Language of document : ECLI:EU:C:2007:203

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PAOLO Mengozzi

presentate il 29 marzo 2007 (1)

Causa C‑182/06

Granducato di Lussemburgo

contro

Hans Ulrich Lakebrink

e

Katrin Peters-Lakebrink

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Cour administrative (Lussemburgo)]

«Libera circolazione dei lavoratori – Imposta sul reddito dei non residenti – Normativa nazionale che limita la rilevanza delle perdite dei redditi da locazione di beni immobili situati nel territorio di un altro Stato membro ai fini della determinazione dell’aliquota dell’imposta sul reddito»





1.        Con la presente domanda di pronuncia pregiudiziale la Cour administrative di Lussemburgo chiede in sostanza alla Corte di precisare se una regolamentazione nazionale quale quella di cui all’art. 157ter de la loi modifiée du 4 décembre 1967 relative à l’impôt sur le revenu (legge lussemburghese relativa all’imposta sul reddito, in prosieguo: la «LIR») è in contrasto con i principi sulla libera circolazione dei lavoratori (art. 39 CE). In base a tale disposizione, ai fini della determinazione dell’aliquota d’imposta applicabile ai redditi tassabili nel Granducato di Lussemburgo non vengono prese in considerazione talune perdite da locazione di beni immobili siti in un altro Stato membro di un cittadino comunitario che, pur non risiedendo nel Granducato, vi percepisce l’essenziale del suo imponibile.

2.        Su una questione simile la Corte ha già avuto modo di pronunciarsi nella causa Ritter‑Coulais, in cui è stata valutata la compatibilità con l’art. 39 CE di una normativa tedesca che non permetteva a persone fisiche che percepivano redditi da lavoro subordinato in Germania ed erano ivi fiscalmente residenti di far valere, nel calcolo dell’aliquota d’imposta su detti redditi, perdite di reddito da locazione relative ad una casa destinata ad abitazione, che essi utilizzavano a fini personali, situata in un altro Stato membro (2). Rispetto a detta fattispecie il caso qui in esame si differenzia, tuttavia, sotto due profili: in primo luogo, la normativa lussemburghese in oggetto, come risulta da quanto già indicato, al contrario di quella esaminata nel caso Ritter‑Coulais, non prende in considerazione ai fini del calcolo dell’aliquota eventuali incrementi di reddito di un non residente derivanti da locazione di case situate all’estero. In secondo luogo, le perdite fatte valere dai ricorrenti nella causa principale che ha originato il presente rinvio pregiudiziale concernono immobili dati in locazione e non occupati personalmente.

I –    Quadro giuridico

A –    Il diritto comunitario rilevante

3.        L’art. 39 CE stabilisce quanto segue:

«1. La libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità è assicurata.

2. Essa implica l’abolizione di qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro.

Fatte salve le limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica, essa importa il diritto:

a) di rispondere a offerte di lavoro effettive,

b) di spostarsi liberamente a tal fine nel territorio degli Stati membri,

c) di prendere dimora in uno degli Stati membri al fine di svolgervi un’attività di lavoro, conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che disciplinano l’occupazione dei lavoratori nazionali,

d) di rimanere, a condizioni che costituiranno l’oggetto di regolamenti d’applicazione stabiliti dalla Commissione, sul territorio di uno Stato membro, dopo aver occupato un impiego».

B –    Il diritto nazionale

4.        Le disposizioni relative all’imposizione delle persone fisiche pertinenti nel caso di specie si rinvengono essenzialmente nella succitata LIR e nella convenzione diretta a evitare le doppie imposizioni e a stabilire norme di reciproca assistenza amministrativa in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio, in materia d’imposta commerciale e d’imposta fondiaria, conclusa il 23 agosto 1958 tra il Granducato di Lussemburgo e la Germania (in prosieguo: la «CDI»).

5.        In particolare, l’art. 157ter della LIR prevede che i contribuenti non residenti a Lussemburgo, ma ivi tassabili per almeno il 90 % del totale dei loro redditi professionali «indigeni» ed esteri, possano richiedere di essere tassati a Lussemburgo sui propri redditi ivi imponibili. In tal caso l’aliquota d’imposta viene calcolata tenendo conto di quella che sarebbe loro applicabile se fossero residenti, prendendo in considerazione, a tal fine, i loro redditi di fonte lussemburghese e i loro redditi professionali stranieri (3).

