Language of document : ECLI:EU:C:2019:97

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MICHAL BOBEK

presentate il 6 febbraio 2019(1)

Causa C391/17

Commissione europea

contro

Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord

«Inadempimento di uno Stato – Risorse proprie – Decisione 91/482/CEE – Associazione dei paesi e territori d’oltremare all’Unione europea – Importazioni di alluminio da Anguilla – Trasbordo – Certificati EXP indebitamente rilasciati dalle autorità doganali di un paese o territorio d’oltremare – Dazi doganali non riscossi dallo Stato membro d’importazione – Responsabilità finanziaria dello Stato membro con cui un PTOM mantiene una relazione particolare – Compensazione della perdita di risorse proprie dell’Unione europea subita in un altro Stato membro»






I.      Introduzione

1.        La Commissione europea chiede di dichiarare che il Regno Unito è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza del principio di leale cooperazione enunciato nell’articolo 5 CE (2). Ciò in base al fatto che esso non ha compensato la perdita di un importo di risorse proprie che avrebbero dovuto essere messe a disposizione del bilancio dell’Unione europea. Detto importo riguarda dazi doganali che non sono stati riscossi al momento dell’importazione in Italia di partite di alluminio originariamente provenienti da Stati terzi. Tale importo sarebbe stato riscosso se le autorità doganali di Anguilla, uno dei paesi o territori d’oltremare (PTOM) del Regno Unito, non avessero rilasciato i relativi certificati d’esportazione per la riesportazione verso l’Unione europea fra il 1998 e il 2000, in violazione dell’articolo 101, paragrafo 2, della decisione 91/482/CEE (3). La Commissione è del parere che il Regno Unito sia responsabile, ai sensi del diritto dell’Unione, per la perdita di risorse proprie che è stata provocata dal PTOM del Regno Unito. Essa sostiene che, nell’ambito dell’obbligo di leale cooperazione, detto Stato membro deve mettere a disposizione del bilancio dell’Unione l’importo dei dazi che non sono stati riscossi da un altro Stato membro (l’Italia), ivi compresi gli interessi maturati.

2.        Con un’azione parallela nella causa C‑395/17, Commissione/Regno dei Paesi Bassi, per la quale presento conclusioni separate, la Commissione chiede un’analoga dichiarazione e la compensazione delle perdite di risorse proprie. Tale causa riguarda presunti inadempimenti delle autorità doganali di Curaçao e Aruba, due PTOM del Regno dei Paesi Bassi.

3.        La natura tecnica ed estremamente complessa della domanda, che va riletta più volte per poter comprendere quanto richiesto dalla Commissione, non dovrebbe mascherare il fatto che vi è molto di più sotto la superficie. Le azioni non sono ciò che appaiono. Avvolta nella nebbia degli aspetti tecnici delle norme doganali, di un insieme complesso di fatti di un caso singolare e di una vicenda processuale alquanto corposa, la cui chiarezza ricorda quella di Twin Peaks, vi è una questione di natura strutturale e costituzionale di notevole importanza. Può la Commissione, in base a un procedimento per inadempimento ai sensi dell’articolo 258 TFUE, chiedere che si dichiari che uno Stato membro (il Regno Unito) ha violato il dovere di leale cooperazione per non avere compensato la perdita per il bilancio dell’Unione verificatasi in un altro Stato membro (l’Italia), a causa di una presunta violazione del diritto dell’Unione commessa nel passato (piuttosto remoto) da un suo PTOM (Anguilla)? Può la Commissione chiedere il risarcimento del danno causato all’Unione europea a titolo di rimedio nel suddetto ricorso per inadempimento? Se tale ricorso è effettivamente ricevibile in forza dell’articolo 258 TFUE, qual è l’onere della prova che la Commissione deve soddisfare perché un siffatto ricorso sia accolto?

II.    Quadro giuridico

A.      Il sistema delle risorse proprie

4.        Il regolamento (CEE, Euratom) n. 1552/89 (4), come modificato dal regolamento (CEE, Euratom) n. 1355/96 (5) (in prosieguo: il «regolamento 1552/89»), è applicabile ai fatti della presente causa.

5.        Ai sensi dell’articolo 2 del regolamento n. 1552/89:

«1.      Ai fini dell’applicazione del presente regolamento, un diritto delle Comunità sulle risorse proprie di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettere a) e b) della decisione 88/376/CEE, Euratom è accertato non appena ricorrono le condizioni previste dalla normativa doganale per quanto riguarda la registrazione dell’importo del diritto e la comunicazione del medesimo al soggetto passivo.

1 bis.      La data da considerare per l’accertamento di cui al paragrafo 1 è la data della registrazione prevista dalla normativa doganale.

(…)

1 ter.      Nei casi di contenzioso, le autorità amministrative competenti devono poter calcolare, ai fini dell’accertamento di cui al paragrafo 1, l’importo del dazio dovuto al più tardi in occasione della prima decisione amministrativa che comunica l’obbligazione al soggetto passivo o in occasione della denuncia all’autorità giudiziaria, se tale denuncia interviene precedentemente.

La data da considerare per l’accertamento di cui al paragrafo 1 è la data della decisione o quella del calcolo da effettuare consecutivamente alla denuncia di cui al primo comma».

6.        L’articolo 6, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 1552/89 così dispone:

«1.      Presso il Tesoro di ogni Stato membro o l’organismo designato da quest’ultimo viene tenuta una contabilità delle risorse proprie, ripartita secondo la natura delle risorse.

(…)

2.      a)      Con riserva della lettera b) del presente paragrafo, i diritti accertati conformemente all’articolo 2 sono riportati nella contabilità al più tardi il primo giorno feriale dopo il 19 del secondo mese successivo a quello nel corso del quale ha avuto luogo l’accertamento.

b)      I diritti accertati e non riportati nella contabilità di cui alla lettera a), poiché non sono stati ancora riscossi e non è stata fornita alcuna garanzia, sono iscritti in una contabilità separata entro il termine previsto alla lettera a). Gli Stati membri possono procedere nello stesso modo allorché i diritti accertati e coperti da garanzie formano oggetto di contestazione e possono subire variazioni in seguito alle controversie sorte.

(…)».

7.        Ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento n. 1552/89: «Dopo la deduzione del 10% a titolo di spese di riscossione in applicazione dell’articolo 2, paragrafo 3 della decisione 88/376/CEE, Euratom, l’iscrizione delle risorse proprie, di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettere a) e b) della summenzionata decisione, ha luogo entro il primo giorno feriale dopo il 19 del secondo mese successivo a quello in cui il diritto è stato constatato in conformità dell’articolo 2.

Tuttavia, per i diritti contemplati nella contabilità separata conformemente all’articolo 6, paragrafo 2, lettera b), l’iscrizione deve aver luogo entro il primo giorno feriale dopo il 19 del secondo mese successivo a quello della riscossione dei diritti».

8.        L’articolo 11 del regolamento n. 1552/89 recita come segue: «Ogni ritardo nelle iscrizioni sul conto di cui all’articolo 9, paragrafo 1 dà luogo al pagamento, da parte dello Stato membro in questione, di un interesse il cui tasso è pari al tasso di interesse applicato il giorno della scadenza sul mercato monetario dello Stato membro interessato per i finanziamenti a breve termine, maggiorato di 2 punti. Tale tasso è aumentato di 0,25 punti per ogni mese di ritardo. Il tasso così aumentato è applicabile a tutto il periodo del ritardo».

9.        L’articolo 17, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 1552/89 così dispone:

«1.      Gli Stati membri sono tenuti a prendere tutte le misure necessarie affinché gli importi corrispondenti ai diritti accertati in conformità dell’articolo 2 siano messi a disposizione della Commissione alle condizioni previste dal presente regolamento.

2.      Gli Stati membri sono dispensati dall’obbligo di mettere a disposizione della Commissione gli importi corrispondenti ai diritti accertati soltanto se la riscossione non abbia potuto essere effettuata per ragioni di forza maggiore. Inoltre, in casi particolari, gli Stati membri sono dispensati dal mettere tali importi a disposizione della Commissione, quando, dopo attento esame di tutti i dati pertinenti del caso, risulta definitivamente impossibile procedere alla riscossione per motivi che non potrebbero essere loro imputabili. Questi casi debbono essere menzionati nella relazione di cui al paragrafo 3, qualora gli importi superino i 10 000 ECU, convertiti in moneta nazionale al tasso del primo giorno feriale del mese d’ottobre dell’anno civile appena trascorso; questa relazione deve contenere un’indicazione delle ragioni che hanno indotto lo Stato membro a non mettere a disposizione gli importi di cui trattasi. La Commissione dispone di un termine di sei mesi per comunicare, se del caso, le proprie osservazioni allo Stato membro interessato.

(…)».

10.      Il regolamento (CE, Euratom) n. 1150/2000 (6) ha sostituito il regolamento n. 1552/89. L’articolo 2, paragrafi 1, 2 e 3, l’articolo 6, paragrafi 1 e 3, lettere a) e b), l’articolo 10, paragrafo 1, e l’articolo 11 di detto regolamento corrispondono essenzialmente alle disposizioni del regolamento n. 1552/89 sopra citato. L’articolo 17 del regolamento n. 1552/89 è stato sostituito dall’articolo 17 del regolamento n. 1150/2000 e modificato dal regolamento (CE, Euratom) n. 2028/2004 (7).

B.      Decisione PTOM

11.      L’articolo 101, paragrafo 2, della decisione PTOM, applicabile ratione temporis al caso di specie, dispone quanto segue:

«I prodotti non originari degli PTOM che si trovano in libera pratica in uno PTOM e sono riesportati tal quali verso la Comunità sono ammessi all’importazione nella Comunità in esenzione da dazi doganali e tassi di effetto equivalente a condizione che:

–        abbiano pagato nello PTOM interessato i dazi doganali o la tassa di effetto equivalente ad un livello pari o superiore ai dazi doganali applicabili nella Comunità all’importazione degli stessi prodotti, originali di paesi terzi che fruiscono della clausola della nazione più favorita;

–        non abbiano formato oggetto di esonero o restituzione, parziale o totale, dei dazi doganali o delle tasse di effetto equivalente;

–        siano corredati di un certificato di esportazione».

III. Fatti e procedimento precontenzioso

12.      Anguilla è uno dei «paesi e territori d’oltremare del Regno Unito» elencati nell’allegato II del trattato CE, a cui la parte quarta del trattato fa riferimento. All’epoca dei fatti, la decisione PTOM si applicava anche a detto territorio.

13.      Nel 1998 è stato istituito un sistema di trasbordo ad Anguilla per poter beneficiare dell’articolo 101, paragrafo 2, della decisione PTOM. In Anguilla veniva importato alluminio proveniente da paesi terzi. Il dazio doganale locale del 6% veniva pagato dagli importatori in Anguilla. Una società con sede in Anguilla, la Corbis Trading (Anguilla) Limited (in prosieguo: la «Corbis»), pagava in quanto agente importatore un’«indennità di spedizione per l’esportazione» alle società destinatarie per instradare il carico attraverso Anguilla. Tale pagamento è stato quindi presentato dalla Corbis al governo di Anguilla a titolo di esborso. Le autorità di Anguilla rilasciavano poi i certificati EXP per la riesportazione dell’alluminio verso l’Unione europea.

14.      Lo United Kingdom’s Foreign and Commonwealth Office (Ministero degli Affari Esteri e del Commonwealth del Regno Unito; in prosieguo: il «FCO») ha espresso dubbi circa la legittimità dell’operazione. Esso ha invitato formalmente i Commissioners for Her Majesty’s Revenue and Customs (Amministrazione delle imposte e delle dogane del Regno Unito; in prosieguo: l’«HMRC») a condurre un’indagine. Detta indagine è stata svolta nel novembre del 1998. L’HMRC ha concluso che non sussistevano i requisiti per il rilascio dei certificati EXP a norma dell’articolo 101, paragrafo 2, della decisione PTOM. L’unità di coordinamento della lotta antifrode (in prosieguo: l’«UCLAF») (8) è stata informata dell’esito dell’indagine in data 25 novembre 1998.

15.      Più tardi, sempre nel 1998, la Corbis ha modificato le sue modalità di fatturazione. Sulle fatture della Corbis intestate al governo di Anguilla figurava che esse erano emesse per «servizi resi» dalla Corbis. Esse non facevano più riferimento all’«indennità di spedizione per l’esportazione».

16.      Il 6 gennaio 1999, l’HMRC ha scritto alla Commissione per informarla che non intendeva più richiamare l’attenzione dell’UCLAF o di altri Stati membri sui certificati di esportazione rilasciati da Anguilla. A seguito di una proposta del 22 gennaio 1999 della House of Assembly (Assemblea legislativa) di Anguilla, i prodotti trasbordati attraverso Anguilla verso l’Unione europea conformemente alla decisione PTOM dovevano essere assoggettati a un’aliquota di dazio pari a quella stabilita nella tariffa dell’Unione per tale prodotto.

