Language of document : ECLI:EU:T:2019:671

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Terza Sezione ampliata)

24 settembre 2019 (*)

«Concorrenza – Intese – Mercato delle buste standard/disponibili su catalogo e buste speciali stampate – Decisione che accerta la violazione dell’articolo 101 TFUE – Annullamento parziale per violazione dell’obbligo di motivazione – Decisione di modifica – Procedimento di transazione – Ammende – Importo di base – Adeguamento eccezionale – Tetto del 10% del fatturato complessivo – Articolo 23, paragrafo 2, del regolamento (CE) no 1/2003 – Principio del ne bis in idem – Certezza del diritto – Legittimo affidamento – Parità di trattamento – Cumulo delle sanzioni – Proporzionalità – Equità – Competenza estesa al merito»

Nella causa T‑466/17,

Printeos, SA, con sede in Alcalá de Henares (Spagna),

Printeos Cartera Industrial, SL, con sede in Alcalá de Henares,

Tompla Scandinavia AB, con sede in Stoccolma (Svezia),

Tompla Francia, con sede in Fleury‑Mérogis (Francia),

Tompla Druckerzeugnisse Vertriebs GmbH, con sede in Leonberg (Germania),

rappresentate da H. Brokelmann e P. Martínez‑Lage Sobredo, avvocati,

ricorrenti,

contro

Commissione europea, rappresentata da F. Castilla Contreras, F. Jimeno Fernández e C. Urraca Caviedes, in qualità di agenti,

convenuta,

avente ad oggetto una domanda fondata sull’articolo 263 TFUE e volta, in via principale, all’annullamento parziale della decisione C(2017) 4112 final della Commissione, del 16 giugno 2017, recante modifica della decisione C(2014) 9295 final, del 10 dicembre 2014, relative ad un procedimento ai sensi dell’articolo 101 [TFUE] e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (AT.39780 – Buste), e, in subordine, alla riduzione dell’ammenda inflitta alle ricorrenti,

IL TRIBUNALE (Terza Sezione ampliata),

composto da M. van der Woude, presidente, S. Frimodt Nielsen, V. Kreuschitz (relatore), N. Półtorak e E. Perillo, giudici,

cancelliere: J. Palacio González, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 3 aprile 2019,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

I.      Fatti

A.      Il procedimento amministrativo conclusosi con l’adozione della decisione iniziale

1        Con decisione C(2014) 9295 final, del 10 dicembre 2014, relativa a un procedimento ai sensi dell’articolo 101 [TFUE] e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (AT.39780 – Buste) (in prosieguo: la «decisione iniziale»), la Commissione europea accertava, segnatamente, la violazione, da parte delle ricorrenti, Printeos, SA, Printeos Cartera Industrial SL, già Tompla Sobre Exprés SL, Tompla Scandinavia AB, Tompla France e Tompla Druckerzeugnisse Vertriebs GmbH dell’articolo 101 TFUE e dell’articolo 53 dell’accordo sullo Spazio economico europeo (SEE) per aver partecipato, nel periodo compreso tra l’8 ottobre 2003 e il 22 aprile 2008, ad un’intesa conclusa e posta in essere nel mercato europeo delle buste standard disponibili su catalogo e delle buste speciali stampate, comprendente la Danimarca, la Germania, la Francia, la Svezia, il Regno Unito e la Norvegia. L’intesa era volta a coordinare i prezzi di vendita, a ripartire la clientela e a scambiare informazioni commerciali sensibili. Oltre alle ricorrenti, partecipavano all’intesa anche il gruppo Bong (in prosieguo: la «Bong»), il gruppo GPV France SAS and Heritage Envelopes Ltd (in prosieguo: la «GPV»), il gruppo Holdham SA (in prosieguo: la «Hamelin») e il gruppo Mayer-Kuvert (in prosieguo: la «Mayer-Kuvert»), anch’essi destinatari della decisione iniziale.

2        La decisione iniziale veniva adottata nell’ambito di una procedura di transazione ai sensi dell’articolo 10 bis del regolamento (CE) n. 773/2004 della Commissione, del 7 aprile 2004, relativo ai procedimenti svolti dalla Commissione a norma degli articoli [101 e 102 TFUE] (GU 2004, L 123, pag. 18) e della comunicazione della Commissione concernente la transazione nei procedimenti per l’adozione di decisioni a norma dell’articolo 7 e dell’articolo 23 del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio nei casi di cartelli (GU 2008, C 167, pag. 1; in prosieguo: la «comunicazione sulla transazione»).

3        In considerazione dell’infrazione accertata (articolo 1, paragrafo 5, della decisione iniziale), la Commissione infliggeva alle ricorrenti, congiuntamente e solidalmente, un’ammenda di importo pari a EUR 4 729 000 [articolo 2, paragrafo 1, lettera e), della decisione iniziale].

4        Il procedimento amministrativo sfociato nell’adozione della decisione iniziale era stato avviato dalla Commissione, di propria iniziativa, sulla base di informazioni e documenti trasmessi da un informatore anonimo. Il 14 settembre 2010, la Commissione procedeva ad una serie di accertamenti ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 4, del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli [101 e 102 TFUE] (GU 2003, L 1, pag. 1), presso le ricorrenti e altre società coinvolte nell’intesa in Danimarca, Spagna, Francia e Svezia. Il 1o ottobre 2010 e il 31 gennaio 2011 venivano effettuati ulteriori accertamenti in Germania (punto 16 della decisione iniziale).

5        Il 22 ottobre 2010 le ricorrenti presentavano presso la Commissione una domanda di trattamento favorevole ai sensi della comunicazione della Commissione relativa all’immunità dalle ammende o alla riduzione del loro importo nei casi di cartelli tra imprese (GU 2006, C 298, pag. 17; in prosieguo: la «comunicazione sulla cooperazione») (punto 17 della decisione iniziale), nonché una domanda analoga presso la Comisión Nacional della Competencia, successivamente denominata Comisión Nacional de los Mercados y la Competencia (Autorità della concorrenza, Spagna; in prosieguo: la «CNC»).

6        Il 15 marzo 2011 la CNC avviava un procedimento volto ad accertare la sussistenza di un’infrazione dell’articolo 101 TFUE nonché dell’equivalente normativa spagnola sulla concorrenza da parte, segnatamente, della Tompla Sobre Exprés, e delle proprie società controllate spagnole, con riguardo unicamente al mercato spagnolo delle buste di carta [causa S/0316/10, Sobres de papel (buste di carta)]. A tal riguardo la Commissione non accoglieva alla domanda delle ricorrenti con cui si chiedeva all’Istituzione di avvalersi della sua prerogativa, prevista dall’articolo 11, paragrafo 6, del regolamento n. 1/2003, di avviare il procedimento privando la CNC della competenza ad applicare l’articolo 101 TFUE. Tale procedimento si concludeva con l’adozione, da parte della CNC, in data 25 marzo 2013, di una decisione con la quale le società medesime venivano condannate al pagamento di un’ammenda totale di importo pari a EUR 10 141 530 per aver partecipato, nel mercato spagnolo, durante il periodo compreso tra il 1977 e il 2010, ad intese aventi ad oggetto la fissazione dei prezzi e la ripartizione delle gare d’appalto indette dall’amministrazione spagnola e riguardanti la fornitura di buste prestampate per elezioni e referendum a livello europeo, nazionale e regionale, la ripartizione dell’offerta di buste prestampate per uso commerciale per grandi clienti, la fissazione dei prezzi di buste vergini e la limitazione delle tecnologie. A seguito del ricorso proposto, segnatamente, dalla prima ricorrente, l’Audiencia Nacional, Sala de lo Contencioso (Corte centrale, sezione del contenzioso, Spagna), annullava parzialmente detta decisione, vale a dire nella parte recante la fissazione dell’importo dell’ammenda, rinviando la causa dinanzi alla CNC ai fini della nuova determinazione dell’importo dell’ammenda conformemente ai pertinenti criteri di legge.

7        Tutte le parti interessate manifestavano il proprio interesse a partecipare a discussioni ai fini di una transazione, ragion per cui, in data 10 dicembre 2013, la Commissione avviava la procedura ex articolo 10 bis del regolamento n. 773/2004, nell’ambito della quale essa svolgeva riunioni bilaterali con ciascuna parte (punti 19 e 20 della decisione iniziale).

8        In occasione della riunione del 21 gennaio 2014, la Commissione esponeva alle ricorrenti una ricostruzione complessiva dell’intesa, comprendente la propria valutazione degli elementi di prova a sua disposizione.

9        Il 24 febbraio 2014 le ricorrenti trasmettevano un documento informale, denominato «non paper», nel quale chiedevano alla Commissione di tenere conto, ai fini della determinazione dell’importo dell’ammenda, in primo luogo, dell’ammenda inflitta dalla CNC, equivalendo tale ammenda già di per sé al 10% del loro fatturato totale del 2012, in secondo luogo, del fatto che esse costituivano un gruppo «monoprodotto» (ossia dedicato alla produzione di un unico prodotto) e, in terzo luogo, del punto 37 degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1/2003 (GU 2006, C 210, pag. 2; in prosieguo: gli «orientamenti»), che consente alla Commissione, alla luce delle specificità del caso in esame, di discostarsi dalla metodologia generale per la fissazione dell’importo delle ammende o dei limiti fissati nel punto 21 degli orientamenti stessi.

10      In luogo di una seconda riunione e previo accordo delle ricorrenti, la Commissione presentava, con messaggio di posta elettronica del 17 giugno 2014, un riepilogo dei criteri rilevanti ai fini della determinazione dell’importo dell’ammenda da infliggere, quali il valore delle vendite realizzate dalle ricorrenti nel 2007, ossia EUR 143 316 000, ed il loro fatturato conseguito nel 2013, ossia EUR 121 728 000, la durata della loro partecipazione all’infrazione ecc. Le ricorrenti replicavano, con posta elettronica del 18 giugno 2014 confermando il valore delle vendite e il fatturato assunti dalla Commissione facendo presente di non avere osservazioni sostanziali da formulare a tal riguardo.

11      In occasione di una riunione tenutasi il 24 ottobre 2014, la Commissione informava le ricorrenti in ordine al metodo ed ai criteri di calcolo del quantum dell’ammenda, vale a dire, in primo luogo, alla proporzione (15%) del valore delle vendite (EUR 143 316 000 nel 2007) utilizzato ai fini della determinazione dell’importo di base dell’ammenda, in secondo luogo, alla durata dell’infrazione commessa dalle ricorrenti (quattro anni e sei mesi), in terzo luogo, all’importo aggiuntivo del 15%, in quarto luogo, all’assenza di circostanze attenuanti o aggravanti, in quinto luogo, alla non-applicazione d’un fattore moltiplicatore, in sesto luogo, all’ammenda massima consentita di EUR 12 171 800 (10% del fatturato complessivo delle ricorrenti nel 2013), in settimo luogo, a una riduzione eccezionale dell’importo dell’ammenda in base al punto 37 degli orientamenti in considerazione delle circostanze particolari della specie, ivi incluso il fatto che gli importi di base di tutte le parti dell’intesa superavano il tetto del 10% previsto dall’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento no 1/2003, in ottavo luogo, ad una riduzione supplementare on considerazione del carattere «monoprodotto» del gruppo delle ricorrenti, in nono luogo, all’impossibilità di concedere una riduzione a fronte dell’esistenza dell’ammenda inflitta dalla CNC, essendo l’intesa perseguita da quest’ultima distinta da quella affrontata dalla Commissione e dovendo essere quindi sanzionata indipendentemente e in base alle pertinenti regole, differenti da quelle applicate dalla Commissione, in decimo luogo, alla prevista riduzione del 50% ai sensi dei paragrafi 24 e 25 della comunicazione sulla cooperazione, in undicesimo luogo, alla prevista riduzione del 10% in base al paragrafo 32 della comunicazione sulla transazione e, infine, all’intervallo in cui si colloca l’importo dell’ammenda compreso tra EUR 4 610 000 e EUR 4 848 000, di cui le ricorrenti dovrebbero accettare, nella loro proposta di transazione, l’importo massimo.

12      Il 7 novembre 2014 le ricorrenti presentavano la loro proposta di transazione, con la quale accettavano il valore delle vendite e il fatturato assunti dalla Commissione nonché l’importo massimo dell’ammenda pari a EUR 4 848 000.

13      Il 18 novembre 2014, la Commissione procedeva alla comunicazione degli addebiti.

14      Il 20 novembre seguente le ricorrenti confermavano, ai sensi del punto 26 della comunicazione sulla transazione, che la comunicazione degli addebiti corrispondeva al contenuto della loro proposta di transazione e che esse mantenevano l’impegno di seguire la procedura di transazione.

15      Nella decisione iniziale, per quanto riguarda il calcolo delle ammende inflitte, la Commissione determinava l’importo di base di ciascuna impresa interessata come sintetizzato nella seguente tabella (punti da 71 a 84 della decisione iniziale):

Impresa

Valore delle vendite EUR

Coefficiente di gravità %

Durata

Importo addizionale%

Importo di base EUR

Bong

140 000 0000

15

4,5

15

115 500 000

[…] GPV

125 086 629

15

4,5

15

103 196 000

Hamelin

185 521 000

15

4,416

15

150 717 000

Mayer-Kuvert

70 023 181

15

4,5

15

57 769 000

Printeos [...]

143 316 000

15

4,5

15

118 235 000


16      Ai punti da 85 a 87 della decisione iniziale, la Commissione riteneva, inoltre, che gli importi di base non dovessero essere adeguati ai sensi dei punti 28 e 29 degli orientamenti, ad eccezione del caso della Mayer‑Kuvert, alla quale doveva applicarsi una riduzione del 10% in considerazione della sua limitata partecipazione all’infrazione.

17      Nel paragrafo intitolato «Modifiche agli importi di base», la Commissione rilevava che, dal momento che le vendite della maggior parte delle parti interessate erano state effettuate in un solo mercato, nel quale esse avevano partecipato a un’intesa durante molti anni, in pratica, tutti gli importi delle ammende potevano raggiungere il massimale del 10% del fatturato totale e che l’applicazione del suddetto massimale sarebbe stata la regola piuttosto che l’eccezione (punto 88 della decisione iniziale). A tal riguardo, la Commissione richiamava la giurisprudenza del Tribunale, secondo cui tale approccio potrebbe dar luogo a dubbi alla luce del principio secondo cui la pena deve presentare un nesso immediato con l’infrazione e con il suo autore, dal momento che essa potrebbe condurre, in presenza di determinate condizioni, ad una situazione nella quale ogni differenziazione in funzione della gravità dell’infrazione o di circostanze attenuanti non sarebbe più idonea a ripercuotersi sull’importo di un’ammenda (sentenza del 16 giugno 2011, Putters International/Commissione, T‑211/08, EU:T:2011:289, punto 75). Tenuto conto delle specificità del caso di specie, la Commissione riteneva opportuno avvalersi della propria discrezionalità applicando il punto 37 degli orientamenti, che gli consente di discostarsi dalla metodologia degli orientamenti (punti 89 e 90 della decisione iniziale).

18      I punti 91 e 92 della decisione iniziale così recitano:

«(91)      Nel caso di specie, l’importo di base è adeguato in modo tale da tenere conto del valore delle vendite del prodotto oggetto del cartello rispetto al fatturato totale nonché delle differenze tra il parti per quanto riguarda la loro partecipazione individuale all’infrazione. Complessivamente, il ammende saranno fissate a un livello proporzionato all’infrazione e che produce un effetto dissuasivo sufficiente.

(92)      Pertanto, sarà applicata una riduzione alle ammende calcolate per tutte il parti. Nelle circostanze specifiche del caso di specie, dal momento che tutte il parti erano attive, in differente misura, benché rilevante, nella vendita di buste standard disponibili a catalogo e di buste speciali stampate, si propone di applicare una riduzione del 98% dell’ammenda inflitta per l’infrazione commessa dalla GPV, del 90% per la Tompla, dell’88% per la Bong e la Mayer-Kuvert, nonché dell’85% per la Hamelin».

19      Il risultato di tale adeguamento degli importi di base può essere così riepilogato (vedi anche la tabella contenuta al punto 93 della decisione iniziale):

Impresa

Importo di base prima dell’adeguamento EUR

Riduzione %

Importo di base dopo l’adeguamento EUR

Bong

115 500 500

88

13 860 000

GPV

103 196 000

98

2 063 920

Hamelin

150 717 000

85

22 607 550

Mayer-Kuvert

57 769 000

88

6 932 280

Printeos

118 235 000

90

11 823 500


20      La Commissione accordava alle ricorrenti riduzioni supplementari dell’importo dell’ammenda del 50% in base alla comunicazione sulla cooperazione e del 10% in base al paragrafo 32 della comunicazione sulle transazioni (punti 99, 102 e 103 della decisione iniziale). In base alle corrispondenti norme pertinenti, la Hamelin e la Mayer-Kuvert ottenevano, ciascuna, riduzioni dell’importo delle loro ammende pari, rispettivamente, al 25% e al 10% (cooperazione) e al 10% (transazione) (punti da 100 a 103 della decisione iniziale).

21      Infine, dai punti da 104 a 108 della decisione iniziale, al paragrafo intitolato «Capacità contributiva», emerge che, a seguito delle domande motivate presentate dalla Bong e dalla Hamelin ai sensi del punto 35 degli orientamenti, la Commissione riduceva l’importo delle loro ammende rispettivamente a EUR 3 118 000 ed EUR 4 996 000. Le ricorrenti non presentavano alla Commissione una domanda in tal senso né ottenevano riduzione alcuna ai sensi del menzionato punto.

B.      Sentenza nella causa T95/15

22      A seguito di ricorso proposto dalle ricorrenti ai sensi dell’articolo 263 TFUE diretta, in via principale, all’annullamento parziale della decisione iniziale, il Tribunale annullava, con sentenza del 13 dicembre 2016, Printeos e a./Commissione (T‑95/15, EU:T:2016:722), l’articolo 2, paragrafo 1, lettera e), della decisione iniziale per insufficienza di motivazione ex articolo 296, secondo comma, TFUE (sentenza del 13 dicembre 2016, Printeos e a./Commissione, T‑95/15, EU:T:2016:722, punti 57 e 58 e punto 1 del dispositivo).

23      Le considerazioni svolte a sostegno dell’annullamento sono esposte ai punti da 45 a 56 della sentenza del 13 dicembre 2016, Printeos e a./ Commissione (T‑95/15, EU:T:2016:722).

24      La sentenza del 13 dicembre 2016, Printeos e a./Commissione (T‑95/15, EU:T:2016:722), è passata in giudicato.

C.      Sentenza nella causa T201/17

25      A seguito di nuovo ricorso proposto dalla prima ricorrente, depositata presso la cancelleria del Tribunale il 31 marzo 2017, avente ad oggetto, in via principale, una domanda ex articolo 268 TFUE volta all’ottenimento del risarcimento del danno derivante dal diniego della Commissione di riconoscerle interessi moratori sull’importo principale dell’ammenda rimborsata a seguito dell’annullamento della decisione iniziale, il Tribunale, con sentenza del 12 febbraio 2019, Printeos/Commissione (T‑201/17, impugnazione pendente, EU:T:2019:81), condannava l’Unione europea, rappresentata dalla Commissione, al risarcimento del danno subìto dalla prima ricorrente nella misura di EUR 184 592,95, oltre interessi di mora. Avverso tale sentenza la Commissione proponeva impugnazione, registrata al numero di ruolo C‑301/19 P.

D.      Riapertura del procedimento amministrativo ed adozione della decisione impugnata

26      A seguito della sentenza del 13 dicembre 2016, Printeos e a./Commissione (T‑95/15, EU:T:2016:722), la Commissione trasmetteva, il 29 marzo 2017, una lettera alle ricorrenti comunicando loro il suo intendimento di adottare una nuova decisione recante irrogazione di un’ammenda di pari importo a quella già inflitta nella decisione iniziale, precisando i criteri assunti ai fini del calcolo e le ammende inflitte alle imprese interessate, in particolare, la metodologia seguita ai sensi del punto 37 degli orientamenti, invitando parimenti le ricorrenti a presentare osservazioni entro il termine di tre settimane a decorrere dalla ricezione della lettera medesima.

27      Con lettera del 17 aprile 2017, le ricorrenti presentavano le proprie osservazioni sostenendo che l’emanazione di una nuova decisione si poneva in contrasto con il principio del ne bis in idem, considerato che l’annullamento della decisione iniziale per effetto della sentenza del 13 dicembre 2016, Printeos e a./Commissione (T‑95/15, EU:T:2016:722), non era di ordine puramente procedurale, avendo la decisione de qua parimenti violato il loro diritto fondamentale ad una corretta amministrazione, sancito dall’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»). Le ricorrenti osservavano inoltre che l’ammenda prevista risultava discriminatoria nei loro confronti e che, alla luce della sentenza del 13 febbraio 1969, Wilhelm e a. (14/68, EU:C:1969:4, punto 11), la Commissione avrebbe dovuto tener conto, per motivi di equità, dell’ammenda loro già inflitta dalla CNC con decisione del 25 marzo 2013.

