Language of document : ECLI:EU:C:2024:530

Edizione provvisoria

SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione)

20 giugno 2024(*)

«Rinvio pregiudiziale – Libera prestazione dei servizi – Articoli 56 e 57 TFUE – Distacco di cittadini di paesi terzi da parte di un’impresa di uno Stato membro per svolgere un lavoro in un altro Stato membro – Durata superiore a 90 giorni su un periodo di 180 giorni – Obbligo per i lavoratori distaccati cittadini di paesi terzi di essere titolari di un permesso di soggiorno nello Stato membro ospitante in caso di prestazione di oltre tre mesi – Limitazione della durata di validità dei permessi di soggiorno rilasciati – Importo dei diritti relativi alla domanda di permesso di soggiorno – Restrizione della libera prestazione dei servizi – Motivi imperativi di interesse generale – Proporzionalità»

Nella causa C‑540/22,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal rechtbank Den Haag, zittingsplaats Middelburg (Tribunale dell’Aia, sede di Middelburg, Paesi Bassi), con decisione dell’11 agosto 2022, pervenuta in cancelleria l’11 agosto 2022, nel procedimento

SN e a.

contro

Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid,

LA CORTE (Quinta Sezione),

composta da E. Regan (relatore), presidente di sezione, Z. Csehi, M. Ilešič, I. Jarukaitis e D. Gratsias, giudici,

avvocato generale: A. Rantos

cancelliere: R. Stefanova-Kamisheva, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 21 settembre 2023,

considerate le osservazioni presentate:

–        per SN e a., da B.J. Maes e D.O. Wernsing, advocaten,

–        per il governo dei Paesi Bassi, da M.K. Bulterman, A. Hanje e J.M. Hoogveld, in qualità di agenti,

–        per il governo belga, da M. Jacobs e L. Van den Broeck, in qualità di agenti,

–        per il governo norvegese, da I. Collett, E. Eikeland e S. Hammersvik, in qualità di agenti,

–        per la Commissione europea, da L. Armati, A. Katsimerou, P.-J. Loewenthal e M. Mataija, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 30 novembre 2023,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli articoli 56 e 57 TFUE.

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra SN e altri lavoratori cittadini di paesi terzi che sono stati messi a disposizione di una società dei Paesi Bassi da una società slovacca, e lo Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Segretario di Stato alla Giustizia e alla Sicurezza, Paesi Bassi) (in prosieguo: il «Segretario di Stato») in merito all’obbligo, per tali lavoratori, di ottenere un permesso di soggiorno dei Paesi Bassi e alle condizioni per la concessione di un siffatto permesso.

 Contesto normativo

 Diritto dellUnione

 CAAS

3        La Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen, del 14 giugno 1985, tra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, firmata a Schengen il 19 giugno 1990 ed entrata in vigore il 26 marzo 1995 (GU 2000, L 239, pag. 19), come modificata dal regolamento (UE) n. 265/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 marzo 2010 (GU 2010, L 85, pag. 1), nonché dal regolamento (UE) n. 610/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013 (GU 2013, L 182, pag. 1) (in prosieguo: la «CAAS»), definisce, al suo articolo 1, la nozione di «straniero» come «chi non è cittadino di uno Stato membro delle Comunità europee».

4        L’articolo 21, paragrafo 1, di tale Convenzione così prevede:

«Gli stranieri in possesso di un titolo di soggiorno rilasciato da uno degli Stati membri possono, in forza di tale titolo e di un documento di viaggio, purché tali documenti siano in corso di validità, circolare liberamente per un periodo non superiore a 90 giorni su un periodo di 180 giorni nel territorio degli altri Stati membri, sempreché soddisfino le condizioni di ingresso di cui all’articolo 5, paragrafo 1, lettere a), c) ed e), del regolamento (CE) n. 562/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006, che istituisce un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen) [GU 2006, L 105, pag. 1], e non figurino nell’elenco nazionale delle persone segnalate dello Stato membro interessato».

 Codice frontiere Schengen

5        L’articolo 6, paragrafo 1, del regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, che istituisce un codice unionale relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen) (GU 2016, L 77, pag. 1; in prosieguo: il «codice frontiere Schengen»), intitolato «Condizioni d’ingresso per i cittadini di paesi terzi», che ha sostituito l’articolo 5, paragrafo 1, del regolamento n. 562/2006, così dispone:

«Per soggiorni previsti nel territorio degli Stati membri, la cui durata non sia superiore a 90 giorni su un periodo di 180 giorni, il che comporta di prendere in considerazione il periodo di 180 giorni che precede ogni giorno di soggiorno, le condizioni d’ingresso per i cittadini di paesi terzi sono le seguenti:

a)      essere in possesso di un documento di viaggio valido che autorizza il titolare ad attraversare la frontiera che soddisfi i seguenti criteri:

i)      la validità è di almeno tre mesi dopo la data prevista per la partenza dal territorio degli Stati membri. In casi di emergenza giustificati, è possibile derogare a tale obbligo;

ii)      è stato rilasciato nel corso dei dieci anni precedenti;

(...)

c)      giustificare lo scopo e le condizioni del soggiorno previsto e disporre dei mezzi di sussistenza sufficienti, sia per la durata prevista del soggiorno sia per il ritorno nel paese di origine o per il transito verso un paese terzo nel quale l’ammissione è garantita, ovvero essere in grado di ottenere legalmente detti mezzi;

(...)

e)      non essere considerato una minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza interna, la salute pubblica o le relazioni internazionali di uno degli Stati membri, in particolare non essere oggetto di segnalazione ai fini della non ammissione nelle banche dati nazionali degli Stati membri per gli stessi motivi».

 Direttiva 96/71/CE

6        La direttiva 96/71/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 dicembre 1996 relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi (GU 1997, L 18, pag. 1), al suo considerando 20, recita:

«considerando che la presente direttiva non interessa gli accordi conclusi dalla Comunità con paesi terzi né le normative degli Stati membri relative all’accesso ai loro territori da parte di prestatori di servizi di paesi terzi; che la presente direttiva lascia inoltre impregiudicate le legislazioni nazionali relative alle condizioni di ingresso, di residenza e di occupazione per i lavoratori di paesi terzi».

7        L’articolo 1, paragrafo 1, di tale direttiva dispone quanto segue:

«La presente direttiva si applica alle imprese stabilite in uno Stato membro che, nel quadro di una prestazione di servizi transnazionale, distacchino lavoratori, a norma del paragrafo 3, nel territorio di uno Stato membro».

 Regolamento (CE) n. 1030/2002

8        L’articolo 1 del regolamento (CE) n. 1030/2002 del Consiglio, del 13 giugno 2002, che istituisce un modello uniforme per i permessi di soggiorno rilasciati a cittadini di paesi terzi (GU 2002, L 157, pag. 1), enuncia quanto segue:

«1.      I permessi di soggiorno rilasciati dagli Stati membri a cittadini di paesi terzi hanno un modello uniforme e comprendono uno spazio riservato alle informazioni indicate nell’allegato. (...) Ciascuno Stato membro può aggiungere nello spazio del modello uniforme riservato a tal fine informazioni importanti riguardanti la natura del permesso e lo status giuridico della persona interessata, comprese le informazioni su un eventuale permesso di lavoro della stessa.

2.      Ai fini del presente regolamento, si intende per:

a)      “permesso di soggiorno”, un’autorizzazione rilasciata dalle autorità di uno Stato membro che consente ad un cittadino di un paese terzo di soggiornare legalmente sul proprio territorio (...)».

9        L’articolo 2, paragrafo 1, di detto regolamento così prevede:

«Ulteriori prescrizioni tecniche relative al modello uniforme per i permessi di soggiorno sono adottate secondo la procedura di cui all’articolo 7, paragrafo 2 (...)».

 Regolamento (CE) n. 883/2004

10      Il regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (GU 2004, L 166, pag. 1), quale modificato dal regolamento (UE) n. 465/2012 (GU 2012, L 149, pag. 4), al suo articolo 12, paragrafo 1, così dispone:

«La persona che esercita un’attività subordinata in uno Stato membro per conto di un datore di lavoro che vi esercita abitualmente le sue attività ed è da questo distaccata, per svolgervi un lavoro per suo conto, in un altro Stato membro rimane soggetta alla legislazione del primo Stato membro a condizione che la durata prevedibile di tale lavoro non superi i ventiquattro mesi e che essa non sia inviata in sostituzione di un’altra persona distaccata».

 Direttiva 2004/38/CE

11      La direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77), all’articolo 3, paragrafo 1, prevede quanto segue:

«La presente direttiva si applica a qualsiasi cittadino dell’Unione che si rechi o soggiorni in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza, nonché ai suoi familiari ai sensi dell’articolo 2, punto 2, che accompagnino o raggiungano il cittadino medesimo».

12      L’articolo 9 di tale direttiva, al paragrafo 1, così dispone:

«Quando la durata del soggiorno previsto è superiore a tre mesi, gli Stati membri rilasciano una carta di soggiorno ai familiari del cittadino dell’Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro».

 Direttiva 2006/123/CE

13      La direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno (GU 2006, L 376, pag. 36), al suo articolo 17, intitolato «Ulteriori deroghe alla libera prestazione di servizi», prevede quanto segue:

«L’articolo 16 [che concretizza il diritto dei prestatori di fornire servizi in uno Stato membro diverso da quello in cui sono stabiliti] non si applica:

(...)

9)      per quanto riguarda i cittadini di paesi terzi che si spostano in un altro Stato membro nell’ambito di una prestazione di servizi, alla possibilità per gli Stati membri di imporre l’obbligo di un visto o di un permesso di soggiorno ai cittadini di paesi terzi che non godono del regime di riconoscimento reciproco di cui all’articolo 21 della [CAAS], o alla possibilità di imporre ai cittadini di paesi terzi l’obbligo di presentarsi alle autorità competenti dello Stato membro in cui è prestato il servizio al momento del loro ingresso o successivamente;

(...)».

 Direttiva 2009/52/CE

14      I considerando da 1 a 3 della direttiva 2009/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 giugno 2009, che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (GU 2009, L 168, pag. 24), prevedono quanto segue:

«(1)      Il Consiglio europeo del 14 e 15 dicembre 2006 ha convenuto che dovrebbe essere rafforzata la cooperazione fra gli Stati membri nella lotta contro l’immigrazione illegale e che, in particolare, dovrebbero essere intensificate a livello degli Stati membri e a livello dell’Unione europea le misure contro il lavoro illegale.

(2)      Un fattore fondamentale di richiamo dell’immigrazione illegale nell’Unione europea è la possibilità di trovare lavoro pur non avendo lo status giuridico richiesto. È quindi opportuno che l’azione contro l’immigrazione e il soggiorno illegali comporti misure per contrastare tale fattore di richiamo.

(3)      Il perno di tali misure dovrebbe essere un divieto generale di assunzione dei cittadini di paesi terzi non autorizzati a soggiornare nell’Unione europea accompagnato da sanzioni nei confronti dei datori di lavoro che lo violano».

