Language of document : ECLI:EU:C:2011:827

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

YVES BOT

presentate il 13 dicembre 2011 (1)

Causa C‑571/10

Servet Kamberaj

contro

Istituto per l’Edilizia Sociale della Provincia autonoma di Bolzano (IPES),

Giunta della Provincia autonoma di Bolzano,

Provincia Autonoma di Bolzano

(domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Tribunale di Bolzano)

«Direttiva 2000/43/CE — Attuazione del principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica — Direttiva 2003/109/CE — Status dei cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo — Diritto alla parità di trattamento con riguardo alle prestazioni sociali, all’assistenza sociale e alla protezione sociale, quali definite dalla legislazione nazionale — Facoltà degli Stati membri di limitare la parità di trattamento in materia di assistenza e protezione sociale alle prestazioni essenziali — Rigetto di una domanda di sussidio casa — Motivo del rigetto — Esaurimento dei fondi destinati ai cittadini di paesi terzi»





1.        La presente domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli artt. 2 TUE e 6 TUE, 18 TFUE, 45 TFUE e 49 TFUE, 1, 21 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (2), nonché delle disposizioni delle direttive del Consiglio 29 giugno 2000, 2000/43/CE, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica (3), 25 novembre 2003, 2003/109/CE, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo (4). Il Tribunale di Bolzano solleva anche questioni relative all’art. 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (5), e all’art. 1 del Protocollo aggiuntivo n. 12.

2.        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una causa intentata dal sig. Kamberaj, ricorrente nel procedimento principale, avverso l’Istituto per l’Edilizia Sociale della Provincia autonoma di Bolzano (IPES), la Giunta della Provincia Autonoma di Bolzano (in prosieguo: la «Giunta provinciale»), nonché la Provincia Autonoma di Bolzano, in merito al rifiuto dell’IPES di concedergli, per l’anno 2009, il sussidio casa previsto all’art. 2, n. 1, lett. k), della legge provinciale 17 dicembre 1998, n. 13, nella versione in vigore all’epoca dei fatti nella causa principale (in prosieguo: la «legge provinciale»). Tale sussidio mensile, volto ad integrare il canone di locazione, è destinato ai conduttori meno abbienti.

I –    Ambito normativo

A –    La normativa dell’Unione

3.        Nel presente contesto, mi limiterò a riportare le disposizioni pertinenti della direttiva che sarà al centro dei rilievi in seguito svolti, ovvero la direttiva 2003/109.

4.        I ‘considerando’ da secondo a quarto, dodicesimo e tredicesimo di detta direttiva recitano come segue:

«(2)      Nella riunione straordinaria di Tampere del 15 e del 16 ottobre 1999, il Consiglio europeo ha affermato che occorre ravvicinare lo status giuridico dei cittadini di paesi terzi a quello dei cittadini degli Stati membri e che, alle persone che soggiornano regolarmente in un determinato Stato membro per un periodo da definirsi e sono in possesso di un permesso di soggiorno di lunga durata, lo Stato membro dovrebbe garantire una serie di diritti uniformi e quanto più simili a quelli di cui beneficiano i cittadini dell’Unione europea.

(3)      La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti segnatamente [nella CEDU] e nella [Carta].

(4)      L’integrazione dei cittadini di paesi terzi stabilitisi a titolo duraturo negli Stati membri costituisce un elemento cardine per la promozione della coesione economica e sociale, obiettivo fondamentale della Comunità enunciato nel trattato.

(…)

(12)      Per costituire un autentico strumento di integrazione sociale, lo status di soggiornante di lungo periodo dovrebbe valere al suo titolare la parità di trattamento con i cittadini dello Stato membro in una vasta gamma di settori economici e sociali sulle pertinenti condizioni definite dalla presente direttiva.

(13)      Con riferimento all’assistenza sociale, la possibilità di limitare le prestazioni per soggiornanti di lungo periodo a quelle essenziali deve intendersi nel senso che queste ultime comprendono almeno un sostegno di reddito minimo, l’assistenza in caso di malattia, di gravidanza, l’assistenza parentale e l’assistenza a lungo termine. Le modalità di concessione di queste prestazioni dovrebbero essere determinate dalla legislazione nazionale».

5.        Conformemente all’art. 4, n. 1, della direttiva 2003/109, gli Stati membri conferiscono lo status di soggiornante di lungo periodo ai cittadini di paesi terzi che abbiano soggiornato legalmente e ininterrottamente per cinque anni nel loro territorio immediatamente prima della presentazione della pertinente domanda.

6.        L’art. 5 della direttiva in parola prevede le condizioni relative all’acquisizione dello status di soggiornante di lungo periodo. Ai sensi del n. 1 di tale disposizione, gli Stati membri possono richiedere ai cittadini di paesi terzi di comprovare che dispongono, per sé e per i familiari a carico, di risorse stabili e regolari, sufficienti al sostentamento loro e dei loro familiari, senza fare ricorso al sistema di assistenza sociale dello Stato membro interessato, e di un’assicurazione malattia contro tutti i rischi solitamente coperti per i propri cittadini nello Stato membro interessato.

7.        In virtù dell’art. 5, n. 2, della summenzionata direttiva, gli Stati membri possono esigere che i cittadini di paesi terzi soddisfino le condizioni di integrazione, conformemente alla legislazione nazionale.

8.        L’art. 11, n. 1, della direttiva 2003/109 ha il seguente tenore:

«Il soggiornante di lungo periodo gode dello stesso trattamento dei cittadini nazionali per quanto riguarda:

(…)

d)      le prestazioni sociali, l’assistenza sociale e la protezione sociale ai sensi della legislazione nazionale;

(…)

f)      l’accesso a beni e servizi a disposizione del pubblico e all’erogazione degli stessi, nonché alla procedura per l’ottenimento di un alloggio;

(…)».

9.        L’art. 11, n. 4, di tale direttiva dispone che gli Stati membri possono limitare la parità di trattamento in materia di assistenza sociale e protezione sociale alle prestazioni essenziali.

B –    La normativa nazionale

10.      In forza dell’art. 117 della Costituzione italiana, lo Stato ha potestà legislativa esclusiva, in materia di assistenza sociale, solo ai fini della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Al di là di tale finalità, la competenza spetta alle regioni.

11.      Il decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3 (6) ha dato attuazione alla direttiva 2003/109 ed ha integrato le disposizioni di detta direttiva nel contesto delle disposizioni del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286(7).

12.      L’art. 9, n. 1, del decreto legislativo n. 286/1998 prevede che lo straniero in possesso, da almeno cinque anni, di un permesso di soggiorno in corso di validità, che dimostra la disponibilità di un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale e, nel caso di richiesta relativa ai familiari, di un reddito sufficiente e di un alloggio idoneo che rientri nei parametri minimi previsti dalle disposizioni di diritto nazionale pertinenti, può chiedere al questore il rilascio di un permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo, per sé e per i familiari.

13.      L’art. 9, n. 12, lett. c), del decreto legislativo n. 286/1998, come modificato dal decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3, dispone che, oltre a quanto previsto per lo straniero regolarmente soggiornante in Italia nel territorio nazionale, il titolare del permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo può usufruire delle prestazioni di assistenza sociale, di previdenza sociale, di quelle relative ad erogazioni in materia sanitaria, scolastica e sociale e di quelle relative all’accesso ai beni e servizi a disposizione del pubblico, compreso l’accesso alla procedura per l’ottenimento di alloggi gestiti da enti pubblici, salvo che sia diversamente disposto e sempre che sia dimostrata l’effettiva residenza dello straniero sul territorio nazionale.

14.      In forza dell’art. 3, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (8), che costituisce un decreto di rango costituzionale, la Provincia Autonoma di Bolzano, a causa della composizione particolare della sua popolazione, suddivisa in tre gruppi linguistici (italiano, tedesco e ladino), beneficia di condizioni di autonomia particolari.

