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Edizione provvisoria

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JEAN RICHARD DE LA TOUR

presentate il 5 settembre 2024 (1)

Causa C217/23 [Laghman] (i)

Bundesamt für Fremdenwesen und Asyl

contro

A N

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Verwaltungsgerichtshof (Corte amministrativa, Austria)]

« Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Politica comune in materia di asilo – Direttiva 2011/95/UE – Condizioni per poter beneficiare di una protezione internazionale o della protezione sussidiaria – Status di rifugiato – Articolo 2, lettera d) – Motivi di persecuzione – Articolo 10, paragrafo 1, lettera d), primo comma, secondo trattino – Nozione di appartenenza a un “particolare gruppo sociale” – Nozione di “identità distinta” nel paese d’origine – Percezione di un gruppo come diverso dalla società circostante – Criteri di valutazione – Richiedente protezione internazionale, membro di una famiglia coinvolta in una faida in corso nel suo paese di origine »






I.      Introduzione

1.        Un richiedente protezione internazionale, membro di una famiglia coinvolta in una faida (2) in corso nel suo paese d’origine, può essere considerato come esposto a un atto di persecuzione a causa della sua appartenenza a un «determinato gruppo sociale» ai sensi dell’articolo 2, lettera d), e dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), primo comma, della direttiva 2011/95/UE (3)?

2.        La risposta a tale domanda non è, di primo acchito, così ovvia.

3.        Essa richiede una distinzione tra gli atti e le minacce gravi derivanti da una faida, che si conforma a principi di diritto consuetudinario riconosciuti e accettati da alcune società tradizionali e a cui i membri di una famiglia sono esposti, di generazione in generazione, a causa delle responsabilità attribuite ad altri membri di tale famiglia, e gli atti e le minacce strettamente personali che perseguono altre motivazioni, provenienti da criminali comuni o dalla mafia. Sebbene l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (in prosieguo: l’«UNHCR») (4) e l’Agenzia dell’Unione europea per l’asilo (in prosieguo: l’«EUAA»)(5) abbiano emanato raccomandazioni in materia, è giocoforza constatare che le autorità nazionali adottano approcci diversi quando si tratta di stabilire se un tale richiedente appartenga a un particolare gruppo sociale (6).

4.        In effetti, nel diritto dell’Unione, una domanda di protezione internazionale fondata sull’appartenenza a un «particolare gruppo sociale» richiede non solo di dimostrare che i membri del gruppo condividono una caratteristica innata o una caratteristica o una fede che è fondamentale per la loro identità o la loro coscienza, o una storia comune che non può essere mutata [prima condizione di identificazione enunciata all’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), primo comma, primo trattino, della direttiva 2011/95], ma occorre anche dimostrare che il gruppo ha «un’identità distinta nel paese di cui trattasi, perché vi è percepito come diverso dalla società circostante» [seconda condizione di identificazione enunciata all’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), primo comma, secondo trattino, di tale direttiva].

5.        Mentre la Corte ha già avuto modo di precisare la portata del motivo di persecuzione basato sull’appartenenza a un particolare gruppo sociale per quanto riguarda le persone omosessuali e, più recentemente, le donne vittime di violenza domestica o che si identificano in valori quali la parità tra i sessi (7), la presente causa la invita a fornire ulteriori precisazioni riguardo alla seconda condizione di identificazione, relativa alla percezione sociale del gruppo nel paese d’origine nel contesto specifico di una faida.

6.        In un primo tempo del mio ragionamento, spiegherò, innanzi tutto, che la nozione di «società circostante», di cui all’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), primo comma, secondo trattino, della direttiva 2011/95, si riferisce all’ambiente umano e sociale in cui vive il gruppo interessato, cosicché l’«identità distinta» del gruppo è valutata alla luce non della percezione isolata del responsabile della persecuzione, ma della percezione collettiva di tale società. In seguito, preciserò che l’autorità nazionale competente deve, nell’ambito del suo esame su base individuale, tenere conto della rappresentazione o dell’immagine che la società circostante ha del gruppo in questione e della misura in cui l’opinione o il giudizio ad essa associato lo differenzia o lo distingue dal resto di tale società. A tal proposito, i comportamenti, gli atti o le misure adottati a causa di tale percezione possono costituire indicazioni rilevanti al fine di dimostrare che il gruppo è percepito come diverso.

7.        In un secondo tempo del mio ragionamento, e dopo aver collocato la faida nel sistema giuridico e nella tradizione in cui tale fenomeno si inserisce, proporrò alla Corte di dichiarare che, in funzione delle circostanze nel paese d’origine, il membro di una famiglia coinvolta in una faida in tale paese può essere considerato appartenente a «un particolare gruppo sociale», a titolo di motivo di persecuzione che può condurre al riconoscimento dello status di rifugiato.

II.    Diritto dell’Unione

8.        L’articolo 2 della direttiva 2011/95, intitolato «Definizioni», così prevede al punto d):

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

(...)

d)      “rifugiato”: cittadino di un paese terzo il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale, si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto paese, (…) e al quale non si applica l’articolo 12».

9.        L’articolo 4 di tale direttiva, intitolato «Esame dei fatti e delle circostanze», così dispone al suo paragrafo 3:

«L’esame della domanda di protezione internazionale deve essere effettuato su base individuale e prevede la valutazione:

a)      di tutti i fatti pertinenti che riguardano il paese d’origine al momento dell’adozione della decisione in merito alla domanda, comprese le disposizioni legislative e regolamentari del paese d’origine e le relative modalità di applicazione;

b)      delle dichiarazioni e della documentazione pertinenti presentate dal richiedente che deve anche render noto se ha già subito o rischia di subire persecuzioni o danni gravi;

c)      della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente, in particolare l’estrazione, il sesso e l’età, al fine di valutare se, in base alle circostanze personali del richiedente, gli atti a cui è stato o potrebbe essere esposto si configurino come persecuzione o danno grave;

(...)».

