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Edizione provvisoria

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

5 dicembre 2023 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Direttiva 2004/38/CE – Articoli 27 e 29 – Misure che limitano la libera circolazione dei cittadini dell’Unione per motivi di sanità pubblica – Misure di portata generale – Normativa nazionale che prevede il divieto di uscire dal territorio nazionale per effettuare viaggi non essenziali verso Stati membri classificati come zone ad alto rischio nel contesto della pandemia di COVID-19 nonché l’obbligo per i viaggiatori che entrano nel territorio nazionale in provenienza da uno di tali Stati membri di sottoporsi a test diagnostici e di osservare una quarantena – Codice frontiere Schengen – Articolo 23 – Esercizio delle competenze di polizia in materia di sanità pubblica – Equivalenza con l’esercizio delle verifiche di frontiera – Articolo 25 – Possibilità di ripristinare controlli alle frontiere interne nel contesto della pandemia di COVID-19 – Controlli effettuati in uno Stato membro nell’ambito di misure di divieto di attraversamento delle frontiere per effettuare viaggi non essenziali in partenza da o a destinazione di Stati dello spazio Schengen classificati come zone ad alto rischio nel contesto della pandemia di COVID-19»

Nella causa C‑128/22,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Nederlandstalige rechtbank van eerste aanleg Brussel (Tribunale di primo grado di Bruxelles di lingua neerlandese, Belgio), con decisione del 7 febbraio 2022, pervenuta in cancelleria il 23 febbraio 2022, nel procedimento

Nordic Info BV

contro

Belgische Staat,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta da K. Lenaerts, presidente, L. Bay Larsen, vicepresidente, A. Arabadjiev, C. Lycourgos, E. Regan, F. Biltgen e Z. Csehi, presidenti di sezione, J.-C. Bonichot, M. Safjan (relatore), S. Rodin, P.G. Xuereb, J. Passer, D. Gratsias, M.L. Arastey Sahún e M. Gavalec, giudici,

avvocato generale: N. Emiliou

cancelliere: A. Lamote, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 10 gennaio 2023,

considerate le osservazioni presentate:

–        per la Nordic Info BV, da F. Emmerechts e R. Pockelé-Dilles, advocaten;

–        per il governo belga, da M. Jacobs, C. Pochet e M. Van Regemorter, in qualità di agenti, assistite da L. De Brucker, E. Jacubowitz e P. de Maeyer, advocaten;

–        per il governo rumeno, da M. Chicu e E. Gane, in qualità di agenti;

–        per il governo norvegese, da V. Hauan, A. Hjetland, T.B. Leming, I. Thue e P. Wennerås, in qualità di agenti;

–        per il governo svizzero, da L. Lanzrein e N. Marville-Dosen, in qualità di agenti;

–        per la Commissione europea, da E. Montaguti, J. Tomkin e F. Wilman, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 7 settembre 2023,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77 e rettifiche in GU 2004, L 229, pag. 35, nonché in GU 2014, L 305, pag. 116), nonché del regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, che istituisce un codice unionale relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen) (GU 2016, L 77, pag. 1), come modificato dal regolamento (UE) 2017/2225 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2017 (GU 2017, L 327, pag. 1) (in prosieguo: il «codice frontiere Schengen»).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Nordic Info BV, società con sede in Belgio, e il Belgische Staat (Stato belga) relativamente al risarcimento del danno asseritamente subito da tale società a causa di misure nazionali restrittive della libera circolazione adottate durante la crisi sanitaria legata alla pandemia di COVID-19.

 Contesto normativo

 Diritto dellUnione

 Direttiva 2004/38

3        I considerando 22, da 25 a 27 e 31 della direttiva 2004/38 così recitano:

«(22)      Il trattato consente restrizioni all’esercizio del diritto di libera circolazione per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica. Per assicurare una definizione più rigorosa dei requisiti e delle garanzie procedurali cui deve essere subordinata l’adozione di provvedimenti che negano l’ingresso o dispongono l’allontanamento dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari la presente direttiva dovrebbe sostituire la direttiva 64/221/CEE del Consiglio[, del 25 febbraio 1964, per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento ed il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica (GU 1964, 56, pag. 850)].

(...)

(25)      Dovrebbero altresì essere dettagliatamente specificate le garanzie procedurali in modo da assicurare, da un lato, un elevato grado di tutela dei diritti del cittadino dell’Unione e dei suoi familiari in caso di diniego d’ingresso o di soggiorno in un altro Stato membro e, dall’altro, il rispetto del principio secondo il quale gli atti amministrativi devono essere sufficientemente motivati.

(26)      In ogni caso il cittadino dell’Unione e i suoi familiari dovrebbero poter presentare ricorso giurisdizionale ove venga loro negato il diritto d’ingresso o di soggiorno in un altro Stato membro.

(27)      In linea con la giurisprudenza della Corte di giustizia, che vieta agli Stati membri di adottare provvedimenti permanenti di interdizione dal loro territorio nei confronti dei beneficiari della presente direttiva, dovrebbe essere confermato il diritto del cittadino dell’Unione e dei suoi familiari, nei confronti dei quali sia stato emanato un provvedimento di interdizione dal territorio di uno Stato membro, di presentare una nuova domanda dopo il decorso di un congruo periodo e, in ogni caso, dopo tre anni a decorrere dall’esecuzione del provvedimento definitivo di interdizione.

(...)

(31)      La presente direttiva rispetta i diritti e le libertà fondamentali e osserva i principi riconosciuti segnatamente dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. In conformità con il divieto di discriminazione contemplato nella Carta gli Stati membri dovrebbero dare attuazione alla presente direttiva senza operare tra i beneficiari della stessa alcuna discriminazione fondata su motivazioni quali sesso, razza, colore della pelle, origine etnica o sociale, caratteristiche genetiche, lingua, religione o convinzioni personali, opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, appartenenza ad una minoranza etnica, patrimonio, nascita, handicap, età o tendenze sessuali».

4        L’articolo 1 della direttiva 2004/38/CE, intitolato «Oggetto», prevede quanto segue:

«La presente direttiva determina:

a)      le modalità d’esercizio del diritto di libera circolazione e soggiorno nel territorio degli Stati membri da parte dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari;

b)      il diritto di soggiorno permanente nel territorio degli Stati membri dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari;

c)      le limitazioni dei suddetti diritti per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica».

5        L’articolo 2 di tale direttiva, intitolato «Definizioni», così dispone:

«Ai fini della presente direttiva si intende per:

1)      “cittadino dell’Unione”: qualsiasi persona avente la cittadinanza di uno Stato membro;

(...)

3)      “Stato membro ospitante”: lo Stato membro nel quale il cittadino dell’Unione si reca al fine di esercitare il diritto di libera circolazione o di soggiorno».

6        L’articolo 3 di detta direttiva, intitolato «Aventi diritto», al suo paragrafo 1 così prevede:

«La presente direttiva si applica a qualsiasi cittadino dell’Unione che si rechi o soggiorni in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza, nonché ai suoi familiari ai sensi dell’articolo 2, punto 2, che accompagnino o raggiungano il cittadino medesimo».

7        L’articolo 4 della direttiva 2004/38, intitolato «Diritto di uscita», è così formulato:

«1.      Senza pregiudizio delle disposizioni applicabili ai controlli dei documenti di viaggio alle frontiere nazionali, ogni cittadino dell’Unione munito di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità e i suoi familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro e muniti di passaporto in corso di validità hanno il diritto di lasciare il territorio di uno Stato membro per recarsi in un altro Stato membro.

2.      Nessun visto di uscita né alcuna formalità equivalente possono essere prescritti alle persone di cui al paragrafo 1.

3.      Gli Stati membri rilasciano o rinnovano ai loro cittadini, ai sensi della legislazione nazionale, una carta d’identità o un passaporto dai quali risulti la loro cittadinanza.

4.      Il passaporto deve essere valido almeno per tutti gli Stati membri e per i paesi di transito diretto tra gli stessi. Qualora la legislazione di uno Stato membro non preveda il rilascio di una carta d’identità, il periodo di validità del passaporto, al momento del rilascio o del rinnovo, non può essere inferiore a cinque anni».

8        Ai sensi dell’articolo 5 di tale direttiva, intitolato «Diritto d’ingresso»:

«1.      Senza pregiudizio delle disposizioni applicabili ai controlli dei documenti di viaggio alle frontiere nazionali, gli Stati membri ammettono nel loro territorio il cittadino dell’Unione munito di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità, nonché i suoi familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, muniti di valido passaporto.

Nessun visto d’ingresso né alcuna formalità equivalente possono essere prescritti al cittadino dell’Unione.

(...)

5.      Lo Stato membro può prescrivere all’interessato di dichiarare la propria presenza nel territorio nazionale entro un termine ragionevole e non discriminatorio. L’inosservanza di tale obbligo può comportare sanzioni proporzionate e non discriminatorie».

9        Gli articoli 6 e 7 di detta direttiva, contenuti nel capo III di quest’ultima, relativo al diritto di soggiorno, riguardano rispettivamente il diritto di soggiorno sino a tre mesi e il diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi.

10      Il capo VI della direttiva 2004/38, disciplina le «[l]imitazioni del diritto d’ingresso e di soggiorno per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica» e comprende gli articoli da 27 a 33 di tale direttiva.

11      L’articolo 27 di detta direttiva, intitolato «Principi generali», così recita:

«1.      Fatte salve le disposizioni del presente capo, gli Stati membri possono limitare la libertà di circolazione e di soggiorno di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica. Tali motivi non possono essere invocati per fini economici.

2.      I provvedimenti adottati per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza rispettano il principio di proporzionalità e sono adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale della persona nei riguardi della quale essi sono applicati. La sola esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l’adozione di tali provvedimenti.

Il comportamento personale deve rappresentare una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società. Giustificazioni estranee al caso individuale o attinenti a ragioni di prevenzione generale non sono prese in considerazione.

3.      Al fine di verificare se l’interessato costituisce un pericolo per l’ordine pubblico o la pubblica sicurezza, in occasione del rilascio dell’attestato d’iscrizione o, in mancanza di un sistema di iscrizione, entro tre mesi dalla data di arrivo dell’interessato nel suo territorio o dal momento in cui ha dichiarato la sua presenza nel territorio in conformità dell’articolo 5, paragrafo 5, ovvero al momento del rilascio della carta di soggiorno, lo Stato membro ospitante può, qualora lo giudichi indispensabile, chiedere allo Stato membro di origine, ed eventualmente agli altri Stati membri, informazioni sui precedenti penali del cittadino dell’Unione o di un suo familiare. Tale consultazione non può avere carattere sistematico. Lo Stato membro consultato fa pervenire la propria risposta entro un termine di due mesi.

4.      Lo Stato membro che ha rilasciato il passaporto o la carta di identità riammette senza formalità nel suo territorio il titolare di tale documento che è stato allontanato per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di salute pubblica da un altro Stato membro, quand’anche il documento in questione sia scaduto o sia contestata la cittadinanza del titolare».

12      L’articolo 29 della direttiva 2004/38, intitolato «Sanità pubblica», prevede quanto segue:

«1.      Le sole malattie che possono giustificare misure restrittive della libertà di circolazione sono quelle con potenziale epidemico, quali definite dai pertinenti strumenti dell’Organizzazione mondiale della sanità [(OMS)], nonché altre malattie infettive o parassitarie contagiose, sempreché esse siano oggetto di disposizioni di protezione che si applicano ai cittadini dello Stato membro ospitante.

2.      L’insorgere di malattie posteriormente ad un periodo di tre mesi successivi alla data di arrivo non può giustificare l’allontanamento dal territorio.

3.      Ove sussistano seri indizi che ciò è necessario, lo Stato membro può sottoporre i titolari del diritto di soggiorno, entro tre mesi dalla data di arrivo, a visita medica gratuita al fine di accertare che non soffrano di patologie indicate al paragrafo 1. Tali visite mediche non possono avere carattere sistematico».

13      L’articolo 30 di tale direttiva, intitolato «Notificazione dei provvedimenti», così dispone:

«1.      Ogni provvedimento adottato a norma dell’articolo 27, paragrafo 1, è notificato per iscritto all’interessato secondo modalità che consentano a questi di comprenderne il contenuto e le conseguenze.

2.      I motivi circostanziati e completi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica che giustificano l’adozione del provvedimento nei suoi confronti sono comunicati all’interessato, salvo che vi ostino motivi attinenti alla sicurezza dello Stato.

3.      La notifica riporta l’indicazione dell’organo giurisdizionale o dell’autorità amministrativa dinanzi al quale l’interessato può opporre ricorso e il termine entro il quale deve agire e, all’occorrenza, l’indicazione del termine impartito per lasciare il territorio dello Stato membro. Fatti salvi i casi di urgenza debitamente comprovata, tale termine non può essere inferiore a un mese a decorrere dalla data di notificazione».

