regolamento n. 207/2009, il semplice utilizzo da parte di un terzo di un marchio non registrato non osta a che un marchio identico o simile sia registrato come marchio comunitario, per prodotti o servizi identici o simili [sentenza del 14 febbraio 2012, Peeters Landbouwmachines/UAMI – Fors MW (BIGAB), T‑33/11, Racc., EU:T:2012:77, punto 16; v. altresì sentenza dell’11 luglio 2013, SA.PAR./UAMI – Salini Costruttori (GRUPPO SALINI), T‑321/10, Racc., EU:T:2013:372, punto 17 e giurisprudenza ivi citata].

31      L’applicazione di tale principio è temperata, in particolare, dall’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, ai sensi del quale un marchio comunitario è dichiarato nullo, su domanda presentata all’UAMI o su domanda riconvenzionale nell’ambito di un’azione per contraffazione, qualora al momento del deposito della domanda di marchio il richiedente abbia agito in malafede. Spetta al richiedente la nullità, il quale intende basarsi su questo motivo, dimostrare le circostanze che consentono di dichiarare che il titolare di un marchio comunitario era in malafede al momento del deposito della domanda di registrazione di quest’ultimo (sentenza BIGAB, punto 30 supra, EU:T:2012:77, punto 17; v. altresì sentenza GRUPPO SALINI, punto 30 supra, EU:T:2013:372, punto 18 e giurisprudenza ivi citata).

32      La nozione di «malafede», di cui all’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009 non è definita, delimitata, e nemmeno descritta in alcun modo nella normativa [sentenza del 1° febbraio 2012, Carrols/UAMI – Gambettola (Pollo Tropical CHICKEN ON THE GRILL), T‑291/09, Racc., EU:T:2012:39, punto 44].

33      Occorre osservare che, nella sentenza dell’11 giugno 2009, Chocoladefabriken Lindt & Sprüngli (C‑529/07, Racc., EU:C:2009:361, punto 53; in prosieguo: la «sentenza Lindt Goldhase»), la Corte ha fornito diverse precisazioni sul modo in cui doveva essere interpretata la nozione di malafede che figurava all’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009.

34      Secondo la Corte, ai fini della valutazione dell’esistenza della malafede del richiedente, ai sensi di tale disposizione, occorre prendere in considerazione tutti i fattori pertinenti propri del caso di specie ed esistenti al momento del deposito della domanda di registrazione di un segno come marchio comunitario e, in particolare, in primo luogo, il fatto che il richiedente sappia o debba sapere che un terzo utilizza, in almeno uno Stato membro, un segno identico o simile per un prodotto o servizio identico o simile e confondibile con il segno di cui viene chiesta la registrazione, in secondo luogo, l’intenzione del richiedente di impedire a detto terzo di continuare a utilizzare un siffatto segno, nonché, in terzo luogo, il grado di tutela giuridica di cui godono il segno del terzo ed il segno di cui viene chiesta la registrazione (sentenza Lindt Goldhase, punto 33 supra, EU:C:2009:361, punto 53).

35      Ciò premesso, dalla formulazione adottata dalla Corte in detta sentenza risulta che i fattori ivi enumerati sono soltanto alcuni esempi tra un insieme di elementi che possono essere presi in considerazione al fine di decidere sull’eventuale malafede del richiedente la registrazione di un marchio al momento del deposito della domanda (sentenze BIGAB, punto 30 supra, EU:T:2012:77, punto 20; del 13 dicembre 2012, pelicantravel.com/UAMI – Pelikan (Pelikan), T‑136/11, EU:T:2012:689, punto 26, e GRUPPO SALINI, punto 30 supra, EU:T:2013:372, punto 22).

36      Occorre quindi considerare che, nell’ambito dell’analisi complessiva svolta ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, si può anche tenere conto della logica commerciale nella quale si inserisce il deposito della domanda di registrazione del segno come marchio comunitario, così come della cronologia degli avvenimenti che hanno caratterizzato detto deposito (v., in tal senso, sentenze BIGAB, punto 30 supra, EU:T:2012:77, punto 21, e GRUPPO SALINI, punto 30 supra, EU:T:2013:372, punto 30).