10.      L’articolo 10 di detta direttiva, intitolato «Motivi di persecuzione», enuncia quanto segue al suo paragrafo 1, lettera d), primo comma:

«Nel valutare i motivi di persecuzione, gli Stati membri tengono conto dei seguenti elementi:

(...)

d)      si considera che un gruppo costituisce un particolare gruppo sociale in particolare quando:

–        i membri di tale gruppo condividono una caratteristica innata o una storia comune che non può essere mutata oppure condividono una caratteristica o una fede che è così fondamentale per l’identità o la coscienza che una persona non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi, e

–        tale gruppo possiede un’identità distinta nel paese di cui trattasi, perché vi è percepito come diverso dalla società circostante».

III. Fatti della controversia di cui al procedimento principale e questioni pregiudiziali

11.      A N, cittadino afghano appartenente all’etnia pashtun, ha presentato una domanda di protezione internazionale in Austria il 4 novembre 2015. A sostegno di tale domanda, A N ha fatto valere di essere esposto a un rischio di persecuzioni in caso di ritorno nel suo paese d’origine, in quanto la sua famiglia sarebbe coinvolta in una faida risalente all’omicidio di suo padre e di suo fratello a seguito di una disputa fondiaria tra loro e i cugini del padre.

12.      Mentre il Bundesamt für Fremdenwesen und Asyl (Ufficio federale per l’immigrazione e l’asilo, Austria) ha respinto tale domanda con una decisione del 21 giugno 2017, il Bundesverwaltungsgericht (Tribunale amministrativo federale, Austria) ha invece accolto il ricorso proposto avverso tale decisione e, con una sentenza del 26 luglio 2022, ha dichiarato che A N doveva beneficiare dello status di rifugiato. Tale giudice ha riconosciuto l’esistenza e la gravità dei rischi corsi dall’interessato a causa della sua appartenenza familiare in caso di ritorno nel suo paese d’origine, nonché l’incapacità delle autorità afghane di proteggerlo dai rischi generati da tale faida. Per quanto riguarda le possibilità di protezione all’interno del paese, detto giudice ha inoltre considerato che, anche supponendo che A N non sia minacciato in altre regioni dell’Afghanistan, egli rischierebbe di non poter soddisfare i propri bisogni vitali essenziali e necessari.

13.      L’Ufficio federale per l’immigrazione e l’asilo ha presentato un ricorso in cassazione (Revision) contro tale decisione dinanzi al Verwaltungsgerichtshof (Corte amministrativa, Austria), il giudice del rinvio. Esso ha sostenuto che detta decisione si basava, erroneamente, sulla premessa che una famiglia possa essere considerata come un «particolare gruppo sociale», ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2011/95, senza che sia stato stabilito se una tale famiglia sia percepita come diversa dalla società circostante, in violazione di tale disposizione.

14.      Secondo il giudice del rinvio, la «questione centrale» per la risoluzione della causa di cui al procedimento principale è «se i membri di una famiglia che sono minacciati da una faida per il solo fatto di appartenere a una famiglia uno dei cui membri è [o è stato] coinvolto (...) in una controversia che ha dato origine alla faida debbano essere considerati come un gruppo sociale» ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2011/95. A tal fine, esso chiede, in sostanza, alla Corte di chiarire il contenuto e la portata della seconda condizione di identificazione da cui dipende l’esistenza di un «particolare gruppo sociale», prevista al primo comma, secondo trattino, di tale disposizione.

15.      Il giudice del rinvio dubita che, nel caso di specie, la famiglia di A N possa essere percepita dalla società circostante come diversa per il fatto del suo coinvolgimento in una faida, in quanto tale società è legata alla consolidata tradizione pashtun, almeno in gran parte del territorio afghano, di risolvere alcune controversie familiari attraverso la faida.

16.      In tali circostanze, il Verwaltungsgerichtshof (Corte amministrativa) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’espressione «tale gruppo possiede un’identità distinta nel paese di cui trattasi, perché vi è percepito come diverso dalla società circostante» di cui all’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2011/95/UE (…), debba essere interpretata nel senso che un gruppo possiede un’identità distinta nel paese di cui trattasi solo se vi è percepito come diverso dalla società circostante, o se sia necessario valutare l’esistenza di un’«identità distinta» in maniera autonoma e indipendentemente dal fatto che il gruppo sia percepito come diverso dalla società circostante.

Nell’ipotesi in cui, alla luce della risposta fornita alla prima questione, l’esistenza di un’“identità distinta” debba essere valutata autonomamente:

2)      In base a quali criteri debba essere valutata l’esistenza di un’“identità distinta” ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2011/95.

Indipendentemente dalla risposta alla prima e alla seconda questione:

3)      Se, nel valutare se un gruppo sia percepito come diverso “dalla società circostante” ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2011/95, ci si debba basare sul punto di vista del persecutore, o della società nel suo complesso, o di una parte sostanziale della società di un paese, o di una parte del paese.

4)      Su quali criteri ci si debba basare per valutare se un gruppo sia percepito come “diverso” ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2011/95».

17.      A N, i governi austriaco, tedesco e dei Paesi Bassi nonché la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte.

IV.    Analisi

18.      Con le sue questioni pregiudiziali, che propongo di esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), primo comma, della direttiva 2011/95 debba essere interpretato nel senso che il membro di una famiglia coinvolta in una faida in corso nel suo paese d’origine possa essere considerato, in funzione delle circostanze in tale paese, appartenente a un «particolare gruppo sociale», a titolo di motivo di persecuzione che può condurre al riconoscimento dello status di rifugiato.

19.      A tal fine, tale giudice chiede alla Corte di precisare il significato e la portata della seconda condizione di identificazione relativa all’appartenenza a un «particolare gruppo sociale», enunciata all’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), primo comma, secondo trattino, di tale direttiva.

20.      In via preliminare, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 2, lettera d), di detta direttiva, il rifugiato è, segnatamente, un cittadino di un paese terzo il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale, si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto paese.

21.      Il cittadino in questione deve quindi, a causa delle circostanze esistenti nel suo paese d’origine e del comportamento dei responsabili delle persecuzioni, trovarsi di fronte al fondato timore di una persecuzione contro la sua persona per almeno uno dei cinque motivi elencati nell’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2011/95, tra i quali si annovera la sua «appartenenza a un «particolare gruppo sociale» in tale paese.