15      Conformemente all’articolo 2, lettera b), di tale direttiva, costituisce, ai fini specifici di quest’ultima, «cittadino di un paese terzo il cui soggiorno è irregolare», «un cittadino di un paese terzo presente nel territorio di uno Stato membro che non soddisfi o non soddisfi più le condizioni di soggiorno o di residenza in tale Stato membro».

16      L’articolo 3, paragrafo 1, della stessa direttiva enuncia quanto segue:

«Gli Stati membri vietano l’assunzione di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare».

 Direttiva 2011/98/UE

17      La direttiva 2011/98/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno Stato membro (GU 2011, L 343, pag. 1), all’articolo 1, paragrafo 1, prevede quanto segue:

«La presente direttiva stabilisce:

a)      una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di paesi terzi di soggiornare a fini lavorativi nel territorio di uno Stato membro, al fine di semplificare le procedure di ingresso e di agevolare il controllo del loro status; (...)

(...)».

18      L’articolo 3, paragrafo 2, di tale direttiva così recita:

«La presente direttiva non si applica ai cittadini di paesi terzi:

(...)

c)      che sono distaccati, per la durata del distacco;

(...)».

19      L’articolo 6 della direttiva in parola, intitolato «Permesso unico», così dispone:

«1.      Gli Stati membri rilasciano il permesso unico usando il modello uniforme previsto dal regolamento [n. 1030/2002] e indicano le informazioni relative al permesso di lavoro conformemente alla lettera a), sezione 7.5-9, dell’allegato del medesimo regolamento.

Gli Stati membri possono indicare informazioni supplementari concernenti il rapporto di lavoro del cittadino di un paese terzo (ad esempio nome e indirizzo del datore di lavoro, luogo di lavoro, tipo di lavoro, orario di lavoro, retribuzione) su supporto cartaceo oppure memorizzare tali dati in formato elettronico come previsto all’articolo 4 del regolamento [n. 1030/2002] e alla lettera a), sezione 16, del relativo allegato.

2.      Quando rilasciano un permesso unico, gli Stati membri non rilasciano permessi aggiuntivi come prova di autorizzazione all’accesso al mercato del lavoro».

20      L’articolo 7 della medesima direttiva, intitolato «Permessi di soggiorno rilasciati per fini diversi dall’attività lavorativa», prevede quanto segue:

«1.      Quando rilasciano permessi di soggiorno ai sensi del regolamento [n. 1030/2002], gli Stati membri indicano le informazioni relative al permesso di lavoro, a prescindere dal tipo di permesso.

Gli Stati membri possono indicare informazioni supplementari concernenti il rapporto di lavoro del cittadino di un paese terzo (ad esempio nome e indirizzo del datore di lavoro, luogo di lavoro, tipo di lavoro, orario di lavoro, retribuzione) in formato cartaceo oppure memorizzare tali dati in formato elettronico come previsto all’articolo 4 del regolamento [n. 1030/2002] e alla lettera a), sezione 16, del relativo allegato.

2.      Quando rilasciano permessi di soggiorno ai sensi del regolamento [n. 1030/2002], gli Stati membri non rilasciano permessi aggiuntivi come prova di autorizzazione all’accesso al mercato del lavoro».

 Direttiva 2003/109/CE

21      L’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo (GU 2004, L 16, pag. 44), così dispone:

«La presente direttiva non si applica ai cittadini di paesi terzi che:

(...)

e)      soggiornano unicamente per motivi di carattere temporaneo ad esempio in qualità di persone “alla pari”, lavoratori stagionali, lavoratori distaccati da una società di servizi per la prestazione di servizi oltre frontiera o prestatori di servizi oltre frontiera o nei casi in cui il loro titolo di soggiorno è stato formalmente limitato».

 Direttiva 2014/67/UE

22      L’articolo 9, paragrafi da 1 a 3, della direttiva 2014/67/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, concernente l’applicazione della direttiva 96/71/CE relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi e recante modifica del regolamento (UE) n. 1024/2012 relativo alla cooperazione amministrativa attraverso il sistema di informazione del mercato interno («regolamento IMI») (GU 2014, L 159, pag. 11), intitolato «Obblighi amministrativi e misure di controllo», prevede quanto segue:

«1.      Gli Stati membri possono imporre solo gli obblighi amministrativi e le misure di controllo necessari per assicurare l’effettiva vigilanza sul rispetto degli obblighi di cui alla presente direttiva e alla direttiva [96/71], a condizione che essi siano giustificati e proporzionati in conformità del diritto dell’Unione.

A tal fine, gli Stati membri possono, in particolare, imporre le misure seguenti:

a)      l’obbligo per i prestatori di servizi stabiliti in un altro Stato membro di presentare alle autorità competenti nazionali responsabili, nella lingua ufficiale o in una delle lingue ufficiali dello Stato membro ospitante o in qualsiasi altra lingua accettata dallo Stato membro ospitante, al più tardi all’inizio della prestazione del servizio, una semplice dichiarazione contenente le pertinenti informazioni necessarie atte a consentire controlli fattuali sul luogo di lavoro, tra cui:
i)            l’identità del prestatore di servizi;

      ii)      il numero previsto di lavoratori distaccati chiaramente identificabili;

      iii)      le persone di cui alle lettere e) ed f);

      iv)      la durata, la data di inizio e di fine distacco previste;

      v)      l’indirizzo o gli indirizzi del luogo di lavoro; nonché

      vi)       la specificità dei servizi che giustifica il distacco;

b)      l’obbligo, durante il periodo di distacco, di mettere o mantenere a disposizione e/o di conservare in un luogo accessibile e chiaramente individuato nel suo territorio, come il luogo di lavoro o il cantiere, o, per i lavoratori mobili del settore dei trasporti, la base operativa o il veicolo con il quale il servizio è prestato, copie cartacee o elettroniche del contratto di lavoro o di un documento equivalente ai sensi della direttiva 91/533/CEE [del Consiglio, del 14 ottobre 1991, relativa all’obbligo del datore di lavoro di informare il lavoratore delle condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro (GU 1991, L 288, pag. 32),], comprese, se del caso, le informazioni aggiuntive di cui all’articolo 4 di tale direttiva, dei fogli paga, dei cartellini orari indicanti l’inizio, la fine e la durata dell’orario di lavoro giornaliero, e delle prove del pagamento delle retribuzioni, o di documenti equivalenti;

c)      l’obbligo di fornire i documenti di cui alla lettera b), dopo il periodo di distacco, su richiesta delle autorità dello Stato membro ospitante, entro un termine ragionevole;

d)      l’obbligo di fornire una traduzione dei documenti di cui alla lettera b) nella lingua ufficiale o in una delle lingue ufficiali dello Stato membro ospitante o in qualsiasi altra lingua accettata dallo Stato membro ospitante;

e)      l’obbligo di designare una persona per tenere i contatti con le autorità competenti nello Stato membro ospitante in cui i servizi sono prestati e per inviare e ricevere documenti e/o avvisi, se necessario;

f)      l’obbligo di designare una persona di contatto, se necessario, la quale agisca in qualità di rappresentante legale e attraverso la quale le parti sociali interessate possano cercare di impegnare il prestatore di servizi ad avviare una negoziazione collettiva all’interno dello Stato membro ospitante, secondo il diritto e/o la prassi nazionali, durante il periodo in cui sono prestati i servizi. Questa persona può essere una persona diversa da quella di cui alla lettera e) e non deve necessariamente essere presente nello Stato membro ospitante, ma deve essere disponibile in caso di richiesta ragionevole e motivata.

2.      Gli Stati membri possono imporre altri obblighi amministrativi e misure di controllo se si verificano situazioni o nuovi sviluppi da cui risulti che gli obblighi amministrativi e le misure di controllo esistenti sono insufficienti o inefficienti ai fini dell’effettiva vigilanza sul rispetto degli obblighi di cui alla direttiva [96/71] e alla presente direttiva, a condizione che essi siano giustificati e proporzionati.

3.      Il presente articolo fa salvi gli altri obblighi derivanti dalla legislazione dell’Unione, compresi quelli derivanti dalla direttiva 89/391/CEE del Consiglio [del 12 giugno 1989, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro (GU 1989, L 183, pag. 1),] e dal regolamento [n. 883/2004], e/o quelli derivanti dal diritto nazionale sulla protezione dei lavoratori o sulla tutela dell’occupazione a condizione che questi ultimi siano anche applicabili a società stabilite nello Stato membro interessato e che siano giustificati e proporzionati».

 Diritto olandese

 Legge sul lavoro degli stranieri

23      L’articolo 2, paragrafo 1, della Wet arbeid vreemdelingen (legge sul lavoro degli stranieri), del 21 dicembre 1994 (Stb. 1994, n. 959), così recita:

«A un datore di lavoro è fatto divieto di far svolgere un lavoro a un cittadino straniero nei Paesi Bassi senza essere titolare di un permesso di lavoro o senza che il cittadino straniero sia titolare di un permesso unico per lavorare per tale datore di lavoro».

 Decreto attuativo della legge sul lavoro degli stranieri

24      L’articolo 1e, paragrafo 1, del Besluit uitvoering Wet arbeid vreemdelingen (decreto attuativo della legge sul lavoro degli stranieri) nella sua versione applicabile alla data dei fatti nel procedimento principale, prevede quanto segue:

«Il divieto di cui all’articolo 2, paragrafo 1, della legge sul lavoro degli stranieri non si applica al cittadino straniero che, nell’ambito di una prestazione transfrontaliera di servizi, svolga temporaneamente un’attività lavorativa nei Paesi Bassi al servizio di un datore di lavoro stabilito al di fuori dei Paesi Bassi, in un altro Stato membro dell’Unione europea, in un altro Stato parte dell’accordo sullo Spazio economico europeo o in Svizzera, purché:

a.      il cittadino straniero soddisfi tutte le condizioni relative al soggiorno, al permesso di lavoro e alla previdenza sociale per svolgere un’attività lavorativa in qualità di lavoratore subordinato del datore di lavoro nel paese in cui quest’ultimo è stabilito;

b.      il cittadino straniero svolga un’attività lavorativa analoga a quella per la quale è autorizzato nel paese in cui è stabilito il datore di lavoro;

c.      il cittadino straniero sia solo un sostituto di un altro cittadino straniero che ha svolto un’attività lavorativa analoga se la durata totale della prestazione di servizi concordata non viene superata; e

d.      il datore di lavoro eserciti effettivamente attività sostanziali (...)».

 Legge sulle condizioni di lavoro dei lavoratori distaccati nell’Unione europea

25      Ai sensi dell’articolo 8, paragrafi da 1 a 4, della Wet arbeidsvoorwaarden gedetacheerde werknemers in de Europese Unie (legge sulle condizioni di lavoro dei lavoratori distaccati nell’Unione europea) del 1º giugno 2016 (Stb. 2016, n. 219; in prosieguo: la «WagwEU»).