14      Ai sensi dell’articolo 31 di detta direttiva, intitolato «Garanzie procedurali»:

«1.      L’interessato può accedere ai mezzi di impugnazione giurisdizionali e, all’occorrenza, amministrativi nello Stato membro ospitante, al fine di presentare ricorso o chiedere la revisione di ogni provvedimento adottato nei suoi confronti per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza o sanità pubblica.

(...)

3.      I mezzi di impugnazione comprendono l’esame della legittimità del provvedimento nonché dei fatti e delle circostanze che ne giustificano l’adozione. Essi garantiscono che il provvedimento non sia sproporzionato, in particolare rispetto ai requisiti posti dall’articolo 28.

4.      Gli Stati membri possono vietare la presenza dell’interessato nel loro territorio per tutta la durata della procedura di ricorso, ma non possono vietare che presenti di persona la sua difesa, tranne qualora la sua presenza possa provocare gravi turbative dell’ordine pubblico o della pubblica sicurezza o quando il ricorso o la revisione riguardano il divieto d’ingresso nel territorio».

15      L’articolo 32 della medesima direttiva, intitolato «Effetti nel tempo del divieto di ingresso nel territorio», prevede quanto segue:

«1.      La persona nei cui confronti sia stato adottato un provvedimento di divieto d’ingresso nel territorio per motivi d’ordine pubblico o pubblica sicurezza può presentare una domanda di revoca del divieto d’ingresso nel territorio nazionale dopo il decorso di un congruo periodo, determinato in funzione delle circostanze e in ogni modo dopo tre anni a decorrere dall’esecuzione del provvedimento definitivo di divieto validamente adottato ai sensi del diritto comunitario, nella quale essa deve addurre argomenti intesi a dimostrare l’avvenuto oggettivo mutamento delle circostanze che hanno motivato la decisione di vietarne l’ingresso nel territorio.

Lo Stato membro interessato si pronuncia in merito a tale nuova domanda entro sei mesi dalla data di presentazione della stessa.

2.      La persona di cui al paragrafo 1 non ha diritto d’ingresso nel territorio dello Stato membro interessato durante l’esame della sua domanda».

 Codice frontiere Schengen

16      I considerando 2 e 6 del codice frontiere Schengen enunciano quanto segue:

«(2)      L’adozione di misure a norma dell’articolo 77, paragrafo 2, lettera e), [TFUE], volte a garantire che non vi siano controlli sulle persone all’atto dell’attraversamento delle frontiere interne, è un elemento costitutivo dell’obiettivo dell’Unione [europea], enunciato nell’articolo 26, paragrafo 2, TFUE, di instaurare uno spazio senza frontiere interne nel quale sia assicurata la libera circolazione delle persone.

(...)

(6)      Il controllo di frontiera è nell’interesse non solo dello Stato membro alle cui frontiere esterne viene effettuato, ma di tutti gli Stati membri che hanno abolito il controllo di frontiera interno. Il controllo di frontiera dovrebbe contribuire alla lotta contro l’immigrazione clandestina e la tratta degli esseri umani nonché alla prevenzione di qualunque minaccia per la sicurezza interna, l’ordine pubblico, la salute pubblica e le relazioni internazionali degli Stati membri».

17      L’articolo 1 di detto codice, intitolato «Oggetto e principi», dispone quanto segue:

«Il presente regolamento prevede l’assenza del controllo di frontiera sulle persone che attraversano le frontiere interne tra gli Stati membri dell’Unione.

Esso stabilisce le norme applicabili al controllo di frontiera sulle persone che attraversano le frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione».

18      L’articolo 2, punti 1, 8, da 10 a 12 e 21, del codice in parola definisce le seguenti nozioni:

«Ai fini del presente regolamento, si intende per:

1)      “frontiere interne”

a)      le frontiere terrestri comuni, comprese le frontiere fluviali e lacustri, degli Stati membri;

b)      gli aeroporti degli Stati membri adibiti ai voli interni;

c)      i porti marittimi, fluviali e lacustri degli Stati membri per i collegamenti regolari interni effettuati da traghetti;

(...)

8)      “valico di frontiera” ogni valico autorizzato dalle autorità competenti per il passaggio delle frontiere esterne;

(...)

10)      “controllo di frontiera” l’attività svolta alla frontiera, in conformità e per gli effetti del presente regolamento, in risposta esclusivamente all’intenzione di attraversare la frontiera o al suo effettivo attraversamento e indipendentemente da qualunque altra ragione, e che consiste in verifiche di frontiera e nella sorveglianza di frontiera;

11)      “verifiche di frontiera” le verifiche effettuate ai valichi di frontiera al fine di accertare che le persone, compresi i loro mezzi di trasporto e gli oggetti in loro possesso, possano essere autorizzati ad entrare nel territorio degli Stati membri o autorizzati a lasciarlo;

12)      “sorveglianza di frontiera” la sorveglianza delle frontiere tra i valichi di frontiera e la sorveglianza dei valichi di frontiera al di fuori degli orari di apertura stabiliti, allo scopo di evitare che le persone eludano le verifiche di frontiera;

(...)

21)      “minaccia per la salute pubblica” qualunque malattia con potenziale epidemico ai sensi del regolamento sanitario internazionale dell’[OMS] e altre malattie infettive o parassitarie contagiose che siano oggetto di disposizioni di protezione applicabili ai cittadini degli Stati membri».

19      Ai sensi dell’articolo 3 del medesimo regolamento, intitolato «Campo di applicazione»:

«Il presente regolamento si applica a chiunque attraversi le frontiere interne o esterne di uno Stato membro, senza pregiudizio:

a)      dei diritti dei beneficiari del diritto alla libera circolazione ai sensi del diritto unionale;

b)      dei diritti dei rifugiati e di coloro che richiedono protezione internazionale, in particolare per quanto concerne il non respingimento».

20      L’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), del codice frontiere Schengen prevede in particolare che i cittadini di paesi terzi che intendono entrare nel territorio di uno Stato membro attraversando una frontiera esterna non devono essere considerati una minaccia per la salute pubblica.

21      Nell’ambito dei controlli alle frontiere esterne, l’articolo 8, paragrafi 2 e 3, di tale codice impone, in sostanza, di verificare che i beneficiari del diritto alla libera circolazione ai sensi del diritto dell’Unione nonché i cittadini di paesi terzi non siano considerati, in particolare, una minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza interna o la salute pubblica.

22      Ai sensi dell’articolo 22 di detto codice, intitolato «Attraversamento delle frontiere interne»:

«Le frontiere interne possono essere attraversate in qualunque punto senza che sia effettuata una verifica di frontiera sulle persone, indipendentemente dalla loro nazionalità».

23      L’articolo 23 del medesimo regolamento, intitolato «Verifiche all’interno del territorio», prevede quanto segue:

«L’assenza del controllo di frontiera alle frontiere interne non pregiudica:

a)      l’esercizio delle competenze di polizia da parte delle autorità competenti degli Stati membri in forza della legislazione nazionale, nella misura in cui l’esercizio di queste competenze non abbia effetto equivalente alle verifiche di frontiera; ciò vale anche nelle zone di frontiera. Ai sensi della prima frase, tale esercizio delle competenze di polizia può non essere considerato equivalente, in particolare, all’esercizio delle verifiche di frontiera quando le misure di polizia:

i)      non hanno come obiettivo il controllo di frontiera;

ii)      si basano su informazioni e l’esperienza generali di polizia quanto a possibili minacce per la sicurezza pubblica e sono volte, in particolare, alla lotta contro la criminalità transfrontaliera;

iii)      sono ideate ed eseguite in maniera chiaramente distinta dalle verifiche sistematiche sulle persone alle frontiere esterne;

iv)      sono effettuate sulla base di verifiche a campione;

(...)».

24      L’articolo 25 del codice frontiere Schengen, intitolato «Quadro generale per il ripristino temporaneo del controllo di frontiera alle frontiere interne», è così formulato:

«1.      In caso di minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna di uno Stato membro nello spazio senza controllo alle frontiere interne, detto Stato membro può in via eccezionale ripristinare il controllo di frontiera in tutte le parti o in parti specifiche delle sue frontiere interne per un periodo limitato della durata massima di trenta giorni o per la durata prevedibile della minaccia grave se questa supera i trenta giorni. L’estensione e la durata del ripristino temporaneo del controllo di frontiera alle frontiere interne non eccedono quanto strettamente necessario per rispondere alla minaccia grave.

2.      Il controllo di frontiera alle frontiere interne è ripristinato solo come misura di extrema ratio e in conformità degli articoli 27, 28 e 29. Ogniqualvolta si contempli la decisione di ripristinare il controllo di frontiera alle frontiere interne ai sensi, rispettivamente, degli articoli 27, 28 o 29, sono presi in considerazione i criteri di cui agli articoli 26 e 30, rispettivamente.

3.      Se la minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna nello Stato membro interessato perdura oltre il periodo di cui al paragrafo 1 del presente articolo, detto Stato membro può prorogare il controllo di frontiera alle sue frontiere interne, tenuto conto dei criteri di cui all’articolo 26 e secondo la procedura di cui all’articolo 27, per gli stessi motivi indicati al paragrafo 1 del presente articolo e, tenuto conto di eventuali nuovi elementi, per periodi rinnovabili non superiori a 30 giorni.

4.      La durata totale del ripristino del controllo di frontiera alle frontiere interne, incluse eventuali proroghe di cui al paragrafo 3 del presente articolo, non è superiore a sei mesi. Qualora vi siano circostanze eccezionali, come quelle di cui all’articolo 29, tale durata totale può essere prolungata fino a un massimo di due anni, in conformità del paragrafo 1 di detto articolo».

25      Gli articoli da 26 a 28 di tale codice, intitolati rispettivamente «Criteri per il ripristino temporaneo del controllo di frontiera alle frontiere interne», «Procedura per il ripristino temporaneo del controllo di frontiera alle frontiere interne ai sensi dell’articolo 25» e «Procedura specifica nei casi che richiedono un’azione immediata», prevedono le condizioni sostanziali e procedurali che gli Stati membri devono rispettare per poter ripristinare temporaneamente il controllo di frontiera alle frontiere interne ai sensi dell’articolo 25 di detto codice.

 Raccomandazione (UE) 2020/912

26      La raccomandazione (UE) 2020/912 del Consiglio, del 30 giugno 2020, relativa alla restrizione temporanea dei viaggi non essenziali verso l’[Unione europea] e all’eventuale revoca di tale restrizione (GU 2020, L 208 I, pag. 1), contiene un allegato II il cui contenuto è il seguente:

«Categorie specifiche di viaggiatori aventi una funzione o una necessità essenziale:

i.      operatori sanitari, ricercatori in ambito sanitario e professionisti dell’assistenza agli anziani;

ii.      lavoratori frontalieri;

iii.      lavoratori stagionali del settore agricolo;

iv.      personale del settore dei trasporti;

v.      diplomatici, personale delle organizzazioni internazionali e persone invitate dalle organizzazioni internazionali la cui presenza fisica è necessaria per il buon funzionamento di tali organizzazioni, personale militare, operatori umanitari e della protezione civile nell’esercizio delle proprie funzioni;

vi.      passeggeri in transito;

vii.      passeggeri in viaggio per motivi familiari imperativi;

viii.      marittimi;

ix.      persone che necessitano di protezione internazionale o in viaggio per altri motivi umanitari;

x.      cittadini di paesi terzi che viaggiano per motivi di studio;

xi.      lavoratori di paesi terzi altamente qualificati se il loro lavoro è necessario dal punto di vista economico e non può essere posticipato o svolto all’estero».

 Diritto belga

27      L’articolo 18 del ministerieel besluit houdende dringende maatregelen om de verspreiding van het coronavirus COVID-19 te beperken (decreto ministeriale recante misure urgenti per limitare la diffusione del coronavirus COVID-19), del 30 giugno 2020 (Belgisch Staatsblad, 30 giugno 2020, pag. 48715), come modificato dall’articolo 3 del ministerieel besluit houdende wijziging van het ministerieel besluit van 30 juni 2020 houdende dringende maatregelen om de verspreiding van het coronavirus COVID-19 te beperken (decreto ministeriale che modifica il decreto ministeriale del 30 giugno 2020 recante misure urgenti per limitare la diffusione del coronavirus COVID-19), del 10 luglio 2020 (Belgisch Staatsblad, 10 luglio 2020, pag. 51609) (in prosieguo: il «decreto ministeriale modificato»), disponeva quanto segue:

«§1.      I viaggi non essenziali verso il Belgio e dal Belgio sono vietati.

