Language of document : ECLI:EU:T:2019:725

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Prima Sezione)

3 ottobre 2019 (*)

«Funzione pubblica – Funzionari – Articolo 24 dello Statuto – Domanda di assistenza – Articolo 12 bis dello Statuto – Molestie psicologiche – Portata dell’obbligo di assistenza – Provvedimento di allontanamento – Durata del procedimento amministrativo – Responsabilità – Danno morale»

Nella causa T‑730/18,

DQ, e le altre parti ricorrenti i cui nominativi figurano in allegato (1), rappresentati da M. Casado García-Hirschfeld, avvocato,

ricorrenti,

contro

Parlamento europeo, rappresentato da E. Taneva e T. Lazian, in qualità di agenti,

convenuto,

avente ad oggetto la domanda fondata sull’articolo 270 TFUE e diretta ad ottenere un risarcimento del preteso danno subito dai ricorrenti a seguito – sostanzialmente – della trattazione inadeguata della loro domanda di assistenza riguardante fatti configuranti molestie psicologiche imputati al loro superiore gerarchico,

IL TRIBUNALE (Prima Sezione),

composto da V. Valančius, facente funzione di presidente, P. Nihoul e J. Svenningsen (relatore), giudici,

cancelliere: E. Coulon

ha pronunciato la seguente

Sentenza

I.      Fatti

1        I ricorrenti, DQ e le altre parti ricorrenti i cui nominativi figurano in allegato, sono funzionari del Parlamento europeo in servizio presso l’unità [riservato] (2) (in prosieguo: l’«unità») della direzione [riservato] della direzione generale (DG) «[riservato]» (in prosieguo: la «direzione generale»).

2        Nel corso dell’anno 2013, i ricorrenti nonché altri due loro colleghi hanno segnalato al direttore della direzione [riservato] (in prosieguo: il «direttore») e al direttore generale della direzione generale (in prosieguo: il «direttore generale»), superiori gerarchici del capo unità (in prosieguo: il «capo unità»), comportamenti inappropriati da parte di quest’ultimo.

3        Più in particolare, in una lettera in data 11 novembre 2013 e inviata al direttore generale, i ricorrenti nonché altri due loro colleghi, ritenendosi preoccupati per la salute del loro superiore gerarchico nonché per la coesione e la professionalità dell’unità, chiedevano che la prova linguistica alla quale doveva partecipare il capo unità fosse rinviata (in prosieguo: la «lettera dell’11 novembre 2013»). A loro dire, i membri della commissione giudicatrice di tale prova erano stati minacciati dal capo unità riguardo a ogni prospettiva di insuccesso a tale prova. Nella fattispecie, il capo unità avrebbe minacciato di suicidarsi o di adottare misure di ritorsione in caso di insuccesso. I ricorrenti nonché gli altri due loro colleghi facevano altresì riferimento, nella lettera dell’11 novembre 2013, al fatto che uno dei medici di fiducia del servizio medico, in una nota che sarebbe stata successivamente consegnata al direttore, avrebbe elencato i vari comportamenti del capo unità che erano stati descritti, in maniera concorde, da taluni membri del personale dell’unità in occasione di loro visite presso il servizio medico nel corso del mese di ottobre 2013. I ricorrenti esprimevano così, nei confronti del direttore generale, le loro gravi preoccupazioni in ordine al comportamento professionale e sociale del capo unità.

4        Con messaggio di posta elettronica del 18 novembre 2013, il direttore generale ha reso noto ai ricorrenti di aver chiesto al direttore, da un lato, di indagare, in seno alla direzione generale, sui fatti di cui essi lo avevano informato e, dall’altro, di informare il capo unità del rinvio della prova linguistica alla quale quest’ultimo doveva partecipare.

5        Con messaggio di posta elettronica del 5 dicembre 2013, i ricorrenti hanno chiesto al direttore di cessare di interrogare singolarmente i membri dell’unità e di considerare la loro iniziativa come collettiva, incontrandoli quindi in gruppo. In risposta, il direttore ha chiarito che, in base alla sua esperienza, i membri dell’unità sarebbero stati maggiormente disposti a parlare con franchezza nell’ambito di una conversazione privata anziché in un incontro collettivo e che questo era il motivo per cui egli aveva privilegiato colloqui individuali. Ritenendo di avere ormai un quadro corretto della situazione grazie ai colloqui da lui condotti singolarmente, egli ha precisato ai ricorrenti, dichiarandosi nel contempo dispiaciuto per non essere stato informato prima di tali problemi relazionali in seno all’unità, che una riunione con tutti i membri dell’unità sarebbe stata in tale fase prematura e che egli intendeva convocare una riunione del genere solo quando l’atmosfera sarebbe stata più propizia.

A.      Sulla domanda di assistenza e sui provvedimenti adottati dall’APN

6        Il 24 gennaio 2014 e per il tramite di un avvocato, i ricorrenti nonché altri due loro colleghi, ai sensi dell’articolo 90, paragrafo 1, dello Statuto dei funzionari dell’Unione europea (in prosieguo: lo «Statuto»), hanno presentato una domanda di assistenza, ai sensi dell’articolo 24 dello Statuto, in ordine agli asseriti fatti configuranti molestie psicologiche e sessuali da parte del capo unità in contrasto con l’articolo 12 bis del detto Statuto (in prosieguo: la «domanda di assistenza»), presso il segretario generale del Parlamento, il quale, con il direttore generale della DG «Personale», è responsabile in seno a tale istituzione della trattazione di tali domande di assistenza.

7        Nella loro domanda di assistenza, i ricorrenti nonché altri due loro colleghi pregavano il segretario generale di sospendere immediatamente il capo unità dalle sue funzioni in applicazione dell’articolo 23 dell’allegato IX dello Statuto; di sospendere la procedura di compilazione dei rapporti informativi nei loro confronti per l’esercizio di valutazione relativo alle loro prestazioni professionali del 2013 (in prosieguo: l’«esercizio di valutazione 2014»); di avviare un’indagine amministrativa e di accollarsi le spese del loro legale.

8        Il 28 gennaio 2014, i ricorrenti nonché altri due loro colleghi hanno esposto al direttore della gestione amministrativa del personale del Parlamento i loro timori riguardo alla tenuta di una riunione di servizio, prevista per l’indomani in presenza del capo unità, a seguito della presentazione della domanda di assistenza. Con messaggio di posta elettronica in pari data, essi sono stati informati del fatto che due persone, «inviate dalla direzione generale», sarebbero state presenti a tale riunione di servizio.

9        A tale riguardo, i ricorrenti avrebbero avuto la sorpresa di scoprire che tali due persone erano, da una parte, il direttore, quando ad esso si sarebbe fatto nominativamente riferimento nella domanda di assistenza e, dall’altra, il consigliere giuridico del direttore generale, laddove quest’ultimo sarebbe stato anch’esso indicato nella detta domanda.

10      Secondo i ricorrenti, nella riunione del 29 gennaio 2014, dopo aver vantato i meriti professionali del capo unità, il direttore, dopo che il capo unità si era allontanato, avrebbe menzionato l’esistenza della domanda di assistenza, specificando nel contempo di ignorarne il contenuto e chiedendo ai ricorrenti di parlargli a cuore aperto. Egli avrebbe infatti affermato: «Open your hearts and tell me what is on your liver» (Apritevi e ditemi cosa vi indispone). Egli avrebbe altresì suggerito ai ricorrenti di rivolgersi al comitato consultivo in materia di molestie sul luogo di lavoro e relativa prevenzione. Questi ultimi avrebbero chiesto al direttore se tale colloquio presentasse natura ufficiale, poiché, in caso affermativo, essi avrebbero chiesto la presenza del loro legale, che era all’esterno della sala. Il direttore avrebbe risposto che si trattava di una riunione interna, escludendo che il legale potesse parteciparvi. Nel ricorso, i ricorrenti precisano di aver percepito tale incontro con il direttore come un nuovo tentativo di intimidazione, una sleale messa alla prova della loro coesione e una lesione della loro dignità umana.

11      Con lettera del 10 febbraio 2014, il legale dei ricorrenti ha protestato contro la trattazione della domanda di assistenza facendo riferimento sia alla riunione del 29 gennaio 2014, nel corso della quale il direttore avrebbe espresso parole fuori luogo, sia ad un incontro, avvenuto due giorni dopo, tra il capo unità e uno dei membri della commissione giudicatrice della prova linguistica. Egli ribadiva in tale contesto l’importanza di avviare l’indagine amministrativa e di adottare misure preventive nei termini più brevi.

12      Con lettera del 17 febbraio 2014, il direttore generale della DG «Personale» ha informato i ricorrenti dei provvedimenti provvisori che l’autorità che ha il potere di nomina (in prosieguo: l’«APN») del Parlamento aveva già adottato in risposta alla domanda di assistenza. L’APN aveva così deciso di affidare la gestione dell’unità al capo di un’altra unità e annunciava che essa avrebbe designato, in sostituzione del capo unità, un’altra persona destinata ad essere il primo valutatore dei ricorrenti per l’esercizio di valutazione 2014 e, infine, che essa avrebbe avviato quanto prima un’indagine amministrativa.

13      Il 4 marzo 2014, il direttore ha informato i ricorrenti che il segretario generale aveva deciso di designarlo come loro primo valutatore mentre un altro direttore doveva svolgere il ruolo di valutatore d’appello.

14      L’11 aprile 2014, i ricorrenti sono stati informati dell’avvio di un’indagine amministrativa riguardante l’unità e della loro convocazione ad un’audizione prevista per il 15 aprile successivo.

15      Il 21 maggio 2014, i ricorrenti, ai sensi dell’articolo 90, paragrafo 2, dello Statuto, hanno presentato un reclamo contro la decisione dell’APN di designare il direttore come loro primo valutatore per l’esercizio di valutazione 2014, chiedendo nel contempo la sospensione di tale esercizio di valutazione nonché la sospensione del capo unità dalle sue funzioni e l’adozione di provvedimenti tali da garantire la loro sicurezza sul luogo di lavoro e la riservatezza nella trattazione della domanda di assistenza.