6.        Risulta, invece, dagli atti di causa che, nel caso di un contribuente residente a Lussemburgo, nel determinare l’aliquota applicabile al suo imponibile viene presa in considerazione la sua capacità contributiva globale, tenendo conto anche di eventuali perdite relative a locazioni di beni immobili siti all’estero (art. 134 della LIR).

7.        Ai sensi dell’art. 4 della CDI, i redditi derivanti dalla locazione di beni immobili sono imponibili nello Stato contraente in cui si trovano tali beni.

8.        Sempre in base a tale convenzione, spetta allo Stato di residenza prendere in considerazione il reddito mondiale di un proprio contribuente ai fini della fissazione dell’aliquota applicabile ai redditi imponibili in detto Stato (art. 24).

II – Fatti, domanda pregiudiziale e procedimento dinanzi alla Corte

9.        I coniugi Lakebrink, entrambi cittadini tedeschi e residenti in Germania, il cui imponibile era rappresentato per l’anno 2002 da redditi da lavoro subordinato lussemburghesi, richiedevano l’imposizione congiunta a Lussemburgo in base all’art. 157ter della LIR.

10.      Venivano, quindi, tassati sui loro redditi imponibili in Lussemburgo in base all’aliquota che sarebbe stata loro applicabile se avessero ivi avuto la loro residenza. Nelle relative cartelle d’imposta veniva, inoltre, precisato che ai fini della determinazione di detta aliquota, conformemente a quanto previsto dall’art. 157ter della LIR, non erano state prese in considerazione, come invece richiesto dagli interessati, le perdite da locazione relative ad immobili ubicati in Germania.

11.      Quest’ultima decisione veniva contestata nell’ambito di due ricorsi avverso dette cartelle d’imposta che i coniugi Lakebrink proponevano dinanzi al direttore delle imposte dirette.

12.      A fronte del silenzio delle autorità amministrative, i coniugi Lakebrink adivano il Tribunal administratif di Lussemburgo, il quale, dopo aver riunito i due ricorsi proposti, riteneva gli stessi ricevibili nonché fondati nella parte in cui erano diretti a ottenere la rettifica delle cartelle d’imposta, precisando che, ai fini del calcolo dell’aliquota d’imposta applicabile ai redditi dei ricorrenti, dovevano prendersi in considerazione le perdite da locazione relative a beni immobili situati in Germania, così come accertate dalle autorità fiscali tedesche.

13.      Contro detta sentenza il Granducato di Lussemburgo, rappresentato dal proprio Ministro delle Finanze, interponeva appello dinanzi alla Cour administrative, la quale, nutrendo dubbi sull’interpretazione dell’art. 39 CE, decideva di sospendere il giudizio dinanzi a essa pendente e di sottoporre alla Corte il seguente quesito pregiudiziale:

«Se l’art. 39 CE vada interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale, come quella istituita nel Granducato di Lussemburgo dall’art. 157ter della LIR, ai sensi della quale un cittadino comunitario, non residente in Lussemburgo, che percepisce, da fonte lussemburghese, redditi da lavoro dipendente che costituiscono la parte essenziale delle sue risorse imponibili, non può far valere i suoi redditi da locazione negativi, relativi ad immobili non occupati personalmente e situati in un altro Stato membro, nel caso di specie la Germania, ai fini della determinazione dell’aliquota d’imposta applicabile ai suoi redditi di fonte lussemburghese».

14.      In forza dell’art. 23 dello Statuto della Corte hanno presentato osservazioni scritte i coniugi Lakebrink, la Commissione, i governi lussemburghese, svedese e olandese.

III – Analisi giuridica

A –    Sull’esistenza di una discriminazione indiretta

15.      Con il quesito in esame il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’art. 39 CE debba interpretarsi nel senso che osta ad una normativa nazionale secondo cui nel determinare l’aliquota applicabile ai redditi tassabili nel Granducato di Lussemburgo di un cittadino comunitario non residente, ma che ivi percepisce la parte essenziale del suo imponibile rappresentato da redditi da lavoro subordinato, non sono prese in considerazione le perdite da locazione relative ad immobili situati in un altro Stato membro, mentre tale categoria di redditi assume rilievo nella tassazione di un residente.