15.      A norma dell’art. 8, n. 25, del decreto n. 670/1972, tale autonomia comprende, in particolare, il potere di emanare norme legislative in materia di assistenza e beneficenza pubblica.

16.      L’art. 15, secondo comma, del decreto n. 670/1972 prevede che la Provincia Autonoma di Bolzano, salvo casi straordinari, utilizza i propri stanziamenti destinati a scopi assistenziali, nonché a scopi sociali e culturali, in proporzione diretta alla consistenza di ciascun gruppo linguistico ed in riferimento all’entità dei bisogni del gruppo medesimo.

17.      Il sussidio casa, previsto all’art. 2, n. 1, lett. k), della legge provinciale e volto a consentire ai conduttori meno abbienti di integrare il loro canone di locazione, è ripartito tra i tre gruppi linguistici della Provincia Autonoma di Bolzano sulla base dei criteri di cui all’art. 15, secondo comma, del decreto n. 670/1972.

18.      L’art. 5, n. 1, della legge provinciale dispone che i fondi per gli interventi, ai sensi dell’art. 2, n. 1, lett. k), della medesima, devono essere ripartiti tra i richiedenti dei tre gruppi linguistici in proporzione alla media ponderata tra la loro consistenza numerica, quale risulta dall’ultimo censimento generale della popolazione, ed il fabbisogno di ciascun gruppo. Ai sensi del n. 2 di questa disposizione, il fabbisogno di ciascun gruppo linguistico viene determinato annualmente in base alle domande presentate nel corso degli ultimi dieci anni. Le domande volte ad ottenere il sussidio casa devono raggiungere almeno 25 punti.

19.      Dalla decisione di rinvio emerge che il calcolo della consistenza numerica di ciascun gruppo linguistico è effettuato in base all’ultimo censimento generale della popolazione, nonché alle dichiarazioni di appartenenza ad uno dei tre gruppi linguistici, che tutti i cittadini italiani di età superiore ai quattordici anni e residenti sul territorio della Provincia Autonoma di Bolzano sono tenuti a produrre.

20.      I cittadini dell’Unione residenti sul territorio provinciale, che esercitano un’attività lavorativa e soddisfano le altre condizioni alle quali è subordinata la concessione delle agevolazioni edilizie, ai sensi dell’art. 5, n. 6, della legge provinciale, devono presentare la dichiarazione di appartenenza o di aggregazione a uno dei tre gruppi linguistici.

21.      In virtù dell’art. 5, n. 7, della legge provinciale, la Giunta provinciale determina annualmente l’importo dei fondi da riservare ai cittadini di paesi terzi e agli apolidi soggiornanti, al momento della presentazione della domanda, continuativamente e regolarmente da almeno cinque anni nel territorio provinciale e che abbiano svolto su tale territorio un’attività lavorativa per almeno tre anni. Il numero delle abitazioni in locazione che può essere assegnato a tali cittadini ed apolidi è determinato in proporzione alla media ponderata tra, da un lato, la consistenza numerica dei cittadini di paesi terzi ed apolidi che soddisfino i requisiti summenzionati, e, dall’altro, il loro fabbisogno. L’importo dei fondi per l’edilizia abitativa agevolata destinati all’acquisto, alla costruzione e al recupero di abitazioni per il fabbisogno abitativo primario nonché al sussidio casa è determinata secondo gli stessi criteri.

22.      Dalla deliberazione della Giunta provinciale 20 luglio 2009, n. 1885, relativa all’entità dei fondi da destinare, per l’anno 2009, ai cittadini di paesi terzi e agli apolidi, emerge che, nella media ponderata, alla loro consistenza numerica è stato attribuito il coefficiente 5, mentre al loro fabbisogno è stato attribuito il coefficiente 1.

23.      In applicazione di tali criteri, l’entità dei fondi destinati al finanziamento del sussidio casa, nonché dei contributi destinati all’acquisto, alla nuova costruzione e al recupero di alloggi in favore di cittadini di paesi terzi e degli apolidi è stata fissata al 7,90% dell’importo totale dei fondi previsti dal programma di interventi per l’anno 2009.

II – I fatti nel procedimento principale e le questioni pregiudiziali

24.      Il sig. Kamberaj è un cittadino albanese di religione musulmana, residente e stabilmente occupato dal 1994 nella Provincia Autonoma di Bolzano. Egli è titolare di un permesso di soggiorno a tempo indeterminato.

25.      Sino al 2008 egli ha beneficiato del sussidio casa di cui all’art. 2, n. 1, lett. k), della legge provinciale (9).

26.      Con lettera datata 22 marzo 2010, l’IPES ha informato il ricorrente nella causa principale del rigetto della sua domanda di sussidio per l’anno 2009, per il motivo che lo stanziamento destinato ai cittadini di paesi terzi, fissato con la delibera della Giunta provinciale 20 luglio 2009, n. 1885, era esaurito.

27.      Con ricorso introdotto l’8 ottobre 2010, il ricorrente nella causa principale ha chiesto al Tribunale di Bolzano di accertare la discriminazione attuata dai convenuti nei suoi confronti. A suo avviso, una legge come la legge provinciale è incompatibile, in particolare, con le direttive 2000/43 e 2003/109, in quanto riserva ai cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo un trattamento meno favorevole di quello previsto per i cittadini dell’Unione in materia di sussidio casa.

28.      Dinanzi al giudice del rinvio, la Provincia Autonoma di Bolzano ha sostenuto che prevedere una distribuzione dei sussidi proporzionale tra i gruppi linguistici residenti sul suo territorio è l’unico modo per mantenere la pace sociale tra le persone richiedenti assistenza sociale.

29.      Secondo il giudice del rinvio, dall’adozione della legge provinciale, la popolazione residente nella Provincia Autonoma di Bolzano è ripartita in due gruppi, ossia i cittadini dell’Unione (italiani o meno), per i quali l’accesso al sussidio casa è indistintamente subordinato alla produzione della dichiarazione di appartenenza o di aggregazione ad uno dei tre gruppi linguistici, e i cittadini di paesi terzi, per i quali siffatta dichiarazione non è richiesta.

30.      Detto giudice indica che, per soddisfare, nel 2009, le esigenze globali dell’accesso ad alloggi in locazione o di proprietà, sono stati approvati stanziamenti per un importo totale di EUR 90 812 321,57 (di cui EUR 21 546 197,57 per il sussidio casa e EUR 69 266 124 per contributi all’acquisto, alla costruzione e al recupero di alloggi destinati a soddisfare il fabbisogno abitativo primario) per il primo gruppo e stanziamenti per un importo totale di EUR 11 604 595 (di cui EUR 10 200 000 per il sussidio casa e EUR 1 404 595 per contributi all’acquisto, alla costruzione e al recupero di alloggi destinati a soddisfare il fabbisogno abitativo primario) per il secondo gruppo.

31.      Alla luce di tali elementi, il Tribunale di Bolzano ha deciso di sospendere il giudizio e di chiedere alla Corte di pronunciarsi sulle seguenti questioni pregiudiziali:

1)      «Se il principio del primato (principe de primauté) del diritto dell’Unione imponga al giudice nazionale di dare piena ed immediata attuazione alle norme dell’Unione provviste di efficacia diretta, disapplicando norme interne in conflitto con il diritto dell’Unione anche se adottate in attuazione di principi fondamentali dell’assetto costituzionale dello Stato membro.

2)      Se, in caso di conflitto fra norma interna e la CEDU, il richiamo operato dall’art. 6 TUE alla CEDU, imponga al giudice nazionale di dare diretta applicazione all’art. 14 ed all’art. 1 del Protocollo aggiuntivo n. 12, disapplicando la fonte interna incompatibile, senza dovere previamente sollevare questione di costituzionalità innanzi alla Corte Costituzionale nazionale.

