Edizione provvisoria
CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
LAILA MEDINA
presentate il 25 gennaio 2024 (1)
Causa C‑753/22
QY
contro
Bundesrepublik Deutschland
[Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale, Germania)]
«Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Politica comune in materia di asilo – Decisione di riconoscere lo status di rifugiato adottata da uno Stato membro – Rischio di subire trattamenti inumani o degradanti in tale Stato membro – Conseguenze della presentazione di una nuova domanda di protezione internazionale in un altro Stato membro – Esame della nuova domanda da parte di tale altro Stato membro – Determinazione degli eventuali effetti vincolanti extraterritoriali della decisione di riconoscere lo status di rifugiato – Riconoscimento reciproco – Scambio di informazioni»
I. Introduzione
1. Il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale, Germania) ha presentato una domanda di pronuncia pregiudiziale nell’ambito nel procedimento tra QY, cittadina siriana che ha ottenuto lo status di rifugiata in Grecia, e il Bundesamt für Migration und Flüchtlinge (Ufficio federale per la migrazione e i rifugiati, Germania; in prosieguo: l’«ufficio federale»), concernente la decisione di quest’ultimo di respingere la domanda di QY diretta al riconoscimento di tale status.
2. Nella presente causa la Germania, Stato membro al quale è stata presentata la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato (in prosieguo: il «secondo Stato membro»), non può rinviare QY in Grecia, Stato membro che le ha riconosciuto per primo tale status (in prosieguo: il «primo Stato membro»), dal momento che ciò la esporrebbe a un grave rischio di essere sottoposta a trattamenti inumani o degradanti, ai sensi dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), a causa delle condizioni di vita dei rifugiati in tale Stato membro (2).
3. In tale contesto, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il diritto primario dell’Unione e le disposizioni pertinenti di tre atti di diritto derivato adottati nel settore del diritto dei rifugiati dell’Unione, vale a dire il regolamento Dublino III (3), la direttiva procedure (4) e la direttiva qualifiche (5), debbano essere interpretati nel senso che il secondo Stato membro è tenuto a riconoscere lo status di rifugiato già riconosciuto dal primo Stato membro, senza condurre un ulteriore esame dei requisititi sostanziali necessari per beneficiare di tale status.
4. La presente causa solleva la questione se possa sussistere un riconoscimento reciproco delle decisioni di riconoscimento dello status di rifugiato tra gli Stati membri e, in caso affermativo, se detto riconoscimento continui a operare anche nel caso in cui il principio di fiducia reciproca non possa più essere applicato. Questioni analoghe sono attualmente oggetto di altre tre altre cause pendenti dinanzi alla Corte di giustizia (6).
II. Contesto normativo
A. Diritto dell’Unione
5. L’articolo 78, paragrafi 1 e 2, TFUE stabilisce quanto segue:
«1. L’Unione sviluppa una politica comune in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea, volta a offrire uno status appropriato a qualsiasi cittadino di un paese terzo che necessita di protezione internazionale e a garantire il rispetto del principio di non respingimento. Detta politica deve essere conforme alla convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 [(7)] [in prosieguo: la «convenzione di Ginevra»] (...).
2. Ai fini del paragrafo 1, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano le misure relative a un sistema europeo comune di asilo [in prosieguo: il [CEAS] che includa:
a) uno status uniforme in materia di asilo a favore di cittadini di paesi terzi, valido in tutta l’Unione;
(...)».
1. Regolamento Dublino III
6. L’articolo 3, paragrafi 1 e 2, del regolamento Dublino III prevede quanto segue:
«1. Gli Stati membri esaminano qualsiasi domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un paese terzo o da un apolide sul territorio di qualunque Stato membro, compreso alla frontiera e nelle zone di transito. Una domanda d’asilo è esaminata da un solo Stato membro, che è quello individuato come Stato competente in base ai criteri enunciati al capo III.
2. Quando lo Stato membro competente non può essere designato sulla base dei criteri enumerati nel presente regolamento, è competente il primo Stato membro nel quale la domanda è stata presentata.
Qualora sia impossibile trasferire un richiedente verso lo Stato membro inizialmente designato come competente in quanto si hanno fondati motivi di ritenere che sussistono carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti in tale Stato membro, che implichino il rischio di un trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della [Carta], lo Stato membro che ha avviato la procedura di determinazione dello Stato membro competente prosegue l’esame dei criteri di cui al capo III per verificare se un altro Stato membro possa essere designato come competente.
Qualora non sia possibile eseguire il trasferimento a norma del presente paragrafo verso un altro Stato membro designato in base ai criteri di cui al capo III o verso il primo Stato membro in cui la domanda è stata presentata, lo Stato membro che ha avviato la procedura di determinazione diventa lo Stato membro competente».
7. L’articolo 34 di tale regolamento prevede norme relative allo scambio di informazioni.
2. Direttiva procedure
8. L’articolo 33 della direttiva procedure, intitolato «Domande inammissibili», ai paragrafi 1 e 2, lettera a), prevede quanto segue:
«1. Oltre ai casi in cui una domanda non è esaminata a norma del [regolamento Dublino III], gli Stati membri non sono tenuti ad esaminare se al richiedente sia attribuibile la qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della [direttiva procedure], qualora la domanda sia giudicata inammissibile a norma del presente articolo.
2. Gli Stati membri possono giudicare una domanda di protezione internazionale inammissibile soltanto se:
a) un altro Stato membro ha concesso la protezione internazionale».
3. Direttiva qualifiche
9. L’articolo 4, paragrafi 1, 2 e 3, della direttiva qualifiche riguarda l’esame dei fatti e delle circostanze relativi alle domande di protezione internazionale.
10. Anche gli articoli 11, 12, 13 e 14 di tale direttiva sono pertinenti ai fini della presente causa.
B. Diritto tedesco
11. L’articolo 60, paragrafo 1, prima frase, del Gesetz über den Aufenthalt, die Erwerbstätigkeit und die Integration von Ausländern im Bundesgebiet (legge in materia di soggiorno, lavoro e integrazione degli stranieri nel territorio federale), nella versione applicabile al procedimento principale (in prosieguo: l’«AufenthG»), prevede che, in forza della Convenzione di Ginevra, «[u]no straniero non può essere espulso verso uno Stato in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche».
12. Secondo il giudice del rinvio, in forza dell’articolo 60, paragrafo 1, seconda frase, dell’AufenthG, quando a una persona è stato riconosciuto lo status di rifugiato al di fuori del territorio federale rispetto ad un determinato Stato, il riconoscimento di tale status preclude la sua espulsione, da parte delle autorità tedesche, verso tale Stato. Mediante l’adozione della norma in parola, il legislatore tedesco ha attribuito effetti obbligatori al riconoscimento di tale status, che è limitato al rifiuto di espellere l’interessato, ma non ha creato alcun nuovo diritto per quanto attiene al riconoscimento dello status di rifugiato.
III. Controversia nel procedimento principale, questione pregiudiziale e procedimento dinanzi alla Corte
13. QY, cittadina siriana, ha ottenuto lo status di rifugiato in Grecia nel 2018. In data non indicata dal giudice del rinvio, QY ha presentato una domanda di protezione internazionale in Germania.
14. Nella sua sentenza, un giudice amministrativo tedesco ha stabilito che, a causa delle condizioni di accoglienza dei rifugiati in Grecia, QY correva un grave rischio di subire trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’articolo 4 della Carta, sicché non poteva essere rinviata in tale Stato membro.
15. Con decisione del 1° ottobre 2019, l’ufficio federale ha concesso a QY la protezione sussidiaria e ha respinto la sua domanda di riconoscimento dello status di rifugiato.
16. Il Verwaltungsgericht (Tribunale amministrativo, Germania) ha respinto il ricorso proposto da QY a motivo del fatto che il diritto invocato non poteva fondarsi soltanto sul fatto che lo status di rifugiato le era già stato riconosciuto in Grecia. Il Verwaltungsgericht (Tribunale amministrativo) ha dichiarato la domanda infondata, poiché la ricorrente non era esposta al rischio di subire persecuzioni in Siria.
17. QY ha quindi proposto ricorso dinanzi al Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale), giudice del rinvio. Essa sostiene che l’ufficio federale è vincolato allo status di rifugiato precedentemente riconosciutole dalla Grecia.
