Language of document : ECLI:EU:C:2022:481

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

GIOVANNI PITRUZZELLA

presentate il 16 giugno 2022(1)

Causa C175/21

Harman International Industries, Inc.

contro

AB SA

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Sąd Okręgowy w Warszawie (Tribunale regionale di Varsavia, Polonia)]

«Rinvio pregiudiziale – Articoli 34 e 36 TFUE – Libera circolazione delle merci – Marchio dell’Unione europea – Regolamento (UE) 2017/1001 – Articolo 15 – Esaurimento del diritto conferito dal marchio dell’Unione europea – Onere della prova – Tutela giurisdizionale effettiva»






1.        In un giudizio azionato dal titolare del marchio per bloccare la distribuzione di prodotti non autorizzati come trovare il punto di equilibrio tra la tutela del titolare del marchio e quella del distributore dei prodotti che eccepisce in giudizio l’esaurimento del marchio? Il consenso del titolare del marchio all’immissione dei prodotti nel SEE può essere implicito? La formulazione generica del dispositivo della sentenza ed il rinvio alla fase di esecuzione dell’individuazione dei prodotti immessi nel SEE è compatibile con il principio di tutela giurisdizionale effettiva? L’onere della prova com’è ripartito?

I.      Quadro giuridico

A.      Diritto dell’Unione

2.        Secondo l’articolo 9 del regolamento 2017/1001 (2):

«1.      La registrazione di un marchio dell’Unione europea conferisce al suo titolare un diritto esclusivo.

(...)

3.      In particolare, può essere vietato (...):

(...)

b)      l’offerta, l’immissione in commercio o lo stoccaggio dei prodotti a tali fini oppure l’offerta o la fornitura di servizi sotto la copertura del segno;

c)      l’importazione o l’esportazione dei prodotti sotto la copertura del segno;

(...)».

3.        Secondo l’articolo 15, paragrafo 1, del regolamento 2017/1001:

«Il diritto conferito dal marchio UE non permette al titolare di impedirne l’uso per prodotti immessi in commercio nello Spazio economico europeo con tale marchio dal titolare stesso o con il suo consenso».

4.        L’articolo 129, paragrafo 3, del regolamento 2017/1001, intitolato «Legge applicabile» stabilisce che:

«Se il presente regolamento non dispone altrimenti, il tribunale dei marchi UE applica le norme procedurali che disciplinano lo stesso tipo di azioni relative a un marchio nazionale nello Stato membro in cui tale tribunale ha sede».

5.        L’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2004/48 (3) prevede che:

«Le misure, le procedure e i mezzi di ricorso sono effettivi, proporzionati e dissuasivi e sono applicati in modo da evitare la creazione di ostacoli al commercio legittimo e da prevedere salvaguardie contro gli abusi».

B.      Il diritto polacco

6.        L’articolo 325 della ustawa z dnia 17 listopada 1964 r. – Kodeks postępowania cywilnego (legge sul Codice di procedura civile) del 17 novembre 1964, testo consolidato, come modificato (Dz. U. del 2019, posizione 1460) (in prosieguo: il «Codice di procedura civile») stabilisce:

«Il dispositivo della sentenza deve contenere il nome del tribunale, i nomi dei giudici, del cancelliere e del pubblico ministero, se quest’ultimo è intervenuto nella causa, la data e il luogo dell’udienza e della pronuncia della sentenza, i nomi delle parti e l’oggetto della causa, nonché la decisione del tribunale sulle richieste delle parti».

7.        Secondo l’articolo 758 del Codice di procedura civile, i Sądy Rejonowe (Tribunali distrettuali) così come gli ufficiali giudiziari collegati a questi tribunali sono competenti in materia di esecuzione.

8.        Secondo l’articolo 767, paragrafi 1 e 2, di questo codice:

«1      A meno che la legge non disponga diversamente, gli atti dell’ufficiale giudiziario possono essere appellati al Sąd Rejonowy (Tribunale distrettuale). Un ricorso è anche possibile contro l’omissione di un documento da parte dell’ufficiale giudiziario. Il ricorso è esaminato dal tribunale nella giurisdizione dell’ufficio dell’ufficiale giudiziario.

(…)

2      Il ricorso può essere presentato da una parte o da un’altra persona i cui diritti sono stati violati o minacciati dall’atto o dall’omissione dell’ufficiale giudiziario.

(...)».

9.        L’articolo 843 del suddetto codice prevede nel suo paragrafo 3:

«Nell’atto di appello, l’appellante deve esporre tutti i reclami che possono essere sollevati in questa fase, altrimenti perderà il diritto di farli valere nel procedimento successivo».

10.      L’articolo 1050 dello stesso codice prevede ai paragrafi 1 e 3:

«1      Quando il debitore è tenuto a compiere un atto che non può essere compiuto da un’altra persona e il cui compimento dipende esclusivamente dalla sua volontà, il tribunale nella cui giurisdizione l’atto deve essere compiuto, su richiesta del creditore e dopo aver sentito le parti, fissa un termine al debitore per compiere l’atto, sotto pena di una multa, se non lo fa entro il termine stabilito.

(...)

3      Se il termine concesso al debitore per compiere un atto è scaduto senza che il debitore lo abbia compiuto, il tribunale, su richiesta del creditore, impone al debitore una multa e allo stesso tempo fissa un nuovo termine per il compimento dell’atto, sotto pena di una multa maggiorata».

11.      L’articolo 1051 del Codice di procedura civile stabilisce al suo paragrafo 1:

«Quando il debitore è vincolato dall’obbligo di non fare o ostacolare gli atti del creditore, il tribunale nella cui giurisdizione il debitore non ha adempiuto al suo obbligo, su richiesta del creditore, lo condanna a pagare una multa, dopo aver sentito le parti e aver constatato che il debitore non ha adempiuto al suo obbligo. Il tribunale procede allo stesso modo in caso di una nuova domanda da parte del creditore».

II.    Fatti, procedimento principale e questioni pregiudiziali

12.      La Harman International Industries, Inc. (in prosieguo: «la ricorrente») con sede a Stamford (Stati Uniti d’America) è titolare dei diritti esclusivi sui marchi dell’Unione europea registrati ai numeri 001830967, 005336755, 015577621, 003191004, 003860665, 0150221652, 001782523, 005133251 e 009097494.

13.      I prodotti della ricorrente (apparecchi audiovisivi, compresi altoparlanti, cuffie e sistemi audio), recanti i marchi sopraindicati, sono distribuiti nel territorio della Polonia da un unico soggetto con il quale la ricorrente ha concluso un accordo di distribuzione e attraverso l’intermediazione di questo soggetto i suoi prodotti sono venduti ai clienti finali in negozi di elettronica.

