Language of document : ECLI:EU:T:2020:304

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Seconda Sezione ampliata)

8 luglio 2020 (*)

«Politica economica e monetaria – Vigilanza prudenziale degli enti creditizi – Articolo 18, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 1024/2013 – Sanzione pecuniaria amministrativa inflitta dalla BCE ad un ente creditizio – Articolo 26, paragrafo 3, primo comma, del regolamento (UE) n. 575/2013 – Violazione continuata dei requisiti di capitale primario – Infrazione per negligenza – Applicazione retroattiva di una legislazione repressiva meno severa – Assenza – Diritti della difesa – Importo della sanzione – Obbligo di motivazione»

Nella causa T‑576/18,

Crédit agricole SA, con sede in Montrouge (Francia), rappresentata da A. Champsaur e A. Delors, avvocati,

ricorrente,

contro

Banca centrale europea (BCE), rappresentata da C. Hernández Saseta, A. Pizzolla e D. Segoin, in qualità di agenti,

convenuta,

avente ad oggetto la domanda fondata sull’articolo 263 TFUE e diretta all’annullamento della decisione ECB/SSM/2018-FRCAG-75 della BCE, del 16 luglio 2018, adottata in applicazione dell’articolo 18, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio, del 15 ottobre 2013, che attribuisce alla BCE compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi (GU 2013, L 287, pag. 63), e che ha irrogato alla ricorrente una sanzione pecuniaria amministrativa di importo pari a EUR 4 300 000 per violazione continuata dei requisiti di capitale primario previsti all’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento (UE) n. 575/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento e che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012 (GU 2013, L 176, pag. 1; rettifiche in GU 2013, L 208, pag. 68, e GU 2013, L 321, pag. 6),

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione ampliata),

composto da S. Papasavvas, presidente, V. Tomljenović, F. Schalin, P. Škvařilová-Pelzl e I. Nõmm (relatore), giudici,

cancelliere: M. Marescaux, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 21 gennaio 2020,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        La ricorrente, Crédit agricole SA, è un ente creditizio francese sottoposto alla vigilanza prudenziale diretta della Banca centrale europea (BCE).

2        Il 22 dicembre 2016, l’unità di indagine della BCE ha inviato alla ricorrente una comunicazione degli addebiti ai sensi dell’articolo 126, paragrafi 1 e 2, del regolamento (UE) n. 468/2014 della BCE, del 16 aprile 2014, che istituisce il quadro di cooperazione nell’ambito del Meccanismo di vigilanza unico tra la Banca centrale europea e le autorità nazionali competenti e con le autorità nazionali designate (il «regolamento quadro sull’MVU») (GU 2014, L 141, pag. 1). La BCE contestava alla ricorrente di avere classificato nei suoi strumenti del capitale primario di classe 1 (in prosieguo: «CET 1») strumenti di capitale senza ottenere la previa autorizzazione dell’autorità competente, in violazione dell’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento (UE) n. 575/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento e che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012 (GU 2013, L 176, pag. 1; rettifiche in GU 2013, L 208, pag. 68, e GU 2013, L 321, pag. 6).

3        Il 18 gennaio 2017, la ricorrente ha formulato le proprie osservazioni scritte sulla comunicazione degli addebiti.

4        Il 2 agosto 2017, l’unità di indagine della BCE ha trasmesso alla ricorrente un progetto di decisione, al fine di consentirle di presentare le sue osservazioni scritte.

5        Il 4 agosto 2017, la ricorrente ha chiesto alla BCE una proroga del termine per presentare le proprie osservazioni. Il 7 agosto 2017, la BCE ha accolto parzialmente tale domanda prorogando detto termine fino al 30 agosto 2017.

6        Il 30 agosto 2017, la ricorrente ha presentato osservazioni scritte sul progetto di decisione comunicatole.

7        Il 16 luglio 2018, la BCE ha adottato la decisione ECB/SSM/2018-FRCAG-75, presa in applicazione dell’articolo 18, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio, del 15 ottobre 2013, che attribuisce alla BCE compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi (GU 2013, L 287, pag. 63), la quale ha irrogato alla ricorrente una sanzione pecuniaria amministrativa di importo pari a EUR 4 300 000 per violazione continuata dei requisiti di capitale primario previsti all’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento n. 575/2013 (in prosieguo: la «decisione impugnata»).

8        In primo luogo, la BCE ha ravvisato l’esistenza di un comportamento illecito a carico della ricorrente. Essa ha ritenuto che dall’articolo 26, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 575/2013 derivasse che gli enti creditizi potevano classificare i loro strumenti di capitale come strumenti di CET 1 solo dopo aver ottenuto la previa autorizzazione dell’autorità competente.

9        A tal riguardo, la BCE ha confutato la linea argomentativa della ricorrente relativa al fatto che le azioni ordinarie figuravano nell’elenco pubblicato dall’Autorità bancaria europea (ABE), in applicazione dell’articolo 26, paragrafo 3, terzo comma, del regolamento n. 575/2013 (in prosieguo: l’«elenco pubblicato dall’ABE»). Essa ha ritenuto, in sostanza, che la presenza di uno strumento su tale elenco non dispensasse un ente creditizio dall’ottenere la previa autorizzazione dell’autorità competente ai sensi dell’articolo 26, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 575/2013.

10      La BCE ha rilevato che la ricorrente aveva proceduto, il 23 giugno 2015, il 12 novembre 2015 e il 21 giugno 2016, a tre emissioni di azioni ordinarie, munite di una «clausola di lealtà», la quale attribuiva agli azionisti un dividendo maggiorato per ciascuna azione che essi avrebbero detenuto per un periodo continuato di almeno due anni. Essa le addebitava di avere classificato tali strumenti di capitale, senza la sua autorizzazione, fra i suoi strumenti di CET 1 nelle sue dichiarazioni trimestrali consolidate sui fondi propri e i requisiti di fondi propri fra il secondo trimestre del 2015 e il secondo trimestre del 2016, nonché nelle sue pubblicazioni di informazioni nell’ambito del terzo pilastro fra il 30 giugno 2015 e il 30 giugno 2016.

11      La BCE ha parimenti ricordato che, il 18 aprile 2016, il gruppo di vigilanza prudenziale congiunto aveva informato la ricorrente del suo obbligo di chiedere ed ottenere l’autorizzazione della BCE prima di classificare strumenti di capitale fra i suoi strumenti di CET 1; a seguito di ciò, la ricorrente aveva presentato, il 30 maggio e il 22 giugno 2016, domande di autorizzazione aventi ad oggetto, rispettivamente, da un lato, le emissioni del 23 giugno e del 12 novembre 2015 e, dall’altro, quelle del 21 giugno 2016. Le autorizzazioni sono state accordate dalla BCE, rispettivamente, il 26 luglio e il 29 agosto 2016.

12      La BCE ne ha desunto che la ricorrente non aveva rispettato l’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento n. 575/2013 dal 30 giugno 2015 al 30 giugno 2016, classificando strumenti di capitale fra i suoi strumenti di CET 1 senza l’autorizzazione dell’autorità competente, e che tale infrazione era stata commessa, quantomeno, per negligenza.

13      Inoltre, nella decisione impugnata, la BCE ha ricordato che, successivamente alle autorizzazioni da essa rilasciate, la stessa era stata informata dall’ABE del fatto che azioni ordinarie contenenti una «clausola di lealtà» non soddisfacevano le condizioni enunciate dall’articolo 28, paragrafo 4, del regolamento n. 575/2013 e non potevano essere classificate come strumenti di CET 1. Ciò l’ha portata a chiedere alla ricorrente, il 1° agosto  2017, di adottare misure idonee a rendere le sue azioni ordinarie pienamente conformi al regolamento n. 575/2013.

14      In secondo luogo, la BCE ha inflitto alla ricorrente una sanzione pecuniaria amministrativa di importo pari a EUR 4 300 000, a causa del suo comportamento illecito. Essa ha sottolineato di essere legittimata, in applicazione dell’articolo 18, paragrafo 1, del regolamento n. 1024/2013, ad infliggere una sanzione pecuniaria amministrativa in caso di violazione degli obblighi previsti dai pertinenti atti del diritto dell’Unione europea direttamente applicabili in relazione alle quali erano messe a disposizione delle autorità competenti sanzioni amministrative pecuniarie conformemente al pertinente diritto dell’Unione. Essa ha aggiunto che, ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 3, del regolamento n. 1024/2013, le sanzioni applicate dovevano essere «efficaci, proporzionate e dissuasive».

15      Per quanto riguarda la gravità dell’infrazione, la BCE ha tenuto conto del fatto che gli strumenti di capitale in questione rappresentavano 67 punti base del coefficiente CET 1 della ricorrente al 30 giugno 2016 e che la violazione dell’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento n. 575/2013 aveva avuto luogo in occasione di cinque periodi di dichiarazioni trimestrali consecutive e di tre pubblicazioni di informazioni, nell’ambito del terzo pilastro, nel 2015 e nel 2016. Essa ha ritenuto che l’infrazione fosse stata commessa almeno per negligenza e ha rilevato che la ricorrente aveva continuato a classificare le sue emissioni di azioni ordinarie come strumenti di CET 1 dopo essere stata avvisata dal gruppo di vigilanza prudenziale congiunto dell’obbligo di ottenere la sua previa autorizzazione.

16      A titolo di circostanze attenuanti, la BCE ha preso in considerazione il fatto che, a seguito delle domande effettuate dalla ricorrente, essa l’aveva autorizzata a classificare le sue emissioni di azioni ordinarie fra i suoi strumenti di CET 1.

17      La BCE ha ritenuto che una sanzione pecuniaria amministrativa di EUR 4 300 000, pari, a suo avviso, allo 0,0015% del fatturato annuo del gruppo al quale apparteneva la ricorrente, costituisse una sanzione proporzionata.