3)      Se il diritto dell’Unione e, in particolare, gli artt. 2 [TUE] e 6 TUE, gli artt. 21 e 34 della Carta e le direttive 2000/43(...) e 2003/109(...), osti ad una normativa nazionale (rectius: provinciale) quale quella contenuta nel combinato disposto degli art. 15, comma 2, del d.p.r. n. 670/1972, degli artt. 1 e 5 della l.p. (...) nonché nella deliberazione della Giunta provinciale n. 18[8]5 (...), nella parte in cui, per i benefici considerati ed in particolare per il c.d. «sussidio casa», essa attribuisce rilevanza alla cittadinanza, riservando ai lavoratori residenti soggiornanti di lungo periodo non appartenenti all’Unione ovvero agli apolidi un trattamento peggiorativo rispetto ai cittadini residenti comunitari (italiani e non).

Nel caso in cui le precedenti questioni vengano risolte affermativamente:

4)      Se in caso di violazione di principi generali dell’Unione quali il divieto di discriminazione e l’esigenza di certezza del diritto, in presenza di una normativa nazionale attuativa che permette al giudice di “ordinare la cessazione del comportamento pregiudizievole e adottare ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze, (a porre termine agli) effetti della discriminazione” nonché impone di “ordinare la cessazione del comportamento, della condotta o dell’atto discriminatorio, ove ancora sussistente, nonché la rimozione degli effetti” e consente di ordinare, “al fine di impedirne la ripetizione, entro il termine fissato nel provvedimento, un piano di rimozione delle discriminazioni accertate”, l’art. 15 della direttiva 2000/43(...), nella parte in cui prevede che le sanzioni devono essere effettive, proporzionate e dissuasive, debba essere interpretato nel senso di ricomprendere, fra le discriminazioni accertate e gli effetti da rimuovere, anche al fine di evitare ingiustificate discriminazioni alla rovescia, tutte le violazioni incidenti sui destinatari della discriminazione, anche se non siano parti della controversia.

Nel caso in cui la questione precedente venga risolta affermativamente:

5)      Se il diritto dell’Unione e, in particolare, gli artt. 2 [TUE]e 6 TUE, gli artt. 21 e 34 della Carta e le direttive 2000/43(...) e 2003/109(...), osti ad una normativa nazionale (rectius: provinciale) che richiede ai soli cittadini extracomunitari e non anche ai cittadini comunitari (italiani e non), parificati solo in ordine all’obbligo di residenza nel territorio della provincia superiore a 5 anni, il possesso dell’ulteriore requisito di 3 anni di attività lavorativa per accedere al beneficio del sussidio casa.

6)      Se il diritto dell’Unione e, in particolare, gli artt. 2 [TUE] e 6 TUE e gli artt. 18 [TFUE], 45 [TFUE], 49 TFUE, in combinato disposto con gli artt. 1, 21, 34 della Carta, osti ad una normativa nazionale (rectius: provinciale) che prevede per i cittadini comunitari (italiani e non) l’obbligo di rendere dichiarazione di appartenenza ovvero di aggregazione etnica ad uno dei tre gruppi linguistici presenti in Alto Adige/Südtirol per accedere al beneficio del sussidio casa.

7)      Se il diritto dell’Unione e, in particolare, gli artt. 2 [TUE] e 6 TUE e gli artt. 18 [TFUE], 45 [TFUE], 49 TFUE, in combinato disposto con gli artt. 21 e 34 della Carta, osti ad una normativa nazionale (rectius: provinciale) che impone ai cittadini comunitari (italiani e non) l’obbligo di residenza ovvero di lavoro nel territorio provinciale da almeno 5 anni per accedere al beneficio del sussidio casa».

III – Analisi

32.      Formulando le sette questioni appena riportate, il giudice del rinvio intende manifestamente ottenere dalla Corte una decisione sulla compatibilità con il diritto dell’Unione del sistema introdotto dalla legge provinciale in materia di sussidio casa. In considerazione della natura del procedimento pregiudiziale e dei limiti che ne discendono per quanto concerne la competenza della Corte, essa non può tuttavia pronunciarsi sugli aspetti del sistema che vadano oltre l’ambito della controversia principale.

A –    Sulla ricevibilità delle questioni pregiudiziali

33.      In via preliminare, ritengo opportuno ricordare brevemente i principi relativi alla competenza della Corte, ai sensi dell’art. 267 TFUE.

34.      Come risulta da una giurisprudenza costante, il procedimento istituito dall’art. 267 TFUE costituisce uno strumento di cooperazione fra la Corte ed i giudici nazionali, per mezzo del quale la prima fornisce ai secondi gli elementi di interpretazione del diritto dell’Unione che sono loro necessari per la soluzione delle controversie che sono chiamati a dirimere (10).

35.      Nell’ambito di siffatta cooperazione, le questioni pregiudiziali relative al diritto dell’Unione godono di una presunzione di rilevanza. Il rigetto, da parte della Corte, di una domanda proposta da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che la richiesta interpretazione del diritto dell’Unione non ha alcun rapporto con l’effettività o l’oggetto della causa principale, qualora la questione sia di tipo ipotetico o, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte (11).

36.      Le questioni sollevate dal Tribunale di Bolzano devono essere esaminate alla luce di questi principi.

37.      A mio avviso, il presente procedimento è ricevibile soltanto con riguardo alla terza questione.

38.      La seconda questione, quale emerge dall’ordinanza di rinvio, verte sulla soluzione che deve essere adottata dal giudice nazionale posto di fronte ad una norma interna incompatibile con le disposizioni della CEDU dotate di effetto diretto. Secondo il giudice del rinvio, la Corte costituzionale avrebbe dichiarato che siffatta incompatibilità non consentiva di disapplicare la norma nazionale, ma imponeva al giudice di sollevare un incidente di costituzionalità, qualora non gli fosse possibile far rispettare la CEDU in applicazione del principio dell’interpretazione conforme (12).

39.      Occorre sottolineare che, adita in base all’art. 267 TFUE, la Corte è competente a statuire sull’interpretazione dei trattati, nonché sulla validità e l’interpretazione degli atti adottati dalle istituzioni dell’Unione. La competenza della Corte è limitata unicamente al vaglio delle disposizioni del diritto dell’Unione (13). Essa non è pertanto competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale, sulle conseguenze che il giudice nazionale deve trarre da un’eventuale incompatibilità tra una norma di diritto interno e le disposizioni della CEDU.

40.      Con la sua quarta questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’art. 15 della direttiva 2000/43, allorquando prevede che le sanzioni contro le violazioni del principio di non discriminazione in base alla razza o all’origine etnica devono essere effettive, proporzionate e dissuasive, imponga al giudice nazionale, che constata una siffatta violazione, di porre fine a tutte le violazioni incidenti sui destinatari della discriminazione, anche se non sono parti della controversia.

41.      Ai sensi dell’art. 2, n. 1, della direttiva sopra citata, essa si applica alle discriminazioni dirette o indirette a causa della razza o dell’origine etnica. Inoltre, il suo art. 3, n. 2, dispone che la direttiva non riguarda le differenze di trattamento basate sulla nazionalità e non pregiudica le disposizioni e le condizioni relative all’ingresso e alla residenza di cittadini di paesi terzi e di apolidi nel territorio degli Stati membri, né qualsiasi trattamento derivante dalla condizione giuridica dei cittadini dei paesi terzi o degli apolidi interessati.

42.      Orbene, dall’ordinanza di rinvio emerge chiaramente che il sig. Kamberaj non ha subito alcuna discriminazione diretta o indiretta basata sulla sua razza o sulla sua origine etnica. La disparità di trattamento asseritamente subita rispetto ai cittadini nazionali e dell’Unione, in applicazione della legge provinciale, si fonda sul suo status di cittadino di un paese terzo, e dunque sulla sua nazionalità.