22.      Il legislatore dell’Unione ha definito tale nozione all’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), di tale direttiva, adottando un approccio significativamente diverso da quello seguito dall’UNHCR (8).

23.      In primo luogo, i membri del gruppo devono condividere una «caratteristica innata» o una «storia comune che non può essere mutata», oppure una «caratteristica o una fede così fondamentale per l’identità o la coscienza che una persona non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi».

24.      Nel caso di specie, nella controversia di cui al procedimento principale è pacifico che tale condizione sia soddisfatta. Infatti, i membri di una stessa famiglia condividono – in virtù del loro legame di parentela, sia esso derivante da vincoli di sangue, da un’adozione o da un matrimonio, ad esempio – una caratteristica innata che è parimenti fondamentale per l’identità e/o una storia comune che non può essere mutata (9).

25.      Aggiungo che, in applicazione della giurisprudenza della Corte, i membri di una stessa famiglia possono condividere un aspetto comune supplementare come, ad esempio, un’altra caratteristica innata, o una storia comune che non può essere mutata, quale una situazione familiare particolare (10). Orbene, in tale contesto, la circostanza che i membri di una famiglia, e in particolare gli uomini e i ragazzi di quella famiglia, si trovino soggetti a una faida, a causa della loro ascendenza, per il motivo che questa si trasmette di generazione in generazione, in linea patrilineare, fa parte di «una storia comune che non può essere mutata».

26.      Alla luce di tali elementi, i membri di una famiglia coinvolta in una faida nel paese d’origine, e in particolare gli uomini e i ragazzi della stessa, possono senz’altro soddisfare la prima condizione di identificazione di un «particolare gruppo sociale», ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), primo comma, primo trattino, della direttiva 2011/95.

27.      In secondo luogo, tale gruppo deve possedere un’«identità distinta» nel paese di cui trattasi «perché vi è percepito come diverso dalla società circostante».

28.      Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede alla Corte se l’«identità distinta» del gruppo costituisca una condizione che deve essere valutata in maniera separata e autonoma rispetto alla percezione della società circostante. Esso rileva, infatti, che l’uso del termine «da» nella versione in lingua tedesca dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), primo comma, secondo trattino, della direttiva 2011/95 potrebbe avere un significato diverso da quello di semplice nesso causale (11). In caso affermativo, esso chiede alla Corte, con la sua seconda questione, di precisare gli elementi in base ai quali dovrebbe essere valutata l’«identità distinta» di un gruppo.

29.      Ritengo che i dubbi di tale giudice possano essere facilmente fugati.

30.      Infatti, da un lato, da un punto di vista testuale, dalle varie versioni linguistiche della disposizione in questione – come le versioni in lingua inglese («because»), in lingua francese («parce qu[e]»), o in lingua italiana («perché») – emerge che il legislatore dell’Unione ha chiaramente inteso esprimere un nesso causale tra la nozione d’«identità distinta» e quella di «società circostante». L’«identità distinta» del gruppo «nel paese di cui trattasi» deriva dal fatto che tale gruppo «è percepito come diverso dalla società circostante».

31.      Dall’altro lato, dall’economia dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), primo comma, della direttiva 2011/95 emerge che l’intenzione del legislatore dell’Unione era di distinguere, al primo trattino di tale disposizione, tra l’«identità individuale» del membro del gruppo interessato, come riferita in particolare alle caratteristiche fisiche, culturali o religiose che egli ha in comune con tutti i membri di tale gruppo, e, al secondo trattino della stessa disposizione, l’«identità collettiva» o l’«identità sociale» del gruppo, in quanto riferita al modo in cui tale gruppo è percepito dagli altri membri della società. Ritenere che l’«identità distinta» del gruppo nel paese di cui trattasi sia differente rispetto alla percezione che ne ha la società circostante disconoscerebbe, pertanto, la distinzione che tale legislatore ha voluto operare tra gli elementi individuali e gli elementi sociali dell’identità dei membri del gruppo in questione.

32.      Alla luce di tali elementi, l’«identità distinta» del gruppo, di cui all’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), primo comma, secondo trattino, della direttiva 2011/95, costituisce quindi una condizione che non dev’essere esaminata separatamente e autonomamente rispetto alla percezione della società circostante, ma in relazione con essa (12).

33.      In tali circostanze, non è necessario rispondere alla seconda questione pregiudiziale.

34.      Occorre ora esaminare la terza e la quarta questione pregiudiziale, con cui il giudice del rinvio chiede alla Corte di precisare come si debba valutare se un gruppo «[sia] percepito come diverso dalla società circostante».

35.      In primo luogo, per quanto riguarda la nozione di «società circostante», essa costituisce il quadro di riferimento per stabilire l’esistenza di un’«identità distinta» del gruppo. L’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), primo comma, secondo trattino, della direttiva 2011/95 fa chiaramente riferimento a uno spazio collettivo, ossia all’ambiente umano e sociale in cui vivono i membri di tale gruppo. Di conseguenza, la percezione della società circostante è una percezione collettiva e, per rispondere al giudice del rinvio, condivido il punto di vista del governo austriaco nelle sue osservazioni, secondo cui essa non può essere confusa con la percezione isolata del responsabile della persecuzione, ai sensi dell’articolo 6 di tale direttiva, e nemmeno con la sola prospettiva della cerchia più ristretta dell’interessato.

36.      Il giudice del rinvio invita la Corte a precisare l’ambito geografico di tale «società», ma il legislatore dell’Unione lo precisa espressamente facendo riferimento alla società «circostante». Tale società corrisponde quindi all’ambiente in cui vivono i membri del gruppo interessato. Tale ambiente è costituito da strutture e comprende specifiche norme morali, culturali, sociali, economiche, politiche, religiose e giuridiche di cui occorre comprendere il funzionamento ai fini dell’esame della domanda su base individuale. Non è necessario, a mio avviso, precisare ulteriormente tale ambito geografico, a meno che non si voglia definire un perimetro senza tener conto dell’organizzazione socio‑politica di detta società e delle sue realtà, siano esse culturali, etniche, linguistiche o religiose. Come la Corte ha dichiarato in una giurisprudenza costante, spetta all’autorità nazionale competente determinare la «società circostante» che è pertinente per valutare l’esistenza di un particolare gruppo sociale, laddove tale società può coincidere con l’intero paese di origine del richiedente protezione internazionale o essere più circoscritta, ad esempio a una parte del territorio o della popolazione di tale paese terzo(13). Pertanto, un gruppo sociale identificato quale gruppo dotato di un’«identità distinta» in un determinato paese, ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), primo comma, secondo trattino, della direttiva 2011/95, non sarà necessariamente considerato un «gruppo sociale» in altri paesi.