§2.      In deroga al paragrafo 1 e fatto salvo l’articolo 20, è permesso:

1°      viaggiare dal Belgio verso tutti i paesi dell’Unione europea, i paesi dello spazio Schengen e il Regno Unito, nonché viaggiare verso il Belgio dai suddetti paesi, ad eccezione dei territori designati come zone rosse, il cui elenco è pubblicato sul sito Internet del Servizio pubblico federale per gli affari esteri;

(...)».

28      L’articolo 22 del decreto ministeriale modificato così recitava:

«Sono sanzionate con le pene previste all’articolo 187 della legge del 15 maggio 2007 sulla sicurezza civile le violazioni delle disposizioni dei seguenti articoli:

(...)

–        articoli 11, 16, 18, 19 e 21 bis».

29      L’articolo 187 della legge del 15 maggio 2007 sulla sicurezza civile (Belgisch Staatsblad, 31 luglio 2007) prevede quanto segue:

«Il rifiuto di osservare o la negligenza nell’osservare le misure ordinate ai sensi degli articoli 181, § 1 e 182 sono puniti, in tempo di pace, con una pena detentiva da otto giorni a tre mesi e con una pena pecuniaria da EUR 26 a EUR 500, oppure con una soltanto di tali sanzioni.

Il ministro o, se del caso, il sindaco o il comandante di polizia della zona può anche far eseguire d’ufficio dette misure, a spese dei trasgressori o dei soggetti inadempienti».

30      Dal fascicolo di cui dispone la Corte risulta peraltro che i viaggi non essenziali di cui all’articolo 18 del decreto ministeriale modificato erano definiti come quelli che non erano viaggi essenziali, i quali erano identificati in una sezione sulle domande frequenti, disponibile sul sito Internet info-coronavirus.be, e corrispondevano all’elenco dei viaggi essenziali contenuto nella raccomandazione 2020/912.

31      Dal fascicolo suddetto risulta altresì che ogni viaggiatore proveniente da una zona rossa di cui all’articolo 18 del decreto ministeriale modificato doveva sottoporsi a test e osservare una quarantena. Tale obbligo era previsto da disposizioni adottate dalla Regione fiamminga, dalla Regione vallona, dalla Regione di Bruxelles-Capitale e dalla Comunità germanofona.

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

32      L’11 marzo 2020, l’OMS ha qualificato l’epidemia di coronavirus COVID-19 come pandemia prima di innalzare al suo livello massimo, il 16 marzo 2020, il livello della minaccia connessa a tale pandemia.

33      In tale contesto, il Regno del Belgio ha adottato, il 10 luglio 2020, l’articolo 18 del decreto ministeriale modificato per vietare i viaggi non essenziali aventi come punto di partenza o di arrivo il Belgio, da un lato, e i paesi dell’Unione e della zona Schengen nonché il Regno Unito, dall’altro, qualora tali paesi fossero designati come «zone rosse» alla luce della loro situazione epidemiologica o del livello di misure sanitarie restrittive adottate dalle loro autorità. Inoltre, ogni viaggiatore proveniente da un siffatto paese classificato come zona rossa doveva, in Belgio, sottoporsi a test diagnostici e osservare una quarantena. È stato possibile consultare l’elenco dei paesi designati come zone rosse per la prima volta il 12 luglio 2020 sul sito Internet del Servizio pubblico federale degli affari esteri. La Svezia era tra i paesi classificati in zona rossa.

34      Secondo le sue stesse dichiarazioni, la Nordic Info, un’agenzia di viaggi specializzata nei viaggi da e verso la Scandinavia, per conformarsi alla normativa belga, ha annullato tutti i viaggi previsti in partenza dal Belgio verso la Svezia durante la stagione estiva. Essa afferma inoltre di aver adottato misure per informare e aiutare i viaggiatori che si trovavano in Svezia a rientrare in Belgio.

35      Il 15 luglio 2020, l’elenco di cui al punto 33 della presente sentenza è stato aggiornato e la Svezia è stata classificata in zona arancione, il che significava che i viaggi da e verso tale paese non erano più vietati, ma solo sconsigliati, e che all’ingresso dei viaggiatori provenienti da suddetto paese nel territorio belga si applicavano altre norme.

36      Ritenendo che lo Stato belga avesse commesso errori nell’elaborare il decreto ministeriale modificato, la Nordic Info ha proposto un ricorso dinanzi al Nederlandstalige rechtbank van eerste aanleg Brussel (Tribunale di primo grado di Bruxelles di lingua neerlandese, Belgio), giudice del rinvio, per chiedere il risarcimento del danno che essa afferma di aver subito a causa dell’introduzione e, successivamente, della modifica dei codici colore previsti da tale decreto ministeriale. Lo Stato belga, dal canto suo, ha chiesto il rigetto del ricorso in quanto infondato.

37      In particolare, la Nordic Info sostiene segnatamente che lo Stato belga ha violato, da un lato, la direttiva 2004/38 nonché le disposizioni nazionali che garantiscono la trasposizione degli articoli da 27 a 31 di tale direttiva e, dall’altro, il codice frontiere Schengen.

38      Per quanto riguarda la censura vertente sulla violazione della direttiva 2004/38, il giudice del rinvio rileva che, sebbene, nell’illustrare il suo danno e nella sua argomentazione, la Nordic Info faccia riferimento, in maniera generale, al divieto di uscita dal territorio belga imposto ai cittadini belgi e ai cittadini dell’Unione non belgi residenti in Belgio nonché ai familiari di tali persone e al divieto di ingresso in detto territorio imposto a tutti i cittadini dell’Unione, belgi o meno, nonché ai loro familiari, la società in parola contesta tuttavia unicamente la legittimità, da un lato, del succitato divieto di uscita e, dall’altro, delle restrizioni al diritto di ingresso in tale territorio imposte ai cittadini dell’Unione non belgi e ai loro familiari, quali concretizzate dall’obbligo, per questi ultimi, di sottoporsi, al momento del loro ingresso nel medesimo territorio, a test diagnostici e di osservare una quarantena.

39      In tale contesto, occorrerebbe chiarire se l’articolo 27, paragrafo 1, e l’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva in discussione debbano essere oggetto di una lettura congiunta che consentirebbe di giustificare per motivi di salute pubblica soltanto restrizioni al diritto d’ingresso o se, al contrario, le due disposizioni in parola prevedano giustificazioni indipendenti, cosicché la prima di dette disposizioni sarebbe sufficiente, di per sé, a giustificare restrizioni tanto al diritto d’ingresso quanto al diritto di uscita per siffatti motivi.

40      Indipendentemente dall’interpretazione accolta dell’articolo 27, paragrafo 1, e dell’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, il giudice del rinvio chiede altresì se uno Stato membro possa, sulla base di tali disposizioni, adottare, sotto forma di atto di portata generale, una misura non discriminatoria come quella introdotta dall’articolo 18 del decreto ministeriale modificato. Una possibilità del genere potrebbe essere dedotta dalla constatazione secondo cui il motivo relativo alla sanità pubblica non è ripreso all’articolo 27, paragrafo 2, di tale direttiva, ma è trattato separatamente all’articolo 29 di detta direttiva.

41      In caso di risposta negativa a quest’ultimo quesito, il giudice del rinvio si chiede se una siffatta restrizione generale non discriminatoria possa essere fondata sugli articoli 20 e 21 TFUE e/o su un principio generale del diritto dell’Unione, nel rispetto del principio di proporzionalità, ai fini della realizzazione dell’obiettivo legittimo di lotta contro una pandemia.

42      Nell’ambito della sua censura vertente sulla violazione del codice frontiere Schengen, la Nordic Info afferma che, nel prevedere che restrizioni al diritto di uscita e al diritto di ingresso potessero essere controllate ed eseguite d’ufficio dalle autorità belghe competenti e la loro inosservanza sanzionata da queste autorità, il decreto ministeriale modificato finiva con l’introdurre un controllo alle frontiere interne in violazione degli articoli 25 e seguenti di suddetto codice. Tali disposizioni, infatti, consentirebbero di ripristinare temporaneamente il controllo di frontiera alle frontiere interne soltanto in caso di minaccia grave per l’ordine pubblico e la sicurezza interna, e non in caso di minaccia grave per la sanità pubblica.

43      Inoltre, la Nordic Info sostiene che non si può considerare che le misure derivanti dal decreto ministeriale modificato rientrino nell’ambito dell’articolo 23, lettera a), del codice frontiere Schengen, dato che l’esercizio delle competenze di polizia da parte delle autorità competenti belghe avrebbe avuto, nel caso di specie, un effetto equivalente a quello delle verifiche di frontiera e che, in ogni caso, tale competenza potrebbe essere esercitata solo in materia di sicurezza pubblica e non in materia di sanità pubblica.

44      Il giudice del rinvio si chiede tuttavia se, alla luce degli argomenti dedotti dinanzi ad esso dallo Stato belga, una malattia contagiosa possa, in tempo di crisi, essere assimilata a una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza pubblica/interna ai sensi degli articoli 23 e 25 del codice frontiere Schengen, cosicché, in una situazione del genere, l’esercizio dei poteri di polizia e il ripristino del controllo di frontiera alle frontiere interne sarebbero possibili sul fondamento, rispettivamente, di ciascuna di tali disposizioni.

45      In tali circostanze, il Nederlandstalige rechtbank van eerste aanleg Brussel (Tribunale di primo grado di Bruxelles di lingua neerlandese) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se gli articoli 2, 4, 5, 27 e 29 della [direttiva 2004/38], che danno attuazione agli articoli 20 e 21 del TFUE, debbano essere interpretati nel senso che essi non ostano alla normativa di uno Stato membro (nel caso di specie derivante dagli articoli 18 e 22 del decreto ministeriale [modificato]), che, con una misura generale:

–        impone ai cittadini belgi e ai loro familiari nonché ai cittadini dell’Unione che soggiornano nel territorio belga e ai loro familiari un divieto generale di uscita per viaggi non essenziali dal Belgio verso paesi all’interno dell’Unione europea e dello spazio Schengen che, secondo un codice colore elaborato sulla base di dati epidemiologici, sono contraddistinti dal colore rosso;

–        impone a cittadini dell’Unione non belgi e ai loro familiari (che dispongano o meno di un diritto di soggiorno nel territorio belga) restrizioni all’ingresso (come quarantena e test diagnostici) per viaggi non essenziali da paesi all’interno dell’Unione europea e dello spazio Schengen verso il Belgio, che, secondo un codice colore elaborato sulla base di dati epidemiologici, sono contraddistinti dal colore rosso.

2)      Se gli articoli 1, 3 e 22 del codice frontiere Schengen debbano essere interpretati nel senso che essi non ostano alla normativa di uno Stato membro (nel caso di specie derivante dagli articoli 18 e 22 del decreto ministeriale [modificato]), che impone un divieto di uscita per viaggi non essenziali dal Belgio verso paesi all’interno dell’Unione europea e dello spazio Schengen e un divieto di ingresso da questi paesi verso il Belgio, che non solo può dar luogo a controlli e sanzioni, ma che può anche essere attuato d’ufficio dal ministro, dal sindaco e dal comandante di polizia».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla prima questione

46      Secondo una giurisprudenza costante, nell’ambito della procedura di cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte, di cui all’articolo 267 TFUE, spetta a quest’ultima fornire al giudice nazionale una risposta utile che gli consenta di dirimere la controversia di cui è investito. In tale prospettiva spetta alla Corte, se necessario, riformulare le questioni che le sono sottoposte (sentenza del 15 luglio 2021, Ministrstvo za obrambo, C‑742/19, EU:C:2021:597, punto 31).

47      Nel caso di specie, occorre osservare, sotto un primo profilo, che, tenuto conto del fatto che, da un lato, la Nordic Info, secondo le spiegazioni del giudice del rinvio, fonda il suo ricorso sul risarcimento del danno asseritamente subito in relazione a viaggi organizzati tra il Belgio e la Svezia e che, dall’altro, la prima questione riguarda la normativa belga di cui trattasi nel procedimento principale soltanto nella parte in cui riguardava i cittadini dell’Unione e i loro familiari, non occorre, ai fini della risposta a tale questione, tener conto del fatto che detta normativa concerneva, oltre agli Stati membri dell’Unione, i paesi dello spazio Schengen non membri di quest’ultima.

48      Sotto un secondo profilo, sebbene il giudice del rinvio menzioni, nella prima questione, l’articolo 2 della direttiva 2004/38, va tuttavia rilevato che l’interpretazione della disposizione in parola, che si limita a definire nozioni utilizzate nella suddetta direttiva, non è necessaria in quanto tale per rispondere alla questione di cui trattasi.