14.      La ricorrente utilizza sistemi di marcatura dei suoi prodotti in base ai quali, nella prospettazione del giudice del rinvio, non è sempre possibile stabilire se il prodotto sia da essa stato destinato al mercato dello Spazio economico europeo (SEE) o al di fuori di esso. Le marcature su alcuni esemplari recanti i marchi della ricorrente, infatti, non contengono abbreviazioni relative alle indicazioni territoriali, pertanto non specificano il luogo in cui il prodotto debba essere immesso in commercio per la prima volta con il suo consenso. Questo comporta che alcune marcature risultino presenti sia sugli imballaggi di esemplari dei prodotti destinati ad essere immessi in commercio nel SEE, sia sugli imballaggi di esemplari di prodotti destinati ad essere immessi in commercio al di fuori del SEE. Per questi esemplari, la determinazione del mercato a cui sono destinati richiede l’uso di uno strumento informatico di cui dispone la ricorrente che comprende una banca dati di prodotti con l’indicazione del mercato al quale è destinato un esemplare specifico del prodotto.

15.      La AB SA con sede a Magnice (Polonia), società resistente nel procedimento principale (in prosieguo: «la resistente»), svolge attività commerciale consistente nella distribuzione di apparecchiature elettroniche. La resistente ha introdotto nel mercato polacco beni prodotti dalla ricorrente e contrassegnati con i marchi UE della ricorrente. La resistente ha acquistato le merci in questione da un venditore diverso dal distributore dei prodotti sul mercato polacco con il quale la ricorrente aveva concluso l’accordo. La resistente afferma di aver ricevuto assicurazioni da tale venditore che l’introduzione dei prodotti in questione sul mercato polacco non violava i diritti esclusivi della ricorrente sui marchi dell’Unione europea visto l’esaurimento di tali diritti in seguito alla precedente immissione in commercio di prodotti recanti marchi UE nel SEE da parte della ricorrente o con il suo consenso.

16.      La ricorrente ha proposto un’azione innanzi al Sąd Okregowy w Warszawie (Tribunale regionale di Varsavia, Polonia), in qualità di tribunale di prima istanza, chiedendo che alla resistente fosse vietato di violare i diritti che essa vanta sul marchio UE, impedendole l’introduzione, l’immissione in commercio, l’importazione, l’offerta, la pubblicizzazione e lo stoccaggio di altoparlanti, cuffie nonché dei loro imballaggi recanti anche solo uno dei marchi dell’Unione europea della ricorrente, che non siano stati precedentemente immessi in commercio nel SEE dalla stessa o con il suo consenso. La ricorrente chiedeva, inoltre, che il giudice ordinasse alla resistente di ritirare dal commercio o di distruggere tali altoparlanti e cuffie e i loro imballaggi.

17.      La resistente opponeva alle richieste della ricorrente il principio di esaurimento del diritto conferito dal marchio UE, incentrando la sua difesa sulla assicurazione ricevuta dal venditore che i prodotti in questione fossero già stati immessi in commercio nel SEE.

18.      A questo riguardo, il giudice del rinvio rileva che i sistemi di marcatura dei prodotti della ricorrente non permettono di stabilire se i prodotti fossero destinati al mercato del SEE oppure no. Per questo motivo, un convenuto non sarebbe in grado di dimostrare che una copia di un prodotto recante il marchio UE della ricorrente è stato immesso sul mercato nel SEE da questi o con il suo consenso. Certamente, il convenuto potrebbe rivolgersi al suo venditore; tuttavia, è improbabile, prosegue il giudice del rinvio, che riesca a ottenere informazioni utili sulla identità del soggetto da cui il fornitore ha ottenuto le copie in questione o sui soggetti facenti parte della catena di distribuzione delle copie nel territorio polacco perché i fornitori non sono di norma disposti a rivelare le loro fonti di approvvigionamento al fine di non perdere gli acquirenti.

19.      Nel contesto così delineato, il giudice del rinvio rileva che la prassi dei giudici polacchi di utilizzare, nel dispositivo delle sentenze di accoglimento dei ricorsi, la formula generica «prodotti contrassegnati dal marchio del ricorrente che non sono stati precedentemente immessi in commercio nel territorio [SEE] dal ricorrente (titolare del marchio dell’Unione europea) o con il suo consenso» comporta serie difficoltà per l’esercizio del diritto di difesa e incertezze nella applicazione del diritto. Questo modo di redigere il dispositivo delle decisioni ha, ad avviso del giudice del rinvio, come conseguenza diretta, l’impossibilità pratica di eseguirle sulla base delle informazioni che contengono.

20.      Infatti, sia che la decisione venga eseguita volontariamente sia che venga eseguita dall’autorità competente per l’esecuzione, affinché questa sia praticamente eseguibile è necessario ottenere ulteriori informazioni, dal titolare o dal convenuto, per identificare gli specifici articoli di prodotti che recano il marchio UE.

21.      In particolare, occorrerebbe la specifica collaborazione del ricorrente, titolare del marchio per l’accesso al data base contenente le informazioni necessarie all’identificazione dei prodotti.

22.      Inoltre, dalla motivazione della domanda di pronuncia pregiudiziale si evince che la prassi seguita nell’esecuzione delle sentenze il cui dispositivo è redatto in maniera generica non è uniforme e varia a seconda della natura della sentenza da seguire e, in molti casi, può avere come esito anche il sequestro di prodotti che stanno circolando in assenza di qualsiasi violazione di un diritto di marchio esclusivo. Sostanzialmente, può concretamente accadere che venga estesa la protezione del diritto esclusivo di un marchio UE a prodotti per i quali tale diritto è esaurito.

23.      Oltre a ciò, la prassi in questione solleva ulteriori incertezze relativi alle garanzie procedurali per le parti nei casi riguardanti la protezione di un diritto esclusivo conferito da un marchio UE. Infatti, dalla formulazione della domanda di pronuncia pregiudiziale, si evince che la prova da parte della resistente, nell’ambito di una controversia giudiziaria, che un determinato esemplare del prodotto sia stato immesso sul mercato nel SEE dalla ricorrente o con il suo consenso è molto difficile.

24.      Secondo le disposizioni del diritto polacco, come riferito dal giudice del rinvio, i rimedi a disposizione del debitore nei procedimenti cautelari ed esecutivi, cioè il ricorso contro gli atti di un ufficiale giudiziario e l’azione di opposizione all’esecuzione, non permetterebbero di contestare in maniera efficace il modo in cui è stata eseguita la sentenza da parte dell’autorità di esecuzione, ossia di individuare efficacemente le copie che vanno escluse dall’esecuzione forzata.

25.      Per tutte queste ragioni, il giudice del rinvio dubita della compatibilità di questa prassi dei giudici polacchi con i principi della libera circolazione delle merci, dell’esaurimento del diritto conferito dal marchio UE, nonché con l’obbligo per gli Stati membri di stabilire mezzi di ricorso necessari per garantire una tutela giurisdizionale effettiva.