37.      In secondo luogo, il riconoscimento di un’«identità distinta» del gruppo nel paese d’origine del richiedente implica che tale gruppo sia «percepito» come «diverso» dalla società circostante.

38.      Rilevo, innanzi tutto, che il legislatore dell’Unione fa riferimento alla nozione di «percezione sociale», che è una nozione distinta da quella di «comportamento sociale». Infatti, la «percezione» è la capacità che consente a un organismo di guidare le proprie azioni e di conoscere il proprio ambiente sulla base delle informazioni fornite dai propri sensi (14). Secondo il suo senso comune, la nozione di «percezione sociale» comprende quindi il processo mentale con cui gli individui organizzano e interpretano le loro impressioni per dare un senso al loro ambiente, e ciò indipendentemente dalle azioni che questi ultimi possono intraprendere (15).

39.      Per quanto riguarda la nozione di «diversità»(16), essa è definita come «il carattere (una diversità) o [un] insieme di caratteri (la diversità) che distingue una cosa da un’altra, un essere da un altro» (17). La diversità si contrappone quindi alla somiglianza con altri. La diversità presuppone, chiaramente, l’alterità delle persone o degli elementi tra cui essa è stabilita o constatata (18). L’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), primo comma, secondo trattino, della direttiva 2011/95 non precisa né la natura di tale diversità, che può quindi risiedere in una serie di attributi dei membri del gruppo interessato, né la sua importanza, cosicché la «diversità» a cui fa riferimento il legislatore dell’Unione non si riferisce necessariamente a una scala di valori.

40.      Da tali elementi deduco che, nel contesto dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), primo comma, secondo trattino, della direttiva 2011/95, la condizione relativa all’«identità distinta» di un gruppo implica che, nell’ambito dell’esame della domanda su base individuale, l’autorità nazionale competente valuti in che misura la società circostante abbia una rappresentazione o un’immagine del gruppo in questione a cui sono associati un’opinione o un giudizio che differenzino o distinguano tale gruppo dal resto della società.

41.      Tale esame deve essere effettuato alla luce di tutte le informazioni disponibili, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2011/95. La percezione sociale è soggettiva e dipende da numerosi fattori relativi tanto alle caratteristiche del gruppo interessato (quali il suo aspetto, i suoi attributi fisici, il suo genere, le sue origini sociali o i suoi ruoli sociali, i suoi comportamenti, i suoi atteggiamenti, le sue opinioni o le sue capacità, ecc.) quanto alle norme che governano la società di riferimento (sia che si tratti di norme morali, sociali o giuridiche, o di norme culturali, economiche, politiche o religiose), e dalla loro combinazione in un determinato momento. Resta inteso che le medesime qualità o i medesimi attributi possono suscitare impressioni diverse a seconda delle circostanze e dell’ambiente in cui vive il gruppo di persone interessato (19).

42.      Sebbene, ai fini di tale valutazione, il legislatore dell’Unione non richieda di dimostrare che il gruppo è trattato, ma solo che è percepito dalla società circostante in maniera diversa, tutti i comportamenti, tutti gli atti o tutte le misure adottati a causa della percezione sociale del gruppo possono comunque costituire indicazioni utili per dimostrare l’«identità distinta» di tale gruppo nel paese d’origine. È questo il senso della giurisprudenza della Corte. Essa dichiara, infatti che, sebbene «l’appartenenza a un determinato gruppo sociale [debba] essere constatata indipendentemente dagli atti di persecuzione, ai sensi dell’articolo 9 [della] direttiva [2011/95], di cui i membri di tale gruppo possono essere vittime nel paese d’origine» (20), «[c]iò nondimeno una discriminazione o una persecuzione subita da persone che condividono una caratteristica comune può costituire un fattore pertinente quando (…) si deve valutare se il gruppo di cui trattasi risulti distinto alla luce delle norme sociali, morali o giuridiche del paese d’origine di cui trattasi» (21).

43.      Poiché l’uguaglianza è la regola e la non discriminazione il principio, la diversità può quindi tradursi in una violazione dell’uguaglianza e nell’adozione di atti, di misure o di pratiche discriminatorie nei confronti del gruppo. La Corte ha infatti dichiarato che, a seconda delle circostanze esistenti nel paese d’origine, le donne possono essere percepite in modo diverso dalla società circostante e può essere riconosciuta loro un’«identità distinta» in tale società, in ragione, in particolare, di norme sociali, morali o giuridiche vigenti nel loro paese d’origine (22). Nella sentenza del 7 novembre 2013, X e a. (23)la Corte ha inoltre dichiarato che l’esistenza di una legislazione penale che riguarda in modo specifico le persone omosessuali consente di affermare che tali persone costituiscono un gruppo a parte che è percepito dalla società circostante come diverso (24). Parimenti, le autorità nazionali competenti possono constatare che un gruppo interessato è percepito in modo diverso in ragione di misure di stigmatizzazione o di ostracismo dirette contro i suoi membri, come ad esempio le misure che stigmatizzano le giovani donne che rifiutano di sottoporsi all’infibulazione in una comunità in cui una tale pratica è la norma. Per contro, non credo sia necessario dimostrare che i membri del gruppo in questione sono esclusi o messi al bando dalla società circostante, poiché la nozione di «diversità» non implica la contrapposizione di tale gruppo alla società in cui vive (25).