16      Con atto introduttivo di ricorso pervenuto nella cancelleria del Tribunale della funzione pubblica dell’Unione europea il 22 maggio 2014 e iscritto a ruolo con il numero F‑49/14, i ricorrenti e uno degli altri due loro colleghi hanno in particolare chiesto a tale giudice di annullare la decisione dell’APN di designare il direttore come loro primo valutatore, di sospendere l’esercizio di valutazione 2014 nonché di sospendere dalle sue funzioni il capo unità.

17      Con ordinanza del 12 giugno 2014, DQ e a./Parlamento (F‑49/14 R, EU:F:2014:159), il presidente del Tribunale della funzione pubblica ha respinto la domanda di provvedimenti provvisori presentata con atto separato dai ricorrenti e da uno degli altri due loro colleghi.

18      Il 2 giugno 2014, il Parlamento ha reso note ai ricorrenti le sue conclusioni definitive sulla domanda di assistenza. Tali conclusioni erano tre, e cioè, in primo luogo, che erano stati adottati provvedimenti di allontanamento del capo unità e che alla gestione del personale dell’unità avrebbe ormai provveduto un altro capo unità, in secondo luogo, che il capo unità era stato sostituito, quale primo valutatore dei ricorrenti per l’esercizio di valutazione 2014, dal direttore e, in terzo luogo, che un’indagine disciplinare ai sensi dell’articolo 86 dello Statuto era stata avviata nei confronti del capo unità.

19      Con nota del 3 giugno 2014, il segretario generale del Parlamento ha informato il direttore generale di aver constatato che diveniva complicato condurre l’esercizio di valutazione 2014 secondo il principio di buona amministrazione e di avere allora deciso di sospendere provvisoriamente tale esercizio di valutazione per l’intera unità in attesa di trovare una soluzione equilibrata, più precisamente sino a che l’APN non fosse in condizione di pronunciarsi con la serenità necessaria.

20      Il 26 settembre 2014, il segretario generale, nella sua qualità di APN, ha respinto il reclamo del 21 maggio 2014 in quanto in parte prematuro, nei limiti in cui riguardava provvedimenti provvisori dell’APN, e in parte infondato.

21      Con lettera pervenuta nella cancelleria del Tribunale della funzione pubblica il 20 novembre 2014, i ricorrenti e uno degli altri due loro colleghi hanno informato tale giudice del fatto che essi rinunciavano al loro ricorso nella causa F‑49/14 per il motivo principale che il Parlamento aveva in particolare accettato di adottare «provvedimenti provvisori, come quelli notificati con [sue] note del 2 e del 3 giugno 2014».

22      Con l’ordinanza del 12 gennaio 2015, DQ e a./Parlamento (F‑49/14, EU:F:2015:1), il Tribunale della funzione pubblica ha cancellato dal ruolo la causa F‑49/14 decidendo nel contempo che il Parlamento avrebbe dovuto sopportare le proprie spese così come quelle dei ricorrenti e di uno degli altri due loro colleghi, in quanto, sostanzialmente, proprio a seguito della mancanza di iniziative concrete e finalizzate del Parlamento dirette a sospendere il capo unità dalle sue funzioni e/o l’esercizio di valutazione 2014 essi non avevano avuto altra possibilità se non quella di proporre tale ricorso, accompagnato da una domanda di provvedimenti urgenti, al fine di salvaguardare i loro diritti e di ottenere un intervento dell’APN dinnanzi alle asserite molestie psicologiche e sessuali che essi dovevano subire.

23      A dire dei ricorrenti, nell’ottobre 2015, l’APN, in esito all’indagine amministrativa, avrebbe redatto una relazione, a loro non comunicata, nella quale essa concludeva nel senso dell’esistenza di comportamenti del capo unità configuranti molestie ai sensi dell’articolo 12 bis dello Statuto.

B.      Sulla presa a carico delle spese, degli anticipi e degli onorari del legale dei ricorrenti relativi alla domanda di assistenza

24      Il 2 dicembre 2015, i ricorrenti nonché uno degli altri due loro colleghi, ai sensi dell’articolo 90, paragrafo 1, dello Statuto, hanno reiterato la loro domanda, contenuta nella domanda di assistenza, diretta a che l’APN prendesse a carico tutte le spese, gli anticipi e gli onorari del loro legale.

25      Con decisione del 2 febbraio 2016, l’APN ha respinto tale domanda. Il reclamo presentato dai ricorrenti e da uno degli altri due loro colleghi il 4 maggio successivo è stato anch’esso respinto con decisione del 1o settembre 2016.

26      Con atto introduttivo di ricorso pervenuto nella cancelleria del Tribunale il 20 gennaio 2017 e iscritto a ruolo con il numero T‑38/17, i ricorrenti e uno degli altri due loro colleghi hanno chiesto al Tribunale di condannare il Parlamento, a titolo di risarcimento del loro danno materiale, a versare una somma di EUR 92 200 corrispondenti alla presa a carico di tutte le spese, degli anticipi e degli onorari del loro legale, in primo luogo, nell’ambito della domanda di assistenza, in secondo luogo, nell’ambito di un procedimento da essi intentato contro il Parlamento dinanzi al tribunal du travail francophone de Bruxelles (tribunale del lavoro di Bruxelles di lingua francese) (Belgio) e, in terzo luogo, nell’ambito della causa T‑38/17.

27      A seguito del deposito, avvenuto il 12 aprile 2017, del controricorso, il Tribunale (Prima Sezione), con decisione del 18 maggio 2017, ha incaricato il giudice relatore di esplorare le possibilità di dirimere la controversia mediante una composizione amichevole, conformemente all’articolo 50 bis dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea e all’articolo 125 bis, paragrafo 3, del regolamento di procedura del Tribunale.

28      In risposta alla proposta del giudice relatore di avviare una composizione amichevole sulla base di un progetto di accordo in tal senso, il Parlamento ha affermato, con lettera del 1o giugno 2017, di essere disposto ad intavolare una trattativa con i ricorrenti e con uno degli altri due loro colleghi mentre questi ultimi, con lettera del 2 giugno 2017, hanno affermato di non desiderare una composizione amichevole della controversia.

29      Con lettera del 7 giugno 2017, il giudice relatore ha invitato i ricorrenti e uno degli altri due loro colleghi a rivedere la loro posizione e, eventualmente, a riconfermare la loro intenzione di rinunciare alla procedura di composizione amichevole, attirando nel contempo la loro attenzione sul fatto che, nell’ambito del procedimento giurisdizionale, si sarebbe dovuta esaminare la ricevibilità del ricorso alla luce della giurisprudenza risultante, in particolare, dall’ordinanza del 20 marzo 2014, Michel/Commissione (F‑44/13, EU:F:2014:40, punto 45 e giurisprudenza citata), in quanto, a due riprese, nella fattispecie nella domanda di assistenza del 24 gennaio 2014 e in una lettera del 6 ottobre 2014, essi avevano già richiesto all’APN il rimborso delle spese legali sostenute nel contesto della domanda di assistenza e in quanto non sembrava emergere dagli atti che essi avessero proceduto a contestare, mediante reclamo, le decisioni implicite di rigetto intervenute allo scadere del termine statutario di risposta di quattro mesi impartito all’APN.

30      Con lettera del 15 giugno 2017, i ricorrenti e uno degli altri due loro colleghi hanno informato il Tribunale del fatto che essi erano finalmente entrati in contatto con il Parlamento e che, in tale contesto, essi chiedevano un più ampio termine di risposta, termine il quale, su richiesta del Parlamento, è stato prorogato sino al 21 luglio 2017. Con lettere rispettivamente dell’11 e del 6 luglio 2017, i ricorrenti e uno degli altri due loro colleghi e il Parlamento hanno reso noto al Tribunale di essere pervenuti ad un accordo per porre fine alla controversia per via amichevole, di modo che la causa è stata cancellata dal ruolo del Tribunale con ordinanza del 17 luglio 2017, DQ e a./Parlamento (T‑38/17, non pubblicata, EU:T:2017:557). Tale accordo era tuttavia concluso facendo salve eventuali domande di risarcimento danni distinte che non fossero state formulate nel contesto delle domande e dei reclami in esame nella causa T‑38/17.

C.      Sulla domanda di risarcimento controversa nel caso di specie

31      Il 13 dicembre 2017, i ricorrenti, ai sensi dell’articolo 90, paragrafo 1, dello Statuto, hanno chiesto all’APN di essere risarciti, ex æquo et bono, nella misura di EUR 192 000 per il preteso danno morale da essi subito a causa delle carenze dell’APN nella trattazione della loro domanda di assistenza, in particolare a causa della violazione del principio di buona amministrazione e del dovere di sollecitudine nonché della violazione della dignità degli autori del reclamo e del loro diritto a condizioni di lavoro rispettose della loro salute, della loro sicurezza e della loro dignità.

32      Non avendo l’APN dato seguito a tale domanda risarcitoria, il 23 maggio 2018, i ricorrenti hanno presentato un reclamo contro la decisione implicita di rigetto della loro domanda risarcitoria intervenuta il 13 aprile 2018.

33      Con decisione del 12 settembre 2018, il segretario generale, nella sua qualità di APN, ha respinto il reclamo del 23 maggio 2018 in quanto infondato, ricordando i provvedimenti di assistenza già adottati dall’APN, in particolare la sospensione dalle sue funzioni del capo unità e l’avvio, il 6 gennaio 2016, di un procedimento disciplinare a suo carico che aveva condotto, previa adizione della commissione di disciplina e sentito l’interessato il 14 novembre 2016, all’irrogazione, il 27 febbraio 2017, di una sanzione disciplinare. Secondo l’APN, tali provvedimenti avevano ripristinato condizioni di lavoro rispettose della salute, della sicurezza e della dignità dei ricorrenti. Ciò sarebbe dimostrato dal fatto che nessun comportamento configurante molestie psicologiche si sarebbe verificato dopo l’adozione, da parte dell’APN, nel corso del mese di febbraio 2014, dei provvedimenti di assistenza.