17.      Il 18 febbraio 1999, l’UCLAF ha pubblicato una comunicazione (AM 10/1999) ai sensi dell’articolo 45 del regolamento (CE) n. 515/97 (9). Essa indicava che circa il 50% delle somme riscosse da Anguilla come dazi doganali era stato restituito a titolo di «indennità di spedizione per l’esportazione» e altre spese. L’UCLAF ha concluso che tali pagamenti erano collegati alla riscossione dei dazi doganali. Essa ha quindi raccomandato alle autorità doganali degli Stati membri «di rifiutare tutti i certificati EXP rilasciati dalle autorità di Anguilla e di acquisire i dazi doganali per le future importazioni, pari al 6%, a titolo di deposito o sotto forma di garanzia fino a che non fossero stati eliminati i dubbi».

18.      Tra marzo 1999 e giugno 2000, l’alluminio originario di paesi terzi e inizialmente importato ad Anguilla è stato poi importato in Italia, dopo essere stato riesportato da Anguilla.

19.      Il 28 maggio 2003 l’OLAF ha pubblicato un rapporto congiunto di missione in cui si affermava che l’incentivo economico, pagato agli importatori a titolo di indennità di spedizione per l’esportazione, era pari a USD 25 per tonnellata di alluminio.

20.      Il 28 dicembre 2004, in risposta a una richiesta da parte dell’Italia, la Commissione ha adottato la decisione REC 03/2004. Il 17 marzo 2003, detto Stato membro ha richiesto il pagamento dei dazi ad una società italiana che, il 1o aprile 1999, aveva importato in Italia barre di alluminio accompagnate da certificati EXP rilasciati da Anguilla. Tale società aveva fatto richiesta di esonero dalla contabilizzazione, o, in subordine, di sgravio dei dazi all’importazione in oggetto. Nella sua decisione, la Commissione ha concluso che in quel caso particolare era giustificato rinunciare alla contabilizzazione a posteriori dei dazi all’importazione, ai sensi dell’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del codice doganale (10). La Commissione ha affermato che casi analoghi a quello in discussione nella decisione REC 03/2004 dovevano essere trattati allo stesso modo, a condizione che le circostanze fossero simili in fatto e in diritto (11).

21.      Il 26 maggio 2006, in risposta a una richiesta dei Paesi Bassi, la Commissione ha adottato la decisione REM 03/2004. Nel 1998, una società tedesca aveva spedito alluminio dal Canada e lo aveva importato nell’Unione europea attraverso Saint Pierre e Miquelon (un PTOM soggetto alla sovranità francese). Il 20 dicembre 2000, le autorità olandesi hanno chiesto il pagamento dei dazi a tale società che, a sua volta, ne ha chiesto lo sgravio ai sensi dell’articolo 239 del codice doganale (12). La Commissione ha affermato che si trattava di una situazione particolare ai sensi di quella disposizione e che era opportuno concedere lo sgravio dei dazi all’importazione. La Commissione ha precisato che le domande di rimborso o di sgravio riguardanti le importazioni nell’Unione da Saint-Pierre e Miquelon, da Anguilla e dalle Antille olandesi comparabili in fatto e in diritto sarebbero state trattate allo stesso modo.

22.      Le autorità italiane hanno informato la Commissione, con lettere del 28 settembre 2006 e del 28 settembre 2007, di aver adottato una serie di decisioni di sgravio dei dazi sulla base, rispettivamente, delle decisioni REC 03/2004 e REM 03/2004. Nel luglio 2009 la Commissione ha chiesto informazioni supplementari, che sono state fornite nella risposta del 4 settembre 2009.

23.      Con lettera dell’8 luglio 2010, in riferimento alle informazioni ricevute dall’Italia, la Commissione ha chiesto in primo luogo al Regno Unito di mettere a disposizione EUR 2 619 504,01, precisando che qualsiasi ritardo nel mettere a disposizione l’importo dovuto a titolo di risorse proprie avrebbe dato luogo al pagamento di interessi. Il Regno Unito ha risposto con lettera del 17 settembre 2010, rilevando l’assenza di prove documentali. Con lettera del 27 settembre 2010, la Commissione ha fornito alle autorità del Regno Unito ulteriori informazioni, suddividendo i casi in questione in base alla lettera delle Autorità doganali italiane del 4 settembre 2009. Lo scambio di corrispondenza tra la Commissione e il Regno Unito è proseguito fino al mese di novembre 2011.

24.      Il 27 settembre 2013, la Commissione ha inviato una lettera di diffida, chiedendo che venisse messa a disposizione la somma di EUR 2 670 001,29. Il Regno Unito ha risposto con lettera del 21 novembre 2013, negando ogni responsabilità o infrazione del diritto dell’Unione.

25.      Il 17 ottobre 2014 la Commissione ha inviato un parere motivato. Il Regno Unito ha replicato con lettera del 17 dicembre 2014 mantenendo la propria posizione.

26.      Con lettera del 30 ottobre 2015, la Commissione ha chiesto alle autorità italiane di fornire i dettagli delle dichiarazioni doganali che avevano determinato gli importi complessivi richiesti al Regno Unito. Dette dichiarazioni, unitamente ai certificati di esportazione, sono state trasmesse con nota del 23 dicembre 2015. Sulla base di tali documenti, la Commissione ha stabilito che l’importo da esigere dal Regno Unito ammontava in effetti a EUR 1 500 342,31, dato che gli importi residui precedentemente richiesti si riferivano a importazioni i cui certificati di esportazione erano stati rilasciati da un PTOM diverso da Anguilla (segnatamente, Saint Pierre e Miquelon).

27.      Poiché il Regno Unito non ha versato la somma richiesta, la Commissione ha avviato il presente procedimento.

IV.    Procedimento dinanzi alla Corte e conclusioni delle parti

28.      Con ricorso depositato il 30 giugno 2017, la Commissione chiede che la Corte voglia:

–        dichiarare che il [Regno Unito], non compensando la perdita di un importo di risorse proprie che avrebbero dovuto essere accertate e messe a disposizione del bilancio dell’Unione ai sensi degli articoli 2, 6, 10, 11 e 17 del regolamento n. 1552/89 (divenuti articoli 2, 6, 10, 12 e 13 del regolamento (EU, Euratom) n. 609/2014)(13) se i certificati di esportazione non fossero stati rilasciati in violazione dell’articolo 101, paragrafo 2, della decisione 91/482/CEE per le importazioni di alluminio da Anguilla dal 1999 al 2000, è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti ai sensi dell’articolo 5 (successivamente divenuto articolo 10) del Trattato che istituisce la Comunità europea (oggi articolo 4, paragrafo 3, TUE).

–        condannare il Regno Unito alle spese.

29.      Il Regno Unito chiede che la Corte voglia:

–        respingere il ricorso in quanto infondato,

–        condannare la Commissione alle spese.

30.      Con decisione del Presidente della Corte del 30 novembre 2017 è stato autorizzato l’intervento del Regno dei Paesi Bassi a sostegno delle conclusioni del Regno Unito.

31.      Sia la Commissione che il governo del Regno Unito hanno presentato osservazioni orali all’udienza tenutasi il 2 ottobre 2018, cui ha partecipato anche il governo dei Paesi Bassi.

V.      Valutazione

32.      Le presenti conclusioni sono articolate come segue. In primo luogo, cercherò di definire la natura esatta della domanda della Commissione (A). In secondo luogo, passerò ad esaminare se e in quali termini sia possibile avviare una procedura d’infrazione sulla base del mancato risarcimento di un danno causato all’Unione europea da una violazione del diritto dell’Unione imputabile a uno Stato membro (B). In terzo luogo, poiché intendo affermare, in linea di principio, l’esistenza di tale possibilità, passerò ad esaminare se nel caso di specie sussistano le condizioni per un obbligo di risarcimento (C), concludendo che esse non sussistono. Suggerirò, pertanto, di respingere il ricorso della Commissione in quanto infondato.

A.      Tre in uno? L’esatta natura della domanda

33.      La Commissione chiede alla Corte di dichiarare che il Regno Unito, non compensando la perdita di un importo di risorse proprie che avrebbero dovuto essere accertate e messe a disposizione del bilancio dell’Unione a norma degli articoli 2, 6, 10, 11 e 17 del regolamento n. 1552/89 se i certificati di esportazione non fossero stati rilasciati in violazione dell’articolo 101, paragrafo 2, della decisione PTOM per le importazioni di alluminio da Anguilla nel periodo dal 1999 al 2000, è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti ai sensi dell’articolo 5 CE.

34.      Questo caso presenta un grado di complessità insolito. Ciò non dipende tanto dal fatto che riguarda i paesi e territori d’oltremare dell’Unione, quanto piuttosto dal modo in cui la Commissione ha argomentato il presente caso e strutturato la propria tesi. Se si cerca di scomporre la domanda della Commissione, emerge chiaramente che essa è in effetti composta da molteplici assunti celati in un’unica domanda.

35.      In primo luogo, la Commissione sostiene che i certificati EXP siano stati rilasciati indebitamente dalle autorità di Anguilla in violazione dell’articolo 101, paragrafo 2, della decisione PTOM. Nel dedurre questo argomento, la Commissione non precisa se tale violazione del diritto dell’Unione fosse direttamente imputabile al Regno Unito, sulla base del fatto che le autorità doganali di Anguilla erano autorità doganali di detto Stato membro (in prosieguo: la «violazione iniziale»).

36.      In secondo luogo, la Commissione afferma che il Regno Unito è responsabile della violazione in questione, non avendo adottato tutte le misure idonee a prevenire e monitorare la «violazione iniziale». Pertanto, si tratta, in un certo senso, di un argomento alternativo al precedente. Poiché la decisione PTOM non presenta alcuna base giuridica specifica per tale asserzione, la Commissione individua al riguardo una violazione del principio di leale cooperazione (in prosieguo: la «violazione intermedia»).

37.      In terzo luogo, il livello più esterno del ricorso della Commissione è rappresentato dall’argomento secondo cui il Regno Unito non avrebbe rispettato il conseguente obbligo di compensare il bilancio dell’Unione per la perdita subita in Italia a causa delle violazioni del diritto dell’Unione sopra indicate. In considerazione della mancanza di qualsiasi base giuridica esplicita per questo tipo di obbligo, esso discenderebbe, secondo la Commissione, dal principio di leale cooperazione (la «violazione principale»).

38.      Questa struttura a cascata di tipo «tre in uno» della domanda avanzata dalla Commissione assomiglia a una bambola russa (matrioska): il livello più esterno (terzo) delle presunte violazioni del diritto dell’Unione è intrinsecamente collegato ai livelli sottostanti e basato su di essi. L’identificazione dei diversi livelli delle argomentazioni, tuttavia, non risolve di fatto il problema, ma piuttosto accresce ulteriormente la complessità del caso in esame. Ciò è dovuto al fatto che i diversi livelli delle presunte violazioni sono soggetti a regimi alquanto diversi per quanto riguarda: i) l’obbligo disatteso e la natura dell’illegittimità, ii) le modalità di accertamento di tale violazione, in termini di procedura (e di prova), e iii) la natura delle conseguenze della dichiarazione di illegittimità e i mezzi di ricorso disponibili.

39.      Per quanto riguarda la natura degli i) obblighi disattesi, il presente ricorso per inadempimento riunisce a) una violazione della decisione PTOM, b) la presunta incapacità del Regno Unito di prevenire e porre rimedio all’errata applicazione di tale decisione da parte dei suoi PTOM, e c) un inadempimento dell’obbligo di risarcire il danno causato al bilancio dell’Unione. In considerazione dell’evidente mancanza di chiarezza per quanto riguarda la base giuridica di tali obblighi e i loro esatti destinatari, tutte le suddette presunte violazioni del diritto dell’Unione sono riunite dal riferimento al principio di leale cooperazione, come se tale principio potesse attenuare o addirittura eliminare la necessità di individuare con precisione, per ciascuno di tali livelli, quali disposizioni del diritto dell’Unione siano state violate e da chi.

40.      Per quanto riguarda il punto ii), la procedura da seguire, la Commissione ha avviato un ricorso per inadempimento ai sensi dell’articolo 258 TFUE, diretto ad ottenere una dichiarazione di inadempimento sulla base del mancato risarcimento di una perdita per il bilancio dell’Unione (così avallando implicitamente anche l’illegittimità dei due precedenti livelli di presunti inadempimenti). Tuttavia, la natura di ciascuna delle procedure (nonché il quadro probatorio e i tipi di prova richiesti) è alquanto diversa: il sistema piuttosto oggettivo dell’articolo 258 TFUE, volto ad ottenere una dichiarazione di inadempimento strutturale di uno Stato membro al quale deve essere posto rimedio in futuro, viene confuso con elementi di una richiesta, sostanzialmente individuale e personalizzata, di compensare il bilancio dell’Unione con determinate somme mediante il risarcimento del danno. Tutto ciò è formulato in termini di applicazione analogica di disposizioni specifiche sull’accertamento della perdita subita in un altro Stato membro (l’Italia) a seguito dell’applicazione, da parte di detto Stato membro, delle norme del codice doganale e del sistema delle risorse proprie.