44.      Nel caso di specie, il giudice del rinvio esprime dubbi sull’appartenenza a un particolare gruppo sociale dei membri di una famiglia minacciata da una faida. Infatti, questi ultimi non sarebbero percepiti in modo diverso dalla società circostante, da un lato, perché solo il responsabile della persecuzione – vale a dire la famiglia «vendicatrice» – nonché i parenti e i conoscenti della famiglia presa di mira sarebbero a conoscenza della faida incombente su di essa e, dall’altro, perché sarebbe conforme alla tradizione del «Pashtunwali», seguita nella regione d’origine dell’interessato, procedere alla risoluzione delle controversie per mezzo della faida. In altri termini, la faida sarebbe un meccanismo di risoluzione dei conflitti centrale e diffuso nel sistema giuridico tradizionale del «Pashtunwali».

45.      Tali argomenti non mi convincono, poiché, in base a tale approccio, si rischierebbe di escludere il riconoscimento dell’appartenenza a un determinato gruppo sociale di richiedenti protezione internazionale per il solo fatto che il codice o la pratica tradizionali a cui questi sono soggetti sarebbero diffusi nel loro paese o nella loro regione d’origine (26).

46.      Una tale valutazione richiede chiaramente di procedere a un esame su base individuale della domanda di protezione internazionale presentata da un membro della famiglia minacciata, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2011/95 (27).

47.      In tale contesto, è essenziale collocare la faida nel contesto del sistema giuridico e della tradizione in cui essa si inserisce, e distinguerla dalla criminalità comune o dalla criminalità organizzata.

48.      La faida, che significa «presa (o ripresa) del sangue» o «vendetta», è definita come un fenomeno secolare regolato da un diritto consuetudinario riconosciuto e accettato da alcune società tradizionali come una legge che coesiste in parallelo con il sistema giuridico in vigore (28). In tal senso, è accettato che la faida sia parte integrante delle leggi consuetudinarie dei pashtun che vivono nelle zone rurali dell’Afghanistan (il «Pashtunwali») (29), ma anche delle società che vivono nelle regioni montuose del nord dell’Albania (il «Kanun») (30) o nel sud-est della Turchia. Nel suo rapporto informativo sull’Afghanistan, pubblicato nel mese di maggio 2024, l’EUAA distingue la faida dalla semplice disputa fondiaria da cui essa può avere origine (31). In tal senso la faida detta un metodo di risoluzione delle controversie che si inscrive nell’ambito di un’azione collettiva, in forza della quale la punizione per un omicidio o un’ingiuria non spetta al sistema giudiziario dello Stato, ma alla famiglia, al clan, alla tribù o al gruppo etnico della persona offesa (32). La faida può essere regolata da norme rigide, in quanto può definire i crimini interessati e le categorie di vittime da vendicare. Il grado in cui essa impone la vendetta attraverso la commissione di atti di violenza o altro varia a seconda dei codici, a seconda delle regioni o delle tribù a cui questi ultimi si applicano e a seconda dell’origine della faida. In tal senso, secondo il «Pashtunwali», il compimento della vendetta non è solo un diritto, ma anche un dovere, un obbligo sociale, il cui mancato adempimento può portare, per colui che vi si sottrae, che vi fa resistenza o che lo trascura, disonore e persino danni personali. Il diritto di vendetta può trasmettersi di generazione in generazione (33). Tradizionalmente, esso viene esercitato contro qualsiasi uomo della famiglia in linea patrilineare, tenendo conto del suo status e delle responsabilità che quest’ultimo assume all’interno della stessa (34). In tale contesto, la persecuzione di un uomo e di suo figlio fin dalla sua prima giovinezza, per il fatto che quest’ultimo appartiene alla stessa famiglia del nonno paterno, è, a mio avviso, altrettanto arbitraria quanto una persecuzione per motivi legati alla razza o alla religione.

49.      Infine, a causa dei principi di diritto consuetudinario che la regolano, una faida può comportare per la famiglia presa di mira misure d’isolamento o di segregazione volontari, la cui durata e gravità variano a seconda dei casi (35). Nelle situazioni più gravi, tali misure possono portare all’abbandono scolastico dei più giovani, in particolare dei maschi, nonché ad una privazione di redditi per la famiglia (36), poiché qualsiasi aiuto ad essa prestato può essere considerato come un insulto rivolto all’altra famiglia, con il rischio di scatenare una faida a cui ciò può condurre.

50.      Ne deriva che, anche all’interno di una società in cui la faida costituisce ancora un meccanismo diffuso di risoluzione dei conflitti, nulla esclude che, a causa delle norme sociali e morali sulle quali si basa tale società, i membri di una famiglia coinvolta in una faida, in particolare i membri di sesso maschile, possano essere percepiti diversamente da detta società, sia perché costretti a segregarsi e a isolarsi dalla stessa società per sottrarsi alla faida, sia perché rifiutino di difendere l’onore e la reputazione della famiglia esercitando un diritto di vendetta che tale diritto consuetudinario impone loro di esercitare. Alcune autorità nazionali dispongono di banche dati in cui sono registrate le faide in corso nonché le famiglie coinvolte, a testimonianza della visibilità di tale gruppo nella società (37). Inoltre, alcuni paesi hanno adottato legislazioni penali specifiche che riconoscono la natura aggravante di un omicidio commesso in relazione a una faida e cercano, inoltre, di arginare tale fenomeno attraverso misure preventive e la creazione di comitati di riconciliazione delle famiglie in conflitto.

51.      Fatto salvo un esame dei fatti e delle circostanze specifiche di ciascun caso di specie, non vedo alcun motivo per cui un’autorità nazionale competente non possa ritenere che un membro, in particolare di sesso maschile, di una famiglia coinvolta in una faida in corso nel suo paese d’origine appartenga a un gruppo avente un’«identità distinta» in tale paese, in ragione delle norme a cui quest’ultimo sarebbe assoggettato in applicazione di un codice consuetudinario. Contrariamente ai timori espressi dalla Commissione nelle sue osservazioni, non credo che un tale gruppo sociale sarebbe identificato in forza dell’atto di persecuzione a cui il membro della famiglia sarebbe esposto nel suo paese d’origine (38).

52.      Infatti, tale gruppo sociale sarebbe identificato sulla base dell’applicazione, nei suoi confronti, di un diritto consuetudinario giustificato da legami di sangue e implicante non solo l’assoggettamento dei membri di tale gruppo a particolari norme che regolano la loro vita nella società, ma anche la loro esposizione a un rischio di minacce gravi alla loro persona (39).