37      È segnatamente alla luce delle considerazioni che precedono, purché siano applicabili alla presente causa, che occorre verificare la legittimità della decisione impugnata, nella parte in cui la commissione di ricorso ha respinto il motivo di nullità fondato sull’asserita malafede dell’interveniente al momento del deposito della domanda del marchio contestato.

38      Nel caso di specie occorre rilevare, come giustamente precisato dalla commissione di ricorso al punto 42 della decisione impugnata, che la semplice conoscenza del titolo altrui non caratterizza la malafede. Per valutare la sussistenza della malafede è necessario prendere in considerazione l’intenzione del soggetto al momento del deposito del marchio (sentenza Lindt Goldhase, punto 33 supra, EU:C:2009:361, punti 40 e 41).

39      A tale riguardo, la ricorrente si limita ad affermare sostanzialmente che le controversie tra l’interveniente e la ricorrente stessa dimostrano in modo evidente l’esistenza di un’intenzione consapevole e dolosa dell’interveniente di appropriarsi del marchio Camomilla, già registrato e utilizzato dalla ricorrente. Dette controversie dimostrerebbero che il deposito dei marchi comunitari è stato effettuato al solo scopo di rafforzare i paralleli marchi nazionali, estendendone la protezione a prodotti incompatibili con quelli della ricorrente.

40      La ricorrente sostiene che l’interveniente ha tentato di «neutralizzare il marchio italiano anteriore» e di appropriarsi, a livello dell’Unione e quindi anche in Italia, di un marchio non proprio e di precludere alla ricorrente l’ingresso sul mercato, così ostacolando la sua attività commerciale.

41      Orbene, occorre rilevare che una controversia tra diversi titolari di marchi a livello nazionale non è di per sé prova oggettiva della malafede di una delle parti che abbia voluto registrare il proprio marchio anche a livello dell’Unione.

42      Allo stesso modo, non è stato riscontrato alcun elemento in grado di dimostrare che la ricorrente intendesse commercializzare il proprio marchio a livello dell’Unione nei settori merceologici in questione né che l’interveniente fosse al corrente di tale intenzione al momento del deposito del marchio comunitario contestato.

43      Si deve inoltre ricordare che la buona fede è presunta fino a prova contraria (v., sentenza Pelikan, punto 35 supra, EU:T:2012:689, punto 57) e pertanto non si può concludere nel senso della malafede del titolare di un marchio comunitario in base a semplici presunzioni, ma chiunque invochi una circostanza siffatta la deve dimostrare sulla base di elementi oggettivi sui quali sia possibile fondare una valutazione certa delle intenzioni dell’altra parte.

44      Ne consegue che le affermazioni della ricorrente, non corroborate da elementi di prova oggettivi delle intenzioni fraudolente dell’interveniente, non sono sufficienti a stabilire la malafede di quest’ultima.

45      Gli altri argomenti della ricorrente non sono atti a rimettere in discussione tale conclusione.

46      Per quanto concerne l’argomento della ricorrente secondo cui la registrazione contestata avrebbe l’effetto di «neutralizzare» il marchio italiano anteriore, occorre rilevare che la commissione di ricorso ha giustamente escluso, nella decisione impugnata, ogni possibilità che la registrazione dei marchi comunitari abbia l’effetto di «paralizzare» o di pregiudicare in altro modo il diritto di esclusiva di cui gode il marchio anteriore. La registrazione comunitaria posteriore non può infatti prevalere sul diritto nazionale anteriore, ma può invece essere dichiarata nulla in caso di un rischio di confusione o di ogni altra violazione di tale diritto anteriore che costituisca una causa di nullità.

47      Infine, per quanto riguarda l’argomento della ricorrente vertente sul fatto che la commissione di ricorso non avrebbe esaminato il rischio di confusione tra i marchi in conflitto nell’ambito della malafede, è sufficiente rilevare che il rischio di confusione a causa della somiglianza o addirittura dell’identità dei segni e dei prodotti con un marchio anteriore non costituisce di per sé la prova decisiva della malafede del richiedente in mancanza di ogni altro pertinente elemento (v., in tal senso, sentenza Pollo Tropical CHICKEN ON THE GRILL, punto 32 supra, EU:T:2012:39, punto 90).