26.      Il Sąd Okręgowy w Warszawie (Tribunale regionale di Varsavia, Polonia) ha perciò sospeso il procedimento e sottoposto alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’articolo 36, seconda frase, TFUE in combinato disposto con l’articolo 15, paragrafo 1, del regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea, nonché con l’articolo 19, paragrafo 1, [secondo comma], del Trattato sull’Unione europea, debba essere inteso nel senso che esso osta ad una prassi degli organi giurisdizionali nazionali di Stati membri in forza della quale tali organi giurisdizionali:

-      nell’esaminare le richieste del titolare di un marchio di vietare l’introduzione, l’immissione in commercio, l’offerta, l’importazione, la pubblicizzazione dei prodotti recanti un marchio dell’Unione europea, di ordinare il ritiro dal commercio o la distruzione di tali prodotti,

-      nel pronunciarsi sui procedimenti cautelari di sequestro dei prodotti recanti un marchio dell’Unione europea,

fanno riferimento, nelle loro sentenze, ai “prodotti che non sono stati immessi in commercio nello Spazio economico europeo dal titolare del marchio o con il suo consenso”, e in conseguenza di ciò la determinazione a quali prodotti recanti il marchio dell’Unione europea si riferiscano i disposti obblighi o divieti (ossia la determinazione di quali prodotti non siano stati immessi in commercio nello Spazio economico europeo dal titolare o con il suo consenso) viene lasciata, alla luce della formulazione generica della sentenza, all’autorità che effettua l’esecuzione. Tale autorità, nel compiere siffatto accertamento, si basa sulle dichiarazioni del titolare del marchio o sugli strumenti forniti dal titolare (tra i quali strumenti informatici e banche dati) mentre la ricevibilità della contestazione di tali accertamenti dell’autorità esecutiva davanti ad un organo giurisdizionale in un procedimento di merito è esclusa o limitata, in considerazione della natura dei rimedi giuridici spettanti al resistente in un procedimento cautelare o esecutivo».

III. Analisi giuridica

A.      Osservazioni preliminari

27.      Con l’unica domanda di pronuncia pregiudiziale, concernente il grado di precisione richiesto nella formulazione del dispositivo di una sentenza in materia di esaurimento del diritto di marchio di cui all’articolo 15, paragrafo 1, del regolamento 2017/1001, il giudice del rinvio solleva dubbi con riguardo sia alla garanzia della libera circolazione delle merci che alla tutela giurisdizionale effettiva del distributore, convenuto in giudizio dal titolare di un marchio UE per la pretesa irregolare immissione nel SEE di prodotti protetti dal diritto di marchio.

28.      Più precisamente, nella prospettazione del giudice nazionale, la generica formulazione del dispositivo emesso dall’autorità giudiziaria nel giudizio di cognizione avrebbe l’effetto di rendere eccessivamente difficile la difesa del distributore dei prodotti che è la parte convenuta nel giudizio. Ciò solleverebbe il problema del riparto dell’onere probatorio nel giudizio, in particolare in fase esecutiva, anche in ragione del particolare sistema processuale dello Stato membro che, sottoponendo il convenuto a stringenti requisiti per la proposizione di un giudizio di opposizione, non sarebbe, ad avviso del giudice del rinvio, idoneo ad offrire una tutela effettiva per la parte convenuta.

29.      La ricorrente, la resistente, il governo polacco e la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte.

30.      La ricorrente ritiene che la domanda di pronuncia pregiudiziale debba essere risolta in senso negativo in quanto qualsiasi soluzione diversa sarebbe contraria alla regola dell’esaurimento dei diritti del marchio. In particolare, oltre a contestare la descrizione dei fatti e l’interpretazione della legislazione polacca presentata dal giudice del rinvio, essa ritiene che, se si seguissero le soluzioni da esso suggerite – in particolare l’imposizione al titolare del marchio dell’obbligo di indicare con precisione sui prodotti «i marchi o i numeri di serie» – si verificherebbe una discriminazione nei confronti degli operatori il cui marchio è stato violato, non essendo un tale obbligo previsto né dal diritto dell’Unione né dal diritto nazionale.

31.      La ricorrente contesta anche la circostanza che la Harman abbia un solo distributore dei suoi prodotti nel mercato polacco e, di conseguenza, non ritiene possa ammettersi una inversione dell’onere della prova, come stabilito dalla sentenza Van Doren + Q (4), in quanto – al di fuori dei casi di distribuzione esclusiva – l’onere di provare l’esistenza del consenso alla immissione in commercio dei beni al di fuori del SEE spetta al convenuto.

32.      Al contrario, la resistente, il governo polacco e la Commissione sono del parere che la domanda di pronuncia pregiudiziale debba essere risolta in senso affermativo.

33.      La resistente e il governo polacco concordano con la prospettazione dei fatti del giudice del rinvio. In particolare, la resistente ritiene che qualsiasi sentenza emessa da un giudice dovrebbe permettere al convenuto di eseguirla volontariamente senza ricorrere a informazioni contenute nelle banche dati della ricorrente, ad esso non accessibili. Tale problema pratico potrebbe, secondo la sua prospettazione, essere risolto istituendo un sistema uniforme di marcatura che comporti l’obbligo di indicazione del mercato di destinazione sulle copie dei prodotti.

34.      Il governo polacco ritiene che, poiché le tradizionali regole di ripartizione dell’onere della prova nei procedimenti per violazione di un diritto di marchio esclusivo potrebbero, in alcuni casi, portare ad una restrizione di fatto della libera circolazione delle merci, si potrebbe giustificare un suo adattamento in applicazione dei principi indicati in Van Doren + Q. In particolare, il governo polacco ritiene che il rispetto dei suddetti principi potrebbe essere possibile solo se la procedura probatoria fosse condotta interamente dal giudice di merito.

35.      Al contrario, la Commissione – pur concordando sulla possibilità di attribuire al titolare del diritto di marchio l’onere della prova del consenso all’immissione delle merci al di fuori del SEE – ritiene che il diritto dell’Unione non si opponga, in linea di principio, alla possibilità di lasciare all’autorità dell’esecuzione il compito di determinare quali articoli recanti il marchio UE siano colpiti da ingiunzioni e divieti emessi da un tribunale. Tuttavia, aggiunge che una tale soluzione, in conformità al principio della tutela giurisdizionale effettiva, presuppone che il convenuto in procedimenti cautelari e di esecuzione disponga di tutti i mezzi necessari per tutelare il suo diritto in giudizio.

36.      Da quanto indicato dagli atti della causa, si comprende che il caso oggetto del giudizio di rinvio riguarda, in particolare, l’importazione parallela di prodotti «misti», cioè prodotti per i quali i diritti esclusivi del titolare sono esauriti e che possono circolare liberamente nel SEE e prodotti destinati ad essere commercializzati al di fuori del SEE, la cui commercializzazione nel SEE viola i diritti del titolare.

37.      Nello specifico, il giudice del rinvio sostiene che, al momento del sequestro, è molto difficile distinguere i due gruppi di prodotti e, per tale ragione, molto spesso le uniche informazioni attendibili per determinare il luogo in cui i prodotti sono stati immessi sul mercato provengono dal titolare del marchio.

38.      La formulazione generica del dispositivo, che si limita a riprodurre la disposizione di cui all’articolo 15, paragrafo 1, del regolamento 2017/1001, porta di fatto a rinviare la determinazione del luogo in cui le merci sono state immesse nel mercato al momento dell’esecuzione. Il rinvio alla fase dell’esecuzione sarebbe problematico dal momento che, nel diritto polacco, da quanto dedotto dall’ordinanza di rinvio, i diritti procedurali del convenuto sarebbero molto limitati in fase di esecuzione forzata; ciò in particolare per il necessario coinvolgimento del titolare del diritto del marchio UE. La necessaria collaborazione della ricorrente titolare del marchio non consentirebbe al convenuto-distributore dei prodotti di tutelare efficacemente e autonomamente la propria posizione in giudizio.