49      In siffatte circostanze, occorre considerare che, con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede se gli articoli 27 e 29 della direttiva 2004/38, in combinato disposto con gli articoli 4 e 5 di quest’ultima, debbano essere interpretati nel senso che ostano alla normativa di portata generale di uno Stato membro che, per ragioni di sanità pubblica attinenti alla lotta contro la pandemia di COVID-19, vieta, da un lato, ai cittadini dell’Unione nonché ai loro familiari, qualunque sia la loro cittadinanza, di effettuare viaggi non essenziali da detto Stato membro verso gli altri Stati membri dal medesimo classificati come zone ad alto rischio sulla base delle misure sanitarie restrittive o della situazione epidemiologica esistenti in tali altri Stati membri e impone, dall’altro, ai cittadini dell’Unione che non siano cittadini dello Stato membro in parola l’obbligo di sottoporsi a test diagnostici e di osservare una quarantena quando entrano nel territorio dello stesso Stato membro in provenienza da uno di detti altri Stati membri.

50      In proposito, si deve ricordare che, ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, che rientra nel capo VI di tale direttiva, intitolato «Limitazioni del diritto d’ingresso e di soggiorno per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica», e che concretizza l’articolo 1, lettera c), della medesima direttiva, gli Stati membri possono, fatte salve le disposizioni di detto capo, limitare la libertà di circolazione e di soggiorno di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica, purché tali motivi non siano invocati a fini economici.

51      L’articolo 29, paragrafo 1, di detta direttiva, dedicato più specificamente alle misure restrittive della libera circolazione per motivi di sanità pubblica, precisa che solo talune malattie, vale a dire quelle con potenziale epidemico quali definite dai pertinenti strumenti dell’OMS nonché altre malattie infettive o parassitarie contagiose, possono giustificare siffatte misure, purché esse siano oggetto, nel paese ospitante, di disposizioni di protezione che si applicano ai cittadini dello Stato membro ospitante, ossia, conformemente all’articolo 2, punto 3, della medesima direttiva, lo Stato membro nel quale il cittadino dell’Unione si reca al fine di esercitare il diritto di libera circolazione o di soggiorno.

52      Per quanto riguarda, in primo luogo, le malattie che possono giustificare, sulla base dell’articolo 27, paragrafo 1, e dell’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, misure restrittive della libera circolazione per motivi di sanità pubblica, dalla formulazione di queste due disposizioni risulta che uno Stato membro può, a fini non economici e nel rispetto delle condizioni previste al capo VI di tale direttiva, adottare siffatte misure unicamente in ragione di talune malattie oggetto di disposizioni di protezione che si applicano ai propri cittadini, vale a dire quelle con potenziale epidemico, quali definite dai pertinenti strumenti dell’OMS o altre malattie infettive o parassitarie contagiose.

53      In tale contesto, uno Stato membro può a fortiori stabilire, sul fondamento di dette disposizioni, misure restrittive della libertà di circolazione per rispondere ad una minaccia connessa ad una malattia infettiva contagiosa che presenta un carattere pandemico riconosciuto dall’OMS.

54      Nel procedimento principale, dal fascicolo di cui dispone la Corte risulta che le misure di cui all’articolo 18 del decreto ministeriale modificato nonché quelle menzionate al punto 31 della presente sentenza sono state adottate non a fini economici, bensì allo scopo di evitare la diffusione, nel territorio dello Stato membro interessato, della malattia infettiva contagiosa del COVID-19, che era stata qualificata come pandemia dall’OMS l’11 marzo 2020 e lo era ancora nel periodo in discussione nel procedimento principale. Con riserva di verifica da parte del giudice del rinvio, appare altresì che le misure in parola erano inserite in un complesso di misure dirette, all’epoca dei fatti di cui al procedimento principale, a proteggere la popolazione di tale Stato membro contro la diffusione di detta malattia nel territorio nazionale. Una malattia del genere pare quindi, fatta salva tale riserva, soddisfare le condizioni enunciate all’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 per giustificare misure restrittive della libertà di circolazione per motivi di sanità pubblica.

55      Per quanto riguarda, in secondo luogo, i diritti su cui possono incidere misure restrittive della libertà di circolazione ai sensi degli articoli da 27 a 32 della direttiva 2004/38, risulta, da un lato, dalla lettura in combinato disposto dell’articolo 1, lettera a) e degli articoli 4 e 5 della direttiva 2004/38, nonché degli articoli 20 e 21 TFUE, attuati dalla direttiva in parola, che la «libertà di circolazione» comprende il diritto di lasciare il territorio di uno Stato membro per recarsi in un altro Stato membro («diritto di uscita») e il diritto di essere ammessi nel territorio di uno Stato membro («diritto di ingresso»).

56      A questo proposito, occorre precisare, come illustrato dall’avvocato generale al paragrafo 61 delle sue conclusioni, che, in virtù della loro chiara formulazione che fa espresso riferimento alla «libertà di circolazione», l’articolo 27, paragrafo 1, e l’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 comprendono le due componenti di tale libertà, vale a dire il diritto di ingresso e il diritto di uscita, ai sensi degli articoli 4 e 5 della direttiva in parola (v., in tal senso, sentenza del 4 ottobre 2012, Byankov, C‑249/11, EU:C:2012:608, punti da 30 a 36 e giurisprudenza ivi citata). Di conseguenza, né il fatto che detti articoli 27 e 29 rientrino nel capo VI di tale direttiva, intitolato «Limitazioni del diritto d’ingresso e di soggiorno per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica», né il fatto che l’articolo 29, paragrafi 2 e 3, della medesima direttiva sia dedicato più specificamente alle restrizioni al diritto d’ingresso possono portare a restringere l’ambito di applicazione dell’articolo 27, paragrafo 1, e dell’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 alla sola componente della libera circolazione relativa al diritto d’ingresso.

57      Ciò deve valere a maggior ragione in quanto restrizioni al diritto di ingresso e al diritto di soggiorno per motivi di sanità pubblica potrebbero rivelarsi inefficaci se non fosse possibile applicare restrizioni corrispondenti al diritto di uscita. In un caso siffatto, l’obiettivo perseguito dall’articolo 27, paragrafo 1, e dall’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, che è quello di consentire agli Stati membri di restringere, entro i limiti e alle condizioni stabiliti da suddetta direttiva, la libertà di circolazione al fine di prevenire, contenere o arginare la diffusione o il rischio di diffusione di una malattia contemplata dalla seconda di tali disposizioni, potrebbe, a seconda delle circostanze, essere compromesso.

58      D’altro lato, dalla giurisprudenza della Corte risulta che devono essere considerate come «restrizioni» della libera circolazione dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari tutte le misure che vietino, ostacolino o rendano meno interessante l’esercizio di tale libertà (v., per analogia, sentenze del 12 luglio 2012, Commissione/Spagna, C‑269/09, EU:C:2012:439, punto 54 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 21 dicembre 2016, Commissione/Portogallo, C‑503/14, EU:C:2016:979, punto 40).

59      In tali circostanze, le misure restrittive della libera circolazione, che uno Stato membro può adottare per motivi di sanità pubblica ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, e dell’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, non comprendono soltanto divieti totali o parziali di ingresso o di uscita dal territorio nazionale, quali un divieto di uscita da tale territorio al fine di effettuare viaggi non essenziali. Può del pari trattarsi, a fortiori, di misure aventi l’effetto di ostacolare o rendere meno attraente il diritto delle persone interessate di entrare in detto territorio o di uscirne, come un obbligo per i viaggiatori che vi entrano di sottoporsi a test diagnostici e di osservare una quarantena.

60      Per quanto riguarda, in terzo luogo, le persone nei confronti delle quali possono essere decise misure restrittive della libertà di circolazione sul fondamento della direttiva 2004/38, occorre ricordare che tale direttiva disciplina le condizioni di uscita dal territorio di uno Stato membro non solo dei cittadini di altri Stati membri, ma parimenti dei cittadini di tale Stato membro (v., in tal senso, sentenza del 4 ottobre 2012, Byankov, C‑249/11, EU:C:2012:608, punti 30 e 32). Per contro, essa disciplina le condizioni di ingresso nel territorio di uno Stato membro soltanto dei cittadini di altri Stati membri [v., in particolare, sentenza del 6 ottobre 2021, A (Attraversamento di frontiere a bordo di imbarcazione da diporto), C‑35/20, EU:C:2021:813, punti da 67 a 69].

61      Nel caso di specie, le categorie di persone menzionate dal giudice del rinvio nella sua prima questione con riguardo, rispettivamente, al divieto di uscita dal territorio dello Stato membro interessato e alle restrizioni all’ingresso in tale territorio rientrano nell’ambito di applicazione ratione personae della direttiva 2004/38.

62      Per quanto riguarda, in quarto luogo, la forma delle misure restrittive della libera circolazione che possono essere adottate sul fondamento della direttiva 2004/38 per motivi di sanità pubblica, occorre osservare che né l’articolo 27, paragrafo 1, né l’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva in parola ostano a che siffatte misure siano adottate sotto forma di un atto di portata generale.

63      Infatti, dato che nessuna delle due disposizioni in parola menziona, a differenza dell’articolo 27, paragrafo 2, di tale direttiva, che le restrizioni a detta libertà sono «adottat[e] esclusivamente in relazione al comportamento personale della persona nei riguardi della quale essi sono applicat[e]» e che qualsiasi giustificazione di siffatte restrizioni non deve essere «estrane[a] al caso individuale», è giocoforza constatare che restrizioni a detta libertà giustificate da motivi di sanità pubblica possono, in funzione delle circostanze e in particolare della situazione sanitaria, essere adottate sotto forma di un atto di portata generale riguardante indistintamente chiunque rientri in una situazione contemplata da tale atto.

64      Una siffatta interpretazione è corroborata dal fatto che le malattie che rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, le sole a poter giustificare misure restrittive della libera circolazione prese sul fondamento di detta direttiva, sono tali da incidere, a causa delle loro stesse caratteristiche, su intere popolazioni, indipendentemente da comportamenti individuali.

65      Per quanto riguarda, in quinto luogo, le condizioni e le garanzie di cui devono essere corredate le misure restrittive della libera circolazione adottate sul fondamento della direttiva 2004/38, occorre, sotto un primo profilo, rilevare che, ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, di tale direttiva, lo Stato membro che adotta siffatte misure per motivi di sanità pubblica è tenuto a rispettare le disposizioni del capo VI di detta direttiva, vale a dire, in particolare, gli articoli da 30 a 32 di quest’ultima.

66      È vero che i termini e le espressioni utilizzati in tali articoli da 30 a 32 evocano misure restrittive adottate sotto forma di una decisione individuale.

67      Tuttavia, come indicato dall’avvocato generale ai paragrafi 73 e 115 delle sue conclusioni, le condizioni e le garanzie previste a suddetti articoli da 30 a 32 devono parimenti trovare applicazione nel caso di misure restrittive adottate sotto forma di un atto di portata generale.

68      Al riguardo, occorre rilevare che i considerando da 25 a 27 della direttiva 2004/38, che riflettono gli articoli da 30 a 32 di quest’ultima, espongono i principi e i motivi sottesi alle condizioni e alle garanzie previste a tali disposizioni. Al considerando 25 della direttiva in parola è difatti indicato che le condizioni e le garanzie di cui trattasi intendono assicurare, da un lato, un elevato grado di tutela dei diritti del cittadino dell’Unione e dei suoi familiari in caso di diniego d’ingresso o di soggiorno in un altro Stato membro e, dall’altro, il «rispetto del principio secondo il quale gli atti amministrativi devono essere sufficientemente motivati». I considerando 26 e 27 di detta direttiva precisano, in tale contesto, che un ricorso giurisdizionale deve essere esperibile «[i] n ogni caso» e che un riesame dei provvedimenti di interdizione dal territorio di uno Stato membro al fine della loro revoca deve, conformemente alla giurisprudenza della Corte, essere sempre possibile.