18      In terzo luogo, la BCE ha deciso di pubblicare sul suo sito Internet la sanzione pecuniaria amministrativa inflitta, senza rendere anonimo il nome della ricorrente. Essa ha ritenuto che le circostanze evidenziate dalla ricorrente per sostenere che una siffatta pubblicazione avrebbe compromesso gravemente la sua reputazione e la sua posizione sul mercato fossero meramente ipotetiche, vaghe e generiche, e che non consentissero, pertanto, di dimostrare che detta pubblicazione le avrebbe causato un danno sproporzionato ai sensi dell’articolo 132, paragrafo 1, lettera b), del regolamento quadro sull’MVU.

 Procedimento e conclusioni delle parti

19      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 25 settembre 2018, la ricorrente ha proposto il presente ricorso.

20      A seguito della modifica delle sezioni del Tribunale, la causa è stata attribuita ad un nuovo giudice relatore, il quale è stato assegnato alla Seconda Sezione alla quale, di conseguenza, è stata attribuita la presente causa.

21      Su proposta della Seconda Sezione del Tribunale, quest’ultimo ha deciso, in applicazione dell’articolo 28 del suo regolamento di procedura, di rinviare la causa dinanzi a un collegio giudicante ampliato.

22      Su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Seconda Sezione ampliata) ha deciso di avviare la fase orale del procedimento e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste all’articolo 89 del regolamento di procedura, ha posto quesiti scritti alle parti il 13 dicembre 2019. Ciascuna delle parti ha risposto ai quesiti posti dal Tribunale e ha successivamente presentato le sue osservazioni sulle risposte dell’altra parte.

23      Con decisione del 6 gennaio 2020, dopo aver sentito le parti, il presidente della Seconda Sezione ampliata ha deciso di riunire la presente causa alle cause T‑577/18 e T‑578/18 ai fini della fase orale del procedimento.

24      All’udienza del 21 gennaio 2020, le parti sono state ascoltate nelle loro difese e nelle loro risposte ai quesiti orali posti dal Tribunale. In occasione di tale udienza, è stato chiesto alla BCE di rispondere per iscritto ad un quesito del Tribunale e alla ricorrente di presentare osservazioni su tale risposta. Le parti hanno ottemperato a tale richiesta nei termini impartiti.

25      Con decisione del 2 marzo 2020, il Tribunale (Seconda Sezione ampliata) ha chiuso la fase orale del procedimento.

26      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        condannare la BCE alle spese.

27      La BCE chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 In diritto

28      A sostegno del suo ricorso, la ricorrente invoca due motivi.

29      Il primo motivo viene presentato come inerente ad un eccesso di potere che inficia la decisione impugnata. Questo motivo consta di tre parti. La prima parte riguarda una violazione dell’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento n. 575/2013. La seconda parte è relativa ad una violazione dell’articolo 18, paragrafo 1, del regolamento n. 1024/2013 e del principio della certezza del diritto. La terza parte verte sulla proporzionalità della sanzione pecuniaria amministrativa irrogata alla ricorrente.

30      Con un secondo motivo, la ricorrente addebita alla BCE di avere violato il suo diritto di essere sentita, nella misura in cui essa avrebbe fondato la decisione impugnata su addebiti non esplicitati nel corso del procedimento amministrativo.

31      Come è stato sottolineato ai precedenti punti da 8 a 18, la BCE, nella decisione impugnata, in primo luogo, ha constatato l’esistenza di un’infrazione da parte della ricorrente; in secondo luogo, le ha inflitto una sanzione pecuniaria amministrativa per reprimere tale infrazione e, in terzo luogo, ha previsto la pubblicazione di tale sanzione pecuniaria amministrativa sul suo sito Internet.

32      Il Tribunale reputa opportuno operare una distinzione a seconda che le critiche della ricorrente vertano sulla constatazione di un’infrazione a suo carico o sull’imposizione di una sanzione pecuniaria amministrativa.

 Sulla legittimità della decisione impugnata nella parte in cui ravvisa uninfrazione a carico della ricorrente

33      Con la prima parte del primo motivo, la ricorrente sostiene, in sostanza, che, affermando l’esistenza di un’infrazione a suo carico, la BCE ha violato l’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento n. 575/2013. Inoltre, nell’ambito della prima censura della seconda parte del primo motivo, essa è dell’avviso che la BCE, ritenendo che la stessa avesse commesso un’infrazione, quantomeno, per negligenza, abbia violato l’articolo 18, paragrafo 1, del regolamento n. 1024/2013. Infine, con il suo secondo motivo, presentato in subordine, la ricorrente sostiene, in sostanza, che la conclusione dell’esistenza di un’infrazione, nella decisione impugnata, si fonda su elementi in relazione ai quali essa non ha avuto la possibilità di far valere il proprio punto di vista nel corso del procedimento amministrativo, il che configurerebbe una violazione del suo diritto di essere sentita.

 Sulla prima parte del primo motivo, vertente su un errore di diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dell’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento n. 575/2013

34      Nell’ambito della prima parte del primo motivo, la ricorrente formula, in sostanza, due censure.

35      Con una prima censura, la ricorrente fa valere che la BCE ha commesso un errore nell’interpretazione e nell’applicazione dell’articolo 26, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 575/2013, nella sua versione applicabile all’epoca dei fatti che le sono contestati.

36      Con una seconda censura, presentata in fase di replica, la ricorrente sostiene che, in ogni caso, i fatti che le sono contestati non costituiscono più un’infrazione, a causa della modifica apportata all’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento n. 575/2013 da parte del regolamento (UE) 2019/876 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2019, che modifica il regolamento (UE) n. 575/2013 per quanto riguarda il coefficiente di leva finanziaria, il coefficiente netto di finanziamento stabile, i requisiti di fondi propri e passività ammissibili, il rischio di controparte, il rischio di mercato, le esposizioni verso controparti centrali, le esposizioni verso organismi di investimento collettivo, le grandi esposizioni, gli obblighi di segnalazione e informativa e il regolamento (UE) n. 648/2012 (GU 2019, L 150, pag. 1). Essa sostiene che tale modifica deve essere presa in considerazione dal Tribunale, poiché essa è assimilabile ad una legge repressiva meno severa.

–       Sulla prima censura, relativa ad un errore nell’interpretazione e nell’applicazione dell’articolo 26, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 575/2013 nella sua versione applicabile all’epoca dei fatti contestati alla ricorrente

37      Al punto 3 della decisione impugnata, la BCE ha ritenuto che l’articolo 26, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 575/2013 imponesse alla ricorrente di ottenere la previa autorizzazione dell’autorità competente prima di classificare le sue emissioni di azioni ordinarie come strumenti di CET 1, anche se tale categoria di strumenti di capitale figurava nell’elenco pubblicato dall’ABE, in applicazione del terzo comma di questa disposizione.

38      Occorre osservare che l’articolo 26 del regolamento n. 575/2013 verte sugli strumenti di CET 1. Più specificamente, il suo paragrafo 3 riguarda la valutazione, da parte delle autorità competenti, della questione se gli strumenti che gli enti creditizi classificano come strumenti di CET 1 soddisfino i criteri di cui all’articolo 28 oppure, ove applicabile, all’articolo 29 del regolamento n. 575/2013. Tale disposizione prevede un regime particolare per gli strumenti di capitale.

39      In tal senso, l’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento n. 575/2013, nella sua versione applicabile alla controversia, così dispone:

«Le autorità competenti valutano se le emissioni di strumenti del [CET 1] soddisfano i criteri di cui all’articolo 28 o, ove applicabile, all’articolo 29. Per quanto riguarda le emissioni successive al 28 giugno 2013 gli enti classificano gli strumenti di capitale come strumenti di [CET 1] soltanto previa autorizzazione delle autorità competenti, che possono consultare l’ABE.

Per quanto concerne gli strumenti di capitale, ad eccezione degli aiuti di Stato, che l’autorità competente ha approvato come classificabili quali strumenti di [CET 1], ma riguardo ai quali l’ABE reputa significativamente complesso accertare il rispetto dei criteri di cui all’articolo 28 o, ove applicabile, all’articolo 29, le autorità competenti illustrano le loro motivazioni all’ABE.

Sulla base delle informazioni provenienti da ciascuna autorità competente, l’ABE elabora, aggiorna e pubblica un elenco di tutte le forme di strumenti di capitale in ciascuno Stato membro che hanno i requisiti per essere considerati strumenti del [CET 1]. L’ABE elabora tale elenco e lo pubblica entro il 28 luglio 2013 per la prima volta.

L’ABE può, dopo il processo di revisione di cui all’articolo 80 e quando sussiste una prova significativa della non conformità di tali strumenti ai criteri di cui all’articolo 28 o, ove applicabile, all’articolo 29, decidere di rimuovere da tale elenco gli strumenti che non costituiscono aiuti di Stato emessi dopo il 28 giugno 2013 e può diffondere una comunicazione in merito».

40      Gli articoli 28 e 29 del regolamento n. 575/2013, ai quali l’articolo 26, paragrafo 3, di questo stesso regolamento rinvia, esplicitano le condizioni che devono essere soddisfatte dagli strumenti di CET 1. L’articolo 28 del regolamento n. 575/2013 fissa le condizioni applicabili agli strumenti di capitale emessi da enti creditizi, mentre l’articolo 29 di tale regolamento verte sulle condizioni proprie degli strumenti di capitale emessi da società mutue e cooperative, enti di risparmio ed enti analoghi.

41      Le parti discordano sull’interpretazione dell’espressione «autorizzazione delle autorità competenti» figurante all’articolo 26, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 575/2013.

42      A tal riguardo, la ricorrente sostiene che l’autorizzazione delle autorità competenti viene data per categoria di strumenti di capitale e si concretizza con l’inserimento del tipo di strumenti di cui trattasi nell’elenco pubblicato dall’ABE ai sensi dell’articolo 26, paragrafo 3, terzo comma, del regolamento n. 575/2013. Nella misura in cui le azioni ordinarie figuravano in tale elenco quando essa le ha classificate nei suoi strumenti di CET 1, la stessa è dell’avviso che la BCE abbia erroneamente ritenuto che essa avesse violato l’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento n. 575/2013.