28      Con decisione C(2017) 4112 final, del 16 giugno 2017, recante modifica della decisione iniziale (in prosieguo la «decisione impugnata»), indirizzata alle sole ricorrenti, la Commissione infliggeva loro, congiuntamente ed in solido, un’ammenda di EUR 4 729 000 (articoli 1 e 3, nonché punti 8 e 9 della decisione).

29      In primo luogo, al punto 7 della decisione impugnata, veniva rilevato che l’annullamento parziale, disposto dal Tribunale della decisione iniziale per insufficienza di motivazione, presentava unicamente una rilevanza procedurale. Conseguentemente, tale annullamento non potrebbe essere qualificato come ottemperanza ai sensi dell’articolo 50 della Carta (sentenza del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582, punti da 59 a 63 e da 693 a 695), potendo la Commissione riassumere il procedimento amministrativo al punto in cui l’illegittimità si era verificata (sentenze del 9 dicembre 2014, Lucchini/Commissione, T‑91/10, EU:T:2014:1033, punto 173, e del 9 dicembre 2014, SP/Commissione, T‑472/09 e T‑55/10, EU:T:2014:1040, punto 277).

30      In secondo luogo, al punto 8 della decisione impugnata, è precisato che la decisione medesima «fornisce informazioni supplementari in ordine alla metodologia applicata e sui fatti assunti dalla Commissione ai fini della determinazione e dell’adeguamento degli importi di base, come indicato ai punti da 88 a 93 della decisione iniziale».

31      In terzo luogo, ai punti da 10 a 22 della decisione impugnata, la Commissione illustra la metodologia ed i motivi degli «adeguamenti» degli importi disposti ai sensi del punto 37 degli orientamenti, sottesi ai punti da 88 a 95 della decisione iniziale.

32      Al punto 14 della decisione impugnata, la Commissione rileva di aver tenuto conto della riduzione minima necessaria per portare l’importo di base dell’ammenda da infliggere ad ogni singola impresa interessata al di sotto del tetto del 10% assicurando, al tempo stesso, che l’importo di base adeguato riflettesse il relativo carattere della loro partecipazione all’intesa, precisando, inoltre, che una riduzione uniforme per tutte le imprese interessate avrebbe condotto ad una situazione in cui ognuna di esse avrebbe ingiustificatamente beneficiato della riduzione minima necessaria per portare l’importo di base al di sotto del tetto del 10% dell’impresa il cui importo di base eccedeva il tetto medesimo in misura maggiore, vale a dire la GPV, il che avrebbe dato luogo ad ammende non congrue rispetto alla gravità delle infrazioni commesse e prive di sufficiente effetto dissuasivo.

33      Al punto 15 della decisione impugnata, si afferma che la Commissione ha, anzitutto, proceduto all’adeguamento dell’importo di base per ognuna delle imprese interessate tenendo conto della quota del valore delle vendite del prodotto oggetto del cartello rispetto al fatturato complessivo (in prosieguo: il «rapporto prodotto/fatturato»). Orbene, gli adeguamenti operati nella decisione iniziale sarebbero stati parimenti volti a garantire che le ammende adeguate riflettessero sempre la gravità dell’infrazione nel suo complesso, senza peraltro falsare il peso relativo dei rispettivi importi di base delle imprese interessate analogamente corrispondente al loro coinvolgimento nell’intesa. Tali elementi metodologici avrebbero inciso sulle riduzioni individuali concesse alle singole imprese interessate.

34      A termini del punto 16 della decisione impugnata, la decisione iniziale ha tenuto conto del rapporto prodotto/fatturato di ogni singola impresa interessata, calcolato quale rapporto del fatturato complessivo delle vendite di buste rispetto al fatturato mondiale totale realizzato nel 2012. Un’impresa con un rapporto prodotto/fatturato più elevato avrebbe beneficiato di una riduzione prodotto/fatturato più rilevante o quantomeno pari a quella accordata ad un’impresa con un rapporto prodotto/fatturato più ridotto. Dai rapporti indicati nella tabella A emergerebbe che tutte le imprese, eccetto la Hamelin, presentavano rapporti prodotto/fatturato individuali molto elevati. Orbene, a seguito della cessione dei propri attivi di produzione di buste, la Hamelin non avrebbe più evidenziato, nel 2012, vendite del prodotto oggetto del cartello, ragion per cui il suo rapporto prodotto/fatturato sarebbe stato stimato ponendo a raffronto il suo fatturato realizzato nel 2012 con le vendite del prodotto oggetto del cartello attuato dalla sua ex controllata.

35      Al punto 17 della decisione impugnata viene rilevato che la riduzione del 98% concessa alla GPV era necessaria per portare il suo fatturato al di sotto del tetto del 10%. Tenuto conto che la GPV è l’impresa con il rapporto prodotto/fatturato più elevato, le altre imprese avrebbero beneficiato di riduzioni meno elevate, stabilite individualmente e corrispondenti tanto ai rispettivi rapporti prodotto/fatturato quanto al peso relativo degli importi di base loro attribuiti.

36      Al successivo punto 18 viene precisato che una semplice riduzione lineare fondata sui rapporti prodotto/fatturato individuali avrebbe dato luogo a risultati ingiusti, falsando il peso relativo degli importi di base. Per effetto di tale impostazione, ad esempio, l’importo di base adeguato della Mayer-Kuvert (con un rapporto prodotto/fatturato del 76%) sarebbe risultato superiore all’importo di base adeguato delle ricorrenti (con un rapporto prodotto/fatturato del 90%), mentre il loro importo di base rappresentava, prima dell’adeguamento, più del doppio di quello della Mayer-Kuvert. La metodologia seguita nella decisione iniziale era dunque volta, per ragioni di equità, a ristabilire l’equilibrio tra gli importi di base adeguati, fissando riduzioni individuali che riflettessero non solo i rapporti prodotto/fatturato, bensì parimenti l’analogo carattere del coinvolgimento individuale delle imprese interessate, quale risultante dagli importi di base non adeguati.

37      Al successivo punto 19, la Commissione afferma       di aver considerato la necessità, sebbene la Hamelin presentasse un rapporto prodotto/fatturato considerevolmente meno elevato rispetto alle altre imprese, di ridurre anche l’ammenda irrogatale, al fine di tener conto del fatto che il suo ruolo nell’intesa appariva analogo a quello delle altre imprese. Alla luce del suo rapporto prodotto/fatturato, la riduzione dell’importo di base della Hamelin sarebbe la meno rilevante rispetto a quelle di cui avrebbero beneficiato tutte le altre imprese.

38      Dal successivo punto 20 emerge che, se la Commissione non avesse tenuto conto della seconda fase di tale metodo e avesse operato le riduzioni basandosi unicamente sul rapporto prodotto/fatturato delle imprese interessate, la Hamelin non avrebbe beneficiato di una riduzione ed il suo importo di base sarebbe risultato del 1 275% più elevato rispetto all’importo di base adeguato delle ricorrenti, laddove il valore delle vendite della Hamelin era solo del 30% superiore a quello delle vendite realizzate dalle ricorrenti.

39      Al punto 21 della decisione medesima si afferma, in conclusione, che il metodo scelto e la riduzione concessa hanno fatto sì che l’importo di base dell’ammenda inflitta alla Hamelin riflettesse analogamente il suo coinvolgimento nell’intesa nonché la gravità e la durata dell’infrazione, presentando carattere sufficientemente dissuasivo.

40      La tabella A esposta al punto 22 della decisione impugnata corrisponde essenzialmente a quella contenuta al punto 50 della sentenza del 13 dicembre 2016, Printeos e a./Commissione (T‑95/15, EU:T:2016:722), con l’aggiunta di una colonna supplementare che indica i rapporti prodotto/fatturato delle imprese interessate per l’anno 2012 (cfr. supra, punto 34).

Impresa

Valore delle vendite EUR (2007)

Coefficiente di gravità

Durata (anni)

Importo addizionale

Importo di base EUR

Raporto prodotto/fatturato

Adeguamento/ Riduzione

Importo di base adeguato

[…] GPV

125 086 629

15%

4,5

15%

103 196 000

93%

0,98

2 063 920

[Printeos]

143 316 000

15%

4,5

15%

118 235 000

90%

0,90

11 823 500

Bong

140 000 000

15%

4,5

15%

115 500 000

80%

0,88

13 860 000

Mayer-Kuvert

70 023 181

15%

4,5

15%

57 769 000

76%

0,88

6 932 280

Hamelin

185 521 000

15%

4,416

15%

150 717 000

17%

0,85

22 607 550


41      Come indicato al punto 23 della decisione impugnata, la sentenza del 13 dicembre 2016, Printeos e a./Commissione (T‑95/15, EU:T:2016:722), non riguarda le altre fasi del metodo di determinazione delle ammende seguito nella decisione iniziale, ragion per cui esse non vengono nuovamente illustrate nella decisione impugnata. Tuttavia, tenuto conto della richiesta delle ricorrenti esposta nella loro lettera del 17 aprile 2017, di tener conto dell’ammenda irrogata dalla CNC, la Commissione dichiara di volervi dare risposta ai punti da 46 a 55 della decisione medesima.

42      In quarto luogo, ai punti da 46 a 55 della decisione impugnata vengono quindi precisate le ragioni per la quali la Commissione ha respinto la richiesta rammentando che, nel corso del procedimento sfociato nell’adozione della decisione iniziale, essa aveva già fatto presente alle ricorrenti di non considerare né necessario né opportuno tener conto dell’ammenda inflitta dalla CNC. A tal riguardo, la Commissione si richiama, segnatamente, alla propria prassi decisionale [decisione 89/515/CEE della Commissione, del 2 agosto 1989, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 85 del trattato CEE (IV/31.553 – rete metallica elettrosaldata) (GU 1989, L 260, pag. 1)], nonché alla sentenza del 13 febbraio 1969, Wilhelm ea. (14/68, EU:C:1969:4).

43      In quinto luogo, al punto 58 della decisione impugnata, per quanto attiene all’adeguamento degli importi di base delle ammende ai sensi del punto 37 degli orientamenti, la Commissione respinge l’argomento dedotto dalle ricorrenti nella lettera del 17 aprile 2017, secondo cui, da un lato, le riduzioni degli importi di base sarebbero stati discriminatori nei loro confronti e, dall’altro, esse avrebbero dovuto beneficiare di una riduzione del 95,3671% al fine di riflettere debitamente il loro rapporto prodotto/fatturato.

44      Al successivo punto 59, in risposta agli argomenti delle ricorrenti secondo cui esisterebbero discostamenti evidenti rispetto al tetto del 10% del fatturato, la Commissione rileva, sostanzialmente, che le riduzioni non erano destinate ad essere fissate ad un livello tale da garantire che il rapporto tra gli importi di base adeguati ed i fatturati complessivi fosse lo stesso per tutte le imprese interessate. A suo avviso, secondo ben consolidata giurisprudenza, il fatto che ad un’impresa venga inflitta, per effetto dell’applicazione del metodo di calcolo degli importi di base delle ammende, un’ammenda che rappresenti una percentuale più elevata del proprio fatturato complessivo rispetto a quella rappresentata dalle ammende inflitte, rispettivamente, ad ogni altra singola impresa, non è in contrasto con i principi di parità di trattamento e di proporzionalità.

II.    Procedimento e conclusioni delle parti

45      Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 27 luglio 2017, le ricorrenti hanno proposto il presente ricorso.

46      Su proposta della Terza Sezione, il Tribunale ha deciso, in applicazione dell’articolo 28 del proprio regolamento di procedura, la rimessione della causa dinanzi ad un collegio giudicante ampliato.

47      Su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Terza sezione ampliata) ha deciso di aprire la fase orale e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste dall’articolo 89 del suo regolamento di procedura, ha rivolto alla Commissione un quesito scritto relativo alla determinazione del rapporto prodotto /fatturato della GPV. La Commissione ha ottemperato a tale richiesta nei termini impartiti.

48      Le parti hanno svolto le proprie difese ed hanno risposto ai quesiti orali posti dal Tribunale all’udienza che ha avuto luogo il 3 aprile 2019.

49      Le ricorrenti chiedono che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione iniziale;

–        in subordine, ridurre l’importo dell’ammenda inflitta all’articolo 1 della decisione impugnata concedendo, da un lato, una riduzione dell’importo di base dell’ammenda in misura del 95,3671%, ai sensi del punto 37 degli orientamenti, e, dall’altro, una riduzione supplementare dell’importo dell’ammenda, al netto delle riduzioni operate in base alle comunicazioni sulla cooperazione e sulla transazione, quantomeno pari al 33%;

–        condannare la Commissione alle spese.

50      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso in quanto infondato;

–        condannare le ricorrenti alle spese.

III. In diritto

A.      Sul primo motivo, vertente sulla violazione dei principi di certezza del diritto, di tutela del legittimo affidamento e del ne bis in idem

51      Le ricorrenti contestano il carattere procedurale dell’annullamento parziale della decisione iniziale operato con la sentenza del 13 dicembre 2016, Printeos e a./Commissione (T‑95/15, EU:T:2016:722), al pari delle fattispecie oggetto delle cause sfociate nelle sentenze del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione (C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582), o del 27 giugno 2012, Bolloré/Commissione (T‑372/10, EU:T:2012:325). Le illegittimità che vizierebbero detta decisione sarebbero di gravità tale da non poter essere qualificate che sostanziali. Inoltre, la carenza di motivazione della decisione iniziale sarebbe talmente grave da non poter essere considerato quale mero vizio di forma. Come emerge dai punti da 53 a 55 della sentenza del 13 dicembre 2016, Printeos e a./Commissione (T‑95/15, EU:T:2016:722), all’udienza nella causa T‑95/15, il Tribunale si sarebbe visto costretto a rammentare il proprio obbligo di procedere d’ufficio all’esame della sufficienza della motivazione, come riportato nel verbale dell’udienza stessa. Peraltro, l’obbligo di motivazione sarebbe stato elevato al rango di diritto fondamentale, garantito dall’articolo 41, paragrafo 2, lettera c), della Carta, ragion per cui, successivamente alla sua entrata in vigore, la giurisprudenza precedente che qualificava il difetto di motivazione quale semplice vizio di forma sarebbe superata.

52      Secondo le ricorrenti, la decisione iniziale sarebbe parimenti viziata da un altro vizio sostanziale, vale a dire da uno sviamento di potere, dedotto nella replica relativa alla causa T‑95/15, avendo la Commissione dedotto scientemente fatti inesatti al fine di giustificare gli adeguamenti degli importi di base delle ammende. Infatti, mentre al punto 92 della decisione iniziale si afferma che «tutte le parti erano impegnate, in misura diversa ma significativa, nel settore delle buste», al punto 16 della decisione impugnata sarebbe stato riconosciuto che la Hamelin non era un’impresa «monoprodotto». Tuttavia, nella tabella A contenuta nel punto 22 della decisione impugnata, sarebbe stato attribuito alla Hamelin un coefficiente «monoprodotto» del 17%, in realtà dello 0% nella fase di adozione della decisione iniziale, in base al rilievo che, per effetto della cessione dei suoi attivi di produzione di buste nel 2010, essa non aveva realizzato nel 2012 alcuna vendita del prodotto oggetto del cartello, ossia nell’anno pertinente ai fini della determinazione del coefficiente «monoprodotto». Tale sviamento di potere sarebbe confermato, in particolare, nel punto 54 della sentenza del 13 dicembre 2016, Printeos e a./Commissione (T‑95/15, EU:T:2016:722), riconoscendo che il ragionamento esposto nella decisione iniziale era contrario alla verità.

53      La gravità di tali illegittimità sostanziali che vizierebbero la decisione iniziale, non rettificabili, osterebbe a che la Commissione infligga nuovamente la sanzione già irrogata nella decisione medesima. Tale approccio sarebbe in contrasto con la definitività della decisione iniziale, la cui conclusione relativa all’esistenza di infrazioni non sarebbe contestata, violando il principio del ne bis in idem sancito dall’articolo 50 della Carta, applicabile ai procedimenti in materia di diritto della concorrenza. La decisione impugnata si aggiungerebbe infatti, senza sostituirla, alla decisione iniziale, divenuta definitiva nella parte non impugnata. Tale definitività osterebbe all’adozione di una nuova decisione sostitutiva, modificativa o integrativa, in assenza di fondamento normativo, di una decisione non annullata, in vigore e definitiva.

54      La decisione impugnata sarebbe parimenti contraria ai principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento. Contrariamente alla fattispecie oggetto della causa sfociata nella sentenza del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione (C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582), in cui la prima decisione era stata oggetto di annullamento in toto, la sentenza del 13 dicembre 2016, Printeos e a./Commissione (T‑95/15, EU:T:2016:722), si sarebbe limitata ad annullare l’articolo 2, paragrafo 1, lettera e), della decisione iniziale, ragion per cui essa sarebbe divenuta definitiva quanto al resto. Orbene, in assenza di pertinente fondamento normativo al riguardo nel regolamento no 1/2003, come quello di cui al successivo articolo 9, paragrafo 2, non applicabile nella specie, la modifica di una decisione definitiva violerebbe i menzionati principi generali. Non risulterebbe nemmeno chiaramente dalla decisione impugnata se essa riguardi una «modifica» propriamente detta, come indicato nella relativa rubrica, o una «riadozione» (punto 7) o una «sostituzione» (articolo 1 del dispositivo), sebbene si debba ritenere che la nuova motivazione si aggiunga alla decisione iniziale piuttosto che sostituire la motivazione precedente. In ogni caso, in assenza di fondamento normativo, sarebbe stata esclusa una modifica della decisione iniziale e definitiva aggiungendovi, con la decisione impugnata, «informazioni supplementari». Le ricorrenti precisano che la sentenza del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione (C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582), non riconosce la «possibilità per la Commissione di motivare in modo più dettagliato il calcolo dell’ammenda» o di «regolarizzare» un vizio sostanziale, bensì solamente quella di riaprire la procedura al fine di correggere vizi formali o procedurali che inficino la decisione annullata, il che non ricorrerebbe nella specie, in considerazione della gravità dello sviamento di potere commesso.

55      La Commissione chiede il rigetto del primo motivo in quanto infondato.

56      In primo luogo, si deve rilevare che, quando il Tribunale annulla un atto delle istituzioni, queste sono tenute, ai sensi dell’articolo 266 TFUE, ad adottare le misure necessarie ai fini dell’esecuzione della sentenza di annullamento. Secondo costante giurisprudenza, al fine di adempiere tale obbligo, le istituzioni sono tenute a rispettare non solo il dispositivo della sentenza di annullamento, bensì anche la motivazione da cui quest’ultima discende e che ne costituisce il sostegno necessario, nel senso che è indispensabile per determinare il senso esatto di quanto dichiarato nel dispositivo. È infatti questa motivazione che, da un lato, identifica la disposizione considerata come illegittima e, dall’altro, evidenzia le ragioni esatte dell’illegittimità accertata nel dispositivo e che l’istituzione interessata deve prendere in considerazione nel sostituire l’atto annullato. Orbene, l’annullamento di un atto dell’Unione non incide necessariamente su tutti i relativi atti preparatori né comporta necessariamente l’annullamento di tutto il procedimento precedente l’adozione dell’atto impugnato indipendentemente dai motivi, di merito o procedurali, della sentenza di annullamento. Conseguentemente, salvo il caso in cui dall’illegittimità accertata sia derivata la nullità dell’intero procedimento, le istituzioni stesse possono disporre, ai fini dell’adozione di un atto volto a sostituire un atto precedente annullato o invalido, la riapertura del procedimento nella fase in cui l’illegittimità è stata commessa, senza che sia necessario, affinché le istituzioni autrici di un atto annullato possano ricorrervi, che la facoltà di riaprire il procedimento sia espressamente prevista dalla normativa applicabile (v., in tal senso, sentenze del 7 novembre 2013, Italia/Commissione, C‑587/12 P, EU:C:2013:721, punto 12, e del 28 gennaio 2016, CM Eurologistik e GLS, C‑283/14 e C‑284/14, EU:C:2016:57, punti da 48 a 52 e giurisprudenza citata).

57      Tali principi s’applicano mutatis mutandis nell’ambito del diritto della concorrenza, laddove il giudice dell’Unione annulli una decisione a fronte di un’illegittimità, senza pronunciarsi esso sugli aspetti sostanziali dell’infrazione e sulla sanzione (sentenza del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582, punti 72, 73 e 693).