43.      Pertanto, la controversia principale non rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 2000/43 e non occorre dunque pronunciarsi sull’interpretazione di quest’ultima.

44.      Considero, peraltro, che le questioni prima, sesta e settima non siano ricevibili in quanto vertono sulla situazione dei cittadini dell’Unione e dei cittadini nazionali appartenenti ad uno dei tre gruppi linguistici presenti sul territorio della Provincia Autonoma di Bolzano.

45.      Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il principio della preminenza del diritto dell’Unione imponga al giudice nazionale di dare piena ed immediata attuazione al diritto dell’Unione, disapplicando le norme interne in conflitto con detto diritto, anche se dette norme interne sono state adottate in attuazione dei principi fondamentali dell’assetto costituzionale dello Stato membro.

46.      Tale questione si riferisce, sotto il profilo del diritto costituzionale nazionale, alla portata del principio di tutela delle minoranze linguistiche e all’attuazione della proporzionale linguistica. Tali aspetti sono pertinenti soltanto per quanto concerne i cittadini nazionali di lingua tedesca, italiana e ladina, nonché i cittadini dell’Unione.

47.      Con la sesta e settima questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il diritto dell’Unione osti ad una normativa nazionale che imponga ai cittadini dell’Unione di produrre una dichiarazione di appartenenza o di aggregazione ad uno dei tre gruppi linguistici presenti nella Provincia Autonoma di Bolzano, da una parte, e di risiedere o esercitare un’attività lavorativa da almeno cinque anni sul territorio nazionale, dall’altra, per avere accesso al beneficio del sussidio casa.

48.      A mio avviso, tali questioni sono prive di rilevanza per la soluzione della controversia principale. Quest’ultima non riguarda un cittadino dell’Unione, che sia cittadino italiano o cittadino di un altro Stato membro, bensì un cittadino di un paese terzo soggiornante di lungo periodo sul territorio della Provincia Autonoma di Bolzano.

49.      Sono anche del parere che non occorra risolvere la quinta questione, che verte sulla compatibilità con il diritto dell’Unione della condizione secondo la quale i cittadini di paesi terzi devono avere esercitato un’attività lavorativa da almeno tre anni per accedere al beneficio del sussidio casa. È, infatti, pacifico, che dal 1994 il sig. Kamberaj risiede ed occupa un impiego stabile sul territorio della Provincia Autonoma di Bolzano e che il rigetto della sua domanda di sussidio non era motivato dal mancato rispetto della condizione di cui sopra. Tale questione non è dunque pertinente ai fini della soluzione della controversia principale.

50.      Dalle considerazioni che precedono discende che soltanto la soluzione della terza questione presenta un’utilità al fine di dirimere la controversia principale. Propongo dunque alla Corte di concentrarsi unicamente su tale questione.

51.      Prima di esaminare detta questione, preciso che ritengo accertato, ai fini dell’analisi che segue, il fatto che il sig. Kamberaj possiede lo status di soggiornante di lungo periodo, di cui agli artt. 4‑7 della direttiva 2003/109. Spetterà al giudice del rinvio dimostrare la correttezza di siffatta constatazione.

B –    Sulla terza questione

52.      Con tale questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, alla Corte di dichiarare se la direttiva 2003/109 debba essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa di uno Stato membro che, in materia di sussidio casa, riservi ai cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo un trattamento peggiorativo rispetto a quello di cui beneficiano i cittadini nazionali e dell’Unione residenti in detto Stato membro.

53.      Ricordo che, in virtù dell’art. 11, n. 1, della direttiva 2003/109, i cittadini di paesi terzi, soggiornanti di lungo periodo, godono dello stesso trattamento dei cittadini nazionali in diversi settori, che sono elencati alle lett. a)‑h). Oltre alle condizioni già contenute in alcuni di questi punti nonché all’art. 11, nn. 2 e 3, di tale direttiva, l’art. 11, n. 4, della medesima consente agli Stati membri, in materia di assistenza sociale e di protezione sociale, di limitare la parità di trattamento alle prestazioni essenziali.

54.      Il tenore letterale dell’art. 11 della direttiva 2003/109 riflette le divergenze di opinione che possono essere state espresse nella discussione di tale testo in merito alla portata che doveva rivestire il principio della parità di trattamento tra i cittadini di paesi terzi che beneficiano dello status di soggiornante di lungo periodo e i cittadini nazionali (14). Tali divergenze emergono anche chiaramente allorquando si raffronta la proposta della Commissione (15) con il testo definitivo. Esse hanno condotto ad un’affermazione del principio della parità di trattamento in una serie di settori, pur accompagnando detto principio con un certo numero di presupposti e di limiti. La presente causa offre alla Corte l’occasione di precisare la portata di alcuni di detti presupposti e limiti, nonché il modo di conciliarli, da una parte, con gli obiettivi perseguiti dalla direttiva 2003/109, e, dall’altra, con i diritti fondamentali quali garantiti, in particolare, dall’art. 34 della Carta.

55.      Esaminerò, in un primo momento, se i cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo subiscano effettivamente, in applicazione della normativa provinciale contestata, un trattamento peggiorativo in materia di sussidio casa rispetto ai cittadini nazionali.

56.      Qualora dovesse essere accertata una siffatta premessa, occorrerà quindi esaminare se la direttiva 2003/109 osti a una siffatta disparità di trattamento nel settore di cui trattasi.

1.      Sull’esistenza di una disparità di trattamento tra i cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo e i cittadini nazionali

57.      La legge provinciale ha introdotto un meccanismo di ripartizione dei sussidi casa in forza del quale l’importo di fondi concessi ai gruppi che sono costituiti, da un lato, dai cittadini nazionali e dell’Unione e, dall’altro, dai cittadini di paesi terzi, è determinato in proporzione della media ponderata tra, da una parte, la consistenza numerica di detti cittadini e, dall’altra, il loro fabbisogno.

58.      Con riguardo al primo gruppo, composto dai cittadini nazionali e dell’Unione, i fattori relativi alla loro consistenza numerica e al loro fabbisogno sono dotati dello stesso coefficiente, ossia il coefficiente 1.

59.      Per contro, per quanto concerne il secondo gruppo, costituito dai cittadini di paesi terzi, al fattore relativo alla loro consistenza numerica è stato attribuito il coefficiente 5, mentre al loro fabbisogno è stato applicato il coefficiente 1.

60.      La determinazione della parte dei fondi concessi, a titolo di sussidio casa, a ciascuno dei due gruppi è dunque stata oggetto di modalità di calcolo diverse. Tale differenza ha prodotto l’effetto di diminuire la parte dei fondi che sarebbero potuti spettare al gruppo costituito dai cittadini di paesi terzi se i fattori relativi alla consistenza numerica e al fabbisogno di tale gruppo fossero stati dotati dello stesso coefficiente di quello applicato al primo gruppo.

61.      Dal fascicolo emerge anche che, secondo le modalità di calcolo applicate al secondo gruppo per gli aiuti relativi all’anno 2009, ai cittadini di paesi terzi, che rappresentavano il 4,44% della popolazione residente sul territorio della Provincia Autonoma di Bolzano e che costituivano il 25,16% del fabbisogno, è stato attribuito il 7,90% delle sovvenzioni versate dall’IPES per il sussidio casa, nonché per contributi all’acquisto, alla costruzione e al recupero di alloggi per il fabbisogno abitativo primario.

62.      Se i fattori relativi alla consistenza numerica dei cittadini di paesi terzi e al loro fabbisogno fossero stati dotati dello stesso coefficiente di quello applicato ai cittadini nazionali e dell’Unione, i primi avrebbero beneficiato di una parte dei fondi superiore, dell’ordine del 14,8%. L’applicazione di coefficienti diversi ha dunque avuto come conseguenza di svantaggiare il gruppo costituito dai cittadini di paesi terzi, poiché ha contribuito a diminuire la percentuale di soddisfacimento delle loro domande di sussidio casa.