II.    Procedimento e conclusioni delle parti

34      Con atto introduttivo pervenuto nella cancelleria del Tribunale il 12 dicembre 2018, i ricorrenti hanno proposto il presente ricorso, con cui chiedono che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione implicita di rigetto della loro domanda risarcitoria e, in quanto necessario, la decisione del 12 settembre 2018 di rigetto del loro reclamo del 23 maggio precedente;

–        ingiungere il risarcimento del loro danno morale, quantificato ex æquo et bono nell’ammontare di EUR 192 000;

–        condannare il Parlamento «a versare gli interessi compensatori e gli interessi di mora nel frattempo maturati»;

–        condannare il Parlamento alle spese.

35      Con atto separato depositato in pari data, i ricorrenti hanno chiesto di beneficiare dell’anonimato ai sensi dell’articolo 66 del regolamento di procedura.

36      Nel controricorso, depositato il 20 marzo 2019, il Parlamento conclude che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare i ricorrenti alle spese.

37      Con atto separato depositato in pari data, il Parlamento ha chiesto l’omissione nei confronti del pubblico di taluni dati concernenti persone terze.

38      Il 19 aprile 2019, il Tribunale ha chiuso la fase scritta del procedimento.

39      In mancanza di una domanda in questo senso formulata dalle parti nel termine di tre settimane dalla notifica della chiusura della fase scritta del procedimento, il Tribunale, ritenendosi sufficientemente edotto dai documenti agli atti, ha deciso, in applicazione dell’articolo 106, paragrafo 3, del regolamento di procedura, di statuire senza aprire la fase orale del procedimento.

40      Con lettera della cancelleria del 1o agosto 2019, al Parlamento è stato rivolto, a titolo di misura di organizzazione del procedimento, un invito a rispondere a vari quesiti, invito al quale è stato ottemperato entro i termini impartiti.

III. In diritto

A.      Sulla domanda di annullamento

41      I ricorrenti, nel proporre la domanda risarcitoria, chiedono l’annullamento della decisione implicita di rigetto della loro domanda risarcitoria e, in quanto necessario, della decisione del 12 settembre 2018 recante rigetto del loro reclamo del 23 maggio precedente.

42      A questo proposito, secondo una giurisprudenza costante, la decisione di un’istituzione recante rigetto di una domanda risarcitoria forma parte integrante del procedimento amministrativo previo che precede un ricorso per risarcimento danni proposto dinanzi al Tribunale. Dato che l’atto contenente la presa di posizione dell’istituzione durante il procedimento precontenzioso ha unicamente l’effetto di permettere alla parte che si considera danneggiata di proporre al Tribunale una domanda di risarcimento danni, la domanda di annullamento diretta contro una siffatta decisione di rigetto non può essere valutata in maniera autonoma rispetto alla domanda di risarcimento danni (sentenze del 18 dicembre 1997, Gill/Commissione, T‑90/95, EU:T:1997:211, punto 45; del 6 marzo 2001, Ojha/Commissione, T‑77/99, EU:T:2001:71, punto 68, e ordinanza del 25 marzo 2010, Marcuccio/Commissione, F‑102/08, EU:F:2010:21, punto 23).

43      Di conseguenza, non occorre statuire in maniera autonoma sul primo capo della domanda.

B.      Sulla domanda di risarcimento

44      A sostegno del loro ricorso, i ricorrenti fanno sostanzialmente valere di aver subito un danno morale derivante dall’omessa tempestiva adozione, da parte dell’APN, dei provvedimenti adeguati, tali da rispondere alla loro domanda di assistenza e da garantir loro condizioni di lavoro conformi all’articolo 31 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Come testimonierebbero i vari incidenti da essi descritti nel loro ricorso, i ricorrenti ritengono di essere stati esposti, a causa della passività dei servizi dell’APN, a lesioni della loro dignità, della loro personalità e della loro integrità psicofisica da parte del capo unità. Inoltre, l’APN non avrebbe condotto l’indagine amministrativa nel rispetto del principio del termine ragionevole. Essa non avrebbe neppure esperito il procedimento disciplinare riguardante il capo unità e inflitto a quest’ultimo una sanzione disciplinare con tempestività. I ricorrenti fanno inoltre valere una violazione da parte del capo unità del loro diritto alla protezione del segreto medico.

45      I ricorrenti reclamano di conseguenza il risarcimento del loro danno morale, da essi quantificato ex æquo et bono in un importo di EUR 192 000.

46      Il Parlamento conclude per il rigetto della domanda di risarcimento in quanto infondata, sottolineando che i suoi servizi avrebbero adottato tutti i provvedimenti ragionevoli a partire dal momento in cui l’APN era stata formalmente adita dai ricorrenti con la domanda di assistenza. Pur ammettendo che la situazione non è stata sempre gestita con la radicalità che sarebbe stata necessaria, esso sottolinea che, dopo l’allontanamento del capo unità deciso in risposta alla domanda di assistenza, quest’ultimo ha avuto solo contatti occasionali con i funzionari dell’unità e ha dovuto solo sporadicamente prendere decisioni che incidessero sulla detta unità. Orbene, secondo il Parlamento, tali incidenti sporadici e marginali non potevano essere tali da far sorgere la sua responsabilità, soprattutto alla luce dell’ampio potere discrezionale di cui gode l’APN nella definizione dei provvedimenti di assistenza. Quanto alla durata del procedimento di indagine amministrativa e del procedimento disciplinare esperito contro il capo unità, il Parlamento chiarisce che l’indagine amministrativa riguardava un numero rilevante di persone e che il capo unità, malgrado l’abbondanza della documentazione raccolta nell’ambito delle indagini, non ha accettato i provvedimenti e le sanzioni adottati nei suoi confronti mentre invece l’APN doveva garantire il rispetto dei suoi diritti fondamentali e procedurali in quanto persona chiamata in causa. D’altro canto, il Parlamento sottolinea che il capo unità ha proposto un ricorso dinanzi al Tribunale al fine di contestare la sanzione disciplinare inflittagli, in particolare il ricorso sul quale è stata pronunciata la sentenza del 20 settembre 2019, UZ/Parl amento (T‑47/18, EU:T:2019:650) con la quale il Tribunale ha annullato la detta sanzione. In ogni caso, i ricorrenti rimarrebbero nella condizione di non riuscire a provare di aver subito altri comportamenti inappropriati ad opera del capo unità dopo la riassegnazione di quest’ultimo.

1.      Sullesistenza di illeciti commessi dallAPN tali da far sorgere la responsabilità dellUnione

a)      Considerazioni generali

47      In via preliminare, occorre ricordare che, in maniera generale, l’insorgere della responsabilità di un’istituzione, di un organo o di un organismo dell’Unione europea è subordinato al concorso di un insieme di condizioni, e cioé l’illiceità del comportamento ad esso addebitato, l’effettiva esistenza del danno asserito e l’esistenza di un nesso di causalità tra il comportamento contestato e il danno lamentato, condizioni – queste tre – cumulative (sentenza del 10 aprile 2019, AV/Commissione, T‑303/18 RENV, non pubblicata, EU:T:2019:239, punto 104; v., altresì, sentenza del 19 maggio 2015, Brune/Commissione, F‑59/14, EU:F:2015:50, punto 71 e giurisprudenza citata).

48      A questo proposito, il contenzioso in materia di funzione pubblica in base all’articolo 270 TFUE e agli articoli 90 e 91 dello Statuto, compreso quello riguardante il risarcimento di un danno causato ad un funzionario o ad un agente da un’istituzione, un organo o un organismo dell’Unione, obbedisce a norme particolari e speciali rispetto a quelle che derivano dai principi generali che disciplinano la responsabilità extracontrattuale dell’Unione nel contesto dell’articolo 268 TFUE e dell’articolo 340, secondo comma, TFUE (sentenza del 10 aprile 2019, AV/Commissione, T‑303/18 RENV, non pubblicata, EU:T:2019:239, punto 105).

49      Risulta infatti dallo Statuto, tra l’altro, che, a differenza di qualsiasi altro soggetto, il funzionario o l’agente dell’Unione è legato all’istituzione, all’organo o all’organismo presso cui presta servizio da un rapporto giuridico d’impiego che implica un equilibrio di diritti ed obblighi reciproci specifici, che si manifesta nel dovere di sollecitudine dell’istituzione nei confronti dell’interessato (v. sentenza del 16 dicembre 2010, Commissione/Petrilli, T‑143/09 P, EU:T:2010:531, punto 46 e giurisprudenza citata, quale confermata con decisione dell’8 febbraio 2011, Riesame Commissione/Petrilli, C‑17/11 RX, EU:C:2011:55, punti 4 e 5).

50      Alla luce di questa responsabilità accresciuta dell’Unione quando essa agisce in qualità di datore di lavoro, il solo accertamento di un illecito commesso, a seconda dei casi, dall’APN o dall’autorità abilitata a concludere i contratti di assunzione, si tratti di un atto o di un comportamento decisionale, è sufficiente per considerare soddisfatta la prima delle tre condizioni necessarie all’insorgere della responsabilità dell’Unione per i danni causati ai suoi funzionari e agenti a seguito di una violazione del diritto della funzione pubblica dell’Unione (sentenze del 16 dicembre 2010, Commissione/Petrilli, T‑143/09 P, EU:T:2010:531, punto 46, e del 12 luglio 2011, Commissione/Q, T‑80/09 P, EU:T:2011:347, punto 45), e ciò, di conseguenza, senza che occorra chiedersi se si tratti di una violazione «sufficientemente grave» di una norma giuridica avente ad oggetto il conferimento di diritti ai singoli (sentenze del 14 giugno 2018, Spagnolli e a./Commissione, T‑568/16 e T‑599/16, EU:T:2018:347, punto 196, e del 6 maggio 2019, Mauritsch/INEA, T‑271/18, non pubblicata, EU:T:2019:286, punto 42).