58      In secondo luogo, si deve ricordare che la Corte ha parimenti affermato che, in una fattispecie come quella in esame, qualora l’annullamento della decisione impugnata si fondi su un vizio procedurale, quale l’insufficienza della motivazione, ed il giudice dell’Unione non si sia avvalso del proprio potere di piena giurisdizione per riformare l’ammenda inflitta, il principio del ne bis in idem non impedisce alla Commissione di adottare una nuova decisione che irroghi un’ammenda al ricorrente. L’applicazione di tale principio presuppone, infatti, che vi sia stata una pronuncia sui fatti materiali costituenti la violazione o che la legittimità del giudizio formulato intorno a quest’ultima sia stata verificata. Pertanto, il principio del ne bis in idem vieta unicamente una nuova valutazione nel merito dei fatti materiali costituenti la violazione, la quale avrebbe come conseguenza l’irrogazione di una seconda sanzione, che si cumulerebbe con la prima, nel caso in cui venga nuovamente ritenuta sussistente una responsabilità, ovvero l’irrogazione di una prima sanzione, nell’ipotesi in cui la responsabilità, esclusa dalla prima pronuncia, sia reputata sussistente dalla seconda. Per contro, tale principio non osta di per sé ad una riattivazione delle procedure sanzionatorie aventi ad oggetto lo stesso comportamento anticoncorrenziale nel caso in cui una prima decisione sia stata annullata per motivi di forma senza che sia intervenuta una pronuncia sul merito dei fatti contestati, poiché, in tal caso, la decisione di annullamento non ha valore di «assoluzione» nel senso attribuito a tale termine nelle materie riguardanti la repressione degli illeciti. In tal caso, le sanzioni irrogate dalla nuova decisione non si cumulano con quelle inflitte dalla decisione annullata, bensì vi si sostituiscono (v., in tal senso, sentenza del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582, punti da 60 a 62 e da 693 a 695).

59      Ad avviso del Tribunale, non sussiste alcuna sufficiente ragione che giustifichi un diverso approccio nel caso di annullamento, per carenza di motivazione, di una decisione che infligga un’ammenda per il solo motivo che la decisione stessa sia stata adottata in esito ad una procedura di transazione. Peraltro, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, i principi giurisprudenziali richiamati supra ai punti da 56 à 58 devono trovare applicazione mutatis mutandis nell’ipotesi di annullamento solamente parziale della decisione medesima, laddove l’annullamento riguardi unicamente la parte relativa all’irrogazione dell’ammenda, come nella specie l’articolo 2, paragrafo 1, lettera e), della decisione iniziale, ad esclusione della parte della decisione stessa recante accertamento definitivo della responsabilità dell’impresa interessata dall’infrazione commessa. Infatti, in una fattispecie del genere, è escluso, a maggior ragione, un riesame nel merito dei fatti materiali costituenti la violazione aspetti sostanziali, con la conseguenza che l’impresa de qua verrebbe nuovamente sanzionata. Le censure relative alla violazione dei principi della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento devono essere pertanto direttamente respinte in quanto infondate.

60      Occorre quindi esaminare se, per effetto dell’articolo 266, primo comma, TFUE, alla luce del dispositivo della sentenza del 13 dicembre 2016, Printeos e a./Commissione (T‑95/15, EU:T:2016:722), recante annullamento parziale della decisione iniziale, nonché degli elementi essenziali della relativa motivazione esposti nella sentenza stessa, la Commissione potesse legittimamente regolarizzare la carenza di motivazione accertata e sanzionata con l’annullamento conseguentemente pronunciato procedendo all’adozione della decisione impugnata, munita di motivazione rivista o integrata e recante irrogazione alle ricorrenti della stessa ammenda già con la decisione iniziale.

61      A tal riguardo, si deve rammentare che, al punto 1 del dispositivo della sentenza del 13 dicembre 2016, Printeos e a./Commissione (T‑95/15, EU:T:2016:722), il Tribunale si è limitato ad annullare l’articolo 2, paragrafo 1, lettera e), della decisione iniziale avendo rilevato il vizio di carenza di motivazione ai sensi dell’articolo 296, secondo comma, TFUE (sentenza del 13 dicembre 2016, Printeos e a./Commissione, T‑95/15, EU:T:2016:722, punti 57 e 58).

62      Detti punti così recitano:

«57 Alla luce dei suesposti rilievi, si deve dunque concludere che la decisione [iniziale] è viziata da un’insufficienza di motivazione e che va accolto il primo motivo nella misura in cui esso si fonda su una violazione dell’obbligo di motivazione ai sensi dell’articolo 296, secondo comma, TFUE.

58      L’articolo 2, paragrafo 1, lettera e), della decisione [iniziale], dev’essere pertanto annullato, senza che occorra pronunciarsi sulla censura relativa a uno sviamento di potere né sul secondo e terzo motivo, né sulla ricevibilità di quest’ultimo. Non è neppure necessario pronunciarsi sul secondo capo della domanda, dedotto in subordine».

63      Come fatto valere dalla Commissione, risulta che il Tribunale ha rinunciato a pronunciarsi sugli altri motivi dedotti nella causa T‑95/15 volti a contestare la fondatezza della decisione iniziale, ivi compreso il motivo relativo alla sviamento di potere invocato dalle ricorrenti nella replica. Le ricorrenti non possono pertanto sostenere che il dispositivo di annullamento si fonderebbe sull’accertamento di un vizio sostanziale, se non persino di uno sviamento di potere, consistito, sostanzialmente, nell’aver contestato alla Commissione di avere esposto una motivazione in contrasto con la verità o con la realtà.

64      Per quanto attiene alle conseguenze giuridiche derivanti dal dispositivo d’annullamento, si deve ricordare che, a termini dell’articolo 264, primo comma, TFUE, il dispositivo stesso non ha prodotto l’effetto di dichiarare «nullo e non avvenuto l’atto contestato», vale a dire l’articolo 2, paragrafo 1, lettera e), della decisione iniziale, senza tener conto del grado di «gravità» del vizio procedurale accertato, né dello status giuridico della regola procedurale violata. Va precisato, al riguardo, che una serie di garanzie procedurali, quali forme sostanziali ai sensi dell’articolo 263, secondo comma, TFUE, la cui violazione può essere rilevata d’ufficio con conseguente annullamento dell’atto contestato, costituiscono norme superiori di diritto, quali il diritto di difesa di cui all’articolo 41, paragrafo 2, lettera a), della Carta. Ciò vale parimenti per la violazione dell’obbligo di motivazione di cui all’articolo 41, paragrafo 2, lettera c), della Carta e dell’articolo 296, secondo comma, TFUE, su cui si fonda l’annullamento dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera e), della decisione iniziale.

65      Si deve pertanto necessariamente rilevare che l’annullamento parziale della decisione iniziale, disposto dalla sentenza del 13 dicembre 2016, Printeos e a./Commissione (T‑95/15, EU:T:2016:722), aveva rilevanza esclusivamente procedurale ai sensi della giurisprudenza richiamata supra ai punti 56 e 58, nella parte in cui la Commissione è stata censurata per aver esposto una motivazione insufficiente delle modalità di calcolo delle ammende, non consentendo né alle ricorrenti di dedurre utili contestazioni, né al Tribunale di esercitare il proprio sindacato di legittimità nel merito, con particolare riguardo al rispetto del principio di parità di trattamento (sentenza del 13 dicembre 2016, Printeos e a./Commissione, T‑95/15, EU:T:2016:722, punti 49 e 55).

66      È ben vero che, al punto 55 della sentenza del 13 dicembre 2016, Printeos e a./Commissione (T‑95/15, EU:T:2016:722), il Tribunale ha parimenti rilevato che «la sintetica motivazione contenuta nel punto 92 della decisione [iniziale] era, invece, tale da indurre erroneamente a ritenere che la ragione principale dell’adeguamento orizzontale degli importi di base a favore delle imprese interessate risiedesse nel fatto che queste ultime si trovavano tutte in situazioni quantomeno analoghe, connesse alla natura “monoprodotto” della loro attività commerciale», il che «non è avvenuto, tuttavia, nel caso della Hamelin, come confermato dalla Commissione durante il presente procedimento». Orbene, tali rilievi fanno principalmente riferimento ad una motivazione lacunosa ed inintelligibile, il che costituisce un’ipotesi cardinale d’insufficienza di motivazione ai sensi dell’articolo 296, secondo comma, TFUE. Non ne può essere quindi dedotto che il Tribunale ritenesse che la Commissione intendesse indurre in errore i singoli o il giudice dell’Unione o esporre scientemente fatti contrari alla realtà o alla verità e ancor meno che, con l’annullamento dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera e), della decisione iniziale, il Tribunale intendesse censurare tale approccio.

67      Ne consegue che la Commissione ha rispettato le esigenze fissate dalla giurisprudenza richiamata supra ai punti 56 e 58 laddove ha rilevato, al punto 7 della decisione impugnata, che l’annullamento parziale della decisione iniziale per insufficienza di motivazione aveva rilevanza solamente procedurale, cosicché non avrebbe potuto essere considerata quale ottemperanza ai sensi dell’articolo 50 della Carta e che, conseguentemente, essa avrebbe potuto legittimamente riavviare il procedimento amministrativo nella fase in cui l’illegittimità si era prodotta, ossia, in linea di principio, al momento dell’adozione della decisione iniziale.

68      Devono essere, infine, parimenti respinte le altre censure sollevate dalle ricorrenti a sostegno del presente motivo. In primo luogo, contrariamente a quanto da esse affermato, laddove la Commissione rispetti le esigenze ricordate supra ai punti da 56 a 59, come avvenuto nella specie, i termini utilizzati nella decisione impugnata per descriverne l’approccio seguito, vale a dire «modificare», «riadottare» (punto 7) o «sostituire» [articolo 1 del dispositivo che ha sostituito l’articolo 2, paragrafo 1, lettera e), della decisione iniziale], non sono determinati. In secondo luogo, considerato che la giurisprudenza richiamata supra ai punti 56 e 58 si basa su un’interpretazione della portata dell’articolo 266, primo comma, TFUE, le ricorrenti non possono fondatamente invocare l’assenza di fondamento normativo al riguardo nel regolamento n. 1/2003 (v., per analogia, sentenza del 28 gennaio 2016, CM Eurologistik e GLS, C‑283/14 e C‑284/14, EU:C:2016:57, punto 52). In terzo luogo, esse non possono nemmeno far fondatamente valere che la definitività della decisione iniziale osterebbe all’adozione di una nuova decisione sostitutiva, modificativa o integrativa della decisione iniziale nella sua parte annullata, salvo svuotare di sostanza la giurisprudenza richiamata supra al punto 58. Al contrario, poiché le ricorrenti non hanno contestato il capo della decisione iniziale che accerta la loro responsabilità per l’infrazione de qua e che, pertanto, nella sentenza del 13 dicembre 2016, Printeos e a./Commissione (T‑95/15, EU:T:2016:722), il Tribunale non era chiamato a pronunciarsi in merito, solamente tale capo è divenuto definitivo, (v., in tal senso, sentenza del 14 novembre 2017, British Airways/Commissione, C‑122/16 P, EU:C:2017:861, punti da 80 a 85) ed il principio del ne bis in idem – che vieta unicamente un nuovo esame nel merito dei fatti materiali costituenti l’infrazione ai fini, segnatamente, di una seconda sanzionatoria – risulta necessariamente inapplicabile nella specie (cfr. supra, punto 59).

69      Ciò detto, il motivo in esame dev’essere respinto in toto in quanto infondato.

B.      Secondo motivo, vertente sulla violazione del principio della parità di trattamento nella determinazione del quantum dell’ammenda

1.      Sintesi dei principali argomenti delle parti

70      Con tale motivo le ricorrenti invocano la violazione, a loro danno, del principio della parità di trattamento nell’ambito della determinazione dell’importo di base dell’ammenda loro inflitta derivante, segnatamente, dall’applicazione di differenti percentuali di riduzione ai sensi del punto 37 degli orientamenti. Laddove le percentuali di riduzione accordate si fondano sul carattere «monoprodotto» delle imprese interessate, le ricorrenti ricordano l’unica impresa la cui percentuale (90%) coincide esattamente con il proprio coefficiente «monoprodotto» (90%), mentre tali percentuali appaiono superiori ai rispettivi coefficienti «monoprodotto» di tutte le altre imprese. Così, alla Bong, con un coefficiente «monoprodotto» dell’80%, è stata applicata una riduzione dell’88%.Tuttavia, se le ricorrenti avessero beneficiato della stessa «percentuale d’incremento», sarebbe stato loro applicata una percentuale di di riduzione del 99%, considerato che il loro coefficiente «monoprodotto» era superiore di dieci punti rispetto a quello della Bong.

71      In primo luogo, le ricorrenti lamentano il carattere discriminatorio, nei loro confronti, di tale approccio, con riguardo alla percentuale rappresentata dal loro importo di base adeguato in funzione del loro fatturato complessivo, paragonato alla posizione delle Bong e della Hamelin. L’ammenda inflitta alle ricorrenti – al lordo delle riduzioni concesse in base alla comunicazione sulla cooperazione, alla procedura di transazione ed alla capacità contributiva – equivarrebbe al 9,7% del loro fatturato complessivo, mentre le ammende irrogate alla Bong ed alla Hamelin rappresenterebbero, dopo adeguamento degli importi di base, solo il 4,7% ed il 4,5% dei rispettivi fatturati complessivi. Tale ineguale risultato quanto allo scarto rispetto al tetto del 10% del fatturato complessivo previsto dall’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 non sarebbe dovuto dall’applicazione del metodo di calcolo previsto dagli orientamenti, inteso ad infliggere un’ammenda «giustificata rispetto alla gravità ed alla durata» dell’infrazione commessa, bensì al fatto che la Commissione se ne sarebbe discostata procedendo eccezionalmente, nell’esercizio del proprio potere discrezionale ai sensi dell’articolo 37 degli orientamenti, ad un adeguamento degli importi di base delle ammende rispetto al tetto del 10% prima di qualsivoglia altra riduzione.

72      A parere delle ricorrenti, l’adeguamento consistente nel ridurre gli importi di base in modo ineguale tra le imprese – EUR 11,8 milioni per le ricorrenti, EUR 13,8 milioni per la Bong e EUR 22,6 milioni per la Hamelin – ha condotto ad un trattamento discriminatorio nei loro confronti, in quanto gli importi che ne risultano sono, contrariamente a quanto postulato dall’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, privi di alcun rapporto rispetto alle rispettive dimensioni e capacità economiche dell’impresa, determinate in base ai rispettivi fatturati complessivi, ossia EUR 121 milioni per le ricorrenti, EUR 296 milioni per la Bong e EUR 501 milioni per la Hamelin. In effetti, l’ammenda inflitta alle ricorrenti sarebbe vicina al loro tetto del 10%, mentre quelle irrogate alla Bong ed Hamelin non arriverebbero nemmeno alla metà dei rispettivi tetti. Orbene, in assenza di adeguamento, tali ammende avrebbero tutte raggiunto il tetto, vale a dire EUR 12,1 milioni per le ricorrenti, EUR 29,6 milioni per la Bong e EUR 50,1 milioni per la Hamelin. L’ammenda inflitta alle ricorrenti successivamente all’adeguamento avrebbe dovuto essere quindi molto più ridotta rispetto a quelle inflitte alla Bong ed alla Hamelin, imprese aventi un fatturato, rispettivamente, doppio e quadruplo rispetto alle ricorrenti.

73      Le ricorrenti contestano di aver «beneficiato di una riduzione generosa», considerato che la loro ammenda è stata ridotta, per effetto dell’applicazione del tetto del 10%, solo dello 0,3% (quindi al 9,7%), se paragonata alle riduzioni ben più rilevanti concesse alla Bong e alla Hamelin, laddove gravità e durata dell’infrazione sono state peraltro identiche. Inoltre, la regolare applicazione del tetto del 10% non avrebbe condotto all’irrogazione alle ricorrenti di un’ammenda finale «considerevolmente» più elevata, in quanto sarebbe risultata maggiore di soli EUR 140 000, importo del tutto trascurabile se paragonato alle riduzioni accordate alla Bong e alla Hamelin per effetto dell’adeguamento dei rispettivi importi di base. Nella specie, le differenze di trattamento non costituirebbero, per l’appunto, il risultato dell’applicazione del tetto del 10% quale «soglia di contenimento» ai sensi della giurisprudenza, bensì il risultato di un adeguamento straordinario degli importi di base ex punto 37 degli orientamenti che si discosterebbe dal metodo di calcolo ivi previsto. Inoltre, il tetto del 10% costituirebbe un criterio «legalmente previsto» all’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento no 1/2003 ai fini della determinazione delle ammende, al pari dei criteri di gravità e di durata dell’infrazione, di cui all’articolo 23, paragrafo 3, del regolamento medesimo.

74      Secondo le ricorrenti tale disparità di trattamento non sarebbe obiettivamente giustificata. Nella sentenza del 16 giugno 2011, Putters International/Commissione (T‑211/08, EU:T:2011:289, punto 80), il Tribunale stesso avrebbe riconosciuto inerente alla metodologia degli orientamenti escludere che le circostanze attenuanti producano effetti nel caso di imprese che presentino un coefficiente «monoprodotto» elevato desistendo da un adeguamento delle ammende. Orbene, se, nella specie, la Commissione ha potuto discostarsi da tale metodologia al dichiarato scopo che le circostanze attenuanti riconosciute alla Mayer-Kuvert incidessero sull’ammenda inflittale, tale approccio può risultare obiettivamente se diretto a determinare un trattamento discriminatorio delle ricorrenti rispetto alla Bong e alla Hamelin, ove l’unico elemento differenziatore tra le tre imprese è costituito dal loro fatturato complessivo. Infatti, in assenza di «adeguamento» eccezionale degli importi di base, tutte le ammende avrebbero raggiunto il tetto del 10%, conformemente all’obiettivo contemplato dall’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento no 1/2003 che consentono «che le ammende varino secondo le dimensioni e la forza economica delle imprese sanzionate, di modo che maggiore è il fatturato maggiore può risultare l’ammenda».

75      A parere delle ricorrenti, le differenze tra i coefficienti «monoprodotto» delle ricorrenti (90%), da un lato, e della Bong (80%) nonché della Hamelin (17%), dall’altro, non possono obiettivamente giustificare che l’ammenda inflitta alle ricorrenti si collochi vicino al tetto del 10% del proprio fatturato complessivo, mentre quelle irrogate alla Bong e alla Hamelin non raggiungono nemmeno la metà dei rispettivi tetti. Esse risulterebbero ancor più svantaggiate rispetto alla Hamelin la cui attività non presenterebbe lo stesso carattere «monoprodotto». Infatti, nel 2012, la Hamelin non avrebbe realizzato alcuna vendita del prodotto oggetto di cartello, ragion per cui il suo coefficiente «monoprodotto» sarebbe stato pari a 0 e non al 17%. La disparità di trattamento non potrebbe essere obiettivamente giustificata nemmeno dal peso relativo degli importi di base non adeguati delle ricorrenti (EUR 118 235 000), da un lato, e della Bong nonché della Hamelin (EUR 115 500 000 e EUR 150 717 000), dall’altro. Per contro, l’importo di base adeguato delle ricorrenti raggiungerebbe quasi il tetto del 10% del loro fatturato complessivo (9,7%), a differenza della Bong e della Hamelin i cui importi di base non adeguati non raggiungerebbero nemmeno la metà dei loro tetti (rispettivamente 4,7% e 4,5%).

76      Le ricorrenti contestano l’argomento della Commissione secondo cui la percentuale di riduzione applicata nei loro confronti sarebbe la minore possibile per consentire di abbassare l’importo di base al di sotto del tetto del 10%. Infatti, alla Bong sarebbe stata applicata una percentuale di riduzione dell’88%, laddove una percentuale del 75% sarebbe stata sufficiente per portare il suo importo di base (pari a EUR 115 500 000) al di sotto di tale tetto (EUR 29 631 227). Parimenti, come risulta dalle stesse tabelle, alla Hamelin sarebbe stata applicata una percentuale di riduzione dell’85%, mentre una percentuale del 67% sarebbe bastata per portare il suo importo di base (pari a EUR 150 717 000) al di sotto di detto tetto (pari a EUR 50 170 600). A parere delle ricorrenti, l’obbligo della Commissione di ridurre le loro ammende applicando una percentuale più elevata, proporzionale alla differenza tra il loro coefficiente «monoprodotto» e quello delle altre imprese, discende direttamente dal principio di parità di trattamento. Infatti, esse sarebbero state la sola impresa ad essere sanzionata la cui percentuale di riduzione (90%) non sarebbe aumentata rispetto al rispettivo coefficiente «monoprodotto» (90%), laddove le percentuali di riduzione applicate alla Bong (88%) ed alla GPV (98%) sarebbero state più elevate rispetto ai rispettivi coefficienti «monoprodotto» reali (80% e 93%). Quanto alla Hamelin, la percentuale di riduzione sarebbe stata portata all’85%, mentre il suo coefficiente «monoprodotto» sarebbe stato pari a 0, considerato che nulla giustificherebbe di tener conto del rapporto del 17% della sua ex controllata ceduta alla Bong nel 2010. Per rimediare a tale discriminazione, la percentuale di riduzione che avrebbe dovuto essere concessa alle ricorrenti ai sensi del punto 37 degli orientamenti avrebbe dovuto essere pari a 95,3671% e non al 90%, il che condurrebbe il loro importo di base, dopo l’adeguamento, al 4,5% del loro fatturato complessivo realizzato nel 2013.