53.      Alla luce di tali considerazioni, ritengo che l’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), primo comma, della direttiva 2011/95 debba essere interpretato nel senso che, in funzione delle circostanze esistenti nel paese d’origine, il membro di una famiglia coinvolta in una faida in corso in tale paese può essere considerato appartenente a un «particolare gruppo sociale», a titolo di motivo persecuzione tale da portare al riconoscimento dello status di rifugiato.

54.      Il riconoscimento di tale status richiederà altresì di accertare che gli atti a cui tale persona rischia di essere esposta nel suo paese d’origine sono compiuti da soggetti non statali, ai sensi dell’articolo 6, lettera c), della direttiva 2011/95, il che implicherà l’obbligo di dimostrare che i soggetti che offrono protezione, di cui all’articolo 7 di tale direttiva, tra cui in particolare lo Stato, non possono o non vogliono fornire una protezione efficace contro tali atti (40).

55.      Inoltre, ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 3, della direttiva 2011/95, in combinato disposto con l’articolo 6, lettera c), e con l’articolo 7, paragrafo 1, di quest’ultima e alla luce del considerando 29 di tale direttiva, il riconoscimento di detto status presuppone che sia stabilito un collegamento tra il motivo di persecuzione di cui all’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della medesima direttiva e gli atti di persecuzione, ai sensi dell’articolo 9, paragrafi 1 e 2, della stessa, o tra tale motivo di persecuzione e la mancanza di protezione contro tali atti di persecuzione commessi da soggetti non statali (41).

56.      Infine, il riconoscimento dello status di rifugiato richiederà di assicurarsi che non vi sia alcun motivo di esclusione nei confronti dell’interessato.

V.      Conclusione

57.      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere come segue alle questioni pregiudiziali sottoposte dal Verwaltungsgerichtshof (Corte amministrativa, Austria):

L’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), primo comma, della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta,

deve essere interpretato nel senso che:

–        L’«identità distinta» del gruppo è una condizione che deve essere esaminata alla luce della percezione che ne ha la società circostante.

–        La «società circostante» è l’ambiente umano e sociale in cui tale gruppo vive, che l’autorità nazionale competente considera rilevante ai fini del suo esame su base individuale della domanda di protezione internazionale. La percezione della società circostante non si riferisce alla percezione isolata del responsabile della persecuzione, ma a una percezione collettiva.

–        La circostanza che il gruppo sia percepito come diverso dalla società circostante deve essere esaminata tenendo conto della rappresentazione o dell’immagine che quest’ultima ha di tale gruppo, a cui possono essere associati un’opinione o un giudizio che lo differenzia o lo distingue dal resto della società. I comportamenti, gli atti o le misure adottati a causa di tale percezione possono costituire indicazioni rilevanti a tal fine.

–        In funzione delle circostanze esistenti nel paese d’origine, il membro di una famiglia coinvolta in una faida in corso in tale paese può essere considerato appartenente a un «particolare gruppo sociale», a titolo di motivo di persecuzione tale da condurre al riconoscimento dello status di rifugiato.


1      Lingua originale: il francese.


i      Il nome della presente causa è un nome fittizio. Non corrisponde al nome reale di nessuna delle parti del procedimento.


2      Secondo il dizionario La Langue française, il termine «vendetta» è mutuato dall’italiano «vendetta», dal latino «vindicta», e ha due significati. Esso si riferisce sia all’ostilità ereditaria e omicida tra due famiglie, tipica delle regioni mediterranee e balcaniche, motivata dal desiderio di vendicare offese o crimini perpetrati tra tali famiglie («faida» in italiano), sia alla ricerca di una vendetta personale o collettiva volta a riparare a un fatto percepito come un’ingiustizia o a un danno subito.


3      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9).


4      V. posizione dell’UNHCR sulla richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi della Convenzione [relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, entrata in vigore il 22 aprile 1954, Recueil des traités des Nations unies, vol. 189, n. 2545, 1954, pag. 150; in prosieguo: la «Convenzione di Ginevra»], motivata da un timore di persecuzione per ragioni legate all’appartenenza dell’individuo in questione ad una famiglia o ad un clan coinvolti in una faida, del 17 marzo 2006 (in prosieguo: la «posizione dell’UNHCR sull’appartenenza di un individuo ad una famiglia o ad un clan coinvolto in una faida»).


5      V. EUAA, Country guidance: Afghanistan, maggio 2024, punto 3.18, intitolato «Individui coinvolti in faide e dispute fondiarie» (traduzione libera).


6      V., come esempio di una decisione di rigetto della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, decisione dell’Helsingin hallinto-oikeus (Tribunale amministrativo di Helsinki, Finlandia), del 3 settembre 2013 (Hehao 13/1012/3); decisioni della Cour nationale du droit d’asile (Corte nazionale per il diritto d’asilo, Francia), del 17 dicembre 2009, T. (641626/09000446), e del 21 dicembre 2009, K. (644277/09003107). V., per quanto riguarda il riconoscimento dello status di rifugiato, sentenze del Conseil du contentieux des étrangers (Consiglio per il contenzioso degli stranieri, Belgio), del 9 gennaio 2014, X, X e X/I (n. 116 642), e del 26 agosto 2021, X/V (n. 259 620), e sentenze dell’Upper Tribunal (Immigration and Asylum Chamber) [Tribunale superiore (sezione immigrazione e asilo), Regno Unito], EH (blood feuds) Albania CG [2012] UKUT 00348 (IAC), del 16 ottobre 2012 (in particolare punti 6 e 7), e Mohammed [N], del 25 settembre 2020 (PA/04415/2019).


7      V., rispettivamente, sentenze del 7 novembre 2013, X e a. (da C‑199/12 a C‑201/12, EU:C:2013:720); del 16 gennaio 2024, Intervyuirasht organ na DAB pri MS (Donne vittime di violenza domestica) (C‑621/21, EU:C:2024:47), e dell’11 giugno 2024, Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Donne che si identificano nel valore della parità tra i sessi) (C‑646/21, EU:C:2024:487).