51      Relativamente ai casi in cui un illecito può essere accertato, occorre prendere in considerazione il margine discrezionale di cui disponeva l’amministrazione. Pertanto, qualora l’amministrazione debba adottare un determinato comportamento in forza delle norme vigenti, dei principi generali o dei diritti fondamentali o ancora di regole che essa stessa si è imposta, un semplice inadempimento di un obbligo siffatto è tale da far sorgere la responsabilità dell’istituzione di cui trattasi. Per contro, qualora essa disponga di un ampio margine discrezionale, in particolare ove essa non sia tenuta ad agire in un senso determinato in forza del contesto normativo applicabile, solo l’errore manifesto di valutazione configura un illecito (v. sentenza del 13 dicembre 2017, CJ/ECDC, T‑703/16 RENV, non pubblicata, EU:T:2017:892, punto 31 e giurisprudenza citata).

52      È alla luce di queste considerazioni che occorre esaminare le censure dei ricorrenti formulate nell’ambito della loro domanda risarcitoria.

53      A tale riguardo, malgrado la mancanza di chiarezza del ricorso, si deve intendere che i ricorrenti contestano sostanzialmente, in base alla condizione relativa all’illiceità dell’azione dell’APN, tre aspetti: in primo luogo, il comportamento del capo unità in quanto tale, in secondo luogo, l’inadeguatezza dei provvedimenti adottati dall’APN in risposta alla domanda di assistenza e, più a monte, in risposta alla segnalazione ai sensi dell’articolo 22 bis dello Statuto che essi avrebbero inteso fare attraverso, in particolare, la loro lettera dell’11 novembre 2013 e, in terzo luogo, la durata, a loro dire irragionevole, dell’indagine amministrativa e la conseguente tardività del procedimento disciplinare esperito contro il capo unità.

54      Occorre esaminare in successione queste tre categorie di censure.

b)      Sulla domanda di risarcimento del danno morale dei ricorrenti derivante dal comportamento stesso del capo unità

55      Quanto alla domanda di risarcimento del danno morale subito dai ricorrenti a seguito del comportamento del capo unità, occorre subito respingerla in quanto prematura, dato che i ricorrenti non hanno visto previamente respingere un loro ricorso per risarcimento danni intentato dinnanzi ad un giudice nazionale contro il detto capo unità.

56      Infatti, ai sensi dell’articolo 24, primo comma, dello Statuto, l’Unione assiste il funzionario o agente «in particolare nei procedimenti a carico di autori di minacce, oltraggi, ingiurie, diffamazioni, attentati contro la persona o i beni di cui il funzionario o i suoi familiari siano oggetto, a motivo della sua qualità e delle sue funzioni». Inoltre, ai sensi dell’articolo 24, secondo comma, dello Statuto, l’Unione «risarcisce solidalmente il funzionario dei danni subiti in conseguenza di tali fatti, sempreché egli, intenzionalmente o per negligenza grave, non li abbia causati e non abbia potuto ottenerne il risarcimento dal responsabile».

57      A questo proposito, l’obbligo di assistenza sancito dall’articolo 24 dello Statuto contempla la tutela dei funzionari e degli agenti, da parte della loro istituzione, contro comportamenti di terzi e non contro gli atti emanati dall’istituzione stessa, il cui controllo rientra nell’ambito di applicazione di altre disposizioni dello Statuto (sentenze del 17 dicembre 1981, Bellardi-Ricci e a./Commissione, 178/80, EU:C:1981:310, punto 23, e del 9 settembre 2016, De Esteban Alonso/Commissione, T‑557/15 P, non pubblicata, EU:T:2016:456, punto 45). Fermo restando ciò, ai sensi di tale disposizione, altri funzionari o agenti o membri di un’istituzione dell’Unione, come il capo unità, possono essere considerati terzi (v., in questo senso, sentenza del 14 giugno 1979, V./Commissione, 18/78, EU:C:1979:154, punto 15).

58      Pertanto, conformemente all’articolo 24, secondo comma, dello Statuto, per quanto riguarda il preteso danno morale subito, a seguito dei comportamenti del capo unità, dai ricorrenti, questi ultimi devono perseguire in primo luogo il risarcimento di siffatto pregiudizio attraverso un’azione di risarcimento dinanzi ad un giudice nazionale, fermo restando che, in applicazione di tale disposizione dello Statuto, solo se tale danno non potesse essere risarcito l’APN potrebbe essere tenuta a risarcire in solido i danni causati ai ricorrenti da tali comportamenti di un «terzo» ai sensi di tale disposizione (v., in questo senso, sentenza del 13 luglio 2018, Curto/Parlamento, T‑275/17, EU:T:2018:479, punto 112).

59      Tuttavia, occorre precisare che, in base all’obbligo di assistenza, l’APN può essere tenuta ad assistere i ricorrenti, segnatamente sul piano finanziario, in una siffatta ricerca di risarcimento, nella fattispecie al fine di ottenere, attraverso un’azione giudiziaria «assistita», che i comportamenti che li riguardano, a motivo della loro qualità o delle loro funzioni e che avevano giustificato la domanda di assistenza, siano riconosciuti illegittimi e diano luogo ad un risarcimento da parte di un giudice nazionale (v., in questo senso, sentenze del 9 settembre 2016, De Esteban Alonso/Commissione, T‑557/15 P, non pubblicata, EU:T:2016:456, punto 42, e del 13 luglio 2018, Curto/Parlamento, T‑275/17, EU:T:2018:479, punto 113 e giurisprudenza citata).

60      Alla luce delle considerazioni che precedono, la domanda di risarcimento dell’asserito danno subito dai ricorrenti derivante dal comportamento del capo unità in quanto tale deve pertanto essere respinta, comprese le pretese riguardanti una pretesa violazione da parte del capo unità del loro diritto alla tutela del segreto medico, la quale non era stata peraltro menzionata nella domanda risarcitoria.

c)      Sulla domanda di risarcimento fondata sullinadeguatezza dei provvedimenti di assistenza adottati nel caso di specie dallAPN

1)      Sul comportamento dell’APN nel corso dell’anno 2013

61      I ricorrenti contestano innanzitutto all’APN la sua inerzia nel trattare la segnalazione, ai sensi dell’articolo 22 bis dello Statuto, che essi avevano inteso fare attraverso la lettera dell’11 novembre 2013, la quale si riferiva anche a dichiarazioni di alcuni di loro che sarebbero state registrate nelle loro rispettive cartelle sanitarie e riportate in una nota redatta dal servizio medico nell’ottobre 2013. A loro parere, l’APN, sin dall’anno 2013, avrebbe dovuto prendere provvedimenti per far cessare la violazione da parte del capo unità di talune disposizioni statutarie.

62      A tale riguardo, le molestie psicologiche sono vietate dall’articolo 12 bis dello Statuto e, di conseguenza, comportamenti di un funzionario rientranti in tale divieto possono essere considerati come una «grave mancanza agli obblighi dei funzionari dell’Unione» e formare così oggetto di una segnalazione conformemente all’articolo 22 bis dello Statuto, ai sensi del quale «[i]l funzionario che, nell’esercizio o in occasione dell’esercizio delle sue funzioni, venga a conoscenza di fatti che possano lasciar presumere una possibile attività illecita, e in particolare una frode o un atto di corruzione, pregiudizievole per gli interessi dell’Unione, o una condotta in rapporto con l’esercizio di incarichi professionali che possa costituire una grave mancanza agli obblighi dei funzionari dell’Unione, ne informa immediatamente il proprio superiore gerarchico diretto o il direttore generale o, se lo ritenga utile, il segretario generale, o persone di rango equivalente, o direttamente l’Ufficio europeo per la lotta antifrode» (v., in questo senso, sentenza dell’8 ottobre 2014, Bermejo Garde/CESE, T‑530/12 P, EU:T:2014:860, punto 106).

63      Su questo punto, i ricorrenti fanno giustamente valere che la lettera dell’11 novembre 2013 dovrebbe essere considerata non come una domanda di assistenza ai sensi dell’articolo 24 dello Statuto, ma come una segnalazione ai sensi dell’articolo 22 bis dello Statuto. Infatti, nella detta lettera e come hanno essi stessi esposto nella domanda di assistenza successivamente presentata, specificandovi che era «[p]er evitare lo svolgimento irregolare della prova e rispettando i loro obblighi derivanti dall’articolo 2[2] dello Statuto [che essi avevano] avvisato per iscritto [il direttore generale]», i ricorrenti chiedevano sostanzialmente il rinvio della prova linguistica, rendendo nota nel contempo la loro inquietudine quanto allo stato mentale del capo unità e al suo comportamento nel servizio. Per contro, tale lettera non menzionava, quanto meno esplicitamente, l’esistenza di molestie psicologiche o sessuali. Essa denunciava piuttosto, essenzialmente, difficoltà, anche conflittuali, in seno all’unità, così come la violazione, da parte del capo unità, del principio elementare dell’indipendenza delle commissioni giudicatrici che debbono pronunciarsi sulle capacità professionali di funzionari.

64      Decidendo, qualche giorno dopo la ricezione della lettera dell’11 novembre 2013, da un lato, di affidare al direttore la conduzione di un’indagine, interna alla direzione generale e vertente sui fatti di cui i ricorrenti l’avevano informata, e, dall’altro, di rinviare la prova linguistica alla quale il capo unità doveva partecipare, l’APN, nella persona del direttore generale, ha accolto la domanda dei ricorrenti, quale formulata in tale lettera e rientrante nell’ambito di applicazione dell’articolo 22 bis dello Statuto, anche se la natura e la portata di tale indagine, interna alla direzione generale, non erano state precisate nella lettera di risposta del 18 novembre 2013.