77      In secondo luogo, in subordine, le ricorrenti deducono parimenti di aver subito una discriminazione con riguardo agli adeguamenti degli importi di base. Nella decisione impugnata verrebbe attribuita grande importanza ai «pesi relativi» degli importi di base non adeguati, quale criterio determinante della percentuale di riduzione applicata ad ogni singola impresa ai sensi del punto 37 degli orientamenti. Orbene, tenuto conto degli importi di base non adeguati, le ricorrenti avrebbero parimenti subito una discriminazione rispetto alla GPV, la quale avrebbe beneficiato di una percentuale di riduzione del 98%, a differenza di quella del 90% concessa alle ricorrenti, cosicché il suo importo di base adeguato avrebbe rappresentato solo il 2% del suo importo di base non adeguato. L’importo di base adeguato delle ricorrenti avrebbe invece rappresentato il 10% del loro importo di base non adeguato, vale a dire il quintuplo rispetto alla GPV.

78      Tale disparità di trattamento sarebbe priva di giustificazione oggettiva. La differenza tra i coefficienti «monoprodotto» delle ricorrenti e della GPV non sarebbe sufficientemente rilevante al riguardo, atteso che il coefficiente «monoprodotto» della GPV (93%) sarebbe solo di tre punti maggiore rispetto a quello delle ricorrenti (90%). A fronte della percentuale di riduzione del 98% accordata alla GPV, alle ricorrenti avrebbe dovuto essere applicata una percentuale di riduzione del 94,84%, il che avrebbe ricondotto il loro importo di base adeguato a EUR 6 100 926, invece di EUR 11 823 500. Tale approccio dovrebbe essere necessariamente applicato anche con riguardo al peso relativo degli importi di base non adeguati, tenuto conto che l’importo di base non adeguato delle ricorrenti sarebbe stato solo del 14,5% superiore rispetto a quello della GPV (EUR 118 235 000 a fronte di EUR 103 196 000), essendo peraltro il loro importo di base adeguato del 472,8% più elevato rispetto a quello della GPV (EUR 11 823 500 a fronte di EUR 2 063 920). Orbene, la concessione di una percentuale di riduzione del 94,84% alle ricorrenti avrebbe fatto sì che il loro importo di base adeguato fosse pari al 5,16% del loro importo di base non adeguato, contro il 2% della GPV. La Commissione stessa, affermando che l’importo di base adeguato della GPV rappresenterebbe il 17,45% di quello delle ricorrenti, riconoscerebbe d’altronde che l’equilibrio tra le ammende inflitte alle ricorrenti ed alla GPV non è stato mantenuto.

79      La Commissione chiede che il motivo venga respinto in toto.

80      L’Istituzione contesta che il tetto del 10% del fatturato complessivo, ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 rappresenti un criterio di gradazione delle ammende. Si tratterebbe di un limite estrinseco, di un tetto legale che la sanzione, a prescindere dal metodo di calcolo utilizzato, non potrebbe superare, al fine di evitare l’irrogazione di ammende sproporzioniate ed eccessive, che l’impresa interessata non sarebbe in grado di versare. Tale obiettivo dovrebbe essere coniugato con la necessità di garantire che l’ammenda possieda carattere sufficientemente dissuasivo. A tal fine, il tetto del 10% verrebbe calcolato sulla base delle dimensioni e della forza economica dell’impresa interessata, quali risultanti dal fatturato complessivo realizzato nell’esercizio precedente l’irrogazione dell’ammenda. Inoltre, un tetto determinato in tal modo avrebbe il merito di essere prevedibile, conformemente ai principi di certezza del diritto e di legittimità delle pene. Tale prevedibilità risulterebbe rafforzata nel procedimento di transazione nell’ambito del quale l’impresa interessata deve approvare l’importo massimo dell’ammenda che può esserle inflitta. In tal senso, a differenza dei criteri di gravità e di durata dell’infrazione di cui all’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, nell’applicazione dei quali la Commissione godrebbe di un ampio potere discrezionale, il tetto del 10% non costituirebbe un criterio destinato al calcolo delle ammende, bensì perseguirebbe un obiettivo distinto ed autonomo. Non si tratterebbe nemmeno di un’ammenda massima, irrogabile unicamente nei casi di infrazione più gravi, bensì di una soglia di contenimento la cui applicazione produrrebbe unicamente l’effetto di ridurre, sino al livello massimo consentito, l’importo dell’ammenda calcolato in base ai soli criteri di gravità e di durata dell’infrazione.

81      La Commissione contesta, inoltre, di aver violato nella specie il principio di parità di trattamento. Essendo il tetto del 10% del fatturato complessivo una soglia di contenimento e non un criterio di gradazione delle ammende, la sola circostanza che l’ammenda inflitta ad un’impresa, a differenza di quella di altre imprese partecipanti all’intesa, si avvicini a tale tetto non può costituire una violazione di tale principio. Inoltre, le disparità tra le ammende sul piano della proporzione del fatturato complessivo sarebbero «inerenti» al metodo di calcolo di cui al punto 13 degli orientamenti, il quale non sarebbe fondato sul fatturato complessivo delle imprese interessate. Conseguentemente, i raffronti basati sulle proporzioni che le ammende rappresenterebbero rispetto al fatturato complessivo, o sugli scarti tra tali proporzioni ed il tetto del 10%, sarebbero destituiti di pertinenza e non potrebbero essere assunti a sostegno di una pretesa disparità di trattamento delle ricorrenti. Infatti, al fine di conformarsi al principio di parità di trattamento, la Commissione non sarebbe tenuta ad assicurarsi che l’importo finale delle ammende inflitte alle imprese coinvolte in una stessa infrazione rifletta la differenziazione tra le imprese medesime con riguardo al loro fatturato complessivo. Laddove la Commissione infligga loro ammende giustificate, per ciascuna di esse, in rapporto alla gravità e alla durata dell’infrazione, non può addebitarsi all’Istituzione il fatto che, per talune di queste imprese, l’importo dell’ammenda risulti superiore, in proporzione al fatturato, a quello di altre imprese. A maggior ragione, non è possibile affermare l’esistenza di una disparità di trattamento ponendo a raffronto il rapporto tra gli importi intermedi delle ammende ed il tetto del 10% di ogni singola impresa.

82      La Commissione precisa che il principio di parità di trattamento è soggetto a limiti derivanti dalla necessità di una sua applicazione congiunta con altri principi generali del diritto, quali il principio di legittimità, il principio della personalità delle pene, o che l’ammenda rivesta carattere sufficientemente dissuasivo. Un’impresa non può quindi invocare, a proprio favore, al fine di ottenere una riduzione dell’ammenda inflittale, un errore commesso nella determinazione dell’ammenda irrogata ad un’altra impresa. Anche ammesso che la Commissione sia incorsa in un errore nella determinazione dell’ammenda inflitta alla Bong, alla Hamelin o alla GPV, e che tali ammende avrebbero dovuto essere più elevate, tale errore non giustificherebbe affatto una riduzione dell’ammenda irrogata alle ricorrenti. Nella specie, l’Istituzione avrebbe applicato lo stesso metodo di calcolo per tutte le imprese, con l’unica differenza delle percentuali di riduzione leggermente diverse accordate alle singole imprese. Orbene, tali scarti si fonderebbero su ragioni oggettive, inerenti alla situazione di ogni singola impresa ed alla necessità di garantire il carattere dissuasivo delle ammende, il che rappresenterebbe dunque un elemento di differenziazione obiettivamente giustificato. Non sarebbe nemmeno contrario al principio di parità di trattamento applicare percentuali di riduzione in modo da mantenere il nesso tra gli importi di base non adeguati delle singole ammende.

83      La Commissione contesta di aver violato il principio di parità di trattamento, con riguardo alle ricorrenti, per aver adeguato gli importi di base delle ammende ed essersi discostata dal metodo previsto negli orientamenti. Essa ricorda che le ricorrenti stesse hanno chiesto di procedere a tale adeguamento straordinario nell’ambito del procedimento di transazione ed hanno beneficiato di una percentuale di riduzione generosa del 90% corrispondente al loro coefficiente «monoprodotto», rendendo così la loro ammenda adeguata rispetto alla gravità ed alla durata dell’infrazione. La Commissione afferma che, se avesse applicato il tetto del 10%, l’ammenda sarebbe risultata considerevolmente più elevata, vale a dire, in base al fatturato complessivo del 2013 di EUR 12 173 000, in base a quello del 2015 di EUR 13 166 700, e in base a quello del 2016 di EUR 16 282 000. Per contro, dal metodo di calcolo chiesto dalle ricorrenti non sarebbe derivato un più favorevole adeguamento delle ammende alla gravità ed alla durata delle infrazioni commesse dalle singole imprese, bensì tale risultato avrebbe rischiato di essere determinato unicamente dal tetto del 10%. La più ridotta partecipazione della Mayer-Kuvert sarebbe stata irrilevante e, in ogni caso, gli importi delle ammende sarebbero risultati diversi. Non potrebbe essere quindi contestato all’Istituzione di aver inflitto alle ricorrenti un’ammenda non fondata né sulla gravità né sulla durata dell’infrazione.

84      Per quanto attiene al primo capo del motivo in esame, la Commissione replica di non aver applicato i coefficienti «monoprodotto» in maniera lineare attribuendo ad ogni impresa una percentuale de riduzione pari o proporzionata al proprio coefficiente «monoprodotto», cosa che nessuna norma di diritto dell’Unione l’obbligherebbe a fare. In considerazione del coefficiente «monoprodotto», essa avrebbe parimenti cercato di mantenere il nesso tra gli importi di base non adeguati riflettenti la partecipazione delle singole imprese all’intesa. Inoltre, affinché l’ammenda sia dissuasiva, la riduzione applicata avrebbe dovuto essere necessariamente la più ridotta possibile consentendo di abbassare l’importo di base al di sotto del tetto de 10%. Orbene, l’adeguamento dell’importo di base dell’ammenda delle ricorrenti sulla base di una percentuale più elevata, proporzionale alla differenza tra il loro coefficiente «monoprodotto» e quello delle altre imprese, avrebbe avuto l’effetto di infliggere loro un’ammenda non sufficientemente dissuasiva. Le ricorrenti avrebbero peraltro beneficiato di une riduzione maggiore rispetto alla Bong e alla Hamelin, ove gli importi di base adeguati sono risultati, rispettivamente, di EUR 11 823 500, di EUR 13 860 000 e di EUR 22 607 550. Quanto alla Bong, la Commissione precisa che, sebbene le sia stata applicata una percentuale di riduzione (88%) superiore al suo coefficiente «monoprodotto» (80%), il suo importo di base adeguato (EUR 13 860 000) sarebbe stato, in termini assoluti, superiore à quello delle ricorrenti (EUR 11 823 500), e ciò malgrado al fatto che il valore delle vendite l’importo di base non adeguato delle ricorrenti (EUR 143 316 000 e EUR 118 235 000) fossero superiori a quelli della Bong (EUR 140 000 000 e EUR 115 500 000). Quanto alla Hamelin, la Commissione le avrebbe applicato la percentuale di riduzione più ridotta rispetto a tutte le imprese (85%). Solamente la GPV avrebbe beneficiato di una percentuale di riduzione più elevata rispetto alle ricorrenti, per effetto, da un lato, del suo coefficiente «monoprodotto» superiore, anzi, il più elevato (93%) e, dall’altro, della necessità di concederle una percentuale di riduzione minima del 98% per assicurare un importo di base adeguato inferiore al tetto del 10% del suo fatturato complessivo. La situazione delle ricorrenti sarebbe stata tuttavia diversa, considerato che il loro coefficiente «monoprodotto» era del 90% e che la percentuale di riduzione minima necessaria, affinché il loro importo di base adeguato fosse inferiore al tetto de 10% del loro fatturato complessivo del 2013, era dell’89,9% (88,9% relativamente al fatturato complessivo del 2015 e 86,2% relativamente a quello del 2016). Infine, un’assunzione lineare del coefficiente «monoprodotto» avrebbe presupposto di attribuirgli eccessiva importanza ed avrebbe condotto a conseguenze ingiuste. L’importo di base adeguato della Mayer-Kuvert, il cui coefficiente «monoprodotto» era pari al 76%, sarebbe quindi risultato più elevato (EUR 57 769 000 – 70% = EUR 13 864 560) rispetto all’importo di base adeguato delle ricorrenti (EUR 118 235 000 – 90% = EUR 11 823 500), laddove l’importo di base non adeguato delle ricorrenti era pari a oltre il doppio di quello della Mayer-Kuvert (EUR 118 235 000 per le ricorrenti a fronte di EUR 57 769 000 per la Mayer-Kuvert). La Commissione ne deduce che la percentuale di riduzione applicata alle singole imprese discende da una valutazione complessiva di vari fattori e non solo del coefficiente «monoprodotto». Le ricorrenti mirerebbero, in realtà, a beneficiare della percentuale di riduzione applicata ad altre imprese e non a rimediare ad un’illegittimità. In ogni caso, in considerazione del loro fatturato complessivo nel 2015, l’importo di base adeguato della loro ammenda non rappresenterebbe il 9,7%, bensì l’8,97% del fatturato stesso.

85      La Commissione afferma, in conclusione, che le censure dedotte dalle ricorrenti sono inoperanti, in quanto sarebbero volte a trasformare il tetto del 10% in un criterio per il calcolo delle ammende. Orbene, secondo costante giurisprudenza, gli importi risultanti da calcoli intermedi possono superare tale tetto. Quanto agli importi finali delle ammende, la Commissione rileva che le ricorrenti non si raffrontano alla GPV, alla quale, con un coefficiente «monoprodotto» più elevato rispetto al loro (98%) ed un importo di base non adeguato lievemente inferiore (EUR 103 196 000), è stato attribuito un importo di base adeguato corrispondente al 9,6% del suo fatturato complessivo, ossia solamente dello 0,1% inferiore rispetto all’importo di base adeguato delle ricorrenti, vale a dire il 9,7%, e una ammenda finale corrispondente ad una percentuale più elevata (7,07%) del suo fatturato complessivo rispetto all’ammenda finale delle ricorrenti (3,88% ovvero 2,9% rispetto ai fatturati complessivi realizzati nel 2015 ovvero nel 2016). Le ricorrenti non si raffrontano nemmeno alla Mayer-Kuvert, la cui ammenda finale sarebbe superiore alla loro in termini di cifre assolute (EUR 4 991 000 contro EUR 4 729 000) nonostante il fatto che la partecipazione della Mayer-Kuvert all’infrazione sia stata di minor importanza e che il valore delle sue vendite rappresenti meno della metà del valore delle vendite delle ricorrenti (EUR 70 023 181 contro EUR 143 316 000).

86      Quanto al secondo capo del motivo in esame, la Commissione rammenta che gli adeguamenti degli importi de base non erano volti ad applicare automaticamente il coefficiente «monoprodotto» delle singole imprese, bensì, in un primo momento a ridurre, in considerazione del coefficiente medesimo, l’ammenda in misura della percentuale necessaria affinché l’importo di base non adeguato dell’ammenda delle singole imprese si collocasse entro il tetto del 10% e, in un secondo momento, a mantenere, successivamente agli adeguamenti operati, l’equilibrio tra le ammende inflitte. per quanto riguarda la GPV, l’importo di base non adeguato (EUR 103 196 000) rappresenterebbe l’87,2% dell’importo di base non adeguato delle ricorrenti (EUR 118 235 000), che supererebbe, quindi, del 12,7% quello della GPV. Inoltre, il coefficiente «monoprodotto» della GPV (93%) sarebbe stato più elevato rispetto a quello delle ricorrenti (90%). A parere della Commissione, per quanto l’importo di base adeguato della GPV (EUR 2 063 920) rappresenti il 17,45% dell’importo di base adeguato delle ricorrenti (EUR 11 823 500), ciò discenderebbe da una valutazione complessiva delle circostanze oggettive connesse alla situazione di ogni singola impresa. All’atto del calcolo dell’ammenda delle ricorrenti, la Commissione non avrebbe avuto alcun motivo per procedere ad un adeguamento unicamente per raffronto con la GPV. In tal senso, l’importo di base non adeguato delle ricorrenti sarebbe stato parimenti maggiore del de 2,32% rispetto a quello della Bong, del 204% rispetto a quello della Mayer-Kuvert e del 21,56% rispetto a quello della Hamelin. Orbene, da un lato, il più elevato coefficiente «monoprodotto» della GPV (93%) rispetto a quello delle ricorrenti sarebbe stato giustificato da una riduzione maggiore rispetto a quelle concesse alle altre imprese e, dall’altro, a differenza della situazione delle ricorrenti, la riduzione minima necessaria per ridurre l’importo di base adeguato della GPV al di sotto del tetto del 10% sarebbe stata del 98%. Pertanto, un’eventuale disparità di trattamento sarebbe risultata obiettivamente giustificata. In realtà, le ricorrenti sarebbero state favorite per effetto dell’applicazione di una percentuale di riduzione del 90%, sebbene, in considerazione del loro fatturato complessivo del 2015 (o del 2016), la riduzione minima necessaria affinché il loro importo di base adeguato risultasse inferiore al tetto del 10% sarebbe stata pari all’88,9% (2015) ovvero all’86,2% (2016).

2.      Osservazioni preliminari

87      Con il presente motivo le ricorrenti invocano la violazione, nei loro confronti, del principio di parità di trattamento nell’applicazione del metodo di calcolo delle ammende inflitte e, in particolare, del metodo di adeguamento degli importi di base, ai sensi del punto 37 degli orientamenti, come riepilogato nella tabella esposta al punto 22 della decisione impugnata.

88      In via principale, le ricorrenti contestano alla Commissione di aver applicato loro una percentuale di riduzione discriminatoria del 90%, esattamente corrispondente al loro coefficiente «monoprodotto», ma differente da quella di cui avrebbero beneficiato le altre imprese, in particolare la Bong e la Hamelin. Tale adeguamento discriminatorio degli importi di base avrebbe fatto sì che l’importo di base adeguato delle ricorrenti si situasse al 9,7% del loro fatturato, laddove gli importi di base adeguati della Bong e della Hamelin avrebbero rappresentato solo il 4,7% ed il 4,5% dei rispettivi fatturati complessivi. Tali scarti differenti rispetto al tetto del 10% del fatturato complessivo sarebbero il risultato di una ponderazione non egalitaria delle dimensioni e della forza economica rispettive delle imprese in questione, determinate in base ai rispettivi fatturati complessivi – vale a dire EUR 121 milioni per le ricorrenti, EUR 296 milioni per la Bong e EUR 501 milioni per la Hamelin – il che sarebbe in contrasto con l’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 e non obiettivamente giustificata, segnatamente, né dal peso relativo degli importi di base non adeguati delle ricorrenti, della Bong e della Hamelin, né dall’esigenza di ridurre gli importi giusto al di sotto del tetto del 10%, il che avrebbe giustificato una riduzione in misura solo del 75% per la Bong e del 67% per la Hamelin.

89      In subordine, le ricorrenti deducono che l’ammenda loro inflitta è parimenti discriminatoria con riguardo agli importi di base adeguati in base al punto 37 degli orientamenti, particolarmente con riguardo a quello della GPV, cui è stata applicata una percentuale di riduzione del 98% del proprio importo di base, a fronte del solo 90% per le ricorrenti, ragion per cui il suo importo di base adeguato rappresenterebbe solo il 2% del suo importo di base non adeguato. Per contro, l’importo di base adeguato delle ricorrenti avrebbe rappresentato il 10% del loro importo di base non adeguato, ossia il quintuplo rispetto alla GPV, sebbene gli importi di base delle ricorrenti e della GPV fossero molto vicini l’uno all’altro.

90      Il Tribunale ritiene opportuno esaminare, in un primo momento, la fondatezza delle premesse giuridiche delle censure sollevate dalle ricorrenti alla luce dei criteri riconosciuti dalla giurisprudenza, in particolare relativi al rispetto del principio di parità di trattamento e all’applicazione del tetto del 10% del fatturato complessivo di cui all’articolo 23, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 1/2003. In un secondo momento verrà esaminato se il metodo di adeguamento degli importi di base delle ammende, quale esposto nella decisione impugnata, sia conforme a tali criteri e, in particolare, a quelli inerenti al principio di parità di trattamento.