43      Per contro, la BCE ritiene che l’articolo 26, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 575/2013 implichi che un ente creditizio debba chiedere la previa autorizzazione all’autorità competente prima di classificare uno strumento di capitale come strumento di CET 1, sebbene lo strumento figuri nell’elenco pubblicato dall’ABE. Essa ne desume di aver correttamente ritenuto, nella decisione impugnata, che la ricorrente avesse violato tale disposizione classificando tre emissioni di azioni ordinarie fra i suoi strumenti di CET 1 senza ottenere in via preliminare la sua autorizzazione.

44      Poiché l’espressione «autorizzazione delle autorità competenti» utilizzata all’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento n. 575/2013 non viene definita da tale regolamento, è necessario procedere alla sua interpretazione.

45      Ai sensi di una giurisprudenza consolidata, in sede di interpretazione di una disposizione del diritto dell’Unione, si deve tener conto non soltanto della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (v. sentenza del 7 giugno 2005, VEMW e a., C‑17/03, EU:C:2005:362, punto 41 e la giurisprudenza ivi citata).

46      Per quanto riguarda, in primo luogo, la lettera dell’articolo 26, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 575/2013, ne risulta che l’autorizzazione dell’autorità competente deve essere ottenuta dall’ente creditizio prima di classificare i suoi strumenti di capitale come strumenti di CET 1.

47      Occorre rilevare che le modalità di manifestazione di tale autorizzazione dell’autorità competente non possono essere desunte dal solo testo dell’articolo 26, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 575/2013, poiché il termine «accord» [nella versione francese della disposizione] è idoneo a designare sia una previa autorizzazione applicabile agli strumenti di capitale su base individuale sia un consenso prestato globalmente per categoria di strumenti di capitale.

48      A tal riguardo, e contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la circostanza che altre disposizioni del regolamento n. 575/2013 rinviino esplicitamente all’ottenimento di un’«autorisation préalable» [«previa autorizzazione»] dell’autorità competente non implica necessariamente che l’utilizzazione del termine «accord» all’articolo 26, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 575/2013 riguardi un meccanismo diverso da quello della previa autorizzazione.

49      Infatti, dalla lettura della totalità delle disposizioni del regolamento n. 575/2013 che fanno riferimento alla concessione o di un «accord» o di un’«autorisation préalable» dell’autorità competente non emerge che le modalità di un’approvazione dell’autorità competente varino a seconda della terminologia utilizzata da dette disposizioni. Inoltre, occorre rilevare che tale distinzione non riveste carattere sistematico, poiché altre versioni linguistiche del regolamento n. 575/2103 non riprendono necessariamente la distinzione fra «accord» e «autorisation préalable» figurante nella versione francese di tale regolamento.

50      Analogamente, la BCE sostiene erroneamente che il concetto di «categoria di strumenti» non figura all’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento n. 575/2013. Infatti, nella misura in cui il terzo comma di tale disposizione fa riferimento ad un «elenco di tutte le forme di strumenti di capitale in ciascuno Stato membro che hanno i requisiti per essere considerati strumenti del [CET 1]», pubblicato dall’ABE, l’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento n. 575/2013 prevede un esame dell’ammissibilità degli strumenti di capitale per categoria. Non si può ritenere, pertanto, che il riferimento agli «strumenti di capitale» contenuto al primo comma di tale disposizione implichi necessariamente un esame di ciascuno strumento di capitale su base individuale.

51      Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’interpretazione contestuale dell’articolo 26, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 575/2013, la ricorrente rinvia al secondo e al terzo comma di tale disposizione. In tal senso, il secondo comma di tale articolo riguarderebbe un esame dell’ammissibilità di una forma di strumenti di capitale da parte dell’autorità competente insieme all’ABE, il quale sfocerebbe nell’inclusione di detta forma di strumenti di capitale nell’elenco pubblicato dall’ABE ai sensi del terzo comma di questo stesso articolo. Tale pubblicazione da parte dell’ABE concretizzerebbe l’autorizzazione dell’autorità competente di cui all’articolo 26, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 575/2013. Una siffatta pubblicazione implicherebbe dunque che lo strumento soddisfi i criteri generali di cui all’articolo 28 del regolamento n. 575/2013 e che spetti agli enti creditizi interessati verificare se lo strumento di capitale in questione soddisfi i criteri individuali previsti a tale articolo, fermo restando che l’autorità competente può controllare, a posteriori, la fondatezza di tale valutazione.

52      Una siffatta interpretazione non può essere avallata.

53      Da un lato, tale interpretazione è incompatibile con la diversa natura della consultazione dell’ABE a seconda che essa sia prevista in forza del primo o del secondo comma dell’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento n. 575/2013. Infatti, mentre detta consultazione viene presentata come una mera facoltà per le autorità competenti nell’ambito del primo comma, poiché dette autorità «possono consultare l’ABE», il secondo comma di questa stessa disposizione implica, al contrario, una consultazione sistematica dell’ABE da parte delle autorità competenti.

54      Dall’altro, seguire l’approccio della ricorrente implicherebbe che solo il rispetto dei criteri generali di cui all’articolo 28 o, ove applicabile, all’articolo 29 del regolamento n. 575/2013 verrebbe controllato dall’autorità competente prima della classificazione di uno strumento di capitale come strumento di CET 1. Come riconosciuto dalla stessa ricorrente, è all’ente creditizio che spetterebbe verificare se l’emissione di uno strumento di capitale sia conforme ai criteri individuali previsti dall’articolo 28 o, ove applicabile, dall’articolo 29 di tale regolamento.

55      È giocoforza constatare che una siffatta limitazione del controllo delle autorità competenti sarebbe contraria all’articolo 26, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 575/2013. Dallo stesso discende, infatti, che uno strumento di capitale può essere classificato come strumento di CET 1 solo dopo l’autorizzazione delle autorità competenti, e che la valutazione di queste ultime verte sul rispetto dei criteri di cui all’articolo 28 o, ove applicabile, all’articolo 29 di tale regolamento, senza che venga effettuata una distinzione a seconda che tali criteri abbiano portata generale o individuale.

56      Occorre ritenere, pertanto, che l’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento n. 575/2013 debba essere interpretato nel senso che prende in considerazione due processi decisionali diversi. Da un lato, una decisione che risulta dalla cooperazione fra le autorità competenti e l’ABE prevista all’articolo 26, paragrafo 3, secondo comma, del regolamento n. 575/2013, la quale riguarda l’ammissibilità delle forme di strumenti di capitale e si concretizza con la loro iscrizione nell’elenco pubblicato dall’ABE, di cui al terzo comma di tale disposizione. Dall’altro, una decisione dell’autorità competente, per la quale la consultazione dell’ABE è soltanto una mera facoltà, la quale è intesa a verificare se uno strumento di capitale soddisfi la totalità dei criteri di cui all’articolo 28 o, ove applicabile, all’articolo 29 del regolamento n. 575/2013, che essi siano di portata generale o individuale.

57      Ne risulta che, pur se l’inclusione di uno strumento di capitale nell’elenco pubblicato dall’ABE implica che tale strumento sia classificabile, in linea di principio, come strumento di CET 1, in quanto soddisfa i criteri generali di cui all’articolo 28 o, ove applicabile, all’articolo 29 del regolamento n. 575/2013, essa non consente, da sola, ad un ente creditizio di classificarlo fra i suoi strumenti di CET 1. In via preliminare, esso deve comunicare tale strumento all’autorità competente affinché essa verifichi in concreto il rispetto di detti criteri e, segnatamente, dei criteri aventi portata individuale.

58      Infine, in terzo luogo, occorre tenere conto dell’intenzione del legislatore, in occasione dell’adozione del regolamento n. 575/2013, di apportare un miglioramento quantitativo e qualitativo dei fondi propri del sistema bancario, richiamata al considerando 1 del regolamento n. 575/2013 e ribadita al considerando 72 di questo stesso regolamento. Il considerando 72, in particolare, mette in evidenza la necessità di migliorare ulteriormente la qualità e l’armonizzazione dei fondi propri che gli enti creditizi sono tenuti a detenere e fa riferimento, a tal riguardo, ai «criteri rigorosi concernenti gli strumenti di capitale di base».

59      È pertanto conforme all’intenzione del legislatore privilegiare l’interpretazione dell’articolo 26, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 575/2013, che meglio consente all’autorità competente di assicurare il rispetto delle condizioni alle quali uno strumento può essere qualificato come fondi propri di migliore qualità, ossia fra gli strumenti di CET 1.

60      Orbene, è giocoforza constatare che il controllo del rispetto dei criteri sanciti dall’articolo 28 o, ove applicabile, dall’articolo 29 del regolamento n. 575/2013 è assicurato meglio da un procedimento di previa autorizzazione piuttosto che da un sistema nel quale la verifica del rispetto di taluni di tali criteri incomberebbe, in primis, all’ente creditizio stesso, mentre il controllo dell’autorità competente avrebbe luogo solo a posteriori, senza rivestire un carattere necessariamente sistematico.

61      Gli altri argomenti addotti dalla ricorrente non rimettono in discussione la fondatezza di tale conclusione.

62      Ciò vale, segnatamente, in primo luogo, per il riferimento all’interpretazione dell’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento n. 575/2013 che avrebbe privilegiato l’ABE o l’Autorità di controllo prudenziale e di risoluzione (ACPR). A tal riguardo, è sufficiente ricordare che l’interpretazione della normativa rilevante da parte di un’autorità amministrativa non può vincolare il giudice dell’Unione, che resta il solo competente ai fini dell’interpretazione del diritto dell’Unione, in virtù dell’articolo 19 TUE (sentenza del 13 dicembre 2017, Crédit mutuel Arkéa/BCE, T‑712/15, EU:T:2017:900, punto 75).

63      Lo stesso vale, in secondo luogo, per la circostanza che il testo dell’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento n. 575/2013 è stato successivamente modificato dal regolamento 2019/876. A tal riguardo, è sufficiente sottolineare che se, dal considerando 23 del regolamento 2019/876, risulta che l’obiettivo di tale modifica è stato quello di introdurre una nuova procedura di approvazione chiara e trasparente in relazione alla classificazione come strumenti di CET 1, nessuna indicazione può esserne desunta quanto al significato di tale disposizione prima della sua modifica.