8      Infatti, mentre nel diritto dell’Unione devono essere necessariamente soddisfatte due condizioni di identificazione, è invece sufficiente una sola di tali condizioni secondo le Linee guida in materia di protezione internazionale n. 2: «Appartenenza ad un particolare gruppo sociale» ai sensi dell’[articolo 1, sezione A, paragrafo 2,], della Convenzione [di Ginevra] e/o al relativo Protocollo del 1967 sullo status dei rifugiati dell’8 luglio 2008 (punti da 11 a 13). Per quanto riguarda la dottrina, v. Goodwin‑Gill, G. S., e McAdam, J., The Refugee in International Law, 3ª ed., Oxford University Press, Oxford, 2007, pag. 73; Hathaway, J. C., e Foster, M., «Membership of a Particular Social Group: Discussion Paper no 4 Advanced Refugee Law Workshop International Association of Refugee Law Judges Auckland, New Zealand, Ottobre 2002», International Journal of Refugee Law, vol. 15, n. 3, Oxford University Press, Oxford, 2003, pagg. da 477 a 491; Aleinikoff, T. A., «Protected characterstics and social perceptions: an analysis of the meaning of “membership of a particular social group”», Refugee Protection in International Law: UNHCR’s Global Consultations on International Protection, Cambridge University Press, Cambridge, 2003, pagg. da 263 a 311, e Parish, T. D., «Membership in a Particular Social Group under the Refugee Act of 1980: Social Identity and the Legal Concept of the Refugee», Columbia Law Review, n. 4, Columbia Law Review Association, New York, 1992, pagg. da 923 a 953.


9      Tale posizione è condivisa dall’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (in prosieguo: l’«EASO») nella sua Guida sull’appartenenza a un determinato gruppo sociale, marzo 2020, pag. 13, nonché dall’UNHCR nella sua posizione sull’appartenenza di un individuo ad una famiglia o ad un clan coinvolto in una faida, punto 18.


10      V., per analogia, sentenza dell’11 giugno 2024, Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Donne che si identificano nel valore della parità tra i sessi) (C‑646/21, EU:C:2024:487, punto 43 e giurisprudenza citata).


11      La versione in lingua tedesca recita come segue: «die Gruppe in dem betreffenden Land eine deutlich abgegrenzte Identität hat, da sie von der sie umgebenden Gesellschaft als andersartig betrachtet wird» (corsivo mio).


12      V, a tal proposito, EASO, Guida sull’appartenenza a un determinato gruppo sociale, marzo 2020, in particolare la parte intitolata «Analisi giuridica», titolo C, su «[i]dentité distinta», pag. 14.


13      V. sentenza dell’11 giugno 2024, Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Donne che si identificano nel valore della parità tra i sessi) (C‑646/21, EU:C:2024:487, punto 50 e giurisprudenza citata).


14      V. Bonnet, C., «Les trois étapes de la perception», Le cerveau et la pensée, Le nouvel âge des sciences cognitives, Éditions Sciences Humaines, Auxerre, 2014, pagg. da 213 a 221.


15      V. Girandola, F., Demarque, C. e Lo Monaco, G., «La perception sociale: formation d’impression, stéréotypes, préjugés et discrimination», Psychologie sociale, Armand Colin, Parigi, 2019, pagg. da 198 a 219.


16      Il termine «diversità» non è utilizzato nella versione in lingua tedesca dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), primo comma, secondo trattino, della direttiva 2011/95, secondo la quale il gruppo è considerato dalla società circostante come non dello stesso genere/della stessa natura («von der sie umgebenden Gesellschaft als andersartig betrachtet wird»), il che equivale al concetto di diversità.


17      V. dizionario Le Robert.


18      Secondo il dizionario Trésor de la langue française, il termine «altro» «[p]ermette di distinguere, di differenziare, rispetto a una prima parte data o conosciuta (...) che serve da riferimento, una o più persone, uno o più elementi all’interno di una seconda parte» (traduzione libera).


19      Occorre precisare che la persecuzione potrà anche essere considerata, a seconda dei casi, dal punto di vista di un altro motivo di persecuzione di cui all’articolo 10 della direttiva 2011/95, come la religione o le opinioni politiche.


20      V. sentenza del 16 gennaio 2024, Intervyuirasht organ na DAB pri MS (Donne vittime di violenza domestica) (C‑621/21, EU:C:2024:47, punto 55).


21      V. sentenza del 16 gennaio 2024, Intervyuirasht organ na DAB pri MS (Donne vittime di violenza domestica) (C‑621/21, EU:C:2024:47, punto 56).


22      V. sentenza dell’11 giugno 2024, Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Donne che si identificano nel valore della parità tra i sessi) (C‑646/21, EU:C:2024:487, punto 49 e giurisprudenza citata).


23      Da C‑199/12 a C-201/12, EU:C:2013:720.


24      V. sentenza del 7 novembre 2013, X e a. (da C‑199/12 a C‑201/12, EU:C:2013:720, punto 48).


25      Goodwin‑Gill, G. S. e McAdam, J., op. cit. pag. 85.


26      Penso, ad esempio, alle donne e alle giovani ragazze che subiscono mutilazioni genitali femminili, che costituiscono una pratica molto diffusa in alcuni paesi o in alcune regioni.


27      Per un’illustrazione di un esame caso per caso dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, v. decisione di irricevibilità del 20 settembre 2007, Elezaj c. Svezia (CE:ECHR:2007:0920DEC001765405), riguardante la legittimità dell’espulsione da parte delle autorità svedesi di cittadini albanesi coinvolti in una faida familiare risalente agli anni cinquanta.


28      V. Rouland, N., Aux confins du droit: anthropologie juridique de la modernité, Éditions Odile Jacob, Parigi, 1991, in particolare parte intitolata «Le corset du droit de la vengeance», pagg. 84 e segg.


29      V., in particolare, Acheson, B., The Pashtun Tribes in Afghanistan, Pen and Sword Books, Barnsley, 2023, e EASO, Informazione sui Paesi di origine: Afghanistan Persone a rischio a causa di norme sociali e giuridiche, dicembre 2017, punto 7 «Faide e uccisioni per vendetta».