3.      Richiamo della giurisprudenza

91      Il principio di parità di trattamento costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, sancito dagli articoli 20 e 21 della Carta. Secondo costante giurisprudenza, parimenti applicabile in materia di diritto della concorrenza, tale principio impone che situazioni analoghe non siano trattate in modo dissimile e che situazioni diverse non siano trattate nello stesso modo, a meno che una differenziazione sia obiettivamente giustificata (v. sentenze dell’11 luglio 2013, Team Relocations e a./Commissione, C‑444/11 P, non pubblicata, EU:C:2013:464, punto 186 e giurisprudenza citata, e del 12 novembre 2014, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione, C‑580/12 P, EU:C:2014:2363, punto 51 e giurisprudenza citata).

92      La violazione del principio della parità di trattamento a causa di un trattamento differenziato presuppone che le situazioni considerate siano comparabili alla luce di tutti gli elementi che le caratterizzano. Gli elementi che caratterizzano situazioni diverse nonché la loro comparabilità devono, in particolare, essere determinati e valutati alla luce dell’oggetto e dello scopo dell’atto dell’Unione che stabilisce la distinzione de qua. Devono, inoltre, essere presi in considerazione i principi e gli obiettivi del settore cui si riferisce l’atto in questione (v. sentenza dell’11 luglio 2013, Team Relocations e a./Commissione, C‑444/11 P, non pubblicata, EU:C:2013:464, punto 187 e giurisprudenza citata). La giurisprudenza precisa, a tal riguardo, che la Commissione deve valutare, caso per caso e a fronte del contesto della fattispecie nonché degli obiettivi perseguiti dal regime sanzionatorio istituito con il regolamento n.1/2003, l’impatto voluto nei confronti dell’impresa interessata, segnatamente tenendo conto di un fatturato che rifletta la situazione economica reale dell’impresa stessa nel periodo nel corso del quale l’infrazione è stata commessa (v. sentenze del 12 novembre 2014, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione, C‑580/12 P, EU:C:2014:2363, punto 53, e del 19 marzo 2015, Dole Food e Dole Fresh Fruit Europe/Commissione, C‑286/13 P, EU:C:2015:184, punto 144 e giurisprudenza citata).

93      A tal riguardo, la giurisprudenza riconosce che, ai fini della determinazione dell’ammenda, è possibile prendere in considerazione tanto il fatturato complessivo dell’impresa, che costituisce un’indicazione, sia pure approssimativa e imperfetta, delle dimensioni e della potenza economica dell’impresa stessa, quanto la frazione di quel dato proveniente dalle merci oggetto dell’infrazione, che è quindi atta a fornire un’indicazione dell’entità della medesima. La frazione del fatturato complessivo proveniente dalla vendita dei prodotti oggetto dell’infrazione è quindi la più idonea a riflettere la rilevanza economica dell’infrazione stessa (v., in tal senso, sentenze del 12 novembre 2014, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione, C‑580/12 P, EU:C:2014:2363, punti 54 e 59; del 19 marzo 2015, Dole Food e Dole Fresh Fruit Europe/Commissione, C‑286/13 P, EU:C:2015:184, punti 145 e 149, e del 1o febbraio 2018, Kühne + Nagel International e a./Commissione, C‑261/16 P, non pubblicata, EU:C:2018:56, punto 81).

94      Conformemente a tale giurisprudenza, il punto 13 degli orientamenti prevede che, «al fine di determinare l’importo di base dell’ammenda da infliggere, la Commissione utilizzerà il valore delle vendite di beni o servizi, ai quali l’infrazione direttamente o indirettamente si riferisce, realizzate dall’impresa nell’area geografica interessata all’interno del SEE». Gli orientamenti medesimi precisano, al punto 6, che «la combinazione della durata [dell’infrazione] e del valore delle vendite a cui l’infrazione si riferisce è considerata un parametro adeguato per esprimere l’importanza economica dell’infrazione nonché il peso relativo di ciascuna impresa che vi ha partecipato» (v., in tal senso, sentenze del 12 novembre 2014, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione, C‑580/12 P, EU:C:2014:2363, punto 56; del 19 marzo 2015, Dole Food e Dole Fresh Fruit Europe/Commissione, C‑286/13 P, EU:C:2015:184, punto 147, e del 1º febbraio 2018, Kühne + Nagel International e a./Commissione, C‑261/16 P, non pubblicata, EU:C:2018:56, punto 65 e giurisprudenza citata).

95      È stato peraltro affermato che, se è pur vero che l’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 lascia alla Commissione un margine discrezionale, esso ne limita nondimeno l’esercizio stabilendo criteri oggettivi ai quali l’Istituzione deve attenersi. Così, da un lato, l’importo dell’ammenda applicabile ad un’impresa è soggetto ad un tetto massimo esprimibile in cifre e assoluto, cosicché l’importo massimo dell’ammenda che può essere inflitta ad una data impresa è determinabile anticipatamente. Dall’altro, l’esercizio di tale potere discrezionale è parimenti limitato da regole di condotta che la Commissione stessa si è imposta, in particolare nei propri orientamenti (v., in tal senso, sentenze del 18 luglio 2013, Schindler Holding e a./Commissione, C‑501/11 P, EU:C:2013:522, punto 58; del 19 marzo 2015, Dole Food e Dole Fresh Fruit Europe/Commissione, C‑286/13 P, EU:C:2015:184, punto 146, e del 7 settembre 2016, Pilkington Group e a./Commissione, C‑101/15 P, EU:C:2016:631, punto 37).

96      Quanto all’applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 1/2003, secondo costante giurisprudenza solo l’importo finale dell’ammenda inflitta deve rispettare il limite massimo del 10% del fatturato previsto da tale disposizione la quale non vieta alla Commissione di pervenire, nel corso delle varie tappe di calcolo dell’ammenda, ad un importo intermedio superiore a detto limite, purché l’importo definitivo dell’ammenda non lo superi. Se, in esito al calcolo, si verifica quindi che l’importo finale dell’ammenda dev’essere ridotto nella misura in cui esso supera tale limite massimo, il fatto che alcuni fattori quali la gravità e la durata dell’infrazione non si ripercuotano realmente sull’importo dell’ammenda inflitta è solo una mera conseguenza dell’adeguamento dell’importo finale stesso al limite massimo stesso. Infatti, detto limite massimo è diretto ad evitare che siano inflitte ammende che le imprese, date le loro dimensioni, quali determinate dal loro fatturato complessivo, ancorché in maniera approssimativa ed imperfetta, non saranno, prevedibilmente, in grado di saldare. Si tratta quindi di un limite, uniformemente applicabile a tutte le imprese ed articolato in funzione delle dimensioni di ciascuna di esse, diretto ad evitare ammende di un livello eccessivo e sproporzionato. Tale limite massimo ha quindi uno scopo distinto ed autonomo rispetto a quello dei criteri della gravità e della durata dell’infrazione. L’unico effetto di detto limite consiste nella possibilità che l’importo dell’ammenda calcolato sulla base di tali criteri sia ridotto fino al livello massimo autorizzato. La sua applicazione implica che l’impresa interessata non versi l’ammenda che, in linea di principio, sarebbe dovuta in forza di una valutazione fondata sui detti criteri (v., in tal senso, sentenze del 12 luglio 2012, Cetarsa/Commissione, C‑181/11 P, non pubblicata, EU:C:2012:455, punti da 80 a 84; del 7 settembre 2016, Pilkington Group e a./Commissione, C‑101/15 P, EU:C:2016:631, punto 36, e del 26 gennaio 2017, Mamoli Robinetteria/Commissione, C‑619/13 P, EU:C:2017:50, punti 83 e 84 e giurisprudenza citata).

97      La Corte ne ha dedotto che la fissazione, per tutte le imprese sanzionate che abbiano partecipato ad una stessa infrazione, delle ammende al 10% dei loro rispettivi fatturati, derivando dalla mera applicazione del limite massimo previsto all’articolo 23, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 1/2003, non può integrare una violazione dei principi di proporzionalità e della parità di trattamento. Parimenti, in considerazione dell’obiettivo perseguito da tale tetto, la circostanza che l’applicazione degli orientamenti da parte della Commissione conduca, frequentemente o regolarmente, a che l’importo dell’ammenda inflitta risulti pari al 10% del fatturato non può rimettere in discussione la legittimità dell’applicazione del tetto stesso (v., in tal senso, sentenza del 26 gennaio 2017, Mamoli Robinetteria/Commissione, C‑619/13 P, EU:C:2017:50, punti 85 e 86). Nello stesso senso, il Tribunale ha affermato, da un lato, che il tetto del 10% del fatturato complessivo di un’impresa che abbia violato le norme sulla concorrenza costituisce unicamente una soglia di contenimento e, dall’altro, che il semplice fatto che l’ammenda inflitta all’impresa medesima si avvicini molto al 10% del suo fatturato complessivo, laddove tale percentuale è inferiore per altri partecipanti all’intesa, non può costituire una violazione del principio di parità di trattamento o di proporzionalità, essendo tale conseguenza è inerente all’interpretazione del massimale del 10% come semplice soglia di contenimento, applicata in esito ad un’eventuale riduzione dell’importo dell’ammenda in considerazione di circostanze attenuanti o del principio di proporzionalità (v., in tal senso, sentenza del 12 dicembre 2012, Novácke chemické závody/Commissione, T‑352/09, EU:T:2012:673, punti da 161 a 163 e giurisprudenza citata).

98      È stato inoltre affermato che, per quanto attiene alla determinazione dell’importo dell’ammenda, l’applicazione di metodi di calcolo differenti non può condurre ad una discriminazione tra le imprese che hanno partecipato ad un accordo o ad una pratica concordata contraria all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE (v., in tal senso, sentenze del 19 luglio 2012, Alliance One International e Standard Commercial Tobacco/Commissione, C‑628/10 P e C‑14/11 P, EU:C:2012:479, punto 58, e dell’11 luglio 2013, Ziegler/Commissione, C‑439/11 P, EU:C:2013:513, punto 133 e giurisprudenza citata).

99      Infine, come riconosciuto dal Tribunale nella propria sentenza del 20 maggio 2015, Timab Industries e CFPR/Commissione (T‑456/10, EU:T:2015:296, punto 74), confermata dalla sentenza del 12 gennaio 2017, Timab Industries e CFPR/Commissione (C‑411/15 P, EU:C:2017:11), tali principi giurisprudenziali si applicano mutatis mutandis al calcolo delle ammende inflitte in esito ad un procedimento di transazione.

4.      Sulla fondatezza dei presupposti giuridici delle censure dedotte 

100    Dai principi giurisprudenziali richiamati supra ai punti da 91 a 99 emerge che, ai fini delle verifica del rispetto, nel caso di specie, del principio di parità di trattamento, occorre operare una distinzione tra la determinazione, obbligatoriamente egalitaria, degli importi di base delle ammende da infliggere alle imprese interessate, da un lato, e, dall’altro, l’applicazione, nei confronti delle imprese medesime, del tetto del 10%, ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 1/2003, suscettibile di variazione in funzione dei rispettivi fatturati complessivi.

101    Infatti, se è ben vero che la Commissione può validamente scegliere, come avvenuto nella specie, un metodo di calcolo dell’importo di base fondato sul valore delle vendite effettuate nel corso di un intero anno coperto dall’infrazione, vale a dire il 2007 nella decisione iniziale, al fine di evidenziare la rilevanza economica dell’infrazione nonché il peso relativo di ogni singola impresa che vi ha partecipato (cfr. la giurisprudenza richiamata supra ai punti 93 e 94), essa è tenuta a rispettare, in tale contesto, il principio della parità di trattamento. Per contro, l’applicazione del tetto del 10% ai fini della determinazione dell’importo finale delle ammende non è subordinata né alla rilevanza economica dell’infrazione, né al peso relativo delle singole imprese che vi hanno partecipato, né alla gravità o alla durata dell’infrazione commessa, bensì riveste carattere puramente automatico connesso esclusivamente al fatturato complessivo dell’impresa, ragion per cui la giurisprudenza ha affermato che l’applicazione del tetto de quo non può avere ad effetto, segnatamente, una violazione del principio di parità di trattamento. Al contrario, alla luce del suo obiettivo – distinto ed autonomo rispetto a quello dei criteri di gravità e di durata dell’infrazione – la sua applicazione automatica, quale soglia massima prevedibile ed uniformemente applicabile volta a garantire che alle imprese non vengano inflitte ammende eccessive e sproporzionate rispetto alle loro dimensioni ed alla loro capacità contributiva, è ipso facto conforme al principio di parità di trattamento (cfr. la giurisprudenza richiamata supra ai punti 96 e 97)

102    Si deve ricordare che, nella specie, le ricorrenti non contestano l’applicazione, in sé e per sé, del tetto del 10%, né quale soglia di contenimento alle ammende finali inflitte alle imprese interessate, né quale criterio correttore eccezionale operante in una fase intermedia del loro calcolo, vale a dire nell’ambito della determinazione degli importi di base al fine di ridurli al di sotto di detta soglia. Come giustamente dedotto dalla Commissione nel corso del procedimento amministrativo, le ricorrenti stesse avevano espressamente richiesto un adeguamento straordinario del loro importo di base, ai sensi del punto 37 degli orientamenti, al fine di tener conto del loro carattere «monoprodotto» (cfr. supra, punto 9). A tal riguardo le ricorrenti non rimettono nemmeno in discussione il fatto che la Commissione si sia ispirata alla metodologia indicata nella sentenza del 16 giugno 2011, Putters International/Commissione (T‑211/08, EU:T:2011:289, punto 80) al fine di tener conto, segnatamente, del carattere «monoprodotto» delle imprese interessate, certamente ad eccezione della Hamelin, nonché della più ridotta partecipazione all’infrazione della Mayer-Kuvert, per assicurare che la circostanza attenuante che ne risulta si ripercuotesse sull’importo finale dell’infligenda ammenda (v. punti da 11 a 13 della decisione impugnata).

103    Quel che le ricorrenti, invece, contestano, in particolare, con il primo capo del presente motivo è sia la maniera con cui la Commissione ha proceduto a tale adeguamento degli importi di base, sia i relativi risultati – in termini di scarto rispetto al tetto del 10% – che sarebbero discriminatori nei loro confronti.

104    A tal riguardo, si deve necessariamente rilevare, in limine, che la Commissione non può fondatamente sostenere che dall’applicazione del tetto del 10%, in tale fase intermedia del calcolo delle ammende da infliggere, discendano ipso facto risultati conformi al principio di parità di trattamento, tenendo essa conto delle differenze tra i fatturati complessivi di tutte le imprese interessate. Infatti, la Commissione, qualora, come nel caso di specie, decida, avvalendosi del proprio potere discrezionale ai sensi del punto 37 degli orientamenti, di tener eccezionalmente conto del tetto del 10% già in una fase intermedia del calcolo delle ammende ai fini dell’adeguamento degli importi di base, agisce al di fuori della sfera d’applicazione stricto sensu dell’articolo 23, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n.1/2003, ragion per cui i principi giurisprudenziali richiamati supra ai punti 96 e 97 non possono essere automaticamente trasposti. In tal senso, contrariamente a quanto sostenuto dall’Istituzione, facendo riferimento al tetto del 10% al di fuori del relativo contesto giuridico formale per utilizzarlo quale criterio di differenziazione, anzi di gradazione delle ammende in una fase intermedia, l’approccio da essa seguito si espone alla possibilità di produrre risultati contrari al principio di parità di trattamento in considerazione, segnatamente, degli obiettivi di sanzione e di dissuasione connessi ai criteri di gravità e di durata dell’infrazione.

105    Occorre quindi acclarare se la Commissione, facendo riferimento alla metodologia indicata nella sentenza del 16 giugno 2011, Putters International/Commissione (T‑211/08, EU:T:2011:289, punto 80) nell’ambito dell’adeguamento degli importi di base delle ammende, abbia rispettato il principio di parità di trattamento. A tal fine, alla luce della giurisprudenza richiamata al punto 92 supra, si deve verificare se le imprese interessate, in particolare le ricorrenti, da un lato, e la Bong, la Hamelin (primo capo) nonché e la GPV (secondo capo), dall’altro, si trovassero in situazione identiche o analoghe, se tali situazioni siano state oggetto di trattamento uguale o diseguale e se un eventuale trattamento diseguale fosse oggettivamente giustificato.

5.      Sulla comparabilità delle situazioni in esame, sul loro trattamento uguale/diseguale e sul carattere obiettivamente giustificato del trattamento

a)      Osservazioni preliminari

106    Ai fini della comparabilità o meno delle singole situazioni delle imprese interessate, occorre tener conto dei dati pertinenti, nonché delle operazioni di calcolo compiute dalla Commissione, nella decisione iniziale e in quella impugnata, ai fini della determinazione e dell’adeguamento degli importi di base delle ammende, quali riportati nella seguente tabella:

Impresa

Valore delle vendite EUR nel 2007

Coefficiente di gravità

Durata (anni)

Importo addizionale

Importo di base EUR

Rapporto prodotto/ fatturato

Adeguamento/ Riduzione

Importo di base adeguato

Bong

140 000 000

15%

4,5

15%

115 500 000

80%

88%

13 860 000

[…] GPV

125 086 629

15%

4,5

15%

103 196 000

93%

98%

2 063 920

Hamelin

185 521 000

15%

4,416

15%

150 717 000

17%

85%

22 607 550

Mayer-Kuvert

70 023 181

15%

4,5

15%

57 769 000

76%

88%

6 932 280

Printeos [...]

143 316 000

15%

4,5

15%

118 235 000

90%

90%

11 823 500


107    Da tale tabella emerge che, ai fini della determinazione degli importi di base delle ammende anteriormente al loro adeguamento (in prosieguo: gli «importi di base non adeguati»), la Commissione ha debitamente preso in considerazione le differenze tra i valori delle vendite effettuate dalle imprese interessate, nonché quelle relative alla durata della loro partecipazione all’infrazione (4,5 anni, eccetto la Hamelin con 4,416 anni) per applicare loro lo stesso metodo di calcolo moltiplicandoli per lo stesso coefficiente di gravità (15%) ed aggiungendo loro un supplemento determinato dalla stessa percentuale (15%), conformemente ai punti 13, 21 e 25 degli orientamenti.

108    Conseguentemente, tenuto conto della finalità sanzionatoria insita nell’articolo 23, paragrafo 3, del regolamento n. 1/2003 e degli orientamenti nonché tenuto conto dell’applicazione dello stesso metodo di calcolo nei loro confronti in tale fase, le ricorrenti e le altre imprese si trovavano in situazioni comparabili ai fini del calcolo delle rispettive ammende. Infatti, a fronte di tale finalità sanzionatoria e, in particolare, dissuasiva in funzione delle dimensioni e della forza economica delle imprese interessate, la variazione tra i valori delle vendite costituisce, in linea di principio, un criterio di differenziazione idoneo, in quanto riflette la rilevanza economica dell’infrazione de qua nonché il peso relativo delle singole imprese partecipanti all’infrazione e rappresenta, pertanto, un importante criterio preliminare ai fini della corretta applicazione del principio di parità di trattamento nell’ambito del calcolo degli importi di base (cfr. la giurisprudenza richiamata supra ai punti 93 e 94.

109    Si deve quindi affermare, in conclusione, che, nella specie, gli importi di base non adeguati sono stati determinati nel rispetto del principio di parità di trattamento.

110    Occorre, tuttavia, verificare, se la Commissione abbia trattato in modo uguale situazioni non comparabili o in modo diseguale situazioni identiche o analoghe in considerazione delle modalità con cui, eccezionalmente, ha proceduto all’adeguamento degli importi di base ai sensi del punto 37 degli orientamenti.

b)      Sulladeguamento ugualitario degli importi di base delle ammende

1)      Sul metodo di adeguamento esposto nella decisione impugnata

111    Si deve ricordare che la Commissione ha concesso percentuali di riduzione distinte alle ricorrenti (90%), alla Bong (88%), alla Hamelin (85%) e alla GPV (98%) non corrispondenti, eccetto che per le ricorrenti, ai coefficienti prodotto/fatturato delle imprese medesime, vale a dire il 90% per le ricorrenti, l’80% per la Bong, il 17% per la Hamelin e il 93% per la GPV (v. punti da 15 a 17 della decisione impugnata).

112    Gli obiettivi, la motivazione ed il metodo di calcolo su cui si fonda l’adeguamento degli importi di base operato dalla Commissione sono esposti ai punti da 10 a 22 e da 57 a 62 della decisione impugnata (v. punti 31 e segg. supra), la quale costituisce una motivazione modificata ed integrata, se non nuova rispetto a quella esposta nella decisione iniziale successivamente annullata con la sentenza del 13 dicembre 2016, Printeos e a./Commissione (T‑95/15, EU:T:2016:722).