18. Il giudice del rinvio osserva che nessuna disposizione del diritto tedesco conferisce a QY il diritto al riconoscimento dello status di rifugiato concesso da un altro Stato membro. Esso sottolinea altresì che la sua domanda non poteva essere dichiarata inammissibile dalle autorità tedesche, dato che, sebbene a QY fosse stato concesso lo status di rifugiato in Grecia, ella sarebbe esposta al rischio di subire trattamenti inumani o degradanti, ai sensi dell’articolo 4 della Carta, nel caso in cui fosse rinviata in tale Stato membro. Il giudice del rinvio sottolinea che è necessario determinare le conseguenze giuridiche dell’indisponibilità di tale opzione a causa dei rischi di violazione della disposizione in parola.
19. Il giudice del rinvio ritiene che occorra stabilire se il diritto dell’Unione osti a che l’ufficio federale effettui un nuovo esame, senza essere vincolato dalla precedente decisione di riconoscimento dello status di rifugiato adottata da un altro Stato membro, e se tale decisione abbia effetti extraterritoriali obbligatori. Secondo tale giudice, il diritto primario e derivato dell’Unione non indicano che il riconoscimento dello status di rifugiato in uno Stato membro impedisca all’autorità competente di un secondo Stato membro di esaminare nel merito una domanda di protezione internazionale. In sintesi, il giudice del rinvio ritiene che nel diritto dell’Unione non vi sia alcuna disposizione espressa che enunci il principio del riconoscimento reciproco delle decisioni di riconoscimento di tale status.
20. Ciò premesso, il giudice del rinvio sottolinea che la Corte non si è ancora pronunciata sulla questione se un effetto vincolante possa essere desunto dall’articolo 3, paragrafo 1, seconda frase del regolamento Dublino III, ai sensi del quale la domanda di protezione internazionale è esaminata nel merito da un solo Stato membro. Il giudice del rinvio suggerisce altresì che l’articolo 4, paragrafo 1, seconda frase, e l’articolo 13 della direttiva qualifiche potrebbero essere interpretati nello stesso modo. Inoltre, la facoltà attribuita al secondo Stato membro dall’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva procedure, di dichiarare inammissibile una domanda a motivo del fatto che il primo Stato membro ha già riconosciuto lo status di rifugiato, potrebbe essere intesa come un’espressione del principio secondo cui una domanda di asilo può essere esaminata nel merito soltanto una volta.
21. Il giudice del rinvio rileva altresì che la presente causa si distingue dalla causa C‑352/22, Generalstaatsanwaltschaft Hamm (Domanda di estradizione di un rifugiato verso la Turchia), che è attualmente pendente dinanzi alla Corte e riguarda una domanda di estradizione di un paese terzo dal quale l’interessato è fuggito. Nel caso di specie, l’ufficio federale ha concesso a QY la protezione sussidiaria ed ella non può quindi essere espulsa.
22. Infine, il giudice del rinvio chiede in che modo debba essere interpretato il punto 42 dell’ordinanza nella causa Hamed e Omar (8). Da un lato, il riferimento a una «nuova» procedura di asilo potrebbe deporre a favore di un nuovo esame. Dall’altro, il riferimento ai «diritti (...) connessi [allo status di rifugiato]» potrebbe implicare il riconoscimento dello status già concesso da un altro Stato membro.
23. Alla luce delle considerazioni che precedono, il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se, nel caso in cui uno Stato membro non possa avvalersi della facoltà, conferita dall’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della [direttiva procedure], di respingere una domanda di protezione internazionale in quanto inammissibile alla luce del riconoscimento dello status di rifugiato in un altro Stato membro, poiché le condizioni di vita in tale Stato membro esporrebbero il richiedente a un grave rischio di trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’articolo 4 della Carta, l’articolo 3, paragrafo 1, seconda frase, del [regolamento Dublino III], l’articolo 4, paragrafo 1, seconda frase e l’articolo 13 della [direttiva qualifiche], nonché l’articolo 10, paragrafi 2 e 3, l’articolo 33, paragrafi 1 e 2, lettera a), della [direttiva procedure] debbano essere interpretati nel senso che la circostanza che lo status di rifugiato sia già stato riconosciuto impedisce allo Stato membro di sottoporre a un esame dall’esito aperto la domanda di protezione internazionale che gli è stata presentata e impone allo stesso di accordare al richiedente lo status di rifugiato senza verificare l’esistenza dei requisiti sostanziali di tale protezione».
24. QY e i governi belga, ceco, tedesco, irlandese, ellenico, francese, italiano, lussemburghese, dei Paesi Bassi e austriaco, nonché la Commissione europea, hanno presentato osservazioni scritte. Tali parti, ad eccezione dei governi belga, ceco e austriaco, hanno inoltre svolto difese orali all’udienza tenutasi il 26 settembre 2023.
IV. Valutazione
25. La situazione sottesa alla domanda di pronuncia pregiudiziale in esame è caratterizzata dal fatto che la persona interessata non può essere rinviata nel primo Stato membro, la Grecia. Pertanto, la questione pregiudiziale si basa sulla premessa secondo cui il sistema di asilo del primo Stato membro, segnatamente le condizioni di accoglienza dei rifugiati, non può più garantire il livello di protezione dei diritti fondamentali richiesto dal diritto dell’Unione e, in particolare, dall’articolo 4 della Carta (sezione A).
26. In tale contesto, la questione pregiudiziale sottoposta alla Corte mira a stabilire, in sostanza, se esista, nel diritto dell’Unione, un principio di riconoscimento reciproco che impone al secondo Stato membro di riconoscere e applicare lo status di rifugiato già riconosciuto alla persona interessata dal primo Stato membro. A mio avviso, tale questione può essere suddivisa in due parti. In primo luogo, è essenziale stabilire se siffatto principio del riconoscimento reciproco esista nel settore della politica dell’Unione in materia di asilo (sezione B). In secondo luogo, in caso di risposta negativa a tale questione, occorre altresì stabilire il modo in cui devono essere condotte le successive procedure amministrative relative alle nuove domande nel secondo Stato membro (sezione C) (9).
A. Osservazioni preliminari sulle circostanze eccezionali scaturenti dalla perdita della fiducia reciproca
27. Il principio della fiducia reciproca tra gli Stati membri affonda le sue radici nella premessa fondamentale secondo cui ciascuno Stato membro condivide con tutti gli altri Stati membri, e riconosce che questi condividono con esso, una serie di valori comuni sui quali l’Unione si fonda, così come precisato all’articolo 2 TUE (10). Tale premessa implica e giustifica l’esistenza della fiducia reciproca tra gli Stati membri nel riconoscimento di tali valori e, dunque, nel rispetto della normativa dell’Unione che li attua nonché nel fatto che gli ordinamenti giuridici nazionali degli Stati membri sono in grado di fornire una tutela equivalente ed effettiva dei diritti fondamentali, riconosciuti dalla Carta, segnatamente agli articoli 1 e 4 di quest’ultima, che sanciscono uno dei valori fondamentali dell’Unione e dei suoi Stati membri (11). Di conseguenza, nell’ambito del CEAS, si deve presumere che il trattamento riservato ai richiedenti protezione internazionale in ciascuno Stato membro sia conforme a quanto prescritto dalla Carta, dalla convenzione di Ginevra e dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (12).
28. Nonostante tale presunzione di conformità, la Corte ha altresì dichiarato che non si può escludere che il CEAS incontri, in pratica, gravi difficoltà di funzionamento in un determinato Stato membro, cosicché sussiste un rischio serio che un richiedente asilo sia, in caso di trasferimento verso detto Stato membro, trattato in modo incompatibile con i suoi diritti fondamentali (13). Di conseguenza, in circostanze eccezionali (14), l’applicazione del principio della fiducia reciproca diviene incompatibile con l’obbligo di interpretare e applicare il regolamento Dublino III in conformità ai diritti fondamentali (15).
29. Nella presente causa, il presupposto sotteso alla fiducia reciproca nel contesto del CEAS, ai sensi del quale ciascuno Stato membro è tenuto a ritenere che tutti gli altri Stati membri agiscano nel rispetto dei diritti fondamentali riconosciuti dal diritto dell’Unione, non trova più applicazione nei confronti del primo Stato membro. La questione sottoposta alla Corte è stata sollevata nel contesto di «circostanze eccezionali», ai sensi della giurisprudenza pertinente, e si fonda sulla duplice premessa secondo cui la summenzionata presunzione non può trovare applicazione poiché, in primo luogo, la fiducia reciproca è stata violata, nel senso che la ricorrente sarebbe esposta a un grave rischio di subire trattamenti inumani o degradanti, ai sensi dell’articolo 4 della Carta, nello Stato membro che le ha riconosciuto lo status di rifugiato. Di conseguenza, in secondo luogo, l’autorità accertante tedesca non può respingere la domanda in quanto inammissibile ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva procedure.