30      V., ad esempio, EASO, Country of Origin Information Report: Albania Country focus, novembre 2016, punto 5.3.3; Office français de protection des réfugiés et apatrides (OFPRA), Rapport de mission en République d’Albanie du 3 au 13 juillet 2013, 2014, punto 1, e Gjeloshaj Hysaj, K., «La “reprise du sang” chez les Albanais»: comment sortir du Moyen-Âge?», Confluences Méditerranée, vol. 3, n. 62, L’Harmattan, Parigi, 2007, pagg. da 87 a 94.


31      EUAA, Country guidance: Afghanistan, op. cit, in particolare, punto 3.18.1, intitolato «Faide»: «Ad esempio, i membri di una famiglia coinvolta in una faida possono avere un fondato timore di essere perseguitati a causa della loro appartenenza a un particolare gruppo sociale, basata sulle loro caratteristiche innate (vale a dire essere un membro della propria famiglia) e a causa del fatto che le famiglie sono note e possono avere un’identità distinta nella società circostante» (traduzione libera) (pag. 90), e punto 3.18.2, intitolato «Dispute fondiarie»: «Le informazioni disponibili indicano che, in caso di violenza connessa a dispute fondiarie, non vi è, in generale, alcun legame con un motivo di persecuzione ai sensi della Convenzione [di Ginevra]. Ciò non pregiudica i singoli casi in cui un legame potrebbe essere stabilito sulla base di altre circostanze (ad esempio l’etnia, in relazione al fatto che i talebani si schierano sulla base dell’origine etnica di una persona, una disputa fondiaria che dà origine a una faida, ecc.» (traduzione libera) (pag. 92).


32      V. Ellenberger, H. F., «La vendetta», Revue internationale de criminologie et de police technique et scientifique, vol. XXXIV, n. 2, Polymedia, Morges, 1981, pagg. da 125 a 142, in particolare pag. 125.


33      V. Acheson B., op. cit. pagg. da 88 a 93.


34      V. Bardhoshi, N., «De l’anthropologie de la vendetta en temps de “crise totale”», Ethnologie française, vol. 47, n. 2, Presses Universitaires de France, Parigi, 2017, pagg. da 331 a 340. Nella sua posizione sull’appartenenza di un individuo ad una famiglia o ad un clan coinvolto in una faida, l’UNHCR sottolinea, tuttavia, che, recentemente, «sono stati riportati casi in cui anche donne e bambini sono divenuti bersaglio di faide. Possono infatti venire uccisi o feriti in occasione di attacchi nei confronti degli uomini della famiglia» (punto 3).


35      V. EASO, Country of Origin Information Report: Albania – Country focus, novembre 2016, punto 5.3.3, intitolato «Victims of blood feuds» (Vittime di faide): «Un effetto collaterale delle faide è la sorte delle famiglie minacciate che si isolano per un periodo di tempo piuttosto lungo al fine di evitare le violenze. Ciò si ripercuote anche sui minori, che non possono recarsi a scuola. Nel 2013, secondo quando riferito, 67 famiglie si sono isolate a causa di faide e 33 minori, soprattutto nelle regioni del nord, non sono potuti andare a scuola per tale ragione» (traduzione libera).


36      Nella sua posizione sull’appartenenza di un individuo ad una famiglia o ad un clan coinvolto in una faida, l’UNHCR sottolinea che «[a]ccade inoltre che, a causa dei timori da parte della famiglia che i bambini possano essere uccisi, assaliti o sequestrati, questi siano trattenuti a casa per lunghi periodi e venga impedito loro di frequentare la scuola. Per questi motivi, sebbene siano gli uomini adulti i principali bersagli delle faide, anche altri membri della famiglia possono essere a rischio di morte o di violazioni minori dei diritti umani» (punto 3). V., nello stesso senso, COI Focus – Albania, Blood Feud in contemporary Albania: Characterisation, Prevalence and Response by the State, del Commissariat général aux réfugiés et aux apatrides (Belgio), del 29 giugno 2017.


37      V., ad esempio, Third periodic report submitted by Albania under article 19 of the [UN Convention against torture and other cruel, inhuman or degrading treatment or punishment (Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti), adottata a New York dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1984, Recueil des traités des Nations unies, vol. 1465, n. 24841, 1987, pag. 85], 19 luglio 2021, del Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura, in cui il governo albanese ha segnalato che 75 famiglie erano coinvolte in una faida che ha portato al confinamento di 159 persone, di cui 25 minorenni (punto 194).


38      Ricordo che, secondo la giurisprudenza della Corte, l’appartenenza a un determinato gruppo sociale deve essere constatata indipendentemente dagli atti di persecuzione, ai sensi dell’articolo 9 della direttiva 2011/95, di cui i membri di tale gruppo possono essere vittime nel paese d’origine [v. sentenza del 16 gennaio 2024, Intervyuirasht organ na DAB pri MS (Donne vittime di violenza domestica) (C‑621/21, EU:C:2024:47, punto 55)].


39      Nella sua posizione sull’appartenenza di un individuo ad una famiglia o ad un clan coinvolto in una faida, l’UNHCR sottolinea che «[i]n caso di faide, un individuo non viene attaccato indiscriminatamente, ma piuttosto diviene bersaglio in quanto membro di una determinata famiglia e sulla base di un codice consolidato nel tempo. A differenza di altri casi in cui una persona teme di essere maltrattata, o persino uccisa, qualora, per esempio, debba dei soldi a qualcuno o sia un possibile obiettivo della mafia, gli individui che temono di essere perseguitati nell’ambito di una faida non diventano bersaglio a causa delle loro azioni ma a causa di responsabilità attribuite ai loro familiari (vivi o morti che siano). Non sono, quindi, semplici vittime di una vendetta privata ma anche vittime del codice che regola la tradizione della faida» (punto 14).


40      V. sentenza del 16 gennaio 2024, Intervyuirasht organ na DAB pri MS (Donne vittime di violenza domestica) (C‑621/21, EU:C:2024:47, punti 64 e 65).


41      V. sentenza del 16 gennaio 2024, Intervyuirasht organ na DAB pri MS (Donne vittime di violenza domestica) (C‑621/21, EU:C:2024:47, punti da 66 a 69).