113    In tal senso, dal punto 15 della decisione impugnata emerge che la Commissione, in un primo momento, ha adeguato gli importi di base prendendo in considerazione la quota del valore delle vendite del prodotto oggetto del cartello rispetto al fatturato complessivo delle singole imprese interessate, ciò che è definito rapporto prodotto/fatturato. A parere della Commissione, tali adeguamenti sono diretti, al tempo stesso, a garantire che le ammende adeguate riflettano sempre la gravità complessiva dell’infrazione, senza peraltro falsare il peso relativo dei rispettivi importi di base delle imprese stesse corrispondente al rispettivo coinvolgimento nell’intesa. Tale rapporto prodotto/fatturato è stato calcolato sulla base del fatturato complessivo delle vendite del prodotto oggetto del cartello (buste) rispetto al fatturato mondiale complessivo realizzato nel 2012 da ognuna di tali imprese. Come risulta dalla tabella A riportata al punto 22 della decisione impugnata, un’impresa con un rapporto prodotto/fatturato più elevato ha beneficiato di una percentuale di riduzione superiore o pari a quella concessa d un’impresa con un rapporto prodotto/fatturato più ridotto (cfr. punto 16 della decisione impugnata).

114    È stato rilevato che unicamente la Hamelin non ha più registrato nel 2012, a seguito della cessione dei propri attivi di produzione di buste, vendite del prodotto oggetto del cartello, ragion per cui il suo rapporto prodotto/fatturato è stato stimato sulla base di un raffronto del suo fatturato realizzato nel 2012 con le vendite del prodotto oggetto del cartello realizzate nello stesso anno dalla sua ex controllata. Inoltre, è stato precisato che la GPV, impresa che presenta il rapporto prodotto/fatturato più elevato, ha beneficiato di una riduzione del 98%, necessaria per portare il suo fatturato al di sotto del tetto del 10%. Conseguentemente, le altre imprese avrebbero beneficiato di riduzioni meno elevate, determinate su base individuale, e riflettenti i rispettivi rapporti prodotto/fatturato, nonché il peso relativo degli importi di base loro attribuiti (cfr. punto 17 della decisione impugnata).

115    A parere della Commissione, una riduzione lineare basata sui rapporti prodotto/fatturato individuali avrebbe dato luogo a risultati ingiustificati falsando il peso relativo degli importi di base. Per effetto di tale approccio, ad esempio, la Mayer-Kuvert, con un rapporto prodotto/fatturato del 76%, sarebbe stata soggetta ad un adeguamento del suo importo di base ad un livello più elevato rispetto all’importo di base adeguato delle ricorrenti, con un rapporto prodotto/fatturato del 90%, laddove, prima dell’adeguamento, il loro importo di base era oltre il doppio di quello della Mayer-Kuvert. La metodologia utilizzata sarebbe stata quindi volta, per ragioni di equità, a ristabilire l’equilibrio tra gli importi di base adeguati, riconoscendo riduzioni individuali riflettenti non solo i rapporti prodotto/fatturato, bensì l’analogo coinvolgimento delle singole imprese interessate dall’intesa, quale risultante dagli importi di base non adeguati (cfr. punto 18 delle decisione impugnata).

116    La Commissione precisa, infine, che anche qualora la Hamelin presentasse un rapporto prodotto/fatturato considerevolmente meno elevato rispetto alle altre imprese, sarebbe parimenti necessario proceder ad una riduzione della sua ammenda al fine di tener conto della circostanza che il suo ruolo nell’intesa era analogo a quello di dette imprese. La riduzione dell’importo di base della Hamelin sarebbe, alla luce del suo rapporto prodotto/fatturato, quella meno rilevante rispetto a quelle di cui avrebbero beneficiato tutte le altre imprese (cfr. punto 19 della decisione impugnata). Se la Commissione avesse fondato le riduzioni unicamente sul rapporto prodotto/fatturato delle imprese interessate, la Hamelin non avrebbe beneficiato di riduzioni ed il suo importo di base sarebbe risultato circa del 1 275% superiore all’importo di base adeguato delle ricorrenti, laddove il valore delle vendite della Hamelin era solo del 30% superiore a quello registrato dalle ricorrenti (cfr. punto 20 della decisione impugnata). Conseguentemente, la fissazione dell’importo di base dell’ammenda destinata alla Hamelin riflette il rispettivo coinvolgimento nell’intesa, nonché la durata e la gravità dell’infrazione, presentando carattere sufficientemente dissuasivo (cfr. punto 21 della decisione impugnata).

117    Alla luce dei suesposti rilievi, occorre riepilogare gli elementi che hanno indotto la Commissione a procedere, nella decisione iniziale ed in quella impugnata, ad un adeguamento straordinario degli importi di base delle ammende da infliggere alle imprese interessate:

–        la necessità di fissare una percentuale di riduzione che portasse l’importo di base al di sotto del tetto del 10% del fatturato complessivo;

–        la determinazione di una percentuale di riduzione in funzione, segnatamente, del rapporto prodotto/fatturato registrato dalle imprese interessate nel 2012, ma in maniera non lineare (un rapporto prodotto/fatturato più elevato corrispondente ad una percentuale di riduzione maggiore, ove il punto di riferimento è stato rappresentato dalla GPV che ha beneficiato di una riduzione del 98% a fronte di un rapporto prodotto/fatturato del 93%);

–        il ristabilimento di un equilibrio tra gli importi di base adeguati accordando percentuali di riduzione individuali riflettenti non solamente i rapporti prodotto/fatturato, bensì parimenti l’analogo coinvolgimento delle imprese interessate nell’intesa, quale risultante dagli importi di base non adeguati;

–        nel caso della Hamelin, la determinazione della minore percentuale di riduzione dell’85% in base ad un rapporto prodotto/fatturato del solo 17%, stimato sulla base dell’assunzione delle vendite realizzate dalla sua ex controllata nel 2012, in considerazione della necessità di ristabilire, per ragioni di equità, l’equilibrio tra il suo importo di base adeguato con quello delle altre imprese (ove una riduzione in funzione del solo rapporto prodotto/fatturato avrebbe generato un importo di base superiore in misura del 1 275% circa rispetto agli importi di base adeguati delle ricorrenti, laddove il valore delle vendite della Hamelin era solo del 30% superiore a quello registrato dalle ricorrenti stesse).

2)      Sulla legittimità dei principi e degli obiettivi che hanno guidato l’adeguamento degli importi di base

118    Per quanto attiene alla riduzione non lineare degli importi di base delle ammende da infliggere alle imprese interessate, fondata sui differenti rapporti prodotto/fatturato, le ricorrenti contestano alla Commissione di avere concesso, in particolare, alla Bong una percentuale di riduzione dell’88% quasi pari a quella loro accordata (90%) sebbene il rapporto prodotto/fatturato della Bong, pari all’80%, fosse del 10% inferiore al loro (90%). Le ricorrenti ne deducono che la percentuale di riduzione che doveva essere loro concessa avrebbe dovuto essere superiore, al fine di rispondere al principio di parità di trattamento. Sarebbe parimenti contrario a tale principio il fatto che, in particolare, nel caso della Bong, l’importo di base così adeguato rappresenti solo il 4,7% del suo fatturato complessivo, mentre l’importo di base adeguato delle ricorrenti corrisponde al 9,7% del loro fatturato complessivo.

119    Orbene, considerato che la Commissione non ha determinato le percentuali di riduzione esclusivamente o schematicamente sulla base dei rispettivi rapporti prodotto/fatturato, le ricorrenti non possono fondatamente sostenere che ne risulterebbe necessariamente una valutazione comparativa erronea, se non persino una disparità di trattamento a loro sfavore. Resta il fatto che, ai fini del raffronto tra le situazioni in esame, occorre muovere dai differenti importi di base non adeguati, che sono stati determinati nel rispetto del principio di parità di trattamento tenendo conto, al tempo stesso, della gravità dell’infrazione commessa nonché dell’obiettivo di sanzione e dissuasione (cfr. supra, punti 107 e 108). A tal fine, occorre verificare se i risultati del rispettivo adeguamento degli importi di base, sulla base dei rapporti prodotto/fatturato, continuino a presentare un nesso sufficiente con i pertinenti criteri di cui all’articolo 23, paragrafo 3, del regolamento n. 1/2003 e degli orientamenti, in particolare con la gravità dell’infrazione e con l’obiettivo di sanzione e di dissuasione cui la valutazione è subordinata nonché delle dimensioni e della forza economica delle imprese interessate.

120    A tal riguardo, va ricordato che le ricorrenti non contestano l’assunzione del rapporto prodotto/fatturato nei confronti di tutte le imprese interessate ai fini dell’adeguamento dei loro importi di base al di sotto del tetto del 10% dei rispettivi fatturati complessivi, bensì unicamente la determinazione non lineare delle percentuali di riduzione, a preteso danno delle ricorrenti stesse, operata in base al detto rapporto ed al fine del mantenimento dell’equilibrio tra le singole ammende in funzione della gravità della partecipazione di ognuna delle imprese interessate, garantendo, al tempo stesso, che gli importi di base adeguati si collocassero entro il tetto del 10% del fatturato complessivo (v. supra, punto 117, secondo e terzo trattino). Orbene, si deve necessariamente rilevare che l’applicazione di tale metodo ha avuto come conseguenza, da un lato, l’attribuzione alle ricorrenti di una riduzione più elevata in termini di percentuale dell’importo di base (90%) rispetto a quella della Bong (88%) e della Hamelin (85%), con cui le ricorrenti si sono raffrontate, e, dall’altro, che il peso relativo dell’ammenda infine inflitta alle ricorrenti è risultata leggermente inferiore, con un miglioramento della loro posizione relativa nella classifica, per ordine decrescente delle ammende inflitte, delle imprese interessate, passando, a seguito dell’adeguamento degli importi di base, dalla seconda alla terza posizione. Peraltro, come correttamente rilevato dalla Commissione, se essa si fosse limitata ad applicare il tetto del 10%, some previsto dall’articolo 23, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n.1/2003, quale soglia di contenimento in esito al processo di calcolo delle ammende, vale a dire senza adeguamento intermedio degli importi di base fondato, in particolare, sul rapporto prodotto/fatturato, l’ammenda da infliggere alle ricorrenti sarebbe stata più elevata risultando per la precisione, la seconda, invece della terza, in ordine decrescente tra le ammende inflitte alle imprese interessate.

121    Parimenti, la Commissione poteva, nell’ambito dell’esercizio del proprio potere discrezionale in base al punto 37 degli orientamenti, come richiesto dalle stesse ricorrenti, validamente adottare, in linea di principio, su tale fondamento normativo, un metodo d’adeguamento non lineare degli importi di base al fine di tener conto della necessità che gli importi medesimi riflettessero la rispettiva partecipazione delle imprese de quibus all’intesa nonché il peso relativo degli importi di base non adeguati loro attributi. Infatti, come esposto, in sostanza, ai punti da 17 a 19 della decisione impugnata, in considerazione dei criteri che disciplinano la determinazione del quantum delle ammende, vale a dire quelli della durata e della gravità dell’infrazione ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 3, del regolamento n. 1/2003, era imperativo mantenere un legame sufficientemente rilevante tra gli importi di base adeguati, da un lato, e gli importi di base non adeguati, dall’altro, ove questi ultimi sono stati determinati alla luce di tali criteri e, segnatamente, delle dimensioni e della forza economica delle imprese interessate, al fine di assicurare un effetto dissuasivo delle sanzioni (v. supra, punto 119). Per contro, una riduzione lineare e schematica degli importi di base, fondata sul solo rapporto prodotto/fatturato, non avrebbe garantito tale risultato, bensì avrebbe solamente prodotto la conseguenza, soprattutto per la Bong e la Mayer-Kuvert, di fissare importi di base adeguati leggermente superiori rispetto a quello delle ricorrenti, sebbene gli importi di base non adeguati delle imprese medesime fossero invece inferiori a quello delle ricorrenti.

122    A tal riguardo, si deve precisare che, contrariamente a quanto affermato dalle ricorrenti, il rapporto prodotto/fatturato, quale coefficiente di calcolo piuttosto insolito che coniuga il valore delle vendite ed il fatturato complessivo, non costituisce di per sé, a differenza del criterio del solo valore delle vendite, né un criterio idoneo per riflettere le dimensioni e la forza economica di un’impresa e, pertanto, la rilevanza della sua partecipazione nell’infrazione (v., per analogia, la giurisprudenza richiamata supra al punto 93), né un criterio determinante ai fini della fissazione di un’ammenda. Se così fosse, un rapporto prodotto/fatturato più elevato sarebbe anche idoneo a giustificare un corrispondente incremento dell’importo di base di un’ammenda al fine di meglio riflettere le dimensioni e la forza economica dell’impresa rispondendo all’obiettivo della sanzione e della dissuasione. Orbene, nella specie la Commissione si è limitata ad utilizzare tale rapporto solo quale aiuto per la rettifica in minus, anzi, al fine di procedere all’approccio inverso accordando alle imprese caratterizzate da un rapporto più elevato, certamente in modo non lineare, una percentuale di riduzione superiore, tenendo conto, al tempo stesso, della necessità di garantire un equilibrio tra i rapporti di base adeguati in funzione del peso relativo delle singole imprese coinvolte nella perpetrazione dell’infrazione. In tale contesto, le ricorrenti ignorano parimenti la pertinenza del fatturato complessivo quale criterio rappresentativo delle dimensioni e della forza economica di un’impresa (v. punto 88 supra), ove dalla giurisprudenza richiamata supra al punto 93 emerge chiaramente che il valore delle vendite del prodotto oggetto del cartello costituisce un criterio più idoneo a tal fine che, per le ragioni esposte ai precedenti punti da 119 a 121 deve, per di più, riflettersi negli importi di base delle infligende ammende. Conseguentemente, non fosse che per tali motivi, non può trovare accoglimento l’argomento delle ricorrenti secondo cui la metodologia di adeguamento scelta dalla Commissione avrebbe prodotto risultati che sarebbero privi di alcun nesso con le dimensioni e la forza economica (v. punto 72 supra) nonché discriminatori, evidenziando discostamenti differenti rispetto al tetto del 10% del fatturato complessivo.

123    Al contrario, la Commissione ha cercato, nella specie, di mantenere l’equilibrio tra gli importi di base adeguati, da un lato, e, dall’altro, il peso relativo della partecipazione delle imprese interessate all’infrazione nonché la necessità di assicurare un effetto sufficientemente dissuasivo delle ammende, fissando, in modo non lineare, percentuali di riduzione individuali al fine di garantire che i relativi importi non superassero il tetto del 10%, riflettendo peraltro sempre l’analogo coinvolgimento delle imprese medesime nell’infrazione de qua, misurata in funzione delle loro dimensioni e della loro forza economica.

124    Ne consegue che l’assunzione, da parte della Commissione, di percentuali di riduzione individuali, fondate non solo sul rispettivo rapporto prodotto/fatturato delle singole imprese interessate, bensì parimenti sulla necessità di mantenere un nesso sufficiente tra gli importi di base adeguati, da un lato, e, dall’altro, il peso relativo della loro partecipazione all’intesa nonché l’esigenza di garantire un effetto sufficientemente dissuasivo delle ammende, quale espresso negli importi di base non adeguati, rappresenta, alla luce dei criteri e degli obiettivi di cui all’articolo 23, paragrafo 3, del regolamento n.1/2003, un trattamento paritario di situazioni analoghe ai sensi del principio di parità di trattamento. Tale approccio è infatti volto, oltre che a contenere gli importi di base entro il tetto del 10%, a tradurre negli importi di base adeguati tanto la gravità dell’infrazione, misurata in funzione delle dimensioni e della forza economica delle imprese interessate, quanto il carattere dissuasivo della sanzione, riflesso negli importi di base non adeguati, fondati sul valore delle vendite del prodotto oggetto del cartello. Per contro, una riduzione lineare e schematica degli importi di base in funzione del solo rapporto prodotto/fatturato, il quale non costituisce appunto un criterio idoneo per esprimere le dimensioni e la forza economica delle imprese interessate, non avrebbe assicurato il mantenimento di tale nesso, esponendosi invece al rischio di falsarlo se non di spezzarlo interamente (v. punto 122 supra).

125    Alla luce di tali principi ed obiettivi che hanno guidato l’adeguamento degli importi di base delle ammende da infliggere alle imprese interessate, occorre verificare, in termini più precisi, se le ricorrenti si trovassero o meno in situazioni analoghe a quelle della Bong e della Hamelin, da un lato (primo capo in via principale), e della GPV, dall’altro (secondo capo in via di subordine), e se tali situazioni siano state oggetto di trattamento uguale ovvero diseguale, eventualmente obiettivamente giustificato o meno.

c)      Sul raffronto con la situazione della Bong

126    Alla luce delle suesposte considerazioni, si deve necessariamente rilevare che la Commissione correttamente deduce (v. punto 84 supra) che, per quanto il rapporto prodotto/fatturato della Bong fosse del 10% inferiore rispetto a quello delle ricorrenti, occorreva tener conto del fatto che l’importo di base non adeguato della Bong era leggermente inferiore a quello delle ricorrenti stesse. Pertanto, a prescindere da tale differenza nei rispettivi rapporti prodotto/fatturato, la Commissione poteva validamente ritenere che non fosse giustificato fissare importi di base adeguati che presentassero scarti sostanzialmente differenti. Orbene, a seguito del suo adeguamento, l’importo di base adeguato della Bong (EUR 13 860 000) era persino superiore a quello delle ricorrenti (EUR 11 823 500), il che dimostra che la percentuale di riduzione del 90% applicata alle ricorrenti – superiore rispetto a quella dell’88% applicata alla Bong – ha loro apportato, in termini comparativi, persino un vantaggio. Senza incorrere in errori di valutazione la Commissione ha quindi ritenuto che un’ulteriore riduzione dell’importo di base adeguato delle ricorrenti, come dalle stesse richiesto, avrebbe avuto l’effetto di attribuire loro un vantaggio sproporzionato, infliggendo loro un’ammenda non sufficientemente dissuasiva nel raffronto con la situazione iniziale risultante dagli importi di base non adeguati, determinati in funzione del valore delle vendite del prodotto oggetto del cartello.

127    Ne deriva parimenti che la pretesa esistenza di uno scarto significativo tra gli importi di base adeguati rispetto al tetto del 10% del fatturato complessivo, vale a dire il 4,7% per la Bong ed il 9,7% per le ricorrenti, costituisce unicamente il risultato dell’adeguamento paritario esaminato e dichiarato valido ai precedenti punti da 120 a 125, ragion per cui la censura dedotta al riguardo dev’essere respinta in quanto infondata.

128    D’altronde, anche ammesso, e non concesso, che l’adeguamento non lineare degli importi di base della Bong dovesse essere qualificato come trattamento diseguale di situazioni analoghe, determinate in base ai soli rapporti prodotto/fatturato, tale diseguale trattamento risulterebbe in ogni caso oggettivamente giustificato, per i motivi esposti supra ai punti da 121 a 124, al fine di ristabilire l’equilibrio tra le ammende in considerazione dell’obiettivo di sanzione e di dissuasione, e non può quindi costituire una violazione del principio di parità di trattamento nei confronti delle ricorrenti.

129    Conseguentemente, la censura attinente ad una disparità di trattamento delle ricorrenti rispetto alla Bong dev’essere respinta in quanto infondata.

d)      Sul raffronto con la situazione della Hamelin

130    Per quanto attiene al raffronto con la situazione della Hamelin, di deve necessariamente rilevare che dai punti 16, 17, 19 e 20 della decisione impugnata emerge che, alla luce dei dati dell’anno di riferimento 2012 destinati alla determinazione e all’adeguamento degli importi di base, la Hamelin si trovava in una situazione unica e, quindi, distinta da quella delle altre imprese interessate, ivi comprese le ricorrenti. Ciò deriva, da un lato, dall’assenza del carattere «monoprodotto» della sua attività economica e, dall’altro, dal suo rapporto prodotto/fatturato del solo 17%, per di più stimato in considerazione delle vendite realizzate dalla sua ex controllata nel 2012 e ceduta alla Bong nel 2010.

131    Infatti, come risulta, sostanzialmente, dal punto 19 della decisione impugnata, a differenza della situazione delle altre imprese interessate, l’adeguamento dell’importo di base della Hamelin, ai sensi del punto 37 degli orientamenti, mediante applicazione all’impresa medesima di una percentuale di riduzione dell’85%, vale a dire la minore rispetto a quelle concesse alle altre imprese, non poteva essere motivato né dal suo carattere «monoprodotto» né dal suo rapporto prodotto/fatturato del 17%, bensì era necessariamente fondato su ragioni di equità attinenti alla rispettiva partecipazione nell’intesa ed alla necessità di ristabilire l’equilibrio tra le ammende inflitte. Nello stesso senso, dal punto 20 della decisione impugnata emerge, in assenza di applicazione alla Hamelin di una percentuale di riduzione dell’85% dell’importo di base, detto importato sarebbe risultato del 1 275% più elevato rispetto a quello delle ricorrenti, mentre il valore delle sue vendite del prodotto oggetto del cartello nel 2007 era solo del 30% superiore al valore delle vendite realizzate dalle ricorrenti. Tuttavia, come sottolineato dalla Commissione, un risultato del genere sarebbe stato sproporzionato ed incompatibile con la necessità di ristabilire l’equilibrio tra le ammende, che devono riflettere la rispettiva rilevanza della partecipazione delle imprese interessate all’infrazione, garantendo un rispettivo sufficiente effetto dissuasivo, al pari di quello espresso dagli importi di base non adeguati determinati sul fondamento dei valori delle vendite del prodotto oggetto del cartello nel 2007, al fine di tener conto delle dimensioni e della forza economica delle rispettive imprese.