48      Alla luce di quanto precede, il primo motivo deve essere respinto.

 Sulla violazione dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, in combinato disposto con l’articolo 53, paragrafo 1, lettera a), dello stesso regolamento

49      Per quanto concerne, anzitutto, la prova dell’uso effettivo del marchio anteriore, la ricorrente sostiene di aver allegato alla domanda di dichiarazione di nullità una copiosa documentazione allo scopo di dimostrare sia la notorietà sia l’uso effettivo del proprio marchio. Essa indica che tale documentazione è stata prodotta in tre tranches e che, in particolare, all’atto del ricorso dinanzi alla commissione di ricorso, essa ha integrato la documentazione precedentemente prodotta, allo scopo di tener conto dei rilievi critici della divisione di annullamento.

50      Inoltre la ricorrente ricorda che non è tardiva una produzione documentale che sarebbe stata prodotta nel primo grado se la divisione di annullamento lo avesse consentito concedendo alla ricorrente il termine che le spettava in ossequio al principio del contraddittorio e al diritto di difesa.

51      La ricorrente reputa che la commissione di ricorso abbia commesso un errore nel ritenere di non poter prendere in considerazione quella che è stata definita la terza tranche di documenti e di non poter esercitare positivamente il potere di recepire tali documenti in quanto complementari rispetto a quelli già prodotti tempestivamente nel giudizio di primo grado.

52      L’interveniente rileva che si deve distinguere, da un lato, l’uso del marchio anteriore per i servizi di distribuzione, non rivendicati dalla registrazione di marchio anteriore della ricorrente, e, dall’altro, l’uso per l’abbigliamento e gli accessori di abbigliamento, i soli prodotti rivendicati dalla registrazione di marchio anteriore della ricorrente. Infatti non sarebbe scontato né pacifico che il marchio usato per servizi di distribuzione di calzature e abbigliamento contraddistingua poi anche capi di abbigliamento e calzature. Inoltre dalla documentazione della ricorrente stessa si ricaverebbe che non è stata fornita alcuna prova di come il marchio venga usato in concreto sui prodotti rivendicati dalla registrazione e che la ricorrente non è un’impresa monomarca, bensì che vende invece prodotti recanti altri marchi.

53      Inoltre l’interveniente fa valere che i presupposti e le condizioni che il Tribunale ha individuato affinché possa darsi utilmente ingresso a nuove prove dinanzi alla commissione di ricorso richiedono che in prima istanza siano state presentate «prove iniziali pertinenti», talché sia consentito all’opponente soltanto di «rafforzare» o di «chiarire» il contenuto delle prove iniziali producendo prove complementari. Secondo l’interveniente, nel caso di specie le prove iniziali prodotte dalla ricorrente non sono soltanto insufficienti sotto il profilo dell’estensione, ma sono anche state giudicate anzitutto non pertinenti sotto il profilo della natura dell’uso e più in particolare sotto il profilo dell’uso in relazione a prodotti o servizi, giungendo l’UAMI a riconoscere che la ricorrente non è stata in grado di dimostrare l’uso del suo marchio registrato anteriore con riferimento ai prodotti rivendicati nella registrazione del marchio.

54      A tale riguardo occorre rilevare anzitutto che dall’articolo 42, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009 risulta che, su istanza del richiedente, il titolare di un marchio comunitario anteriore o anche, ai sensi del paragrafo 3 di tale articolo, di un marchio nazionale anteriore che abbia presentato opposizione deve addurre la prova che, nel corso dei cinque anni che precedono la pubblicazione della domanda di marchio comunitario, il marchio anteriore sia stato seriamente utilizzato nell’Unione o nello Stato membro in cui è tutelato per i prodotti o i servizi per cui è stato registrato e sui quali si fonda l’opposizione, o che vi siano legittime ragioni per la mancata utilizzazione, purché a quella data il marchio anteriore fosse registrato da almeno cinque anni. In mancanza di tale prova, l’opposizione è respinta. Se il marchio comunitario anteriore è stato utilizzato solo per una parte dei prodotti o dei servizi per cui è stato registrato, ai fini dell’esame dell’opposizione si intende registrato solo per tale parte dei prodotti o dei servizi.