63.      In udienza, la Giunta provinciale ha contestato l’esistenza di una discriminazione, facendo valere la disparità della situazione nella quale si troverebbero i cittadini di ciascuno dei due gruppi. Infatti, mentre la consistenza numerica del primo gruppo sarebbe calcolata in base ad un censimento effettuato ogni dieci anni, quella del secondo gruppo risulterebbe da un calcolo statistico annuale che sarebbe, per sua natura, approssimativo. Inoltre, le modalità di quantificazione del fabbisogno dei due gruppi sarebbero diverse e sarebbe quasi impossibile verificare il patrimonio e i redditi dei cittadini di paesi terzi.

64.      Non ritengo che tali elementi siano sufficienti per dimostrare che i cittadini di ciascuno dei due gruppi versassero in situazioni tanto diverse da non poter ravvisare alcuna discriminazione per quanto concerne il calcolo della ripartizione degli aiuti. In ogni caso, tali elementi non giustificano l’ampiezza del margine, che è di 1 a 5, tra i coefficienti relativi alla consistenza numerica dei due gruppi. Peraltro, come giustamente osservato dalla Commissione in udienza, difficoltà di ordine statistico ed amministrativo non possono giustificare una siffatta disparità di trattamento.

65.      Occorre, adesso, verificare se la direttiva 2003/109 osti a siffatta disparità di trattamento.

2.      Se la direttiva 2003/109 osti ad una disparità di trattamento tra i cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo e i cittadini nazionali per quanto concerne la concessione di un sussidio casa come quello in esame nella causa principale

66.      Al fine di risolvere questa questione tratterò dapprima il problema relativo alla qualificazione del sussidio casa alla luce dei settori di cui all’art. 11, n. 1, lett. d) e f), della direttiva 2003/109. Mi soffermerò, quindi, sulla nozione di «prestazioni essenziali», ai sensi dell’art. 11, n. 4, di tale direttiva.

a)      Sulla qualificazione del sussidio casa in considerazione dei settori di cui all’art. 11, n. 1, lett. d) e f) della direttiva 2003/109

67.      Il settore di cui all’art. 11, n. 1, lett. f), della direttiva 2003/109 riguarda «l’accesso a beni e servizi a disposizione del pubblico e all’erogazione degli stessi, nonché alla procedura per l’ottenimento di un alloggio».

68.      Atteso che la controversia principale verte sulle condizioni di concessione di un sussidio casa e non sui requisiti per ottenere un alloggio sociale da parte di enti pubblici, la normativa provinciale controversa, a mio avviso, non può essere considerata come relativa «all’accesso alla procedura per l’ottenimento di un alloggio», ai sensi di tale disposizione.

69.      Peraltro, anche se quest’ultima espressione, al pari di quella di «accesso a beni e servizi», dovesse intendersi come relativa all’accesso all’alloggio sia sociale che privato (16), il disposto relativo al sussidio casa, di cui trattasi nella presente causa, non è direttamente finalizzato a regolamentare l’accesso all’alloggio, pur essendo incontestabile che l’attuazione di siffatto meccanismo può incidere concretamente sulla possibilità di talune persone di accedere ad un alloggio. Solo un’interpretazione particolarmente ampia dell’art. 11, n. 1, lett. f), della direttiva 2003/109, in forza della quale detto articolo dovrebbe essere inteso come comprendente ogni norma che possa incidere sull’accesso all’alloggio, consentirebbe di ricomprendere la normativa provinciale controversa nell’ambito di applicazione di tale disposizione. Non sono favorevole ad un’interpretazione tanto estensiva che condurrebbe, in sostanza, a conferire a tale disposizione la stessa portata, ad esempio, dell’art. 9 del regolamento (UE) del Parlamento europeo e del Consiglio 5 aprile 2011, n. 492, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione (17), il quale al suo n. 1 prevede, in termini molto diversi da quelli impiegati nell’art. 11, n. 1, lett. f), della direttiva 2003/109, che «(i)l lavoratore cittadino di uno Stato membro occupato sul territorio di un altro Stato membro gode di tutti i diritti e i vantaggi accordati ai lavoratori nazionali per quanto riguarda l’alloggio ((18))».

70.      A mio avviso, è dal punto di vista dell’art. 11, n. 1, lett. d), della direttiva 2003/109 che si deve intendere il sussidio casa di cui trattasi nella causa principale. Ricordo che, in forza di questa disposizione, i cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo godono dello stesso trattamento dei cittadini nazionali per quanto concerne «le prestazioni sociali, l’assistenza sociale e la protezione sociale ai sensi della legislazione nazionale».

71.      La formulazione pertanto adottata dal legislatore dell’Unione è fondamentalmente diversa da quella inizialmente proposta dalla Commissione. Infatti, la proposta della Commissione conteneva un art. 12, n. 1, lett. d)-f), che prevedeva la parità di trattamento tra i cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo e i cittadini nazionali in materia di «protezione sociale, ivi comprese le prestazioni sociali e l’assistenza medica», di «assistenza sociale» e di «agevolazioni sociali e fiscali».

72.      La Commissione intendeva dunque conferire una portata molto ampia alla parità di trattamento tra i cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo e i cittadini nazionali nel settore sociale (19).

73.      Le reticenze di taluni Stati membri a riconoscere una portata tanto estesa a siffatta parità di trattamento nel settore sociale hanno condotto, da un lato, alla soppressione della menzione delle agevolazioni sociali, di cui sappiamo che hanno costituito l’oggetto di un’interpretazione estensiva ad opera della Corte nell’ambito dell’applicazione del regolamento (CEE) del Consiglio n. 1618/68 (20) e, dall’altro, all’aggiunta della precisazione secondo la quale le nozioni di prestazioni sociali, di assistenza sociale e di protezione sociale devono essere intese «ai sensi della legislazione nazionale».

74.      La presenza di siffatta menzione all’art. 11, n. 1, lett. d), della direttiva 2003/109 contrasta con altri atti dell’Unione, anch’essi volti a stabilire una parità di trattamento in materia sociale. Così, l’art. 3, n. 1, lett. e) e f) della direttiva 2000/43 riguarda la «protezione sociale, ivi comprese le prestazioni sociali e l’assistenza medica», nonché «le agevolazioni sociali», senza rinviare al diritto degli Stati membri per la definizione di siffatte nozioni. Peraltro, l’art. 12, lett. c), della direttiva del Consiglio 12 ottobre 2005, 2005/71/CE, relativa a una procedura specificamente concepita per l’ammissione di cittadini di paesi terzi a fini di ricerca scientifica (21), nonché l’art. 14, n. 1, lett. e), della direttiva 2009/50 fanno riferimento, per definire i vari settori della sicurezza sociale, al regolamento (CEE) del Consiglio 14 giugno 1971, n. 1408, relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità (22), e all’allegato del regolamento (CE) del Consiglio n. 859/2003 (23).

75.      Per quanto censurabile ciò possa apparire in considerazione della coerenza tra i diversi atti dell’Unione in materia sociale, che si riferiscono a nozioni simili o identiche e che sono inoltre, talvolta, adottati in base allo stesso fondamento normativo, mi sembra tuttavia difficile ignorare il rinvio espresso effettuato dall’art. 11, n. 1, lett. d), della direttiva 2003/109 alla legislazione nazionale degli Stati membri. È infatti molto probabile che, lungi dall’essere fortuita, l’aggiunta di tale precisazione avesse lo scopo di impedire un’interpretazione autonoma, nel diritto dell’Unione, di ciascuna delle nozioni di prestazioni sociali, assistenza sociale e protezione sociale nell’ambito dell’applicazione dell’art. 11 di tale direttiva (24). Il legislatore dell’Unione intendeva così demandare agli Stati membri il compito di determinare l’ambito di tali nozioni, affinché potessero delimitare essi stessi la portata della parità di trattamento in queste materie.