16.      I governi lussemburghese, svedese e olandese propongono di rispondere in senso negativo a detto quesito, mentre di avviso opposto si sono dichiarati i coniugi Lakebrink e la Commissione.

17.      Considerato che la normativa di cui trattasi concerne l’imposizione fiscale delle persone fisiche, è a tale riguardo necessario valutarla partendo dal dato che, secondo una costante giurisprudenza della Corte, anche se allo stato attuale del diritto comunitario la materia delle imposte dirette non rientra in quanto tale nella competenza della Comunità, gli Stati membri devono tuttavia esercitare le loro competenze in materia nel rispetto del diritto comunitario, segnatamente delle libertà fondamentali su cui si basano l’instaurazione e il funzionamento del mercato interno (4).

18.      Premesso che i ricorrenti nella causa principale esercitano un’attività subordinata in uno Stato membro, è senza dubbio con riferimento all’art. 39 CE che va esaminata la normativa nazionale in oggetto.

19.      Detta disposizione sancisce il principio della libera circolazione dei lavoratori e l’abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla cittadinanza, tra i lavoratori degli Stati membri (5).

20.      Rilevo, tuttavia, che la normativa di cui trattasi nella causa principale si applica indipendentemente dalla cittadinanza del contribuente interessato. Ciò nondimeno, una disparità di trattamento basata sul criterio della residenza o del luogo di origine può, in determinate circostanze, pervenire ad un risultato equivalente a una discriminazione fondata sulla cittadinanza.

21.      Difatti, secondo costante giurisprudenza della Corte sono vietate non solo le discriminazioni basate sulla cittadinanza, ma altresì qualsiasi discriminazione che, pur fondandosi su altri criteri di riferimento, pervenga al medesimo risultato, intendendosi per discriminazione l’applicazione di norme diverse a situazioni analoghe, ovvero l’applicazione della stessa norma a situazioni diverse (6).

22.      In materia di imposte dirette la Corte ha affermato che una disparità di trattamento in base alla residenza non è di per sé discriminatoria, perché, in via di principio, tale criterio è indicativo di un collegamento del contribuente con il paese di origine e potrebbe, pertanto, giustificare un trattamento fiscale differenziato (7).

23.      A tale riguardo, la Corte ha precisato che la situazione dei residenti e quella dei non residenti di regola non sono analoghe, in quanto il reddito percepito nel territorio di uno Stato da un non residente costituisce il più delle volte solo una parte del suo reddito complessivo, concentrato nel suo luogo di residenza, e in quanto la capacità contributiva personale del non residente, derivante dalla presa in considerazione di tutti i suoi redditi nonché della sua situazione personale e familiare, può essere valutata più agevolmente nel luogo in cui egli ha il centro dei suoi interessi personali ed economici, che corrisponde in genere alla sua residenza abituale (8).

24.      Quindi, il fatto che uno Stato membro non faccia fruire un non residente di talune agevolazioni fiscali che concede al residente non è di regola discriminatorio, tenuto conto delle differenze obiettive tra la situazione dei residenti e quella dei non residenti per quanto attiene sia alla fonte dei redditi, sia alla capacità contributiva personale, sia alla situazione personale e familiare (9).

25.      La Corte ha, tuttavia, precisato che lo stesso non può dirsi nel caso in cui il non residente non percepisce redditi significativi nello Stato in cui risiede e trae la parte essenziale delle sue risorse imponibili da un’attività svolta nello Stato di occupazione, per cui lo Stato di residenza non è in grado di concedergli le agevolazioni derivanti dalla presa in considerazione della sua situazione personale e familiare (10). Infatti, per quanto riguarda un non residente che percepisce in uno Stato membro diverso da quello in cui risiede la parte essenziale dei suoi redditi, la discriminazione consiste nel fatto che la situazione personale e familiare di questo non residente non è presa in considerazione né nello Stato di residenza né in quello dell’occupazione (11).

26.      Tutto ciò premesso, passando ora al caso di specie oggetto del quesito, è a mio avviso indubbio che, in una situazione fattuale quale quella in esame, l’applicazione della normativa in causa configura una disparità di trattamento nei confronti dei coniugi Lakebrink, fondata sulla loro residenza al di fuori del territorio lussemburghese.