«1.      Il prestatore di servizi che distacca un lavoratore nei Paesi Bassi è tenuto a darne notifica per iscritto o per via telematica [al Minister van Sociale Zaken en Werkgelegenheid (Ministro degli Affari sociali e dell’Occupazione, Paesi Bassi)] prima dell’inizio dell’attività. La notifica del prestatore di servizi include:

a.      la sua identità;

b.      l’identità del destinatario dei servizi e quella del lavoratore distaccato;

c.      la persona di contatto di cui all’articolo 7;

d.      l’identità della persona fisica o giuridica responsabile del pagamento delle retribuzioni;

e.      la natura e la durata prevista dell’attività;

f.      l’indirizzo del luogo di lavoro; e

g.      i contributi ai regimi di sicurezza sociale applicabili.

2.      Se il prestatore di servizi che distacca un lavoratore nei Paesi Bassi, prima dell’inizio dell’attività, fornisce al destinatario dei servizi una copia scritta o elettronica della notifica di cui al paragrafo 1, quest’ultima deve contenere almeno le informazioni relative alla sua identità e a quella del lavoratore distaccato, all’indirizzo del luogo di lavoro nonché alla natura e alla durata dell’attività.

3.      Il destinatario della prestazione verifica se la copia della notifica di cui al paragrafo 2 contenga le informazioni menzionate a tale paragrafo 2 e notifica al [Ministro degli Affari sociali e dell’Occupazione], per iscritto o per via telematica, eventuali inesattezze o la mancata ricezione della copia entro e non oltre cinque giorni lavorativi dall’inizio dell’attività.

4.       I dati trattati dal [Ministro degli Affari Sociali e dell’Occupazione] ai sensi del presente articolo sono comunicati agli organi amministrativi e di controllo nella misura in cui sono necessari per l’esercizio delle loro funzioni relative alla prestazione transnazionale di servizi».

 Decreto sulle condizioni di lavoro dei lavoratori distaccati nell’Unione europea

26      L’articolo 3, paragrafo 2, del Besluit arbeidsvoorwaarden gedetacheerde werknemers in de Europese Unie (decreto sulle condizioni di lavoro dei lavoratori distaccati nell’Unione europea), è così formulato:

«[Il Ministro degli Affari Sociali e dell’Occupazione] è autorizzato e tenuto, su richiesta, a fornire gratuitamente all’Immigratie- en Naturalisatiedienst [(Servizio Immigrazione e Naturalizzazione, Paesi Bassi) (in prosieguo: l’“IND”] i dati relativi ai prestatori di servizi, ai destinatari dei servizi, alle persone di contatto, alle persone responsabili del pagamento delle retribuzioni e ai lavoratori distaccati, che sono stati trattati in relazione all’articolo 8 della [WagwEU], compreso il numero di identificazione nazionale, nei limiti in cui tali dati siano necessari ai fini dei compiti connessi all’esecuzione della Vreemdelingenwet 2000 [(legge del 2000 sugli stranieri)]».

27      Ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 3, di tale decreto, il prestatore di servizi fornisce, oltre alle informazioni di cui all’articolo 8, paragrafo 1, della WagwEU, la data di fine del periodo di regolare impiego.

 Legge del 2000 sugli stranieri

28      L’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), e paragrafo 3, della legge del 2000 sugli stranieri così recita:

«1.      [Il Minister van Justitie en Veiligheid (Ministro della Giustizia e della Sicurezza, Paesi Bassi)] è autorizzato:

a.      ad approvare, respingere oppure non prendere in considerazione la domanda di permesso di soggiorno a tempo determinato;

(...)

3.      La concessione di un permesso di soggiorno a tempo determinato comporta restrizioni relative allo scopo per il quale il soggiorno è autorizzato. Il permesso può essere assoggettato anche ad altre condizioni. Le norme relative alla concessione, alla modifica e al rinnovo d’ufficio, alle restrizioni e alle condizioni possono essere stabilite da un regolamento o in base ad esso».

 Decreto del 2000 sugli stranieri

29      L’articolo 3.31a, paragrafo 1, del Vreemdelingenbesluit 2000 (decreto del 2000 sugli stranieri), del 23 novembre 2000 (Stb. 2000, n. 497), nella sua versione applicabile alla controversia principale, è del seguente tenore:

«Il permesso di soggiorno regolare a tempo determinato può essere rilasciato, corredato da una restrizione relativa all’attività svolta nell’ambito della prestazione transfrontaliera di servizi di cui all’articolo 4.6 del Besluit uitvoering Wet arbeid vreemdelingen 2022 [decreto attuativo della legge sul lavoro degli stranieri del 2022], se la notifica di cui all’articolo 8 della [WagwEU] è stata effettuata, fornendo le informazioni prescritte in tale articolo e all’articolo 11, paragrafo 3, del [decreto sulle condizioni di lavoro dei lavoratori distaccati nell’Unione europea]».

30      Ai sensi dell’articolo 3.4, paragrafo 1, lettera i), del decreto del 2000 sugli stranieri, nella versione applicabile al procedimento principale:

«Le restrizioni previste all’articolo 14, paragrafo 3, della [legge sugli stranieri del 2000] riguardano:

(...)

i.      la prestazione transfrontaliera di servizi».

31      In forza dell’articolo 3.58, paragrafo 1, lettera i), del suddetto decreto e della parte B5/3.1 della Vreemdelingencirculaire 2000 (circolare del 2000 sugli stranieri), del 2 marzo 2001 (Stcrt. 2001, n. 64), nella versione applicabile alla data dei fatti nel procedimento principale, l’IND rilascia il permesso di soggiorno relativo a una prestazione transfrontaliera di servizi per un periodo di validità pari alla durata dell’attività di cui all’articolo 1e, paragrafo 2, del decreto attuativo della legge sul lavoro degli stranieri, nella sua versione applicabile alla data dei fatti del procedimento principale, senza poter eccedere i due anni.

 Regolamento del 2000 sugli stranieri

32      L’articolo 3.34 del Voorschrift Vreemdelingen 2000 (regolamento del 2000 sugli stranieri), del 18 dicembre 2000 (Stcrt. 2001, n. 10), stabilisce che il cittadino straniero che non è titolare di un permesso di soggiorno provvisorio valido per lo scopo indicato nella domanda di soggiorno è tenuto al pagamento di diritti a titolo di trattamento di una domanda di rilascio, di modifica o di rinnovo di un permesso di soggiorno per la prestazione transfrontaliera di servizi.

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

33      I ricorrenti nel procedimento principale, cittadini ucraini, sono titolari di un permesso di soggiorno temporaneo rilasciato dalle autorità slovacche valido fino al 21 novembre 2020 incluso. Essi lavorano per la ROBI spol s.r.o., società di diritto slovacco, che li ha distaccati presso la Ivens NV, società di diritto olandese, per svolgere un incarico nel porto di Rotterdam (Paesi Bassi).

34      A tal fine, il 4 dicembre 2019, la ROBI ha notificato alle autorità olandesi competenti la natura dell’attività per la quale tali ricorrenti erano distaccati e la durata di quest’ultima, inizialmente prevista dal 6 dicembre 2019 al 4 marzo 2020. Con notifica del 28 febbraio 2020, la ROBI ha informato dette autorità della proroga di questa attività fino al 31 dicembre 2021.

35      Poiché la durata prevista di detta attività eccedeva la durata del diritto di circolazione di 90 giorni su un periodo di 180 giorni di cui godono gli stranieri titolari di un titolo di soggiorno rilasciato da uno Stato membro in forza dell’articolo 21, paragrafo 1, della CAAS, il 6 marzo 2020 la ROBI ha chiesto alle autorità olandesi, in nome e per conto di ciascuno dei ricorrenti nel procedimento principale, il rilascio di un permesso di soggiorno regolare a tempo determinato. Il trattamento di ciascuna di tali domande ha dato luogo al pagamento di diritti per un importo che ammontava, a seconda della situazione individuale di tali ricorrenti, a EUR 290 o a EUR 320.

36      L’IND, agendo in nome del segretario di Stato, ha rilasciato i permessi di soggiorno richiesti. La durata di validità di tali permessi di soggiorno è stata tuttavia limitata alla durata di validità dei permessi di soggiorno temporaneo slovacchi rilasciati ai ricorrenti nei procedimenti principali, ossia una durata inferiore a quella dell’attività per la quale era previsto il distacco di questi ultimi nei Paesi Bassi.

37      In una data non precisata dal giudice del rinvio, i ricorrenti nel procedimento principale hanno presentato reclami contro ciascuna delle decisioni che concedono loro un permesso di soggiorno. In tale occasione, essi hanno contestato sia l’obbligo di ottenere un permesso di soggiorno per la prestazione transfrontaliera di servizi sia la durata di validità dei permessi di soggiorno rilasciati e i diritti dovuti per il trattamento delle domande di tali permessi.

38      Dopo un esame dei reclami, il 16 marzo 2021, da parte del comitato per l’audizione amministrativa dell’IND, il segretario di Stato ha respinto, con decisioni del 7 aprile 2021, i suddetti reclami in quanto infondati.

39      Il 7 maggio 2021, la ROBI ha presentato alle autorità olandesi nuove domande di permesso di soggiorno in nome e per conto di taluni ricorrenti nel procedimento principale, a sostegno delle quali essa si è avvalsa del fatto che le autorità slovacche avevano concesso a questi ultimi nuovi permessi di soggiorno validi fino al 31 marzo 2022.

40      L’IND, agendo in nome del Segretario di Stato, ha accolto tali domande e ha rilasciato ai ricorrenti interessati permessi di soggiorno validi fino alla data di cessazione dell’attività notificata dalla ROBI alle autorità olandesi, ossia il 31 dicembre 2021.

41      Inoltre, il 20 maggio 2022, la ROBI ha nuovamente presentato domande di permesso di soggiorno per alcuni dei ricorrenti di cui trattasi al fine di destinarli ad un’altra attività nei Paesi Bassi.

42      Parallelamente, i ricorrenti nel procedimento principale hanno adito il giudice del rinvio con un ricorso diretto all’annullamento delle decisioni del 7 aprile 2021, adducendo la violazione degli articoli 56 e 57 TFUE.

43      Dinanzi a tale giudice, i ricorrenti nel procedimento principale contestano l’obbligo, nell’ambito di una prestazione transfrontaliera di servizi, per i lavoratori cittadini di paesi terzi impiegati da un prestatore di servizi stabilito in uno Stato membro, di essere in possesso, oltre ad un permesso di soggiorno in tale Stato membro, di un permesso di soggiorno nello Stato membro di realizzazione della prestazione dopo la scadenza del periodo di 90 giorni di cui all’articolo 21, paragrafo 1, della CAAS. Essi sostengono che tale obbligo si sovrappone alla procedura di notifica preventiva alla prestazione transfrontaliera di servizi. Essi ritengono che la circostanza che la durata dei permessi di soggiorno loro rilasciati dalle autorità olandesi sia limitata alla durata di validità dei loro permessi di soggiorno slovacchi e al massimo a due anni costituisse una restrizione ingiustificata della libera prestazione dei servizi garantita dagli articoli 56 e 57 TFUE. Infine, essi fanno valere che l’importo dei diritti ai quali sono soggette le domande di rilascio di permessi di soggiorno nei Paesi Bassi non è conforme al diritto dell’Unione, in quanto tale importo è più elevato di quello richiesto per i certificati di soggiorno regolare rilasciati ai cittadini dell’Unione. Il Segretario di Stato contesta l’insieme degli argomenti dedotti dai ricorrenti nel procedimento principale.