55      Secondo una giurisprudenza costante, la ratio legis che il marchio anteriore debba essere stato seriamente utilizzato per essere opponibile ad una domanda di marchio comunitario consiste nel limitare conflitti tra due marchi, purché non vi sia un legittimo motivo economico per il mancato uso effettivo del marchio anteriore derivante da una funzione effettiva del marchio sul mercato [v., in tal senso, sentenze dell’8 luglio 2004, Sunrider/UAMI – Espadafor Caba (VITAFRUIT), T‑203/02, Racc., EU:T:2004:225, punto 38, e del 30 novembre 2009, Esber/UAMI – Coloris Global Coloring Concept (COLORIS), T‑353/07, EU:T:2009:475, punto 20].

56      Ai sensi della regola 22, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2868/95, della Commissione, del 13 dicembre 1995, recante modalità di esecuzione del regolamento n. 40/94 (GU L 303, pag. 1), applicabile mutatis mutandis nei procedimenti di dichiarazione di nullità in forza della regola 40, paragrafo 6, dello stesso regolamento, la prova dell’utilizzazione deve riguardare il luogo, il tempo, l’estensione e la natura dell’utilizzazione del marchio anteriore e deve limitarsi, in linea di principio, alla presentazione di elementi giustificativi quali, ad esempio, imballaggi, etichette, elenchi di prezzi, cataloghi, fatture, fotografie, pubblicità a mezzo stampa e dichiarazioni scritte di cui all’articolo 78, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 207/2009.

57      Un marchio è oggetto di un uso effettivo allorché, conformemente alla sua funzione essenziale che è di garantire l’identità di origine dei prodotti o dei servizi per i quali è stato registrato, è usato al fine di creare o mantenere uno sbocco per tali prodotti e servizi, restando esclusi gli usi simbolici, che hanno il solo scopo di conservare i diritti conferiti dal marchio (v., per analogia, sentenza dell’11 marzo 2003, Ansul, C‑40/01, Racc., EU:C:2003:145, punto 43).

58      Nel verificare l’uso effettivo del marchio anteriore occorre prendere in considerazione tutti i fatti e le circostanze che possano provare l’effettività del suo sfruttamento commerciale, segnatamente gli usi considerati giustificati, nel settore economico interessato, per mantenere o creare quote di mercato per i prodotti o per i servizi tutelati dal marchio, la natura di tali prodotti o servizi, le caratteristiche del mercato, l’ampiezza e la frequenza dell’uso del marchio (sentenza VITAFRUIT, punto 55 supra, EU:T:2004:225, punto 40; v. altresì, per analogia, sentenza Ansul, punto 57 supra, EU:C:2003:145 punto 43).

59      Benché la nozione di uso effettivo osti a un’utilizzazione minima e insufficiente per ritenere che un marchio sia realmente ed effettivamente impiegato su un determinato mercato [sentenza del 23 febbraio 2006, Il Ponte Finanziaria/UAMI – Marine Enterprise Projects (BAINBRIDGE), T‑194/03, Racc., EU:T:2006:65, punto 32], ciò non toglie che il requisito di uso effettivo non è diretto a valutare il successo commerciale né a controllare la strategia economica di un’impresa, né a riservare la tutela dei marchi solamente a loro sfruttamenti commerciali rilevanti sotto il profilo quantitativo.