39.      Nella mia analisi mi concentrerò su due questioni che mi sembrano essenziali per dare risposta alla questione pregiudiziale sollevata dal giudice del rinvio: il principio dell’esaurimento dei diritti di marchio in relazione alla disciplina relativa alla libera circolazione delle merci, e l’effettività della tutela giurisdizionale del convenuto-distributore dei prodotti nel medesimo giudizio sia con riferimento alla formulazione generica del dispositivo che al riparto degli oneri probatori.

B.      L’esaurimento del diritto di marchio dell’Unione europea e la libera circolazione delle merci: la nozione di consenso

40.      Come è noto, la disposizione di cui all’articolo 15, paragrafo 1, del regolamento (UE) 2017/1001 ha codificato (5) il principio dell’esaurimento del marchio, in base al quale il titolare di un diritto di privativa su un segno, dopo aver commercializzato, direttamente o comunque con il suo consenso, un prodotto contraddistinto dal suo marchio, non può più vantare diritti connessi al marchio al fine di impedire la successiva vendita di tali prodotti.

41.      Tale disposizione riprende, in termini sostanzialmente identici, l’articolo 7 della direttiva 89/104/CEE (6) che ha codificato la giurisprudenza relativa al principio dell’esaurimento in materia di marchi d’impresa, così come l’articolo 13 del regolamento (CE) n. 40/94 (7) ha codificato quella relativa al marchio comunitario. La direttiva 89/104/CEE è stata abrogata dalla direttiva 2008/95/CE, a sua volta abrogata dalla direttiva (UE) 2015/2436 (8). Il regolamento (CE) n. 40/94 è stato, invece, abrogato dal regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio (9), a sua volta abrogato dal regolamento (UE) 2017/1001. Sebbene l’articolo 15 del regolamento 2017/1001 – così come l’articolo 15 della direttiva 2015/2436 – sia formulato in maniera parzialmente diversa rispetto alle disposizioni abrogate nel tempo, si ritiene che le interpretazioni offerte dalla Corte sui testi precedenti possano mantenere la loro attualità in considerazione del fatto che le due disposizioni perseguono il medesimo obiettivo di bilanciamento dei diritti del marchio con la tutela della libera circolazione delle merci nel mercato interno.

42.      Il fondamento dell’istituto si rinviene nell’attribuzione al titolare della prerogativa di controllare solo la prima immissione in commercio dei prodotti muniti del marchio nel mercato di riferimento senza creare ostacoli o restrizioni all’ulteriore circolazione dei beni protetti che sarebbero incompatibili con il principio della libertà del commercio (10).

43.      La disposizione citata, infatti, deve essere letta e interpretata alla luce dell’articolo 36 del TFUE (11), tenendo anche in considerazione che essa garantisce una armonizzazione completa (12) delle norme sull’esaurimento dei diritti di marchio mediante la codifica di gran parte della giurisprudenza della Corte in materia di libera circolazione delle merci (13).

44.      Di conseguenza, l’applicazione della disposizione di cui all’articolo 15, paragrafo 1, del regolamento 2017/1001 non può avere in alcun modo l’effetto di legittimare o giustificare ostacoli alla libertà di circolazione delle merci e, di fatto, reintrodurre barriere interstatuali e confini doganali abbattuti con il mercato comune (14) né di ridurre le garanzie procedurali per le parti nei casi che riguardano la protezione di un diritto esclusivo conferito da un marchio UE.

45.      Alla luce di tali considerazioni, bisogna valutare, come suggerito dal giudice di rinvio, se la pratica dei giudici polacchi di formulare in maniera generica il dispositivo della sentenza, associato al fatto che la distinzione tra le categorie di prodotti sembra possa essere fatta solo sulla base delle informazioni e delle banche dati in possesso della ricorrente, possa costituire un mezzo di discriminazione o una restrizione dissimulata nel commercio tra Stati membri ai sensi dell’articolo 36 del TFUE.

46.      Dal quadro delineato dal giudice del rinvio, infatti, questa prassi potrebbe, seppur in modo indiretto, mantenere tali restrizioni ed estendere la protezione del diritto esclusivo di un marchio UE a prodotti per i quali tale diritto è esaurito.

47.      La Corte ha più volte affermato che l’articolo 36 del TFUE (15), e quindi il divieto di restrizioni all’importazione e di misure di effetto equivalente, può ammettere deroghe per motivi di protezione dei diritti di proprietà industriale e commerciale; tuttavia, dato che il divieto influisce sull’esercizio dei diritti e non sulla loro esistenza, l’eccezione è ammessa nella misura in cui le deroghe «appaiono indispensabili per la tutela dei diritti che costituiscono oggetto specifico» (16) del diritto di proprietà (17).

48.      Il titolare del marchio deve immettere egli stesso (18) o acconsentire all’immissione nel mercato di ogni prodotto che rechi il suo marchio (19). L’equivalenza tra le due ipotesi – l’immissione in commercio dei beni contrassegnati dal marchio ad opera del titolare o con il suo consenso – è sempre stata affermata sin dalle prime pronunce che hanno enunciato il principio dell’esaurimento (20).

49.      Dunque, la presenza del consenso costituisce un discrimine per capire quando la tutela del diritto di proprietà intellettuale debba cedere innanzi al principio della libera circolazione delle merci.

50.      Per quanto riguarda la definizione del consenso, la sentenza Ideal Standard  ha fornito importanti indicazioni precisando che questo non può mai essere implicito (21).

51.      Nella sentenza Sebago la Corte, riferendosi alla direttiva 89/104/CEE in materia di marchi di impresa, ha precisato che «per aversi consenso ai sensi dell’art. 7, n.°1 (…) lo stesso deve essere dato per ogni esemplare del prodotto per il quale l’esaurimento è invocato» (22).

52.      Nelle cause riunite Davidoff e Levi Strauss (23), aventi ad oggetto la direttiva 89/104, la Corte ha affermato che la definizione delle caratteristiche del consenso all’immissione in commercio nel SEE, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 89/104 , non deve essere lasciata agli ordinamenti nazionali perché altrimenti si avrebbe una protezione variabile a seconda della legge applicabile.

53.      Quanto alla possibilità di un consenso «non espresso», la Corte ha precisato che dovrebbero essere stabilite le possibili forme di manifestazione del consenso del titolare del marchio ad un’immissione in commercio nel SEE che deve essere manifestato in modo che esprima con certezza la volontà di rinunciare a tale diritto, ma non ha escluso che «possa risultare in modo tacito da elementi e circostanze anteriori, concomitanti o posteriori all’immissione in commercio al di fuori del SEE» (24).