44      In tale contesto, il giudice del rinvio rileva che, nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 21 settembre 2006, Commissione/Austria (C‑168/04, EU:C:2006:595, punti 31 e 32), la Commissione europea aveva fatto valere che, nel contesto della libera prestazione dei servizi, ogni prestatore di servizi trasmette ai propri lavoratori dipendenti il «diritto derivato» di ricevere un permesso di soggiorno per la durata necessaria alla prestazione e che la decisione relativa al diritto di soggiorno aveva carattere puramente formale e che tale diritto doveva essere riconosciuto automaticamente. Orbene, la Corte ha dichiarato, in tale causa, che la Repubblica d’Austria era venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 49 CE, divenuto articolo 56 TFUE. Pertanto, tale giudice si chiede se il diritto alla libera prestazione dei servizi, quale previsto agli articoli 56 e 57 TFUE, non conferisca anche un «diritto di soggiorno derivato» ai lavoratori distaccati nel contesto di una prestazione transfrontaliera di servizi.

45      In ogni caso, il giudice del rinvio si chiede se l’obbligo derivante dall’articolo 56 TFUE di eliminare qualsiasi restrizione della libera prestazione dei servizi osti a che possa essere richiesto il possesso di un permesso di soggiorno individuale per il distacco, in uno Stato membro, di lavoratori di un paese terzo, dipendenti di un prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro, qualora, come nel caso di specie, la normativa nazionale richieda già che il distacco di lavoratori cittadini di paesi terzi da parte di un datore di lavoro stabilito in un altro Stato membro sia oggetto di una notifica contenente le stesse informazioni di quelle necessarie per la concessione di un permesso di soggiorno nello Stato membro ospitante. Infatti, anche se il requisito di un permesso di soggiorno si applica solo alla scadenza di un periodo di 90 giorni, rimarrebbe nondimeno il fatto che un siffatto requisito possa essere assimilato ad una previa autorizzazione, procedura idonea a costituire una restrizione della libera prestazione dei servizi.

46      Infine, anche supponendo che possa essere richiesto un siffatto permesso di soggiorno, il giudice del rinvio si chiede, da un lato, se la durata di validità di tale permesso possa essere limitata dalla normativa dei Paesi Bassi alla durata di validità del permesso di lavoro e di soggiorno nello Stato membro in cui il prestatore di servizi è stabilito, pur non potendo eccedere una durata massima di due anni, e, dall’altro, se il richiedente di detto permesso di soggiorno possa essere tenuto a pagare diritti il cui importo è cinque volte più elevato dell’importo dei diritti dovuti per il rilascio a un cittadino dell’Unione di un certificato di soggiorno regolare.

47      In tale contesto, il rechtbank Den Haag, zittingsplaats Middelburg (Tribunale dell’Aia, sede di Middelburg, Paesi Bassi) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se la libertà di prestazione dei servizi, sancita agli articoli 56 e 57 TFUE, comprenda un diritto di soggiornare in uno Stato membro, da essa derivato, per lavoratori dipendenti cittadini di paesi terzi che possono essere impiegati in detto Stato membro da un prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro.

2)      In caso di risposta negativa, se l’articolo 56 TFUE osti a che, qualora la prestazione di servizi duri più di tre mesi, si debba richiedere per ciascun dipendente un permesso di soggiorno, oltre a un mero obbligo di notifica per il prestatore di servizi.

3)      In caso di risposta negativa, se l’articolo 56 TFUE osti a:

a)      una normativa nazionale secondo la quale la durata di validità di un siffatto permesso di soggiorno, a prescindere dalla durata della prestazione dei servizi, non può essere superiore a due anni;

b)      la limitazione della durata di validità di un siffatto permesso di soggiorno alla durata di validità del permesso di soggiorno e di lavoro nello Stato membro di stabilimento del prestatore di servizi;

c)      l’imposizione di diritti per ciascuna domanda (o domanda di proroga), il cui ammontare è pari ai diritti dovuti per un permesso regolare per la prestazione lavorativa effettuata da un cittadino di un paese terzo, ma è pari al quintuplo dell’importo dei diritti dovuti per un certificato di soggiorno regolare di un cittadino dell’Unione».

 Sulla prima questione

48      Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la libera prestazione dei servizi, garantita dagli articoli 56 e 57 TFUE, debba essere interpretata nel senso che ai lavoratori cittadini di paesi terzi distaccati in uno Stato membro da un prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro debba essere automaticamente riconosciuto un «diritto di soggiorno derivato».

49      A tal proposito, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta che il giudice del rinvio impiega la nozione di «diritto di soggiorno derivato» con riferimento a un diritto di soggiorno dei lavoratori distaccati cittadini di Paesi terzi che deriverebbe dall’esercizio, da parte del loro datore di lavoro, del diritto alla libera prestazione di servizi e la cui esistenza era stata invocata dalla Commissione nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 21 settembre 2006, Commissione/Austria (C‑168/04, EU:C:2006:595).

50      Tuttavia, sebbene, in tale sentenza, la Corte abbia accolto il ricorso per inadempimento proposto dalla Commissione, essa non ha però sancito l’esistenza di un siffatto diritto di soggiorno. Infatti, per dichiarare che lo Stato membro interessato era venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza del diritto alla libera prestazione dei servizi, la Corte ha rilevato, secondo il suo orientamento abituale, da un lato, che taluni aspetti della normativa di cui trattasi generavano restrizioni alla libera prestazione dei servizi e, dall’altro, che tali restrizioni eccedevano quanto necessario al conseguimento degli obiettivi di interesse generale invocati da tale Stato membro.

51      Certamente, come sottolineato dall’avvocato generale al paragrafo 35 delle sue conclusioni, la nozione di «diritto di soggiorno derivato» rinvia, più in generale, alla giurisprudenza della Corte secondo cui, in materia di cittadinanza, i cittadini di Stati terzi, familiari di un cittadino dell’Unione, che non possono beneficiare, sulla base delle disposizioni della direttiva 2004/38, di un diritto di soggiorno derivato nello Stato membro di cui tale cittadino possiede la cittadinanza, in alcuni casi possono tuttavia vedersi riconoscere un «diritto derivato» sulla base dell’articolo 21, paragrafo 1, TFUE (v., in tal senso, sentenze del 5 giugno 2018, Coman e a., C‑673/16, EU:C:2018:385, punto 23, nonché del 12 luglio 2018, Banger, C‑89/17, EU:C:2018:570, punto 27 e giurisprudenza ivi citata).

52      Tuttavia, va ricordato che una simile soluzione è fondata sulla considerazione secondo cui, in mancanza di un diritto di soggiorno derivato a favore di detto cittadino di un paese terzo, il cittadino dell’Unione sarebbe dissuaso dal lasciare lo Stato membro di cui ha la cittadinanza al fine di avvalersi del suo diritto di soggiorno, ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 1, TFUE, in un altro Stato membro, per il fatto di non avere la certezza di poter proseguire nello Stato membro di origine una vita familiare sviluppata o consolidata, nel corso di un soggiorno effettivo nello Stato membro ospitante, con il suddetto cittadino di un paese terzo (v., in tal senso, sentenza del 12 luglio 2018, Banger, C‑89/17, EU:C:2018:570, punto 28 e giurisprudenza ivi citata).

53      Ne consegue che il diritto di soggiorno derivato, ai sensi di tale giurisprudenza, si fonda sul diritto, sancito all’articolo 21, paragrafo 1, TFUE, di una persona fisica, cittadino dell’Unione, di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. Orbene, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 36 delle sue conclusioni, tale diritto non riguarda le imprese che possono avvalersi della libertà di stabilimento o della libera prestazione dei servizi, sancite, rispettivamente, agli articoli 49 e 56 TFUE.

54      Inoltre, come sottolineato in sostanza dall’avvocato generale al paragrafo 37 delle sue conclusioni, i rapporti tra parenti di primo grado o tra persone che hanno sviluppato o consolidato relazioni analoghe che beneficiano tutti e tutte del diritto fondamentale al rispetto della vita privata e familiare, garantito dall’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, non sono paragonabili ai rapporti tra un’impresa e i suoi dipendenti. Pertanto, non si può dedurre, neppure per analogia, dalla giurisprudenza citata al punto 50 della presente sentenza che, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, a qualsiasi lavoratore cittadino di un paese terzo inviato da un’impresa in un altro Stato membro al fine di effettuarvi, in suo nome, una prestazione di servizi debba essere automaticamente riconosciuto un diritto di soggiorno in tale Stato membro per la durata di tale prestazione.

55      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che gli articoli 56 e 57 TFUE devono essere interpretati nel senso che ai lavoratori cittadini di paesi terzi distaccati in uno Stato membro da un prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro non deve essere automaticamente riconosciuto un «diritto di soggiorno derivato» o nello Stato membro in cui sono occupati o in quello in cui sono distaccati.

 Sulla seconda questione

56      Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 56 TFUE debba essere interpretato nel senso che osta ad una normativa di uno Stato membro la quale prevede che, nell’ipotesi in cui un’impresa stabilita in un altro Stato membro realizzi nel primo Stato membro una prestazione di servizi di durata superiore a tre mesi, tale impresa abbia l’obbligo non solo di notificare la prestazione di servizi alle autorità del primo Stato membro, ma anche di ottenere un permesso di soggiorno per ogni lavoratore cittadino di un paese terzo che essa intende distaccare in tale Stato membro.

57      Anzitutto, occorre ricordare che, da un lato, come risulta dalla risposta alla prima questione, l’esercizio, da parte di un datore di lavoro stabilito in uno Stato membro, del suo diritto alla libera prestazione dei servizi non fa sorgere, a favore dei lavoratori cittadini di paesi terzi che egli distacca a tal fine in un altro Stato membro, un diritto di soggiorno nel territorio di tale Stato membro che sia loro proprio. Di conseguenza, tale seconda questione deve essere esaminata tenendo conto unicamente degli effetti che una normativa, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, può produrre sul diritto alla libera prestazione dei servizi di cui gode tale datore di lavoro.

58      D’altro lato, sebbene, nella sua questione, il giudice del rinvio abbia fatto riferimento non solo all’obbligo, per il prestatore di servizi, di richiedere un permesso di soggiorno per ciascun lavoratore che intende distaccare, ma anche ad un obbligo, per l’impresa interessata, di notificare la prestazione di servizi, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale emerge che i dubbi del giudice del rinvio riguardano la compatibilità con l’articolo 56 TFUE non di tale secondo obbligo, considerato isolatamente, bensì dell’obbligo di ottenere un permesso di soggiorno in quanto quest’ultimo obbligo si aggiunge a quello di notificare la prestazione di servizi.

59      A questo proposito, occorre ricordare che la libera prestazione di servizi, garantita dagli articoli 56 e 57 TFUE, come le altre libertà di circolazione, si applica solo ai settori che non siano stati oggetto di un’armonizzazione esaustiva (v., in tal senso, sentenze del 1ºluglio 2014, Ålands Vindkraft, C‑573/12, EU:C:2014:2037, punto 57 e giurisprudenza ivi citata). Pertanto, al fine di rispondere alla questione sollevata dal giudice del rinvio, occorre anzitutto esaminare se una normativa come quella citata dal giudice del rinvio nella sua questione rientri in un settore che sia stato oggetto di un’armonizzazione esaustiva o, quantomeno, in un aspetto di un settore che sia stato oggetto di una siffatta armonizzazione.