76.      È vero che, alla luce della giurisprudenza costante della Corte, l’inciso «ai sensi della legislazione nazionale» costituisce, a priori, un ostacolo all’adozione di un’interpretazione unica ed autonoma, nel diritto dell’Unione, delle nozioni di prestazioni sociali, assistenza sociale e protezione sociale, nell’ambito dell’applicazione dell’art. 11 della direttiva 2003/109.

77.      Secondo tale giurisprudenza, «l’applicazione uniforme tanto del diritto dell’Unione quanto del principio di uguaglianza esige che una disposizione del diritto dell’Unione, che non contenga alcun espresso richiamo al diritto degli Stati membri per quanto riguarda la determinazione del suo senso e della sua portata, debba normalmente dar luogo, in tutta l’Unione, ad un’interpretazione autonoma e uniforme» (25). Ciò significa che, a contrario, una disposizione del diritto dell’Unione che contenga un rinvio espresso al diritto degli Stati membri, in linea di principio, non può essere oggetto di una siffatta interpretazione autonoma ed uniforme.

78.      La Corte esamina, tuttavia, attentamente i termini esatti del rinvio operato agli ordinamenti nazionali al fine di circoscrivere precisamente il margine di manovra lasciato agli Stati membri. Così essa ha, per esempio, dichiarato, a proposito del diritto alle ferie annuali retribuite, previsto all’art. 7, n. 1, della direttiva del Consiglio 23 novembre 1993, 93/104/CE, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro (26), che «(l)’espressione “secondo le condizioni di ottenimento e di concessione previste dalle legislazioni e/o prassi nazionali” si riferisc(e) alle sole modalità di applicazione delle ferie annuali retribuite nei diversi Stati membri (…) (senza che questi ultimi possano) condizionare la costituzione stessa del diritto, che scaturisce direttamente dalla direttiva 93/104» (27).

79.      Peraltro, la Corte privilegia un’interpretazione autonoma qualora i termini del rinvio al diritto degli Stati membri siano generici e qualora una siffatta interpretazione sia indispensabile al fine di garantire l’obiettivo perseguito da una norma del diritto dell’Unione. È per questo che, sempre nell’ambito della direttiva 93/104, ma questa volta con riguardo alle nozioni di orario di lavoro e periodo di riposo, la Corte ha dichiarato che si tratta di «nozioni di diritto comunitario che occorre definire secondo criteri oggettivi, facendo riferimento al sistema e alla finalità della (detta) direttiva», precisando che «(s)oltanto una siffatta interpretazione autonoma può assicurare la piena efficacia di (detta) direttiva nonché l’applicazione uniforme delle dette nozioni in tutti gli Stati membri» (28). L’art. 2, n. 1, della direttiva 93/104 definiva la nozione di orario di lavoro come «qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali ((29))». La Corte ritiene che quest’ultimo inciso non osti all’adozione di un’interpretazione autonoma di detta nozione nel diritto dell’Unione. Essa considera che «il fatto che la definizione della nozione di orario di lavoro si riferisca alle “normative e/o prassi nazionali” non significa che gli Stati membri possano definire unilateralmente la portata di tale nozione» (30).

80.      La precisione dei termini utilizzati dal legislatore dell’Unione nell’art. 11, n. 1, lett. d), della direttiva 2003/109 per caratterizzare la portata del rinvio al diritto degli Stati membri, ovvero la definizione stessa delle nozioni di prestazioni sociali, assistenza sociale e protezione sociale ai sensi della legislazione nazionale di ciascuno Stato membro, a mio avviso, impedisce tuttavia alla Corte di tracciare un’interpretazione autonoma ed uniforme delle nozioni contenute in tale disposizione.

81.      La situazione a cui siamo confrontati nella presente causa è dunque diversa da quella che la Corte ha dovuto esaminare nella sua sentenza 4 marzo 2010, Chakroun (31), in cui ha dichiarato che «la nozione di “sistema di assistenza sociale dello Stato membro” [ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. c) della direttiva del Consiglio 22 settembre 2003, 2003/86/CEE, relativa al diritto al ricongiungimento familiare (32)], è una nozione autonoma del diritto dell’Unione, che non può essere definita facendo riferimento a nozioni di diritto nazionale» (33). Siffatta interpretazione autonoma era possibile atteso che detta disposizione non conteneva alcun rinvio al diritto nazionale per quanto concerne la definizione di tale nozione. Peraltro, la Corte, in questa sentenza, ha tracciato un’interpretazione della nozione di assistenza sociale strettamente legata al sistema generale proprio dell’art. 7, n. 1, lett. c), della direttiva 2003/86, tenendo conto della nozione di risorse stabili, regolari e sufficienti. La giustapposizione delle due nozioni ha dunque indotto la Corte a dichiarare che «la nozione di “assistenza sociale” di cui a (detto articolo) dev’essere interpretata come finalizzata all’assistenza che supplisce una mancanza di risorse stabili, regolari e sufficienti e non come l’assistenza che consentirebbe di far fronte a necessità straordinarie o impreviste» (34).

82.      La Corte ha dunque definito nella sentenza Chakroun, sopra citata, la nozione di assistenza sociale nel contesto particolare dell’art. 7, n. 1, lett. c) della direttiva 2003/86, disposizione che si ritrova, peraltro, all’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 2003/109 come condizione relativa all’acquisizione dello status di soggiornante di lungo periodo. L’art. 11, n. 1, lett. d), di tale direttiva è tuttavia formulato in modo tale da non consentire né un’interpretazione autonoma ad opera della Corte delle nozioni che vi figurano, né una trasposizione della definizione tracciata dalla medesima nella sua citata sentenza Chakroun.

83.      Ciò non significa tuttavia che gli Stati membri beneficino di un margine di manovra illimitato al fine di decidere se gli aiuti che essi prevedono nel settore sociale rientrino, ai fini dell’applicazione dell’art. 11 della direttiva 2003/109, nei settori relativi alle prestazioni sociali, all’assistenza sociale e alla protezione sociale, come da essi definiti. A mio avviso, due serie di limiti inquadrano il margine di manovra che il legislatore dell’Unione ha voluto lasciare agli Stati membri, particolarmente in un’ipotesi come quella di cui trattasi nella presente causa, in cui spetta loro determinare se un sussidio casa rientri nell’ambito di applicazione dell’art. 11, n. 1, lett. d), della direttiva 2003/109.

84.      In primo luogo, come sottolineato dalla Corte nella sentenza Chakroun, sopra citata, il margine di manovra riconosciuto agli Stati membri non dev’essere impiegato dagli stessi in un modo che pregiudicherebbe l’obiettivo della direttiva in parola e il suo effetto utile (35). Orbene, ricordo che il quarto ‘considerando’ della direttiva 2003/109 prevede che «(l)’integrazione dei cittadini dei paesi terzi stabilitisi a titolo duraturo negli Stati membri costituisce un elemento cardine per la promozione della coesione economica e sociale, obiettivo fondamentale della Comunità enunciato nel trattato». In questa ottica, il dodicesimo ‘considerando’ di tale direttiva precisa che «(p)er costituire un autentico strumento di integrazione sociale, lo status di soggiornante di lungo periodo dovrebbe valere al suo titolare la parità di trattamento con i cittadini dello Stato membro in una vasta gamma di settori economici e sociali ((36)), sulle pertinenti condizioni definite dalla (suddetta) direttiva». A mio avviso, ciò richiama una concezione estensiva dei settori sociali nei quali i cittadini dei paesi terzi, soggiornanti di lungo periodo, devono essere trattati su un piano di parità con i cittadini nazionali. L’affermazione di siffatto obiettivo impedisce agli Stati membri di limitare in modo eccessivo gli aiuti sociali di cui possono beneficiare i cittadini di paesi terzi, soggiornanti di lungo periodo, in forza dell’art. 11, n. 1, lett. d), della direttiva 2003/109.