1. Violazione della fiducia reciproca e interpretazione dell’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento Dublino III
a) Articolo 3, paragrafo 1, del regolamento Dublino III e regola principale
30. Il sistema istituito dal regolamento Dublino III mira a stabilire i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide. Esso si fonda sul principio, sancito all’articolo 3, paragrafo 1, di tale regolamento, che un solo Stato membro è competente a esaminare le esigenze di protezione internazionale del richiedente.
31. Al fine di conseguire tale obiettivo, il capo III del regolamento Dublino III stabilisce una gerarchia di criteri oggettivi ed equi sia per gli Stati membri sia per le persone interessate (16). Tali criteri, enunciati negli articoli da 8 a 15 di tale regolamento, mirano a stabilire un metodo chiaro ed efficace, che consenta di determinare con rapidità lo Stato membro competente, al fine di garantire l’effettivo accesso alle procedure volte al riconoscimento della protezione internazionale e a non pregiudicare l’obiettivo di un rapido espletamento delle domande di protezione internazionale. In applicazione di tali criteri, le autorità elleniche hanno esercitato la loro competenza ad adottare la decisione di riconoscimento dello status di rifugiato a QY.
b) Articolo 3, paragrafo 2, del regolamento Dublino III
32. Nella sentenza N.S. e a., la Corte ha riconosciuto che il sistema di asilo può incontrare, in pratica, gravi difficoltà di funzionamento in un determinato Stato membro, cosicché sussiste un rischio serio che un richiedente protezione internazionale sia, in caso di trasferimento verso detto Stato membro, trattato in modo incompatibile con i suoi diritti fondamentali (17). La Corte ha posto da parte l’esecuzione automatica del regolamento Dublino II (18), predecessore del regolamento Dublino III, al fine di «permettere all’Unione e ai suoi Stati membri di rispettare i loro obblighi di tutela dei diritti fondamentali dei richiedenti asilo» (19). Essa ha riconosciuto che gli Stati membri sono tenuti a non trasferire un richiedente asilo verso lo Stato membro competente ai sensi del regolamento Dublino II quando sono a conoscenza di carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo in tale Stato membro che costituiscono motivi seri e comprovati di credere che il richiedente corra un rischio reale di subire trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’articolo 4 della Carta.
33. L’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento Dublino III codifica la situazione prospettata nella sentenza N.S. e a., vale a dire la presenza di circostanze eccezionali, introducendo il doppio criterio – carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo in uno Stato membro – che permette di rifiutare il trasferimento di un richiedente verso lo Stato membro che ha adottato la decisione (20).
34. Nella presente causa, la questione pregiudiziale verte su una situazione di questo tipo. Di conseguenza, la presunzione di equivalenza dei sistemi nazionali di asilo, su cui si basano le norme previste dal regolamento Dublino III, non trova applicazione. Ciò significa che le autorità tedesche non possono rinviare la persona interessata in Grecia, poiché esse ritengono che in tale Stato membro esistano carenze sistemiche nelle condizioni di accoglienza dei rifugiati. Qualora tale situazione sia determinata da un rischio effettivo di trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’articolo 4 della Carta, le autorità nazionali dello Stato membro in cui si trova il richiedente asilo devono stabilire quale Stato membro sia competente per l’esame della sua domanda.
c) Stato membro competente nel caso in cui trovi applicazione l’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento Dublino III
35. In via preliminare, è importante tenere a mente che l’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento Dublino III prevede la seguente regola in materia di competenza: lo Stato membro che ha avviato la procedura di determinazione dello Stato membro competente prosegue l’esame dei criteri di cui al capo III per verificare se un altro Stato membro possa essere designato come competente. Nell’ipotesi in cui tale esame non conduca alla designazione di un altro Stato membro competente, il terzo comma di tale articolo prevede che, «[q]ualora non sia possibile eseguire il trasferimento a norma del presente paragrafo verso un altro Stato membro designato in base ai criteri di cui al capo III o verso il primo Stato membro in cui la domanda è stata presentata, lo Stato membro che ha avviato la procedura di determinazione diventa lo Stato membro competente».
36. Nella presente causa, il giudice del rinvio non ha precisato se le autorità tedesche abbiano effettuato l’esame richiesto dall’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento Dublino III e, eventualmente, in che modo. È tuttavia chiaro che tali autorità si ritengono competenti, sulla base del terzo comma di tale articolo (21). Pertanto, ai fini delle presenti conclusioni, occorre partire dal presupposto che la competenza delle autorità tedesche si fonda su detto terzo comma.
2. Inammissibilità ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva procedure
37. Ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 1, della direttiva procedure, gli Stati membri non sono tenuti ad esaminare una domanda di protezione internazionale a norma della direttiva qualifiche qualora la domanda sia inammissibile ai sensi di tale articolo. L’articolo 33, paragrafo 2, della direttiva in parola contiene un elenco tassativo delle situazioni in cui gli Stati membri possono considerare inammissibile una domanda di protezione internazionale (22). In particolare, l’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva procedure prevede che, se un altro Stato membro ha già concesso la protezione internazionale al richiedente, la domanda di quest’ultimo può essere respinta in quanto inammissibile. Tale eccezione all’ammissibilità generale si spiega con l’importanza del principio della fiducia reciproca (23). L’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva procedure costituisce un’espressione concreta del principio della fiducia reciproca nell’ambito del CEAS (24).
38. Tuttavia, secondo la giurisprudenza della Corte relativa a tale principio (25), le autorità di uno Stato membro non possono applicare l’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva procedure ove siano giunte alla conclusione, sulla base di elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati e in considerazione del livello di tutela dei diritti fondamentali garantito dal diritto dell’Unione, che esistono, nello Stato membro in cui il cittadino di un paese terzo beneficia già di una protezione internazionale, carenze vuoi sistemiche o generalizzate vuoi che colpiscono determinati gruppi di persone e che, alla luce di siffatte carenze, esistono motivi seri e comprovati di credere che l’interessato corra un rischio reale di ivi subire trattamenti inumani o degradanti, nell’accezione dell’articolo 4 della Carta (26).
39. Poiché la questione pregiudiziale si basa sul fatto che, nel caso di specie, l’autorità accertante tedesca non può adottare una decisione di inammissibilità ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva procedure, si può logicamente dedurre che il giudice nazionale abbia accertato i seguenti elementi: l’esistenza di carenze sistemiche o generalizzate o che colpiscono determinati gruppi di persone e l’esistenza di motivi seri e comprovati di credere che un cittadino di uno Stato terzo quale QY correrebbe un rischio reale di subire trattamenti inumani o degradanti, nell’accezione di cui all’articolo 4 della Carta.
40. In tale contesto, si pone la questione dell’esistenza del riconoscimento reciproco delle decisioni nel settore della politica in materia di asilo e delle conseguenze su siffatto riconoscimento, se esistente, di una perdita della fiducia reciproca.
3. Effetti della perdita della fiducia reciproca
41. Come ho già indicato, il principio della fiducia reciproca si basa sulla presunzione secondo cui ciascuno Stato membro è tenuto a ritenere, tranne che in circostanze eccezionali, che tutti gli altri Stati membri agiscano nel rispetto del diritto dell’Unione e, in particolare, dei diritti fondamentali riconosciuti da quest’ultimo (27). Tale principio fa sorgere obblighi a carico degli Stati membri (28). La fiducia reciproca non deve essere confusa con una fiducia cieca (29). La perdita di fiducia reciproca può verificarsi in presenza di carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo in uno degli Stati membri (30). Ne consegue che, quando tale presunzione è confutata e uno Stato membro perde la sua fiducia nel sistema di asilo di un altro Stato membro, sorge, inevitabilmente, una serie di questioni: quali sono gli effetti di questa perdita di fiducia sui diritti e sugli obblighi degli Stati membri? Di converso, quali diritti e obblighi rimangono inalterati? Inoltre, la perdita di fiducia di uno Stato membro incide sulle conseguenze delle decisioni adottate da un altro Stato membro?