65      A tale proposito, dato che, nell’esercizio dei poteri ad essa devoluti, l’amministrazione, perseguendo tale obiettivo e fornendo i mezzi logistici e umani necessari, può decidere di affidare la conduzione di un’indagine del genere a funzionari dell’istituzione di inquadramento gerarchico superiore, come un direttore (v., per analogia, sentenza del 6 ottobre 2015, CH/Parlamento, F‑132/14, EU:F:2015:115, punto 99 e giurisprudenza citata), i ricorrenti non possono contestare all’APN il fatto che il direttore generale abbia affidato al direttore la conduzione dell’indagine connessa alla segnalazione, ai sensi dell’articolo 22 bis dello Statuto, effettuata dai ricorrenti mediante la loro lettera dell’11 novembre 2013.

66      Per quanto riguarda il riferimento dei ricorrenti all’esistenza di dichiarazioni registrate nelle loro cartelle sanitarie rispettive e in una nota redatta da uno dei medici di fiducia del servizio medico, esso è inconferente.

67      Infatti, in seno a ciascuna istituzione, solo i sanitari professionisti che compongono il servizio medico, soggetti alle norme deontologiche della professione medica, sono autorizzati a formulare una diagnosi medica e a comunicare all’APN le informazioni di cui quest’ultima può aver bisogno per esercitare i poteri ad essa devoluti dallo Statuto e dal Regime applicabile agli altri agenti dell’Unione europea (sentenza del 10 aprile 2019, AV/Commissione, T‑303/18 RENV, non pubblicata, EU:T:2019:239, punto 109).

68      A questo proposito, non è accertato che, nella fattispecie, il servizio medico abbia, di sua iniziativa, informato la persona autorizzata presso il Parlamento a trattare la domanda di assistenza a nome dell’APN, e cioé il direttore generale della DG «Personale» o, se del caso, il segretario generale, di comportamenti del capo unità che potessero rientrare nella previsione dell’articolo 12 bis dello Statuto. Tutt’al più, risulta da un messaggio di posta elettronica dell’11 gennaio 2014 che uno dei ricorrenti ha trasmesso al loro legale copia di una nota attribuita al servizio medico precisando che anche il direttore ne aveva ricevuto copia. Tuttavia, quest’ultimo non era la persona autorizzata presso il Parlamento a trattare le domande di assistenza ai sensi dell’articolo 24 dello Statuto.

69      Di conseguenza, prima dell’intervento della lettera dell’11 novembre 2013, non può essere contestato all’APN di aver ignorato l’esistenza e il contenuto delle dichiarazioni di taluni funzionari dell’unità rese nel corso dell’anno 2013 presso il servizio medico e che sarebbero state registrate da quest’ultimo in una nota prodotta dai ricorrenti.

70      Per quanto riguarda la circostanza che i ricorrenti avrebbero consegnato al direttore generale, in concomitanza con la loro lettera dell’11 novembre 2013, copia della nota del servizio medico che sintetizzava le loro dichiarazioni presso tale servizio, si deve rilevare, nuovamente, che, ai fini dell’applicazione dell’articolo 22 bis dello Statuto, il direttore generale era certamente, in quanto superiore gerarchico del direttore e del capo unità, la persona autorizzata a impegnare l’APN. Tuttavia, egli non era la persona autorizzata a trattare, a nome dell’APN, una domanda di assistenza ai sensi dell’articolo 24 dello Statuto riguardante fatti configuranti molestie psicologiche ai sensi dell’articolo 12 bis del detto Statuto.

71      Inoltre, il documento menzionato dai ricorrenti e prodotto come allegato A. 7 del ricorso, indipendentemente dal fatto che esso non arreca il timbro del servizio medico, si limita a confermare che questi ultimi sono stati sottoposti a visita nell’ambito dell’assistenza permanente fornita dal servizio medico del Parlamento.

72      Fermo restando ciò, si deve necessariamente ricordare che i pareri di esperti sanitari non sono tali da dimostrare, di per se stessi, l’esistenza, in diritto, di molestie o di illeciti dell’istituzione alla luce del suo obbligo di assistenza (sentenze del 6 febbraio 2015, BQ/Corte dei conti, T‑7/14 P, EU:T:2015:79, punto 49; del 17 settembre 2014, CQ/Parlamento, F‑12/13, EU:F:2014:214, punto 127, e del 6 ottobre 2015, CH/Parlamento, F‑132/14, EU:F:2015:115, punto 92). In particolare, anche se i medici di fiducia dell’istituzione possono evidenziare l’esistenza di disturbi psichici da parte di funzionari o agenti, essi non possono tuttavia provare che i detti disturbi risultino da molestie psicologiche, dato che, per concludere nel senso dell’esistenza di tali molestie, gli autori di una siffatta attestazione medica si fondano necessariamente ed esclusivamente sulla descrizione fatta dagli interessati delle loro condizioni di lavoro in seno all’istituzione in questione (v., in questo senso, sentenze del 29 giugno 2018, HF/Parlamento, T‑218/17, oggetto di impugnazione, EU:T:2018:393, punto 106; del 2 dicembre 2008, K/Parlamento, F‑15/07, EU:F:2008:158, punto 41, e del 17 settembre 2014, CQ/Parlamento, F‑12/13, EU:F:2014:214, punto127), senza confrontare tale versione dei fatti con quella della persona messa in questione, nei suoi comportamenti, dai detti funzionari o agenti.

73      Certo, non è escluso che, in talune circostanze, un capo servizio o il servizio medico di un’istituzione possa interpellare l’APN sull’esistenza di un caso potenziale di violazione patente o flagrante dell’articolo 12 bis dello Statuto e che ciò possa condurre l’APN ad avviare d’ufficio un’indagine amministrativa senza disporre di una domanda di assistenza, accompagnata da un principio di prova, presentata dalla presunta vittima.

74      Tuttavia, nelle circostanze del caso di specie, non avendo, all’epoca, formalmente presentato una domanda di assistenza ai sensi dell’articolo 24 dello Statuto presso la persona o le persone autorizzate a trattare le domande di assistenza in seno al Parlamento, i ricorrenti, che avevano inteso limitarsi ad una segnalazione ai sensi dell’articolo 22 bis dello Statuto senza farvi valere una violazione dell’articolo 12 bis del detto Statuto, non possono censurare l’APN per non aver essa avviato spontaneamente, sin dall’anno 2013, un’indagine amministrativa vertente su fatti configuranti molestie psicologiche, né per non aver adottato, nello stesso periodo, provvedimenti di allontanamento riguardanti il capo unità.

75      Si deve pertanto concludere che l’APN non ha violato nel caso di specie né l’articolo 22 bis dello Statuto, né il suo dovere di sollecitudine, né ancora il principio di buona amministrazione non avendo adottato, sin dal 2013, provvedimenti di assistenza a favore dei ricorrenti per rimediare alla situazione nella forma in cui essa poteva esserne venuta a conoscenza a quel tempo.

76      Per quanto riguarda l’affermazione dei ricorrenti secondo la quale il direttore avrebbe condotto l’indagine amministrativa, interna alla direzione generale e avviata in risposta alla loro segnalazione, in maniera parziale iniziando la stessa con colloqui con tre persone che avevano la fiducia del capo unità e che sarebbero state più condiscendenti, al fine di convincerle che si trattava di una macchinazione dei ricorrenti, si deve necessariamente constatare che essa non è suffragata, né provata e che essa deve, pertanto, essere considerata congetturale.

77      In ogni caso, si deve ricordare che il soggetto incaricato di un’indagine amministrativa, il quale è tenuto ad istruire in maniera adeguata i casi che gli vengono sottoposti, dispone di un ampio potere discrezionale per quanto riguarda la conduzione dell’indagine e, in particolare, la valutazione della qualità e dell’utilità della collaborazione fornita dai testimoni (sentenze del 29 giugno 2018, HF/Parlamento, T‑218/17, oggetto di impugnazione, EU:T:2018:393, punto 97, e dell’11 luglio 2013, Tzirani/Commissione, F‑46/11, EU:F:2013:115, punto 124). Orbene, la scelta delle persone sentite dal direttore così come la decisione del direttore generale di affidare tale indagine interna alla direzione generale al detto direttore nel novembre 2013 rientravano nell’ampio potere discrezionale dell’APN in materia e, su questo punto, i ricorrenti non riescono a dimostrare che l’APN avrebbe al riguardo ecceduto i limiti del proprio potere.

78      Infine, i ricorrenti non riescono neppure a provare la loro affermazione secondo la quale il direttore non avrebbe «garantito lo svolgimento dell’indagine che [l’APN gli] aveva affidato» nel 2013.

79      Alla luce di quanto precede, si deve respingere la domanda di risarcimento nella parte in cui riguarda il comportamento dell’APN prima della presentazione della domanda di assistenza.

2)      Sui provvedimenti adottati dall’APN dopo la presentazione della domanda di assistenza

80      Per quanto riguarda il comportamento dell’APN successivo alla presentazione della domanda di assistenza, avvenuta il 24 gennaio 2014, occorre ricordare che, quando all’APN o, a seconda dei casi, all’autorità abilitata a concludere i contratti di assunzione, venga rivolta, conformemente all’articolo 90, paragrafo 1, dello Statuto, una domanda di assistenza ai sensi dell’articolo 24 del detto Statuto, tale autorità è tenuta, in virtù dell’obbligo di assistenza e se si trova di fronte a un incidente incompatibile con l’ordine e la serenità del servizio, a intervenire con tutta l’energia necessaria, rispondendo con la tempestività e la sollecitudine richieste dalle circostanze del caso specifico al fine di accertare i fatti e di trarne, con cognizione di causa, le opportune conclusioni. A tal fine, è sufficiente che il funzionario o l’agente che chiede la tutela della sua istituzione fornisca un principio di prova della sussistenza delle asserite aggressioni subite. In presenza di tali elementi, l’istituzione di cui trattasi è tenuta ad adottare gli opportuni provvedimenti, in particolare procedendo ad un’indagine amministrativa, al fine di accertare i fatti all’origine della denuncia, in collaborazione con l’autore di quest’ultima (sentenze del 26 gennaio 1989, Koutchoumoff/Commissione, 224/87, EU:C:1989:38, punti 15 e 16, e del 25 ottobre 2007, Lo Giudice/Commissione, T‑154/05, EU:T:2007:322, punto 136; v., altresì, sentenza del 24 aprile 2017, HF/Parlamento, T‑570/16, EU:T:2017:283, punto 46 e giurisprudenza citata) e, alla luce delle risultanze dell’indagine, ad adottare i provvedimenti necessari, come, ciò che è avvenuto nel caso di specie, l’avvio di un procedimento disciplinare a carico della persona chiamata in causa qualora l’amministrazione concluda, in esito all’indagine amministrativa, nel senso dell’esistenza di molestie psicologiche.

