Language of document : ECLI:EU:C:2023:857

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NICHOLAS EMILIOU

presentate il 9 novembre 2023 (1)

Causa C516/22

Commissione europea

contro

Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord

«Inadempimento di uno Stato membro – Sentenza contumaciale – Accordo sul recesso del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord dall’Unione europea e dalla Comunità europea dell’energia atomica – Periodo di transizione – Competenza della Corte – Sentenza della Supreme Court of the United Kingdom (Corte Suprema del Regno Unito) – Esecuzione di un lodo arbitrale – Articolo 4, paragrafo 3, TEU – Obbligo di leale cooperazione – Sospensione del procedimento – Articolo 351, primo comma, TFUE – Convenzioni concluse tra Stati membri e paesi terzi prima della data della loro adesione all’Unione europea – Trattati multilaterali – Articolo 267 TFUE – Mancata adizione della Corte in via pregiudiziale – Organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado – Articolo 108, paragrafo 3, TFUE – Aiuti di Stato – Obbligo di sospensione»






I.      Introduzione

1.        In un articolo di cui è stato coautore nel 1970, scrivendo in via extragiudiziale, l’allora giudice Mertens de Wilmars – che in seguito sarebbe diventato il sesto presidente della (attuale) Corte di giustizia dell’Unione europea – osservava che, in base al diritto internazionale pubblico classico, gli Stati sono responsabili delle azioni dei propri giudici. Tuttavia, aggiungeva che l’allora Trattato CEE aveva stabilito un rapporto molto particolare tra le autorità giudiziarie nazionali e quelle comunitarie. Su tale base, il giudice Mertens de Wilmars sosteneva che «una decisione di un giudice nazionale sulla portata delle norme comunitarie (...) o, più in generale, una sentenza che applica il diritto comunitario, non può essere mai considerata come un inadempimento di uno Stato membro». A suo avviso, nell’ambito di una procedura di infrazione, uno Stato membro sarebbe responsabile del comportamento dei suoi giudici solo in caso di rifiuto sistematico da parte di un organo giurisdizionale di ultimo grado di avvalersi del procedimento pregiudiziale (2).

2.        A distanza di circa 50 anni, il diritto dell’Unione si è notevolmente evoluto. È ormai pacifico che l’inadempimento di uno Stato membro può, in linea di principio, essere dichiarato ai sensi degli articoli da 258 a 260 TFUE indipendentemente dall’istituzione, dall’organo o dall’organismo di tale Stato la cui azione o inerzia abbia dato luogo all’inadempimento, anche se si tratti di un’istituzione costituzionalmente indipendente (3). Ne consegue che, nell’ambito di una procedura di infrazione, uno Stato membro può essere ritenuto responsabile delle violazioni del diritto dell’Unione derivanti da decisioni dei giudici nazionali (4).

3.        Tuttavia, la peculiarità del caso di specie consiste nel fatto che le violazioni del diritto dell’Unione contestate dalla Commissione europea non sono state commesse da un organo giurisdizionale di uno Stato membro, bensì da un organo giurisdizionale che – nel momento in cui ha pronunciato la sentenza impugnata, considerato il recesso del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord dall’Unione europea (in prosieguo: la «Brexit») – apparteneva a uno Stato terzo: la Supreme Court of the United Kingdom (Corte Suprema del Regno Unito).

4.        Nel caso di specie, ritengo che, nonostante la «Brexit» e la particolare cautela che si richiede nell’accertare una violazione giudiziaria (5), la sentenza impugnata della Supreme Court (Corte Suprema) abbia dato luogo a alcune violazioni del diritto dell’Unione che possono essere accertate nel presente procedimento.

II.    Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

5.        L’articolo 351, primo comma, TFUE così recita:

«Le disposizioni dei trattati non pregiudicano i diritti e gli obblighi derivanti da convenzioni concluse, anteriormente al 1o gennaio 1958 o, per gli Stati aderenti, anteriormente alla data della loro adesione, tra uno o più Stati membri da una parte e uno o più Stati terzi dall’altra» (6).

6.        Ai sensi dell’articolo 2, lettera e), dell’accordo di recesso del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord dall’Unione europea e dalla Comunità europea dell’energia atomica (7), per «periodo di transizione» si intende il periodo di cui all’articolo 126 del medesimo accordo.