42. Gli effetti di tale perdita di fiducia sono tutt’altro che chiari. Si potrebbe sostenere che, quando il secondo Stato membro (la Germania) perde la sua fiducia nei confronti del sistema di asilo del primo Stato membro (la Grecia), a causa di carenze nelle condizioni di accoglienza dei rifugiati, la perdita di fiducia riguarderebbe soltanto il trattamento dei rifugiati da parte del primo Stato, ma non le sue procedure per il trattamento delle domande di asilo. Pertanto, gli effetti di tale perdita di fiducia sarebbero confinati al divieto di rinviare l’interessato nel primo Stato membro. Tuttavia, il secondo Stato membro continuerebbe a riporre fiducia nella fondatezza della decisione di riconoscimento dello status di rifugiato adottata dal primo Stato membro. Di converso, si potrebbe sostenere che dalla perdita di fiducia scaturisce una sfiducia generale nei confronti del sistema di asilo del primo Stato membro nel suo complesso, ivi compresa la validità della decisione iniziale da esso adottata.
43. A tal riguardo, ritengo che sia importante distinguere, da un lato, le procedure di asilo e, in particolare, le condizioni che disciplinano le procedure di trattamento delle domande di asilo nel primo Stato membro, e, dall’altro, le condizioni di vita dei beneficiari di protezione internazionale in tale Stato membro (31). In teoria, la consapevolezza, da parte del secondo Stato membro, dell’esistenza di carenze nel primo Stato membro (e, quindi, la perdita di fiducia) può essere accertata per quanto concerne la procedura di asilo e/o le condizioni di vita. Nella presente causa, nella sua domanda di pronuncia pregiudiziale il giudice del rinvio fa chiaramente riferimento alle «condizioni di vita» nel primo Stato membro. Pertanto, ritengo che sia possibile considerare che la decisione di cui trattasi sia stata validamente adottata nei confronti dell’interessato, nonostante la perdita di fiducia accertata dai giudici del secondo Stato membro per quanto concerne le condizioni di vita nel primo Stato membro. Alla luce di tale distinzione, occorre stabilire se, ed eventualmente in che modo, il principio del riconoscimento reciproco si applichi nel settore della politica in materia di asilo nel caso in cui trovino applicazione il secondo e il terzo comma dell’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento Dublino III e in cui l’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva procedure non possa essere applicato, a motivo del fatto che la persona interessata sarebbe esposta a un rischio effettivo di subire trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’articolo 4 della Carta.
B. Riconoscimento reciproco nel settore della politica in materia di asilo
44. La risposta alla questione se il principio del riconoscimento reciproco si applichi nel settore della politica in materia di asilo e, in caso affermativo, in che modo, si compone di due aspetti: in via preliminare, occorre stabilire se esso si applichi, in qualità di principio generale, in circostanze normali. Soltanto in seguito sarà possibile stabilire se, in presenza di circostanze eccezionali, il secondo Stato membro sia tenuto a riconoscere automaticamente lo status di rifugiato riconosciuto dal primo Stato membro e la protezione che ne deriva.
45. Nella sua applicazione di base, il principio del riconoscimento reciproco comporta che una decisione relativa allo status di rifugiato di un cittadino di un paese terzo adottata in uno degli Stati membri dell’Unione europea debba essere accettata senza alcuna restrizione in un altro Stato membro (32). Il riconoscimento reciproco significa quindi che il secondo Stato membro riconosce ed esegue una decisione adottata dall’autorità competente del primo Stato membro, come se fosse una propria decisione (33). Affinché il riconoscimento reciproco dello status di rifugiato abbia effetto utile, la protezione e i diritti riconosciuti al rifugiato nel primo Stato membro dovrebbero trovare applicazione anche nel secondo (34).
46. Ai fini dell’esistenza del riconoscimento reciproco nel settore del CEAS, esso dovrebbe discendere dal diritto primario o derivato dell’Unione. Analizzerò quindi le disposizioni del diritto primario (i) e del diritto derivato dell’Unione (ii), al fine di stabilire se, nel settore della politica in materia di asilo, esista siffatto principio del riconoscimento reciproco delle decisioni.
1. Se un principio guida in materia di riconoscimento reciproco discenda dal diritto primario dell’Unione
47. A norma dell’articolo 78, paragrafo 1, prima frase, TFUE, l’Unione sviluppa una politica comune in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea. A tal fine, il Parlamento europeo e il Consiglio adottano, ai sensi dell’articolo 78, paragrafo 2, lettere a) e b), TFUE, misure relative a un CEAS. Esse includono, in particolare, uno status uniforme in materia di asilo a favore di cittadini di paesi terzi, valido in tutta l’Unione (35). Tuttavia, nessuna delle disposizioni di cui al titolo V, capo 2, TFUE prevede un obbligo o un principio di riconoscimento reciproco dello status di rifugiato concesso da un altro Stato membro (36). Inoltre, a differenza delle disposizioni del trattato in materia di libera circolazione (37), che sono dotate di effetto diretto (38), sono autonome e contengono diritti direttamente applicabili che rendono il principio del riconoscimento reciproco pienamente effettivo ed operativo, ciò non sembra avvenire nel caso delle disposizioni del trattato di cui al titolo V, capo 2, TFUE. Infatti, nessuna disposizione del trattato indica espressamente che il principio del riconoscimento reciproco sia pienamente efficace e operativo per quanto riguarda la politica in materia di asilo.
48. Ciò premesso, resta la questione se il principio del riconoscimento reciproco possa essere dedotto da tali disposizioni del trattato (39). A tal riguardo, è opportuno sottolineare che l’articolo 78, paragrafo 1, TFUE attribuisce all’Unione una competenza nel settore della politica in materia di asilo e ne definisce l’obiettivo, ossia la creazione di una politica comune in materia di asilo che offra uno «status appropriato» a qualsiasi cittadino di un paese terzo che «necessita di protezione internazionale». L’articolo 78, paragrafo 2, lettera a), TFUE costituisce una base giuridica (40) che permette al legislatore dell’Unione di istituire uno «status uniforme in materia di asilo» che sia «valido in tutta l’Unione» (41). Ciò significa, a mio avviso, che i diritti connessi a tale status uniforme non sono pienamente efficaci né operativi senza l’intervento del legislatore dell’Unione (42). Ne consegue che una disposizione del trattato che stabilisce una base giuridica e un trasferimento di competenza alle istituzioni dell’Unione non è sufficiente a supportare la conclusione che essa contiene diritti direttamente applicabili che rendono il principio del riconoscimento reciproco pienamente effettivo e operativo (43).
49. Per completezza, è opportuno aggiungere che l’articolo 18 della Carta prevede che «[i]l diritto di asilo è garantito nel rispetto delle norme stabilite dalla convenzione di Ginevra». Se, ai sensi dell’articolo 78, paragrafo 1, TFUE, la politica comune in materia di asilo «deve essere conforme alla convenzione di Ginevra», in linea di principio il diritto internazionale vieta l’esercizio di una competenza extraterritoriale in materia di esecuzione, salvo che ciò sia espressamente permesso (44). Tuttavia, tale convenzione non impone agli Stati contraenti di riconoscere lo status di rifugiato di un richiedente asilo già riconosciuto da un altro Stato contraente. Pertanto, da tale convenzione non può essere dedotto alcun effetto extraterritoriale. Nello stesso ordine di idee, la giurisprudenza della Corte EDU non esige l’extraterritorialità e, di converso, sottolinea, il carattere eccezionale di tale principio (45). Il principio del riconoscimento reciproco, che è tipico dell’ordinamento giuridico dell’Unione, non deriva dalla CEDU (46).
50. Infine, nelle sue osservazioni, il governo italiano dichiara, in particolare, che il protocollo n. 24 allegato al Trattato FUE(47) è pertinente ai fini del presente procedimento. Non condivido tale punto di vista, poiché il protocollo in parola riguarda i cittadini degli Stati membri dell’Unione, mentre la presente causa concerne unicamente cittadini di paesi terzi.
51. Poiché dal diritto primario dell’Unione non può essere desunto alcun principio generale di riconoscimento reciproco, si pone la questione se il principio del riconoscimento reciproco nel CEAS discenda dal diritto derivato dell’Unione.