132    Pertanto, sebbene l’approccio seguito dalla Commissione nei confronti della Hamelin sia qualificabile come trattamento uguale di situazioni distinte – avendole l’Istituzione concesso una percentuale di riduzione dell’85% principalmente fondata sul rapporto prodotto/fatturato volto a tener conto del carattere «monoprodotto» delle altre imprese, sebbene la Hamelin non fosse un’impresa di tal genere e disponesse, al riguardo, di un rapporto assai esiguo – l’adeguamento del suo importo di base risulta obiettivamente giustificato, a fronte dei criteri esposti supra ai punti da 120 a 124 e della circostanza che la partecipazione della Hamelin all’infrazione sul cui fondamento è stato determinato il relativo importo di base non adeguato è stata ampiamente analoga a quella delle altre imprese (v. punti 107 e 108 supra). A tal riguardo, si deve ricordare il fatto che l’importo di base adeguato dell’ammenda della Hamelin continua ad essere il più elevato rispetto a quello delle altre imprese, il che tiene conto del più elevato valore delle vendite ad essa imputabile nel 2007 e del suo più elevato importo di base non adeguato, nonché del suo più basso rapporto prodotto/fatturato. Tali elementi, considerati nel loro complesso, si sono tradotti nella concessione di una percentuale di riduzione dell’85%, inferiore a quella di tutte le altre imprese, con il risultato della fissazione di un importo di base adeguato pressoché doppio rispetto a quello delle ricorrenti (EUR 22 607 550 rispetto a EUR 11 823 500), che legittimamente la Commissione ha potuto considerare proporzionato e sufficientemente dissuasivo. In tale contesto, occorre parimenti tener conto del fatto che, se l’importo di base non adeguato della Hamelin era già il più elevato (EUR 150 717 000), esso superava quello delle ricorrenti (EUR 118 235 000) solo di un quarto. Ciò detto, legittimamente la Commissione ha potuto prendere in considerazione la potenziale eccessività dell’importo di base della Hamelin, quale ulteriore circostanza particolare ai sensi del punto 37 degli orientamenti, al fine di giustificare l’applicazione di un rilevante adeguamento di detto importo, assicurando che si collocasse, al pari degli altri importi di base, non solo al di sotto del tetto del 10%, bensì parimenti in equilibrio con i medesimi.

133    Ne consegue che l’esistenza di uno scarto significativo tra gli importi di base adeguati rispetto al tetto del 10% del fatturato complessivo, ossia il 4,5% per la Hamelin ed il 9,7% per le ricorrenti, rappresenta unicamente il risultato dell’adeguamento obiettivamente giustificato, esaminato e dichiarato valido ai punti da 130 a 132 supra, ragion per cui la censura sollevata al riguardo dev’essere respinta in quanto infondata.

134    Parimenti, la censura inerente alla pretesa illegittimità dell’attribuzione alla Hamelin, da parte della Commissione, di un rapporto prodotto/fatturato del 17% non può trovare accoglimento. Al contrario, considerato che la Commissione aveva determinato gli importi di base non adeguati di tutte le imprese interessate, ivi compresa la Hamelin, sul fondamento del valore delle vendite del prodotto oggetto del cartello realizzate nel 2007, vale a dire ad un’epoca in cui la Hamelin era ancora attiva nella fabbricazione e commercializzazione del prodotto oggetto del cartello, era indispensabile che l’istituzione stessa procedesse alla stima di un rapporto prodotto/fatturato della Hamelin per il 2012 fittizio, purtuttavia sufficientemente affidabile, al fine di poter provvedere ad un adeguamento paritario degli importi di base medesimi.

135    Conseguentemente, la censura inerente alla pretesa disparità di trattamento subita dalle ricorrenti rispetto alla Hamelin e, pertanto, il primo capo del motivo dedotto in via principale, devono essere respinti in quanto infondati

e)      Sul raffronto con la situazione della GPV

136    Nel quadro del secondo capo del presente motivo, dedotto in via di subordine, le ricorrenti contestano, sostanzialmente, alla Commissione di averle discriminate rispetto alla GPV, per averle attribuito un importo di base nettamente inferiore rispetto al loro.

137    Per quanto attiene al raffronto con la situazione della GPV, si deve ricordare che, a differenza delle ricorrenti alle quali è stata attribuita, ai fini dell’adeguamento del loro importo di base, una percentuale di riduzione del 90%, corrispondente appunto al loro rapporto prodotto/fatturato, la GPV ha beneficiato di una percentuale de riduzione del 98%, ossia di cinque punti superiore rispetto al suo rapporto prodotto/fatturato del 93%. Ne è risultato un importo di base adeguato nettamente meno elevato rispetto a quelle delle altre imprese interessate, in particolare della Bong e delle ricorrenti (EUR 2 063 920 a fronte di EUR 13 860 000 e EUR 11 823 500), sebbene gli importi di base non adeguati della GPV, della Bong e delle ricorrenti fossero molto vicini gli uni agli altri (EUR 103 196 000, EUR 115 500 000 e EUR 118 235 000).

138    Come emerge dal punto 17 della decisione impugnata, tale approccio era, a parere della Commissione, necessario, segnatamente al fine di ricondurre l’importo di base non adeguato giusto al di sotto del tetto del 10% del fatturato complessivo realizzato dalla GPV nel 2013, ove la percentuale di riduzione del 98% costituiva il riferimento massimo rispetto al quale le altre percentuali erano state determinate. Infatti, rispondendo al quesito scritto del Tribunale, la Commissione ha confermato che il fatturato complessivo della GPV ammontava nel 2012 a EUR 23 460 596 (valore servito per la determinazione del suo rapporto prodotto/fatturato) e nel 2013 a EUR 23 356 449 (valore servito all’applicazione intermedia del tetto del 10%). Nel corso del procedimento, la Commissione ha fatto parimenti presente che la percentuale di riduzione del 98% concessa alla GPV era principalmente dovuta alla necessità di ridurre il suo importo di base al di sotto del tetto del 10%, al fatto che il suo rapporto prodotto/fatturato era il più elevato rispetto alle altre imprese e che nel 2012 e nel 2013 il suo fatturato complessivo era sostanzialmente crollato (v. punto 86 supra).

139    Orbene, tenuto conto, in primo luogo, del valore relativamente elevato delle vendite del prodotto oggetto del cartello realizzate dalla GPV nel 2007 sul fondamento del quale è stato determinato il suo importo di base non adeguato, in secondo luogo, del suo fatturato complessivo particolarmente esiguo nel 2012 e nel 2013 rispetto a quello delle altre imprese interessate e, in terzo luogo, del fatto che, nel caso della GPV, dall’assunzione, ai fini dell’adeguamento del suo importo di base, del rapporto prodotto/fatturato nonché del tetto del 10% doveva inevitabilmente derivare una riduzione di tale importo sostanziale, se non sproporzionata, si deve necessariamente rilevare che la GPV si trovava in situazione differente rispetto a quella delle altre imprese interessate, ivi comprese le ricorrenti. Pertanto, l’applicazione, nei suoi confronti, della stessa metodologia di adeguamento dell’importo di base per mezzo, segnatamente, dell’applicazione del rapporto prodotto/fatturato al fine di ricondurre l’importo medesimo entro il tetto del 10% ha costituito una disparità di trattamento a favore della GPV.

140    Inoltre, per quanto, così facendo, la Commissione intendesse attuare l’essenza della sentenza del 16 giugno 2011, Putters International/Commissione (T‑211/08, EU:T:2011:289, punto 80), resta il fatto che dal risultato di tale operazione è scaturita la fissazione di un importo di base adeguato della GPV nettamente inferiore a quelli di tutte le altre imprese. Soprattutto, il livello di tale importo non evidenziava più, a differenza di quanto avvenuto nel caso della Bong, della Hamelin e delle ricorrenti e contrariamente alle esigenze rammentate supra al punto 123, un nesso sufficientemente rilevante con l’importo di base non adeguato della GPV, laddove questo deve invece riflettere, in particolare, le dimensioni e la forza economica dell’impresa esprimendo l’importanza relativa della sua partecipazione all’infrazione. Ne consegue che, nel caso della GPV, la Commissione ha proceduto ad un adeguamento eccessivamente schematico e rigido dell’importo di base rispetto al tetto del 10% nel non tenendo conto della sua peculiare situazione consistente in uno scarto sostanziale tra il valore delle sue vendite realizzate nel 2007, quale criterio essenziale riflettente le sue dimensioni e la sua forza economica, ed il suo fatturato complessivo realizzato nel 2012 e 2013. Tale approccio ha quindi prodotto l’effetto di disgiungere l’importo di base adeguato della GPV dai criteri e dagli obiettivi di sanzione e di dissuasione di cui all’articolo 23, paragrafo 3, del regolamento no 1/2003 generando, in tale fase intermedia nel processo di calcolo delle ammende, un risultato che si produce di regola solo al termine del processo medesimo, ossia al momento dell’applicazione della soglia di contenimento del 10% ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento medesimo.

141    In tal senso, l’assunzione, in base a tale metodologia, a favore della GPV del suo rapporto prodotto/fatturato nonché del tetto del 10%, pur in presenza di un notevole scarto tra il valore delle sue vendite ed il suo fatturato complessivo doveva produrre l’effetto di spezzare il nesso necessario tra gli importi di base non adeguati ed adeguati. Ne è conseguito che, contrariamente all’obiettivo sottolineato dalla Commissione stessa nell’ambito del raffronto tra le situazioni della Bong, della Hamelin e delle ricorrenti, l’importo di base non era più in grado di esprimere le dimensioni e la forza economica della GPV e di garantire un effetto sufficientemente dissuasivo nei suoi confronti, né di porre l’importo stesso in equilibrio con quello delle ammende delle altre imprese, ragion per cui tale disparità di trattamento non risulta obiettivamente giustificabile. A tal riguardo, la Commissione non può invocare la giurisprudenza richiamata supra ai punti 96 e 97, la cui applicazione è appunto subordinata al rispetto del tetto del 10% quale soglia di contenimento ai fini del processo di calcolo dell’ammenda e non in una fase intermedia dell’adeguamento degli importi di base delle ammende (v. punto 104 supra). Infatti, in assenza di adeguamento dell’importo di base della GPV, l’ammenda infine da infliggerle dopo applicazione del tetto sarebbe stata nettamente più elevata, ossia circa EUR 2,34 milioni anziché EUR 1,651 milioni, quale irrogata nella decisione iniziale.

142    Conseguentemente, l’applicazione del metodo di adeguamento degli importi di base alla GPV costituisce una disparità di trattamento, non obiettivamente giustificata, rispetto alle altre imprese interessate, segnatamente nei confronti della Bong e delle ricorrenti.

143    Tuttavia, non ne discende che il secondo capo del presente motivo, dedotto in via di subordine, debba essere accolto.

144    A tal riguardo, si deve necessariamente rilevare che, da un lato, all’udienza le ricorrenti hanno reiteratamente confermato di non voler contestare le legittimità delle ammende inflitte alle altre imprese interessate, divenute definitive, ivi compresa le legittimità dell’ammenda inflitta alla GPV. Dall’altro, per quanto il più favorevole trattamento, non obiettivamente giustificabile, riservato alla GPV sia illegittimo, va ricordato che il rispetto del principio di parità di trattamento dev’essere conciliato con il rispetto del principio di legittimità, secondo cui nessuno può invocare, a proprio vantaggio, un’illegittimità commessa nei confronti altrui (v. sentenze del 5 dicembre 2013, Solvay/Commissione, C‑455/11 P, non pubblicata, EU:C:2013:796, punto 109; del 16 giugno 2016, Evonik Degussa e AlzChem/Commissione, C‑155/14 P, EU:C:2016:446, punto 58, e del 14 settembre 2017, LG Electronics e Koninklijke Philips Electronics/Commissione, C‑588/15 P e C‑622/15 P, EU:C:2017:679, punto 91).

145    Ne consegue che le ricorrenti non possono invocare, a proprio vantaggio, l’illegittimità commessa a favore della sola impresa GPV. Nella specie, ciò è tantomeno possibile in quanto, da un lato, la decisione iniziale è divenuta definitiva nei confronti della GPV e l’importo dell’ammenda inflittale non costituisce oggetto della presente controversia e, dall’altro, tutte le altre imprese interessate, eccetto la GPV, sono state trattate, in base alla stessa metodologia d’adeguamento degli importi di base delle ammende, in maniera uguale. Infatti, qualora la domande delle ricorrenti de accordare loro una percentuale di riduzione più elevata dovesse essere accolta, ciò potrebbe rimettere in discussione la valutazione del principio di parità di trattamento nei loro confronti nell’ambito dell’adeguamento degli importi di base rispetto alla Bong, alla Mayer-Kuvert e alla Hamelin, le cui ammende sono parimenti divenute definitive e rispetto alle quali le ricorrenti hanno già tratto vantaggio (v. punti da 118 a 135 supra). In ogni caso, le ricorrenti non hanno dimostrato che l’illegittimità commessa con riguardo alla GPV derivasse dall’applicazione di un differente criterio giuridico ai fini della determinazione dell’importo dell’ammenda ovvero avesse per conseguenza di ridurre, a loro danno, il peso relativo della GPV nell’infrazione (v., in tal senso, sentenza del 14 settembre 2017, LG Electronics e Koninklijke Philips Electronics/Commissione, C‑588/15 P e C‑622/15 P, EU:C:2017:679, punti 95 e 96).

146    Conseguentemente, il secondo capo del presente motivo e, pertanto, il motivo in toto, devono essere respinti in quanto infondati.

C.      Sul terzo motivo, relativo alla violazione dei principi di proporzionalità e di non discriminazione ovvero di equità

147    Le ricorrenti contestano la legittimità della mancata considerazione, da parte della Commissione dell’ammenda già inflitta dalla CNC nella decisione del 25 marzo 2013 (punti 46 e 56 della decisione impugnata). Esse non invocano la violazione del principio del ne bis in idem, bensì del principio de proporzionalità, quale interpretato nella sentenza del 13 febbraio 1969, Wilhelm e a. (14/68, EU:C:1969:4, punto 11), pertinente anche in caso di inapplicabilità del principio ne bis in idem, conosciuto nella dottrina tedesca quale principio di imputazione (Anrechnungsprinzip) o quale esigenza generale di equità che la Commissione stessa avrebbe già osservato nella propria precedente prassi decisionale.

148    Al punto 50 della decisione impugnata, la Commissione avrebbe erroneamente respinto l’analogia tra la propria prassi decisionale precedente ed il caso di specie, sostenendo che non sarebbe dimostrato che le ricorrenti si trovassero in una situazione economica difficile o che l’effetto combinato delle due sanzioni sia stato di rilevanza tale da risultare eccessivamente dissuasivo. Come già fatto presente alla Commissione nel corso del procedimento amministrativo, la situazione economica delle ricorrenti si sarebbe notevolmente deteriorata a causa della crisi economica e finanziaria nonché della riduzione generalizzata, in un ambiente sempre più digitalizzato, della domanda di buste di carta, motivi per i quali avrebbero subito perdite per EUR 2 900 000 nel 2013, che si sono aggiunte alle perdite, al lordo delle imposte, di EUR 18 855 000 subite nel 2012, di cui EUR 12 002 000 per ammende inflitte dalla CNC. Le ricorrenti sarebbero state quindi costrette, nel febbraio 2014, a licenziare 132 dipendenti nel principale centro di produzione ad Alcalá de Henares (Spagna), vale a dire il 28% del personale, con una riduzione dei redditi netti nel 2013 dell’8,5% rispetto al 2012. Quanto al carattere eccessivamente dissuasivo, le ricorrenti ricordano che l’ammenda inflitta dalla CNC corrispondeva al 10% del loro fatturato complessivo, mentre quella inflitta nella decisione impugnata corrisponde al 9,7% del fatturato medesimo. Il loro effetto combinato sarebbe stato quindi pressoché doppio rispetto al tetto del 10%.

149    Le ricorrenti precisano di aver fornito informazioni dettagliate atte a dimostrare la connessione, il «parziale accavallamento» ovvero la complementarità e l’interazione evidenti tra i fatti sanzionati dalla CNC e quelli sanzionati nella decisione impugnata. Infatti, l’intesa sanzionata da quest’ultima potrebbe trovare la propria spiegazione unicamente sulla base e nel contesto generale o organizzativo degli accordi conclusi tra le imprese che hanno costituito oggetto dell’inchiesta successivamente all’adesione della Spagna alle Comunità europee nel 1986. Sino a quel momento, gli accordi anticoncorrenziali sul mercato spagnolo del 1978 erano stati conclusi su scala nazionale, considerato che tale mercato era stato protetto contro le importazioni mediante un dazio doganale del 36% sulle buste. A seguito dell’adesione e dell’eliminazione dei dazi doganali, i produttori spagnoli avrebbero acquisto la consapevolezza che il perdurare dei loro accordi dipendeva dalla protezione del mercato spagnolo contro l’ingresso di produttori stranieri. Tali accordi sono stati quindi estesi alla Francia ed al Portogallo mediante un accordo concluso a Parigi (Francia), il 16 luglio 1986, tra i principali produttori francesi e spagnoli nonché mediante un analogo accordo precedentemente concluso con i principali produttori portoghesi. Detti accordi sarebbero stati comunicati a tutti i produttori spagnoli riuniti in seno alla Asociación Española de Fabricantes de Sobres y Manipulados de Papel y Cartón para la Enseñanza y la Oficina (Associazione spagnola dei produttori di buste e di prodotti cartacei per l’insegnamento e l’ufficio) (ASSOMA) in occasione di una riunione svoltasi il 16 ottobre 1986. Essi sarebbero stati successivamente estesi, nel 1995, alla Hamelin e, nel 1999, al produttore svedese Bong al fine di coprire parimenti i paesi nordici, il regno Unito e la Francia Conseguentemente, il funzionamento degli accordi in Spagna sarebbe dipeso dall’esistenza degli accordi europei volti a proteggere il mercato spagnolo contro l’ingresso di produttori stranieri.

150    Secondo le ricorrenti, il fatto di non aver tenuto conto dell’ammenda inflitta dalla CNC sarebbe parimenti discriminatorio nei loro confronti. Esse sarebbero l’unica impresa tra quelle dichiarate responsabili dell’infrazione nella decisione iniziale ad essere sanzionate da un’autorità nazionale della concorrenza per fatti connessi a quelli sanzionati dalla Commissione. Contrariamente a quanto indicato al punto 55 della decisione impugnata, la richiesta di riduzione fondata sulla sentenza del 13 febbraio 1969, Wilhelm e a. (14/68, EU:C:1969:4), de facto non attribuirebbe loro un vantaggio, bensì sarebbe diretta una circostanza di fatto assente nel caso delle altre imprese sanzionate dalla decisione iniziale. Pertanto, le ricorrenti chiedono al Tribunale – in via di subordine rispetto al primo motivo e aé titolo complementare rispetto al secondo motivo – di voler riformare la decisione impugnata riducendo l’ammenda loro inflitta in misura dell’importo supplementare del 33% al fine di tener conto dell’ammenda inflitta dalla CNC con la decisione del 25 marzo 2013, la cui fondatezza sarebbe stata confermata dall’Audiencia Nacional, Sala de lo Contencioso (Corte centrale, sezione del contenzioso) con sentenza del 29 marzo 2017. Le ricorrenti aggiungono, sostanzialmente, che detta sentenza riconosce che il «periodo [dei fatti sanzionati dalla Commissione] si accavalla» con quello sanzionato dalla CNC e che si è verificato un accavallamento con riguardo al prodotto de quo (buste di carta). Ciò confermerebbe l’esistenza di un accavallamento parziale ovvero l’identicità del contesto organizzativo relativo alle pratiche sanzionate dalla CNC e quelle sanzionate dalla decisione impugnata.

151    La Commissione chiede il rigetto del motivo.

152    Con il presente motivo le ricorrenti deducono la violazione dei principi di proporzionalità e di non discriminazione, più in particolare, del principio di equità, in base al rilievo che, in sostanza, contrariamente alla propria prassi decisionale precedente, la Commissione non avrebbe tenuto conto, nell’ambito del calcolo dell’ammenda inflitta con la decisione iniziale e con quella impugnata, dell’ammenda loro inflitta dalla CNC con la decisione del 25 marzo 2013, quale unica impresa tra le destinatarie della decisione iniziale, sebbene l’importo di detta ammenda fosse già superiore al 10% del loro fatturato complessivo (v. punti da 46 a 55 della decisione impugnata).