27.      Difatti, come osservato, la legislazione lussemburghese nel determinare l’aliquota applicabile all’imponibile dei residenti tiene conto del reddito mondiale di questi ultimi. Nel caso, invece, di un contribuente non fiscalmente residente a Lussemburgo, ma che ivi percepisce la totalità o quasi, dei suoi redditi imponibili, l’assimilazione ai contribuenti residenti è solo parziale, in quanto la regola di progressività per il calcolo dell’aliquota d’imposta si applica, oltre che ai redditi di fonte lussemburghese, ai soli redditi esteri di natura professionale dei non residenti, ad esclusione, pertanto, dei redditi non ricompresi in tale categoria, tra cui, come nel caso di specie, quelli da locazione di immobili.

28.      Ne consegue che, in un’ipotesi quale quella in esame, il mancato riconoscimento delle perdite da locazione di immobili situati all’estero nel calcolo dell’aliquota d’imposta applicabile a un contribuente che, pur non risiedendo a Lussemburgo, trae la totalità o quasi dei suoi redditi imponibili in detto Stato rappresenta, senza dubbio, un trattamento svantaggioso per quest’ultimo rispetto a quello riservato a un contribuente residente che svolga un’attività analoga, cui invece tali tipi di perdite sono riconosciuti nel calcolo dell’aliquota.

29.      Tale conclusione non è neppure contraddetta, così come sostenuto dai governi lussemburghese e olandese, dal fatto che la legislazione lussemburghese non tiene conto di eventuali incrementi di reddito da locazione dei non residenti nel calcolo dell’aliquota ex art. 157ter della LIR. L’eventuale vantaggio di cui godrebbero i non residenti rispetto ai contribuenti residenti in una simile ipotesi non vale a compensare lo svantaggio che gli stessi subiscono in un caso, quale quello in esame, in cui né lo Stato di residenza – per mancanza di redditi ivi imponibili – né quello di occupazione tengano conto delle perdite da locazione di immobili situati all’estero. Infatti, considerare che uno svantaggio, in quanto non sistematico, non sia idoneo a sfociare in una discriminazione equivarrebbe a considerare compatibile con il principio della libera circolazione dei lavoratori un regime fiscale che si riveli solo talvolta sfavorevole per i contribuenti non residenti, ritenendo che lo svantaggio, in quanto occasionale, sia di lieve entità. In tal modo, si ammetterebbero le discriminazioni minori svuotando di contenuto il divieto a carattere generale di cui all’art. 39 CE (12).

30.       Accertato che la normativa in causa realizza un trattamento differenziato a svantaggio dei non residenti, occorre ora verificare se tale diversità di trattamento rivesta concretamente carattere discriminatorio, ossia se la situazione di residenti e non residenti sia oggettivamente comparabile con riferimento alla normativa in esame.

31.      Poiché nel caso di specie i coniugi Lakebrink realizzano nello Stato di occupazione – Lussemburgo – la totalità del loro imponibile e non percepiscono redditi significativi nello Stato di residenza, ritengo che gli stessi siano in una situazione assimilabile a quella di un residente nel Granducato di Lussemburgo per quanto concerne le norme per il calcolo dell’aliquota d’imposta.

32.      È quanto emerge, a mio avviso, dalla giurisprudenza della Corte, secondo cui – anche se in generale in materia di imposte dirette residenti e non residenti non sono in una situazione analoga, poiché nel paese di residenza è di regola concentrata la parte essenziale del reddito di un contribuente ed è sempre tale Stato a disporre, in genere, di tutte le informazioni necessarie per valutare la capacità contributiva globale del contribuente interessato – cessa tuttavia di sussistere qualsiasi diversità oggettiva di situazione, tale da giustificare una disparità di trattamento rispetto ai contribuenti residenti, nel caso di un non residente che, in mancanza di redditi significativi nel proprio paese di residenza, percepisce l’essenziale delle proprie risorse imponibili da un’attività svolta nello Stato di occupazione (13).