41.      Per quanto riguarda il punto iii), vale a dire i rimedi disponibili, con la propria azione la Commissione mira formalmente alla dichiarazione di inadempimento ai sensi dell’articolo 5 CE. Tuttavia, l’obbligo asseritamente violato consiste nel non aver compensato un determinato importo di denaro già in precedenza quantificato e richiesto dalla Commissione. Anche in questo caso la Commissione chiede, in un’unica istanza, una dichiarazione d’inadempimento che comprende l’accertamento di altre due (diverse) violazioni del diritto dell’Unione, nonché la conferma dell’obbligo di compensazione con una precisa somma di denaro.

42.      A questo punto, devo ammettere di essere oltremodo perplesso da tale mescolanza di procedure e mezzi di ricorso. Ciò che la Commissione sta effettivamente chiedendo è un rimedio inedito, con il conforto processuale di una procedura d’infrazione, ulteriormente rafforzato dall’applicazione analogica di norme tratte da un regime specifico del diritto dell’Unione (14). Ciò significherebbe dover produrre pochissimi elementi di prova effettivi per quanto riguarda l’esatto importo di denaro richiesto, in modo da ottenere tre dichiarazioni di inadempimento in un solo procedimento, due delle quali semplicemente sulla base dell’obbligo di leale cooperazione, ma senza alcuna individuazione della base giuridica nella più prudente accezione del termine.

43.      Ammetto altresì di trovare estremamente difficile valutare contemporaneamente argomentazioni appartenenti a tre diverse procedure, il che implica l’analisi di obblighi sostanziali diversi nonché l’applicazione di norme e requisiti procedurali differenti per quanto attiene alla natura delle prove. E tutto questo soprassedendo con disinvoltura all’assenza di basi giuridiche e obblighi chiari per le presunte violazioni, invocando – o piuttosto evocando – il dovere di leale cooperazione.

44.      Cosa potrebbe e dovrebbe dunque essere esaminato dalla Corte nel caso di specie? Il mio suggerimento potrebbe essere quello di smontare la matrioska. Per una questione di logica fondamentale, qualsiasi risultato deve essere fondato sull’esistenza dell’illecito iniziale. Se tale violazione iniziale non è stata dimostrata, qualsiasi azione successiva che dipenda da tale violazione iniziale diventa opinabile. Pertanto, nel caso di specie la questione chiave rimane: i certificati EXP sono stati rilasciati in violazione della decisione PTOM? Tale violazione ha causato una perdita sotto forma di risorse proprie mancanti e, in caso affermativo, per quale importo? Infatti, se non è possibile rispondere a tali domande relative alla violazione iniziale, non sussiste alcun fondamento per invocare ulteriori violazioni del diritto dell’Unione nel presente procedimento (sia a livello di «violazione intermedia» – l’incapacità di impedire qualcosa che, in primo luogo, non era apparentemente illegittimo — che al livello logicamente successivo della «violazione principale» – l’obbligo di indennizzare il bilancio dell’UE).

45.      Poiché ciò costituisce a mio avviso la questione centrale della presente causa, è nondimeno necessario chiarire una questione preliminare. La Commissione chiede alla Corte di dichiarare che il Regno Unito ha violato il principio di leale cooperazione non risarcendo le perdite subite dal bilancio dell’Unione a causa di una perdita verificatasi in un altro Stato membro. La Commissione ha calcolato che tale perdita è pari a EUR 1 500 342,31. Tuttavia, la procedura d’infrazione è stata utilizzata e principalmente intesa fino ad oggi come una procedura per porre rimedio prospettivamente alle violazioni del diritto dell’Unione poste in essere dagli Stati membri e non, come si richiede essenzialmente nel caso di specie, per ottenere una dichiarazione retrospettiva di una violazione (15), accompagnata da una richiesta di risarcimento, vale a dire una somma di denaro precisa e specifica.

46.      Per sua stessa natura, quindi, il ricorso della Commissione incorpora una domanda di risarcimento del danno asseritamente arrecato al bilancio dell’Unione da parte di uno Stato membro, proposta sotto forma di ricorso per inadempimento ai sensi dell’articolo 258 TFUE. Pertanto, si deve stabilire se siffatto ricorso sia possibile alla luce della formulazione, dello scopo e dell’impianto generale della procedura d’infrazione. Se così non fosse, il presente ricorso dovrebbe essere respinto in quanto irricevibile.

B.      Richiesta di risarcimento del danno nell’ambito di un ricorso per inadempimento?

47.      A mio parere, non si può escludere l’accertamento della violazione del diritto dell’Unione da parte di uno Stato membro per il mancato risarcimento dei danni da esso causato al bilancio dell’Unione. In altri termini, ritengo che nulla nel testo, nello scopo o nel sistema della procedura d’infrazione possa impedire alla Commissione di chiedere un risarcimento ai sensi dell’articolo 258 TFUE (1). Tuttavia, se tale ricorso è proposto, l’esistenza di un danno effettivo causato all’Unione da una o più violazioni specifiche del diritto dell’Unione imputabili a uno Stato membro, deve essere accertata ad un livello adeguato per un’azione di risarcimento dei danni (2), e deve altresì rispettare la differenza tra tale azione e le norme specifiche applicabili nel settore delle risorse proprie tradizionali (3).

1.      Considerazioni generali

48.      Sebbene non abbiano sostenuto espressamente l’irricevibilità della causa, il Regno Unito e il Regno dei Paesi Bassi si sono opposti alla possibilità che uno Stato membro sia ritenuto finanziariamente responsabile per le perdite causate al bilancio dell’Unione dai suoi PTOM. Uno dei principali argomenti addotti da detti Stati membri è che tale responsabilità finanziaria non avrebbe alcuna base giuridica esplicita. Invero, né il codice doganale né il sistema di risorse proprie o qualsiasi altra disposizione del diritto primario o derivato contengono disposizioni esplicite sulla responsabilità finanziaria degli Stati membri per le perdite causate al bilancio dell’Unione e subite in un altro Stato membro.

49.      Non si può negare la mancanza di una base giuridica chiara per una domanda volta ad affermare la responsabilità degli Stati membri per le perdite in circostanze quali quelle del caso di specie. Tuttavia, prima di affrontare una simile lacuna sostanziale (presunta o reale), è opportuno esaminare una più generale questione procedurale che sottende la natura stessa dell’azione nel presente procedimento: è possibile chiedere, mediante l’articolo 258 TFUE, una dichiarazione di inadempimento per il mancato risarcimento delle perdite causate da uno Stato membro mediante una violazione del diritto dell’Unione?

50.      La questione della responsabilità degli Stati membri nei confronti dell’Unione europea non è inedita. È stata contemplata, almeno a livello teorico, dalla Corte quando ha affermato che «di fronte al ritardo nell’adempiere un obbligo o al rifiuto definitivo di adempierlo, la sentenza pronunciata dalla Corte in forza [della procedura di infrazione] può avere pratica rilevanza come fondamento della responsabilità eventualmente incombente allo Stato membro – a causa dell’inadempimento – nei confronti di altri Stati membri, della Comunità o dei singoli» (16). La possibilità di utilizzare una procedura d’infrazione come base per una domanda di risarcimento danni per conto dell’Unione nei confronti di uno Stato membro è stata discussa anche in dottrina (17).

51.      Gli articoli da 258 a 260 TFUE creano un quadro per consentire l’individuazione e la sanzione delle violazioni del diritto dell’Unione da parte degli Stati membri. L’articolo 258 TFUE menziona solo il mancato adempimento da parte dello Stato membro di «uno degli obblighi a lui incombenti in virtù dei trattati». In altre parole, il Trattato tace riguardo alla natura esatta del rimedio a un’infrazione che può essere richiesto dalla Commissione. Di fronte a tale silenzio, non vedo perché un ricorso per risarcimento dei danni proposto dalla Commissione in nome dell’Unione europea nei confronti di uno Stato membro a norma dell’articolo 258 TFUE debba essere escluso, dato che sussistono argomentazioni sistemiche piuttosto solide a sostegno di una simile eventualità.

52.      In primo luogo, considerando la formulazione dei trattati, non vi è nulla negli articoli da 258 a 260 TFUE – o in altre disposizioni del Trattato relative a tale materia – che escluda la possibilità di valutare l’esistenza e la violazione di un siffatto obbligo di risarcimento mediante la procedura di infrazione. Un’azione di tale natura sarebbe consona alla finalità e ai limiti procedurali della procedura d’infrazione, poiché sarebbe diretta a ottenere la dichiarazione da parte della Corte che uno Stato membro è venuto meno a un obbligo di risarcimento e, di fatto, non sarebbe equivalente a un’ingiunzione di pagamento (18).

53.      In secondo luogo, a livello sistemico, è difficilmente contestabile che l’obbligo di compensare le eventuali perdite causate all’Unione europea sia l’espressione più specifica dell’obbligo generale di risarcire qualsiasi illecito, essendo questo il principio guida di ogni sistema di diritto pubblico, privato e internazionale (19).

54.      Nel diritto dell’Unione, l’articolo 340 TFUE stabilisce che l’Unione deve risarcire «conformemente ai principi generali comuni ai diritti degli Stati membri», i danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi funzionari. La giurisprudenza della Corte ha inoltre riconosciuto, sulla base dei principi generali comuni agli Stati membri e basandosi sul dovere di cooperazione leale (20), che il principio della responsabilità dello Stato per danni cagionati ai singoli derivanti da violazioni del diritto dell’Unione è inerente al sistema dei trattati(21).

55.      Tuttavia ritengo che sia essenziale, per quanto riguarda l’ultima affermazione, sottolineare chiaramente una differenza fondamentale. L’affermazione secondo cui l’assenza di un’esplicita base giuridica (procedurale o sostanziale) non costituirebbe un motivo sufficiente per escludere l’esistenza di un obbligo di compensazione è stata chiaramente enunciata con riferimento alla enunciazione del principio della responsabilità degli Stati membri per i danni cagionati ai singoli (livello sistemico). Non è stata enunciata con riferimento all’obbligo di individuare un chiaro obbligo giuridico nel caso specifico, che dovrebbe dar luogo alla responsabilità dello Stato (livello del caso specifico) (22).

56.      In terzo luogo, la possibilità di ritenere gli Stati membri finanziariamente responsabili verso l’Unione per le violazioni del diritto di quest’ultima potrebbe anche essere considerata come il riempimento di un vuoto nel sistema della responsabilità per le violazioni del diritto dell’Unione. In effetti, nel panorama della responsabilità per le violazioni del diritto dell’Unione le altre possibilità sono già state fornite. La responsabilità dell’Unione europea è garantita dall’articolo 340 TFUE. Gli Stati membri potrebbero, in teoria, avvalersi anche di tale base giuridica per avviare un’azione di risarcimento nei confronti dell’Unione (23). La responsabilità degli Stati membri nei confronti dei singoli è garantita attraverso il principio della responsabilità dello Stato di cui sopra. Infine, la responsabilità individuale delle persone fisiche e giuridiche per le violazioni del diritto dell’Unione è soggetta alle norme nazionali in materia di responsabilità civile (24).

57.      L’unico scenario rimasto è, dunque, la responsabilità di uno Stato membro per danni causati all’Unione europea da una violazione del diritto dell’Unione. Si potrebbe tuttavia affermare che non esiste nessuna lacuna a questo riguardo, in quanto tale regime di responsabilità può rientrare nel regime generale di responsabilità statale degli Stati membri (25). Secondo tale approccio, l’Unione europea dovrebbe agire dinanzi ai giudici di tale Stato membro per accertare le responsabilità (statale?) di detto Stato membro, allo stesso modo delle persone fisiche.

58.      Benché un siffatto scenario potrebbe essere ipotizzabile per i casi concernenti la responsabilità civile di uno Stato membro al di fuori dei suoi doveri e obblighi (di diritto pubblico) verso l’Unione in quanto membro della stessa (26), ciò avrebbe poco senso, o non ne avrebbe affatto, in casi come quello di specie, che sono di fatto controversie istituzionali e costituzionali tra l’Unione europea e i suoi membri, che hanno semplicemente talune implicazioni monetarie per lo Stato membro. Quest’ultima tipologia di casi è infatti di competenza naturale degli organi giurisdizionali dell’Unione. Inoltre, è altrettanto vero che, dal punto di vista formale, il ricorso è stato proposto dalla Commissione come azione per inadempimento ai sensi dell’articolo 258 TFUE, per la quale la Corte è certamente competente.