7.        L’articolo 86, paragrafo 2, dell’accordo di recesso, relativo alle «Cause pendenti dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea», così prevede:

«La Corte di giustizia dell’Unione europea resta competente a pronunciarsi in via pregiudiziale sulle domande presentate dai giudici del Regno Unito prima della fine del periodo di transizione».

8.        L’articolo 87, paragrafo 1 dell’accordo sul recesso, relativo alle «Nuove cause dinanzi alla Corte di giustizia», così recita:

«La Commissione europea, quando reputi che il Regno Unito abbia mancato a uno degli obblighi ad esso incombenti in virtù dei trattati o della parte quarta del presente accordo prima della fine del periodo di transizione, può adire la Corte di giustizia dell’Unione europea entro quattro anni dalla fine del periodo di transizione nelle modalità stabilite all’articolo 258 TFUE (...). Per tali cause è competente la Corte di giustizia dell’Unione europea».

9.        L’articolo 126 dell’accordo di recesso, intitolato «Periodo di transizione», così recita:

«È previsto un periodo di transizione o esecuzione che decorre dalla data di entrata in vigore del presente accordo e termina il 31 dicembre 2020».

10.      L’articolo 127 dell’accordo di recesso, intitolato «Ambito di applicazione della transizione», così recita:

«1.      Salvo che il presente accordo non disponga diversamente, il diritto dell’Unione si applica al Regno Unito e nel Regno Unito durante il periodo di transizione.

(...)

3.      Durante il periodo di transizione il diritto dell’Unione applicabile a norma del paragrafo 1 produce nei confronti del Regno Unito e nel Regno Unito gli stessi effetti giuridici che produce all’interno dell’Unione e degli Stati membri, ed è interpretato e applicato secondo gli stessi metodi e principi generali applicabili all’interno dell’Unione.

(...)

6.      Salvo che il presente accordo non disponga diversamente, durante il periodo di transizione i riferimenti agli Stati membri nel diritto dell’Unione applicabile a norma del paragrafo 1, anche attuato e applicato dagli Stati membri, si intendono fatti anche al Regno Unito.

(...)».

B.      Diritto internazionale

11.      Il trattato bilaterale di investimento concluso il 29 maggio 2002 tra il governo del Regno di Svezia e il governo rumeno sulla promozione e la reciproca protezione degli investimenti (in prosieguo: il «TBI»), entrato in vigore il 1o luglio 2003, prevede, all’articolo 2, paragrafo 3, quanto segue:

«Ciascuna parte contraente garantisce in qualsiasi momento un trattamento giusto ed equo agli investimenti degli investitori della controparte e non ostacola, l’amministrazione, la gestione, il mantenimento, l’utilizzazione, il godimento o la cessione di detti investimenti da parte di tali investitori nonché l’acquisto di beni e servizi o la vendita del loro prodotto, mediante misure arbitrarie o discriminatorie».

12.      L’articolo 7 del TBI prevede che le controversie tra gli investitori e le parti contraenti firmatari siano regolate, in particolare, da un tribunale arbitrale che applica la Convenzione ICSID (in prosieguo: la «clausola compromissoria»).

13.      Gli articoli 53 e 54 della Convenzione per il regolamento delle controversie relative agli investimenti tra Stati e cittadini di altri Stati, conclusa a Washington il 18 marzo 1965 (in prosieguo: la «Convenzione ICSID»), si trovano nella sezione 6 («Riconoscimento ed esecuzione») del capitolo IV («Arbitrato») della stessa. L’articolo 53, paragrafo 1, così recita:

«Il lodo è vincolante per le parti e non può essere oggetto di ricorso o reclamo, salvo quelli previsti nella presente convenzione. Ciascuna parte deve dare effetto al lodo nei termini stabiliti, salvo che l’esecuzione sia stata sospesa in virtù di disposizioni della presente convenzione. (...)».

14.      L’articolo 54, paragrafo 1, dispone quanto segue:

«Ciascuno Stato contraente riconosce come vincolanti i lodi pronunciati secondo la presente Convenzione e assicura, sul proprio territorio, l’esecuzione degli obblighi pecuniari imposti nel lodo come se si trattasse d’un giudizio definitivo di un tribunale dello Stato in questione. (...)».