60      Per esaminare l’effettività dell’uso di un marchio anteriore, occorre procedere ad una valutazione complessiva tenendo conto di tutti i fattori pertinenti del caso di specie. Vero è che l’uso effettivo di un marchio non può essere dimostrato da probabilità o da presunzioni, ma deve basarsi su elementi concreti ed oggettivi che provino un utilizzo effettivo e sufficiente del marchio sul mercato interessato (sentenza COLORIS, punto 55 supra, EU:T:2009:475, punto 24). Tuttavia non può escludersi che una serie di elementi di prova consenta di accertare i fatti da dimostrare, benché ciascuno di tali elementi, isolatamente considerato, non sia in grado di fornire la prova dell’esattezza di tali fatti (v., in tal senso, sentenza del 17 aprile 2008, Ferrero Deutschland/UAMI, C‑108/07 P, EU:C:2008:234, punto 36).

61      È alla luce di quanto precede che occorre valutare se la commissione di ricorso abbia correttamente ritenuto che gli elementi di prova presentati dalla ricorrente non dimostrassero l’uso effettivo del marchio anteriore per l’abbigliamento e gli accessori di abbigliamento.

62      Nel caso di specie, per quanto riguarda i primi due gruppi di documenti prodotti dalla ricorrente (v. supra i punti 16 e 17), la commissione di ricorso ha ritenuto, ai punti da 55 a 57 e da 60 a 62 della decisione impugnata, confermando così la decisione della divisione di annullamento, che gli elementi di prova presentati dalla ricorrente fossero insufficienti a provare l’uso effettivo del marchio anteriore.

63      Tale conclusione va condivisa.

64      A tale riguardo occorre rilevare che, se certamente è vero che la ricorrente ha fornito alla divisione di annullamento una copiosa documentazione al fine di dimostrare sia la notorietà sia l’uso effettivo del proprio marchio, tuttavia, come rilevato dalla commissione di ricorso, gli elementi di prova così forniti sono costituiti principalmente dal materiale pubblicitario volto a promuovere la rete di distribuzione in franchising dell’impresa piuttosto che i suoi prodotti.

65      Per contro, la documentazione prodotta dalla ricorrente non contiene prove del modo in cui il marchio era concretamente utilizzato per i prodotti rivendicati dalla registrazione. Tale documentazione non contiene nemmeno fatture o informazioni sul fatturato delle vendite realizzate per i prodotti contraddistinti dal marchio anteriore in esame.

66      Alla luce di quanto precede, la commissione di ricorso ha giustamente concluso nel senso che i primi due gruppi di documenti prodotti dalla ricorrente erano insufficienti a fornire la prova dell’uso effettivo del marchio anteriore.

67      Per quanto riguarda il terzo gruppo di documenti, prodotti solo dinanzi alla commissione di ricorso, occorre ricordare anzitutto che l’articolo 76, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009 dispone che l’UAMI può non tener conto dei fatti che le parti non hanno invocato o delle prove che esse non hanno presentato per tempo.

68      Come statuito dalla Corte, dal tenore letterale di tale disposizione deriva che, come regola generale e salvo disposizione contraria, la deduzione di fatti e di prove ad opera delle parti rimane possibile dopo la scadenza dei termini ai quali si trova subordinata una tale deduzione in applicazione delle disposizioni del regolamento n. 207/2009 e che non è affatto proibito all’UAMI tenere conto di fatti e prove così tardivamente dedotti o prodotti (sentenza del 13 marzo 2007, UAMI/Kaul, C‑29/05 P, Racc., EU:C:2007:162, punto 42).

69      Precisando che quest’ultimo «può», in un caso del genere, decidere di non tenere conto di tali prove, tale disposizione conferisce in effetti all’UAMI un ampio potere discrezionale al fine di decidere, pur motivando la propria decisione su tale punto, se occorra o meno tenere conto di tali fatti e prove (sentenza UAMI/Kaul, punto 68 supra, EU:C:2007:162, punto 43).

70      Per quanto concerne, più precisamente, la produzione di prove dell’uso effettivo del marchio anteriore nell’ambito di procedimenti per nullità, occorre rilevare che, pur se l’articolo 57, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009 prevede che, su istanza del titolare del marchio comunitario, il titolare di un marchio comunitario anteriore, che sia parte nella procedura di nullità, deve addurre la prova dell’uso effettivo del medesimo, in mancanza della quale la domanda di nullità è respinta, detto regolamento non contiene alcuna disposizione volta a precisare il termine entro cui siffatte prove devono essere addotte.