2. Se il riconoscimento reciproco nel CEAS possa discendere dal diritto derivato dell’Unione
52. Al fine di rispondere alla questione che precede, conformemente al consueto metodo interpretativo stabilito nella giurisprudenza della Corte (48) applicherò i criteri di interpretazione letterale, sistematica e teleologica in funzione della loro rilevanza ai fini dell’analisi. A tal riguardo, ai fini dell’esistenza del riconoscimento reciproco nel CEAS, occorre stabilire che il legislatore dell’Unione ha inteso imporre un siffatto riconoscimento agli Stati membri (49). Tuttavia, a mio avviso, non è necessario che tale intenzione sia dichiarata espressamente nel testo delle disposizioni pertinenti del diritto derivato dell’Unione, potendo essere dedotta dal contesto delle disposizioni pertinenti e dagli obiettivi perseguiti da tali disposizioni. Ciò può verificarsi, in particolare, quando l’effetto utile di una disposizione di diritto derivato dell’Unione è subordinato all’esistenza del principio del riconoscimento reciproco tra gli Stati membri. Pertanto, sebbene non sia necessario che una disposizione di diritto derivato dell’Unione contenga un riferimento espresso al «riconoscimento reciproco», deve esistere una chiara volontà del legislatore dell’Unione di imporre un siffatto principio (50).
a) Regolamento Dublino III
53. In via preliminare, alcune parti del presente procedimento sostengono, in primo luogo, che il regolamento Dublino III non è applicabile, poiché lo Stato membro competente (nel caso di specie la Grecia) ha già concesso protezione internazionale alla persona interessata (51). In secondo luogo, esse sostengono che la controversia di cui al procedimento principale solleva la questione delle modalità di trattamento della domanda di protezione internazionale presentata in Germania, e non di quella precedentemente presentata in Grecia.
54. Per quanto riguarda la questione dell’applicabilità del regolamento Dublino III, come ho già spiegato l’articolo 3, paragrafo 2, di tale regolamento stabilisce la competenza delle autorità del secondo Stato membro a esaminare la domanda di asilo. Dato che tale disposizione codifica precisamente la situazione oggetto della sentenza N.S. e a., la questione del riconoscimento della decisione che concede lo status di rifugiato nel caso in cui uno Stato membro abbia perso fiducia nelle condizioni di soggiorno nell’altro Stato membro rientra nell’ambito di applicazione del regolamento Dublino III (52). Di conseguenza, ritengo che la presente situazione rientri nell’ambito di applicazione ratione materiae di tale regolamento.
55. Il regolamento Dublino III stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri (53). Tuttavia, il principio del riconoscimento reciproco non è menzionato in tale regolamento. Allo stato attuale, le domande di asilo devono essere esaminate singolarmente dagli Stati membri. Sebbene il sistema di Dublino si fondi sull’idea fondamentale di equivalenza dei sistemi di asilo degli Stati membri, siffatta presunzione non equivale a un riconoscimento reciproco delle decisioni di riconoscimento dello status di rifugiato.
56. È importante sottolineare che i meccanismi previsti dal regolamento Dublino III prevedono un elevato grado di «automatizzazione» delle procedure per quanto concerne le decisioni negative, vale a dire alle decisioni di diniego del riconoscimento dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria (54). Tale «automatizzazione» corrobora l’argomento secondo cui il regolamento Dublino III rende il principio del riconoscimento reciproco pienamente efficace e operativo, ma soltanto per quanto attiene alle decisioni negative (55). Qualora il primo Stato membro abbia adottato una decisione negativa, il secondo Stato membro non è competente per l’esame di una nuova domanda di asilo ad esso presentata, ma è tenuto a rinviare la persona interessata nel primo Stato membro, il quale deve, a sua volta, adottare le misure necessarie per rimpatriarla nel paese d’origine. Inoltre, il sistema istituito dal regolamento Dublino III impone agli Stati membri di procedere a una «intensa cooperazione transnazionale orizzontale tra le amministrazioni nazionali», al fine di tenere traccia degli eventuali interventi di altre giurisdizioni (56).
57. Tuttavia, come sottolinea il governo irlandese, il regolamento Dublino III non contiene alcuna disposizione giuridica che sancisca espressamente il principio del riconoscimento reciproco di decisioni positive adottate da altri Stati membri. Tale regolamento non impone agli Stati membri di riconoscere ed eseguire automaticamente le rispettive decisioni positive. Sebbene la dottrina giuridica abbia avanzato persuasivi argomenti «de lege ferenda» a sostegno della necessità di adottare siffatto principio (57), il legislatore dell’Unione, nonostante gli sforzi della Commissione (58), non ha mosso alcun passo definitivo in tale direzione.
58. È opportuno aggiungere che il concetto dell’unicità dello Stato membro competente si colloca al centro del CEAS (59). Alla luce di tale concetto, lo svolgimento della procedura è confinato a un unico Stato membro, che diviene quindi competente per l’esame della domanda di protezione internazionale. Di conseguenza, in circostanze normali, le decisioni positive e negative sono adottate da un unico Stato membro.
59. In presenza di circostanze eccezionali, occorre rilevare che lo Stato membro designato come competente, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento Dublino III, si impegna a condurre l’intera procedura nel rispetto del regolamento Dublino III, della direttiva procedure e della direttiva qualifiche. Tale Stato membro è competente a effettuare l’esame della domanda, concedere la protezione internazionale, respingere la domanda oppure, se del caso, rimpatriare o espellere il cittadino di un paese terzo. Come sostenuto dal governo ellenico, il sistema di Dublino non consente il cumulo di regimi di protezione internazionale in capo alla stessa persona in diversi Stati membri. Tuttavia, qualora il secondo Stato membro non possa rinviare la persona interessata verso il primo Stato membro che le ha riconosciuto lo status di rifugiato, le preoccupazioni legate al cumulo di diversi regimi di protezione in capo alla stessa persona diventano prive di oggetto. Ciò in ragione del fatto che, alla luce delle carenze nelle condizioni di accoglienza dei rifugiati nel primo Stato membro, la persona interessata non può esercitare i diritti connessi al suo status di rifugiato in modo tale che i suoi diritti fondamentali, quali riconosciuti dal diritto dell’Unione, siano sufficientemente tutelati.
60. Ne consegue che, in caso di circostanze eccezionali, il regolamento Dublino III attribuisce al secondo Stato membro la competenza a trattare la domanda, ma lascia aperta la questione della portata di tale competenza e della procedura applicabile. In ogni caso, è chiaro che, qualora si verifichino tali circostanze, il regolamento Dublino III non prevede alcun obbligo di attuare la decisione positiva di asilo del primo Stato membro.
b) Direttiva procedure
61. Il principio del riconoscimento reciproco non è menzionato neppure nelle disposizioni della direttiva procedure. L’approccio adottato nella direttiva in parola si fonda sul concetto di procedura unica e si basa su norme minime comuni (60).
62. Per quanto riguarda il caso di circostanze eccezionali, il giudice del rinvio e le parti hanno richiamato l’articolo 10 della direttiva procedure. Tale disposizione, interpretata alla luce dei considerando 16 e 43 di tale direttiva, stabilisce che è essenziale che le decisioni in materia di protezione internazionale siano adottate sulla base dei fatti ed esaminate nel merito, nonché che contengano una valutazione obiettiva e imparziale della questione se il richiedente soddisfi i requisiti sostanziali per il riconoscimento della protezione internazionale. La direttiva procedure pone quindi l’accento sull’obbligo, per lo Stato membro competente, di esaminare le domande in modo individuale. Da un lato, si potrebbe sostenere che un «esame individuale» è già stato effettuato nel primo Stato membro. Dall’altro, si potrebbe altresì sostenere che è necessario un nuovo esame individuale in ragione delle carenze nelle condizioni di accoglienza dei rifugiati nel primo Stato membro. Ne consegue, a mio avviso, che non si può trarre alcuna conclusione da tale requisito, sia essa a favore o contraria all’effetto vincolante di una decisione di riconoscimento dello status di rifugiato, allorché sia stato accertato un rischio ai sensi dell’articolo 4 della Carta. Ritengo che l’articolo 10 della direttiva procedure sia pertinente soltanto qualora la Corte, nell’interpretare altre disposizioni del diritto derivato dell’Unione, decida che le autorità tedesche debbano valutare ex nunc se l’interessato soddisfi i requisiti sostanziali per beneficiare dello status di rifugiato.