54.      Infatti, un consenso tacito a un’immissione in commercio non può risultare dal mero silenzio del titolare del marchio né dal fatto che il titolare non abbia comunicato la sua opposizione all’importazione nel SEE a tutti i successivi acquirenti dei prodotti, oppure che non abbia indicato un divieto su questi, o che non abbia imposto restrizioni contrattuali al momento della vendita delle merci (25).

55.      Dunque, a determinate specifiche condizioni, il consenso può eccezionalmente risultare anche da comportamenti concludenti del titolare dei diritti di marchi, anche se lo si ripete, la regola è quella del consenso espresso.

56.      Di tale consenso, espresso o tacito, chi deve offrire la prova in un eventuale giudizio? Che tipo di accertamenti deve effettuare il giudice per determinare quali prodotti immessi nel mercato siano ancora coperti dalla tutela del marchio e quali no; tali accertamenti devono essere necessariamente effettuati nella fase di merito o possono esser svolti anche nella fase dell’esecuzione?

57.      Sono questi i due profili posti in luce nella domanda pregiudiziale che, pur avendo una loro autonomia concettuale, trovano comune origine dalla prassi della formulazione generica del dispositivo da parte dei giudici polacchi ed evocano una comune questione giuridica, cioè quella dell’effettiva tutela in giudizio del convenuto‑distributore di prodotti che eccepisca, in un giudizio azionato per la tutela del marchio, l’avvenuto esaurimento del diritto.

58.      Il giudice del rinvio chiede, infatti, alla Corte di valutare se la prassi dei giudici polacchi di adottare una formulazione generica del dispositivo delle decisioni riguardanti la violazione dei diritti di marchio a seguito di importazioni parallele possa dirsi conforme ai principi fondamentali della libera circolazione delle merci e della tutela giurisdizionale effettiva. Nello specifico, il giudice rileva che il riferimento, nella motivazione e nel dispositivo della sentenza, ai «prodotti che non sono stati immessi in commercio nel SEE dal titolare o con il suo consenso» può, a seconda delle circostanze, non essere adeguato e sufficientemente preciso.

59.      La conseguenza di questa prassi di redazione del dispositivo delle sentenze comporta, nella prospettazione del giudice del rinvio, una impossibilità pratica di esecuzione delle stesse che risultano mancanti delle informazioni necessarie per essere eseguite. Infatti, sia che la decisione venga eseguita volontariamente sia che essa sia eseguita dall’autorità competente per l’esecuzione, sono comunque necessarie ulteriori informazioni per individuare i prodotti cui la sentenza si riferisce.

60.      Sempre seguendo il giudice del rinvio, solo il titolare del marchio potrebbe indicare la destinazione dei beni oggetto del giudizio e il convenuto si troverebbe, pertanto, nell’impossibilità di contestare tali accertamenti sia in fase cautelare che di esecuzione, non avendo accesso a informazioni proprie.

61.      Nel contesto sopra descritto si pone il problema della compatibilità del diritto polacco con i principi espressi dall’articolo 19, paragrafo 1, del TUE e dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE: il convenuto-distributore può contare nello Stato membro su una tutela giurisdizionale effettiva?

C.      Tutela giurisdizionale effettiva e autonomia procedurale degli Stati membri

62.      La tutela giurisdizionale effettiva, ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 1, TUE, deve essere assicurata ai singoli, nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione, attraverso rimedi giurisdizionali adeguati predisposti dagli Stati membri (26).

63.      Il principio di tutela giurisdizionale effettiva dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione, cui fa riferimento tale disposizione, «costituisce un principio generale del diritto dell’Unione derivante dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, che è stato sancito agli articoli 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e che è attualmente affermato all’articolo 47 della Carta» (27).

64.      L’articolo 47 della Carta dispone, come noto, al suo primo comma, che ogni individuo i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo, alle condizioni previste nello stesso articolo. A questo diritto corrisponde l’obbligo imposto agli Stati membri dall’articolo 19, paragrafo 1, TUE di stabilire i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione.

65.      Come risulta dalla costante giurisprudenza della Corte, il diritto a un ricorso effettivo può essere invocato sulla sola base dell’articolo 47 della Carta, senza che il suo contenuto debba essere precisato mediante altre disposizioni del diritto dell’Unione o mediante disposizioni del diritto interno degli Stati membri (28).

66.      Dalla giurisprudenza della Corte emerge poi che il contenuto essenziale del diritto a un ricorso effettivo, sancito all’articolo 47 della Carta, include, tra gli altri, l’elemento relativo alla facoltà, per il soggetto titolare del diritto stesso, di adire un giudice competente a garantire il rispetto dei diritti che gli sono attribuiti dal diritto dell’Unione e, a tal fine, ad esaminare tutte le questioni di fatto e di diritto rilevanti ai fini della decisione della controversia di cui è investito (29).

67.      È, tuttavia, prerogativa dello Stato membro, in virtù del principio dell’autonomia procedurale, la decisione in merito alle modalità processuali dei rimedi giurisdizionali da predisporre a favore dei singoli, a condizione che tali modalità, nelle situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione, «non siano meno favorevoli rispetto a quelle relative a situazioni analoghe disciplinate dal diritto interno (principio di equivalenza) e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’Unione (principio di effettività)». (30)

68.      Conformemente alla giurisprudenza costante della Corte, il principio di equivalenza «presuppone che la norma nazionale controversa si applichi indifferentemente ai ricorsi fondati sui diritti che i singoli traggono dal diritto dell’Unione e a quelli fondati sull’inosservanza del diritto interno aventi un oggetto e una causa analoghi» (31). Pertanto, il rispetto di tale principio comporta che i ricorsi basati su una violazione del diritto dell’Unione siano trattati allo stesso modo di quelli, analoghi, basati su una violazione del diritto nazionale (32).

69.      Il principio di effettività, invece, richiede che, pur in applicazione del principio dell’autonomia processuale, le modalità procedurali non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’Unione (33).

70.      Tuttavia, «il diritto dell’Unione non produce l’effetto di obbligare gli Stati membri a istituire mezzi di ricorso diversi da quelli già contemplati dal diritto interno, a meno che, tuttavia, dalla struttura dell’ordinamento giuridico nazionale in questione risulti che non esiste alcun rimedio giurisdizionale che permetta, anche solo in via incidentale, di garantire il rispetto dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione, o che l’unico modo per poter adire un giudice da parte di un singolo sia quello di commettere violazioni del diritto» (34).

71.      Dal bilanciamento tra il principio ad un’effettiva tutela giurisdizionale e quello di autonomia procedurale degli Stati membri dobbiamo trarre le indicazioni per valutare se l’interpretazione descritta dal giudice del rinvio osti ai sopra descritti principi del diritto dell’Unione.

1.      Formulazione generica del dispositivo nei giudizi di tutela del marchio

72.      La questione della corretta formulazione del dispositivo e delle tutele approntate nel giudizio di protezione del marchio è, in linea di principio, disciplinata dal diritto processuale nazionale. Infatti, ai sensi dell’articolo 129, paragrafo 3, del regolamento 2017/1001, il tribunale dei marchi applica le norme procedurali applicabili allo stesso tipo di procedimento in materia di marchi nazionali nello Stato membro in cui ha sede tale tribunale, a patto che siano comunque rispettati i principi di equivalenza ed effettività e garantito il diritto fondamentale a una tutela giurisdizionale effettiva, ai sensi dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (35).