III. Antefatti della causa e procedimento precontenzioso

15.      Il contesto fattuale rilevante della controversia, come risulta dal fascicolo, può essere riassunto come segue.

A.      Lodo arbitrale, decisioni della Commissione e procedimenti pendenti dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea

16.      Il 26 agosto 2004 la Romania ha abrogato, con effetto dal 22 febbraio 2005, un regime di aiuti di Stato a finalità regionale, sotto forma di vari incentivi fiscali, che era stato istituito nel 1998. Il 28 luglio 2005 gli investitori svedesi Ioan e Viorel Micula e tre società da loro controllate stabilite in Romania (in prosieguo: gli «investitori») – che avevano beneficiato del regime prima della sua abrogazione – hanno chiesto l’istituzione di un tribunale arbitrale ai sensi dell’articolo 7 del TBI, al fine di ottenere il risarcimento dei danni derivanti dalla revoca del regime di incentivi fiscali in questione.

17.      Con il lodo dell’11 dicembre 2013 (in prosieguo: il «lodo»), il tribunale arbitrale ha considerato che, abrogando il regime di incentivi fiscali di cui trattasi anteriormente al 1o aprile 2009, la Romania aveva violato il legittimo affidamento degli investitori, non aveva agito in modo trasparente, non avendoli informati tempestivamente e non avendo garantito un trattamento giusto ed equo dei loro investimenti, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 3, del TBI. Di conseguenza, il tribunale arbitrale ha condannato la Romania a versare agli investitori, a titolo di risarcimento danni, la somma di 791 882 452 lei rumeni (RON) (all’incirca EUR 160 milioni al tasso di cambio attuale).

18.      Il 26 maggio 2014 la Commissione ha adottato la decisione C(2014) 3192 final, che ordinava alla Romania di sospendere immediatamente qualsiasi azione che potesse dare luogo all’attuazione o all’esecuzione del lodo, sulla base del rilievo che un’azione del genere sarebbe apparsa come costitutiva di un aiuto di Stato illegittimo, fino a quando la Commissione non avesse adottato una decisione finale sulla compatibilità di tale misura con il mercato interno (in prosieguo: l’«ingiunzione di sospensione»).

19.      Con lettera del 1o ottobre 2014 la Commissione ha comunicato alla Romania la propria decisione di avviare il procedimento di indagine formale di cui all’articolo 108, paragrafo 2, TFUE, con riguardo al sospetto aiuto di stato (in prosieguo: la «decisione di avvio»).

20.      Successivamente, il 30 marzo 2015, la Commissione ha adottato la decisione (UE) 2015/1470, relativa all’aiuto di Stato SA.38517 (2014/C) (ex 2014/NN) cui la Romania ha dato esecuzione – Lodo Micula/Romania dell’11 dicembre 2013 (in prosieguo: la «decisione definitiva del 2015»). Tale decisione disponeva, in sostanza, che i) il pagamento del risarcimento concesso agli investitori dal lodo costituiva un «aiuto di Stato» nell’accezione dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, incompatibile con il mercato interno, e ii) la Romania era tenuta ad astenersi dal corrispondere l’aiuto incompatibile e a recuperare siffatto aiuto già corrisposto agli investitori.

21.      Gli investitori hanno contestato la validità della decisione definitiva del 2015 dinanzi al Tribunale che, con sentenza del 18 giugno 2019 nella causa European Food e a./Commissione, ha annullato tale decisione (8). In sostanza, il Tribunale ha accolto i motivi degli investitori relativi a i) l’incompetenza della Commissione e l’inapplicabilità del diritto dell’Unione ad una situazione precedente all’adesione della Romania, e ii) l’errore nella qualificazione del lodo come «vantaggio» e «aiuto», ai sensi dell’articolo 107 TFUE.

22.      Il 27 agosto 2019 la Commissione ha impugnato la sentenza del Tribunale dinanzi alla Corte di giustizia. Con sentenza del 25 gennaio 2022, la Corte di giustizia ha annullato la sentenza del Tribunale (9). In sostanza, la Corte ha rilevato, in primo luogo, che i presunti aiuti di Stato erano stati concessi dopo l’adesione della Romania all’Unione europea e che, di conseguenza, il Tribunale aveva commesso un errore di diritto nel ritenere che la Commissione non fosse competente ratione temporis ad adottare la decisione definitiva del 2015. Inoltre, la Corte ha ritenuto che il Tribunale avesse commesso un errore di diritto anche nello statuire che la sentenza Achmea (10) fosse irrilevante nel caso di specie. Ne è derivato – secondo la Corte – che il consenso della Romania al sistema di arbitrato previsto dal TBI è divenuto privo di oggetto a seguito dell’adesione di tale Stato membro all’Unione. Poiché il Tribunale non aveva esaminato, nella sua sentenza, tutti i motivi invocati dagli investitori, la Corte di giustizia ha rinviato la causa al Tribunale per una nuova sentenza. Ad oggi, tale causa è pendente dinanzi al Tribunale.