33.      Anche se la Corte si è pronunciata espressamente in tal senso su regimi fiscali concernenti la presa in considerazione della situazione personale e familiare di contribuenti non residenti, affermando che «non sussiste alcuna obiettiva diversità di situazione tale da giustificare una disparità di trattamento per quanto riguarda la presa in considerazione, ai fini dell’imposizione, della situazione personale e familiare del contribuente» (14), non è detto, tuttavia, che la stessa abbia voluto limitare esclusivamente a tali aspetti della capacità contributiva globale l’assimilazione di un contribuente non residente che percepisce la totalità o quasi dei suoi redditi nel paese di occupazione a un contribuente ivi residente che svolge un’attività subordinata analoga.

34.      Occorre, al riguardo, valutare la conclusione cui è giunta la Corte circa l’equiparabilità tra contribuenti residenti e non residenti alla luce della ratio ad essa sottesa per verificare se si possa ritenere che detta equiparabilità sussista anche nel caso di specie, in cui viene negato un vantaggio fiscale non correlato alla situazione personale o familiare di un contribuente non residente (15).

35.      Secondo il ragionamento della Corte, un contribuente non residente è, in generale, in una situazione oggettivamente diversa rispetto a un residente dello Stato di occupazione, poiché ivi percepisce solo una parte dei suoi redditi e potrebbe, quindi, teoricamente godere due volte dei vantaggi fiscali relativi alla propria situazione contributiva personale, ossia tanto nello Stato di residenza quanto in quello di occupazione. A fronte di tali situazioni non oggettivamente comparabili di residenti e non residenti, la Corte ha escluso che la negazione da parte dello Stato di occupazione di vantaggi fiscali connessi alla situazione contributiva personale del non residente costituisse un trattamento discriminatorio nei confronti di quest’ultimo.

36.      Tuttavia, nell’ipotesi in cui il non residente percepisca la totalità o quasi dei suoi redditi imponibili nello Stato di occupazione cessa di sussistere il rischio che quest’ultimo benefici due volte delle agevolazioni connesse alla propria situazione contributiva – di cui lo Stato di residenza non potrà tener conto per mancanza di redditi significativi ivi percepiti – e, pertanto, non sussiste più alcuna differenza rispetto alla situazione di un contribuente residente. Conseguenza di quanto rilevato è che una corretta applicazione del principio di non discriminazione – di cui la giurisprudenza sopra analizzata costituisce esemplificazione – obbliga lo Stato di occupazione a equiparare un non residente i cui redditi siano prodotti per la totalità o quasi nel suo territorio a un residente, non solo riguardo alla concessione di vantaggi fiscali legati alla sua situazione personale e familiare, ma anche riguardo ad ogni aspetto della sua capacità contributiva globale che rilevi per il riconoscimento di agevolazioni fiscali a favore del residente.

37.      Tornando al merito del quesito, risulta dall’analisi sin qui svolta che i coniugi Lakebrink, non percependo redditi significativi nel loro Stato di residenza, sono integralmente assoggettati ad imposta nello Stato di occupazione – Lussemburgo – che dovrà loro concedere i vantaggi fiscali correlati alla capacità contributiva globale riconosciuti ai propri residenti, poiché gli stessi sono in una situazione oggettivamente comparabile a questi ultimi. Ne consegue che i coniugi Lakebrink subiscono una discriminazione indiretta in virtù dell’applicazione dell’art. 157ter della LIR, in quanto un aspetto della loro capacità contributiva – ossia le perdite da locazione di beni immobili – non viene loro riconosciuto dal Lussemburgo ai fini del calcolo dell’aliquota d’imposta, stante la loro residenza al di fuori del territorio lussemburghese.

38.      Occorre precisare che tale soluzione, contrariamente a quanto sostengono i governi olandese e svedese, non pregiudica il principio più volte affermato dalla Corte della libera ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri.

39.      Ricordo, anzitutto, che la disparità di trattamento accertata al paragrafo 37 supra è riconducibile esclusivamente all’applicazione della normativa interna lussemburghese – art. 157ter della LIR – mentre non è in alcun modo in causa la CDI tedesco-lussemburghese (16).