85.      In secondo luogo gli Stati membri, quando recepiscono una direttiva, sono tenuti a tenere conto della Carta, ai sensi dell’art. 51, n. 1, di quest’ultima. Orbene, essi non possono, a tal riguardo, prescindere dal fatto che l’art. 34 della Carta, intitolato «Sicurezza sociale e assistenza sociale», menziona espressamente l’«assistenza abitativa» al suo n. 3. Mi sembra dunque estremamente difficile che uno Stato membro, allorquando dà attuazione all’art. 11, n. 1, lett. d), della direttiva 2003/109, possa escludere un sussidio casa, come quello di cui trattasi nella causa principale, dall’ambito di applicazione di tale disposizione.

86.      Il rinvio fatto da detta disposizione alla legislazione nazionale degli Stati membri lascia dunque a questi ultimi, in realtà, un potere discrezionale molto limitato se intendono restringere, in materia sociale, i settori coperti dal principio della parità di trattamento, sancito dall’art. 11, n. 1, della direttiva in esame.

87.      Spetterà, in definitiva, al giudice del rinvio determinare, tenendo conto dell’obiettivo di integrazione dei cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo, perseguito dalla stessa direttiva, nonché dell’art. 34, n. 3, della Carta, se un sussidio casa, come quello di cui trattasi nella causa principale, corrisponda ad una delle categorie di cui all’art. 11, n. 1, lett. d), della direttiva 2003/109, come definite dalla legislazione nazionale.

88.      Mi resta adesso da esaminare l’impatto che l’art. 11, n. 4, della presente direttiva può avere sulla presente causa.

b)      Sulla nozione di «prestazioni essenziali», ai sensi dell’art. 11, n. 4, della direttiva 2003/109

89.      Ricordo che, a norma dell’art. 11, n. 4, della direttiva 2003/109, «(i)n materia di assistenza sociale e protezione sociale gli Stati membri possono limitare la parità di trattamento alle prestazioni essenziali».

90.      Il tredicesimo ‘considerando’ della predetta direttiva fornisce un primo chiarimento sulla portata di tale disposizione, indicando che «(c)on riferimento all’assistenza sociale, la possibilità di limitare le prestazioni per soggiornanti di lungo periodo a quelle essenziali deve intendersi nel senso che queste ultime comprendono almeno un sostegno di reddito minimo, l’assistenza in caso di malattia, di gravidanza, l’assistenza parentale e l’assistenza a lungo termine. Le modalità di concessione di queste prestazioni dovrebbero essere determinate dalla legislazione nazionale».

91.      L’uso dell’espressione «almeno» implica che l’elenco degli aiuti previsti in detto ‘considerando’ non è esaustivo. Osservo, inoltre, che l’art. 11, n. 4, della direttiva 2003/109 non comporta alcun rinvio al diritto nazionale per la definizione di «prestazioni essenziali» ai sensi di tale disposizione. È vero che il tredicesimo ‘considerando’ di detta direttiva contiene senz’altro un rinvio al diritto nazionale, ma questo è limitato alle «modalità di concessione di queste prestazioni», ossia alla determinazione delle condizioni di concessione e del livello di siffatte prestazioni, nonché delle procedure ad esse relative, e non si estende dunque alla definizione stessa della nozione di prestazioni essenziali. Ciò premesso, ritengo che si tratti di una nozione di diritto dell’Unione, che spetta alla Corte definire secondo caratteristiche oggettive, riferendosi al sistema e alle finalità della direttiva 2003/109 (37).

92.      In considerazione del fatto che l’art. 11, n. 4, della direttiva 2003/109 concede agli Stati membri la facoltà di limitare la portata del principio della parità di trattamento, sancito dall’art. 11, n. 1, di tale direttiva, e dunque di derogare alla piena applicazione di detto principio, l’attuazione di tale possibilità deve essere intesa restrittivamente.

93.      Come giustamente indicato dalla Commissione nelle sue osservazioni, allorché uno Stato membro intende avvalersi della facoltà ad esso offerta dall’art. 11, n. 4, della direttiva 2003/109, lo deve fare in piena trasparenza e conformemente al principio della certezza del diritto. Secondo una costante giurisprudenza, infatti, «il principio della certezza del diritto – che è uno dei principi generali del diritto comunitario – esige segnatamente che le norme giuridiche siano chiare, precise e prevedibili nei loro effetti, in particolare qualora possano comportare conseguenze sfavorevoli in capo ai singoli e alle imprese» (38). Orbene, nulla indica, nella presente causa, che il legislatore nazionale e/o provinciale abbia fatto uso di tale possibilità rispettando le condizioni sopra menzionate (39). È chiaro che tale elemento deve essere verificato dal giudice del rinvio.

94.      Peraltro, la definizione di «prestazioni essenziali» ai sensi dell’art. 11, n. 4, della direttiva 2003/109, deve essere stabilito tenendo conto dell’obiettivo di integrazione dei cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo che, come visto in precedenza, è al centro delle preoccupazioni evidenziate dal legislatore dell’Unione in diversi ‘considerando’ di tale direttiva. Pertanto, ritengo che costituiscano prestazioni essenziali quelle che, contribuendo a soddisfare necessità elementari come il vitto, l’alloggio e la salute, consentono di lottare contro l’emarginazione sociale.

95.      Conformemente al suo terzo ‘considerando’, la suddetta direttiva «rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti segnatamente nella [CEDU] e nella Carta». Ho già esposto le ragioni per le quali, a mio avviso, il tenore letterale dell’art. 34, n. 3, della Carta rende estremamente difficile che uno Stato membro possa decidere, al fine di escludere l’applicazione dell’art. 11, n. 1, lett. d), della direttiva 2003/109, che un sussidio casa, come quello di cui trattasi nella causa principale, non rientri in nessuna delle categorie relative alle prestazioni sociali, all’assistenza sociale e alla protezione sociale, quali definite ai sensi della legislazione nazionale. A mio avviso, l’art. 34, n. 3, della Carta, atteso che considera espressamente l’«assistenza abitativa» come destinata «a garantire un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti», «(a)l fine di lottare contro l’esclusione sociale e la povertà», depone a favore dell’inclusione di un sussidio casa, come quello in esame nella controversia principale, nella nozione di «prestazioni essenziali», quale da me precedentemente definita.

96.      Risponde, segnatamente, a tale definizione un sussidio senza il quale un conduttore non potrebbe più rispettare il suo contratto di locazione e si troverebbe dunque, ove ne venisse privato, in grande difficoltà per trovare un alloggio sostitutivo, o addirittura nell’impossibilità di alloggiare dignitosamente insieme alla sua famiglia. Spetta al giudice del rinvio, al termine di un esame completo degli aiuti che costituiscono il sistema di assistenza sociale in vigore nello Stato membro di residenza del cittadino del paese terzo soggiornante di lungo periodo, verificare se la perdita di un sussidio casa, come quello in esame nella causa principale, avrebbe come conseguenza di far perdere il suo alloggio a colui che ne beneficiava in precedenza e di rendere molto difficile, se non impossibile, l’accesso ad un alloggio sostitutivo.