69      I considerando succitati confermano dunque che, quando uno Stato membro adotta misure restrittive della libera circolazione per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica dando attuazione ad un atto dell’Unione come la direttiva 2004/38, esso deve segnatamente osservare, anzitutto, il principio della certezza del diritto il quale esige che le norme di diritto siano chiare e precise e che la loro applicazione sia prevedibile per i soggetti dell’ordinamento, al fine di consentire agli interessati di conoscere con esattezza la portata degli obblighi che la normativa in questione impone loro e che questi ultimi possano conoscere senza ambiguità i loro diritti e i loro obblighi e regolarsi di conseguenza (v., in tal senso, sentenze del 21 marzo 2019, Unareti, C‑702/17, EU:C:2019:233, punto 34 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 17 novembre 2022, Avicarvil Farms, C‑443/21, EU:C:2022:899, punto 46 e giurisprudenza ivi citata). Tale Stato membro deve, poi, rispettare il principio generale del diritto dell’Unione relativo ad una buona amministrazione, che prevede, tra l’altro, l’obbligo di motivazione degli atti e delle decisioni adottati dalle autorità nazionali (sentenza del 7 settembre 2021 nella causa C‑927/19 Klaipėdos regiono atliekų tvarkymo centras, EU:C:2021:700, punto 120 e giurisprudenza ivi citata). Infine, e conformemente all’articolo 51, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali (in prosieguo: la «Carta»), esso deve rispettare il diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo sancito dall’articolo 47, primo comma, della medesima, che prevede, tra l’altro, il diritto di adire un giudice competente ad assicurare l’osservanza dei diritti garantiti dal diritto dell’Unione e, a tal fine, ad esaminare tutte le questioni di fatto e di diritto rilevanti ai fini della decisione della controversia [sentenza del 6 ottobre 2020, État luxembourgeois (Tutela giurisdizionale avverso richieste di informazioni in ambito tributario), C‑245/19 e C‑246/19, EU:C:2020:795, punto 66 e giurisprudenza ivi citata].

70      Il complesso delle condizioni e delle garanzie previste agli articoli da 30 a 32 della direttiva 2004/38 costituisce quindi un’attuazione del principio della certezza del diritto, del principio di buona amministrazione e del diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo, i quali valgono per misure restrittive adottate sia sotto forma di decisioni individuali sia sotto forma di atti di portata generale. In siffatto contesto e poiché, come risulta dal punto 62 della presente sentenza, l’articolo 27, paragrafo 1, e l’articolo 29, paragrafo 1, di tale direttiva consentono agli Stati membri di adottare misure restrittive della libertà di circolazione per motivi di sanità pubblica sotto forma di un atto di portata generale, la circostanza che gli articoli da 30 a 32 contengano termini e espressioni che si riferiscono a siffatte misure adottate sotto forma di decisione individuale non può né mettere in discussione l’ambito di applicazione dell’articolo 27, paragrafo 1, e dell’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva in parola né comportare che essi non possano applicarsi a misure restrittive adottate sotto forma di un atto di portata generale.

71      In tali circostanze, occorre anzitutto considerare che, in applicazione dell’articolo 30, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2004/38, qualsiasi atto di portata generale che stabilisca misure restrittive della libera circolazione per motivi di sanità pubblica deve essere portato a conoscenza del pubblico nell’ambito di una pubblicazione ufficiale dello Stato membro che lo adotta e attraverso una sufficiente diffusione mediatica ufficiale, cosicché il contenuto e gli effetti dell’atto in parola possano essere compresi, al pari dei motivi circostanziati e completi di sanità pubblica invocati a sostegno di detto atto, e che siano precisati i mezzi e i termini di ricorso per contestarlo.

72      Inoltre, l’atto di portata generale, per rispettare le garanzie procedurali menzionate all’articolo 31 di tale direttiva, deve poter essere contestato nell’ambito di un ricorso giurisdizionale e, se del caso, amministrativo. Al riguardo, occorre precisare che, quando il diritto nazionale non consenta alle persone rientranti in una situazione definita in modo generale da detto atto di contestare direttamente la validità di un atto siffatto nell’ambito di un ricorso autonomo, esso deve quanto meno prevedere, come sembra avvenire nel caso di specie, la possibilità di contestare tale validità in via incidentale nell’ambito di un ricorso il cui esito dipende dalla validità della stessa.

73      Inoltre, dall’articolo 30, paragrafo 3, di detta direttiva risulta che il pubblico deve essere informato, vuoi nell’atto stesso vuoi mediante pubblicazioni o siti Internet ufficiali gratuiti facilmente accessibili, dell’organo giurisdizionale o dell’autorità amministrativa dinanzi ai quali l’atto di portata generale può, se del caso, essere contestato, nonché dei rispettivi termini di ricorso.

74      Sotto un secondo profilo, come indicato al considerando 31 della direttiva 2004/38, gli Stati membri devono dare attuazione a tale direttiva nel rispetto del principio del divieto di discriminazione sancito dalla Carta. Nel procedimento principale, dal fascicolo di cui dispone la Corte non risulta, e non è stato sostenuto da alcuna delle parti nel corso del procedimento dinanzi ad essa, che le misure restrittive di cui trattasi nel procedimento principale siano state adottate o applicate in violazione di tale principio.

75      In sesto e ultimo luogo, l’articolo 31, paragrafi 1 e 3, della direttiva 2004/38 prevede che l’interessato possa accedere ai mezzi di impugnazione giurisdizionali e, all’occorrenza, amministrativi nello Stato membro ospitante, al fine di contestare, tra l’altro, la proporzionalità di un provvedimento adottato nei loro confronti per motivi di sanità pubblica.

76      Dalle disposizioni in parola si evince quindi che qualsiasi misura restrittiva della libera circolazione stabilita per motivi di sanità pubblica sulla base dell’articolo 27, paragrafo 1, e dell’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 deve essere proporzionata. Tale requisito risulta parimenti da una costante giurisprudenza della Corte secondo cui il rispetto del principio di proporzionalità, che costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, si impone agli Stati membri nell’attuazione di un atto dell’Unione quale la direttiva 2004/38 [v., in tal senso, sentenza dell’8 marzo 2022, Bezirkshauptmannschaft Hartberg-Fürstenfeld (Effetto diretto), C‑205/20, EU:C:2022:168, punto 31].

77      Il requisito di proporzionalità impone concretamente di verificare che misure come quelle di cui trattasi nel procedimento principale, sotto un primo profilo, siano idonee a realizzare l’obiettivo di interesse generale perseguito, nella fattispecie la tutela della sanità pubblica, sotto un secondo profilo, siano limitate allo stretto necessario, nel senso che tale obiettivo non potrebbe ragionevolmente essere raggiunto in modo altrettanto efficace con altri mezzi meno lesivi dei diritti e delle libertà garantiti agli interessati, e, sotto un terzo profilo, non siano sproporzionate rispetto a detto obiettivo, il che implica in particolare una ponderazione dell’importanza di quest’ultimo e della gravità dell’ingerenza in tali diritti e libertà (v., in tal senso, sentenza dell’8 dicembre 2022, Orde van Vlaamse Balies e a., C‑694/20, EU:C:2022:963, punto 42 e giurisprudenza ivi citata).

78      Per valutare il rispetto da parte di uno Stato membro del principio di proporzionalità nel settore della sanità pubblica, occorre tener conto del fatto che la salute e la vita delle persone occupano una posizione preminente fra i beni e gli interessi protetti dal Trattato FUE e che spetta agli Stati membri stabilire il livello al quale essi intendono garantire la tutela della sanità pubblica ed il modo in cui tale livello deve essere raggiunto. Poiché detto livello può variare da uno Stato membro all’altro, occorre riconoscere agli Stati membri un margine di discrezionalità. Di conseguenza, il fatto che uno Stato membro imponga norme meno severe di quelle imposte da un altro Stato membro non significa che queste ultime siano sproporzionate (v., in tal senso, sentenze del 25 ottobre 2018, Roche Lietuva, C‑413/17, EU:C:2018:865, punto 42 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 10 marzo 2021, Ordine Nazionale dei Biologi e a., C‑96/20, EU:C:2021:191, punto 36 e giurisprudenza ivi citata).

79      Dalla giurisprudenza della Corte emerge altresì che, qualora sussistano incertezze relative all’esistenza o l’importanza di rischi per la salute delle persone, gli Stati membri devono avere la possibilità, in forza del principio di precauzione, di adottare misure di protezione senza dover attendere che la realtà di tali rischi sia pienamente dimostrata. In particolare, gli Stati membri devono poter adottare qualunque misura atta a ridurre, per quanto possibile, i rischi per la salute (v., in tal senso, sentenze del 1º marzo 2018, CMVRO, C‑297/16, EU:C:2018:141, punto 65 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 19 novembre 2020, B S e C A [Commercializzazione del cannabidiolo (CBD)], C‑663/18, EU:C:2020:938, punto 90).

80      Peraltro, gli Stati membri, quando adottano misure restrittive per motivi di sanità pubblica, devono essere in grado di fornire prove adeguate, di dimostrare di aver effettuato un’analisi dell’idoneità, della necessità e della proporzionalità delle misure in discussione e di presentare qualsiasi altro elemento che consenta di suffragare la loro argomentazione. Un siffatto onere della prova non può tuttavia estendersi fino a pretendere che le autorità nazionali competenti dimostrino, in positivo, che nessun altro possibile provvedimento consentiva la realizzazione dello stesso legittimo obiettivo alle stesse condizioni (v., in tal senso, sentenza del 23 dicembre 2015, Scotch Whisky Association e a., C‑333/14, EU:C:2015:845, punti 54 e 55 nonché giurisprudenza ivi citata).

81      Spetterà al giudice del rinvio, il solo competente a valutare i fatti della controversia di cui al procedimento principale e ad interpretare la normativa nazionale, verificare se le misure restrittive di cui alla prima questione pregiudiziale soddisfacessero il requisito di proporzionalità ricordato al punto 77 della presente sentenza. Tuttavia, la Corte, chiamata a fornire al giudice in parola risposte utili, è competente a fornire indicazioni tratte dagli atti del procedimento principale come pure dalle osservazioni scritte sottopostele, tali da mettere detto giudice in grado di decidere (v., in tal senso, sentenza del 7 settembre 2022, Cilevičs e a., C‑391/20, EU:C:2022:638, punti 72 e 73 e giurisprudenza ivi citata).

82      Per quanto riguarda, sotto il primo profilo, l’idoneità di siffatte misure a conseguire l’obiettivo di tutela della salute pubblica nel contesto di una malattia qualificata come pandemia dall’OMS, il giudice del rinvio dovrà verificare se, alla luce dei dati scientifici comunemente accettati all’epoca dei fatti di cui al procedimento principale, ossia nel mese di luglio 2020, in relazione al virus del COVID-19, all’evoluzione del contagio e ai casi di mortalità dovuti a detto virus e tenuto conto del grado di incertezza che poteva regnare al riguardo, l’adozione di tali misure nonché i criteri di attuazione di queste ultime fossero idonei, tenuto conto della saturazione o del rischio di saturazione del sistema sanitario nazionale nonché del periodo estivo caratterizzato da un’intensificazione dei viaggi turistici e di piacere, propizi ad un aumento dei contagi, a contenere o arginare la diffusione di detto virus all’interno della popolazione dello Stato membro interessato, come sembravano ammettere tanto la comunità scientifica quanto le istituzioni dell’Unione e l’OMS.

83      Tale giudice dovrà altresì prendere in considerazione il fatto che le misure restrittive di cui trattasi nel procedimento principale si sono inserite nel quadro di misure analoghe adottate dagli altri Stati membri, accompagnate e coordinate dall’Unione in forza delle competenze di sostegno che essa detiene, ai sensi dell’articolo 168 TFUE, in materia di sorveglianza, di allarme e di lotta contro le minacce transfrontaliere gravi e i grandi flagelli.

84      Occorre peraltro ricordare che misure restrittive come quelle di cui trattasi nel procedimento principale possono essere considerate tali da garantire l’obiettivo di sanità pubblica perseguito solo se rispondono realmente all’intento di raggiungerlo e se sono attuate in modo coerente e sistematico (sentenza del 7 settembre 2022, Cilevičs e a., C‑391/20, EU:C:2022:638, punto 75 e giurisprudenza ivi citata).

85      A tal proposito, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi da 103 a 105 delle sue conclusioni, si deve osservare, con riserva di verifica da parte del giudice del rinvio, che, da un lato, le misure restrittive di cui alla prima questione pregiudiziale sembrano aver risposto all’intento di raggiungere tale obiettivo, in quanto s’inscrivevano in una strategia più ampia volta a limitare la diffusione del COVID-19 nella popolazione dello Stato membro interessato e comprendente altre misure quali, come risulta dalla decisione di rinvio e dalle osservazioni scritte del governo belga, misure di isolamento delle persone contagiate e di rintracciamento dei loro contatti, misure volte a limitare gli spostamenti all’interno del territorio di tale Stato membro e la chiusura dei luoghi di intrattenimento e di svago nonché di taluni esercizi commerciali.

86      D’altro lato, le succitate misure restrittive sembrano essere state attuate in modo coerente e sistematico, in quanto è pacifico che tutti i viaggi non essenziali erano in linea di principio vietati tra il Belgio e qualsiasi altro Stato membro classificato come zona ad alto rischio secondo criteri indistintamente applicabili a detti Stati e in quanto ogni viaggiatore che entrasse nel territorio belga provenendo da un tale Stato membro era tenuto a sottoporsi a test diagnostici e ad osservare una quarantena.