153    Per contro, la Commissione contesta l’applicabilità, nella specie, del principio di equità, quale riconosciuto nella sentenza del 13 febbraio 1969, Wilhelm e a. (14/68, EU:C:1969:4, punto 11).

154    Si deve ricordare, in limine, che all’epoca della pronuncia della sentenza del 13 febbraio 1969, Wilhelm e a. (14/68, EU:C:1969:4), in primo luogo, il sistema delle competenze parallele della Commissione e delle autorità nazionali della concorrenza, fondato sul regolamento no 1/2003, ai fini dell’attuazione degli articoli 101 e 102 TFUE, ancora non esisteva; in secondo luogo, le competenze delle autorità nazionali ai fini dell’applicazione, segnatamente, dell’articolo 101 TFUE – e unicamente del suo paragrafo 1 – erano più ristrette e, in terzo luogo, le modalità di sua applicazione parallela a quella della normativa nazionale della concorrenza non erano state ancora precisate dalla normativa ex articolo 103 TFUE (v., in tal senso, sentenze del 13 febbraio 1969, Wilhelm e a., 14/68, EU:C:1969:4, punti da 2 a 9, e del 21 marzo 1974, BRT e Société belge des auteurs, compositeurs et éditeurs, 127/73, EU:C:1974:25, punti 7 e segg.). Inoltre, la sentenza del 13 febbraio 1969, Wilhelm e a. (14/68, EU:C:1969:4), verteva sull’applicazione, da parte del Bundeskartellamt (Ufficio federale della concorrenza, Germania), della sola normativa tedesca della concorrenza ad un’intesa con riguardo alla quale la Commissione aveva parallelamente avviato un procedimento d’applicazione dell’articolo 85 CEE. La Corte ha ivi tenuto conto della possibilità che le autorità nazionali e comunitarie della concorrenza infliggessero, separatamente e cumulativamente, ammende volte a sanzionare, nell’ambito delle loro rispettive competenze, una «stessa intesa», il che implicava la necessità, in virtù del principio generale di equità, di evitare un «cumulo di sanzioni».

155    Orbene, nella specie la CNC ha applicato tanto l’articolo 101 TFUE quanto la normativa sulla concorrenza spagnola, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, prima frase, del regolamento no 1/2003 che costituisce appunto il regolamento previsto dall’articolo 103, paragrafi 1 e 2, lettera e), TFUE [ex articolo 87, paragrafo 2, lettera e), CEE] ai fini dell’applicazione dei principi di cui agli articoli 101 e 102 TFUE e della definizione dei rapporti tra le normative nazionali, da un lato, e le disposizioni di diritto dell’Unione, dall’altro, ai sensi della sentenza del 13 febbraio 1969, Wilhelm e a. (14/68, EU:C:1969:4, punto 4). Detto regolamento prevede, infatti, non solo che l’attuazione degli articoli 101 e 102 TFUE sia attribuita, in ampissima misura, alle autorità nazionali della concorrenza in base all’applicabilità diretta delle loro disposizioni, ivi compres il paragrafo 3 dell’articolo 101 TFUE (v. il considerando 4 del regolamento facente riferimento al regime di deroga legale), bensì è parimenti volto, in virtù del principio generale di convergenza di cui al suo articolo 3 e del principio del primato (sentenza del 13 febbraio 1969, Wilhelm e a., 14/68, EU:C:1969:4, punto 6), a garantire la coerenza e l’uniforme applicazione del diritto della concorrenza dell’Unione, in particolare dell’articolo 101 TFUE, nonché della corrispondente normativa nazionale quanto al risultato da raggiungere, nel caso in cui sia soddisfatto il criterio dell’interessamento degli scambi tra gli Stati membri.

156    Ne consegue che, nel caso in cui, come nella specie, sia aperta la sfera d’applicazione dell’articolo 101 TFUE, non è più possibile ritenere che i procedimenti avviati dalle autorità nazionali e dalla Commissione perseguano «fini distinti» ai sensi della sentenza del 13 febbraio 1969, Wilhelm e a. (14/68, EU:C:1969:4, punto 11). Ciò deriva dal fatto che, da un lato, tali procedimenti, laddove sono volti a dare attuazione all’articolo 101 TFUE, a prescindere dall’autorità della concorrenza che li conduca, perseguono gli stessi obiettivi, ossia la protezione della concorrenza nell’ambito del mercato unico (v., in tal senso, le conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Toshiba Corporation e a., C‑17/10, EU:C:2011:552, punto 81), e dall’altro, laddove la normativa nazionale della concorrenza resta applicabile, la sua attuazione deve condurre allo stesso risultato dell’applicazione del diritto della concorrenza dell’Union, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, prima frase, del regolamento n. 1/2003. Ne consegue che, nel sistema di competenze parallele di cui allo stesso regolamento, un «cumulo di sanzioni» ai sensi della sentenza del 13 febbraio 1969, Wilhelm e a. (14/68, EU:C:1969:4), è possibile unicamente nel caso di applicazione parallela dell’articolo 102 TFUE e della normativa nazionale corrispondente, peraltro più severa che vieti o sanzioni la condotta unilaterale di un’impresa, ipotesi che non ricorre nella specie.

157    Contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, tale «cumulo di sanzioni» non può essere nemmeno fondato sul preteso accavallamento delle infrazioni in questione e tantomeno con riguardo alle rispettive incidenze territoriali. A tal riguardo la Corte ha già avuto modo di affermare, per quanto attiene all’analoga fattispecie di parallela attuazione della normativa nazionale e di quella dell’Unione in materia di concorrenza, in cui l’applicazione della normativa nazionale da parte dell’autorità nazionale delle concorrenza riguardava unicamente la condotta anticoncorrenziale sul territorio nazionale, mentre il procedimento relativo all’applicazione dell’articolo 101 TFUE avviato dalla Commissione verte sul carattere anticoncorrenziale della stessa condotta nell’ambito del mercato unico, ad esclusione del territorio nazionale de quo, che il principio del ne bis in idem – certamente, non invocato dalle ricorrenti a sostegno del presente motivo – è inapplicabile in difetto del criterio di identicità dei fatti (v., in tal senso, la sentenza del 14 febbraio 2012, Toshiba Corporation e a., C‑17/10, EU:C:2012:72, punti da 96 a 103). Inoltre, nella causa oggetto di tale sentenza, la questione dell’applicabilità del principio di equità non era stata sollevata e non si poneva in termini analoghi a quelli di cui alla causa oggetto della sentenza del 13 febbraio 1969, Wilhelm e a. (14/68, EU:C:1969:4, punto 11), in cui sussisteva un effettivo cumulo di sanzioni di una stessa intesa nei territori interessati, ossia la Germania, da un lato, ed il mercato comune, ivi compresa la Germania. Per contro, nella specie, al pari della situazione oggetto della causa sfociata nella sentenza del 14 febbraio 2012, Toshiba Corporation e a., C‑17/10, EU:C:2012:72) tanto un accavallamento territoriale quanto un cumulo di sanzioni di tal genere sono direttamente esclusi.

158    Senza necessità di pronunciarsi definitivamente sulla questione se il principio di equità sia applicabile a fattispecie in cui l’articolo 101 TFUE e la corrispondente normativa nazionale sulla concorrenza si applichino parallelamente, si deve necessariamente rilevare che, nella specie, i fatti oggetto della decisione iniziale e di quella impugnata e quelli all’origine della decisione della CNC del 25 marzo 2013 non riguardano né la «stessa intesa» né un «cumulo di sanzioni» ai sensi della sentenza del 13 febbraio 1969, Wilhelm e a. (14/68, EU:C:1969:4, punti 3 e 11), e tantomeno identici fatti, in considerazione della diversità dei territori interessati dalle infrazioni e della loro distinta durata. Come correttamente ricordato dalla Commissione, la durata dell’infrazione da essa esaminata e sanzionata con la decisione iniziale e quella impugnata si è estesa su un periodo compreso tra l’8 ottobre 2003 ed il 22 aprile 2008, laddove la CNC ha perseguito comportamenti anticoncorrenziali situati nel periodo intercorrente tra il 1977 ed il 2010 (quanto alle buste elettorali), tra il 1990 ed il 2010 (quanto alle buste preaffrancate) e tra il 1994 ed il 2010 (quanto alle buste standard ed alla limitazione del progresso tecnologico). Inoltre, dai suesposti rilievi emerge che i prodotti interessati da tali comportamenti anticoncorrenziali non erano esattamente gli stessi di quelli oggetto dell’intesa sanzionata dalla Commissione. Inutilmente le ricorrenti invocano quindi elementi comuni delle condotte anticoncorrenziali sanzionati dalle menzionate decisioni. Parimenti, considerato che, da un lato, la CNC ha sanzionato la condotta delle ricorrenti con riguardo ai soli effetti sul territorio spagnolo e per un periodo diverso e che, dall’altro, la Commissione ha escluso il territorio medesimo dalla propria azione e dalla sfera d’applicazione della decisione iniziale e di quella impugnata, le ricorrenti non possono pretendere che sia esistito un «cumulo di sanzioni» ai sensi de la sentenza del 13 febbraio 1969, Wilhelm e a. (14/68, EU:C:1969:4, punto 11). Al contrario, in tale contesto, una sanzione completa e sufficientemente dissuasiva della condotta anticoncorrenziale delle ricorrenti esige, appunto, di tener conto di tutti i suoi effetti nei vari territori, ivi compresi gli effetti nel tempo, ragion per cui non può essere cointestato alla Commissione di non aver ridotto, per gli stessi motivi, l’ammenda inflitta alle ricorrenti nella decisione iniziale e in quella impugnata.

159    Tale conclusione non è rimessa in discussione dalla precedente prassi decisionale della Commissione riguardante altre situazioni, a prescindere dalla loro analogia o meno con la fattispecie qui in esame. A tal riguardo, è sufficiente rammentare che, secondo consolidata giurisprudenza, la prassi decisionale anteriore dell’Istituzione non può fungere da contesto normativo per le ammende in materia di concorrenza e che decisioni relative ad altri casi hanno un carattere meramente indicativo quanto alla sussistenza, in particolare, di discriminazioni o del carattere sproporzionato dell’ammenda (v., in tal senso, sentenze dell’11 luglio 2013, Team Relocations e a./Commissione, C‑444/11 P, non pubblicata, EU:C:2013:464, punto 82 e giurisprudenza citata; del 10 luglio 2014, Telefónica e Telefónica de España/Commissione, C‑295/12 P, EU:C:2014:2062, punto 189, e del 7 settembre 2016, Pilkington Group e a./Commissione, C‑101/15 P, EU:C:2016:631, punto 68). Tuttavia, come già rilevato, segnatamente, al punto 158 supra, le censure dedotte dalle ricorrenti nella specie non sono tali da dimostrare l’esistenza del carattere sproporzionato dell’ammenda loro inflitta.

160    Infine, come rilevato dalla Commissione, le ricorrenti non possono fondatamente sostenere di essere state discriminate per essere state l’unica impresa cui sia stata inflitta un’ammenda da parte della CNC per partecipazione all’analoga intesa in Spagna, atteso che ad una controllata della Hamelin, la Envel Europa, la CNC ha irrogato, con la stessa decisione del 25 marzo 2013, un’ammenda di EUR 637 464, circostanza non contestata dalle ricorrenti. In tale contesto, le ricorrenti non possono nemmeno invocare il preteso deterioramento della loro situazione economica, la quale avrebbe potuto costituire oggetto di una richiesta di riduzione ai sensi del punto 35 degli orientamenti per mancanza di capacità contributiva. Infatti, da un lato, esse non contestano di aver omesso, a differenza della Bong e della Hamelin, di presentare, nel procedimento amministrativo ivi compresa la sua riapertura, una richiesta in tal senso alla Commissione né, dall’altro, analoga richiesta è stata presentata dinanzi al Tribunale, in particolare a sostegno del secondo capo della domanda, dedotto in via di subordine, volto alla riduzione dell’ammenda inflitta.

161    Il motivo in esame dev’essere quindi respinto in quanto infondato.

D.      Conclusione

162    Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, la domanda di annullamento dedotta in via principale dev’essere rigettata.

163    Per quanto attiene alla domanda de riduzione dell’ammenda dedotta in via di subordine, si deve ricordare che, a termini dell’articolo 261 TUE, in combinato disposto con l’articolo 31 del regolamento n. 1/2003, nell’esercizio della propria competenza estesa al merito, il giudice dell’Unione è abilitato, al di là del mero controllo di legittimità della sanzione, a sostituire la propria valutazione per la determinazione dell’importo di tale sanzione a quella della Commissione, autrice dell’atto in cui detto importo è stato inizialmente fissato. Di conseguenza, il giudice dell’Unione può riformare l’atto impugnato, anche in assenza di annullamento, al fine di eliminare, ridurre o aumentare l’ammenda, e tale competenza è esercitata tenendo conto di tutte le circostanze in punto di fatto (v., in tal senso, sentenza del 25 luglio 2018, Orange Polska/Commissione, C‑123/16 P, EU:C:2018:590, punto 106 e giurisprudenza ivi citata).

164    Tale esercizio presuppone, in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 3, del regolamento n. 1/2003, che siano prese in considerazione, per ciascuna impresa sanzionata, la gravità dell’infrazione in questione nonché la sua durata, nel rispetto dei principi, in particolare, di motivazione, di proporzionalità, di personalità delle sanzioni e di parità di trattamento e senza che il giudice dell’Unione sia vincolato dalle regole indicative definite dalla Commissione nei propri orientamenti. (v., in tal senso, sentenza del 21 gennaio 2016, Galp Energía España e a./Commissione, C‑603/13 P, EU:C:2016:38, punto 90).

165    A tal riguardo, occorre tenere conto della durata delle infrazioni e di tutti gli elementi idonei a rientrare nella valutazione della loro gravità, quali la condotta di ciascuna delle imprese, il ruolo svolto da ciascuna di esse nell’attuazione delle pratiche concordate, il profitto che esse hanno potuto trarre da tali pratiche, le loro dimensioni e il valore delle merci interessate nonché il rischio che infrazioni di tal genere rappresentano per l’Unione. Devono essere presi in considerazione elementi obiettivi quali il contenuto e la durata dei comportamenti anticoncorrenziali, il loro numero e la loro intensità, l’estensione del mercato interessato e il deterioramento subito dall’ordine pubblico economico. L’analisi deve considerare altresì l’importanza relativa e la quota di mercato delle imprese responsabili, nonché eventuali recidive (v., in tal senso, sentenza dell’8 dicembre 2011, Chalkor/Commissione, C‑386/10 P, EU:C:2011:815, punti 56 e 57).

166    Nella specie, spetta al Tribunale, nell’esercizio della propria competenza estesa al merito, determinare, a fronte degli argomenti dedotti dalle ricorrenti a sostegno della loro domanda di riforma, l’importo che ritiene più adeguato, alla luce dei rilievi operati, segnatamente, nell’ambito dell’esame del secondo motivo (v., in particolare, punti da 136 a 146 supra) e tenendo conto di tutte le circostanze di fatto.

167    Si deve anzitutto ricordare, da un lato, che il valore delle vendite realizzate dalle ricorrenti nel 2007 era di EUR 143 316 000 e, dall’altro, che il loro fatturato ammontava, nel 2013, a EUR 121 728 000, cosa non contestata dalle ricorrenti

168    Si deve inoltre rilevare che l’infrazione riveste una gravità certa, atteso che le ricorrenti hanno pienamente partecipato ad un’intesa diretta a coordinare i prezzi di vendita, a ripartire la clientela ed a scambiare informazioni commerciali sensibili sui mercati europei delle buste standard su catalogo e delle buste speciali stampate, tra cui in Danimarca, in Germania, in Francia, in Svezia, nel Regno Unito e in Norvegia.

169    È peraltro comprovato che la ricorrente ha partecipato all’infrazione nel periodo compreso tra l’8 ottobre 2003 ed il 22 aprile 2008.

170    Per quanto attiene agli errori in cui è incorsa la Commissione nella fissazione delle ammende, va ricordato che il Tribunale ha rilevato, sostanzialmente, che il metodo applicato dalla Commissione ha, sì, rispettato il principio di parità di trattamento nei confronti delle ricorrenti, della Bong, della Hamelin e della Mayer-Kuvert, ma lo ha violato con riguardo alla GPV (v. punti da 139 a 142 supra).

171    La GPV si trovava, infatti, in una particolare situazione in considerazione, da un lato, del valore relativamente importante delle proprie vendite del prodotto oggetto del cartello nel 2007, valore su cui si è fondata la determinazione del proprio importo di base non adeguato e, dall’altro, del proprio fatturato complessivo particolarmente esiguo nel 2012 e nel 2013 rispetto alle altre imprese interessate, ragion per cui, nel suo caso, il rapporto prodotto/fatturato ed il tetto del 10% dovevano essere necessariamente assunti ai fini di una sostanziale riduzione dell’importo medesimo. Si deve quindi necessariamente rilevare che, tenuto conto di tale di tale particolare e differente situazione della GPV e dell’inidoneità del metodo di adeguamento degli importi di base delle ammende applicato dalla Commissione nei suoi confronti, le altre imprese interessate, ivi comprese le ricorrenti, la cui situazione non era paragonabile a quella della GPV considerato che i rispettivi fatturati erano sostanzialmente più elevati, non possono beneficiare di una riduzione analoga a quella ottenuta dalla GPV.

172    Alla luce dei suesposti rilievi, ivi compresi quelli esposti supra ai punti da 158 a 160, e dell’esigenza di ponderare i vari elementi rilevanti ai fini della fissazione dell’importo dell’ammenda (v. punti 164 e 165 supra), il Tribunale ritiene adeguato l’importo dell’ammenda inflitta alle ricorrenti, in considerazione, segnatamente, della gravità dell’infrazione e della durata della loro partecipazione, e che non occorre quindi procedere ad una sua riduzione.

173    Dev’essere pertanto respinta la domanda di riforma dedotta dalle ricorrenti in via di subordine, nella parte in cui è diretta alla riduzione dell’importo dell’ammenda di EUR 4 729 000 loro inflitta.

174    Conseguentemente, il ricorso dev’essere respinto in toto.

IV.    Sulle spese

175    A norma dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Tuttavia, ai sensi del successivo articolo 135, paragrafo 1, in via eccezionale, per ragioni di equità, il Tribunale può decidere che una parte soccombente sostenga, oltre alle proprie spese, soltanto una quota delle spese dell’altra parte. Inoltre, ai sensi del paragrafo 2 del medesimo articolo 135, il Tribunale può condannare una parte, anche vittoriosa, parzialmente o totalmente alle spese, se ciò appare giustificato a causa del suo comportamento, compreso quello tenuto prima dell’avvio del giudizio. È, segnatamente, consentito al Tribunale condannare alle spese un’istituzione la cui decisione non sia stata annullata, in considerazione della sua insufficienza che abbia potuto indurre la parte ricorrente ad agire in giudizio (v. sentenza del 22 aprile 2016, Italia e Eurallumina/Commissione, T‑60/06 RENV II e T‑62/06 RENV II, EU:T:2016:233, punto 245 e giurisprudenza ivi citata).

176    È ben vero che, nella specie, le ricorrenti sono rimaste soccombenti con riguardo al primo ed al secondo capo della propria domanda. Tuttavia, si deve tener conto del fatto che l’esame del ricorso ha rivelato, nella specie, che la Commissione ha mancato di rigore tanto nella definizione della metodologia di adeguamento degli importi di base delle ammende quanto nelle modalità di sua applicazione e nella motivazione della propria decisione (cfr. punti da 139 a 142 supra), senza che tali motivi siano peraltro sufficienti per l’accoglimento della domanda. Tale mancanza di rigore è tanto più censurabile ove si consideri che la decisione impugnata è la seconda decisione che infligge un’ammenda alle ricorrenti per l’infrazione commessa, dopo che queste avevano già ottenuto l’annullamento della decisione iniziale per carenza di motivazione con la sentenza del 13 dicembre 2016, Printeos e a./Commissione (T‑95/15, EU:T:2016:722). Il Tribunale ritiene che tali ragioni abbiano potuto indurre le ricorrenti a proporre il ricorso.

177    Ciò premesso, il Tribunale ritiene giusto ed equo condannare la Commissione a sopportare le proprie spese nonché quelle sostenute dalle ricorrenti.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Terza Sezione ampliata)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Commissione europea è condannata alle spese.

Van der Woude

Frimodt Nielsen

Kreuschitz

Półtorak

 

      Perillo

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 24 settembre 2019.

Firme


Indice



*      Lingua processuale: lo spagnolo.