IV – Conclusione

97.      Alla luce delle precedenti considerazioni, propongo alla Corte di rispondere nella maniera seguente al Tribunale di Bolzano:

«L’art. 11, nn. 1, lett. d), e 4, della direttiva del Consiglio 25 novembre 2003, 2003/109/CE, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa di uno Stato membro, come quella in esame nella causa principale, che, in materia di sussidio casa, riserva ai cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo un trattamento peggiorativo rispetto a quello di cui beneficiano i cittadini nazionali e dell’Unione residenti in tale Stato, nei limiti in cui il giudice del rinvio:

–        da una parte, stabilisca che siffatto sussidio, in forza dell’art. 11, n. 1, lett. d), della direttiva 2003/109, rientra nelle nozioni di “prestazioni sociali”, di “assistenza sociale” e di “protezione sociale”, quali definite dalla legislazione di tale Stato, e

–        dall’altra, verifichi se lo Stato membro si sia avvalso, nel rispetto del principio della certezza del diritto, della facoltà prevista all’art. 11, n. 4, di predetta direttiva. Se ciò risulta essere il caso, occorre intendere la nozione di “prestazioni essenziali”, ai sensi di tale disposizione, come relativa a quelle che, contribuendo a soddisfare necessità elementari come il vitto, l’alloggio e la salute, consentono di lottare contro l’emarginazione sociale. Spetta al giudice del rinvio, al termine di un esame completo degli aiuti che costituiscono il sistema di assistenza sociale in vigore nello Stato membro di residenza del cittadino del paese terzo soggiornante di lungo periodo, verificare se la perdita di un sussidio casa, come quello di cui trattasi nella causa principale, avrebbe come conseguenza di far perdere il suo alloggio a colui che ne beneficiava in precedenza e di rendere molto difficile, se non impossibile, l’accesso ad un alloggio sostitutivo».


1 —      Lingua originale: il francese.


2 —      In prosieguo: la «Carta».


3 —      GU L 180, pag. 22.


4 —      GU 2004, L 16, pag. 44.


5 —      In prosieguo: la «CEDU».


6 —      GURI n. 24, del 30 gennaio 2007, pag. 4.


7 —      Supplemento ordinario alla GURI n. 191, del 18 agosto 1998; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 286/1998».


8 —      GURI n. 301, del 20 novembre 1972; in prosieguo: il «decreto n. 670/1972».


9 —      Dalla decisione di rinvio nonché dalle osservazioni scritte depositate dal sig. Kamberaj emerge che quest’ultimo percepiva da ultimo un sussidio di EUR 550 per un canone di locazione pari a EUR 1 200. Gli importi menzionati all’udienza dal sig. Kamberaj non corrispondono esattamente. Se ne desume, tuttavia, che il sussidio casa copriva circa la metà del canone di locazione pagato dal sig. Kamberaj.


10 —      V., in particolare, sentenza 24 marzo 2009, causa C-445/06, Danske Slagterier (Racc. pag. I‑2119, punto 65 e la giurisprudenza ivi citata).


11 —      V., in particolare, sentenza 1° giugno 2010, cause riunite C-570/07 e C-571/07, Blanco Pérez e Chao Gómez (Racc. pag. I‑4629, punto 36, nonché la giurisprudenza ivi citata).


12 —      Punto 62 dell’ordinanza di rinvio.


13 —      V. sentenze 18 ottobre 1990, cause riunite C‑297/88 e C‑197/89, Dzodzi (Racc. pag. I‑3763, punto 31), e 1° giugno 2006, causa C-453/04, Innoventif (Racc. pag. I‑4929, punto 29), nonché ordinanza 1° marzo 2011, causa C-457/09, Chartry (Racc. pag. I‑819, punto 21 e la giurisprudenza ivi citata).


14 —      V., a tal riguardo, EU Immigration and Asylum Law – Commentary –, Hailbronner, pagg. 642 e 643.


15 —      Proposta di direttiva del Consiglio relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano residenti di lungo periodo [COM(2001) 127 def., in prosieguo: la «proposta della Commissione»].


16 —      Nella proposta della Commissione, in ogni caso, tale era il senso da essa attribuito a tale disposizione, indicando che l’accesso ai beni e ai servizi «comprende l’accesso all’assistenza abitativa, pubblica o privata» (pag. 21). L’espressione «accesso all’assistenza abitativa», contenuta in questa proposta, era stata oggetto di una riserva da parte di uno Stato membro (documento del Consiglio dell’Unione europea 10698/01, pag. 17), il che spiega forse perché essa non figuri nel testo definitivo. V. anche, con riguardo ad una disposizione analoga di cui all’art. 14, n. 1, lett. g), della direttiva del Consiglio 25 maggio 2009, 2009/50/CE, sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati (GU L 155, pag. 17), EU Immigration and Asylum Law – Commentary –, op. cit., pag. 775.


17 —      GU L 141, pag. 1.


18 —      La sottolineatura è mia.


19 —      Osservo che tale formulazione è simile a quella di cui all’art. 3, n. 1, lett. e) e f) della direttiva 2000/43.


20 —      Regolamento 15 ottobre 1968, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità (GU L 257, pag. 2). V., in particolare, sentenza 30 settembre 1975, causa 32/75, Cristini (Racc. pag. 1085, punti 12 e 13).


21 —      GU L 289, pag. 15.


22 —      GU L 149, pag. 2.


23 —      Regolamento 14 maggio 2003, che estende le disposizioni del regolamento (CEE) n. 1408/71 e del regolamento (CEE) n. 574/72 ai cittadini di paesi terzi cui tali disposizioni non siano già applicabili unicamente a causa della nazionalità (GU L 124, pag. 1).


24 —      V., in tal senso, EU Immigration and Asylum Law – Commentary –, op. cit., pag. 646. V. anche, con riguardo alla nozione di «prestazioni sociali» di cui all’art. 11, n. 1, lett. d), della direttiva 2003/109, Halleskov, L., «The Long-Term Residents Directive: A Fulfilment of the Tampere Objective of Near-Equality?», European Journal of Migration and Law, vol. 7, 2005, n. 2, pag. 181, in particolare pag. 198.


25 —      V., in particolare, sentenza 18 ottobre 2011, causa C-34/10, Brüstle (Racc. pag. I‑9821, punto 25 e la giurisprudenza ivi citata).


26 —      GU L 307, pag. 18.


27 —      Sentenza 26 giugno 2001, causa C-173/99, BECTU (Racc. pag. I‑4881, punto 53).


28 —      Sentenza 9 settembre 2003, causa C-151/02, Jaeger (Racc. pag. I‑8389, punto 58), e ordinanza 4 marzo 2011, causa C-258/10, Grigore (punto 44, e la giurisprudenza ivi citata).


29 —      La sottolineatura è mia.


30 —      Sentenza Jaeger, cit. supra (punto 59).


31 —      Causa C‑578/08, Racc. pag. I‑1839.


32 —      GU L 251, pag. 12.


33 —      Sentenza Chakroun, cit. supra (punto 45).


34 —      Ibidem (punto 49).


35 —      Ibidem (punto 43).


36 —      La sottolineatura è mia. L’obiettivo di integrazione è anche affermato, in modo analogo, al secondo, terzo e sesto ‘considerando’ della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 11 maggio 2011, 2011/51/UE, che modifica la direttiva del Consiglio 2003/109/CE per estenderne l’ambito di applicazione ai beneficiari di protezione internazionale (GU L 132, pag. 1).


37 —      Occorre osservare che il ricorso alla nozione di prestazioni essenziali da parte del legislatore dell’Unione non è isolato. A titolo di esempio, tale nozione compare agli artt. 28, n. 2, e 29, n. 2, nonché al trentaquattresimo ‘considerando’ della direttiva del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/83/CE, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (GU L 304, pag. 12).


38 —      V., in particolare, sentenza 18 novembre 2008, causa C-158/07, Förster (Racc. pag. I‑8507, punto 67 e la giurisprudenza citata).


39 —      Osservo che dalla relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio 28 settembre 2011 sull’applicazione della direttiva 2003/109 [COM(2011) 585 def.] emerge che la Repubblica ellenica è il solo Stato membro in cui, conformemente all’art. 11, n. 4, di detta direttiva, il legislatore nazionale limita la parità di trattamento alle prestazioni essenziali in materia di assistenza sociale e di protezione sociale (pag. 7).