59.      Inoltre, si potrebbe aggiungere che un’azione per inadempimento basata sul mancato risarcimento da parte degli Stati membri delle perdite da essi causate sembra ben concordare con lo schema generale e con il contesto degli articoli da 258 a 260 TFUE. In particolare, tale possibilità è in linea con l’obiettivo ultimo dei procedimenti per inadempimento, che è quello di «giungere all’effettiva eliminazione degli inadempimenti e dei loro effetti passati e futuri» (27).

60.      Infine, la possibilità di chiedere non solo la dichiarazione di una violazione del Trattato, ma anche la dichiarazione del mancato risarcimento per tale specifica violazione del trattato, consentirebbe anche di rafforzare la coerenza del sistema. Infatti, è ben vero che un ricorso per inadempimento più «tradizionale» mirato alla soggiacente violazione del diritto dell’Unione che ha determinato il danno (28), nel singolare panorama di questo caso e di casi analoghi non avrebbe molto senso, per due motivi.

61.      Da un lato, una procedura «due in uno» sarebbe più efficace nei casi di danno causato un’azione o una prassi già concluse al momento della formulazione del parere motivato. In tali situazioni una dichiarazione di inadempimento che sia limitata alla violazione dell’obbligo sostanziale (nel caso di specie, la violazione originale o intermedia) sarebbe di scarsa utilità. Questo è il caso, in particolare, del settore specifico delle risorse proprie, in cui far valere la violazione sostanziale del diritto dell’Unione separatamente dalle conseguenze finanziarie della stessa non avrebbe molto senso (29). Ciò rende spesso necessario, nei casi specifici in questo campo, l’avvio di azioni in cui gli effetti della violazione del diritto dell’Unione si identificano fin da subito come l’oggetto stesso dell’inadempimento. Ma ancora una volta ciò è del tutto logico, e chiaramente connesso con la struttura di tale caso: un’azione per inadempimento per mancato risarcimento di un danno, come nel caso di specie, è funzionalmente equivalente a un’azione per inadempimento per la mancata messa a disposizione di risorse proprie dovute da uno Stato membro.

62.      D’altro canto, è vero che l’articolo 260, paragrafo 1, TFUE implica l’obbligo per lo Stato membro di prendere tutti i provvedimenti necessari per conformarsi a una sentenza della Corte che abbia constatato un inadempimento. Tali provvedimenti potrebbero finire col comprendere l’obbligo di risarcire le perdite che ne derivano (30). Tuttavia, è altrettanto vero che la natura dei provvedimenti che devono essere adottati dagli Stati membri al fine di porre fine all’inadempimento degli obblighi dell’Unione non può essere stabilita dalla Corte (31), ed è allo Stato membro che ne spetta la determinazione (32). Pertanto, la questione dell’esistenza di un obbligo di risarcire la perdita resterebbe ancora aperta.

63.      Dal punto di vista formale, è anche vero che un successivo ricorso ai sensi dell’articolo 260, paragrafo 2, TFUE potrebbe offrire la possibilità di verificare se uno Stato membro abbia adempiuto i propri obblighi definiti da una precedente sentenza, compreso l’obbligo di risarcimento delle perdite. Tale suggerimento, tuttavia, non tiene conto della logica di un’azione per mancato risarcimento al bilancio dell’Unione delle perdite ad esso causate da parte di uno Stato membro, in cui l’accertamento e la quantificazione delle perdite, come in ogni altra azione di riparazione/risarcimento del danno, fa parte della decisione nel merito della controversia. Una siffatta valutazione è molto diversa da potenziali esami successivi per verificare se una precedente sentenza sia stata osservata o meno (sotto il profilo dell’esecuzione) (33), come nel caso di una valutazione ai sensi dell’articolo 260 TFUE. Inoltre, se la questione del risarcimento delle perdite sorgesse soltanto in quanto questione di attuazione irregolare di una sentenza della Corte, in questa fase lo Stato membro affronterebbe per la prima volta la questione del risarcimento delle perdite subite dall’Unione europea, essendo allo stesso tempo esposto a sanzioni che potrebbero derivare dall’applicazione di tale articolo (che non mirano, in ogni caso, al risarcimento dei danni o delle perdite).

64.      Infine, da una più ampia considerazione del sistema dell’Unione delle vie legali disponibili, se si ammette che gli Stati membri non possono contestare la validità delle lettere di diffida che, come nel caso di specie, chiedono a uno Stato membro di mettere a disposizione una somma a titolo di risorse proprie perse in un altro Stato membro (34), gli Stati membri devono avere il diritto di contestare la fondatezza di tale obbligo dinanzi ai giudici dell’Unione nell’ambito di un procedimento per inadempimento (35). Pertanto, nella fase del procedimento per inadempimento ai sensi dell’articolo 258 TFUE, tutte le presunte violazioni del diritto dell’Unione, comprese quelle iniziali e soggiacenti, devono poter essere oggetto di riesame giuridico.

2.      Elementi da accertare

65.      Pertanto, non vedo nulla, né nel testo né nell’insieme dei trattati che impedisca, di per sé, alla Commissione di richiedere un approccio «due in uno» nell’ambito della procedura di cui all’articolo 258 TFUE. Esso sarebbe cioè finalizzato alla dichiarazione di illegittimità di taluni comportamenti imputabili a uno Stato membro e, simultaneamente, alla dichiarazione dell’inadempimento dell’obbligo di risarcimento delle perdite per il bilancio dell’Unione derivanti da tale illegittimità.

66.      Proponendo tale domanda, tuttavia, cambia la natura di una siffatta azione ai sensi dell’articolo 258 TFUE. Tale azione non è più la «tradizionale» dichiarazione generica di inadempimento da parte di uno Stato membro. Si tratta di uno specifico caso di illecito che viene dichiarato essere causa di uno specifico danno al bilancio dell’Unione. In sostanza, diventa un ricorso per il risarcimento del danno asseritamente causato da uno Stato membro all’Unione europea.

67.      Pertanto, se la Commissione chiede, per conto dell’Unione europea, una dichiarazione di mancato risarcimento di un danno specifico per una specifica violazione del diritto dell’Unione imputabile a uno Stato membro e occorsa in passato, tale domanda è soggetta agli stessi criteri e alle stesse prove di un’azione per responsabilità extracontrattuale.

68.      Le condizioni delle azioni per risarcimento dei danni causati da violazioni del diritto dell’Unione sono andate a convergere nel corso degli anni (36), e giustamente. Se la Commissione sta effettivamente chiedendo che venga dichiarata la responsabilità di uno Stato membro, anche se il veicolo formale per proporre tale azione continua ad essere l’articolo 258 TFUE, non vedo alcuna ragione per cui tali condizioni debbano divergere nuovamente. Quindi, in generale, perché sorga responsabilità extracontrattuale in base al diritto dell’Unione occorre che vi sia una violazione di una norma del diritto dell’Unione preordinata a conferire diritti. Tale violazione del diritto dell’Unione deve inoltre, essere sufficientemente qualificata. Il danno deve essere accertato. Deve esistere un nesso causale diretto tra la violazione dell’obbligo incombente all’autore dell’atto e il danno subito dal soggetto leso.

69.      È per questo motivo che, a mio avviso, le argomentazioni presentate nell’ambito di un ricorso per inadempimento, sulla base del mancato risarcimento dei danni causati da una violazione del diritto dell’Unione, dovrebbero soddisfare tali requisiti. La natura «due in uno» di tali procedimenti li rende particolarmente suscettibili al rischio di confusione per quanto riguarda i requisiti giuridici che corrispondono alle due fasi. In particolare, vi è il rischio che le caratteristiche dei procedimenti per inadempimento vengano inserite in maniera selettiva nella valutazione della violazione del diritto dell’Unione, facendo presumibilmente sorgere l’obbligo di risarcimento.

70.      In primo luogo, i ricorsi per inadempimento sono di natura oggettiva: la semplice violazione di un obbligo imposto dall’Unione è di per sé sufficiente a costituire una violazione (37). Elementi soggettivi quali la colpa o la negligenza non svolgono alcun ruolo nella valutazione della violazione (38). Per contro, non è così quando si tratta di accertare se una violazione del diritto dell’Unione dia luogo a un obbligo di risarcimento. Non tutti gli illeciti danno automaticamente luogo a responsabilità. Deve sussistere una violazione sufficientemente qualificata perché vi sia l’obbligo di ripianare le perdite. Questo comporta una violazione grave e manifesta da parte dello Stato membro dei limiti posti al suo potere discrezionale (39). I fattori da prendere in considerazione in sede di valutazione di tale condizione comprendono: «il grado di chiarezza e di precisione della norma violata, l’ampiezza del potere discrezionale che tale norma riserva alle autorità nazionali o [dell’Unione], il carattere intenzionale o involontario della trasgressione commessa o del danno causato, la scusabilità o l’inescusabilità di un eventuale errore di diritto, la circostanza che i comportamenti adottati da un’istituzione [dell’Unione] abbiano potuto concorrere all’omissione, all’adozione o al mantenimento in vigore di provvedimenti o di prassi nazionali contrari al diritto [dell’Unione]» (40).

71.      In secondo luogo, in una richiesta «tradizionale» ai sensi dell’articolo 258 TFUE la Commissione non è tenuta a dimostrare il proprio interesse ad agire specifico: il procedimento d’infrazione non è inteso a tutelare i diritti propri della Commissione (41). Per contro, quando si rivendica il diritto di essere risarciti per un determinato importo, che è la conseguenza di una specifica violazione del diritto dell’Unione, occorre accertare l’esistenza di uno specifico diritto dell’Unione europea (42) e dell’obbligo correlato e chiaramente definito incombente agli Stati membri che avrebbero violato e causato i danni specifici per i quali è richiesto il risarcimento.

72.      In terzo luogo, nell’ambito della procedura di infrazione, spetta alla Commissione provare l’esistenza del contestato inadempimento degli obblighi incombenti allo Stato membro, fornendo alla Corte tutti gli elementi necessari perché questa accerti l’esistenza di tale inadempimento, senza basarsi su semplici presunzioni (43). Tuttavia, poiché l’obiettivo principale di un ricorso ai sensi dell’articolo 258 TFUE è il rispetto del diritto dell’Unione da parte degli Stati membri (44), l’assenza o l’esistenza di danni o di effetti negativi è irrilevante (45). Anche in questo caso, per contro, in riferimento alla richiesta da parte della Commissione di un esatto importo a titolo di risarcimento dei danni, è necessario non solo accertare l’illecito, ma anche dimostrare il danno e il nesso di causalità diretto tra l’illecito e il suddetto danno (46). Infatti, spetta alla parte che invoca l’esistenza della responsabilità fornire prove concludenti in ordine all’esistenza e alla portata del danno che lamenta, e alla sussistenza di un nesso di causalità sufficientemente diretto tra il comportamento contestato e il danno lamentato (47).

73.      Pertanto, la conclusione generale è molto semplice: quando un ricorrente chiede effettivamente il risarcimento dei danni, questi deve provare il danno secondo i criteri applicabili in generale ai sensi del diritto dell’Unione per quel tipo di domanda. Parte della confusione che permea la fattispecie è dovuta al fatto che la Commissione chiede che sia dichiarato una «tripla illegittimità» e il conseguente pagamento di un importo preciso a titolo di risarcimento; mentre essa sostiene al contempo che tutto ciò è soggetto ai requisiti procedurali del procedimento di cui all’articolo 258 TFUE, rimanendo nel complesso a un livello astratto e non impegnandosi a fornire le prove dei danni specifici, senza essere obbligata a quantificare l’importo preciso richiesto a titolo di risarcimento e di un nesso di causalità tra detto importo e gli asseriti illeciti.

3.      Il sistema delle risorse proprie

74.      Infine, l’ultimo aspetto da chiarire è quale importanza derivi, in un caso come quello in esame, dal fatto che il risarcimento richiesto (e uno degli illeciti contestati) si riferisca al settore specifico delle risorse proprie dell’Unione.

75.      Nel quadro del sistema delle risorse proprie, gli Stati membri sono tenuti ad accertare le risorse proprie dell’Unione non appena le rispettive autorità doganali siano in grado di calcolare l’importo dei dazi risultanti da un’obbligazione doganale e di determinare il soggetto passivo, indipendentemente dal fatto che criteri per l’applicazione dell’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del codice doganale siano soddisfatti (48).  È soltanto il rispetto delle condizioni previste dall’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento n. 1552/89 (forza maggiore o qualora vi siano importi irrecuperabili per ragioni che non sono imputabili allo Stato membro) che consente a uno Stato membro di essere esonerato da tale obbligo (49).

76.      L’argomento dedotto dalla Commissione nell’ambito della presente controversia si riduce essenzialmente a suggerire che tale regime dovrebbe essere applicabile anche al Regno Unito, e/o ad Anguilla, che è sotto il controllo di tale Stato membro.