81      In presenza di asserite molestie, l’obbligo di assistenza comporta, in particolare, il dovere da parte dell’amministrazione di esaminare seriamente, con rapidità e in assoluta riservatezza, la domanda di assistenza in cui vengono lamentate molestie psicologiche e di informare il richiedente del seguito riservato alla domanda (sentenze del 24 aprile 2017, HF/Parlamento, T‑570/16, EU:T:2017:283, punto 47, e del 13 luglio 2018, Curto/Parlamento, T‑275/17, EU:T:2018:479, punto 98).

82      Per quanto riguarda i provvedimenti da adottare in una situazione che, come nella fattispecie, rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 24 dello Statuto, l’amministrazione dispone di un ampio potere discrezionale, sotto il controllo del giudice dell’Unione, nella scelta dei provvedimenti e dei mezzi di applicazione dell’articolo 24 dello Statuto (v. sentenze del 24 aprile 2017, HF/Parlamento, T‑570/16, EU:T:2017:283, punto 48 e giurisprudenza citata, e del 13 luglio 2018, Curto/Parlamento, T‑275/17, EU:T:2018:479, punto 99 e giurisprudenza citata), anche se, quanto alla questione se taluni fatti configurino o meno molestie psicologiche o sessuali, accertamento che può operare solo in esito ad un’indagine amministrativa, essa non dispone di un ampio potere discrezionale (sentenze del 29 giugno 2018, HF/Parlamento, T‑218/17, oggetto di impugnazione, EU:T:2018:393, punto 123; del 13 luglio 2018, SQ/BEI, T‑377/17, EU:T:2018:478, punto 99, e del 13 luglio 2018, Curto/Parlamento, T‑275/17, EU:T:2018:479, punto 75).

83      Nella fattispecie, il Parlamento non contesta che la domanda di assistenza fosse accompagnata da un principio di prova sufficiente a sostegno delle affermazioni di molestie psicologiche e sessuali in essa contenute.

84      Orbene, qualora l’autore della domanda di assistenza fornisca un principio di prova sufficiente delle proprie affermazioni, da un lato, l’amministrazione è tenuta ad avviare un’indagine amministrativa al fine di chiarire i fatti e di poter poi adottare, se del caso, gli opportuni provvedimenti di assistenza (v., in questo senso, sentenza del 6 ottobre 2015, CH/Parlamento, F‑132/14, EU:F:2015:115, punto 94), senza disporre al riguardo di un ampio potere discrezionale quanto all’opportunità di avviare e di condurre la detta indagine amministrativa e, dall’altro, l’indagine dev’essere esperita con la massima celerità al fine di poter ripristinare, alla fine, condizioni di lavoro conformi all’interesse del servizio.

85      Se è vero che, nella fattispecie, l’APN ha avviato l’indagine amministrativa in risposta alla domanda di assistenza, essa vi ha tuttavia proceduto solo il 19 marzo 2014 e ne ha informato i ricorrenti solo nell’aprile 2014, ossia quasi tre mesi dopo la presentazione di tale domanda. Si deve necessariamente constatare che, così facendo, l’APN ha violato il principio di buona amministrazione e l’articolo 24 dello Statuto, esponendo nel contempo i ricorrenti ad incertezze riguardo al seguito dato alla loro domanda.

86      Quanto alla riunione del 29 gennaio 2014, i ricorrenti non riescono, in particolare alla luce dell’ampio potere discrezionale riconosciuto all’APN nell’organizzazione dei suoi servizi, a dimostrare come la presenza del direttore e di un consigliere giuridico assegnato alle dipendenze del direttore generale abbia violato una disposizione statutaria in materia. In particolare, si deve necessariamente ricordare che, nella domanda di assistenza, la sola persona formalmente e direttamente chiamata in causa era il capo unità. Pertanto, in assenza di accuse riguardanti altre persone e anche se i ricorrenti hanno potuto soggettivamente ritenere che il direttore fosse solidale con il capo unità e che non avesse loro fornito, nel corso dell’anno 2013, l’assistenza loro dovuta ai sensi dell’articolo 24 dello Statuto, l’APN non ha in nessun modo violato tale disposizione prevedendo la presenza del direttore e del detto consigliere giuridico alla riunione del 29 gennaio 2014.

87      Quanto alle parole che il direttore avrebbe espresso nel corso della riunione del 29 gennaio 2014, si deve rilevare che egli era il superiore gerarchico del capo unità chiamato in causa nella domanda di assistenza, che non era lui, in tale fase, ad essere formalmente e direttamente messo in questione da tale domanda di assistenza e che, nel corso dell’anno 2013, i ricorrenti si sono in primo luogo rivolti proprio a lui e non all’APN nella persona del direttore generale della DG «Personale» o, eventualmente, del segretario generale.

88      Di conseguenza, l’APN poteva decidere di informare il direttore dell’esistenza della domanda di assistenza, anche ai fini di un aiuto da parte sua nella trattazione di tale domanda. Infatti, se è vero che è preferibile, in linea di principio, per scrupolo di tutela sia della supposta vittima sia dell’integrità professionale del presunto molestatore, che, in un primo momento, l’APN non informi quest’ultimo, né altri terzi, della presentazione di una domanda di assistenza, ciò non riguarda le persone che svolgono funzioni gerarchicamente superiori a quelle dell’asserito molestatore e della presunta vittima. L’essenziale, al riguardo, è che la rivelazione dell’esistenza della domanda di assistenza non pregiudichi l’efficacia dell’indagine (sentenza del 29 giugno 2018, HF/Parlamento, T‑218/17, oggetto di impugnazione, EU:T:2018:393, punto165).

89      Per quanto riguarda la pretesa esitazione dell’APN nello sgravare il capo unità delle sue funzioni riassegnandolo ad un impiego che non gli consentisse più di essere a contatto con i ricorrenti, si deve considerare che, alla luce della gravità dei fatti asseriti nella fattispecie, in particolare delle accuse di molestie sessuali verso uno dei membri dell’unità, nonché della credibilità degli elementi di prova prodotti dai ricorrenti, i quali peraltro componevano la quasi totalità dell’unità, l’APN era tenuta, in forza dell’articolo 24 dello Statuto, ad adottare un provvedimento di allontanamento completo del capo unità. Tuttavia, come fatto valere dal Parlamento, nell’adozione di un siffatto provvedimento, l’APN resta tenuta a rispettare i diritti della persona chiamata in causa, in particolare i diritti della difesa e la presunzione di innocenza, fermo restando che solo la conduzione di una completa indagine amministrativa si presume consenta l’adozione di provvedimenti di assistenza definitivi (v., in questo senso, sentenza del 24 aprile 2017, HF/Parlamento, T‑570/16, EU:T:2017:283, punto 57).

90      Nella fattispecie, anche se l’APN ha effettivamente riassegnato il capo unità ad un altro impiego e ha designato un altro capo unità per la conduzione dell’unità come pure per la compilazione dei rapporti informativi dei ricorrenti per l’esercizio di valutazione 2014, si deve necessariamente constatare che, come riconosce lo stesso Parlamento, il capo unità, di fatto, ha continuato a svolgere un ruolo residuo nei lavori dell’unità, in particolare nella gestione dei congedi e delle attività di formazione nonché nell’ambito dell’esercizio di valutazione 2014, quando invece, conformemente all’articolo 24 dello Statuto, il capo unità avrebbe dovuto essere completamente allontanato dalla gestione di tale unità nel corso di tutta la durata dell’indagine amministrativa. Analogamente, anche se, in attesa dei risultati dell’indagine amministrativa, il capo unità non poteva, sulla sola base delle affermazioni dei ricorrenti, formare oggetto di una sanzione disciplinare o di qualsiasi altro provvedimento amministrativo equivalente, appare manifestamente inopportuno il fatto che il capo unità sia stato assegnato, nel corso della durata dell’indagine amministrativa e del successivo procedimento disciplinare, a funzioni, [riservato], che implicavano la possibilità che egli potesse quotidianamente avvicinare i ricorrenti componenti il grosso dell’unità e, eventualmente, intimidirli o minacciarli.

91      In tale modo, la violazione da parte dell’APN dell’obbligo ad essa incombente ai sensi dell’articolo 24 dello Statuto di allontanare effettivamente il capo unità dagli altri dipendenti di tale unità ha avuto l’effetto di non ripristinare pienamente condizioni di lavoro rispettose della dignità dei ricorrenti ai sensi dell’articolo 31 della Carta dei diritti fondamentali.

92      Quanto al comportamento del direttore, percepito dai ricorrenti come di parte e favorevole al capo unità, risulta chiaramente che, ad eccezione di A, i ricorrenti non hanno inteso imputare al direttore atti rientranti nella previsione dell’articolo 12 bis dello Statuto e non hanno presentato alcuna domanda di assistenza perché l’APN li proteggesse dai comportamenti del direttore da essi ormai denunciati nell’ambito del presente ricorso.