60      Nel caso di specie, la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale verte sul diritto di soggiorno dei lavoratori dipendenti cittadini di un paese terzo, legalmente occupati in uno Stato membro, ma distaccati in un altro Stato membro al fine di realizzare una prestazione di servizi. Di conseguenza, nella misura in cui riguarda i lavoratori dipendenti distaccati nel territorio di un altro Stato membro, tale normativa può rientrare nell’ambito di applicazione della direttiva 96/71 e della direttiva 2006/123 nonché, nella misura in cui riguarda il diritto di soggiorno di cittadini di un paese terzo, nell’ambito di applicazione del regolamento n. 1030/2002, della direttiva 2003/109 e della CAAS.

61      Tuttavia, per quanto riguarda, anzitutto, la direttiva 96/71, se è vero che tale direttiva è suscettibile di applicarsi ai lavoratori distaccati cittadini di paesi terzi per quanto riguarda i diritti che essa prevede, resta nondimeno il fatto che, conformemente al suo considerando 20, tale direttiva non incide sulla legislazione nazionale relativa alle condizioni di ingresso, soggiorno e occupazione di lavoratori cittadini di paesi terzi.

62      Per quanto riguarda poi la direttiva 2006/123, è certamente pacifico che, qualora una prestazione di servizi rientri nell’ambito di applicazione di tale direttiva, non occorre esaminare la misura nazionale di cui trattasi alla luce dell’articolo 56 TFUE (v., in tal senso, sentenza del 21 dicembre 2023, AUTOTECHNICA FLEET SERVICES, C‑278/22, EU:C:2023:1026, punto 55). Tuttavia, dall’articolo 17, punto 9, di detta direttiva risulta che essa non si applica ai cittadini di paesi terzi che si spostano in un altro Stato membro nell’ambito di una prestazione di servizi.

63      Inoltre, sebbene il regolamento n. 1030/2002 abbia introdotto un modello uniforme per i titoli di soggiorno rilasciati ai cittadini di paesi terzi, dal testo dell’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), di tale regolamento risulta che i titoli così rilasciati da uno Stato membro sono validi solo nel territorio di tale Stato.

64      Analogamente, l’articolo 3, paragrafo 2, lettera e), della direttiva 2003/109 menziona espressamente che quest’ultima non si applica ai cittadini di paesi terzi che soggiornano unicamente per motivi di carattere temporaneo, ad esempio in quanto lavoratori dipendenti distaccati da un prestatore di servizi per fornire servizi transfrontalieri.

65      Quanto all’articolo 21, paragrafo 1, della CAAS, infine, esso prevede che gli stranieri titolari di un titolo di soggiorno rilasciato da uno degli Stati membri possano, purché tale titolo sia in corso di validità e siano in possesso di un documento di viaggio in corso di validità, circolare liberamente, per un periodo non superiore a 90 giorni su un periodo di 180 giorni, nel territorio degli altri Stati membri, purché soddisfino le condizioni d’ingresso di cui all’articolo 6, paragrafo 1, lettere a), c) ed e), del codice frontiere Schengen e non figurino nell’elenco nazionale delle segnalazioni dello Stato membro interessato. Per contro, i soggiorni superiori a 90 giorni su un periodo di 180 giorni continuano a essere di esclusiva competenza degli Stati membri (v., in tal senso, sentenza del 7 marzo 2017, X e X, C‑638/16 PPU, EU:C:2017:173, punti 44 e 51).

66      Ne discende che le questioni relative all’ingresso e al soggiorno dei cittadini di paesi terzi nel territorio di uno Stato membro, nell’ambito di un distacco effettuato da un’impresa prestatrice di servizi stabilita in un altro Stato membro, rientrano in un settore non armonizzato a livello di diritto dell’Unione e, di conseguenza, una normativa come quella oggetto del procedimento principale può essere valutata alla luce delle disposizioni dell’articolo 56 TFUE (v., per analogia, sentenza del 21 settembre 2006, Commissione/Austria, C‑168/04, EU:C:2006:595, punti 59 e 60).

67      Ai sensi dell’articolo 56 TFUE, sono vietate le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in uno Stato membro che non sia quello del destinatario della prestazione. Tali restrizioni comprendono, in particolare, le normative nazionali che comportano oneri amministrativi o economici aggiuntivi o che hanno l’effetto di rendere la prestazione di servizi tra Stati membri più difficile di quella puramente interna ad uno Stato membro (v., in tal senso, sentenza del 18 giugno 2019, Austria/Germania, C‑591/17, EU:C:2019:504, punti 135 e 136 nonché giurisprudenza ivi citata) e che, per tale motivo, possono rendere meno attrattive le attività dei prestatori di servizi stabiliti negli Stati membri in cui forniscono legalmente i loro servizi.

68      Per contro, conformemente all’articolo 57 TFUE, il diritto alla libera prestazione dei servizi comporta il diritto, per il prestatore, ai fini dell’esecuzione della sua prestazione, di esercitare, a titolo temporaneo, la sua attività nello Stato membro in cui la prestazione è fornita alle stesse condizioni imposte da tale Stato ai propri cittadini. Pertanto, in linea di principio, non rientrano nella nozione di restrizione le misure che incidono allo stesso modo sull’esecuzione della prestazione di servizi tra Stati membri e su quella interna ad uno Stato membro e il cui unico effetto è quello di aumentare i costi della prestazione in questione indipendentemente dal prestatore che la realizza (v., in tal senso, sentenza del 18 giugno 2019, Austria/Germania, C‑591/17, EU:C:2019:504, punto 137 e giurisprudenza ivi citata).

69      Ciò posto, per non privare di effetto utile l’articolo 56 TFUE, la normativa di uno Stato membro applicabile ai prestatori di servizi stabiliti in tale Stato membro non può essere applicata integralmente allo stesso modo alle attività transfrontaliere (v., in tal senso, sentenze del 17 dicembre 1981, Webb, C‑279/80, EU:C:1981:314, punto 16; del 25 luglio 1991, Säger, C‑76/90, EU:C:1991:331, punto 13; e del 24 gennaio 2022, Portugaia Construções, causa C‑164/99, EU:C:2002:40, punto 17).

70      Di conseguenza, devono essere considerate come costitutive di restrizioni alla libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione le misure che incidono sull’esecuzione delle prestazioni di servizi nel territorio di uno Stato membro che, pur essendo indistintamente applicabili, non tengono conto dei requisiti cui le attività dei prestatori di servizi stabiliti in un altro Stato membro, ove forniscono legittimamente servizi analoghi, sono già soggette in tale Stato e che, a tale titolo, sono tali da vietare, ostacolare o rendere meno attrattive le attività di tali prestatori nel suddetto territorio.

71      Nel caso di specie, è vero che la normativa di cui trattasi, che incide sull’esecuzione delle prestazioni di servizi nel territorio nazionale, deve essere considerata indistintamente applicabile, in quanto assoggetta non solo i prestatori di servizi stabiliti in un altro Stato membro, ma anche quelli stabiliti nel territorio nazionale all’obbligo di assicurarsi che i lavoratori cittadini di paesi terzi, da essi impiegati, siano in possesso di un permesso di soggiorno.

72      Rimane nondimeno il fatto che, nell’ipotesi in cui la durata delle prestazioni di servizi effettuate dalle imprese stabilite in un altro Stato membro superi i tre mesi, tale normativa imponga a tali imprese l’adempimento di formalità supplementari rispetto a quelle alle quali, conformemente alla direttiva 2009/52, esse sono già sottoposte dallo Stato membro in cui sono stabilite per impiegare, ai fini della loro attività, cittadini di paesi terzi.

73      Avendo così l’effetto di rendere la prestazione di servizi tra Stati membri più difficile di quella puramente interna ad uno Stato membro, si deve ritenere che una siffatta normativa introduca una restrizione della libera prestazione dei servizi, ai sensi degli articoli 56 e 57 TFUE, anche qualora i prestatori di servizi stabiliti nel territorio nazionale abbiano anch’essi l’obbligo di richiedere un permesso di soggiorno per assumere lavoratori cittadini di paesi terzi al fine di realizzare un’analoga prestazione di servizi in tale territorio.

74      Secondo una giurisprudenza costante, una normativa nazionale indistintamente applicabile può essere giustificata, nonostante l’effetto restrittivo sulla libera prestazione dei servizi da essa prodotto, se persegue un motivo imperativo di interesse generale (v., in tal senso, sentenza del 24 gennaio 2002, Portugaia Construções, C‑164/99, EU:C:2002:40, punto 19).

75      Una siffatta giustificazione può tuttavia essere ammessa solo qualora, da un lato, l’interesse che la normativa di cui trattasi mira a tutelare non sia già tutelato da norme cui il prestatore è soggetto nello Stato membro in cui è stabilito (sentenze dell’11 settembre 2014, Essent Energie Productie, C‑91/13, EU:C:2014:2206, punto 48; del 10 marzo 2016, Safe Interenvíos, C‑235/14, EU:C:2016:154, punto 100, nonché del 14 novembre 2018, Danieli & C. Officine Meccaniche e a., C‑18/17, EU:C:2018:904, punto 46).

76      D’altro lato, conformemente al principio di proporzionalità, tale normativa deve essere idonea a conseguire l’obiettivo che persegue, il che implica che essa risponda effettivamente alla preoccupazione di raggiungere tale obiettivo in modo coerente e sistematico (sentenza del 14 novembre 2018, Memoria e Dall’Antonia, C‑342/17, EU:C:2018:906, punto 52), e non deve andare oltre quanto necessario per raggiungere tale obiettivo (sentenza del 21 settembre 2006, Commissione/Austria, C‑168/04, EU:C:2006:595, punto 37).

77      Nel caso di specie, dal fascicolo di cui dispone la Corte risulta che il governo dei Paesi Bassi ha addotto quattro giustificazioni, che riguardano, in primo luogo, la necessità di tutelare l’accesso al mercato del lavoro nazionale, in secondo luogo, la necessità di verificare se un prestatore di servizi stabilito in uno Stato membro diverso da quello in cui viene prestato il servizio non utilizzi la libera prestazione di servizi per uno scopo diverso dalla prestazione stessa, in terzo luogo, il rispetto del diritto alla certezza del diritto dei lavoratori distaccati, in quanto il rilascio, a questi ultimi, di un documento di soggiorno consentirebbe loro di dimostrare che non soggiornano illegalmente nel territorio dello Stato membro in cui sono distaccati e, in quarto luogo, la necessità di verificare che il lavoratore distaccato non rappresenti una minaccia per l’ordine pubblico.