77.      Ritengo che un simile approccio sia molto discutibile. La Commissione chiede semplicemente l’applicazione ex post di un regime molto specifico mediante una doppia analogia:  non soltanto spostandolo dal momento in cui normalmente sorge il debito doganale (al momento dell’entrata nel territorio dell’Unione), ma anche rendendo detto regime applicabile ad uno Stato membro diverso da quello su cui grava di norma l’onere (vale a dire lo Stato membro nel cui territorio le importazioni hanno avuto effettivamente luogo).

78.      Non ritengo che tale analogia sia possibile. In primo luogo, la giurisprudenza citata dalla Commissione a sostegno di tale tesi si riferisce sempre a situazioni in cui uno Stato membro era venuto meno ai propri obblighi nell’ambito del regime delle risorse proprie (50). In altri termini, senza dubbio era dovere dello Stato membro in questione, che era anche lo Stato membro d’importazione, mettere a disposizione l’importo dovuto delle risorse proprie. Tuttavia, il presente caso non riguarda gli obblighi imposti al Regno Unito dalle disposizioni specifiche sulle risorse proprie dell’Unione (51). Il presente caso riguarda l’obbligo di risarcire, in base al principio di leale cooperazione con riferimento alle perdite sostenute in un altro Stato membro.

79.      Con la sua azione, la Commissione mira ad applicare tale giurisprudenza a una situazione che esula dagli obblighi stabiliti sia nel codice doganale sia nel regolamento n. 1552/89 (52). Essa mira ad attribuire al Regno Unito le perdite di risorse proprie subite in Italia mediante l’applicazione dell’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), e dell’articolo 239 del codice doganale, forse ritenendo (53) che l’Italia non potesse riscuotere i dazi per motivi ad essa non imputabili, ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento n. 1522/98.

80.      Ciò presenta un duplice problema. In primo luogo, l’obbligo previsto dal diritto dell’Unione per uno Stato membro è sostanzialmente trasferito ad un altro Stato membro. In secondo luogo, ciò comporta anche che ad uno Stato membro sia imposto, automaticamente e senza ulteriori verifiche, l’obbligo di pagare gli importi stabiliti da un altro Stato membro.

81.      Nella sua motivazione su questo punto, la Commissione sembra ignorare il fatto che l’obbligo finale di risarcimento delle perdite subite in un altro Stato membro non è disciplinato dalle norme specifiche del regolamento sulle risorse proprie. Poiché il caso si trova al di fuori della portata degli obblighi espressamente stabiliti dal sistema delle risorse proprie, si devono applicare le norme generali per quanto riguarda l’accertamento del danno. In tale contesto, la Commissione non può semplicemente fare riferimento alle norme del diritto dell’Unione in materia di risorse proprie, applicabili a una situazione diversa, al fine di rendere le perdite (e la loro quantificazione) automaticamente imputabili a un altro Stato membro.

82.      Comprendo le difficoltà di tipo probatorio che potrebbero sorgere per la Commissione nel dimostrare una siffatta pretesa, soprattutto ove detta pretesa debba essere intesa come riferita alla responsabilità di uno Stato membro, come suggerito nella precedente sezione. In effetti, l’applicazione delle condizioni del codice doganale in base alle quali i dazi doganali possono essere oggetto di sgravio o di mancata riscossione (54), nonché l’attivazione dell’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento n. 1552/89 (55), dipendono in larga parte dalla valutazione dello Stato membro che avrebbe dovuto accertare le risorse proprie in questione.

83.      Pertanto, in fin dei conti, se la Commissione desidera avviare un’azione di risarcimento nei confronti di un altro Stato membro, essa dovrà in tal caso basarsi sulle informazioni fornite dallo Stato membro in cui sono state subite le perdite (56). Spetterà poi alla Commissione reperire informazioni e verificarle, al fine di soddisfare i requisiti di cui sopra (57). Tuttavia, ciò che, a mio parere, non è possibile è l’applicazione automatica degli esiti del sistema oggettivo delle risorse proprie creato da uno Stato membro a un altro Stato membro, al quale non si applicano né gli obblighi del codice doganale né il sistema delle risorse proprie in un caso specifico.

84.      In sintesi, l’imposizione ad uno Stato membro delle valutazioni effettuate da un altro Stato membro sia sulla comparabilità delle decisioni in materia di sgravio o di rinuncia alla riscossione di dazi doganali, sia sull’autovalutazione dell’impossibilità definitiva di recuperare le risorse proprie, insieme ad un livello potenzialmente discutibile di prove documentali per dimostrare l’importo dei debiti in questione, non soltanto è privo di fondamento giuridico, ma comporta anche notevoli rischi per il buon funzionamento del sistema delle risorse proprie derivanti dalla riscossione dei dazi, perché non ne rispetta la logica e l’attribuzione, nel suo ambito, di obblighi e responsabilità. Infine, esso porrebbe anche gravi questioni per quanto riguarda il rispetto dei diritti della difesa dello Stato membro di cui trattasi, in quanto la valutazione e le stime effettuate dallo Stato membro originario non potrebbero di fatto essere mai contestate.

C.      Applicazione al caso di specie

85.      La Commissione chiede di dichiarare che il Regno Unito è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza del principio di leale cooperazione. Ciò in quanto non ha compensato la perdita di un importo di risorse proprie che avrebbero dovuto essere costituite e messe a disposizione del bilancio dell’Unione a norma del regolamento n. 1552/89 se i certificati EXP non fossero stati rilasciati in violazione dell’articolo 101, paragrafo 2, della decisione PTOM per le importazioni di alluminio da Anguilla nel periodo dal 1999 al 2000.

86.      Per stabilire se vi sia stata effettivamente un’inosservanza dell’obbligo di compensazione delle perdite di risorse proprie, come sostenuto dalla Commissione, è necessario verificare in primo luogo se esisteva siffatto obbligo di risarcimento, la cui violazione era sufficientemente qualificata (1), che poteva poi cagionare danni specifici e quantificabili (2), e se vi fosse un nesso di causalità tra l’illecito e i danni conseguenti.

87.      A mio avviso, il ricorso della Commissione non soddisfa tali requisiti. La Commissione non ha dimostrato il carattere illecito dei certificati EXP all’origine della controversia, e ancor meno la qualificazione dell’inadempimento addebitato al Regno Unito che consisterebbe nel non aver impedito o controllato l’emissione di tali certificati (1). Inoltre, vi sono anche evidenti carenze per quanto riguarda l’accertamento e la quantificazione del danno (2).

1.      Illegittimità (consistente in una violazione sufficientemente qualificata)

88.      La Commissione sostiene che è pacifico che i certificati EXP sono stati rilasciati indebitamente dalle autorità doganali di Anguilla. Il Regno Unito ha omesso di prendere i provvedimenti opportuni per evitare che ciò si verificasse. La responsabilità del Regno Unito deriva dalla sovranità che esso esercita su Anguilla. La Commissione sottolinea che il Regno Unito ha diversi poteri su Anguilla in forza del proprio diritto costituzionale, ma che le misure adottate da detto Stato membro sono state insufficienti. Tra l’altro, il fatto che l’FCO abbia chiesto all’HMRC di condurre un’indagine dimostra che il Regno Unito aveva facoltà di agire. Inoltre, sebbene l’FCO non fosse ignaro della situazione nel febbraio 1998, il Regno Unito ha informato l’UCLAF soltanto nel novembre 1998. Se il Regno Unito avesse agito tempestivamente, dopo la comunicazione di reciproca assistenza dell’UCLAF, emessa nel febbraio 1999, le perdite avrebbero potuto essere evitate. Provvedimenti appropriati da parte del Regno Unito avrebbero portato ad un intervento per prevenire la perdita di risorse proprie.

89.      Il Regno Unito si è opposto agli argomenti della Commissione. Esso contesta, in primo luogo, che i certificati EXP rilasciati in Anguilla fossero illegittimi. Gli accordi tra il governo di Anguilla e la Corbis sono stati modificati nel dicembre 1998. Pertanto, le fatture emesse successivamente a tale data non erano più riferite alle indennità di spedizione per l’esportazione. Il Regno Unito ha adottato un certo numero di misure: è stata condotta un’indagine dell’HMRC sulla cui base è stata adottata una relazione, il 19 novembre 1998. I dettagli completi delle risultanze sono stati trasmessi all’UCLAF sei giorni dopo tale data. Le importazioni di alluminio pertinenti sono state effettuate il 1o aprile 1999 e successivamente a tale data; quell’epoca la relazione del Regno Unito era già stata emessa e la comunicazione di reciproca assistenza dell’UCLAF era già in circolazione da sei settimane. Il cambiamento nelle pratiche di fatturazione ha dissipato ogni rimanente dubbio da parte del Regno Unito.

90.      Inoltre, per quanto concerne la dimensione procedurale, il Regno Unito sostiene che la procedura di partenariato di cui all’articolo 7, paragrafo 7, dell’allegato III della decisione PTOM era stata invocata dal governo di Anguilla, che all’epoca ha avuto incontri trilaterali con la Commissione e le autorità italiane. La Commissione avrebbe dovuto seguire le misure prescritte dalla decisione PTOM per ovviare agli errori, compresa la procedura di risoluzione delle controversie di cui all’articolo 235 della decisione PTOM, o adottare misure di tutela. Tenendo conto della controversia all’epoca ancora in corso tra il governo di Anguilla e la Commissione, riguardante l’interpretazione della nozione di «restituzione dei dazi», non sarebbe stato opportuno per il Regno Unito adottare ulteriori misure.

a)      Lobbligo principale, la cui violazione deve essere accertata

91.      Il ricorso della Commissione non è chiaro per quanto riguarda la questione se la violazione della decisione PTOM sia direttamente imputabile al Regno Unito.  Nonostante alcuni punti del suo ricorso suggeriscano piuttosto il contrario (58), la Commissione non sembra affermare esplicitamente che le autorità doganali di Anguilla debbano essere considerare autorità britanniche e che il rilascio illegale dei certificati EXP sia direttamente imputabile al Regno Unito. In effetti, nella sua replica alla memoria d’intervento presentata dal governo dei Paesi Bassi, nel caso di specie, la Commissione ha chiarito di non essere dell’opinione che le asserite infrazioni si basino sul presupposto che Anguilla sia parte integrante del Regno Unito. Quando in udienza è stata invitata esplicitamente a fornire chiarimenti su questo punto, la Commissione ha confermato che l’obiettivo della sua azione non era determinare chi avesse violato la decisione PTOM.

92.      Senza voler sembrare un formalista giuridico, trovo alquanto difficile trattare la questione dell’obbligo di risarcimento senza un’esplicita indicazione di chi sarebbe responsabile (soggetto della responsabilità) ed esattamente di cosa (obbligo giuridico violato). Il fatto che tale incertezza sia avvolta nel dovere di leale cooperazione, apparentemente onnicomprensivo, non contribuisce a mio avviso in alcun modo a ridurre la mancanza di chiarezza.

93.      Tuttavia, comprendo anche il motivo per cui la Commissione ha inteso rimanere vaga sulla questione. La complessa natura giuridica delle relazioni dei PTOM con il diritto dell’Unione non rende facile alla Commissione sostenere la sua tesi. Infatti, ai sensi dell’articolo 355, paragrafo 2, TFUE, la parte quarta del trattato, sulla cui base è stata adottata la decisione PTOM, definisce lo «speciale regime di associazione» che si applica ai PTOM. Secondo un’interpretazione, questo assetto costituzionale poco chiaro determinerebbe uno «status ibrido» (59). Da un lato, i PTOM non possono essere considerati parte dell’Unione europea (ai fini della libera circolazione delle merci e dell’applicazione delle norme doganali, tra gli altri) (60) e, in mancanza di un riferimento esplicito, le norme generali del trattato non si applicano ai PTOM (61). D’altro canto, la legislazione dei PTOM non è un ordinamento giuridico distinto, blindato rispetto al sistema generale del diritto dell’Unione (62). Ciò comporta l’applicabilità dei principi generali e delle disposizioni dei trattati che sono necessari per il funzionamento operativo in quanto parte del diritto dell’Unione (63), o che definiscono il proprio ambito di applicazione con riferimento alle materie alle quali si applicano (64).

94.      In tale contesto, la questione della responsabilità per le azioni amministrative dei PTOM è particolarmente complessa, tenendo presente in particolare che la decisione PTOM stabilisce percorsi specifici per gestire le controversie emergenti nel suo ambito di applicazione. In primo luogo, a livello generale, l’esistenza di un meccanismo di compartecipazione (65). In secondo luogo, nel particolare sistema di scambi preferenziali, l’esistenza di un sistema di cooperazione amministrativa nel settore delle dogane, con obblighi specifici in materia di verifica imposti ai PTOM e allo Stato membro d’importazione (66). Sono assegnate competenze specifiche alle autorità amministrative dei PTOM, da un lato, e allo Stato membro interessato, dall’altro.