63. In assenza di un chiaro obbligo, imposto dalla direttiva procedure, di riconoscere automaticamente una decisione di riconoscimento dello status di rifugiato, continua ad essere necessario determinare le conseguenze giuridiche dell’indisponibilità dell’opzione di cui all’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), di tale direttiva, in ragione del grave rischio, per la persona interessata, di subire trattamenti inumani o degradanti, ai sensi dell’articolo 4 della Carta, nel primo Stato membro (61). In circostanze normali, quando esiste fiducia tra gli Stati membri, tale disposizione costituisce un’espressione concreta non soltanto del principio della fiducia reciproca nell’ambito del CEAS, ma anche del principio dell’unicità dello Stato membro competente (62).
64. Tuttavia, in caso di circostanze eccezionali, la Corte, nell’ordinanza nella causa Hamed e Omar, basandosi sulla giurisprudenza precedente, ha statuito che uno Stato membro (in tale causa la Germania) non può avvalersi dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva procedure al fine di respingere, in quanto inammissibile, una domanda di asilo presentata da una persona alla quale è già stato riconosciuto lo status di rifugiato in un altro Stato membro (in tale causa la Bulgaria) nel quale il sistema di asilo soffre di carenze sistemiche analoghe a quelle di cui alla causa che ha dato luogo alla sentenza N.S. e a. La Corte ha altresì rilevato, obiter, che, sebbene il diritto tedesco prevedesse una certa protezione dei richiedenti asilo in una situazione come quella di cui alla sentenza N.S. e a., «senza una nuova procedura di asilo, esso non prevede[va] il riconoscimento di tale status e la concessione dei diritti ad esso connessi anche in Germania» (63). Tale passaggio sembra confermare, anche se implicitamente, la compatibilità con il diritto dell’Unione dell’approccio adottato dal legislatore tedesco. Se la direttiva procedure avesse previsto il riconoscimento di tale status, la Corte avrebbe, a mio avviso, redatto tale passaggio in modo completamente diverso, esigendo che le autorità tedesche riconoscessero detto status alla persona interessata. Di converso, il riferimento a una «nuova procedura di asilo» induce a ritenere che, qualora sia accertato il rischio per la persona interessata di essere sottoposta a trattamenti inumani o degradanti, ai sensi dell’articolo 4 della Carta, il secondo Stato membro è legittimato ad avviare una seconda procedura di asilo. In pratica, il secondo Stato membro acquisisce una duplice competenza: la competenza a esaminare la domanda presentata dalla persona interessata e la competenza a conferire efficacia ai diritti di quest’ultima.
65. Condivido quindi la posizione adottata da alcune delle parti, secondo le quali lo Stato membro investito di una nuova domanda può procedere a un nuovo esame. Siffatto esame deve tuttavia essere effettuato in conformità con gli obiettivi sottesi alla direttiva procedure, nonché alla Carta. Ciò premesso, e come spiegherò nella mia analisi qui di seguito (v. sezione C), un nuovo esame non significa un esame «da zero». In parole povere, lo Stato membro al quale è stata presentata una nuova domanda non «ricomincia da capo», ma dovrebbe, nell’adottare la sua decisione, tenere debitamente conto della decisione dell’altro Stato membro di riconoscere lo status di rifugiato alla persona interessata.
c) Direttiva qualifiche
66. La direttiva qualifiche mira a istituire uno «status uniforme [dell’asilo]» per i cittadini di paesi terzi, basato sulla convenzione di Ginevra (64). Nei considerando 4, 23 e 24 della direttiva qualifiche si afferma che la convenzione di Ginevra costituisce la «pietra angolare della disciplina giuridica internazionale relativa alla protezione dei rifugiati» e che le disposizioni di tale direttiva sono state adottate al fine di orientare le autorità competenti degli Stati membri nell’applicazione di tale convenzione sulla base di definizioni e criteri comuni (65). Ne consegue che le disposizioni della direttiva qualifiche devono essere interpretate conformemente alla convenzione di Ginevra e agli altri trattati pertinenti di cui all’articolo 78, paragrafo 1, TFUE.
67. I capi I, III, IV, V e VI della direttiva qualifiche definiscono i criteri comuni per identificare le persone «che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale» (66) e che devono beneficiare di uno dei due status. La Corte ha statuito che, in forza dell’articolo 13 della direttiva qualifiche, gli Stati membri non dispongono di alcun potere discrezionale e sono tenuti a riconoscere lo status di rifugiato a qualsiasi cittadino di un paese terzo o apolide che soddisfi i requisiti materiali per essere considerato come rifugiato conformemente ai capi II e III di tale direttiva (67).
68. Inoltre, nel suo capo VII, la direttiva qualifiche stabilisce il contenuto della protezione internazionale, il che crea, a mio avviso, un collegamento tra la persona interessata e lo Stato membro che concede tale protezione. Detto collegamento è illustrato dalle disposizioni dello stesso capo, le quali enunciano gli obblighi, da un lato, di fornire ai beneficiari di protezione internazionale accesso a informazioni, a permessi di soggiorno, a documenti di viaggio, all’occupazione, all’istruzione, alle procedure di riconoscimento delle qualifiche, a programmi d’integrazione, all’assistenza sociale e sanitaria, e, dall’altro, di garantire il mantenimento dell’unità del nucleo familiare (68).
69. Tuttavia, è importante notare che nessuna delle summenzionate disposizioni dei capi da I a VII della direttiva qualifiche ha un impatto concreto sugli effetti extraterritoriali delle decisioni positive di riconoscimento dello status di rifugiato. In particolare, l’articolo 13 di tale direttiva, richiamato dal giudice nazionale nella sua decisione di rinvio, non può costituire il fondamento per ritenere che esista un obbligo di riconoscimento reciproco ai sensi della direttiva in parola.
70. Nelle sue osservazioni, il governo ellenico sostiene che l’obbligo, per lo Stato membro, di rilasciare a un rifugiato documenti di viaggio allo scopo di permettere a quest’ultimo di viaggiare liberamente al di fuori del territorio nazionale, ai sensi dell’articolo 25 della direttiva qualifiche, costituisce un’espressione concreta del principio del riconoscimento reciproco (69). Tuttavia, sulla base di tale disposizione, l’obbligo di rilasciare detti documenti è imposto soltanto al primo Stato membro, mentre il secondo si limita a riconoscere la validità di tali documenti a fini di viaggio. Tale riconoscimento ha una portata limitata e non incide sulla questione se il principio del riconoscimento reciproco si applichi alle decisioni positive di riconoscimento dello status di rifugiato. In altri termini, tale disposizione costituisce un esempio del riconoscimento reciproco di documenti di viaggio, che non incide sulla questione del riconoscimento reciproco delle decisioni positive di riconoscimento dello status di rifugiato.
71. In udienza, le parti hanno inoltre fatto riferimento al permesso di soggiorno di lunga durata rilasciato dal primo Stato membro (70), al fine di dimostrare l’esistenza del riconoscimento reciproco nel settore della politica in materia di asilo. A tal riguardo, la Corte ha precisato che qualsiasi cittadino di un paese terzo che sia presente nel territorio di uno Stato membro senza ivi soddisfare le condizioni d’ingresso, di soggiorno o di residenza si trova, per tale sol fatto, in una situazione di soggiorno irregolare (71). L’articolo 24 della direttiva qualifiche non può quindi essere interpretato nel senso che impone a tutti gli Stati membri di rilasciare un permesso di soggiorno a una persona alla quale un altro Stato membro abbia concesso protezione internazionale (72). Ne consegue, a mio avviso, che nessun argomento può essere tratto dal regime dei permessi di soggiorno ai fini della presente causa.
72. Inoltre, gli articoli 11, 12 e 14 della direttiva qualifiche contengono norme specifiche relative alla cessazione, all’esclusione e alla revoca dello status di rifugiato. A mio avviso, tali articoli non legittimano uno Stato membro a revocare o a porre fine allo status di rifugiato riconosciuto da un altro Stato membro. Tale competenza spetta unicamente allo Stato membro che ha riconosciuto lo status di rifugiato. Il fatto che il secondo Stato membro abbia perso fiducia nelle condizioni di vita nel primo Stato membro non attribuisce alle autorità di tale secondo Stato membro il diritto di compromettere le competenze del primo Stato membro e di privare il cittadino di un paese terzo del suo status di rifugiato nel primo Stato membro. L’unico diritto che tali autorità acquistano, qualora l’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento Dublino III trovi applicazione, è quello di poter determinare lo Stato membro competente e, se necessario, di procedere a un nuovo esame della questione se i criteri enunciati nella direttiva qualifiche ai fini del riconoscimento di tale status siano soddisfatti.