40.      Occorre, inoltre, osservare che la normativa in questione non riguarda le modalità per determinare la base imponibile, bensì il riconoscimento di un aspetto della capacità contributiva del non residente ai soli fini del calcolo dell’aliquota d’imposta, e non anche ai fini della determinazione della base imponibile. Prevedere, quindi, che sia lo Stato di occupazione nel determinare l’aliquota d’imposta a dover concedere eccezionalmente le agevolazioni fiscali connesse alla capacità contributiva globale del non residente, ivi compresi i vantaggi eventualmente legati alla gestione di beni sui cui redditi lo Stato di occupazione non ha competenza impositiva, non implica la tassazione di detto tipo di redditi da parte di quest’ultimo. Ne consegue che, nel caso in esame, non è in alcun modo pregiudicata la ripartizione impositiva su base territoriale prevista dalla CDI tedesco‑lussemburghese, in quanto il Granducato di Lussemburgo nel tassare un contribuente non residente, ma ivi integralmente assoggettato ad imposta, non sarà tenuto a includere nella base imponibile i redditi da locazione di immobili situati in Germania – per la cui tassazione resta, invece, competente quest’ultima –, ma dovrà eccezionalmente considerarli nella determinazione dell’aliquota d’imposta.

41.      Per quanto concerne, infine, il modo in cui deve essere presa in considerazione la capacità contributiva globale del contribuente non residente, che percepisce nello Stato di occupazione la totalità o quasi delle sue risorse imponibili, ritengo che il diritto comunitario non imponga alcun vincolo specifico, purché detto contribuente non risulti discriminato rispetto a un residente che, svolgendo un’attività analoga, si trovi in una situazione oggettivamente comparabile (17).

42.      Con riferimento al caso di specie ne consegue, pertanto, che, ai fini della loro presa in considerazione nel calcolo dell’aliquota d’imposta, i redditi da locazione estera di un contribuente non residente devono essere determinati alle stesse condizioni previste per i contribuenti residenti nel Granducato e, quindi, secondo le disposizioni della legge fiscale lussemburghese, senza che abbia rilievo alcuno il diritto tedesco (18). A mio avviso, tale soluzione non è contraddetta, così come ritenuto nella sentenza di primo grado pronunciata nel giudizio a quo e come sostenuto dal governo lussemburghese, dalla circostanza che il potere impositivo sui redditi in questione compete alla Germania in base alla CDI. Come visto supra, difatti, la determinazione di tali redditi rileva ai soli fini della loro presa in considerazione da parte dello Stato di occupazione nel calcolo dell’aliquota d’imposta e non anche con riferimento alla tassazione degli stessi, di cui resta competente la Germania e che, in caso di redditi positivi, avrebbe luogo in base alla normativa tedesca.

B –    Le eventuali giustificazioni

43.      Attesa la natura restrittiva della normativa in esame rispetto all’esercizio della libera circolazione dei lavoratori, occorre verificarne l’eventuale giustificabilità alla luce del diritto comunitario.

44.      Il governo lussemburghese, pur non invocando formalmente alcuna giustificazione della disparità di trattamento realizzata dalla normativa in causa, nelle osservazioni presentate tende in sostanza a dimostrare che alla base della regolamentazione contestata vi è la necessità di salvaguardare la coerenza del proprio regime fiscale. È, dunque, unicamente a titolo sussidiario che analizzerò detta causa di giustificazione.

1.      Sulla salvaguardia della coerenza del regime fiscale

45.      Il governo lussemburghese rileva, sostanzialmente, l’esistenza di una «coerenza» alla base della regolamentazione in causa, la quale, se da un lato nega ai contribuenti non residenti la presa in considerazione delle perdite di reddito da locazione, tanto nell’ambito del calcolo della base imponibile quanto dell’aliquota d’imposta, dall’altro non tiene specularmente conto di eventuali incrementi di tale categoria di reddito.

46.      La salvaguardia della coerenza del regime fiscale nazionale è una nozione consolidatasi in giurisprudenza a partire dalle sentenze Bachmann e Commissione/Belgio, in cui la Corte ha riconosciuto in via di principio che detta esigenza costituisce una ragione imperativa di interesse pubblico idonea a giustificare una restrizione ai principi fondamentali in materia di libertà di circolazione (19).