78      Per quanto riguarda, in primo luogo, la tutela dell’accesso al mercato del lavoro nazionale, certamente la preoccupazione di evitare perturbazioni del mercato del lavoro costituisce un motivo imperativo di interesse generale (v., in tal senso, sentenza del 14 novembre 2018, Danieli & C. Officine Meccaniche e a., C‑18/17, EU:C:2018:904, punto 48 e giurisprudenza ivi citata), purché tale preoccupazione sia espressa nei confronti non dei lavoratori degli Stati membri, i quali godono, a norma dell’articolo 45, paragrafo 3, lettera c), TFUE, del diritto, fatte salve le limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e sanità pubblica, di soggiornare in un altro Stato membro per lavorarvi, bensì nei confronti dei cittadini di paesi terzi.

79      Tuttavia, occorre rilevare che non si può, in ogni caso, ritenere che persegua in modo coerente un siffatto obiettivo una normativa nazionale che si applica nei confronti non solo dei cittadini di paesi terzi distaccati, temporaneamente, al fine di svolgere, nell’ambito di un’operazione di collocamento o di messa a disposizione di lavoratori, i compiti loro affidati sotto il controllo e l’autorità di un’impresa stabilita nello Stato membro ospitante, ma anche, come nel procedimento principale, nei confronti dei cittadini di paesi terzi distaccati dall’impresa prestatrice di servizi stabilita in un altro Stato membro al fine di effettuare, sotto il suo controllo e la sua autorità, una prestazione di servizi diversa dalla somministrazione di manodopera.

80      Infatti, mentre, i lavoratori interessati da un’operazione di collocamento o di messa a disposizione di manodopera sono attivi sul mercato del lavoro dello Stato membro in cui sono a tal fine distaccati, quelli distaccati al fine di eseguire, sotto il controllo e l’autorità del loro datore di lavoro, una prestazione diversa dalla somministrazione di manodopera non intendono accedere a tale mercato poiché i compiti che eseguono lo sono sotto il controllo e l’autorità del loro datore di lavoro e fanno ritorno nel loro paese di origine o di residenza dopo l’espletamento della loro missione (v., in tal senso, sentenza del 14 novembre 2018, Danieli & C. Officine Meccaniche e a., C‑18/17, EU:C:2018:904, punto 48 e giurisprudenza ivi citata).

81      Date siffatte circostanze, la restrizione della libera prestazione di servizi di cui al punto 73 della presente sentenza non può essere giustificata dal motivo imperativo di interesse pubblico di evitare perturbazioni sul mercato del lavoro.

82      Per quanto riguarda, in secondo luogo, la necessità di verificare se le imprese stabilite in uno Stato membro diverso da quello in cui forniscono la loro prestazione non utilizzino la libera prestazione di servizi per uno scopo diverso dalla realizzazione di tale prestazione, la Corte ha già ammesso che uno Stato membro possa verificare che tali imprese non utilizzino la libertà di prestazione di servizi per uno scopo diverso dalla realizzazione della prestazione in questione, ad esempio per far venire il loro personale ai fini del collocamento o della messa a disposizione di lavoratori (sentenza del 21 settembre 2006, Commissione/Austria, C‑168/04, EU:C:2006:595, punto 56), anche se la libera circolazione dei lavoratori, quale garantita dall’articolo 45 TFUE, si applica solo ai lavoratori degli Stati membri.

83      Tuttavia, la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale richiede già ai prestatori di servizi stabiliti in un altro Stato membro di notificare alle autorità nazionali la prestazione di servizi e, in tale occasione, come risulta dal fascicolo di cui dispone la Corte, l’identità dei lavoratori che intendono distaccare, nonché la natura e la durata dell’attività. Orbene, tale obbligo, che, se necessario, potrebbe essere rafforzato dall’obbligo di fornire altre informazioni purché, ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2014/67, esse siano giustificate e proporzionate, offre già alle dette autorità garanzie quanto alla regolarità della presenza nel loro territorio dei lavoratori ivi distaccati e, pertanto, dell’esercizio da parte delle imprese interessate del loro diritto alla libera prestazione dei servizi, e ciò in modo meno restrittivo e altrettanto efficace dell’obbligo del permesso di soggiorno (v., per analogia, sentenze del 21 settembre 2006, Commissione/Austria, C‑168/04, EU:C:2006:595, punto 52, e del 14 novembre 2018, Danieli & C. Officine Meccaniche e a., C‑18/17, EU:C:2018:904, punto 50).

84      Di conseguenza, la restrizione della libera prestazione di servizi, di cui al punto 73 della presente sentenza, non può essere giustificata nemmeno dal motivo imperativo di interesse generale di verificare se le imprese, stabilite in uno Stato membro diverso da quello in cui realizzano la loro prestazione, non utilizzino la libera prestazione di servizi per uno scopo diverso dalla realizzazione della summenzionata prestazione.

85      Per quanto riguarda, in terzo luogo, il fatto di garantire la certezza del diritto dei lavoratori distaccati consentendo loro di dimostrare più facilmente che sono distaccati nel territorio dello Stato membro in cui viene effettuata la prestazione di servizi in condizioni di legalità e, pertanto, che vi soggiornano regolarmente, occorre riconoscere che tale obiettivo costituisce un motivo imperativo di interesse generale (v., in tal senso, sentenza del 19 gennaio 2006, Commissione/Germania, C‑244/04, EU:C:2006:49, punti da 47 a 49).

86      Orbene, occorre altresì rilevare, per quanto riguarda la proporzionalità di una siffatta misura, che, da un lato, obbligare i prestatori di servizi stabiliti in uno Stato membro diverso da quello in cui effettuano la loro prestazione a chiedere un permesso di soggiorno per ciascun lavoratore cittadino di un paese terzo che tali prestatori intendono distaccare, affinché essi dispongano materialmente di un documento di sicurezza, costituisce una misura idonea a realizzare gli obiettivi di miglioramento della certezza del diritto per i lavoratori distaccati. Infatti, tale permesso, che deve essere redatto, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, e dell’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento n. 1030/2002, sulla base del modello uniforme ivi previsto e delle prescrizioni tecniche complementari adottate secondo la procedura prevista da tale regolamento, garantisce il riconoscimento da parte dell’autorità pubblica del diritto di soggiorno nel territorio nazionale per un cittadino straniero maggiorenne e dimostra che i lavoratori distaccati hanno un diritto di soggiorno nello Stato membro ospitante.

87      È vero che questi lavoratori, in linea di principio, dispongono già di un permesso unico, ai sensi della direttiva 2011/98, rilasciato sulla base del modello uniforme previsto dal regolamento n. 1030/2002, che, conformemente all’articolo 6, paragrafo 1, di tale direttiva, contiene informazioni relative all’autorizzazione a lavorare di cui godono nello Stato membro in cui è stabilito il loro datore di lavoro. In caso contrario, essi dispongono di un titolo di soggiorno rilasciato per motivi diversi dall’attività lavorativa, previsto dall’articolo 7, paragrafo 1, di tale direttiva, rilasciato ai sensi del regolamento n. 1030/2002 e sul quale è indicato che sono autorizzati a lavorare nello Stato membro in cui è stabilito il loro datore di lavoro. Orbene, dall’articolo 2 di tale regolamento risulta che i documenti emessi sulla base del modello uniforme previsto da detto regolamento rispettano norme rafforzate di prevenzione contro il rischio di contraffazione e di falsificazione.

88      Tuttavia, dato che il legislatore dell’Unione ha espressamente previsto, da un lato, all’articolo 3, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2011/98, che quest’ultima non si applica ai cittadini di paesi terzi distaccati durante il periodo del loro distacco e, dall’altro, all’articolo 1, paragrafo 2, del regolamento n. 1030/2002, che i permessi di soggiorno rilasciati conformemente a quest’ultimo valgono solo per il territorio dello Stato membro che l’ha emesso, non si può contestare agli altri Stati membri di esigere dai lavoratori distaccati, cittadini di paesi terzi, che essi ottengano un documento di sicurezza rilasciato dai propri servizi. D’altronde, la circostanza che un lavoratore cittadino di un paese terzo disponga di un permesso di soggiorno e di un permesso di lavoro in uno Stato membro non implica necessariamente che tale lavoratore possa risiedere in un altro Stato membro, anche se vi è distaccato a fini di una prestazione di servizi, in quanto quest’ultimo Stato membro può subordinare tale distacco al rispetto di determinati requisiti, purché siano soddisfatte le condizioni indicate ai punti da 74 a 76 della presente sentenza.

89      Dall’altro, la normativa di cui trattasi nel procedimento principale non sembra andare oltre quanto necessario per raggiungere l’obiettivo individuato al punto 85 della presente sentenza. Infatti, secondo le indicazioni del giudice del rinvio, tale normativa si limita ad esigere dai prestatori di servizi, al fine di ottenere un permesso di soggiorno per i lavoratori cittadini di paesi terzi che intendano distaccare per oltre tre mesi, che essi abbiano previamente notificato la prestazione di servizi di cui trattasi alle autorità competenti e che abbiano comunicato loro i permessi di soggiorno di cui dispongono tali lavoratori nello Stato membro in cui sono stabiliti, nonché il loro contratto di lavoro.

90      Orbene, l’obbligo di previa notifica della prestazione di servizi fa parte di quelli il cui rispetto può essere richiesto da uno Stato membro quando un prestatore di servizi intende esercitare il suo diritto alla libera prestazione di servizi, mentre l’obbligo di comunicare i permessi di soggiorno e i contratti di lavoro dei lavoratori distaccati è necessario al fine di verificare se i lavoratori interessati possano essere considerati distaccati in condizioni di legalità e, a tale titolo, partecipanti alla prestazione di servizi di cui trattasi.

91      In particolare, la Corte ha già avuto modo di dichiarare che uno Stato membro può esigere che i prestatori di servizi stabiliti in un altro Stato membro gli notifichino le prestazioni di servizi che intendono effettuare nel suo territorio e, in tale occasione, gli forniscano i documenti necessari per verificare la regolarità della situazione dei lavoratori che intendono distaccare in tale occasione, in particolare per quanto riguarda le condizioni di soggiorno, i permessi di lavoro e la copertura sociale, nello Stato membro in cui tale impresa li impiega (v., in tal senso, sentenza del 19 gennaio 2006, Commissione/Germania, C‑244/04, EU:C:2006:49, punti 40 e 41 nonché giurisprudenza ivi citata).

92      Pertanto, una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale può essere giustificata dall’obiettivo di migliorare la certezza del diritto dei lavoratori distaccati e di agevolare i controlli dell’amministrazione e deve essere considerata proporzionata, tenuto conto delle condizioni di rilascio dei permessi di soggiorno descritte dal giudice del rinvio.

93      Per quanto riguarda, in quarto luogo, la giustificazione vertente sulla necessità di controllare che il lavoratore interessato non rappresenti una minaccia per l’ordine pubblico, si può rilevare, anzitutto, che l’articolo 52, paragrafo 1, TFUE, al quale rinvia l’articolo 62 TFUE, si riferisce espressamente alla tutela dell’ordine pubblico come motivo idoneo a giustificare una restrizione della libera prestazione dei servizi.

94      Certamente, secondo una giurisprudenza costante, i motivi di ordine pubblico possono essere invocati soltanto in caso di minaccia effettiva ed abbastanza grave ad uno degli interessi fondamentali della collettività e non possono inoltre essere utilizzati a fini puramente economici (v., per analogia, sentenza del 2 marzo 2023, PrivatBank e a., C‑78/21, EU:C:2023:137, punto 62).