93      Relativamente ad A, risulta che, oltre alla domanda riguardante il capo unità, il 23 gennaio 2015 egli ha presentato una domanda presso l’APN per ottenere che il direttore non fosse più incaricato della compilazione del suo rapporto informativo. In tale domanda, l’interessato considerava che, da quattro anni, egli soffriva per abuso di potere e molestie psicologiche da parte del direttore, con relative conseguenze sulla sua salute. Tale domanda, qualificata dall’APN come domanda di assistenza, è stata respinta con decisione di tale autorità adottata il 16 febbraio 2015, in quanto il segretario generale aveva designato il direttore come valutatore d’appello nell’ambito dell’esercizio di valutazione 2014 per tutto il personale dell’unità, e ciò prima che fosse presentata tale domanda di assistenza.

94      A questo proposito, si deve necessariamente constatare che A non ha presentato né un reclamo contro tale decisione di rigetto della sua domanda di assistenza riguardante il direttore né un ricorso ai sensi dell’articolo 270 TFUE. Inoltre, non può essere contestato all’APN il fatto di non aver adottato, prima del 23 gennaio 2015, data di presentazione della domanda di assistenza di A, provvedimenti riguardanti il direttore, poiché essa ignorava, prima di tale data, che a quest’ultimo veniva imputato il fatto di non comportarsi in conformità delle disposizioni statutarie. Orbene, i comportamenti contestati al direttore nel ricorso sono anteriori alla detta domanda del 23 gennaio 2015.

95      Occorre pertanto respingere le pretese risarcitorie dei ricorrenti riguardanti la pretesa condotta omissiva dell’APN riguardo all’adozione di provvedimenti di assistenza per rimediare al comportamento del direttore.

96      Per quanto riguarda le pretese osservazioni negative contenute nei rapporti informativi di alcuni dei ricorrenti compilati in esito all’esercizio di valutazione 2014 condotto dal direttore, il Parlamento ha riconosciuto che i commenti non fondati su elementi sostanziali verificabili erano stati soppressi. Tale modo di procedere opportuno dell’APN consistente nell’aver fatto correggere i rapporti interessati da un altro direttore della stessa DG conferma tuttavia che il direttore è effettivamente potuto intervenire in maniera negativa e distorta nell’iter di valutazione di taluni dei ricorrenti, anche menzionando la domanda di assistenza nel corso dei colloqui relativi all’esercizio di valutazione 2014 e rivelando di aver consultato il capo unità in ordine alla compilazione del rapporto informativo.

97      Vero è che, correggendo i rapporti informativi interessati, l’APN ha potuto ripristinare l’obiettività dell’esercizio di valutazione 2014. Tuttavia, in un contesto in cui una domanda di assistenza era in corso di trattazione, tale elemento dimostra la sussistenza, nella conduzione dell’esercizio di valutazione 2014, di un illecito che giustifica la condanna dell’APN a risarcire il danno morale subito dai ricorrenti al riguardo.

98      Fermo restando ciò, nella misura in cui i ricorrenti, in particolare A, intendono ottenere il risarcimento del preteso danno morale causato loro dalle «diffamazioni, ingerenze e [dai] commenti offensivi» del direttore e dalla sua condotta «ripetitiva e sistematica», si deve necessariamente constatare che tale domanda di risarcimento danni non può essere accolta.

99      Infatti, da una parte, anche supponendo che intendano ottenere il risarcimento dei danni loro causati dai comportamenti del direttore da loro ritenuti in contrasto con l’articolo 12 bis dello Statuto, essi sarebbero tenuti, come per il preteso danno morale subito a seguito del comportamento del capo unità, ad intentare un’azione dinanzi al giudice nazionale per la quale, eventualmente, potrebbero chiedere l’aiuto dell’APN ai sensi dell’articolo 24 dello Statuto (v., in questo senso, sentenza del 13 luglio 2018, Curto/Parlamento, T‑275/17, EU:T:2018:479, punti da 111 a 113). Dall’altra parte ed in ogni caso, i comportamenti menzionati, alla luce delle prove prodotte in questa fase dinanzi al Tribunale, riflettono essenzialmente una gestione maldestra di una situazione conflittuale in seno all’unità (v., per quanto riguarda un caso di cattiva gestione nella stessa direzione amministrativa, sentenze del 17 settembre 2014, CQ/Parlamento, F‑12/13, EU:F:2014:214, punto 128, e del 26 marzo 2015, CW/Parlamento, F‑124/13, EU:F:2015:23, punto 117, non annullata su questo punto dalla sentenza del 27 ottobre 2016, CW/Parlamento, T‑309/15 P, non pubblicata, EU:T:2016:632).

100    Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve concludere, da una parte, che, riguardo all’obbligo di assistenza ad essa incombente ai sensi dell’articolo 24 dello Statuto e dell’articolo 31 della Carta dei diritti fondamentali, l’APN ha omesso di adottare provvedimenti tali da allontanare effettivamente il capo unità dai ricorrenti e da garantire una conduzione imparziale dell’esercizio di valutazione 2014 e, dall’altra, che tale inadempimento giustifica il sorgere della responsabilità del Parlamento.

d)      Sulla domanda di risarcimento connessa alla durata dei procedimenti

101    Quanto alle affermazioni relative all’irragionevole durata del procedimento di indagine amministrativa, dato che lo Statuto non prevede alcuna specifica disposizione quanto al termine entro il quale un’indagine amministrativa debba essere condotta dall’amministrazione, in particolare in materia di molestie psicologiche, l’APN è tenuta in tale ambito al rispetto del principio del termine ragionevole. Al riguardo, l’istituzione, l’organo o l’organismo dell’Unione interessato deve vegliare, nella conduzione dell’indagine amministrativa, a che ciascun atto adottato venga emanato entro un termine ragionevole rispetto al precedente (v. sentenza del 13 luglio 2018, Curto/Parlamento, T‑275/17, EU:T:2018:479, punto 101 e giurisprudenza citata).

102    Su questo punto, il carattere ragionevole o meno della durata di un procedimento amministrativo si valuta in relazione all’importanza della controversia per l’interessato, alla complessità del caso e al comportamento delle parti in causa (v., per analogia, sentenza del 10 giugno 2016, HI/Commissione, F‑133/15, EU:F:2016:127, punti 109 e 113 e giurisprudenza citata). Nel caso di affermazioni riguardanti molestie psicologiche, comportamenti vietati dall’articolo 12 bis dello Statuto, tale valutazione deve operarsi a partire dal momento in cui l’amministrazione ha preso sufficiente conoscenza dei fatti e dei comportamenti che possono costituire infrazioni agli obblighi statutari del funzionario o agente ovvero dei funzionari o agenti chiamati in causa (v., in questo senso, sentenza del 10 aprile 2019, AV/Commissione, T‑303/18 RENV, non pubblicata, EU:T:2019:239, punto 82 e giurisprudenza citata).

103    Occorre ancora precisare che l’amministrazione non dispone di un ampio potere discrezionale nel definire ciò che costituisce un termine ragionevole, tanto meno in pretesi casi di molestie psicologiche per i quali, da un lato, conformemente alla giurisprudenza (sentenza del 13 luglio 2018, Curto/Parlamento, T‑275/17, EU:T:2018:479, punti 101 e 102), l’amministrazione è tenuta ad agire con tutta la celerità necessaria, in particolare al fine di condurre sino al termine l’indagine amministrativa e, dall’altro, il legislatore dell’Unione ha omesso di prescrivere alle amministrazioni che applicano lo Statuto un termine relativo alle procedure di trattazione delle domande di assistenza e delle segnalazioni effettuate in base, rispettivamente, all’articolo 24 e all’articolo 22 bis dello Statuto, in combinato disposto con l’articolo 12 bis dello stesso Statuto.

104    Nella fattispecie, si deve rilevare che l’indagine amministrativa è stata avviata solo quasi due mesi dopo la presentazione della domanda di assistenza, quando invece l’APN non contestava l’effettiva esistenza del principio di prova delle accuse di molestie psicologiche e sessuali contenute nella detta domanda. Inoltre, mentre le audizioni degli autori della domanda di assistenza e del capo unità sono iniziate il 15 aprile 2014, risulta dalle risposte del Parlamento ai quesiti posti dal Tribunale che solo il 3 marzo e il 17 novembre 2015 sono state redatte relazioni d’indagine da parte degli inquirenti designati dall’APN mentre, il 6 gennaio 2016, l’APN ha investito la commissione di disciplina del caso del capo unità.

105    Pertanto, l’APN ha impiegato quasi due anni per trattare la domanda di assistenza, il che, in un caso che interessa la quasi totalità di un’unità, configura una durata irragionevole.

106    A questo proposito, il Parlamento non può trincerarsi dietro al fatto che l’indagine amministrativa coinvolgeva un numero rilevante di persone, quando tali persone erano tutte in servizio presso la stessa unità ed erano, pertanto, disponibili (v., a contrario, per quanto riguarda l’audizione di testi che si trovano in più Stati membri o addirittura in uno Stato terzo e che giustifica un procedimento più lungo, sentenza del 10 giugno 2016, HI/Commissione, F‑133/15, EU:F:2016:127, punto 115), tanto più che esse erano in attesa della conduzione sino al termine dell’indagine amministrativa. Analogamente, l’esigenza da parte dell’APN di tutelare i diritti della difesa della persona chiamata in causa nella domanda di assistenza non può giustificare una siffatta durata, poiché tali diritti sono chiaramente sanciti sia agli articoli 41 e 48 della Carta dei diritti fondamentali, sia, in particolare, all’articolo 86 dello Statuto e all’allegato IX di quest’ultimo.

107    Come sottolineano i ricorrenti, l’inosservanza del termine ragionevole è tanto più pregiudizievole nel caso di specie in quanto essa ha esposto sia i ricorrenti sia il capo unità ad una situazione insoddisfacente per un lungo periodo. Orbene, l’articolo 24 dello Statuto impone all’APN di agire con la massima celerità nella conduzione dell’indagine amministrativa, in quanto, da una parte, l’eventuale riconoscimento da parte dell’APN, al termine dell’indagine amministrativa, dell’esistenza di molestie psicologiche è, di per se stesso, in grado di avere un effetto benefico nel processo terapeutico di riabilitazione delle vittime e potrà inoltre essere utilizzato da queste ultime ai fini di un’eventuale azione giudiziaria nazionale e, dall’altra, il completo svolgimento di un’indagine amministrativa può, al contrario, consentire di smentire le asserzioni della presunta vittima, consentendo quindi di porre rimedio ai torti che una tale accusa, ove infondata, ha potuto cagionare al soggetto a torto coinvolto in una procedura di indagine quale presunto molestatore (sentenze del 13 luglio 2018, Curto/Parlamento, T‑275/17, EU:T:2018:479, punto 59, e del 6 ottobre 2015, CH/Parlamento, F‑132/14, EU:F:2015:115, punti 95, 123 e 124).