47.      Nei predetti casi la Corte ha giustificato sulla base della coerenza del regime fiscale una normativa nazionale che subordinava la deducibilità di contributi per l’assicurazione contro la vecchiaia e la morte alla condizione che fossero versati nello Stato che consentiva tale deduzione. Tale limitazione si giustificava in virtù dell’esigenza di compensare la perdita di gettito fiscale dovuta alla deduzione dei contributi versati in sede di contratti di assicurazione con l’imposizione delle somme percepite in esecuzione di detti contratti, che non si sarebbero, però, potute tassare in caso di imprese assicuratrici stabilite all’estero.

48.      A partire da tali pronunce la salvaguardia della coerenza del regime fiscale è la causa di giustificazione più invocata in materia di imposte dirette dagli Stati membri. La Corte ha però fortemente ristretto la nozione di coerenza fiscale e in una giurisprudenza costante ha ammesso che tale esigenza giustifica una misura restrittiva delle libertà fondamentali qualora sussistano tre distinte condizioni: a) l’esistenza di un nesso diretto tra la concessione di un’agevolazione fiscale e la relativa compensazione tramite prelievo fiscale, b) l’effettuazione della detrazione e del prelievo nell’ambito della stessa imposizione e c) la loro applicazione nei confronti del medesimo contribuente (20).

49.      Le due condizioni concernenti l’identità di contribuente e di imposta essendo senza dubbio soddisfatte nel caso in esame, occorre ora verificare la sussistenza di un legame diretto tra la detrazione delle perdite da locazione e la presa in considerazione di incrementi di reddito relativi a tali tipi di investimento nel calcolo dell’aliquota d’imposta.

50.      Al riguardo va rilevato che la normativa in causa si fonda sulla regola di simmetria in base alla quale non rilevano ai fini del calcolo dell’aliquota d’imposta di un non residente tanto le perdite da locazioni estere quanto gli eventuali incrementi di reddito relativi a tali investimenti immobiliari. Di conseguenza, la presa in considerazione delle sole perdite da locazione inficerebbe la logica della normativa in oggetto, in quanto tale agevolazione nel calcolo dell’aliquota non potrebbe compensarsi con il computo, agli stessi fini, dei possibili redditi positivi che presumibilmente un simile investimento immobiliare produrrebbe in futuro.

51.      Se pertanto la mancata considerazione delle perdite estere da locazione nel calcolo dell’aliquota d’imposta di un non residente può giustificarsi, in via di principio, in virtù dell’esigenza di salvaguardare la coerenza del regime fiscale lussemburghese, spetterà, nondimeno, al giudice del rinvio accertare che tale misura restrittiva sia applicata in modo tale da rispettare il principio di proporzionalità. La misura controversa deve, difatti, essere idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito senza eccedere quanto a tal fine necessario (21).

52.      Tuttavia, la normativa in causa non sembra essere la misura meno restrittiva idonea a salvaguardare la coerenza del regime fiscale lussemburghese, poiché detto scopo potrebbe ugualmente essere conseguito ottenendo lo stesso effetto di compensazione attraverso il computo nel calcolo dell’aliquota d’imposta dei non residenti tanto delle perdite quanto degli incrementi di reddito da locazione estera. Un simile sistema consentirebbe di evitare situazioni, quale quella in esame, in cui alcuni aspetti della capacità contributiva di un contribuente non vengono presi in considerazione né nello Stato di residenza – per mancanza di redditi significativi –, né in quello di occupazione, ove detto contribuente percepisce l’essenziale delle sue risorse.

IV – Conclusioni

Alla luce delle considerazioni sopra esposte, propongo alla Corte di rispondere al quesito sottoposto dalla Cour administrative di Lussemburgo nei seguenti termini:

«L’art. 39 CE va interpretato nel senso che osta alla normativa di uno Stato membro come l’art. 157ter della LIR, ai sensi del quale un cittadino comunitario, non residente lussemburghese, che percepisce da fonte lussemburghese redditi da lavoro dipendente che costituiscono la parte essenziale delle sue risorse imponibili non può, a differenza di un residente in Lussemburgo, far valere le perdite di redditi da locazione relative ad immobili non occupati personalmente, situati in un altro Stato membro, ai fini della determinazione dell’aliquota d’imposta applicabile ai suoi redditi di fonte lussemburghese».


1 – Lingua originale: l'italiano.


2 – Sentenza 21 febbraio 2006, causa C‑152/03 (Racc. pag. I‑1711).