73.      Come osservato dalla Commissione (36), una formulazione precisa del dispositivo e una motivazione adeguata della sentenza sono necessarie per garantire una protezione efficace dei diritti garantiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione, sebbene ciò non escluda che possa essere l’autorità di esecuzione a determinare quali articoli recanti il marchio UE siano colpiti da ingiunzioni e divieti, a patto che i mezzi di ricorso previsti dal diritto nazionale permettano di impugnare tali decisioni innanzi a un giudice.

74.      Dalla prospettazione fornita dal giudice del rinvio sembra che il convenuto non abbia la possibilità di conformarsi volontariamente alle ingiunzioni e ai divieti contenuti in una sentenza che riporta una formulazione generica e che quindi si trovi ad essere automaticamente esposto a procedure di esecuzione, disponendo altresì di rimedi limitati.

75.      In tale contesto, una soluzione potrebbe essere rappresentata, come sembra suggerire il giudice nazionale, dall’imposizione di un obbligo di indicare ex ante sui prodotti il mercato di destinazione.

76.      La semplice rappresentata constatazione di una situazione di difficoltà per il convenuto di reperire informazioni relative al fornitore originario non può tuttavia, a mio avviso, costituire il fondamento giuridico che legittimi una imposizione di tal genere in capo al titolare. Non si riscontrano, infatti, nel diritto dell’Unione elementi testuali, di interpretazione teleologica o di contesto che possano condurre verso una tale soluzione.

77.      Pertanto, non ritengo che vi sia margine per l’imposizione di un obbligo di indicare sui prodotti la loro destinazione d’uso che, oltre a comportare degli oneri aggiuntivi per il titolare, potrebbe di fatto essere limitatamente risolutiva. Infatti, non potrebbe escludersi che la destinazione reale del prodotto sia nella pratica diversa da quella indicata e che, quindi, un tale obbligo possa rendere più complicato il trasferimento della distribuzione di un certo prodotto da un mercato all’altro, in sostanza limitando la libertà di circolazione delle merci di cui all’articolo 36 TFUE. Inoltre, una imposizione di tal genere, comportando altresì degli oneri finanziari aggiuntivi per i titolari del diritto di marchio, potrebbe avere come eventuale effetto la diffusione di pratiche di importazione illecita.

78.      Tuttavia, affinché il diritto ad un ricorso effettivo sia rispettato, bisogna garantire che un giudice possa esaminare la questione di quali prodotti siano stati immessi nel mercato interno e quali no.

79.      L’ipotesi preferibile sarebbe che questa verifica sia fatta nel giudizio di merito, con la conseguenza che il risultato dell’accertamento sarebbe riprodotto nel dispositivo della sentenza.

80.      L’identificazione dei prodotti nella sentenza del giudice di merito sarebbe il risultato di un’interpretazione conforme al diritto dell’Unione e idonea, pertanto, al pieno rispetto dei principi sopra ricordati per un’effettiva tutela giurisdizionale.

81.      Se ciò non è possibile, come sembra evincersi dalla rappresentazione del giudice del rinvio, perché presupporrebbe l’indicazione preventiva da parte del titolare del marchio della destinazione finale dei prodotti, si potrebbe rinviare tale accertamento anche al momento dell’esecuzione, a condizione che, in quella sede, il convenuto possa far uso di strumenti processuali idonei ad ottenere il pronunciamento di «un giudice» sulla questione di fatto rilevante ai fini della decisione della controversia di cui è investito, cioè sull’identificazione precisa dei prodotti immessi nel SEE e protetti dal marchio.

82.      È opportuno, infine, che nella valutazione generale della adeguatezza del sistema processuale nazionale non si ometta di considerare l’eventuale esistenza di un sistema di responsabilità civile per sequestri ingiustificati che, pur rappresentando un rimedio di tutela ex post, potrebbe da una parte considerarsi un rimedio satisfattivo del danno subito in caso di sequestro illegale e, dall’altra, potrebbe avere un effetto deterrente nei confronti del titolare del diritto che sarebbe così indotto a presentare richieste di misure cautelari solo in situazioni di evidenza dell’origine illegale dei prodotti. Esistono già, infatti, come ricordato dalla ricorrente nelle sue osservazioni (37), esempi di legislazioni nazionali europee che prevedono una procedura interna che ricalca il suddetto schema volto ad operare un bilanciamento tra l’obiettivo di libera circolazione delle merci e lotta contro le infrazioni.

83.      Tutte le valutazioni del caso concreto spettano, ovviamente, al giudice nazionale che dovrà pertanto accertare se, alla luce dei principi del diritto dell’Unione esposti nelle considerazioni che precedono, l’ordinamento processuale nazionale riconosca in concreto al convenuto in un giudizio in materia di tutela del marchio UE il diritto ad una piena tutela giurisdizionale.

2.      Lonere della prova del consenso del titolare del marchio

84.      La regola generale è che l’onere della prova del consenso del titolare del diritto di marchio spetti alla parte che rivendica il consenso. In molte occasioni la Corte ha ribadito che l’onere della prova del consenso del titolare del marchio spetta alla parte che rivendica tale consenso (38).

85.      Possono, tuttavia, verificarsi delle situazioni nelle quali si rende necessario un adattamento di questa regola. Infatti, come sancito nella sentenza Van Doren + Q, la prova del rispetto delle condizioni dell’esaurimento del diritto del marchio spetta al titolare se l’applicazione della regola generale – ossia la prova in capo al convenuto – potrebbe avere come effetto quello di consentire al titolare del diritto di compartimentare i mercati nazionali (39), rischio che, come sostenuto dalla Corte nella sentenza citata, sussiste «quando (…) il titolare del marchio commercializza i suoi prodotti all’interno del SEE mediante un sistema di distribuzione esclusiva» (40).

86.      Infatti, se il convenuto non fosse in grado di ottenere le informazioni necessarie per determinare se il prodotto in questione era destinato dal titolare del marchio UE ad essere immesso sul mercato del SEE, potrebbero verificarsi effetti negativi come la frammentazione del mercato interno. Dunque, in questi casi, si potrebbe invertire l’onere della prova con l’effetto che spetterebbe «al titolare del marchio dimostrare che i prodotti sono stati inizialmente messi in commercio da lui stesso o con il suo consenso al di fuori del SEE. Qualora [fosse] fornita tale prova, [sarebbe] compito poi del terzo dimostrare l’esistenza di un consenso del titolare alla successiva commercializzazione dei prodotti nel SEE» (41).

87.      Dimostrare che il titolare del marchio utilizza un sistema di distribuzione esclusiva è, pertanto, una condizione sufficiente per l’inversione dell’onere della prova alle condizioni citate.

88.      Tuttavia, dagli elementi forniti dal giudice del rinvio non è chiaro se tale criterio sia soddisfatto nel caso che ci occupa: la ricorrente, al contrario, nega di utilizzare un sistema di distribuzione esclusiva, sebbene affermi che un solo operatore ha lo status di distributore autorizzato sul territorio polacco e che, oltre alla rete di distribuzione co-creata dalla Harman, ci sono molti altri operatori che distribuiscono prodotti Harman in Polonia e il convenuto stesso avrebbe svolto questo ruolo (42).