108    Inoltre, si deve considerare che l’APN è venuta meno al suo dovere, in base all’obbligo di assistenza (sentenze del 24 aprile 2017, HF/Parlamento, T‑570/16, EU:T:2017:283, punto 47, e del 13 luglio 2018, Curto/Parlamento, T‑275/17, EU:T:2018:479, punto 98), di informare tempestivamente i richiedenti del seguito riservato alla loro domanda di assistenza. Infatti, mentre il capo unità è stato informato sin dal 19 marzo 2014 dell’avvio dell’indagine amministrativa, i ricorrenti, dal canto loro, sono stati informati solo quasi un mese dopo. Allo stesso modo, non sembra che i ricorrenti siano stati ufficialmente informati né della data in cui il procedimento disciplinare è stato avviato contro il capo unità né della natura e della gravità della sanzione inflitta a quest’ultimo, mentre invece tali informazioni avrebbero dovuto essere loro fornite in quanto esse si inseriscono nella trattazione della domanda di assistenza.

109    Analogamente, i ricorrenti non hanno ricevuto copia, se del caso in versione non riservata, delle relazioni redatte al termine dell’indagine amministrativa, mentre invece tale trasmissione era necessaria alla luce del principio di buona amministrazione e dell’obbligo di assistenza, i quali comportano che l’APN informi gli interessati dell’esito della loro domanda di assistenza, a maggior ragione in un caso, come quello di specie, in cui il riconoscimento da parte dell’APN, nella relazione redatta al termine dell’indagine amministrativa, dell’esistenza di molestie psicologiche può, di per se stesso, avere un effetto benefico nel processo terapeutico di riabilitazione delle vittime e potrebbe inoltre essere utilizzato ai fini di un’eventuale azione giudiziaria nazionale (sentenze del 13 luglio 2018, Curto/Parlamento, T‑275/17, EU:T:2018:479, punto 59, e del 6 ottobre 2015, CH/Parlamento, F‑132/14, EU:F:2015:115, punti 95, 123 e 124).

110    Ciò premesso, i ricorrenti non possono contestare all’APN di non aver condotto con sufficiente celerità il procedimento disciplinare intentato contro il capo unità. Infatti, tale procedimento obbedisce a norme che gli sono proprie e, in particolare, ai termini rigorosamente previsti all’allegato IX dello Statuto per ciascuna delle fasi comprese nel detto procedimento disciplinare e che, in ogni caso, non sembra siano stati violati. Infatti, nella fattispecie, tale procedimento, avviato il 6 gennaio 2016 con l’adizione della commissione di disciplina, è durato poco più di un anno sino all’adozione, il 27 febbraio 2017, della decisione finale dell’APN prevista all’articolo 22 dell’allegato IX dello Statuto, il che non sembra costituire una durata irragionevole alla luce della complessità del caso in esame.

111    Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che, solo nella trattazione della domanda di assistenza l’APN ha violato sia l’articolo 24 dello Statuto sia il principio del termine ragionevole, il che giustifica l’insorgere della responsabilità extracontrattuale del Parlamento nei confronti dei ricorrenti.

2.      Sul danno e sul nesso di causalità

112    Alla luce di tutte le circostanze del caso di specie, il Tribunale considera che i ricorrenti hanno effettivamente subito un danno morale derivante dal modo in cui l’APN ha trattato la loro domanda di assistenza alla luce sia dell’articolo 24 dello Statuto sia del principio del termine ragionevole nonché del modo in cui, nel contesto della trattazione della domanda di assistenza, essa ha condotto l’esercizio di valutazione 2014.

113    Tuttavia, relativamente al preteso danno connesso alle dimissioni di uno dei funzionari dell’unità, risultato della sua esasperazione alla luce delle lungaggini del procedimento amministrativo, si deve necessariamente constatare, da un lato, che il detto funzionario non è ricorrente nella presente causa e, dall’altro, che quest’ultimo ha sì fatto riferimento, nella sua lettera di dimissioni, ai motivi fatti valere nella domanda di assistenza, ma ha poi precisato di rassegnare le dimissioni per accettare un impiego nel suo Stato membro d’origine, il che gli consentiva di raggiungere la moglie che aveva avuto una gravidanza a rischio richiedente, per il futuro, la sua presenza permanente al suo fianco.

114    In ordine alla quantificazione del danno morale che può essere fatto valere dai ricorrenti, contrariamente a quanto essi sostengono, il Tribunale non può prescindere dal fatto, sottolineato dal Parlamento, che tale istituzione ha accettato di prendere a carico non soltanto le spese giudiziali sostenute in base al precedente ricorso dinanzi al Tribunale che ha dato luogo all’ordinanza del 17 luglio 2017, DQ e a./Parlamento (T‑38/17, non pubblicata, EU:T:2017:557), ma anche e soprattutto, da una parte, le spese di rappresentanza dei ricorrenti nell’ambito del ricorso da essi proposto contro il Parlamento dinanzi ad un giudice belga e, dall’altra, tutte le prestazioni del legale dei ricorrenti nell’ambito della procedura di trattazione della domanda di assistenza.

115    Infatti, per quanto riguarda le spese di rappresentanza dinanzi al giudice belga, esse non rientravano nell’ambito dell’obbligo di assistenza ai sensi dell’articolo 24 dello Statuto, poiché i ricorrenti non avevano agito in giudizio nei confronti del capo unità, ma del Parlamento. Quanto alle spese relative alla domanda di assistenza, si deve necessariamente ricordare che, in assenza di un obbligo di farsi rappresentare da un avvocato nell’ambito del procedimento precontenzioso, queste ultime spese non avrebbero potuto in linea di principio essere considerate come spese ripetibili, né essere reclamate in base alla presente azione risarcitoria (v., in questo senso, sentenza del 10 dicembre 2008, Nardone/Commissione, T‑57/99, EU:T:2008:555, punti 139 e 140).

116    In considerazione della sollecitudine che caratterizzava l’iniziativa finanziaria ex gratia del Parlamento, il Tribunale, tenendo conto, nel contempo, di tutti gli elementi addotti dai ricorrenti e che possono essere considerati come illeciti imputabili all’APN, causa di un danno morale nei loro confronti, ritiene, da un lato, che tale danno morale venga stimato in maniera corretta quantificandolo, ex æquo et bono, in un ammontare totale di EUR 36 000 da ripartire fra tutti i ricorrenti e, dall’altro, che, per il resto, la domanda di risarcimento del danno debba essere respinta.

C.      Sulla domanda di condanna del Parlamento a versare interessi compensatori e di mora

117    I ricorrenti chiedono inoltre che il Parlamento sia condannato «a versare interessi compensatori e gli interessi di mora nel frattempo maturati».

118    In assenza di osservazioni del Parlamento specificamente vertenti su questo capo della domanda, la domanda dei ricorrenti dev’essere accolta decidendosi che all’importo di EUR 36 000 dovranno essere aggiunti interessi al tasso di base della Banca centrale europea (BCE) per le operazioni principali di rifinanziamento maggiorato del 3,5%, e, in mancanza di una precisa indicazione della data di decorrenza di tali interessi, che venga presa in considerazione al riguardo la data di presentazione della domanda di risarcimento.

IV.    Sulle spese

119    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Inoltre, ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 3, di tale regolamento, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, le spese sono compensate, a meno che il Tribunale ritenga giustificato, alla luce delle circostanze del caso di specie, che una parte sostenga, oltre alle proprie spese, una quota delle spese dell’altra parte.

120    Nella fattispecie, i ricorrenti e il Parlamento sono risultati parzialmente soccombenti su uno o più dei capi della loro domanda. Tuttavia, alla luce delle circostanze del caso di specie, appare equo che il Parlamento sopporti, oltre alle proprie spese, la metà delle spese sostenute dai ricorrenti, sottolineandosi che, ai fini del pagamento di tali spese, il Parlamento potrà tener conto del fatto che le prestazioni professionali del legale ai fini della proposizione del presente ricorso sono state sostanzialmente agevolate da quelle che si erano rese necessarie ai fini della procedura di trattazione della domanda di assistenza nonché della proposizione dei ricorsi nelle cause F‑49/14 e T‑38/17, prestazioni il cui costo è già stato finanziariamente sopportato da tale istituzione.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Prima Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il Parlamento europeo è condannato a versare a DQ e alle altre parti ricorrenti i cui nominativi figurano in allegato un importo complessivo di EUR 36 000, da ripartire tra loro, per il danno morale da essi subito, oltre ad interessi, a decorrere dalla data del 13 dicembre 2017, al tasso fissato dalla Banca centrale europea (BCE) per le operazioni principali di rifinanziamento maggiorato del 3,5%, e ciò sino alla data di pagamento da parte del Parlamento dell’importo di EUR 36 000.

2)      Per il resto, il ricorso è respinto.

3)      Il Parlamento sopporterà le proprie spese e la metà delle spese sostenute da DQ e dalle altre parti ricorrenti i cui nominativi figurano in allegato.

4)      DQ e le altre parti ricorrenti i cui nominativi figurano in allegato sopporteranno la metà delle proprie spese.

Valančius

Nihoul

Svenningsen

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 3 ottobre 2019.

Firme


*      Lingua processuale: il francese.


1 L’elenco delle altre parti ricorrenti è allegato soltanto alla versione notificata alle parti.


2 Dati riservati occultati.