64      La prima censura della ricorrente deve essere pertanto respinta.

–       Sulla seconda censura, vertente, in sostanza, sull’applicazione retroattiva della nuova versione dell’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento n. 575/2013

65      Nella sua replica, la ricorrente sottolinea, in sostanza, che il testo dell’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento n. 575/2013 è stato modificato dall’articolo 1, punto 15, del regolamento 2019/876 a partire dal 27 giugno 2019. Essa ritiene che, alla luce di questa nuova versione dell’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento n. 575/2013, il suo comportamento non presenti più un carattere illecito e che, pertanto, il principio dell’applicazione retroattiva della legge repressiva meno severa implichi che le venga applicata questa nuova versione dell’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento n. 575/2013.

66      La BCE ritiene che la presente censura debba essere respinta,

67      Per quanto riguarda, in via preliminare, la ricevibilità di tale censura, nella misura in cui è stata presentata in fase di replica, occorre osservare che, se l’articolo 84, paragrafo 1, del regolamento di procedura vieta, in linea di principio, la deduzione di motivi nuovi in corso di causa, un siffatto divieto non si applica allorché tali motivi si basino su elementi di diritto o di fatto emersi durante il procedimento. Poiché la presente censura si fonda su un elemento di diritto emerso durante il procedimento, ossia l’entrata in vigore, il 27 giugno 2019, dell’articolo 1, punto 15, del regolamento 2019/876, essa è, pertanto, ricevibile.

68      Tuttavia, una siffatta censura non è in grado, nelle circostanze del caso di specie, di comportare l’annullamento della decisione impugnata.

69      È vero che il principio dell’applicazione retroattiva della legge repressiva meno severa costituisce un principio generale del diritto dell’Unione (sentenza dell’11 marzo 2008, Jager, C‑420/06, EU:C:2008:152, punto 59; v. parimenti, in tal senso, sentenze del 3 maggio 2005, Berlusconi e a., C‑387/02, C‑391/02 e C‑403/02, EU:C:2005:270, punti da 67 a 69 e del 27 giugno 2017, NC/Commissione, T‑151/16, EU:T:2017:437, punti 53 e 54), il quale è ormai sancito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

70      L’articolo 49, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali così recita:

«Nessuno può essere condannato per un’azione o un’omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso. Se, successivamente alla commissione del reato, la legge prevede l’applicazione di una pena più lieve, occorre applicare quest’ultima».

71      Inoltre, il principio dell’applicazione retroattiva della legge repressiva meno severa può essere invocato non solo nei confronti di decisioni che irrogano sanzioni penali in senso stretto ma anche rispetto a sanzioni amministrative (v., in tal senso, sentenze dell’8 marzo 2007, Campina, C‑45/06, EU:C:2007:154, punti 32 e 33; dell’11 marzo 2008, Jager, C‑420/06, EU:C:2008:152, punto 60,e del 27 giugno 2017, NC/Commissione, T‑151/16, EU:T:2017:437, punto 54).

72      Occorre tuttavia rilevare che il principio dell’applicazione retroattiva della legge repressiva meno severa, se può portare all’annullamento di una decisione qualora abbia luogo una modifica del quadro giuridico successivamente ai fatti del caso di specie ma anteriormente alla decisione impugnata (v., in tal senso, sentenza del 27 giugno 2017, NC/Commissione, T‑151/16, EU:T:2017:437, punto 63), non può essere rilevante per il controllo della legittimità di un atto che è stato adottato anteriormente a detta modifica del quadro giuridico, poiché all’istituzione convenuta non può essere addebitato di avere violato norme giuridiche non ancora applicabili.

73      Inoltre, è solo in caso di esercizio, da parte del Tribunale, del suo potere di riforma dell’importo della sanzione inflitta, qualora il Tribunale dovesse essere munito di una siffatta competenza, ai sensi dell’articolo 261 TFUE, nei confronti delle sanzioni amministrative imposte dalla BCE in forza dell’articolo 18, paragrafo 1, del regolamento n. 1024/2013, che potrebbe essere presa in considerazione, eventualmente, un’evoluzione del quadro giuridico successivamente alla decisione impugnata. Infatti, investito di una siffatta domanda, il Tribunale sarebbe chiamato a stabilire se occorra, alla data di adozione della sua decisione, sostituire la propria valutazione a quella della BCE, affinché l’importo della sanzione sia adeguato (v., in tal senso, sentenza del 17 dicembre 2015, Orange Polska/Commissione, T‑486/11, EU:T:2015:1002, punto 67 e la giurisprudenza ivi citata).

74      Tuttavia, il Tribunale non è stato investito di alcuna domanda di riforma dell’importo della sanzione irrogata, circostanza che la ricorrente ha esplicitamente confermato in udienza.

75      Occorre pertanto respingere la seconda censura e, di conseguenza, la prima parte del primo motivo.

 Sulla prima censura della seconda parte del primo motivo, relativa ad una violazione dell’articolo 18, paragrafo 1, del regolamento n. 1024/2013

76      Nella decisione impugnata, la BCE ha ritenuto che la ricorrente fosse incorsa in una violazione dell’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento n. 575/2013, quantomeno per negligenza, ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 1, del regolamento n. 1024/2013.

77      La ricorrente ritiene che la BCE abbia violato l’articolo 18, paragrafo 1, del regolamento n. 1024/2013 nel ravvisare l’esistenza di un’infrazione commessa per negligenza, poiché non poteva ritenersi che essa sapesse o avrebbe dovuto sapere che il suo comportamento costituiva un’infrazione. Essa ricorda, in particolare, di aver aderito all’interpretazione privilegiata dall’ABE e dall’ACPR, mentre la BCE non ha fornito alcun orientamento concernente l’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento n. 575/2013, e che la quasi totalità degli enti creditizi hanno adottato la stessa interpretazione. Essa ritiene, parimenti, che una mera divergenza interpretativa non sia costitutiva di un illecito e che essa non potesse essere consapevole del carattere illecito del suo comportamento.

78      La BCE sostiene che la presente censura deve essere respinta.

79      Secondo l’articolo 18, paragrafo 1, del regolamento n. 1024/2013, «[a]i fini dell’assolvimento dei compiti attribuitile dal presente regolamento, in caso di violazione dolosa o colposa, da parte degli enti creditizi, delle società di partecipazione finanziaria o delle società di partecipazione finanziaria mista (…) la BCE può imporre sanzioni amministrative pecuniarie».

80      Come la Corte ha avuto l’occasione di sottolineare, la nozione di negligenza si riferisce a un’azione o un’omissione involontaria mediante la quale il soggetto responsabile viola il suo obbligo di diligenza (sentenza del 3 giugno 2008, Intertanko e a., C‑308/06, EU:C:2008:312, punto 75). Inoltre, per valutare l’esistenza di una siffatta negligenza, occorre tener conto, in particolare, della complessità delle disposizioni di cui trattasi, nonché dell’esperienza professionale e della diligenza dell’impresa interessata (v., per analogia, sentenza dell’11 novembre 1999, Söhl & Söhlke, C‑48/98, EU:C:1999:548, punto 56).

81      A tal riguardo, occorre rilevare che la ricorrente, nella sua qualità di ente creditizio, doveva dar prova di grande prudenza in sede di attuazione delle disposizioni del regolamento n. 575/2013, prestando un’attenzione particolare alla portata dei suoi obblighi in forza di tali disposizioni.

82      Inoltre, pur se l’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento n. 575/2013 non era stato oggetto, fino alla presente sentenza, di un’interpretazione da parte del giudice dell’Unione, la portata esatta degli obblighi degli enti creditizi poteva essere desunta da un’attenta analisi di tale disposizione, come attestato dal ragionamento figurante ai precedenti punti da 53 a 60.

83      Infatti, una siffatta analisi avrebbe portato la ricorrente alla conclusione che la pubblicazione effettuata dall’ABE in forza del terzo comma dell’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento n. 575/2013 e l’autorizzazione dell’autorità competente di cui al primo comma di detta disposizione vertevano su due questioni, certamente connesse, ma distinte: da un lato, la classificabilità di uno strumento di capitale come strumento di CET 1 e, dall’altro, la verifica concreta del rispetto dei criteri – in particolare di portata individuale – elencati dall’articolo 28 o, ove applicabile, dall’articolo 29 di detto regolamento.

84      La BCE ha pertanto correttamente attribuito carattere negligente al comportamento della ricorrente e ha concluso che la stessa aveva commesso una violazione ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 1, del regolamento n. 1024/2013.

85      Tale conclusione non è confutata dall’argomentazione della ricorrente relativa, in sostanza, al fatto che essa avrebbe aderito all’interpretazione figurante nella clausola introduttiva dell’elenco pubblicato dall’ABE, la quale implicava che essa non era tenuta a chiedere la previa autorizzazione dell’autorità competente con riferimento alla classificazione fra i suoi strumenti di CET 1 di una categoria di strumenti figurante in detto elenco.

86      A tal riguardo, è già stato sottolineato al precedente punto 62 che l’interpretazione dell’ABE non può prevalere sulla lettera dell’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento n. 575/2013.

87      Ciò non toglie che, poiché una delle funzioni dell’ABE, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (UE) n. 1093/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, che istituisce l’Autorità europea di vigilanza (Autorità bancaria europea), modifica la decisione n. 716/2009/CE e abroga la decisione 2009/78/CE della Commissione (GU 2010, L 331, pag. 12), consiste nel «contribui[re] all’applicazione uniforme degli atti giuridicamente vincolanti dell’Unione, in particolare contribuendo a una cultura comune della vigilanza», la sua interpretazione del regolamento n. 575/2013, segnatamente quando una disposizione non è stata ancora interpretata dal giudice dell’Unione, sia particolarmente rilevante.

88      Analogamente, è vero che, considerata isolatamente, una frase del punto 4 della clausola introduttiva dell’elenco pubblicato dall’ABE potrebbe far pensare che l’ABE sia dell’avviso che l’inclusione di uno strumento di capitale nell’elenco da essa pubblicato implichi che esso possa essere classificato fra gli strumenti di CET 1, poiché è specificato che «[l]’iscrizione di uno strumento nell’elenco implica che esso soddisfi i criteri di ammissibilità del [r]egolamento [n. 575/2013] e che possa essere incluso negli [strumenti di CET 1] da parte di tutti gli enti dello Stato membro interessato».