89.      Spetterà, pertanto, al giudice nazionale accertare se nel caso controverso la distribuzione da parte della ricorrente possa ritenersi esclusiva. In caso affermativo, in applicazione della sentenza Van Doren + Q, si potrebbe invertire l’onere probatorio, onerando dunque la ricorrente titolare del marchio della prova del mancato esaurimento del diritto.

90.      Nel caso in cui non sia accertata l’esistenza di una distribuzione esclusiva, si potrebbe ammettere l’adeguamento delle regole tradizionali di prova nei procedimenti per violazione di un diritto di marchio esclusivo in relazione alle specifiche circostanze che riguardano la commercializzazione dei beni. Se i beni in questione mancano di una qualsiasi indicazione da cui si ricavi il mercato della prima immissione, il giudice, accertato che non esistono rimedi pratici idonei a superare la suddetta difficoltà probatoria, procederà all’adattamento dell’onere della prova, in osservanza del principio di tutela giurisdizionale effettiva sopra citato.

91.      L’accertamento che dovrà svolgere il giudice nazionale sarà finalizzato a verificare che il convenuto non si trovi dinanzi ad una «prova diabolica» perché gli elementi di fatto idonei a dimostrare l’avvenuto esaurimento del diritto di marchio sono del tutto fuori dalla sua sfera d’influenza e di conoscenza.

92.      Osservo, tuttavia, che la semplice constatazione di una situazione di difficoltà per il convenuto di reperire informazioni dal proprio fornitore non può costituire il solo elemento che legittimi l’adattamento degli oneri probatori.

93.      Nel caso in cui non si sia accertata la distribuzione esclusiva da parte del titolare del marchio, l’adattamento degli oneri probatori relativi all’avvenuto esaurimento del diritto di marchio deve ritenersi possibile solo in caso di accertata pratica impossibilità per il convenuto di offrire la prova di quella circostanza che è posta a fondamento del diritto che lui reclama.

IV.    Conclusione

94.      Sulla base di tutte le suesposte considerazioni, suggerisco alla Corte di rispondere alla questione pregiudiziale sollevata dal Sąd Okręgowy w Warszawie (Tribunale regionale di Varsavia, Polonia) nel seguente modo:

«L’articolo 15, paragrafo 1, del regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea, letto alla luce dell’articolo 36, seconda frase, TFUE, dell’articolo 19, paragrafo 1, TUE e dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali, deve essere interpretato nel senso che il diritto dell’Unione non osta alla prassi secondo cui, in un giudizio in materia di tutela del marchio UE, il giudice utilizzi una formulazione generica nel dispositivo della sentenza lasciando, dunque, all’autorità di esecuzione la determinazione dei prodotti oggetto della decisione. Ciò a condizione che in sede esecutiva sia consentita al convenuto la contestazione della determinazione dei prodotti immessi nel mercato e un giudice possa esaminare e decidere quali prodotti siano stati effettivamente immessi nel SEE con il consenso del titolare del marchio. In un giudizio in materia di tutela del marchio UE qualora il convenuto invochi l’esaurimento dei diritti, ma non abbia accesso alle informazioni necessarie, il giudice nazionale deve valutare la possibilità di modificare la ripartizione dell’onere della prova sia nel caso in cui la distribuzione sia accertata come esclusiva, sia nel caso in cui la prova delle circostanze di fatto a sostegno delle proprie eccezioni sia per il convenuto praticamente impossibile».


1      Lingua originale: l’italiano.


2      Regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea (GU 2017, L 154, pag. 1).


3      Direttiva 2004/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (GU 2004, L 157, pag. 61).


4      Sentenza dell’8 aprile 2003, Van Doren + Q (C‑244/00, EU:C:2003:204).


5      Ben prima di una armonizzazione del diritto della proprietà intellettuale, la Corte di giustizia ha riconosciuto che l’esercizio del diritto esclusivo del titolare di tale diritto, nel caso in cui non rientrasse nella tutela garantita dalle norme sulla concorrenza (articolo 101, paragrafo 1, TFUE), dovesse essere esaminato alla luce della normativa sulla libera circolazione delle merci.


6      Prima direttiva del Consiglio, del 21 dicembre 1988, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1).


7      GU 1994, L 11, pag. 1.


8      GU 2015, L 336, pag. 1.


9      GU 2009, L 78, pag. 1.


10      Per una puntuale ricostruzione del principio in una prospettiva storicistica, D. Sarti, Diritti esclusivi e circolazione dei beni, Milano, 1996, pag. 17 e ss. nonché pag. 73 e ss.


11      Sentenza dell’11 luglio 1996, Bristol-Myers Squibb e a., (C‑427/93, C‑429/93 e C‑436/93, EU:C:1996:282, punto 27).


12      Si veda sentenza del 16 luglio 1998, Silhouette International Schmied (C‑355/96, EU:C:1998:374, punti 25 e 29).


13      La Corte di giustizia ha promosso la libertà di circolazione delle merci applicando le disposizioni dei Trattati in materia di concorrenza: sentenza del 13 luglio 1966, Établissements Consten S.à.R.L. e Grundig-Verkaufs-GmbH contro Commissione della C.E.E (cause riunite 56/64 e 58/64, EU:C:1966:41); sentenza del 29 febbraio 1968, Parke, Davis and Co. contro Probel, Reese, Beintema-Interpharm e Centrafarm (24/67, EU:C:1968:11); sentenza del 18 febbraio 1971, Sirena S.r.l. contro Eda S.r.l. e a. (40/70, EU:C:1971:18).


14      Per realizzare tali finalità, la Corte si è avvalsa prima del divieto di intese restrittive della concorrenza e poi delle già citate norme sulla libera circolazione delle merci, all’epoca articolo 85 del Trattato, oggi articolo 101 TFUE. Si rimanda alla sentenza della Corte di giustizia del 13 luglio 1966, Établissements Consten S.à.R.L. e Grundig-Verkaufs-GmbH contro Commissione della C.E.E  (cause riunite 56/64 e 58/64, EU:C:1966:41).


15      V., in tal senso, sentenza del 31 ottobre 1974, Centrafarm BV ed Adriaan de Peijper contro Winthrop BV (16/74, EU:C:1974:115); sentenza del 23 maggio 1978, Hoffmann-La Roche & Co. AG contro Centrafarm Vertriebsgesellschaft Pharmazeutischer Erzeugnisse mbH (102/77, EU:C:1978:108); sentenza del 4 ottobre 2011, Football Association Premier League Ltd e a. contro QC Leisure e a. e Karen Murphy contro Media Protection Services Ltd (cause riunite C‑403/08 e C‑429/08, EU:C:2011:631, punto 94).