95      Tuttavia, resta nondimeno il fatto che deve essere possibile, per gli Stati membri, procedere a un siffatto controllo. Pertanto, l’obiettivo relativo alla necessità di controllare che il lavoratore interessato non rappresenti una minaccia per l’ordine pubblico deve essere considerato idoneo a giustificare una restrizione della libera prestazione dei servizi.

96      Per quanto riguarda la conformità, alla luce del principio di proporzionalità, di una misura consistente nell’imporre alle imprese stabilite in un altro Stato membro di chiedere e ottenere un permesso di soggiorno per ogni lavoratore cittadino di un paese terzo che esse intendono distaccare in tale Stato membro ospitante per effettuare una prestazione di servizi di durata superiore a tre mesi, a parte il fatto che tale obbligo risulta idoneo a raggiungere tale obiettivo, non si può ritenere che vada oltre quanto necessario a tal fine, a condizione che porti a negare il soggiorno solo alle persone che rappresentano una minaccia reale e sufficientemente grave per un interesse fondamentale della società (v., in tal senso, sentenze del 21 gennaio 2010, Commissione/Germania, C‑546/07, EU:C:2010:25, punto 49, nonché del 14 febbraio 2019, Milivojević, C‑630/17, EU:C:2019:123, punto 67).

97      Tale interpretazione non è messa in discussione né dall’eventuale esistenza di requisiti analoghi nello Stato membro in cui il prestatore di servizi è stabilito, né dalla possibilità, evidenziata nella sentenza del 21 settembre 2006, Commissione/Austria (C‑168/04, EU:C:2006:595, punto 66), di verificare l’assenza di una minaccia per l’ordine pubblico sulla base delle informazioni ottenute durante la procedura di notifica.

98      È vero che il rilascio di un permesso di soggiorno a lavoratori cittadini di paesi terzi ha potuto essere già sottoposto, nello Stato membro in cui ha sede l’impresa che intende procedere al loro distacco, ad un controllo dell’assenza di rischi di pregiudizio all’ordine pubblico. Tuttavia, la valutazione della minaccia che una persona può rappresentare per l’ordine pubblico può variare da un paese all’altro e da un momento all’altro (v., in tal senso, sentenza del 27 ottobre 1977, Bouchereau, 30/77, EU:C:1977:172, punto 34), l’esistenza di un siffatto controllo non può rendere irrilevante una verifica da parte dello Stato membro in cui la prestazione di servizi deve essere realizzata, volta ad accertare che il soggiorno dell’interessato nel suo territorio non comporti un rischio di pregiudizio per il proprio ordine pubblico, anche se, ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 1, della CAAS, un siffatto controllo viene effettuato solo dopo un periodo di tre mesi.

99      Per quanto riguarda la sentenza del 21 settembre 2006, Commissione/Austria (C‑168/04, EU:C:2006:595, punto 66), la Corte ha ritenuto che la tutela dell’ordine pubblico non potesse giustificare una norma che escludeva qualsiasi possibilità di regolarizzare lavoratori distaccati cittadini di Paesi terzi in caso di ingresso illegale nel territorio dello Stato membro ospitante, in quanto, grazie alle informazioni fornite nel contesto della dichiarazione che precede il distacco, le autorità nazionali competenti potevano già adottare, caso per caso, le misure necessarie qualora fosse emerso che il lavoratore cittadino di un paese terzo di cui era previsto il distacco rappresentava una minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza pubblica, prima che questi entrasse nel territorio nazionale.

100    Tuttavia, in tale sentenza, la Corte non ha dichiarato che il requisito per il lavoratore distaccato di disporre di un permesso di soggiorno rilasciato dallo Stato membro ospitante era, di per sé, contrario al diritto dell’Unione. Infatti, un siffatto requisito, potendo consentire a uno Stato membro di raccogliere o di verificare informazioni che, nell’ambito della procedura di notifica, non potrebbero esserlo, conserva un interesse specifico alla luce dell’obiettivo di prevenzione delle minacce di pregiudizio all’ordine pubblico, il quale mira in particolare a realizzare diversi obblighi positivi a carico dei poteri pubblici che possono derivare dai diritti garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

101    In particolare, a differenza della procedura di notifica che si basa su un controllo sulla base delle informazioni ricevute o già detenute, la procedura di permesso di soggiorno, nei limiti in cui richiede che l’interessato si presenti fisicamente nei locali di un’autorità competente, è idonea a consentire una verifica approfondita dell’identità di quest’ultimo, la quale riveste, in materia di lotta contro le minacce di pregiudizio all’ordine pubblico, un’importanza del tutto particolare.

102    Di conseguenza, si deve considerare che l’obiettivo di tutela dell’ordine pubblico può giustificare il fatto che uno Stato membro esiga dai prestatori di servizi stabiliti in un altro Stato membro che intendano distaccare lavoratori cittadini di paesi terzi di ottenere, decorso un periodo di soggiorno di tre mesi nel primo Stato membro, un permesso di soggiorno per ciascuno di tali lavoratori e che, in tale occasione, detto Stato membro sottoponga il rilascio di un siffatto permesso alla verifica che l’interessato non rappresenti una minaccia per l’ordine pubblico e la pubblica sicurezza, nei limiti in cui i controlli effettuati a tal fine non potevano esserlo, in modo affidabile, sulla base delle informazioni di cui detto Stato membro esige o avrebbe potuto ragionevolmente esigere la comunicazione nel corso della procedura di notifica, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.

103    Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, occorre rispondere alla seconda questione dichiarando che l’articolo 56 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa di uno Stato membro la quale preveda che, nell’ipotesi in cui un’impresa stabilita in un altro Stato membro realizzi nel primo Stato membro una prestazione di servizi di durata superiore a tre mesi, tale impresa abbia l’obbligo di ottenere nello Stato membro ospitante un permesso di soggiorno per ciascun lavoratore cittadino di un paese terzo che essa intende distaccarvi e che, al fine di ottenere tale permesso, essa notifichi preventivamente la prestazione di servizi per la cui realizzazione tali lavoratori devono essere distaccati e comunichi alle autorità dello Stato membro ospitante i permessi di soggiorno di cui essi dispongono nello Stato membro in cui è stabilita nonché il loro contratto di lavoro.

 Sulla terza questione

 Sulla ricevibilità

104    Il governo dei Paesi Bassi rileva che, nel procedimento principale, il prestatore di servizi ha ottenuto permessi di soggiorno validi fino alla data di fine della prestazione di servizi controversa, ossia il 31 dicembre 2021. Pertanto, tale governo si chiede in quale misura il giudice del rinvio abbia realmente bisogno, per risolvere la controversia di cui trattasi nel procedimento principale, di una risposta alla terza questione.

105    Al riguardo occorre ricordare che, secondo costante giurisprudenza, nell’ambito del procedimento di cui all’articolo 267 TFUE, basato sulla netta separazione delle funzioni tra i giudici nazionali e la Corte, spetta esclusivamente al giudice nazionale accertare e valutare i fatti del procedimento principale nonché interpretare e applicare il diritto nazionale. Parimenti spetta esclusivamente al giudice nazionale, investito della controversia e che deve assumere la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze della controversia, sia la necessità sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, quando le questioni sollevate riguardano l’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta a pronunciarsi [sentenze del 7 agosto 2018, Banco Santander e Escobedo Cortés, C‑96/16 e C‑94/17, EU:C:2018:643, punto 50, e del 24 novembre 2022, Varhoven administrativen sad (Abrogazione della disposizione contestata), C‑289/21, EU:C:2022:920, punto 24].

106    Ne consegue che la presunzione di rilevanza delle questioni pregiudiziali sollevate dai giudici nazionali può essere disattesa solo in casi eccezionali (v., in tal senso, sentenza del 16 giugno 2005, Pupino, C‑105/03, EU:C:2005:386, punto 30). Pertanto, la Corte può rifiutare di pronunciarsi su una questione pregiudiziale posta da un giudice nazionale solo qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcuna relazione con la realtà effettiva o con l’oggetto del procedimento principale, qualora il problema sia di natura ipotetica oppure, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una risposta utile alle questioni che le vengono sottoposte (sentenza del 24 luglio 2023, Lin, C‑107/23 PPU, EU:C:2023:606, punto 62).

107    Nel caso di specie, si deve anzitutto rilevare che i dubbi espressi dal governo dei Paesi Bassi vertono unicamente sulla rilevanza, ai fini della soluzione della controversia principale, di una delle caratteristiche della normativa considerata dal giudice del rinvio nella sua questione, la quale attiene al fatto che la durata di validità dei permessi di soggiorno non può eccedere i due anni.

108    Orbene, a tal riguardo, è vero che l’IND, agendo in nome del Segretario di Stato, ha rilasciato ai ricorrenti nel procedimento principale interessati permessi di soggiorno validi fino alla data di cessazione dell’attività di cui trattasi, quale notificata alle autorità competenti, ossia il 31 dicembre 2021. Ciò premesso, è pacifico che i ricorrenti nel procedimento principale contestano la durata del loro permesso di soggiorno. Orbene, oltre al fatto che non spetta alla Corte pronunciarsi sulle condizioni di ricevibilità di tali ricorsi nel diritto olandese, risulta dal fascicolo che il loro datore di lavoro doveva poi realizzare un’altra prestazione di servizi nei Paesi Bassi e che, così facendo, hanno dovuto essere presentate nuove domande di permesso, per le quali sono stati nuovamente richieste spese amministrative.

109    Atteso che, se i ricorrenti nel procedimento principale avessero ottenuto permessi di soggiorno di durata più lunga, non si può escludere che il versamento di tali spese avrebbe potuto essere evitato, non risulta in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non abbia alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto del procedimento principale o che il problema sia di natura ipotetica.

110    Inoltre, poiché la Corte dispone di tutti gli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile alla questione sottopostale, occorre dichiarare la terza questione ricevibile nella sua interezza.

 Nel merito

111    Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 56 TFUE osti ad una normativa nazionale di uno Stato membro in forza della quale, in primo luogo, la validità del permesso di soggiorno che può essere concesso a un lavoratore cittadino di un paese terzo distaccato in tale Stato membro non può, in ogni caso, eccedere una durata determinata dalla normativa nazionale di cui trattasi, la quale può quindi essere inferiore a quella necessaria ai fini della realizzazione della prestazione per la quale tale lavoratore è distaccato, in secondo luogo, la durata di validità di tale permesso di soggiorno è limitata a quella del permesso di lavoro e di soggiorno di cui dispone l’interessato nello Stato membro in cui è stabilito il prestatore di servizi, in terzo luogo, il rilascio di detto permesso di soggiorno richiede il versamento di diritti di importo superiore a quello dei diritti dovuti per il rilascio di un certificato di soggiorno regolare a un cittadino dell’Unione.