89      Tuttavia, la lettura di tale clausola nel suo contesto più generale avrebbe dovuto indurre la ricorrente a relativizzare la portata di tale frase. Infatti, tale possibilità di classificare gli strumenti di capitale figuranti nell’elenco pubblicato dall’ABE fra gli strumenti di CET 1 non viene presentata da quest’ultima come incondizionata. Al contrario, si rinvia al necessario rispetto delle norme della legislazione nazionale, nonché all’eventuale necessità di ottenere l’autorizzazione delle autorità competenti ai sensi del regolamento n. 575/2013. Pur se la formulazione della clausola non è particolarmente chiara, ciò non toglie che il riferimento all’eventuale rispetto di altre condizioni o all’ottenimento di un’autorizzazione delle autorità competenti avrebbe dovuto indurre la ricorrente ad interrogarsi sulla portata esatta dei suoi obblighi in forza dell’articolo 26, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 575/2013.

90      Inoltre, occorre rilevare che, il 18 aprile 2016, la ricorrente ha ricevuto un messaggio di posta elettronica di chiarimento da parte della BCE avente ad oggetto la portata dei suoi obblighi in forza dell’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento n. 575/2013. In tale messaggio, la BCE ha indicato la necessità di una previa autorizzazione prima di classificare aumenti di capitale come strumenti di CET 1 e ha esplicitato l’elenco dei documenti che dovevano essere forniti.

91      Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, il contenuto del messaggio di posta elettronica della BCE del 18 aprile 2016 era inequivocabile per quanto riguardava l’interpretazione da quest’ultima privilegiata dell’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento n. 575/2013.

92      Tuttavia, nonostante tale avvertimento, la ricorrente ha insistito nel seguire un’interpretazione divergente ed erronea dei suoi obblighi in forza dell’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento n. 575/2013, classificando, il 30 giugno 2016, nella sua pubblicazione di informazioni nell’ambito del terzo pilastro e nella sua dichiarazione trimestrale consolidata sui fondi propri e i requisiti di fondi propri, le sue emissioni da 1 a 3 fra i suoi strumenti di CET 1, prima che la BCE le comunicasse la sua autorizzazione.

93      La ricorrente fa parimenti valere, in sostanza, che il difetto di chiarezza dell’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento n. 575/2013 avrebbe portato talune autorità nazionali, nonché numerosi enti creditizi, a seguire la stessa interpretazione da essa privilegiata, il che spiegherebbe la modifica di tale disposizione da parte del regolamento 2019/876.

94      Una siffatta circostanza, ammesso che risulti accertata, non consente tuttavia di dimostrare un’assenza di negligenza da parte della ricorrente.

95      Infatti, se simili elementi possono essere rivelatori del fatto che taluni operatori hanno incontrato delle difficoltà in occasione dell’interpretazione dell’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento n. 575/2013, ciò non toglie che la prudenza e la diligenza che è lecito aspettarsi da un ente creditizio dell’importanza della ricorrente avrebbero dovuto portarla ad una lettura attenta di tale disposizione, la quale le avrebbe consentito di eliminare dette difficoltà di interpretazione per quanto attiene alla portata dei suoi obblighi.

96      Alla luce di quanto precede, la prima censura della seconda parte del primo motivo deve essere respinta.

 Sul secondo motivo, dedotto in subordine, relativo alla violazione del diritto della ricorrente di essere sentita

97      La ricorrente sostiene, in sostanza, che la BCE, fondando la decisione impugnata su elementi di fatto o di diritto sui quali essa non aveva avuto l’occasione di far valere le sue osservazioni nel corso del procedimento amministrativo, ha violato il suo diritto di essere sentita, e ricorda che, ai sensi dell’articolo 22, paragrafo 1, del regolamento n. 1024/2013, la BCE può basare le sue decisioni solo sugli addebiti in merito ai quali le parti interessate sono state poste in condizione di essere sentite, indipendentemente dal fatto che tali decisioni siano state pregiudizievoli a dette parti. A tal riguardo, essa contesta, in particolare, alla BCE di avere proceduto per la prima volta nella decisione impugnata ad un’interpretazione autonoma della relazione dell’ABE del 23 maggio 2017, di avere richiamato il fatto che l’ABE aveva rimesso in discussione la «clausola di lealtà» figurante nelle sue azioni ordinarie e di avere sostenuto che essa avrebbe comunicato informazioni erronee al mercato concernenti la sua situazione prudenziale.

98      Per quanto riguarda più specificamente il riferimento, nella decisione impugnata, al fatto che l’ABE aveva rimesso in discussione la «clausola di lealtà» e ad una presunta comunicazione di informazioni erronee al mercato, la ricorrente ritiene che esse abbiano influito sull’importo della sanzione che le è stata irrogata.

99      La BCE fa valere che nessuno degli elementi di fatto o di diritto non menzionati nel progetto di decisione di sanzione, ma figuranti nella decisione impugnata, è stato in grado di incidere negativamente sui diritti della difesa della ricorrente né è stato decisivo per l’esito del procedimento.

100    Secondo una giurisprudenza costante, il rispetto dei diritti della difesa in qualsiasi procedimento promosso nei confronti di una persona e che possa sfociare in un atto per essa lesivo costituisce un principio fondamentale del diritto dell’Unione e dev’essere garantito anche in mancanza di qualsiasi normativa riguardante il procedimento di cui trattasi (v. ordinanza del 12 maggio 2010, CPEM/Commissione, C‑350/09 P, non pubblicata, EU:C:2010:267, punto 76 e la giurisprudenza ivi citata).

101    L’articolo 22, paragrafo 1, del regolamento n. 1024/2013 riflette tale principio, nella misura in cui prevede che la BCE conceda alle persone interessate dal procedimento la possibilità di essere sentite e che basi le sue decisioni solo sugli addebiti in merito ai quali le parti interessate sono state poste in condizione di essere sentite.

102    Tale principio è esplicitato tanto all’articolo 31, intitolato «Diritto a essere sentiti», quanto all’articolo 126, intitolato «Diritti procedurali», del regolamento quadro sull’MVU.

103    L’articolo 31 del regolamento quadro sull’MVU ai applica, ai sensi del suo paragrafo 1, a ogni decisione di vigilanza «nei confronti di una parte (…), che possa incidere negativamente sui diritti della stessa». Esso prevede la possibilità per tale parte di presentare alla BCE osservazioni scritte sui fatti e sugli addebiti concernenti la decisione di vigilanza della BCE, prima della sua adozione.

104    L’articolo 126 del regolamento quadro sull’MVU, il quale riguarda specificamente le decisioni che irrogano sanzioni amministrative diverse dalle penalità di mora, dispone quanto segue:

«1. Una volta completata l’indagine e prima di predisporre e inoltrare al Consiglio di vigilanza una proposta di progetto completo di decisione l’unità di indagine notifica per iscritto al soggetto vigilato interessato le risultanze dell’indagine svolta e gli addebiti contestati.

2. Nella notifica di cui al paragrafo 1, l’unità di indagine informa il soggetto vigilato interessato del suo diritto di presentare commenti per iscritto all’unità di indagine in merito agli accertamenti in fatto e agli addebiti ad esso contestati, comprese le singole disposizioni che si presumono violate, e fissa un termine ragionevole per la ricezione di tali commenti. La BCE non è obbligata a tenere conto dei commenti per iscritto ricevuti oltre la scadenza del termine fissato dall’unità di indagine».

105    Come la giurisprudenza ha avuto l’occasione di sottolineare in relazione all’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli [101] e [102 TFUE] (GU 2003, L 1, pag. 1), il cui significato è sostanzialmente identico a quello dell’articolo 22, paragrafo 1, del regolamento n. 1024/2013 e a quello dell’articolo 126 del regolamento quadro sull’MVU, l’esigenza connessa ai diritti della difesa è rispettata quando, da un lato, è inviata alle parti una comunicazione degli addebiti che esponga in termini chiari tutti gli elementi essenziali su cui la Commissione europea si fonda in tale fase del procedimento e, dall’altro, la decisione non contesti agli interessati infrazioni diverse dagli addebiti che le sono stati comunicati nel corso del procedimento amministrativo e prenda in considerazione soltanto fatti sui quali gli interessati abbiano avuto modo di manifestare il proprio punto di vista (v. sentenza del 24 maggio 2012, MasterCard e a./Commissione, T‑111/08, EU:T:2012:260, punto 266 e la giurisprudenza ivi citata).

106    A tal riguardo, occorre rilevare che, in applicazione di una giurisprudenza costante relativa al rispetto dei diritti della difesa nel corso dei procedimenti di repressione delle infrazioni agli articoli 101 e 102 TFUE, tale indicazione può farsi in modo sommario e la decisione finale non deve necessariamente ricalcare l’elenco degli addebiti, poiché tale comunicazione rappresenta un documento preparatorio le cui valutazioni di fatto e di diritto hanno un carattere puramente provvisorio. Sono quindi ammissibili supplementi alla comunicazione degli addebiti predisposti alla luce della memoria di risposta delle parti, i cui argomenti dimostrino che queste ultime hanno potuto effettivamente esercitare i loro diritti della difesa. La Commissione può altresì, alla luce del procedimento amministrativo, rivedere od aggiungere argomenti di fatto o di diritto a sostegno degli addebiti da essa formulati (v. sentenza del 24 maggio 2012, MasterCard e a./Commissione, T‑111/08, EU:T:2012:260, punto 267 e la giurisprudenza ivi citata).

107    Da questa stessa giurisprudenza risulta che un’ulteriore comunicazione degli addebiti agli interessati è necessaria solo qualora il risultato degli accertamenti induca la Commissione a porre atti nuovi a carico delle imprese o ad assumere fatti notevolmente diversi come prova delle infrazioni contestate (v. sentenza del 24 maggio 2012, MasterCard e a./Commissione, T‑111/08, EU:T:2012:260, punto 268 e la giurisprudenza ivi citata).