73. Siffatto esame è conforme all’obiettivo dell’articolo 14 della direttiva qualifiche, che consente allo Stato membro di revocare o di negare il rinnovo dello status di rifugiato di un cittadino di un paese terzo. A tal riguardo, i paragrafi 1 e 2 di tale articolo confermano l’idea che il mantenimento dello status di rifugiato è strettamente connesso, in particolare, alle circostanze esistenti nel paese di origine della persona interessata. Inoltre, il sistema è concepito in modo tale da consentire al secondo Stato membro di riesaminare il merito della domanda, potendo esercitare i poteri ad esso conferiti da tale disposizione, ove lo ritenga necessario. Pertanto, da tale disposizione si può dedurre che il legislatore dell’Unione ha inteso conferire al secondo Stato membro il potere di riesaminare il merito della domanda. Infine, dall’articolo 14, paragrafo 4, della direttiva qualifiche discende che lo status di rifugiato oggetto di riconoscimento è strettamente legato allo Stato membro «in cui si trova [il rifugiato]», il che conferma l’esistenza del suddetto collegamento (73).
74. Di conseguenza, a mio avviso, dalla direttiva qualifiche non si può dedurre che le decisioni positive in materia di asilo adottate in uno Stato membro abbiano effetto vincolante in altri Stati membri, tanto in circostanze normali quanto in circostanze eccezionali.
3. Conclusione provvisoria
75. Il CEAS è tuttora in fase di sviluppo graduale e, ai sensi del TFUE, spetta soltanto al legislatore dell’Unione decidere, se del caso, di conferire un effetto vincolante transfrontaliero alle decisioni di riconoscimento dello status di rifugiato. Nel regolamento Dublino III, nella direttiva procedure o nella direttiva qualifiche non si rinviene alcun elemento tale da suggerire che gli Stati membri siano tenuti a riconoscere a una persona lo status di rifugiato per il solo motivo che un altro Stato membro ha già riconosciuto detto status alla persona in questione.
76. Nella presente causa, l’autorità accertante di un secondo Stato membro (la Germania), cui è preclusa l’applicazione dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva procedure, poiché detta applicazione determinerebbe un grave rischio di violazione del divieto contenuto nell’articolo 4 della Carta, non è vincolata a una precedente decisione di riconoscimento dello status di rifugiato adottata dal primo Stato membro (nel caso di specie, la Grecia). L’autorità accertante del secondo Stato membro deve procedere a un esame del merito della nuova domanda, conformemente alle disposizioni della direttiva qualifiche e della direttiva procedure.
77. Sebbene la decisione di riconoscimento dello status di rifugiato adottata dal primo Stato membro non abbia effetto vincolante nei confronti dell’autorità accertante del secondo Stato membro, è importante stabilire se a quest’ultimo incomba l’obbligo di tenere debitamente conto di tale decisione allorché procede a un nuovo esame della domanda di asilo in questione.
C. Procedure amministrative successive in presenza di «circostanze eccezionali»
78. In via preliminare, è opportuno sottolineare che, allorché uno Stato membro debba procedere a un esame nel merito di una domanda di protezione internazionale a motivo del fatto che il richiedente corre il rischio di essere sottoposto a trattamenti inumani o degradanti nel primo Stato membro, dovrebbe trovare applicazione la direttiva 2013/33/UE (74), che specifica le modalità di trattamento dei richiedenti protezione internazionale durante l’esame delle loro domande.
79. Inoltre, in sede di esame di una domanda di protezione internazionale, il secondo Stato membro deve rispettare non soltanto i principi e le garanzie previsti nella direttiva procedure e nella direttiva qualifiche, al fine di stabilire se l’interessato necessiti di siffatta protezione, ma anche i requisiti derivanti dal principio di buona amministrazione, che impone obblighi specifici in considerazione del fatto che l’interessato è tenuto ad affrontare due procedure amministrative consecutive a causa di circostanze eccezionali. In altri termini, l’applicazione dell’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento Dublino III trasferisce l’obbligo in capo al secondo Stato membro, che è vincolato a tali requisiti.
1. Esame di una domanda di protezione internazionale
80. In primo luogo, in sede di esame della domanda di protezione internazionale, il secondo Stato membro deve tener conto dei principi e delle garanzie enunciati nel capo II della direttiva procedure, ivi compreso l’articolo 10, paragrafi 2 e 3, di tale direttiva, richiamati dal giudice nazionale. Ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 2, l’autorità accertante determina anzitutto se al richiedente sia attribuibile la qualifica di rifugiato e, in caso contrario, se l’interessato possa beneficiare della protezione sussidiaria. Ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 3, della direttiva procedure, gli Stati membri provvedono affinché le decisioni relative alle domande di protezione internazionale siano adottate previo congruo esame, in conformità con i requisiti di cui alle lettere da a) a d) di tale disposizione.
81. In secondo luogo, l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva qualifiche impone allo Stato membro di esaminare «tutti gli elementi significativi della domanda», compresi gli elementi già presi in considerazione dal primo Stato membro, nonché il fatto che alla persona sia stato riconosciuto lo status di rifugiato dalle autorità di un altro Stato membro. Occorre sottolineare l’ampia portata della formulazione di tale disposizione. Di conseguenza, tutte le constatazioni di fatto e le fonti di informazione costituiscono «elementi» ai sensi dell’articolo 4, paragrafi 1 e 2, della direttiva qualifiche, comprese quelle che hanno indotto il primo Stato membro ad adottare la sua decisione positiva. Occorre inoltre tener conto del fatto che la domanda presentata dalla persona interessata è già stata esaminata e che è stata adottata una decisione positiva di riconoscimento dello status di rifugiato.
82. A tal riguardo, le autorità del secondo Stato membro non possono semplicemente ignorare il fatto che le autorità del primo Stato membro abbiano già riconosciuto a tale persona lo status di rifugiato. Di converso, se la fiducia è venuta meno a causa di trattamenti inumani, e non a causa di carenze nella procedura di asilo in quanto tale, all’esistenza di siffatta decisione dovrebbe essere attribuita la dovuta importanza. L’esistenza di una decisione positiva di riconoscimento dello status di rifugiato può quindi costituire uno degli elementi che comprovano i fatti addotti a sostegno della domanda di protezione internazionale presentata dalla persona interessata (75).
2. Obblighi derivanti dal principio di buona amministrazione
83. Qualora non si possa fare affidamento sul principio della fiducia reciproca a causa di circostanze eccezionali e qualora trovi applicazione l’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento Dublino III, tale regolamento e le direttive procedure e qualifiche non prevedono norme specifiche in materia di cooperazione tra le autorità del primo e del secondo Stato membro, in particolare norme sullo scambio di informazioni tra dette autorità o sui termini che il secondo Stato membro è tenuto a rispettare. Poiché, nel caso di specie, la perdita di fiducia riguarda le condizioni di vita nel primo Stato membro, e non la procedura di asilo in sé, talune disposizioni di tale regolamento e di tali direttive possono essere applicate per analogia in circostanze eccezionali. Tuttavia, qualora il diritto dell’Unione non preveda modalità procedurali nel caso di circostanze eccezionali, gli Stati membri restano competenti, in forza del principio di autonomia processuale, a stabilire dette modalità, a condizione che esse non siano meno favorevoli rispetto a quelle relative a situazioni analoghe assoggettate al diritto interno (principio di equivalenza) e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione (principio di effettività) (76).
84. Tuttavia, un’autorità nazionale, quando applica il diritto dell’Unione, ossia in sede di applicazione del regolamento Dublino III e delle direttive procedure e qualifiche, è vincolata al principio di buona amministrazione, in quanto principio generale del diritto dell’Unione, che comprende, in particolare, un dovere di diligenza e di sollecitudine da parte delle autorità nazionali (77).
a) Cooperazione e scambio di informazioni tra gli Stati membri
85. L’articolo 34 del regolamento Dublino III prevede meccanismi per lo scambio di informazioni tra gli Stati membri. Lo scambio di informazioni tra gli Stati membri costituisce, sulla base di tale disposizione, una mera facoltà, dal momento che esso avviene qualora lo «Stato membro (...) ne faccia richiesta» (78). Tuttavia, in presenza della situazione di cui all’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento Dublino III, e, in particolare, quando la fiducia tra due Stati membri viene meno, tale regolamento non prevede alcuna norma specifica in materia di scambio di informazioni. È importante sottolineare che, quando la perdita di fiducia riguarda le condizioni di soggiorno nel primo Stato membro (79), l’obbligo di cooperazione tra Stati membri per quanto concerne le procedure per il trattamento delle domande non dovrebbe venir meno.