87      Per quanto riguarda, sotto il secondo profilo, la necessità di misure restrittive come quelle di cui trattasi nel procedimento principale alla luce dell’obiettivo di sanità pubblica perseguito, il giudice del rinvio dovrà verificare se tali misure siano state limitate allo stretto necessario e se non esistessero mezzi meno lesivi della libera circolazione delle persone, ma altrettanto efficaci per realizzare l’obiettivo in parola.

88      In proposito, con riguardo alla questione della limitazione di dette misure allo stretto necessario, occorre osservare che la misura di divieto di uscita dal territorio nazionale riguardava non il complesso degli spostamenti delle persone interessate, bensì i soli viaggi non essenziali di tali persone, e ciò unicamente verso Stati membri considerati come zone ad alto rischio, laddove l’elenco dei paesi di cui trattasi, come risulta dalla decisione di rinvio, era aggiornato frequentemente alla luce degli ultimi dati allora disponibili. Pertanto, chiunque si trovasse in tale territorio poteva ancora effettuare liberamente, da un lato, viaggi non essenziali verso Stati membri non classificati come zone ad alto rischio e, dall’altro, viaggi essenziali, ai sensi dell’elenco riportato al punto 26 della presente sentenza, verso Stati membri classificati come zone ad alto rischio. Nel corso dell’udienza, il governo belga ha indicato che erano parimenti considerati come viaggi essenziali altri spostamenti, anche transfrontalieri, non compresi in tale elenco, come gli spostamenti per effettuare spese alimentari, circostanza che spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare.

89      Inoltre, le misure diagnostiche e di quarantena imposte a tutti i viaggiatori che entrassero nel territorio nazionale provenendo da uno Stato membro classificato come zona ad alto rischio sembrano essere state limitate allo stretto necessario in quanto riguardavano, in via preventiva e temporanea, viaggiatori provenienti da Stati membri in cui erano stati esposti a un rischio elevato di contagio, in modo da individuare, al momento del loro ingresso nel territorio nazionale, le persone infette e prevenire la diffusione del virus da parte di persone potenzialmente contagiose.

90      Per quanto riguarda, peraltro, la questione dell’esistenza di misure meno restrittive ma altrettanto efficaci, occorre ricordare il margine di discrezionalità di cui dispongono gli Stati membri in materia di tutela della salute pubblica in forza del principio di precauzione ricordato al punto 79 della presente sentenza. In tali circostanze, il giudice del rinvio dovrà limitarsi a verificare se risulti con evidenza che, tenuto conto, in particolare, delle informazioni esistenti sul virus del Covid-19 all’epoca dei fatti di cui al procedimento principale, misure quali l’obbligo di distanziamento sociale e/o di portare la mascherina nonché l’obbligo per ogni persona di effettuare regolarmente test diagnostici sarebbero state sufficienti per garantire lo stesso risultato delle misure restrittive di cui alla prima questione pregiudiziale (v., per analogia, sentenza del 1º marzo 2018, CMVRO, C‑297/16, EU:C:2018:141, punto 70).

91      A tal riguardo, il giudice del rinvio dovrà prendere in considerazione la situazione epidemiologica esistente in Belgio all’epoca dei fatti di cui al procedimento principale, il livello di sovraccarico o di saturazione del sistema sanitario belga, il rischio di ripresa incontrollabile o drastica dei contagi in assenza delle misure restrittive di cui alla prima questione pregiudiziale, il fatto che talune persone, portatrici della malattia, potessero essere asintomatiche, in corso di incubazione o rivelarsi negative ai test diagnostici, la necessità di raggiungere il maggior numero possibile di persone per arginare la diffusione della malattia all’interno della popolazione e isolare le persone infette nonché gli effetti combinati, in termini di protezione della popolazione, delle misure restrittive di cui trattasi nel procedimento principale e di quelle menzionate al punto precedente.

92      Sotto un terzo profilo, per quanto riguarda la questione della proporzionalità, in senso stretto, di misure restrittive come quelle di cui alla prima questione pregiudiziale, il giudice del rinvio dovrà verificare se esse non fossero sproporzionate rispetto all’obiettivo di sanità pubblica perseguito, tenuto conto dell’impatto che tali misure possono aver avuto sulla libera circolazione dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari, sul diritto al rispetto della loro vita privata e familiare garantito dall’articolo 7 della Carta nonché sulla libertà d’impresa, sancita all’articolo 16 della medesima, di persone giuridiche quali la Nordic Info.

93      Occorre infatti ricordare che un obiettivo di interesse generale, quale l’obiettivo di tutela della sanità pubblica di cui all’articolo 27, paragrafo 1, e all’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, non può essere perseguito da una misura nazionale senza tener conto del fatto che esso deve essere conciliato con i diritti fondamentali e i principi interessati da tale misura, quali sanciti dai Trattati e dalla Carta, effettuando un contemperamento equilibrato tra, da un lato, tale obiettivo di interesse generale e, dall’altro, i diritti e i principi di cui trattasi, al fine di assicurare che gli inconvenienti causati da detta misura non siano sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti. Così, la possibilità di giustificare una limitazione ai diritti garantiti dagli articoli 7 e 45 della Carta e al principio della libera circolazione sancito all’articolo 3, paragrafo 2, TUE, agli articoli 20 e 21 TFUE, come attuati dalla direttiva 2004/38, nonché all’articolo 45 della Carta deve essere valutata misurando la gravità dell’ingerenza che una limitazione siffatta comporta, e verificando che l’importanza dell’obiettivo di interesse generale perseguito da tale limitazione sia adeguata a detta gravità (v., in tal senso, sentenze del 22 novembre 2022, Luxembourg Business Registers, C‑37/20 e C‑601/20, EU:C:2022:912, punto 64, nonché del 26 aprile 2022, Polonia/Parlamento e Consiglio, C‑401/19, EU:C:2022:297, punto 66 e giurisprudenza ivi citata).

94      Nel procedimento principale, per quanto riguarda la proporzionalità della misura di divieto di uscita dal territorio belga per effettuare viaggi non essenziali, il giudice del rinvio dovrà tener conto del fatto che la restrizione così apportata alla libera circolazione nonché al diritto al rispetto della vita privata e familiare non impediva qualsiasi uscita da tale territorio, dal momento che era limitata ai soli viaggi non essenziali, come, nel caso di specie, viaggi di piacere o turistici, che, come risulta dall’elenco dei viaggi essenziali riprodotto al punto 26 della presente sentenza, non vietava i viaggi giustificati da motivi imperativi di famiglia e che i divieti di uscita erano revocati non appena lo Stato membro di destinazione interessato non fosse più classificato come zona ad alto rischio sulla base di una rivalutazione regolare della sua situazione.

95      Peraltro, per quanto riguarda persone giuridiche, come la Nordic Info, che hanno subito una limitazione della loro libertà d’impresa, in particolare, della libertà di proporre viaggi di piacere e viaggi turistici tra il Belgio e Stati membri classificati come zone ad alto rischio, si deve considerare, con riserva di verifica da parte del giudice del rinvio, che una misura di divieto di qualsiasi uscita dal territorio belga per effettuare viaggi non essenziali sembra proporzionata alla luce dell’obiettivo di tutela della sanità pubblica perseguito, in quanto, tenuto conto del contesto sanitario grave derivante dalla pandemia di COVID-19, non sembrava irragionevole vietare temporaneamente i viaggi non essenziali verso tali Stati membri fino a quando la situazione sanitaria di questi ultimi non fosse migliorata in modo da evitare l’uscita dal territorio nazionale e, eventualmente, il ritorno di persone malate in detto territorio e, pertanto, la diffusione incontrollata della pandemia di cui trattasi fra i diversi Stati membri nonché nel territorio in parola.

96      Per quanto riguarda il carattere proporzionato delle misure diagnostiche e di quarantena obbligatorie per i viaggiatori in entrata nel territorio belga provenienti da uno Stato membro classificato come zona rossa, occorre osservare, da un lato, che, a causa della rapidità dei test, misure diagnostiche come quelle di cui trattasi nel procedimento principale sono tali da incidere soltanto in misura circoscritta sul diritto al rispetto della vita privata e familiare di siffatti viaggiatori nonché sul diritto alla libera circolazione, mentre contribuivano all’identificazione delle persone portatrici del virus del COVID-19 e, pertanto, a realizzare l’obiettivo consistente nel contenere e arginare la diffusione del virus in parola.

97      D’altro lato, una quarantena obbligatoria imposta a qualunque viaggiatore in entrata nel territorio belga proveniente da uno Stato membro classificato come zona ad alto rischio, indipendentemente dal fatto che tale viaggiatore fosse stato o meno contaminato da detto virus, limitava certamente in modo drastico il diritto al rispetto della vita privata e familiare nonché la libertà di movimento di cui dispone in linea di principio tale viaggiatore in conseguenza dell’esercizio del suo diritto alla libera circolazione. Tuttavia, una siffatta quarantena sembra, con riserva di verifica da parte del giudice del rinvio, anch’essa proporzionata alla luce del principio di precauzione, in quanto, da un lato, sussisteva una probabilità non trascurabile che un viaggiatore del genere fosse portatore dello stesso virus e che, in particolare quando era in fase di incubazione o asintomatico, in assenza di quarantena contagiasse altre persone al di fuori del suo nucleo familiare e, dall’altro, i test diagnostici potevano rivelarsi falsamente negativi.

98      Per questi motivi, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che gli articoli 27 e 29 della direttiva 2004/38, letti in combinato disposto con gli articoli 4 e 5 di quest’ultima, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano alla normativa di portata generale di uno Stato membro che, per ragioni di sanità pubblica attinenti alla lotta contro la pandemia di COVID-19, vieta, da un lato, ai cittadini dell’Unione nonché ai loro familiari, qualunque sia la loro cittadinanza, di effettuare viaggi non essenziali dallo Stato membro in parola e verso altri Stati membri dal medesimo classificati come zone ad alto rischio sulla base delle misure sanitarie restrittive o della situazione epidemiologica esistenti in tali altri Stati membri e impone, dall’altro, ai cittadini dell’Unione che non siano cittadini di detto Stato membro l’obbligo di sottoporsi a test diagnostici e di osservare una quarantena quando entrano nel territorio dello stesso Stato membro in provenienza da uno di tali altri Stati membri, a condizione che la normativa nazionale in discussione rispetti il complesso delle condizioni e delle garanzie di cui agli articoli da 30 a 32 della direttiva summenzionata, i diritti e i principi fondamentali sanciti dalla Carta, segnatamente il principio del divieto di discriminazioni, nonché il principio di proporzionalità.

 Sulla seconda questione

99      Secondo una giurisprudenza costante, nell’ambito della procedura di cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte, di cui all’articolo 267 TFUE, spetta a quest’ultima fornire al giudice nazionale una risposta utile che gli consenta di dirimere la controversia di cui è investito. In tale ottica, la Corte può essere condotta a prendere in considerazione norme del diritto dell’Unione alle quali il giudice nazionale non ha fatto riferimento nella formulazione della sua questione. Infatti, la circostanza che un giudice nazionale abbia, sul piano formale, elaborato una questione pregiudiziale facendo riferimento a talune disposizioni del diritto dell’Unione non osta a che la Corte fornisca a detto giudice tutti gli elementi di interpretazione che possono essere utili per la soluzione della causa di cui è investito, indipendentemente dal fatto che esso vi abbia fatto o no riferimento nell’enunciazione delle sue questioni. Spetta, a tale riguardo, alla Corte trarre dall’insieme degli elementi forniti dal giudice nazionale, e, in particolare, dalla motivazione della decisione di rinvio, gli elementi di diritto dell’Unione che richiedano un’interpretazione, tenuto conto dell’oggetto della controversia [sentenza del 20 aprile 2023, BVAEB (Adeguamento delle pensioni di vecchiaia), C‑52/22, EU:C:2023:309, punto 38 e giurisprudenza ivi citata].

100    Dalle spiegazioni del giudice del rinvio risulta che la seconda questione è sollevata nel contesto di due argomenti dedotti dalla Nordic Info, secondo i quali il controllo delle restrizioni al diritto di ingresso e di uscita imposte dalla normativa belga nei confronti delle persone che effettuano viaggi non essenziali da o verso altri Stati dello spazio Schengen classificati come zone ad alto rischio, da un lato, equivaleva a una verifica di frontiera ed è stato effettuato per motivi di sanità pubblica in violazione dell’articolo 23 del codice frontiere Schengen e, dall’altro, equivaleva a ripristinare un controllo di frontiera alle frontiere interne nello spazio Schengen in violazione dell’articolo 25 di tale codice.