95.      È in questo specifico contesto che la Commissione ha deciso di non attribuire direttamente al Regno Unito la violazione della decisione PTOM (mediante l’emissione di certificati EXP irregolari). La violazione che la Commissione imputa al Regno Unito come base della sua responsabilità finanziaria di compensare le perdite di cui trattasi consiste nel non aver adottato provvedimenti atti a prevenire e monitorare la violazione della decisione PTOM delle autorità doganali di Anguilla.

96.      A mio avviso, contrariamente agli argomenti del Regno Unito, non vi sono dubbi che gli Stati membri che hanno relazioni particolari con i PTOM hanno l’obbligo di adottare tutte le misure idonee a prevenire e monitorare le violazioni del diritto dell’Unione che possono derivare dal comportamento delle autorità dei PTOM nell’ambito del regime di associazione. Tale obbligo generale discende infatti dal principio costituzionale di leale cooperazione (67). Come principio generale che disciplina il rapporto reciproco tra l’Unione europea e gli Stati membri, esso deve applicarsi ogni volta che si applica il diritto dell’Unione, come è il caso nell’ambito della decisione PTOM. Non potrebbe essere altrimenti, soprattutto se si considera che è stato grazie all’iniziativa di detto Stato membro che detto PTOM è stato inserito nell’allegato II di cui all’articolo 355, paragrafo 2, TFUE, e che lo Stato membro che intrattiene relazioni particolari con i PTOM mantiene complessivamente la sovranità su di essi. Inoltre, il Regno Unito stesso solleva la pertinenza dell’articolo 4 TUE quando si tratta di riconoscere l’obbligo dell’Unione europea, stabilito nel secondo comma di detto articolo, di rispettare l’identità nazionale degli Stati membri (68). Sarebbe quindi piuttosto contraddittorio sostenere che tale disposizione si applica per quanto riguarda la parte quarta del TFUE e la decisione PTOM, ma che il principio di leale cooperazione enunciato al paragrafo 3 di quella medesima disposizione rimane del tutto estraneo.

97.      L’obbligo di adottare tutte le misure appropriate, di carattere generale o specifico, per garantire il rispetto degli obblighi derivanti dalla decisione PTOM vincola il Regno Unito. Tale responsabilità generale si estende poi logicamente a tutti gli obblighi imposti al PTOM. Ciò vale anche quando non vi sia alcuna disposizione espressa in tale decisione che imponga esplicitamente un obbligo di monitorare (o meglio di controllo di secondo livello) sulle autorità doganali dei PTOM nell’emissione dei certificati EXP.

98.      Il Regno Unito ha sollevato argomentazioni costituzionali contro tale responsabilità generale, sostenendo che, in forza dell’assetto costituzionale del Regno Unito, esso non ha alcun potere né di legiferare in generale per Anguilla né di controllare le singole decisioni amministrative emesse dalle sue autorità. Nonostante queste argomentazioni, si può semplicemente osservare che le circostanze del caso di specie, non contestate sotto tale profilo (v. supra, paragrafi 14, 16 e 89), mostrano una realtà diversa. Sono state le autorità del Regno Unito ad effettuare inizialmente indagini ad Anguilla, a seguito delle quali la prassi delle autorità di Anguilla risulta essere stata modificata. A seguito del cambiamento nelle suddette pratiche di fatturazione, le autorità del Regno Unito non hanno più sentito la necessità di intraprendere ulteriori azioni.

99.      In considerazione di tali dichiarazioni e del corso degli eventi, è piuttosto difficile condividere la teoria secondo cui il Regno Unito, in quanto Stato membro che dispone, di fatto, di una relazione particolare con il PTOM in questione, non fosse in alcun modo responsabile di controllare indirettamente e tenere sotto controllo eventuali violazioni della decisione PTOM asseritamente commesse dalle autorità di Anguilla.

100. In realtà, tuttavia, non è necessario definire con certezza questo aspetto, per una ragione piuttosto semplice: la questione della responsabilità per mancanza di leale collaborazione consistente nel non aver adottato misure appropriate di prevenzione e controllo si solleverebbe solo qualora venisse accertata in primis l’illegittimità del comportamento contestato. Pertanto, in linea con quanto già suggerito (69), è la natura illecita dei certificati EXP che diventa il primo elemento propedeutico, insieme alla sussistenza di danni specifici causati dall’illecito di cui trattasi.

b)      La violazione iniziale

101. A mio avviso, il Regno Unito ha ragione nel sottolineare che la Commissione non ha dimostrato, secondo il grado di prova richiesto, che i 12 certificati EXP rilasciati nel 1999 e allegati al suo ricorso, non fossero validi, a causa della concessione da parte del governo di Anguilla di «un esonero o restituzione, parziale o totale, dei dazi doganali».

102. Come chiarito dalla Commissione in udienza, la valutazione se i pagamenti corrispondenti ai «servizi resi dalla Corbis» dopo il dicembre 1998 costituiscano rimborsi inammissibili che inficerebbero i relativi certificati EXP, si basa solo sulle conclusioni dell’OLAF nella sua relazione del 2003.

103. È certamente vero che, in generale, una relazione dell’OLAF costituisce una prova che può essere presa in considerazione dalla Corte. Tuttavia è necessario compiere vari passaggi argomentativi e/o probatori tra una siffatta relazione generale e la dimostrazione dell’emissione illecita di taluni certificati di esportazione. Ed è questo il caso, poiché lo Stato membro convenuto nel procedimento dinanzi alla Corte, contrariamente a quanto afferma la Commissione, ha ripetutamente contestato il fatto che tali certificati, rilasciati dopo i cambiamenti nella prassi di fatturazione nel dicembre 1998, fossero stati in primo luogo rilasciati illegalmente.

104. Di conseguenza, la Commissione non ha dimostrato, secondo il grado di prova richiesto, che i suddetti certificati allegati al suo ricorso a sostegno della sua domanda di risarcimento fossero effettivamente viziati da rimborsi inammissibili.

105. In sintesi, la Commissione non è riuscita a dimostrare l’illegittimità dell’emissione dei certificati EXP dopo il dicembre 1998. Poiché l’illegittimità che costituisce il fondamento della domanda di risarcimento non è stata accertata, l’azione della Commissione non può andare a buon fine, per quanto riguarda sia la mancata compensazione delle perdite di cui trattasi sia il mancato pagamento degli interessi.

106. A mio avviso, il ragionamento della Corte relativamente alla domanda presentata contro il Regno Unito potrebbe concludersi in questa fase. Tuttavia, a fini di completezza, e anche in considerazione del ricorso parallelo contro i Paesi Bassi (70), benché le questioni sopra esposte siano di maggiore rilevanza, desidero aggiungere due osservazioni conclusive (anche) sul carattere sufficientemente qualificato della violazione e sulla determinazione del danno nel caso di specie.

c)      Una violazione sufficientemente qualificata?

107. In ogni caso, anche qualora venisse accertato che è stata commessa un’illegittimità al livello «originale» o eventualmente «intermedio», troverei davvero difficile sostenere che il comportamento del Regno Unito nella presente causa abbia raggiunto la soglia di una violazione sufficientemente qualificata.

108. Gli argomenti delle parti (71), nonché i fatti nel caso di specie (72), dimostrano che all’epoca dei fatti era in corso un contenzioso su che cosa costituisse una «restituzione» dei dazi ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 2, della decisione PTOM. La mancanza di chiarezza in merito alla nozione di «restituzione» è divenuta ancora più palese con la versione successiva della decisione PTOM, che ha stabilito un metodo per valutare in cosa consiste un aiuto finanziario pubblico ammissibile nell’ambito del regime di trasbordo (73).

109. La mancanza di chiarezza su cosa valesse come «restituzione» all’epoca dei fatti impedisce di constatare che la presunta violazione commessa dal Regno Unito abbia raggiunto la soglia della sufficiente qualificazione. In effetti, i fattori che possono essere presi in considerazione al fine di accertare una «violazione sufficientemente qualificata», includono il grado di chiarezza e di precisione della norma violata, l’esistenza di un eventuale errore di diritto scusabile o inescusabile, o il fatto che la posizione adottata da un’istituzione dell’Unione possa aver contribuito all’omissione (74).

110. Infine, se, come è stato suggerito supra (75), nelle circostanze del caso di specie non risulta che il Regno Unito non potesse agire per quanto riguarda il monitoraggio e il controllo delle potenziali violazioni della decisione PTOM da parte delle autorità di Anguilla, i medesimi fatti dovrebbero essere anche considerati a vantaggio dello stesso Stato membro. Occorre riconoscere che detto Stato membro, non appena individuati i potenziali problemi con i certificati di esportazione in Anguilla, ha agito in modo relativamente rapido. Ha condotto l’indagine e ha altresì avvertito la Commissione e gli altri Stati membri, evitando in tal modo di contribuire o aggravare (per inerzia o negligenza) una violazione che avrebbe altrimenti potuto essere definita come sufficientemente qualificata.

111. Di conseguenza, anche se il carattere illecito dei certificati EXP per il periodo pertinente è stato accertato, quid non in questa fase, la violazione del diritto dell’Unione imputabile al Regno Unito non raggiunge la soglia di una violazione del diritto dell’Unione sufficientemente qualificata tale da poter far sorgere l’obbligo di risarcire i danni finanziari.

2.      Quantificazione del danno e nesso di causalità

112. Il Regno Unito ha sostenuto che la Commissione non ha ricondotto particolari esoneri o restituzioni concessi dal governo di Anguilla a determinati certificati EXP presentati alle autorità italiane al fine di dimostrare il nesso di causalità tra la presunta inosservanza della decisione PTOM e le perdite sostenute in Italia. Il Regno Unito ha inoltre affermato che la Commissione non ha dimostrato che i certificati EXP in questione abbiano causato la perdita di risorse proprie, dal momento che, tra l’altro, la Commissione non ha apportato elementi atti a dimostrare che tutte le importazioni interessate soddisfino i criteri stabiliti dalla decisione REC 03/2004 da applicarsi a casi analoghi.

113. I punti deboli nella tesi della Commissione, sottolineati dal Regno Unito, riguardano non solo la definizione e la quantificazione del danno stesso, ma anche la questione del nesso di causalità. Essi sono in parte riconducibili alla mancanza di chiarezza quanto al preciso obbligo giuridico violato e al conseguente illecito (76), ma in parte rivelano anche ulteriori problematiche proprie. Gli avvenimenti occorsi prima e durante il procedimento precontenzioso offrono un quadro delle sfide insite nell’accertamento e nella quantificazione del danno nell’ambito del presente ricorso.

114. Con lettera del 27 settembre 2010, la Commissione ha chiesto al Regno Unito un importo di EUR 2 670 001,29, a seguito delle informazioni fornite dall’Italia in merito all’applicazione delle decisioni REM 03/2004, REC 03/2004. Solo nel 2015, dopo aver emesso il parere motivato e dopo che il Regno Unito aveva più volte evidenziato la mancanza di documenti, la Commissione ha richiesto alle autorità italiane di fornirle informazioni dettagliate sulle dichiarazioni doganali. Questa richiesta aggiuntiva di ulteriori informazioni ha rivelato inesattezze nelle precedenti valutazioni in quanto, sulla base delle nuove informazioni, la Commissione ha accertato che l’importo da addebitare al Regno Unito era di EUR 1 500 342,31.

115. Riconoscendo che la relazione dell’OLAF del 2003 non conteneva elementi sufficienti per quantificare le perdite, e al fine di verificare tale importo, la Commissione ha allegato al suo ricorso una serie di documenti: un elenco dei dazi non riscossi dall’Italia; i certificati d’esportazione rilasciati da Anguilla con le dichiarazioni doganali per le importazioni in Italia, nonché le fatture trasmesse alla Commissione dalle autorità italiane.

116. A seguito di una richiesta della Corte, la Commissione ha cercato di fornire ulteriori chiarimenti sulle reciproche correlazioni dei suddetti documenti. Tuttavia, essa ha confermato che le verifiche e le prove documentali prodotte non coprivano gli importi corrispondenti a ciascuna delle operazioni di importazione oggetto del ricorso della Commissione.

117. In udienza, la Commissione ha sostenuto che essa non è tenuta a provare la corrispondenza tra le restituzioni concesse dalle autorità di Anguilla e gli specifici certificati EXP, né a sostenere l’onere della prova per dimostrare la restituzione (totale o parziale) delle tariffe. Essa non è tanto meno tenuta a verificare le decisioni di sgravio da parte dell’Italia. La Commissione ricava sostegno alle sue tesi da considerazioni di carattere sistematico basate sul funzionamento dell’unione doganale. La valutazione degli importi non recuperati spetta, secondo la Commissione, allo Stato membro in cui si sono verificate le perdite, il quale non è sempre obbligato a trasmettere i fascicoli alla Commissione.