71      Per contro, la regola 40, paragrafo 6, del regolamento n. 2868/95 prevede al riguardo che, nel caso in cui una siffatta domanda sia presentata, l’UAMI, entro un termine da esso stabilito, invita il titolare del marchio anteriore a fornire la prova dell’utilizzazione del marchio o della sussistenza di giustificati motivi per la sua non utilizzazione.

72      Nel caso di specie, la divisione di annullamento dell’UAMI si è avvalsa di tale disposizione e ha impartito alla ricorrente un termine ai fini della produzione di una prova siffatta. È peraltro pacifico che, entro tale termine, la ricorrente ha prodotto diversi documenti pertinenti che non sono tuttavia stati ritenuti sufficienti a provare l’uso del marchio anteriore.

73      Si deve poi ricordare che tale regola 40, paragrafo 6, del regolamento n. 2868/95 nella sua seconda frase precisa altresì che, se la prova dell’uso del marchio non viene fornita entro il termine così stabilito dall’UAMI, la domanda di nullità viene respinta.

74      A tale riguardo, anche se indubbiamente dal tenore di tale disposizione emerge che, qualora non venga prodotta alcuna prova dell’uso del marchio interessato entro il termine impartito dall’UAMI, il rigetto della domanda di dichiarazione di nullità dev’essere pronunciato d’ufficio da quest’ultimo, una conclusione del genere non si impone invece nel caso in cui siano stati effettivamente prodotti elementi di prova relativi a tale uso entro il suddetto termine (v., per analogia, sentenza del 18 luglio 2013, New Yorker SHK Jeans/UAMI, C‑621/11 P, Racc., EU:C:2013:484, punto 28).

75      In una simile ipotesi, infatti, e a meno che non risulti che detti elementi sono del tutto irrilevanti per la dimostrazione dell’uso effettivo del marchio, il procedimento è destinato a seguire il suo corso. Così, l’UAMI è in particolare chiamato, come previsto dall’articolo 57, paragrafo 1, del regolamento n. 207/2009, a invitare le parti a presentare, ogniqualvolta risulti necessario, le loro osservazioni sulle notifiche dal medesimo inviate o sulle comunicazioni provenienti dalle altre parti. In tale contesto, se, successivamente, viene pronunciato un rigetto della domanda di dichiarazione di nullità per mancanza di prove sufficienti dell’uso effettivo del marchio anteriore, questo rigetto deriva esclusivamente dall’applicazione della disposizione sostanziale di cui all’articolo 57, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009, e non dall’applicazione della regola 40, paragrafo 6, del regolamento n. 2868/95, disposizione avente natura essenzialmente procedurale (v., per analogia, sentenza New Yorker SHK Jeans/UAMI, punto 74 supra, EU:C:2013:484, punto 29).

76      Dalle suesposte considerazioni consegue che, nel caso in cui, come nella fattispecie, elementi di prova considerati pertinenti ai fini della dimostrazione dell’uso del marchio in questione siano stati prodotti entro il termine stabilito dall’UAMI ai sensi della regola 40, paragrafo 6, del regolamento n. 2868/95, resta possibile produrre prove supplementari di un uso siffatto dopo la scadenza di tale termine. In una simile ipotesi non è affatto proibito per l’UAMI tenere conto delle prove in tal modo tardivamente prodotte avvalendosi del potere discrezionale conferitogli dall’articolo 76, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009 (v., per analogia, sentenza New Yorker SHK Jeans/UAMI, punto 74 supra, EU:C:2013:484, punto 30).

77      Orbene, nel caso di specie, contrariamente a quanto sostenuto dall’interveniente, la ricorrente ha prodotto, nel termine impartitole dalla divisione di annullamento, prove dell’uso effettivo del marchio anteriore, che tuttavia non sono state giudicate sufficienti dalla divisione di annullamento.