101    In siffatte circostanze, occorre considerare che, con detta seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli articoli 22, 23 e 25 del codice frontiere Schengen debbano essere interpretati nel senso che ostano alla normativa di uno Stato membro che, per motivi di sanità pubblica attinenti alla lotta contro la pandemia di COVID-19, vieta, sotto il controllo delle autorità competenti e a pena di sanzioni, l’attraversamento delle frontiere interne di tale Stato membro per effettuare viaggi non essenziali da o verso Stati dello spazio Schengen classificati come zone ad alto rischio.

102    Al riguardo, si deve ricordare che l’articolo 67, paragrafo 2, TFUE, il quale rientra nell’ambito di applicazione del titolo V del Trattato FUE relativo allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, dispone che l’Unione garantisce che non vi siano controlli sulle persone alle frontiere interne. L’articolo 77, paragrafo 1, lettera a), TFUE prevede che l’Unione sviluppa una politica volta a garantire l’assenza di qualsiasi controllo sulle persone, a prescindere dalla nazionalità, all’atto dell’attraversamento di tali frontiere. La soppressione del controllo alle frontiere interne è, come si evince dal considerando 2 del codice frontiere Schengen, un elemento costitutivo dell’obiettivo dell’Unione, enunciato nell’articolo 26 TFUE, diretto ad instaurare uno spazio senza frontiere interne nel quale la libera circolazione delle persone è assicurata da atti dell’Unione adottati sul fondamento dell’articolo 77, paragrafo 2, lettera e), TFUE, quali il codice frontiere Schengen (v., per analogia, sentenze del 19 luglio 2012, Adil, C‑278/12 PPU, EU:C:2012:508, punti 48 e 49, nonché del 21 giugno 2017, A, C‑9/16, EU:C:2017:483, punti 30 e 31).

103    In tale contesto, l’articolo 22 del codice frontiere Schengen ricorda il principio secondo cui le frontiere interne, nel senso definito all’articolo 2, punto 1, del medesimo codice, possono essere attraversate in qualunque punto senza che sia effettuata una verifica di frontiera sulle persone, indipendentemente dalla loro nazionalità.

104    Al titolo «Verifiche all’interno del territorio», l’articolo 23, lettera a), del codice frontiere Schengen stabilisce, quanto ad esso, che l’assenza del controllo alle frontiere interne non pregiudica l’esercizio delle competenze di polizia da parte delle autorità competenti dello Stato membro in forza della legislazione nazionale, nella misura in cui l’esercizio di queste competenze non abbia effetto equivalente alle verifiche di frontiera e che ciò vale anche nelle zone di frontiera. Pertanto, sebbene tale disposizione, in combinato disposto con l’articolo 2, punto 11, e l’articolo 22 del codice in parola, vieti alle autorità competenti degli Stati membri di esercitare le loro competenze di polizia per effettuare controlli ai valichi di frontiera, ai sensi dell’articolo 2, punto 8, di detto codice, al fine di verificare che le persone, compresi i loro mezzi di trasporto e gli oggetti in loro possesso, siano autorizzati ad entrare nel territorio nazionale o a lasciarlo, essa salvaguarda tuttavia il diritto degli Stati membri di effettuare, all’interno del territorio nazionale, comprese le zone di frontiera, controlli giustificati dall’esercizio di competenze di polizia, purché tale esercizio non abbia un effetto equivalente a quello di una siffatta verifica.

105    Peraltro, va rilevato che l’articolo 25 del codice frontiere Schengen prevede la possibilità di ripristinare i controlli alle frontiere interne dell’Unione in via eccezionale rispetto al principio di cui all’articolo 22 del medesimo codice, come menzionato al punto 103 della presente sentenza. Sul fondamento di tale articolo 25, gli Stati membri possono quindi ripristinare temporaneamente controlli, per determinati periodi massimi, in tutte le parti o in parti specifiche delle loro frontiere interne, quali definite all’articolo 2, punto 1, di detto codice, in caso di minaccia grave per il loro ordine pubblico o la loro sicurezza interna, fermo restando che tale ripristino può avvenire solo come misura di extrema ratio. In ogni caso, la durata di tale ripristino temporaneo non deve superare quanto è strettamente necessario per rispondere a detta minaccia e deve essere proporzionata rispetto a quest’ultima, fermo restando che il tipo di valutazione che deve essere effettuata a tal fine nonché la procedura che deve essere seguita sono, in particolare, disciplinati in modo dettagliato agli articoli da 26 a 28 del medesimo codice [v., in tal senso, sentenza del 26 aprile 2022, Landespolizeidirektion Steiermark (Durata massima del controllo di frontiera alle frontiere interne), C‑368/20 e C‑369/20, EU:C:2022:298, punti 54, 63, 67 e 68].

106    Nel caso di specie, dal fascicolo di cui dispone la Corte nonché dalle dichiarazioni effettuate dal governo belga nelle sue osservazioni scritte così come in udienza risulta che, all’epoca dei fatti di cui al procedimento principale, le autorità nazionali hanno svolto controlli per verificare il rispetto del divieto di attraversamento delle frontiere interne sancito dall’articolo 18 del decreto ministeriale modificato.

107    Il governo belga ha peraltro precisato, in risposta ad un quesito della Corte, che i controlli dei divieti di entrata e di uscita dal territorio belga erano effettuati, all’epoca dei fatti di cui al procedimento principale, nel modo seguente: negli aeroporti e nelle stazioni ferroviarie, i viaggiatori rispettivamente dei voli e dei collegamenti ferroviari tra il Belgio e Stati dello spazio Schengen classificati come zone ad alto rischio venivano sottoposti a controlli aleatori, mentre sulle strade venivano effettuati controlli di frontiera aleatori da parte di squadre mobili durante il normale orario di lavoro, con particolare attenzione al trasporto di passeggeri in autobus.

108    Dal canto suo, la Commissione europea, nel corso del procedimento dinanzi alla Corte, ha dichiarato di aver ricevuto, il 4 giugno 2020, una notifica da parte del Regno del Belgio da cui risultava che tale Stato membro aveva cessato di procedere a controlli alle frontiere interne durante il periodo di cui trattasi nel procedimento principale.

109    In tali circostanze, il giudice del rinvio dovrà verificare, da un lato, se, quando i controlli sul divieto di attraversamento delle frontiere di cui al punto 33 della presente sentenza sono stati eseguiti all’interno del territorio belga, comprese le zone di frontiera, l’esercizio delle competenze di polizia a titolo delle quali tali controlli sono stati effettuati non abbia avuto un effetto equivalente a quello delle verifiche di frontiera, ai sensi dell’articolo 23, lettera a), del codice frontiere Schengen e, d’altro lato, se, nel caso in cui i controlli in parola siano stati eseguiti alle frontiere interne, il Regno del Belgio abbia rispettato tutte le condizioni di cui agli articoli da 25 a 28 di detto codice per il ripristino temporaneo dei controlli alle frontiere interne.

110    A tale riguardo, la Corte, statuendo su un rinvio pregiudiziale, può fornire precisazioni intese a guidare il giudice nazionale nella propria decisione (v., in tal senso, sentenza del 5 maggio 2022, Victorinox, C‑179/21, EU:C:2022:353, punto 49 e giurisprudenza ivi citata).

111    Per quanto riguarda, in primo luogo, l’articolo 23, lettera a), del codice frontiere Schengen, dalla giurisprudenza della Corte risulta che il rispetto del diritto dell’Unione, segnatamente degli articoli 22 e 23 del codice in parola, deve essere assicurato dall’attuazione e dal rispetto di una disciplina normativa la quale garantisca che l’esercizio pratico delle competenze di polizia di cui al menzionato articolo 23, lettera a), non possa avere un effetto equivalente a quello delle verifiche di frontiera (v., per analogia, sentenze del 19 luglio 2012, Adil, C‑278/12 PPU, EU:C:2012:508, punto 68 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 21 giugno 2017, A, C‑9/16, EU:C:2017:483, punto 37).

112    L’articolo 23, lettera a), seconda frase, da i) a iv), di detto codice fornisce, stante l’espressione «in particolare» che figura all’inizio di tale frase, indici che consentono di guidare gli Stati membri nell’attuazione delle loro competenze di polizia e della disciplina normativa di cui al punto precedente cosicché l’esercizio di queste ultime non abbia un effetto equivalente a quello delle verifiche di frontiera.

113    Sotto un primo profilo, per quanto riguarda l’indice contenuto nell’articolo 23, lettera a), seconda frase, i), del codice frontiere Schengen, secondo cui le misure di polizia non devono avere «come obiettivo il controllo di frontiera», la Corte ha già dichiarato che dall’articolo 2, punti da 10 a 12 del codice in parola risulta che tale obiettivo è volto, da un lato, ad accertare che le persone possano essere autorizzate a entrare nel territorio dello Stato membro o autorizzate a lasciarlo, e, dall’altro, a evitare che le persone eludano le verifiche di frontiera. Si tratta di controlli che possono essere eseguiti sistematicamente o in modo aleatorio (v., per analogia, sentenza del 13 dicembre 2018, Touring Tours und Travel e Sociedad de transportes, C‑412/17 e C‑474/17, EU:C:2018:1005, punto 55 e giurisprudenza ivi citata).

114    Orbene, nel caso di specie, gli obiettivi perseguiti dai controlli effettuati per garantire il rispetto dell’articolo 18 del decreto ministeriale modificato sembrano distinguersi su taluni punti essenziali da quelli perseguiti dalle verifiche di frontiera. È vero, infatti, che tali controlli avevano lo scopo, come indicato al punto 106 della presente sentenza, di verificare se persone intenzionate ad attraversare le frontiere o che avessero attraversato le frontiere fossero autorizzate a lasciare il territorio belga o ad entrarvi. Tuttavia, secondo la formulazione stessa del decreto ministeriale modificato, l’obiettivo principale di detti controlli era quello di limitare, con urgenza, la diffusione del COVID-19 nel territorio in parola e, tenuto conto dell’obbligo previsto peraltro per tutti i viaggiatori in entrata in tale territorio provenienti da uno Stato dello spazio Schengen classificato come zona rossa di sottoporsi a test diagnostici e di osservare una quarantena, di provvedere all’identificazione e al monitoraggio di detti viaggiatori.

115    Tenuto conto di siffatto obiettivo principale, non si può considerare che i controlli eseguiti per garantire il rispetto dell’articolo18 del decreto ministeriale modificato abbiano avuto un effetto equivalente a quello delle verifiche di frontiera, vietato dall’articolo 23, lettera a), del codice frontiere Schengen (v., per analogia, sentenza del 21 giugno 2017, A, C‑9/16, EU:C:2017:483, punti 46 e 51).

116    Inoltre, sebbene sembri che, nel caso di specie, i controlli stradali siano stati effettuati principalmente in zone di frontiera, tale circostanza non è sufficiente, di per sé, per constatare che l’esercizio delle competenze di polizia aveva un effetto equivalente a quello delle verifiche di frontiera. Infatti, la prima frase dell’articolo 23, lettera a), del codice frontiere Schengen, si riferisce esplicitamente all’esercizio delle competenze di polizia da parte delle autorità competenti dello Stato membro in forza del diritto nazionale, del pari nelle zone di frontiera (v., per analogia, sentenza del 21 giugno 2017, A, C‑9/16, EU:C:2017:483, punto 52 e giurisprudenza ivi citata).

117    Sotto un secondo profilo, per quanto riguarda l’indice di cui all’articolo 23, lettera a), seconda frase, ii), del codice frontiere Schengen, relativo al fatto che le misure di polizia devono «basa[rsi] su informazioni e l’esperienza generali di polizia quanto a possibili minacce per la sicurezza pubblica», occorre ricordare che, sebbene tale disposizione menzioni unicamente le «minacce alla sicurezza pubblica», resta il fatto che l’articolo 23, lettera a), di tale codice, stante l’espressione «in particolare» contenuta all’inizio della sua seconda frase, non prevede né un elenco esaustivo dei presupposti che le misure di polizia devono soddisfare per non essere considerate come aventi un effetto equivalente a quello delle verifiche di frontiera, né un elenco esaustivo di obiettivi che tali misure di polizia possono perseguire o ancora dell’oggetto sul quale esse possono vertere (v., per analogia, sentenza del 21 giugno 2017, A, C‑9/16, EU:C:2017:483, punto 48). Ciò deve a maggior ragione valere in quanto le competenze di polizia sono definite, ai sensi dell’articolo 23, lettera a), di detto codice, «in forza della legislazione nazionale» e possono pertanto riguardare settori diversi da quello della pubblica sicurezza di cui alla seconda frase, ii), di tale disposizione.

118    Pertanto, il fatto che le minacce per la sanità pubblica non siano espressamente menzionate all’articolo 23, lettera a), seconda frase, ii), del codice frontiere Schengen non può significare, di per sé, che, mentre questioni di sanità pubblica possono rientrare nelle competenze di polizia in forza della legislazione nazionale e le misure adottate in forza di tali competenze possono essere basate su informazioni e l’esperienza generali di polizia quanto a minacce possibili o accertate per la sanità pubblica, quali una pandemia o un rischio di pandemia, il settore della salute pubblica non potrebbe essere invocato da uno Stato membro ai sensi dell’articolo 23, lettera a), di detto codice.