118. A meno di non volere intendere la procedura d’infrazione di cui all’articolo 258 TFUE, e soprattutto una domanda di risarcimento da parte dell’Unione europea nei confronti di uno Stato membro che vi si cela, come una sessione (alquanto unilaterale) di impressionismo giuridico, sono propenso a dissentire profondamente dalla Commissione su questo punto. Alla Commissione, in quanto ricorrente, incombe l’onere della prova. Se vuole ottenere il risarcimento di un determinato importo per uno specifico illecito asseritamente commesso da uno Stato membro, la Commissione ha l’onere di provare sia l’illecito, giustificando anche gli importi richiesti, sia il nesso di causalità tra di essi.

119. Inoltre, questa successione di eventi dimostra chiaramente anche la serie di problemi pratici precedentemente esposti in termini generali (77): l’applicazione automatica delle valutazioni e dei calcoli degli importi specifici effettuata da uno Stato membro nel quadro del sistema delle risorse proprie non può essere accettata in sostituzione dell’accertamento e della quantificazione delle perdite secondo gli standard adeguati nell’ambito dei requisiti per l’accertamento dell’obbligo di risarcimento.

VI.    Sulle spese

120. Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Il Regno Unito ha chiesto la condanna della Commissione alle spese e quest’ultima è rimasta soccombente. La Commissione deve quindi essere condannata alle spese.

121. Ai sensi dell’articolo 140, paragrafo 1, del regolamento di procedura, gli Stati membri intervenuti nel procedimento sopportano le proprie spese. Pertanto il Regno dei Paesi Bassi sopporterà le proprie spese.

VII. Conclusione

122. Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco che la Corte di giustizia voglia:

1)      respingere il ricorso;

2)      condannare la Commissione europea alle spese;

3)      condannare il Regno dei Paesi Bassi a sopportare le proprie spese.


1      Lingua originale: l’inglese.


2      In seguito divenuto articolo 10 CE, ora articolo 4, paragrafo 3, TUE.


3      Decisione del Consiglio, del 25 luglio 1991, relativa all’associazione dei paesi e territori d’oltremare alla Comunità economica europea (GU 1991, L 263, pag. 1) (in prosieguo: la «decisione PTOM»).


4      Regolamento del Consiglio, del 29 maggio 1989, recante applicazione della decisione 88/376/CEE, Euratom, relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità (GU 1989, L 155, pag. 1).


5      Regolamento del Consiglio, dell’8 luglio 1996, che modifica il regolamento n. 1552/89 recante applicazione della decisione n. 88/376/CEE, Euratom relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità (GU 1996, L 175, pag. 3).


6      Regolamento n. 1150/2000 del Consiglio, del 22 maggio 2000, recante applicazione della decisione 94/728/CE, Euratom, relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee (GU 2000, L 130, pag. 1).


7      Regolamento del Consiglio, del 16 novembre 2004, che modifica il regolamento n. 1150/2000 recante applicazione della decisione 94/728/CE, Euratom relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità (GU 2004, L 352, pag. 1).


8      Tale unità è stata sostituita inizialmente dalla Task Force per il Coordinamento della lotta antifrode e, successivamente, dall’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF). V. decisione della Commissione 1999/352/CE, CECA, Euratom, del 28 aprile 1999, che istituisce l’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) (GU 1999, L 136, pag. 20).


9      Regolamento del Consiglio, del 13 marzo 1997, relativo alla mutua assistenza tra le autorità amministrative degli Stati membri e alla collaborazione tra queste e la Commissione per assicurare la corretta applicazione delle normative doganale e agricola (GU 1997, L 82, pag. 1).


10      Regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, che istituisce un codice doganale comunitario (GU 1992, L 302, pag. 1). Ai sensi dell’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), di tale regolamento, non si procede alla contabilizzazione a posteriori quando l’importo dei dazi legalmente dovuto non è stato contabilizzato per un errore dell’autorità doganale, che non poteva ragionevolmente essere scoperto dal debitore. Quest’ultimo deve avere agito in buona fede e rispettato tutte le disposizioni previste dalla normativa in vigore riguardo alla dichiarazione in dogana.


11      In particolare, la decisione della Commissione richiede «che i soggetti interessati non abbiano partecipato ad alcun titolo alle operazioni di spedizione delle merci dal paese di esportazione, attraverso Anguilla, al punto di entrata nel territorio doganale della Comunità. Essi devono avere acquistato le merci in virtù di un contratto DDP (delivered duty paid, ossia reso sdoganato). Non devono avere svolto il ruolo di importatore o di rappresentante dell’importatore delle merci nella Comunità. Infine, non devono essere considerati legati al proprio fornitore, all’esportatore ad Anguilla, a soggetti coinvolti nella spedizione delle merci dal paese di esportazione alla Comunità o al governo di Anguilla. (…)».


12      Ai sensi di tale disposizione, si può procedere al rimborso o allo sgravio dei dazi all’importazione o all’esportazione in situazioni diverse da quelle di cui agli articoli 236, 237 e 238, dovute a circostanze che non implicano frode o manifesta negligenza da parte dell’interessato.


13      Regolamento del Consiglio, del 26 maggio 2014, concernente le modalità e la procedura di messa a disposizione delle risorse proprie tradizionali e delle risorse proprie basate sull’IVA e sull’RNL, nonché le misure per far fronte al fabbisogno di tesoreria (GU 2014, L 168, pag. 39)


14      Come verrà meglio illustrato di seguito nella sezione B.3 (paragrafi da 74 a 84 delle presenti conclusioni), la combinazione delle disposizioni del sistema delle risorse proprie e di quelle del codice doganale crea infatti un regime di responsabilità (pressoché) oggettiva per le obbligazioni doganali. Tuttavia, nel caso di specie, ciò si applica soltanto allo Stato membro d’importazione. Adottare lo stesso criterio di responsabilità e applicarlo automaticamente a un altro Stato membro è uno dei tanti argomenti nuovi presentati dalla Commissione nel caso di specie.


15      Certamente, in base al «livello» della presunta violazione che si sceglie, si potrebbe suggerire che la domanda della Commissione è prospettiva, in quanto il Regno Unito non ha ancora versato la somma richiesta dalla Commissione. Ma tale argomento riporta indietro il dibattito al carattere quantomai intricato dell’oggetto della domanda della Commissione.


16      Sentenza del 7 febbraio 1973, Commissione/Italia (39/72, EU:C:1973:13, punto 11). V. anche sentenza del 30 maggio 1991, Commissione/Germania (C‑361/88, EU:C:1991:224, punto 31), del 30 maggio 1991, Commissione/Germania (C‑59/89, EU:C:1991:225, punto 35), e del 14 giugno 2001, Commissione/Italia (C‑207/00, EU:C:2001:340, punto 28). Questo orientamento è stato costantemente ribadito per quanto riguarda la possibilità di avviare un procedimento per inadempimento, anche qualora l’inadempimento in questione sia stato sanato dopo la scadenza del termine stabilito dal parere motivato della Commissione.


17      V., per esempio, Ehlermann, C.D., «Die Verfolgung von Vertragsverletzungen der Mitgliedstaaten durch die Kommission», in Europäische Gerichtsbarkeit und nationale Verfassungsgerichtsbarkeit. Fetschrift zum 70. Geburtstag von H. Kutscher, 1981, pagg. da 135 a 153, in particolare pag. 151; Schwarze, J., «Das allgemeine Völkerrecht in den innergemeinschaftlichen Rechtsbeziehungen», Europarecht, 1983 (1), pagg. da 1 a 39, in particolare pag. 24; e Wyatt, D., «New Legal Order, or Old?», European Law Review, 1982 (7), pagg.da 147 a 166, in particolare pagg. 160 e segg.


18      V., per analogia, sentenza del 15 novembre 2005, Commissione/Danimarca (C‑392/02, EU:C:2005:683, punto 33), tenendo a mente che tali azioni sono escluse nei procedimenti di infrazione: v. sentenze del 14 aprile 2005, Commissione/Germania (C‑104/02, EU:C:2005:219, punto 49), e del 5 ottobre 2006, Commissione/Germania (C‑105/02, EU:C:2006:637, punti 44 e 45).


19      V., in diritto internazionale, ad esempio Chorzów, Corte permanente di giustizia internazionale, sentenza n. 13 del 13 settembre 1928, PCJR reports, serie A, n. 17, pag. 4.


20      Sentenza del 19 novembre 1991, Francovich e a. (C‑6/90 e C‑9/90, EU:C:1991:428, punto 36).


21      In particolare, sentenza del 5 marzo 1996, Brasserie du pêcheur e Factortame (C‑46/93 e C‑48/93, EU:C:1996:79, punto 29) secondo cui la responsabilità della Comunità «altro non è se non un’enunciazione del generale principio, riconosciuto negli ordinamenti giuridici degli Stati membri, in forza del quale un’azione o un’omissione illegittima comporta l’obbligo della riparazione del danno arrecato».


22      Così, ad esempio, nel caso (da manuale) della mancata trasposizione di una direttiva che potrebbe aver cagionato danni a singoli soggetti, il chiaro obbligo giuridico violato da uno Stato membro in detto caso specifico sarebbe, come minimo, la disposizione finale/di chiusura della direttiva di cui trattasi, che precisa il termine per il recepimento, potenzialmente accompagnato dall’obbligo derivante dall’articolo 288 TFUE e forse anche con dal dovere di leale cooperazione. Non si potrebbe, tuttavia, mettere in dubbio che esiste un obbligo alquanto specifico di recepire la direttiva entro una determinata data.


23      Come rilevato da Lenaerts, K., Maselis I., e Gutman, K., EU Procedural Law, Oxford University Press 2014, pag. 495. Anche le conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Slovacchia/Commissione e Romania/Commissione (C‑593/15 P e C‑599/15 P, EU:C:2017:441, paragrafo 108) evidenziano tale possibilità. Sembra che in passato siano state presentate richieste di risarcimento (almeno da entità statali), ma non mi risulta che siano mai giunte a sentenza. V., ad esempio, ordinanza del 16 novembre 1998, Antille olandesi/Consiglio e Commissione (T‑163/97 e T‑179/97, EU:T:1998:260).


24      Con la logica eccezione della responsabilità personale verso l’Unione dei funzionari della stessa di cui anche all’articolo 340 TFUE.


25      Poiché, ai sensi dell’articolo 274 TFUE, «[f]atte salve le competenze attribuite alla Corte di giustizia dell’Unione europea dai trattati, le controversie nelle quali l’Unione sia parte non sono, per tale motivo, sottratte alla competenza delle giurisdizioni nazionali».


26      Analogamente ai casi avviati dalla Commissione dinanzi ai giudici nazionali in cui, in sostanza, si chiede nei confronti dei privati il risarcimento del danno. V. ad esempio sentenza del 6 novembre 2012, Otis e a. (C‑199/11, EU:C:2012:684).


27      V., ad esempio, sentenza del 16 ottobre 2012, Ungheria/Slovacchia (C‑364/10, EU:C:2012:630, punto 68). Il corsivo è mio.


28      Che sia la violazione «originale» o quella «intermedia» di cui ai paragrafi 35 e 36 delle presenti conclusioni.


29      Sentenza del 5 ottobre 2006, Commissione/Belgio (C‑377/03, EU:C:2006:638, punto 36). La Corte ha statuito che «sussiste un nesso indissolubile fra l’obbligo di accertare le risorse proprie comunitarie, quello di accreditarle sul conto della Commissione entro i termini impartiti e, infine, quello di versare interessi di mora».


30      È stato discusso se l’articolo 260, paragrafo 1, TFUE prescriva invece il risarcimento dei danni quale misura da adottare comunque. V. conclusioni dell’avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer nella causa Commissione/Lussemburgo (C‑299/01, EU:C:2002:243, paragrafo 23 e segg.); conclusioni dell’avvocato generale Mischo nelle cause riunite Francovich e a. (C‑6/90 e C‑9/90, EU:C:1991:221, paragrafo 57 e segg.). In ogni caso, il risarcimento dei danni non fa di per sé venir meno la violazione del diritto dell’Unione. V., ad esempio, sentenza del 9 dicembre 1997, Commissione/Francia (C‑265/95, EU:C:1997:595, punto 60).


31      V. sentenze del 14 aprile 2005, Commissione/Germania (C‑104/02, EU:C:2005:219, punto 49), e del 5 ottobre 2006, Commissione/Germania (C‑105/02, EU:C:2006:637, punti 44 e 45). V. anche sentenza del 2 ottobre 2008, Commissione/Grecia (C‑36/08, non pubblicata, EU:C:2008:536, punti 8 e 9).


32      V., in tal senso, sentenza del 18 luglio 2007, Commissione/Germania (C‑503/04, EU:C:2007:432, punto 15). V. anche le conclusioni dell’avvocato generale Trstenjak nella causa Commissione/Germania (C‑503/04, EU:C:2007:190, paragrafo 41).