108    Infine, sempre secondo la giurisprudenza applicabile alla repressione delle infrazioni agli articoli 101 e 102 TFUE, sussiste violazione dei diritti della difesa qualora sia ipotizzabile che, a causa di un’irregolarità commessa dalla Commissione, il procedimento amministrativo da quest’ultima condotto avrebbe potuto giungere ad un risultato differente. Un’impresa ricorrente fornisce la prova del verificarsi di tale violazione quando dimostri in modo sufficiente non già che la decisione della Commissione avrebbe avuto un contenuto differente, bensì che essa avrebbe potuto difendersi più efficacemente in assenza dell’irregolarità in questione, ad esempio per il fatto che avrebbe potuto utilizzare per la propria difesa documenti il cui accesso le era stato rifiutato nell’ambito del procedimento amministrativo (v. sentenza del 24 maggio 2012, MasterCard e a./Commissione, T‑111/08, EU:T:2012:260, punto 269 e la giurisprudenza ivi citata).

109    Gli stessi principi sono applicabili, per analogia, al rispetto dei diritti della difesa nell’ambito di un procedimento svolto dalla BCE in relazione ad una violazione degli obblighi previsti dai pertinenti atti del diritto dell’Unione direttamente applicabili, ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 1, del regolamento n. 1024/2013.

110    In primo luogo, occorre sottolineare che l’unico addebito mosso alla ricorrente dalla BCE – ossia la classificazione senza autorizzazione di taluni strumenti di capitale fra i suoi strumenti di CET 1, in violazione dell’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento n. 575/2013 – è stata formulata, in maniera chiara, in occasione della comunicazione degli addebiti inviatale il 22 dicembre 2016.

111    In secondo luogo, la ricorrente è stata in grado di esprimersi in merito a tale addebito non solo in occasione della sua risposta a detta comunicazione, ma anche nelle sue osservazioni sul progetto di decisione inviatole dalla BCE il 2 agosto 2017.

112    In terzo luogo, è giocoforza constatare che i tre elementi la cui presenza per la prima volta nella decisione impugnata viene criticata dalla ricorrente non possono essere considerati addebiti nuovi.

113    Infatti, sotto un primo profilo, per quanto riguarda il riferimento effettuato dalla BCE, al punto 3.2.2.4 della decisione impugnata, alla relazione dell’ABE del 23 maggio 2017, occorre rilevare che la BCE l’ha menzionata al fine di giustificare la fondatezza della sua interpretazione dell’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento n. 575/2013. Orbene, tale questione è stata ampiamente discussa dalle parti nel corso del procedimento amministrativo. Più precisamente, occorre sottolineare che tale riferimento è stato effettuato dalla BCE in risposta all’argomento della ricorrente relativo al fatto che, in questa stessa data, l’ABE aveva rilevato che l’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento n. 575/2013 poteva dar luogo ad interpretazioni diverse.

114    Sotto un secondo profilo, per quanto riguarda la menzione, al punto 3.2.2.4 della decisione impugnata, secondo la quale l’ABE aveva ritenuto che la clausola di lealtà figurante nelle azioni ordinarie della ricorrente impedisse la loro classificazione come strumenti di CET 1, è sufficiente sottolineare che tale questione verte sulla conformità delle azioni ordinarie della ricorrente alle condizioni enunciate dall’articolo 28 del regolamento n. 575/2013, e che essa è estranea all’addebito mosso dalla BCE nei confronti della ricorrente, la quale verte esclusivamente sulla violazione da parte di quest’ultima dell’articolo 26, paragrafo 3, di questo stesso regolamento.

115    Sotto un terzo profilo, non può ritenersi che la menzione, da parte della BCE, al punto 3.2.4 della decisione impugnata, del fatto che il rispetto dell’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento n. 575/2013 non avrebbe «[indotto la ricorrente] a dichiarare informazioni inesatte concernenti la sua situazione prudenziale alle autorità competenti e al mercato» costituisca un nuovo addebito nei confronti della ricorrente. Infatti, tale commento è stato effettuato dalla BCE nell’ambito della valutazione del carattere negligente del comportamento della ricorrente, in risposta all’affermazione da parte di quest’ultima, nelle sue osservazioni del 30 agosto 2017, che essa aveva agito «con prudenza e diligenza, al fine di evitare ogni comunicazione erronea sulla situazione reale dei suoi fondi propri».

116    In quarto luogo, per quanto riguarda la critica della ricorrente relativa al fatto che gli elementi menzionati ai precedenti punti 114 e 115 avrebbero inciso sull’importo della sanzione pecuniaria comminatale, occorre rilevare che tale questione non riguarda la legittimità della constatazione di un’infrazione da parte della ricorrente, bensì quella dell’importo della sanzione che le è stata applicata.

117    Occorre dunque concludere che il secondo motivo deve essere respinto nella parte in cui verte sulla legittimità della constatazione di un’infrazione a carico della ricorrente.

118    Alla luce di quanto precede, si deve concludere che la ricorrente non ha dimostrato l’illegittimità della decisione impugnata nella parte in cui quest’ultima ravvisa l’esistenza di un’infrazione a suo carico.

 Sulla legittimità della decisione impugnata nella parte in cui infligge una sanzione pecuniaria amministrativa alla ricorrente

119    Con la seconda censura della seconda parte del primo motivo, la ricorrente sostiene che l’irrogazione di una sanzione pecuniaria amministrativa è, nelle circostanze del caso di specie, contraria al principio della certezza del diritto. Inoltre, nell’ambito della terza parte del primo motivo, essa ritiene che la sanzione pecuniaria inflittale violi il principio di proporzionalità. Infine, e come è stato rilevato ai precedenti punti 98 e 116, nell’ambito del secondo motivo, la ricorrente fa valere che taluni elementi sui quali essa non è stata sentita hanno inciso sull’importo della sanzione che le è stata inflitta, cosicché il suo diritto di essere sentita è stato violato.

120    Più specificamente, nell’ambito della terza parte del primo motivo, la ricorrente contesta non soltanto la proporzionalità del principio stesso dell’irrogazione di una sanzione, ma anche il suo importo. Per quanto riguarda quest’ultimo, essa fa valere, segnatamente, che esso non rappresenta lo 0,0015% del fatturato del gruppo Crédit Agricole, come è indicato nella decisione impugnata, bensì un importo dieci volte superiore. Essa addebita parimenti alla BCE di non avere rispettato la metodologia che la stessa sostiene, nelle sue memorie, di aver seguito al fine di valutare la gravità dell’infrazione. Inoltre, essa sottolinea che la BCE, per la prima volta dinanzi al Tribunale, ha sostenuto di avere tenuto conto delle dimensioni dell’ente creditizio in questione ai fini della determinazione dell’importo della sanzione, mentre un siffatto motivo non figurava nella decisione impugnata. Essa ritiene che la BCE faccia erroneamente riferimento, in tale ambito, ad una valutazione delle dimensioni degli enti creditizi fondata sull’importo totale delle loro attività in gestione, piuttosto che sul loro fatturato, e fa valere che, in ogni caso, tale fattore non può essere preso in considerazione dal Tribunale, poiché esso non è menzionato nella decisione impugnata. Essa aggiunge che l’assenza di tale fattore in detta decisione è costitutiva di un’insufficienza di motivazione, la quale inficia di illegittimità la decisione impugnata.

121    È giocoforza constatare, anzitutto, che, affinché il Tribunale sia in grado di esaminare le critiche della ricorrente, è necessario che la decisione impugnata illustri in maniera sufficiente i motivi che hanno portato alla fissazione della sanzione inflitta alla ricorrente in un importo di EUR 4 300 000, il quale rappresenta lo 0,015% del fatturato del gruppo al quale essa appartiene.

122    Il Tribunale ritiene che sia necessario esaminare, in via preliminare, il carattere sufficientemente motivato della decisione impugnata con riferimento alla determinazione dell’importo della sanzione inflitta.

123    A tal riguardo, occorre ricordare che, nell’ambito di un ricorso di annullamento, il motivo relativo a un difetto o insufficienza di motivazione dell’atto del quale viene contestata la legittimità costituisce un motivo di ordine pubblico che deve essere sollevato d’ufficio dal giudice dell’Unione e che, di conseguenza, può essere invocato dalle parti in qualsiasi fase del procedimento (sentenza del 13 dicembre 2001, Krupp Thyssen Stainless e Acciai speciali Terni/Commissione, T‑45/98 e T‑47/98, EU:T:2001:288, punto 125).

124    Inoltre, tale obbligo, incombente al giudice dell’Unione, di rilevare d’ufficio un motivo di ordine pubblico deve essere adempiuto nel rispetto del principio del contraddittorio (v., in tal senso, sentenza del 2 dicembre 2009, Commissione/Irlanda e a., C‑89/08 P, EU:C:2009:742, punti 59 e 60). Nella specie, occorre rilevare che la BCE, in udienza, ha avuto l’occasione di esprimersi sul carattere sufficientemente motivato o meno della decisione impugnata.

125    In udienza, la BCE ha sostenuto, in tal senso, che la decisione impugnata era sufficientemente motivata. In sostanza, essa ha dichiarato di avere applicato una metodologia in due fasi al fine di determinare l’importo della sanzione.

126    Nell’ambito di una prima fase, verrebbe determinato l’importo di base della sanzione subita. Il punto di partenza di tale importo di base consisterebbe nel valutare la gravità dell’infrazione in questione, osservando gli effetti dell’infrazione sulla situazione prudenziale dell’ente creditizio interessato e il comportamento di tale ente. La BCE sottolinea che tale elemento figura nella decisione impugnata, poiché viene ivi fatto riferimento all’importo totale degli strumenti che sono stati oggetto di una classificazione erronea. Analogamente, l’illeceità del comportamento dell’ente creditizio verrebbe messa in evidenza nella decisione impugnata, nella quale la BCE avrebbe insistito sul fatto che la ricorrente avrebbe dovuto essere a conoscenza degli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento n. 575/2013. Una volta determinata la gravità dell’infrazione, la BCE integrerebbe all’equazione l’importo totale delle attività in gestione dell’ente creditizio. L’importo di base verrebbe pertanto calcolato tenendo conto, in primo luogo, della gravità dell’infrazione e dell’importo totale delle attività in gestione.