78      Inoltre, per quanto riguarda l’esercizio del potere discrezionale dell’UAMI ai fini di tenere eventualmente conto delle prove tardivamente prodotte, occorre rilevare che una siffatta presa in considerazione è, in particolare, giustificabile quando l’Ufficio considera che, da un lato, gli elementi prodotti tardivamente possono, a prima vista, rivestire una reale pertinenza per ciò che riguarda l’esito della domanda di dichiarazione di nullità proposta dinanzi ad esso e, dall’altro, la fase del procedimento in cui interviene tale produzione tardiva e le circostanze che l’accompagnano non si oppongono a tale presa in considerazione (v., per analogia, sentenza UAMI/Kaul, punto 68 supra, EU:C:2007:162, punto 44).

79      Orbene, a tale riguardo, dal fascicolo risulta che la presa in considerazione degli elementi di prova tardivamente prodotti dalla ricorrente, quali le fotografie dei prodotti contraddistinti dal marchio anteriore e le copie delle fatture di vendita, a complemento degli elementi di prova che la ricorrente aveva inizialmente prodotto, sono a prima vista tali da rivestire una reale pertinenza per ciò che riguarda la sussistenza di un uso effettivo del marchio anteriore, e che la fase del procedimento in cui era intervenuta la produzione di tali elementi di prova supplementari e le circostanze che l’hanno accompagnata non si opponevano a una siffatta produzione.

80      Occorre peraltro rilevare che dal fascicolo non risulta che la ricorrente abbia abusato dei termini impartiti ricorrendo scientemente a strategie dilatorie o dando manifestamente prova di negligenza, ma che essa si è limitata a produrre elementi di prova complementari, dopo che quelli che aveva inizialmente prodotto erano stati giudicati insufficienti dalla divisione di annullamento.

81      Dalle suesposte considerazioni risulta che la commissione di ricorso non ha fatto un uso appropriato del potere discrezionale conferitole dall’articolo 76, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009, avendo considerato irricevibili gli elementi di prova dell’uso del marchio anteriore complementari presentati dinanzi ad essa dalla ricorrente.

82      Ne risulta che occorre accogliere tale parte del secondo motivo e annullare la decisione impugnata, senza che sia necessario pronunciarsi sugli altri motivi di ricorso.

 Sulle spese

83      Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la ricorrente ne ha fatto domanda, l’UAMI, rimasto soccombente in ragione dell’annullamento della decisione impugnata, va condannato alle spese.

84      In applicazione dell’articolo 138, paragrafo 3, del regolamento di procedura, l’interveniente sopporterà le proprie spese.

85      La ricorrente ha peraltro chiesto che l’interveniente sia condannata alle spese dell’intero procedimento, incluse quelle relative al procedimento dinanzi alla divisione di annullamento e al procedimento dinanzi alla commissione di ricorso. Si deve ricordare in proposito che, ai sensi dell’articolo 190, paragrafo 2, del regolamento di procedura, le spese indispensabili sostenute dalle parti per il procedimento dinanzi alla commissione di ricorso sono considerate spese ripetibili. Ciò non vale tuttavia per le spese sostenute nel procedimento dinanzi alla divisione di annullamento. Pertanto, la domanda dell’interveniente riguardante le spese relative al procedimento d’opposizione dinanzi alla divisione di annullamento, che non costituiscono spese ripetibili, è irricevibile. Quanto alla domanda della ricorrente diretta ad ottenere la condanna dell’interveniente alle spese del procedimento dinanzi alla commissione di ricorso, spetterà alla commissione di ricorso decidere, alla luce della presente sentenza, sulle spese relative a tale procedimento [v., in tal senso, sentenza del 28 giugno 2011, ATB Norte/UAMI – Bricocenter Italia (Affiliato BRICO CENTER), T‑483/09, EU:T:2011:316, punto 69].

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Nona Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      La decisione della prima commissione di ricorso dell’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), del 29 novembre 2012 (procedimento R 1616/2011-1) è annullata.

2)      L’UAMI sopporterà, oltre alle proprie spese, quelle sostenute dalla CMT Compagnia manifatture tessili Srl (CMT Srl).

3)      La CAMOMILLA SpA sopporterà le proprie spese.

Berardis

Czúcz

Popescu

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 9 luglio 2015.

Firme


* Lingua processuale: l’italiano.