33      Sentenza del 12 luglio 2005, Commissione/Francia (C‑304/02, EU:C:2005:444, punto 92).


34      Sentenza del 25 ottobre 2017, Slovacchia/Commissione (C‑593/15 P e C‑594/15 P, EU:C:2017:800, punto 75 e segg.).


35      V. in modo approfondito su questo dibattito, le conclusioni dell’avvocato generale Kokott presentate nella causa Slovacchia/Commissione e Romania/Commissione (C‑593/15 P e C‑599/15 P, EU:C:2017:441, paragrafi 101 e segg.).


36      Sentenza del 4 luglio 2000, Bergaderm e Goupil/Commissione (C‑352/98 P, EU:C:2000:361, punto 39 e segg.). V., per esempi più recenti, sentenze del 4 aprile 2017, Mediatore europeo/Staelen (C‑337/15 P, EU:C:2017:256, punto 31), per quanto riguarda il regime della responsabilità dell’Unione europea; e del 4 ottobre 2018 nella causa C‑571/16, Kantarev (C‑571/16, EU:C:2018:807, punto 94), sul principio della responsabilità dello Stato per i danni causati ai singoli.


37      V., ad esempio, sentenza del 14 novembre 2002, Commissione/Regno Unito (C‑140/00, EU:C:2002:653, punto 34); o del 30 gennaio 2003, Commissione/Danimarca (C‑226/01, EU:C:2003:60, punto 32); o del 13 luglio 2006, Commissione/Portogallo (C‑61/05, EU:C:2006:467, punto 32).


38      V., ad esempio, sentenza del 16 settembre 2004, Commissione/Spagna (C‑227/01, EU:C:2004:528, punto 58); o del 4 marzo 2010, Commissione/Italia (C‑297/08, EU:C:2010:115, punto 82).


39      V., ad esempio, sentenza del 4 ottobre 2018, Kantarev (C‑571/16, EU:C:2018:807, punto 105). Per quanto riguarda la responsabilità dell’Unione europea v., ad esempio, sentenza del 4 aprile 2017, Mediatore europeo/Staelen (C‑337/15 P, EU:C:2017:256, punto 37).


40      Sentenza del 5 marzo 1996, Brasserie du pêcheur e Factortame (C‑46/93 e C‑48/93, EU:C:1996:79, punto 56).


41      V., ad esempio, sentenza del 24 marzo 2009, Danske Slagterier (C‑445/06, EU:C:2009:178, punti 43 e 44).


42      Certamente né l’Unione europea né la Commissione che agisce per suo conto possono essere considerate titolari di «diritti individuali». Tuttavia, tale condizione può essere interpretata (e naturalmente adattata) nel senso di richiedere l’individuazione della norma giuridica che avrebbe consentito al ricorrente di pretendere un determinato comportamento dal convenuto e la cui violazione si ritiene abbia dato origine al danno. Sul requisito che la disposizione di diritto dell’Unione deve conferire diritti ai singoli, v., ad esempio, sentenza dell’11 giugno 2015, Berlington Hungary e a. (C‑98/14, EU:C:2015:386, punto 106).


43      V., ad esempio, sentenze del 4 ottobre 2007, Commissione/Italia (C‑179/06, EU:C:2007:578, punto 37), e del 10 settembre 2009, Commissione/Grecia (C‑416/07, EU:C:2009:528, punto 32).


44      V., ad esempio, sentenza del 6 dicembre 2007, Commissione/Germania (C‑456/05, EU:C:2007:755, punto 25).


45      V., ad esempio, sentenze del 5 marzo 1998, Commissione/Francia (C‑175/97, EU:C:1998:89, punto 14); e del 5 ottobre 2006, Commissione/Belgio (C‑377/03, EU:C:2006:638, punto 38).


46      Sentenza del 4 ottobre 2018, Kantarev (C‑571/16, EU:C:2018:807, punto 117).


47      V., in materia di responsabilità extracontrattuale dell’Unione, ad esempio la sentenza del 7 giugno 2018, Equipolymers e a./Consiglio (C‑363/17 P, non pubblicata, EU:C:2018:402, punto 37 e giurisprudenza ivi citata).


48      Sentenza del 15 novembre 2005, Commissione/Danimarca (C‑392/02, EU:C:2005:683, punto 68).


49      Ibidem.


50      La Commissione cita, in particolare, le sentenze del 16 maggio 1991, Commissione/Paesi Bassi (C‑96/89, EU:C:1991:213, punto 37); del 15 giugno 2000, Commissione/Germania (C‑348/97, EU:C:2000:317, punto 64); del 15 novembre 2005, Commissione/Danimarca (C‑392/02, EU:C:2005:683, punto 60); e del 17 marzo 2011, Commissione/Portogallo (C‑23/10, non pubblicata, EU:C:2011:160, punto 60).


51      V., a contrario, le conclusioni dell’avvocato generale Geelhoed nella causa Commissione/Danimarca (C‑392/02, EU:C:2005:142, paragrafi 46 e 47).


52      Non è la prima volta che la Commissione ha sostenuto tale tesi. V. i fatti alla base della sentenza del 25 ottobre 2017, Romania/Commissione (C‑599/15 P, EU:C:2017:801).


53      «Probabilmente» perché la Commissione non ha formulato tale tesi in modo esplicito nelle sue osservazioni. Tuttavia, si potrebbe anche speculare su come sarebbe stata articolata la suddetta tesi se l’Italia fosse stata effettivamente in grado di recuperare i dazi in questione: non sarebbe allora sorta alcuna responsabilità «sussidiaria» per il Regno Unito? Oppure la Commissione avrebbe agito comunque contro il Regno Unito indipendentemente dalla possibilità o meno di recuperare gli importi in Italia? Cosa sarebbe successo se il mancato recupero fosse stato imputabile in parte all’Italia?


54      V. ordinanza del 21 aprile 2016, Makro autoservicio mayorist e Vestel Iberia/Commissione (C‑264/15 P e C‑265/15 P, non pubblicata, EU:C:2016:301, punto 47).


55      V. ordinanza del 14 settembre 2015, Romania/Commissione (T‑784/14, non pubblicata, EU:T:2015:659, punti da 27 a 29), [detta pronuncia è stata confermata nella sentenza del 25 ottobre 2017, Romania/Commissione (C‑599/15 P, EU:C:2017:801)].


56      Secondo una giurisprudenza costante, risulta dall’articolo 10 CE che gli Stati membri hanno l’obbligo di cooperare lealmente ad ogni indagine svolta dalla Commissione a seguito di azioni per violazione, e a fornire alla Commissione tutte le informazioni che essa loro richieda all’uopo (v., ad esempio, sentenza del 6 marzo 2003, Commissione/Lussemburgo (C‑478/01, EU:C:2003:134, punto 24). A mio parere, ciò vale anche quando la procedura d’infrazione riguarda altri Stati membri.


57      Sezione B (2) delle presenti conclusioni.


58      Inoltre, in udienza la Commissione ha fatto riferimento alla sentenza del 12 dicembre 1990, Commissione/Francia (C‑263/88, EU:C:1990:454). La Commissione ha anche ricordato la giurisprudenza secondo cui uno Stato membro «non può eccepire disposizioni, prassi o situazioni del suo ordinamento giuridico interno» per giustificare l’inosservanza degli obblighi verso l’Unione. V., ad esempio, sentenza del 16 dicembre 2004, Commissione/Austria (C‑358/03, EU:C:2004:824, punto 13).


59      V., per un’analisi approfondita, le conclusioni dell’avvocato generale Cruz Villalón nella causa Prunus (C‑384/09, EU:C:2010:759, paragrafo 23 e segg.).


60      Ad esempio, sentenze dell’11 febbraio 1999, Antillean Rice Mills e a./Commissione (C‑390/95 P, EU:C:1999:66, punto 36); del 21 settembre 1999, DADI e Douane‑Agenten (C‑106/97, EU:C:1999:433, punti 37 e 38); e dell’8 febbraio 2000, Emesa Sugar (C‑17/98, EU:C:2000:70, punto 29).


61      V., ad esempio, per quanto riguarda la libera circolazione delle merci, sentenze del 12 febbraio 1992, Leplat (C‑260/90, EU:C:1992:66, punto 10); del 22 novembre 2001, Paesi Bassi/Consiglio (C‑110/97, EU:C:2001:620, punto 49); e del 28 gennaio 1999, van der Kooy (C‑181/97, EU:C:1999:32, punto 37). Per quanto riguarda le disposizioni sulla libera circolazione dei capitali, sentenze del 5 maggio 2011, Prunus e Polonium (C‑384/09, EU:C:2011:276, punti da 29 a 31), e del 5 giugno 2014, X e TBG (C‑24/12 e C‑27/12, EU:C:2014:1385, punto 45). Per quanto riguarda il diritto derivato adottato sulla base dell’articolo 114 TFUE, sentenza del 21 dicembre 2016, TDC (C‑327/15, EU:C:2016:974, punti 77 e 78). Per quanto riguarda le elezioni del Parlamento europeo, sentenza del 12 settembre 2006, Eman e Sevinger (C‑300/04, EU:C:2006:545; punto 46).


62      Conclusioni dell’avvocato generale Cruz Villalón nella causa Prunus (C‑384/09, EU:C:2010:759, paragrafo 33).


63      V., ad esempio, sentenza del 12 dicembre 1990, Kaefer e Procacci (C‑100/89 e C‑101/89, EU:C:1990:456), che ammette la possibilità per i giudici dei PTOM di effettuare rinvii pregiudiziali.


64      V. sentenza del 12 settembre 2006, Eman e Sevinger (C‑300/04, EU:C:2006:545, punti da 27 a 29), in cui si dichiara che le persone che hanno la cittadinanza di uno Stato membro, residenti o domiciliate in un PTOM, possono far valere i diritti di cittadinanza dell’Unione.


65      V. articoli da 234 a 236, della decisione PTOM.


66      V., in particolare, articolo 7 dell’allegato III della decisione PTOM. Ai sensi del paragrafo 7 di tale disposizione, le contestazioni non risolte tra autorità doganali sono sottoposte al Comitato di legislazione doganale.


67      L’articolo 5 CE «è l’espressione del principio più generale che impone agli Stati membri e alle istituzioni [dell’Unione] obblighi reciproci di leale collaborazione ed assistenza». Sentenza del 15 gennaio 1986, Hurd (44/84, EU:C:1986:2, punto 38). V. anche, ad esempio, sentenza del 29 aprile 2004, Grecia/Commissione (C‑278/00, EU:C:2004:239, punto 114); o del 1o aprile 2004, Commissione/Italia (C‑99/02, EU:C:2004:207, punto 17).


68      Per la pertinenza dell’articolo 4, paragrafo 2, TUE, v. paragrafo 63 delle mie conclusioni nella causa C‑395/17, Commissione/Paesi Bassi.


69      V. supra, paragrafi 44 e 87.


70      Causa C‑395/17, Commissione/Regno dei Paesi Bassi.  


71      V. supra, paragrafo 90. Anche la relazione dell’OLAF del 2003 fa riferimento all’incertezza dell’interpretazione di cosa esattamente possa essere considerato una «restituzione dei dazi». Analogamente, la comunicazione UCLAF del 1999 ha indicato la necessità di cercare un’interpretazione dell’articolo 101 della decisione PTOM. Anche le prove prodotte dalle parti dimostrano tale incertezza, come ad esempio il verbale della riunione del gruppo di lavoro del partenariato di cui all’articolo 7, paragrafo 3, della decisione PTOM del 1o dicembre 2003.


72      V. supra, paragrafi 15 e 16.


73      Articolo 36, paragrafo 2, della decisione 2001/822/CE del Consiglio, del 27 novembre 2001, relativa all’associazione dei paesi e territori d’oltremare alla Comunità europea (“Decisione sull’associazione d’oltremare”) (GU 2001, L 314, pag. 1). (La decisione PTOM del 2001). Tale disposizione afferma esplicitamente che l’aiuto «deve assumere la forma di un aiuto per il trasporto di merci immesse in libera pratica, compresi i costi correnti legittimi relativi alla procedura di trasbordo». Inoltre, tale disposizione indica espressamente che, su richiesta delle autorità dei PTOM, deve essere convocato un gruppo di lavoro del partenariato di cui all’articolo 7, paragrafo 3, per risolvere le eventuali questioni connesse con l’amministrazione della procedura di trasbordo. La mancanza di chiarezza nella precedente decisione PTOM è riconosciuta, dal momento che, secondo il considerando 15 di detta decisione, «[d]ovrebbe essere completata e precisata la procedura per il trasbordo di prodotti non originari dei PTOM ma ivi in libera pratica, al fine di garantire un quadro giuridico trasparente e sicuro per gli operatori e le amministrazioni».


74      V. supra, paragrafo 70, e giurisprudenza ivi citata.


75      V. supra, paragrafo 98.


76      V. supra, paragrafi da 101 a 105.


77      V. supra paragrafi da 74 a 84.