119    Quanto al fatto che le misure di polizia devono, ai sensi dell’articolo 23, lettera a), seconda frase, ii), del codice frontiere Schengen, essere basate su «informazioni e l’esperienza generali di polizia» nel settore interessato, vale a dire, nel caso di specie, una minaccia per la sanità pubblica, occorre ricordare che tale requisito non è soddisfatto qualora i controlli siano imposti sulla base di un divieto di carattere generale, indipendentemente dal comportamento delle persone interessate e da circostanze che attestino l’esistenza di una minaccia per tale settore (v., per analogia, sentenza del 13 settembre 2018, Touring Tours und Travel e Sociedad de transportes, C‑412/17 e C‑474/17, EU:C:2018:1005, punto 61 e giurisprudenza ivi citata).

120    Sebbene dal fascicolo di cui dispone la Corte risulti che, all’epoca dei fatti di cui al procedimento principale, i controlli in discussione sono stati effettuati sulla base di un divieto avente un siffatto carattere generale e indipendentemente dal comportamento dei viaggiatori, si deve tuttavia rilevare che la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale si inseriva nel contesto di una minaccia grave per la sanità pubblica, vale a dire una pandemia caratterizzata da un virus potenzialmente mortale per varie categorie della popolazione e in grado di sovraccaricare, o addirittura di saturare, il sistema sanitario nazionale. Occorre altresì tener conto, da un lato, dell’obiettivo principale perseguito tanto dal divieto in discussione quanto dalle misure di controllo che lo accompagnano, vale a dire contenere o arginare la diffusione o il rischio di diffusione del virus in modo da salvaguardare il maggior numero possibile di vite umane, e, dall’altro, della difficoltà estrema, o addirittura dell’impossibilità, di determinare in anticipo quali tra le persone che utilizzavano diversi mezzi di trasporto provenissero da Stati membri classificati come zone ad alto rischio o si recassero in tali Stati membri. In un contesto del genere, è sufficiente, ai fini dell’articolo 23, lettera a), seconda frase, ii), del codice frontiere Schengen, che i controlli siano stati decisi e attuati alla luce di circostanze che dimostravano oggettivamente un rischio di pregiudizio grave e serio alla sanità pubblica e sulla base delle conoscenze generali che le autorità avevano relativamente alle zone di ingresso e di uscita dal territorio nazionale attraverso le quali un gran numero di viaggiatori destinatari del divieto in parola potevano transitare.

121    Sotto un terzo profilo, per quanto riguarda gli indici di cui all’articolo 23, lettera a), seconda frase, iii) e iv), del codice frontiere Schengen, relativi al fatto che le misure di polizia devono essere «ideate ed eseguite in maniera chiaramente distinta dalle verifiche sistematiche sulle persone alle frontiere esterne [dell’Unione]» e «effettuate sulla base di verifiche a campione», dalle spiegazioni del governo belga in risposta a un quesito scritto della Corte risulta che tutti i controlli di cui trattasi nel procedimento principale sono stati eseguiti in modo aleatorio e, pertanto, «a campione», circostanza che spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare. Detto giudice dovrà tuttavia ancora esaminare se tali controlli siano stati ideati ed eseguiti in maniera chiaramente distinta dalle verifiche sistematiche sulle persone alle frontiere esterne dell’Unione, il che comporta l’esaminare in dettaglio le precisazioni e le limitazioni previste dalla normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale riguardo all’intensità, alla frequenza e alla selettività dei controlli in parola (v., per analogia, sentenza del 13 dicembre 2018, Touring Tours und Travel e Sociedad de transportes, C‑412/17 e C‑474/17, EU:C:2018:1005, punto 64 e giurisprudenza ivi citata).

122    Sebbene la Corte non disponga di elementi di informazione al riguardo, occorre quantomeno osservare che, nel contesto di una pandemia come quella descritta al punto 120 della presente sentenza e tenuto conto del fatto, già rilevato al medesimo punto, che può essere estremamente difficile se non addirittura impossibile determinare in anticipo quali tra le persone che utilizzano diversi mezzi di trasporto provengano da Stati membri classificati come zone ad alto rischio o si rechino in detti Stati membri, un certo margine di discrezionalità, giustificato anche dal principio di precauzione, deve essere riconosciuto allo Stato membro interessato nell’ideazione e nell’esecuzione dei controlli per quanto riguarda la loro intensità, frequenza e selettività. Questo margine di discrezionalità non può tuttavia estendersi a un punto tale che i controlli così ideati ed eseguiti non possano distinguersi «chiaramente» dalle verifiche sistematiche sulle persone effettuate alle frontiere esterne dell’Unione e rivestano un siffatto carattere sistematico.

123    Per quanto riguarda, in secondo luogo, la questione relativa al ripristino temporaneo dei controlli di frontiera alle frontiere interne, ai sensi degli articoli 25 e seguenti del codice frontiere Schengen, occorre constatare che, mentre la formulazione dell’articolo 23, lettera a), di tale codice, come indicato al punto 117 della presente sentenza, è aperta, nel senso che preserva il diritto degli Stati membri di esercitare competenze di polizia anche nel settore della sanità pubblica, l’articolo 25, paragrafo 1, di detto codice si riferisce esplicitamente alla possibilità per gli Stati membri di ripristinare temporaneamente controlli di frontiera in caso di minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna.

124    Poiché l’eccezione introdotta da quest’ultima disposizione all’articolo 22 del codice frontiere Schengen deve essere interpretata restrittivamente [v., in tal senso, sentenza del 26 aprile 2022, Landespolizeidirektion Steiermark (Durata massima del controllo di frontiera alle frontiere interne), C‑368/20 e C‑369/20, EU:C:2022:298, punti 64 e 66 e giurisprudenza ivi citata], una minaccia per la sanità pubblica non può, in quanto tale, giustificare il ripristino di controlli alle frontiere interne.

125    Ciò posto, occorre considerare, al pari dell’avvocato generale al paragrafo 154 delle sue conclusioni, che, se una minaccia sanitaria costituisce una minaccia grave per l’ordine pubblico e/o la sicurezza interna, uno Stato membro può ripristinare temporaneamente i controlli alle sue frontiere interne per rispondere a tale minaccia grave, purché siano rispettate le altre condizioni previste agli articoli 25 e seguenti del codice frontiere Schengen.

126    Risulta infatti dalle nozioni di «ordine pubblico» e di «sicurezza interna», quali precisate nella giurisprudenza della Corte, che una minaccia sanitaria può, in taluni casi, costituire una minaccia grave per l’ordine pubblico e/o la sicurezza interna (v., in tal senso, sentenza del 16 dicembre, Josemans, C‑137/09, EU:C:2010:774, punto 65). In tal senso, da un lato, la nozione di «ordine pubblico» presuppone, oltre alla perturbazione dell’ordine sociale insita in qualsiasi infrazione della legge, l’esistenza di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società. D’altro lato, la nozione di «sicurezza interna» corrisponde alla prospettiva interna della sicurezza pubblica di uno Stato membro e comprende segnatamente il pregiudizio al funzionamento delle istituzioni e dei servizi pubblici essenziali nonché la sopravvivenza della popolazione, così come il pregiudizio agli interessi militari o le minacce dirette per la tranquillità e la sicurezza fisica della popolazione [v., in tal senso, sentenze del 15 febbraio 2016, N., C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84, punti 65 e 66 e giurisprudenza ivi citata, e del 2 maggio 2018, K. e H.F. (Diritto di soggiorno e allegazioni di crimini di guerra), C‑331/16 e C‑366/16, EU:C:2018:296, punto 42 e giurisprudenza ivi citata].

127    Orbene, una pandemia di una portata come quella del COVID-19, caratterizzata da una malattia contagiosa potenzialmente mortale per varie categorie della popolazione e in grado di sovraccaricare o addirittura saturare i sistemi sanitari nazionali, è tale da ledere un interesse fondamentale della società, ossia quello consistente nel proteggere la vita dei cittadini salvaguardando al contempo il buon funzionamento del sistema sanitario e la fornitura di cure adeguate alla popolazione, e incide inoltre sulla sopravvivenza stessa di una parte della popolazione, in particolare le persone più vulnerabili. In tali circostanze, una situazione del genere può essere qualificata come minaccia grave per l’ordine pubblico e/o la sicurezza interna, ai sensi dell’articolo 25, paragrafo 1, del codice frontiere Schengen.

128    Nel caso di specie, qualora il giudice del rinvio constatasse che le autorità belghe hanno effettuato verifiche o controlli alle frontiere interne durante il periodo in discussione nel procedimento principale, spetterà al giudice in parola verificare, tenuto conto del fatto che tali verifiche o controlli erano volti, come indicato al punto 127 della presente sentenza, a rispondere a una minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna, se fossero soddisfatte le altre condizioni di cui agli articoli da 25 a 28 del codice frontiere Schengen, riassunte in sostanza al punto 105 della presente sentenza.

129    Per questi motivi, occorre rispondere alla seconda questione dichiarando che gli articoli 22, 23 e 25 del codice frontiere Schengen devono essere interpretati nel senso che essi non ostano alla normativa di uno Stato membro che, per ragioni di sanità pubblica attinenti alla lotta contro la pandemia di COVID-19, vieta, sotto il controllo delle autorità competenti e a pena di sanzioni, l’attraversamento delle frontiere interne di tale Stato membro per effettuare viaggi non essenziali da o verso Stati dello spazio Schengen classificati come zone ad alto rischio, a condizione che dette misure di controllo rientrino nell’esercizio di competenze di polizia che non deve avere un effetto equivalente a quello delle verifiche di frontiera, ai sensi dell’articolo 23, lettera a), del codice in parola, o che, nel caso in cui dette misure costituissero controlli alle frontiere interne, detto Stato membro abbia rispettato le condizioni poste dagli articoli da 25 a 28 del codice in parola per il ripristino temporaneo di tali controlli, con la precisazione che la minaccia causata da una siffatta pandemia corrisponde a una minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna, ai sensi dell’articolo 25, paragrafo 1, del medesimo codice.

 Sulle spese

130    Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

1)      Gli articoli 27 e 29 della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, letti in combinato disposto con gli articoli 4 e 5 della stessa,

devono essere interpretati nel senso che:

essi non ostano alla normativa di portata generale di uno Stato membro che, per ragioni di sanità pubblica attinenti alla lotta contro la pandemia di COVID-19, vieta, da un lato, ai cittadini dell’Unione nonché ai loro familiari, qualunque sia la loro cittadinanza, di effettuare viaggi non essenziali da detto Stato membro e verso altri Stati membri dal medesimo classificati come zone ad alto rischio sulla base delle misure sanitarie restrittive o della situazione epidemiologica esistenti in tali altri Stati membri e impone, dall’altro, ai cittadini dell’Unione che non siano cittadini dello Stato membro in parola l’obbligo di sottoporsi a test diagnostici e di osservare una quarantena quando entrano nel territorio dello stesso Stato membro in provenienza da uno di tali altri Stati membri, a condizione che la normativa nazionale in discussione rispetti il complesso delle condizioni e delle garanzie di cui agli articoli da 30 a 32 della direttiva summenzionata, i diritti e i principi fondamentali sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, segnatamente il principio del divieto di discriminazioni, nonché il principio di proporzionalità.

2)      Gli articoli 22, 23 e 25 del regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, che istituisce un codice unionale relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen), come modificato dal regolamento (UE) 2017/2225 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2017,

devono essere interpretati nel senso che:

essi non ostano alla normativa di uno Stato membro che, per ragioni di sanità pubblica attinenti alla lotta contro la pandemia di COVID-19, vieta, sotto il controllo delle autorità competenti e a pena di sanzioni, l’attraversamento delle frontiere interne di tale Stato membro per effettuare viaggi non essenziali da o verso Stati dello spazio Schengen classificati come zone ad alto rischio, a condizione che dette misure di controllo rientrino nell’esercizio di competenze di polizia che non deve avere un effetto equivalente a quello delle verifiche di frontiera, ai sensi dell’articolo 23, lettera a), del codice in parola, o che, nel caso in cui dette misure costituissero controlli alle frontiere interne, detto Stato membro abbia rispettato le condizioni poste dagli articoli da 25 a 28 del codice stesso per il ripristino temporaneo di tali controlli, con la precisazione che la minaccia causata da una siffatta pandemia corrisponde a una minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna, ai sensi dell’articolo 25, paragrafo 1, del medesimo codice.

Firme


*      Lingua processuale: il neerlandese.