127    In una seconda fase, tale importo di base verrebbe adeguato al fine di tenere conto di eventuali circostanze attenuanti o aggravanti. Nella specie, la ricorrente avrebbe beneficiato di una circostanza attenuante.

128    In udienza, la BCE ha parimenti fatto valere che l’assenza, nella decisione impugnata, di una spiegazione circa la metodologia che consente di determinare l’importo esatto della sanzione aveva come obiettivo la preservazione del carattere dissuasivo di detta sanzione. Sarebbe necessario evitare che gli enti creditizi possano prevedere l’importo delle sanzioni che possono essere pronunciate, il che potrebbe ridurre l’incentivo al rispetto delle disposizioni prudenziali. Essa ha parimenti ammesso che la considerazione dell’importo totale delle attività in gestione della ricorrente non figurava nella decisione impugnata, ma ha ritenuto che ciò non configurasse un’insufficienza di motivazione, poiché si trattava di un elemento meramente oggettivo.

129    Occorre ricordare che, in forza di una consolidata giurisprudenza, l’obbligo di motivazione previsto all’articolo 296, secondo comma, TFUE costituisce una formalità sostanziale che dev’essere distinta dalla questione della fondatezza della motivazione, la quale attiene alla legittimità nel merito dell’atto controverso. Sotto tale profilo, la motivazione prescritta dev’essere adeguata alla natura dell’atto in questione e deve far apparire in forma chiara e non equivoca l’iter logico seguito dall’istituzione da cui esso promana, in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e permettere al giudice competente di esercitare il proprio controllo. Per quanto riguarda, in particolare, la motivazione delle decisioni individuali, l’obbligo di motivare tali decisioni ha quindi lo scopo, oltre che di consentire un controllo giurisdizionale, di fornire all’interessato un’indicazione sufficiente per sapere se la decisione sia eventualmente affetta da un vizio che consente di contestarne la validità (v. sentenza del 29 settembre 2011, Elf Aquitaine/Commissione, C‑521/09 P, EU:C:2011:620, punti da 146 a 148 e la giurisprudenza ivi citata; sentenze dell’11 luglio 2013, Ziegler/Commissione, C‑439/11 P, EU:C:2013:513, punti 114 e 115 e del 13 dicembre 2016, Printeos e a./Commissione, T‑95/15, EU:T:2016:722, punto 44).

130    L’obbligo di motivazione dev’essere valutato in funzione delle circostanze del caso di specie, in particolare del contenuto dell’atto, della natura dei motivi esposti e dell’interesse che i destinatari dell’atto o qualsiasi altra persona che detto atto riguardi ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, possano avere a ricevere spiegazioni. La motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto rilevanti, in quanto per accertare se la motivazione di un atto soddisfi le prescrizioni di cui all’articolo 296 TFUE occorre far riferimento non solo al suo tenore, ma anche al suo contesto e al complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia (sentenze del 29 settembre 2011, Elf Aquitaine/Commissione, C‑521/09 P, EU:C:2011:620, punto 150; dell’11 luglio 2013, Ziegler/Commissione, C‑439/11 P, EU:C:2013:513, punto 116 e del 13 dicembre 2016, Printeos e a./Commissione, T‑95/15, EU:T:2016:722, punto 45).

131    Dalla giurisprudenza risulta parimenti che, in linea di principio, la motivazione deve essere comunicata all’interessato contemporaneamente alla decisione che gli arreca pregiudizio. La carenza di motivazione, infatti, non può essere sanata dal fatto che l’interessato apprende i motivi della decisione nel corso del procedimento dinanzi ai giudici dell’Unione (sentenze del 29 settembre 2011, Elf Aquitaine/Commissione, C‑521/09 P, EU:C:2011:620, punto 149; del 19 luglio 2012, Alliance One International e Standard Commercial Tobacco/Commissione, C‑628/10 P e C‑14/11 P, EU:C:2012:479, punto 74 e del 13 dicembre 2016, Printeos e a./Commissione, T‑95/15, EU:T:2016:722, punto 46).

132    Per quanto riguarda, più specificamente, la motivazione delle sanzioni pecuniarie amministrative irrogate ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 1, del regolamento n. 1024/2103, in primo luogo, occorre ricordare che la BCE è legittimata ad infliggere una sanzione pecuniaria amministrativa il cui importo massimo può corrispondere al 10% del fatturato annuo totale del gruppo del quale fa parte la persona giuridica di cui trattasi.

133    Ne consegue che la BCE dispone di un ampio potere discrezionale per quanto attiene alla determinazione dell’importo della sanzione pecuniaria. In una simile fattispecie, secondo una giurisprudenza costante, il rispetto delle garanzie previste dall’ordinamento giuridico dell’Unione nei procedimenti amministrativi ha un’importanza ancor più fondamentale. Tra queste garanzie, vi è in particolare il diritto dell’interessato di vedere sufficientemente motivata la decisione in questione. Solo così la Corte e il Tribunale possono verificare se ricorrano gli elementi di fatto e di diritto da cui dipende l’esercizio del potere discrezionale (sentenze del 21 novembre 1991, Technische Universität München, C‑269/90, EU:C:1991:438, punto 14 e del 6 novembre 2008, Paesi Bassi/Commissione, C‑405/07 P, EU:C:2008:613, punto 56).

134    Pertanto, alla luce sia dell’ampio potere discrezionale conferito alla BCE dall’articolo 18, paragrafo 1, del regolamento n. 1024/2013 sia del livello molto elevato delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate, l’obbligo di motivazione delle decisioni che infliggono una siffatta sanzione riveste un’importanza del tutto particolare.

135    In secondo luogo, occorre rilevare che la motivazione di una decisione che infligge una sanzione deve consentire al Tribunale di valutare se detta decisione sia conforme al diritto dell’Unione e, segnatamente, al principio di proporzionalità, nonché di verificare se la BCE abbia valutato correttamente i criteri figuranti all’articolo 18, paragrafo 3, del regolamento n. 1024/2013, il quale sottolinea, oltre al carattere proporzionato della sanzione, la sua efficacia e il suo carattere dissuasivo.

136    Orbene, affinché un siffatto controllo possa essere effettuato, è necessario che la motivazione della decisione impugnata riveli in maniera sufficiente la metodologia seguita dalla BCE al fine di determinare l’importo della sanzione (v., in tal senso, sentenza del 27 settembre 2006, Jungbunzlauer/Commissione, T‑43/02, EU:T:2006:270, punto 91), nonché la ponderazione e la valutazione che essa ha effettuato degli elementi considerati (v., in tal senso, sentenza dell’8 dicembre 2011, Chalkor/Commissione, C‑386/10 P, EU:C:2011:815, punto 61).

137    Infine, in terzo luogo, dalla giurisprudenza citata al precedente punto 130 risulta che la valutazione del carattere sufficientemente motivato di una decisione deve essere effettuata, segnatamente, alla luce del contesto nel quale essa si inserisce.

138    In tal senso, è stato ritenuto che se una decisione della BCE si collocava nel solco del parere della commissione amministrativa del riesame, le spiegazioni in esso contenute potessero essere prese in considerazione al fine di esaminare il carattere sufficientemente motivato della decisione impugnata (v., in tal senso, sentenza dell’8 maggio 2019, Landeskreditbank Baden-Württemberg/BCE, C‑450/17 P, EU:C:2019:372, punto 92). Inoltre, sempre in relazione al contesto nel quale si inserisce una siffatta decisione, è stato statuito in più occasioni che una decisione che rientri nell’ambito di una prassi decisionale costante poteva essere motivata sommariamente, in particolare con un richiamo a tale prassi (sentenze del 14 febbraio 1990, Delacre e a./Commissione, C‑350/88, EU:C:1990:71, punto 15, e dell’8 novembre 2001, Silos, C‑228/99, EU:C:2001:599, punto 28). Analogamente, la pubblicazione, da parte dell’istituzione convenuta, della metodologia che essa intende seguire in occasione dell’attuazione del suo potere decisionale è idonea a mitigare il suo obbligo di motivazione delle sue decisioni individuali, sempreché essa applichi detta metodologia.

139    Tuttavia, nella specie, la decisione impugnata non è stata adottata nel solco di un parere della commissione amministrativa del riesame e non esiste alcuna prassi anteriore della BCE in relazione all’irrogazione di una sanzione pecuniaria amministrativa, in applicazione dell’articolo 18, paragrafo 1, del regolamento n. 1024/2013. Inoltre, la BCE non ha reso pubblico la metodologia che intendeva applicare al fine di determinare l’importo delle sanzioni inflitte in forza di tale disposizione.

140    Pertanto, il carattere sufficientemente motivato della decisione impugnata deve essere valutato sulla sola base dei motivi figuranti in tale decisione.

141    È alla luce di tali considerazioni che occorre verificare se la BCE abbia adempiuto, nella specie, al suo obbligo di motivazione.

142    Il punto 4.1.2 della decisione impugnata, intitolato «Importo della sanzione», così recita:

«Al fine di determinare la sanzione amministrativa da infliggere, la BCE ha preso in considerazione le seguenti circostanze:

4.1.2.1. Per quanto attiene alla gravità dell’infrazione, la BCE tiene conto del fatto che l’ente sottoposto alla vigilanza prudenziale ha erroneamente incluso strumenti di capitale nei suoi strumenti di CET 1 per un importo totale di [EUR] 2 088 milioni, il che rappresenta 67 punti base del coefficiente di [CET 1] dell’ente sottoposto alla vigilanza prudenziale, su base consolidata, al 30 giugno 2016. Il fatto che la maggior parte degli strumenti di capitale che sono stati erroneamente classificati come strumenti di CET 1 siano stati emessi a seguito della distribuzione di dividendi in azioni agli azionisti e fossero dunque identici alle azioni ordinarie che li generano viene parimenti preso in considerazione in sede di valutazione della gravità della violazione.