112    A tal riguardo, per quanto riguarda, anzitutto, la circostanza che la durata di validità dei permessi di soggiorno che possono essere rilasciati non può eccedere la stessa durata fissata dalla normativa nazionale di cui trattasi, dalla giurisprudenza della Corte risulta che la nozione di «servizio», ai sensi del Trattato FUE, può ricomprendere servizi di natura molto diversa, ivi compresi servizi che un operatore economico stabilito in uno Stato membro fornisce in modo più o meno frequente o regolare, anche per un periodo prolungato, a persone stabilite in uno o più altri Stati membri (sentenza del 2 settembre 2021, Institut des Experts en Automobiles, C‑502/20, EU:C:2021:678, punto 35 e giurisprudenza ivi citata). Pertanto, non si può escludere che la prestazione di servizi in uno Stato membro, effettuata da un prestatore stabilito in un altro Stato membro con personale distaccato da tale altro Stato membro, superi la durata massima di validità che può essere concessa ad un permesso di soggiorno previsto dalla normativa nazionale.

113    Ciò posto, resta il fatto che, per rientrare nella libera prestazione di servizi garantita dall’articolo 56 TFUE, il prestatore che trasferisce personale in regime di libera prestazione di servizi può farlo solo su base temporanea (sentenza del 22 novembre 2018, Vorarlberger Landes- und Hypothekenbank, C‑625/17, EU:C:2018:939, punto 36 e giurisprudenza ivi citata) e, di conseguenza, gli Stati membri devono poter associare un periodo di validità ai permessi di soggiorno che concedono ai lavoratori di paesi terzi distaccati nel loro territorio.

114    È vero che l’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2014/67 prevede che gli Stati membri possano esigere dai prestatori di servizi stabiliti in un altro Stato membro che essi notifichino alle autorità nazionali la prestazione di servizi e, in tale occasione, l’identità dei lavoratori che intendono distaccare, nonché la natura e la durata dell’attività. Pertanto, tale disposizione offre a tali autorità, al momento della suddetta notifica, la possibilità di valutare i compiti che devono essere svolti durante tale distacco e il tempo necessario al loro assolvimento.

115    Tuttavia, anche qualora uno Stato membro si sia avvalso di tale facoltà, il fatto di prevedere che la validità dei permessi di soggiorno concessi, ad ogni modo, non possa eccedere una certa durata, la quale è determinata dalla normativa nazionale di cui trattasi, non risulta, di per sé, contrario al diritto dell’Unione, sebbene tale durata possa quindi essere inferiore a quella necessaria ai fini della realizzazione della prestazione per la quale tali lavoratori sono distaccati. Infatti, per giurisprudenza costante, una misura nazionale che non ha lo scopo di disciplinare le condizioni relative all’esercizio della prestazione dei servizi delle imprese interessate e i cui effetti restrittivi che essa potrebbe produrre sulla libera prestazione dei servizi sono troppo aleatori e troppo indiretti perché possa essere considerata idonea ad ostacolare tale libertà, non contrasta con il divieto sancito dall’articolo 56 TFUE (sentenza del 27 ottobre 2022, Instituto do Cinema e do Audiovisual, C‑411/21, EU:C:2022:836, punto 29).

116    Orbene, il fatto di prevedere che la validità dei permessi rilasciati dallo Stato membro ospitante non possa, in ogni caso, eccedere una certa durata, non ha né lo scopo di disciplinare le condizioni di esercizio del diritto alla libera prestazione di servizi delle imprese stabilite in un altro Stato membro, poiché tale limite è applicabile anche alle imprese di tale Stato membro che impiegano cittadini di paesi terzi, né è tale da vietare, ostacolare o rendere meno attrattivo l’esercizio, da parte del datore di lavoro, del suo diritto alla libera prestazione dei servizi in maniera sufficientemente certa e diretta rispetto al caso in cui tale periodo iniziale di validità sia manifestamente troppo breve per soddisfare le esigenze della maggior parte dei prestatori di servizi o qualora, in ogni caso, sia possibile ottenerne il rinnovo solo adempiendo formalità eccessive.

117    Per quanto riguarda, poi, il fatto che i permessi di soggiorno che possono essere rilasciati, da uno Stato membro, ai lavoratori cittadini di paesi terzi distaccati in tale Stato membro da un prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro non possono avere una durata di validità superiore a quella dei permessi di lavoro detenuti dagli interessati in quest’altro Stato membro, va ricordato che la libera prestazione dei servizi, garantita dall’articolo 56 TFUE, può essere invocata solo dai prestatori di servizi stabiliti in uno Stato membro diverso da quello in cui la prestazione deve essere eseguita, in cui forniscano legalmente servizi analoghi (v., in tal senso, sentenza del 10 marzo 2016, Safe Interenvíos, C‑235/14, EU:C:2016:154, punto 98).

118    Poiché un prestatore di servizi può fornire legalmente i suoi servizi nello Stato membro in cui è stabilito e, di conseguenza, beneficiare della libera prestazione dei servizi solo se i lavoratori alle sue dipendenze lo sono conformemente al diritto di tale Stato membro, il fatto che uno Stato membro limiti la durata di validità dei permessi di soggiorno che esso rilascia ai cittadini di paesi terzi distaccati nel suo territorio alla durata dei permessi di lavoro che questi ultimi possiedono nello Stato membro in cui è stabilito tale prestatore non può essere considerato una violazione del diritto alla libera prestazione dei servizi di quest’ultimo.

119    Per quanto riguarda, infine, il fatto che i diritti dovuti per il rilascio di un permesso di soggiorno ad un lavoratore cittadino di un paese terzo distaccato in uno Stato membro da un’impresa stabilita in un altro Stato membro, pur essendo di importo pari a quello dei diritti dovuti in forza di un permesso di soggiorno regolare ai fini dell’esercizio di un’attività lavorativa da parte di un cittadino di un paese terzo, sono superiori all’importo dei diritti dovuti per il rilascio di un certificato di soggiorno ad un cittadino dell’Unione, secondo costante giurisprudenza, conformemente al principio di proporzionalità, affinché una misura che esige il pagamento di diritti in cambio del rilascio, da parte di uno Stato membro, di un permesso di soggiorno possa essere considerata compatibile con l’articolo 56 TFUE, l’importo di tali diritti non può essere eccessivo o irragionevole (v., per analogia, sentenza del 22 gennaio 2002, Canal Satélite Digital, C‑390/99, EU:C:2002:34, punto 42).

120    Ciò premesso, resta nondimeno il fatto che il carattere eccessivo o irragionevole e, di conseguenza, sproporzionato dell’importo dei diritti dovuti deve essere valutato alla luce del costo generato dal trattamento di tale domanda e che lo Stato membro interessato deve quindi sopportare.

121    Di conseguenza, la circostanza che i diritti richiesti per l’emissione di un permesso di soggiorno a favore di un lavoratore distaccato cittadino di un paese terzo siano superiori a quelli richiesti per un certificato di soggiorno per un cittadino dell’Unione non può, in linea di principio, essere sufficiente a dimostrare di per sé che l’importo di tali diritti sia eccessivo o irragionevole e, di conseguenza, violi l’articolo 56 TFUE, ma può costituire un indizio serio del carattere sproporzionato di tale importo, se i compiti che l’amministrazione deve assolvere per concedere un siffatto permesso di soggiorno, alla luce, in particolare, delle condizioni poste dalla normativa nazionale in questione a tal fine, nonché dei costi di fabbricazione del corrispondente documento di sicurezza, sono equivalenti a quelli necessari per il rilascio di un certificato di soggiorno per un cittadino dell’Unione, circostanza che spetta al giudice del rinvio determinare.

122    Alla luce di tutto quanto precede, occorre rispondere alla terza questione dichiarando che l’articolo 56 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa di uno Stato membro in forza della quale, in primo luogo, la validità del permesso di soggiorno che può essere rilasciato a un lavoratore cittadino di un paese terzo distaccato in tale Stato membro, ad ogni modo, non può eccedere una durata determinata dalla normativa nazionale di cui trattasi, la quale può quindi essere inferiore a quella necessaria ai fini della realizzazione della prestazione per la quale tale lavoratore è distaccato, in secondo luogo, la durata di validità di tale permesso di soggiorno è limitata a quella del permesso di lavoro e di soggiorno di cui dispone l’interessato nello Stato membro in cui è stabilito il prestatore di servizi e, in terzo luogo, il rilascio di detto permesso di soggiorno richiede il versamento di diritti di importo superiore a quello dei diritti dovuti per il rilascio di un certificato di soggiorno regolare a un cittadino dell’Unione, purché, anzitutto, la durata iniziale di validità dello stesso permesso non sia manifestamente troppo breve per soddisfare le esigenze della maggior parte dei prestatori di servizi, inoltre, sia possibile ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno senza dover adempiere formalità eccessive e, infine, tale importo corrisponda approssimativamente al costo amministrativo generato dal trattamento di una domanda di rilascio di un siffatto permesso.

 Sulle spese

123    Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara:

1)      Gli articoli 56 e 57 TFUE devono essere interpretati nel senso che ai lavoratori cittadini di paesi terzi distaccati in uno Stato membro da un prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro non deve essere automaticamente riconosciuto un «diritto di soggiorno derivato» né nello Stato membro in cui sono occupati né in quello in cui sono distaccati.

2)      L’articolo 56 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa di uno Stato membro la quale preveda che, nell’ipotesi in cui un’impresa stabilita in un altro Stato membro realizzi nel primo Stato membro una prestazione di servizi di durata superiore a tre mesi, tale impresa abbia l’obbligo di ottenere nello Stato membro ospitante un permesso di soggiorno per ciascun lavoratore cittadino di un paese terzo che essa intende distaccarvi e che, al fine di ottenere tale permesso, essa notifichi preventivamente la prestazione di servizi per la cui realizzazione tali lavoratori devono essere distaccati e comunichi alle autorità dello Stato membro ospitante i permessi di soggiorno di cui essi dispongono nello Stato membro in cui è stabilita nonché il loro contratto di lavoro.

3)      L’articolo 56 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa di uno Stato membro in forza della quale, in primo luogo, la validità del permesso di soggiorno che può essere rilasciato a un lavoratore cittadino di un paese terzo distaccato in tale Stato membro, ad ogni modo, non può eccedere una durata determinata dalla normativa nazionale di cui trattasi, la quale può quindi essere inferiore a quella necessaria ai fini della realizzazione della prestazione per la quale tale lavoratore è distaccato, in secondo luogo, la durata di validità di tale permesso di soggiorno è limitata a quella del permesso di lavoro e di soggiorno di cui dispone l’interessato nello Stato membro in cui è stabilito il prestatore di servizi e, in terzo luogo, il rilascio di detto permesso di soggiorno richiede il versamento di diritti di importo superiore a quello dei diritti dovuti per il rilascio di un certificato di soggiorno regolare a un cittadino dell’Unione, purché, anzitutto, la durata iniziale di validità dello stesso permesso non sia manifestamente troppo breve per soddisfare le esigenze della maggior parte dei prestatori di servizi, inoltre, sia possibile ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno senza dover adempiere formalità eccessive e, infine, tale importo corrisponda approssimativamente al costo amministrativo generato dal trattamento di una domanda di rilascio di un siffatto permesso.

Firme


*      Lingua processuale: il neerlandese.