16      V. sentenza del 31 ottobre 1974, Centrafarm BV ed Adriaan de Peijper contro Winthrop BV, cit., punto 7; sentenza del 23 maggio 1978, Hoffmann-La Roche & Co. AG contro Centrafarm Vertriebsgesellschaft Pharmazeutischer Erzeugnisse mbH, cit., punto 6. Sul punto si rimanda anche alle conclusioni dell’avvocato generale Sharpston del 6 aprile 2006 in Boehringer ingelhaim e a. (C‑348/04, EU:C:2006:235, punto 9) che precisa quali sono le due componenti dell’oggetto specifico di un diritto di marchio: «In primo luogo, vi è il diritto di utilizzare il marchio ai fini della prima immissione sul mercato nella Comunità di un prodotto protetto, dopodiché tale diritto si esaurisce. In secondo luogo, vi è il diritto di opporsi a qualsiasi uso del marchio atto a falsare la garanzia di provenienza del prodotto, il che comprende sia la garanzia dell’identità dell’origine sia la garanzia dell’integrità del prodotto contrassegnato».


17      Con la sentenza dell’8 giugno 1971, Deutsche Grammophon/Metro SB  (78/70, EU:C:1971:59), la Corte di giustizia si pronunciò per la prima volta sul tema, peraltro proprio in materia di diritti connessi al diritto di autore.


18      La nozione di «messa in commercio», intesa come effetto, attiene all’estensione dei diritti conferiti dal marchio ed è, quindi, soggetta ad armonizzazione completa, sebbene i negozi e gli atti che la producono siano disciplinati da ciascuno Stato membro. V. sentenza del 3 giugno 2010, Coty Prestige Lancaster Group GmbH contro Simex Trading AG (C‑127/09, EU:C:2010:313, punti 27 e 28); sentenza del 23 aprile 2009, Copad SA contro Christian Dior couture SA, Vincent Gladel e Société industrielle lingerie (SIL) (C‑59/08, EU:C:2009:260, punto 40); sentenza del 30 novembre 2004, Peak Holding AB contro Axolin-Elinor AB (C‑16/03, EU:C:2004:759, punti 31 e 32).


19      V. sentenza del 1° luglio 1999, Sebago e Maison Dubois (C‑173/98, EU:C:1999:347, punti 19 e 20).


20      V. sentenza del 31 ottobre 1974, Centrafarm BV ed Adriaan de Peijper contro Winthrop BV (16/74, EU:C:1974:115, punto 1).


21      V. sentenza del 22 giugno 1994, IHT c. Ideal Standard (C‑9/93, EU:C:1994:261, punto 43), secondo cui, ai fini dell’esaurimento è necessario «che il titolare del diritto nello Stato di importazione abbia direttamente o indirettamente il potere di determinare i prodotti che possono essere contrassegnati con il marchio nello Stato d’esportazione e di controllarne la qualità».


22      V. sentenza del 1° luglio 1999, Sebago Inc. e Ancienne Maison Dubois & Fils SA contro G-B Unic SA (C‑173/98, EU:C:1999:347, punto 22).


23      Sentenza del 20 novembre 2001, Zino Davidoff SA e A & G Imports Ltd (cause riunite C‑414/99, C‑415/99, C‑416/99, EU:C:2001:617).


24      V. sentenza del 20 novembre 2001, Zino Davidoff SA e A & G Imports Ltd (cause riunite C‑414/99, C‑415/99, C‑416/99, EU:C:2001:617, punto 47).


25      V. sentenza del 20 novembre 2001, Zino Davidoff SA e A & G Imports Ltd (cause riunite C‑414/99, C‑415/99, C‑416/99, EU:C:2001:617, punto 60).


26      V., in tal senso, sentenza del 26 marzo 2020, Miasto Łowicz e Prokurator Generalny (C‑558/18 e C‑563/18, EU:C:2020:234, punto 32).


27      V. sentenza del 21 dicembre 2021, Randstad Italia (C‑497/20, EU:C:2021:1037, punto 57); v., in tal senso, anche la sentenza del 15 luglio 2021, Commissione/Polonia (Regime disciplinare dei giudici) (C‑791/19, EU:C:2021:596, punto 52).


28      V. sentenza del 6 ottobre 2020, État luxembourgeois (Tutela giurisdizionale avverso richieste di informazioni in ambito tributario) (C‑245/19 e C‑246/19, EU:C:2020:795, punto 54 e giurisprudenza citata).


29      V. sentenza del 6 ottobre 2020, État luxembourgeois (Tutela giurisdizionale avverso richieste di informazioni in ambito tributario) (C‑245/19 e C‑246/19, EU:C:2020:795, punto 66 e giurisprudenza citata).


30      V. sentenza del 21 dicembre 2021, Randstad Italia (C‑497/20, EU:C:2021:1037, punto 58).


31      V. sentenza del 17 marzo 2016, Bensada Benallal (C‑161/15, EU:C:2016:175, punto 29); v., in tal senso, anche la sentenza del 27 giugno 2013, Agrokonsulting‑04 (C‑93/12, EU:C:2013:432, punto 39).


32      V., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2015, Târșia (C‑69/14, EU:C:2015:662, punto 34).


33      V., in tal senso, sentenza del 10 marzo 2021, Konsul Rzeczypospolitej Polskiej w N. (C‑949/19, EU:C:2021:186, punto 43); sentenza del 13 dicembre 2017, El Hassani (C‑403/16, EU:C:2017:960, punto 26); sentenza del 15 marzo 2017, Aquino (C‑3/16, EU:C:2017:209, punto 48).


34      V. sentenza del 21 dicembre 2021, Randstad Italia (C‑497/20, EU:C:2021:1037, punto 62); v., in tal senso, anche la sentenza del 14 maggio 2020, Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság Dél-alföldi Regionális Igazgatóság (C‑924/19 PPU e C‑925/19 PPU, EU:C:2020:367, punto 143).


35      V. sentenza del 13 gennaio 2022, Minister Sprawiedliowsci (C‑55/20, EU:C:2022:6, punti 104 e 105 e giurisprudenza citata).


36      Osservazioni della Commissione, punti da 39 a 41.


37      Al punto 21 delle osservazioni della ricorrente; inoltre, si rimanda alla lettura dei punti da 54 a 80 per la descrizione delle procedure in vigore in alcuni Stati membri in materia di provvedimenti provvisori e di esecuzione.


38      V. sentenza del 20 novembre 2001, Zino Davidoff SA e A & G Imports Ltd (cause riunite C‑414/99, C‑415/99, C‑416/99, EU:C:2001:617, punto 54).


39      V. sentenze del 20 novembre 2001, Zino Davidoff SA e A & G Imports Ltd (cause riunite C‑414/99, C‑415/99, C‑416/99, EU:C:2001:617, punto 54); dell’8 aprile 2003, Van Doren + Q (C‑244/00, EU:C:2003:204, punti 37 e 38) e del 20 dicembre 2017, Schweppes, C‑291/16, EU:C:2017:990, punto 52.


40      V. sentenza dell’8 aprile 2003, Van Doren + Q (C‑244/00, EU:C:2003:204, punto 39).


41      V. sentenza dell’8 aprile 2003, Van Doren + Q (C‑244/00, EU:C:2003:204, punto 41).


42      Osservazioni della ricorrente nella causa principale, punto 6.