86. A tal riguardo, poiché l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva qualifiche impone allo Stato membro di esaminare «tutti gli elementi significativi della domanda», nel caso in cui la persona interessata si basi sulla decisione di riconoscimento dello status di rifugiato adottata dal primo Stato membro, il secondo Stato membro è tenuto ad accertare le circostanze che hanno consentito al primo Stato membro di adottare detta decisione. Al fine di soddisfare tale requisito e tenuto conto, alla luce del principio di buona amministrazione, del fatto che alla persona interessata è già stato riconosciuto lo status di rifugiato da un altro Stato membro, le autorità competenti del secondo Stato membro sono tenute a valutare se debba essere applicato l’articolo 34 del regolamento Dublino III. Ai sensi dell’articolo 34, paragrafo 3, di tale regolamento, dette autorità possono rivolgere una richiesta di informazioni alle autorità competenti del primo Stato membro e, in particolare, di spiegazioni in merito alle circostanze che hanno determinato il riconoscimento di tale status, nel qual caso le autorità del primo Stato membro sono tenute a rispondere.
b) Termine ragionevole
87. Alla luce dell’obiettivo di speditezza del trattamento delle domande (80) e del principio di buona amministrazione quale principio generale del diritto dell’Unione, nell’ambito dell’esame delle domande di asilo la procedura relativa alla seconda domanda deve essere condotta entro un termine ragionevole. Il considerando 19 della direttiva procedure riafferma chiaramente il principio di speditezza nelle procedure di asilo dell’Unione e riconosce agli Stati membri «la flessibilità (...) di dare la priorità all’esame di qualsiasi domanda esaminandola prima di altre domande», al fine di «abbreviare in taluni casi la durata globale della procedura».
88. Pertanto, in presenza della situazione di cui all’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento Dublino III, si dovrebbe tener conto della durata complessiva delle due procedure. I richiedenti che abbiano già ottenuto lo status di rifugiato in un altro Stato membro, ma che non possono avvalersi di tale status nel primo Stato membro a causa del rischio di subire trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’articolo 4 della Carta, presentano la loro domanda di protezione internazionale nel secondo Stato membro in «circostanze eccezionali», determinate da una perdita di fiducia tra Stati membri. I casi che rientrano in tali «circostanze eccezionali» dovrebbero essere considerati parte dei «taluni casi» ai quali dovrebbe essere data priorità ai sensi del considerando 19 della direttiva procedure.
89. È importante rilevare che l’articolo 31, paragrafo 7, lettera a), di tale direttiva, che consente agli Stati membri di «esaminare in via prioritaria una domanda (...) qualora (...) sia verosimilmente fondata» costituisce un ulteriore elemento a favore dell’assegnazione di priorità al trattamento della domanda di asilo nel secondo Stato membro, in considerazione di tali specifiche «circostanze eccezionali» e qualora il primo Stato membro abbia già stabilito che alla persona interessata può beneficiare dello status di rifugiato.
90. Pertanto, in presenza della situazione di cui all’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento Dublino III, il principio di buona amministrazione impone un onere specifico in capo al secondo Stato membro, le cui autorità devono agire prontamente, poiché l’interessato ha già affrontato una prima procedura amministrativa e, possibilmente, un procedimento giudiziario che ha accertato il rischio di cui all’articolo 4 della Carta. A tal riguardo, è importante rilevare che l’articolo 31, paragrafo 3, della direttiva procedure impone agli Stati membri di provvedere affinché la procedura di esame sia espletata entro sei mesi dalla presentazione della domanda (81). Tale termine di sei mesi costituisce quindi il termine massimo impartito per il trattamento di una domanda in circostanze normali. Le circostanze eccezionali di cui al caso di specie dovrebbero esigere una maggiore celerità e la domanda presentata al secondo Stato membro dovrebbe essere trattata in tempi molto più brevi.
91. Il primo Stato membro che ha riconosciuto lo status di rifugiato alla persona interessata deve inoltre assumere lo specifico e accresciuto onere di assistere il secondo Stato membro nel trattamento della domanda presentata dalla persona interessata nel modo più celere possibile. In generale, per quanto concerne lo scambio di informazioni ai sensi dell’articolo 34 del regolamento Dublino III, trova applicazione il termine previsto al suo paragrafo 5, il quale stabilisce che lo Stato membro richiesto è tenuto a comunicare le informazioni entro cinque settimane (82). Tale termine di cinque settimane costituisce anche il termine massimo impartito per il trattamento di una richiesta in circostanze normali. In «circostanze eccezionali», determinate dal venir meno della fiducia reciproca tra Stati membri, a causa del rischio di trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’articolo 4 della Carta in uno degli Stati, la risposta dovrebbe intervenire con maggiore speditezza. Il primo Stato membro dovrebbe rispondere a tutte le richieste di informazioni formulate dal secondo Stato membro entro un termine sensibilmente più breve rispetto quello applicabile in circostanze normali (83).
3. Conclusione provvisoria
92. Alla luce di quanto precede, ritengo che l’autorità competente del secondo Stato membro debba effettuare l’esame nel merito della nuova domanda, conformemente alle disposizioni della direttiva procedure e della direttiva qualifiche, e stabilire se la persona interessata soddisfi i requisiti sostanziali per beneficiare dello status di rifugiato, garantendo al contempo il rispetto del principio di buona amministrazione. Tale principio e il requisito che impone di esaminare tutti gli elementi significativi della domanda ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva qualifiche, fanno sorgere l’obbligo di tenere conto del fatto che la domanda di asilo presentata dalla persona interessata è già stata esaminata e che le autorità del primo Stato membro hanno già adottato una decisione positiva di riconoscimento dello status di rifugiato. Le autorità competenti del secondo Stato membro sono tenute ad assegnare priorità all’esame della domanda e a valutare l’applicazione dell’articolo 34 del regolamento Dublino III, il quale prevede meccanismi per lo scambio di informazioni tra gli Stati membri, in base ai quali il primo Stato membro dovrebbe rispondere a tutte le richieste di informazioni rivolte dal secondo Stato membro entro un termine sensibilmente più breve rispetto a quello applicabile in circostanze normali.
V. Conclusione
93. Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di rispondere alla questione pregiudiziale proposta dal Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale, Germania) nei seguenti termini:
Nel caso in cui uno Stato membro non possa avvalersi della facoltà, conferita dall’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, di respingere una domanda di protezione internazionale in quanto inammissibile alla luce del riconoscimento dello status di rifugiato in un altro Stato membro, poiché le condizioni di vita in tale Stato membro esporrebbero il richiedente a un grave rischio di trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,
l’articolo 78, paragrafi 1 e 2, TFUE,
l’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide,
l’articolo 4, paragrafo 1, e l’articolo 13 della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, nonché
l’articolo 10, paragrafi 2 e 3, e l’articolo 33, paragrafi 1 e 2, lettera a), della direttiva 2013/32,
devono essere interpretati nel senso che non impongono a uno Stato membro di riconoscere, senza un esame nel merito, la protezione internazionale che un altro Stato membro ha già concesso al richiedente.
In sede di esame della nuova domanda presentata a motivo dell’esistenza di circostanze eccezionali ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento n. 604/2013, le autorità competenti devono stabilire, conformemente alle disposizioni della direttiva 2011/95 e della direttiva 2013/32, se la persona interessata soddisfi i requisiti sostanziali per beneficiare dello status di rifugiato, garantendo al contempo il rispetto del principio di buona amministrazione e tenendo conto in particolare del fatto che la domanda presentata dalla persona interessata è già stata esaminata dalle autorità di un altro Stato membro, poiché tale fatto costituisce un elemento significativo della domanda, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2011/95. Le autorità competenti che effettuano tale valutazione sono tenute ad assegnare priorità all’esame della domanda e a valutare l’applicazione dell’articolo 34 del regolamento n. 604/2013, il quale prevede meccanismi per lo scambio di informazioni tra gli Stati membri, in base ai quali il primo Stato membro dovrebbe rispondere a tutte le richieste di informazioni rivolte dal secondo Stato membro entro un termine sensibilmente più breve rispetto a quello applicabile in circostanze normali.