3 – Risulta dal provvedimento di rinvio che con il sistema così delineato, di cui all'art. 157ter, il legislatore lussemburghese ha inteso conformarsi alla normativa comunitaria, segnatamente ai principi enunciati dalla Corte nel caso Schumacker, nel quale la stessa avrebbe circoscritto la parità di trattamento, che la libera circolazione dei lavoratori implica, alle sole attività economiche che generano redditi di tipo professionale.


4 – V., in particolare, sentenze 14 febbraio 1995, causa C‑279/93, Schumacker (Racc. pag. I‑225, punto 21); 4 ottobre 1991, causa C‑246/89, Commissione/Regno Unito (Racc. pag. I‑4585, punto 12), e 13 novembre 2003, causa C‑209/01, Schilling e Fleck Schilling (Racc. pag. I‑13389, punto 22).


5 – V., ex multis, sentenza 13 febbraio 1994, causa C‑419/92, Scholz (Racc. pag. I‑505, punto 7).


6 – V., ex multis, sentenze 12 febbraio 1974, causa 152/73, Sotgiu (Racc. pag. 153, punto 11), e 21 novembre 1991, causa C‑27/91, Le Manoir (Racc. pag. I‑5531, punto 10).


7 – V. sentenze Schumacker, cit., punti 31‑34; 11 agosto 1995, causa C-80/94, Wielockx (Racc. pag. I‑2493, punto 18); 27 giugno 1996, causa C‑107/94, Asscher (Racc. I‑3089, punto 41), e 29 aprile 1999, causa C-311/97, Royal Bank of Scotland (Racc. pag. I‑2651, punto 27).


8 – V. sentenze Schumacker, cit., punti 31 e 32; 14 settembre 1999, causa C‑391/97, Gschwind (Racc. pag. I‑5451, punto 22); 16 maggio 2000, causa C‑87/99, Zurstrassen (Racc. pag. I‑3337, punto 21), e 12 giugno 2003, causa C‑234/01, Gerritse (Racc. pag. I‑5933, punto 43).


9 – V. sentenze citate Schumacker, punto 34; Gschwind, punto 23, e Gerritse, punto 44.


10 – V. sentenze Schumacker, cit., punto 36, e 12 dicembre 2002, causa C‑385/00, de Groot, (Racc.pag. I‑11819, punto 89).


11 – Sentenza Schumacker, cit., punto 38.


12 – V., in senso analogo, sentenza de Groot, cit., punto 97, e per quanto riguarda la libertà di stabilimento, sentenza 11 marzo 2004, causa C‑9/02, de Lasteyrie du Saillant (Racc. pag. I‑2409, punto 43).


13 – V. sentenza Schumacker, cit., punti 36 e 37.


14 – Ibidem, punto 37. Il corsivo è mio.


15 – V., in tal senso, conclusioni dell'avv. gen. Léger presentate il 1° marzo 2005 nella causa Ritter‑Coulais, cit., paragrafi 91 e ss.


16 – Detta disparità è riconducibile alle norme di un solo ordinamento e non deriva, invece, dalle divergenze o dalla ripartizione della competenza tributaria tra due Stati membri.


17 – V., per un ragionamento analogo, sentenza de Groot, cit., punti 114 e 115.


18 – Artt. 134 e 134ter della LIR.


19 – Sentenze 28 gennaio 1992, causa C‑204/90, Bachmann (Racc. pag. I‑209, punti 21‑28), e 28 gennaio 1992, causa C‑300/90, Commissione/Belgio (Racc. pag. I‑305, punti 14‑21).


20 – Senza approfondire in tale sede la recente evoluzione giurisprudenziale sulla nozione di «coerenza fiscale», in quanto non rilevante per il caso di specie, ricordo, tuttavia, che da ultimo la Corte ha applicato le condizioni alla base di detto principio in maniera flessibile, dando maggiore rilievo all’aspetto teleologico del sistema fiscale esaminato. V., a tale proposito, le conclusioni del 29 marzo 2007 da me presentate nel caso Columbus, causa C-298/05 (non ancora pubblicate in Raccolta, paragrafi 189 e ss.).


21 – V., ex multis, sentenza 31 marzo 1993, causa C-19/92, Kraus (Racc. pag. I-1663, punto 32).