4.1.2.2. Inoltre, la BCE prende in considerazione il fatto che la violazione ha avuto luogo nel corso di cinque periodi di dichiarazioni trimestrali consecutive e di tre pubblicazioni di informazioni nell’ambito del terzo pilastro nel 2015 e nel 2016.

[4.1.2.3.] Per quanto riguarda la gravità dell’inadempimento in cui è incorso l’ente sottoposto alla vigilanza prudenziale, la BCE ritiene che l’infrazione sia stata commessa quantomeno con negligenza. In particolare, l’illiceità del comportamento censurabile è dimostrata dalle circostanze descritte alla sezione 3.3. L’ente sottoposto alla vigilanza prudenziale ha disposto di un tempo sufficiente per adeguare le sue operazioni ai requisiti normativi del regolamento (UE) n. 575/2013 ed è stato avvisato dalla BCE (il gruppo di vigilanza prudenziale congiunto) della necessità di ottenere la previa autorizzazione della BCE prima di classificare gli strumenti di capitale come strumenti di [CET 1]. Tuttavia, benché sia stato a conoscenza di tali requisiti, l’ente sottoposto alla vigilanza prudenziale ha continuato a classificare gli strumenti senza disporre dell’autorizzazione richiesta.

4.1.2.4. La BCE tiene parimenti conto, a titolo di circostanza attenuante, del fatto che, a seguito della domanda dell’ente sottoposto alla vigilanza prudenziale, la BCE ha accordato l’autorizzazione di classificare le emissioni come strumenti di CET 1 (…)

Di conseguenza, alla luce di tutti gli elementi summenzionati, inclusi gli argomenti dedotti dall’ente sottoposto alla vigilanza prudenziale nelle sue osservazioni scritte, e tenuto conto del principio di proporzionalità che guida la BCE nelle esercizio dei suoi poteri sanzionatori, la sanzione amministrativa viene fissata in EUR 4 300 000, il che rappresenta circa lo 0,0015% del fatturato annuo totale dell’esercizio 2017 del gruppo vigilato cui appartiene l’ente sottoposto a vigilanza prudenziale e garantisce un effetto dissuasivo credibile ed efficace per evitare che una siffatta infrazione venga commessa in futuro».

143    Al punto 4.2.4 della decisione impugnata, la BCE ha aggiunto «che la sanzione amministrativa imposta non eccede[va] il 10% del fatturato annuo totale del gruppo vigilato cui appart[eneva] [la ricorrente], per l’esercizio antecedente la data della decisione [impugnata]».

144    È giocoforza constatare che tale passaggio della decisione impugnata non fornisce precisazioni in ordine alla metodologia applicata dalla BCE al fine di stabilire l’importo della sanzione inflitta, ma si limita a mettere in evidenza alcune considerazioni sulla gravità dell’infrazione, la sua durata, la gravità dell’inadempimento addebitato alla ricorrente, nonché l’assicurazione che si sarebbe tenuto conto di una circostanza attenuante.

145    Nei termini in cui sono redatti, i punti da 4.1.2.1 a 4.1.2.4 della decisione impugnata non consentono né alla ricorrente di comprendere la metodologia privilegiata dalla BCE né al Tribunale di esercitare il suo controllo di legittimità sulla sanzione irrogata.

146    La circostanza che la BCE abbia illustrato, nella sua comparsa di risposta, e successivamente in udienza, la metodologia che la stessa avrebbe applicato nella specie, non può ovviare a tale carenza, dal momento che, ai sensi della giurisprudenza citata al precedente punto 131, essa non poteva sanare una motivazione insufficiente mediante la comunicazione dei motivi della decisione nel corso del procedimento dinanzi al Tribunale. Inoltre, la ricorrente aveva il diritto di conoscere la metodologia di calcolo dell’importo della sanzione inflittale, senza essere obbligata, per farlo, a proporre un ricorso dinanzi al Tribunale.

147    Inoltre, i punti da 4.1.2.1 a 4.1.2.4 della decisione impugnata non forniscono le informazioni minime che avrebbero potuto consentire di capire e verificare la rilevanza e la ponderazione degli elementi presi in considerazione dalla BCE nella determinazione dell’importo della sanzione.

148    Pur se, al punto 4.1.2.1 della decisione impugnata, avente ad oggetto la gravità dell’infrazione, la BCE sottolinea che gli strumenti di capitale classificati senza autorizzazione rappresentavano 67 punti base del coefficiente di CET 1 della ricorrente, essa non fornisce spiegazioni supplementari concernenti il grado di gravità di un siffatto inadempimento nell’ottica del rispetto degli obblighi prudenziali incombenti alla ricorrente.

149    Nello stesso punto della decisione impugnata, la BCE mette in evidenza la circostanza che la maggior parte degli strumenti di capitale classificati in modo non corretto sono stati emessi a seguito della distribuzione di dividendi in azioni agli azionisti e sottolinea che si tratta di un elemento che è stato preso in considerazione in sede di valutazione della gravità della violazione. Tuttavia, anche a tal riguardo, non viene fornita alcuna spiegazione in merito agli effetti di tale constatazione sulla determinazione dell’importo della sanzione applicata alla ricorrente.

150    Infine, se, al punto 4.1.2.4 della decisione impugnata, la BCE assicura di avere preso in considerazione, quale circostanza attenuante, il fatto che essa aveva alla fine autorizzato la ricorrente a classificare gli strumenti in questione fra i suoi strumenti di CET 1, non viene fornita alcuna indicazione quanto alla ponderazione di tale elemento in sede di determinazione dell’importo finale della sanzione.

151    Inoltre, occorre rilevare che la BCE si è limitata a menzionare le dimensioni del gruppo al quale apparteneva la ricorrente, e non quelle della ricorrente, sebbene l’infrazione sia stata imputata soltanto a quest’ultima.

152    È giocoforza constatare che, non facendo figurare, nella decisione impugnata, le dimensioni dell’ente creditizio autore dell’infrazione in questione, la BCE ha omesso di menzionare un elemento che, stando alle dichiarazioni da essa rilasciate dinanzi al Tribunale, era particolarmente rilevante per la determinazione dell’importo della sanzione.

153    Infatti, la mancata menzione delle dimensioni dell’ente creditizio interessato impedisce al Tribunale di esercitare il proprio controllo sulla valutazione, da parte della BCE, dei criteri di efficacia, di proporzionalità e di dissuasione figuranti all’articolo 18, paragrafo 3, del regolamento n. 1024/2013.

154    Dinanzi al Tribunale, la BCE ha sostenuto di aver preso in considerazione le dimensioni dell’ente di cui trattasi in occasione della determinazione dell’importo della sanzione sotto forma del suo importo totale di attività in gestione. Tuttavia, in applicazione della giurisprudenza citata al precedente punto 131 e per motivi analoghi a quelli illustrati al precedente punto 146, una spiegazione fornita in tale fase non può essere presa in considerazione al fine di valutare il rispetto, da parte della BCE, dell’obbligo di motivazione ad essa incombente.

155    Inoltre, la circostanza, messa in evidenza dalla BCE in udienza, che si tratterebbe di un elemento «oggettivo» non può esimere quest’ultima dall’esplicitare tale fattore nella decisione impugnata, non fosse altro che al fine di spiegare in che modo e secondo quale ponderazione esso sia stato preso in considerazione in sede di determinazione dell’importo della sanzione irrogata all’ente creditizio in questione.

156    Discende dalle considerazioni che precedono che la sanzione inflitta alla ricorrente è inficiata da una carenza di motivazione e, pertanto, deve essere annullata, senza che sia necessario pronunciarsi sulle altre censure sollevate al riguardo.

157    Poiché la valutazione della BCE avente ad oggetto l’importo della sanzione pecuniaria amministrativa è separabile dal resto della decisione impugnata, quest’ultima deve essere annullata solo nella parte in cui applica una sanzione pecuniaria amministrativa alla ricorrente di importo pari a EUR 4 300 000.

 Sulle spese

158    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 3, del regolamento di procedura, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, le spese sono compensate.

159    Nella specie, la ricorrente in parte è risultata soccombente e in parte ha ottenuto soddisfazione, poiché la decisione impugnata viene annullata nella sola parte in cui le infligge una sanzione pecuniaria amministrativa di importo pari a EUR 4 300 000. Ciò premesso, sarà operata un’equa valutazione delle circostanze di specie decidendo che ciascuna delle parti sopporterà le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione ampliata)

dichiara e statuisce:

1)      La decisione ECB/SSM/2018-FRCAG-75 della Banca centrale europea (BCE), del 16 luglio 2018, è annullata nella parte in cui infligge a Crédit agricole SA una sanzione pecuniaria amministrativa di importo pari a EUR 4 300 000.

2)      Il ricorso è respinto quanto al resto.

3)      Crédit agricole è condannata a sopportare le proprie spese.

4)      La BCE è condannata a sopportare le proprie spese.

Papasavvas

Tomljenović

Schalin

Škvařilová-Pelzl

 

Nõmm

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo l’8 luglio 2020.

Il cancelliere

 

Il presidente

E. Coulon


Indice


Fatti

Procedimento e conclusioni delle parti

In diritto

Sulla legittimità della decisione impugnata nella parte in cui ravvisa un’infrazione a carico della ricorrente

Sulla prima parte del primo motivo, vertente su un errore di diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dell’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento n. 575/2013

– Sulla prima censura, relativa ad un errore nell’interpretazione e nell’applicazione dell’articolo 26, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 575/2013 nella sua versione applicabile all’epoca dei fatti contestati alla ricorrente

– Sulla seconda censura, vertente, in sostanza, sull’applicazione retroattiva della nuova versione dell’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento n. 575/2013

Sulla prima censura della seconda parte del primo motivo, relativa ad una violazione dell’articolo 18, paragrafo 1, del regolamento n. 1024/2013

Sul secondo motivo, dedotto in subordine, relativo alla violazione del diritto della ricorrente di essere sentita

Sulla legittimità della decisione impugnata nella parte in cui infligge una sanzione pecuniaria amministrativa alla ricorrente

Sulle spese


*      Lingua processuale: il francese.