23.      Infine, con ordinanza del 21 settembre 2022 nella causa Romatsa e a., la Corte di giustizia – rispondendo a una domanda di pronuncia pregiudiziale presentata da un giudice belga in una controversia che coinvolgeva gli investitori – ha stabilito che l’articolo 267 TFUE e l’articolo 344 TFUE devono essere interpretati nel senso che l’autorità giurisdizionale di uno Stato membro investita dell’esecuzione forzata del lodo è «tenuta a disapplicare tale lodo e non può quindi in alcun caso procedere all’esecuzione del medesimo al fine di consentire ai suoi beneficiari di ottenere il versamento del risarcimento ad essi concesso dal lodo» (11).

B.      Procedimento dinanzi ai giudici del Regno Unito

24.      Il 17 ottobre 2014 il lodo è stato registrato presso la High Court of England and Wales (Alta Corte di Inghilterra e Galles) in base alle disposizioni dell’Arbitration (International Investment Disputes) Act 1966 [legge del 1966 in materia di arbitrato (controversie su investimenti internazionali)], che attua la Convenzione ICSID nel Regno Unito.

25.      Il 20 gennaio 2017, la High Court (Alta Corte) (giudice Blair) ha respinto l’istanza, presentata dalla Romania, di annullamento della registrazione, ma ha accolto la domanda della Romania di sospensione dell’esecuzione fino alla definizione del procedimento dinanzi ai giudici dell’Unione (12). Successivamente, il 27 luglio 2018, la Court of Appeal (Corte d’Appello) (giudici Arden, Hamblen e Leggatt) ha ritenuto che ai giudici inglesi sia precluso, sulla base del principio di leale cooperazione di cui all’articolo 4, paragrafo 3, TUE, di ordinare l’esecuzione immediata del lodo, nei limiti in cui una decisione della Commissione vieti alla Romania di erogare il risarcimento concesso. Su tale base, essa ha respinto il ricorso degli investitori avverso la sospensione dell’esecuzione disposta dalla High Court (Alta Corte), ma ha ordinato alla Romania di prestare una garanzia (13).

26.      Con sentenza del 19 febbraio 2020 nella causa Micula c. Romania (in prosieguo: la «sentenza impugnata»), la Supreme Court (Corte Suprema) ha ordinato l’esecuzione del lodo. Fondandosi sull’articolo 351, primo comma, TFUE, la Supreme Court (Corte Suprema) ha concluso che l’esecuzione di detto lodo era disciplinata da un trattato multilaterale, la Convenzione ICSID, stipulato dal Regno Unito prima della sua adesione all’Unione europea e che imponeva al Regno Unito obblighi la cui esecuzione può essere pretesa da paesi terzi che sono parti di tale accordo.

C.      Fase precontenziosa

27.      Il 3 dicembre 2020 la Commissione ha inviato una lettera di diffida al Regno Unito, lamentando quattro violazioni del diritto dell’Unione derivanti dalla sentenza impugnata. Nella sua risposta alla lettera di diffida, datata 1o aprile 2021, il Regno Unito ha contestato le presunte violazioni.

28.      Non essendo persuasa dagli argomenti dedotti nella risposta alla lettera di diffida, il 17 luglio 2021 la Commissione ha inviato un parere motivato al Regno Unito. Con lettera del 23 agosto 2021 il Regno Unito ha chiesto una proroga per rispondere al parere motivato, proroga che la Commissione ha concesso. Il Regno Unito non ha risposto al parere motivato.

IV.    Procedimento dinanzi alla Corte e conclusioni delle parti

29.      Con ricorso depositato il 29 luglio 2022, la Commissione chiede che la Corte voglia:

–        dichiarare che, avendo autorizzato l’esecuzione del lodo arbitrale reso nel caso ICSID n. ARB/05/20, il Regno Unito è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti:

–        ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE, in combinato disposto con l’articolo 127, paragrafo 1, dell’accordo di recesso, avendo statuito sull’interpretazione dell’articolo 351, primo comma, TFUE e sulla sua applicazione all’attuazione del lodo arbitrale, nonostante la stessa questione fosse stata oggetto di decisioni vigenti della Commissione e fosse in procinto di essere decisa dai giudici dell’Unione;

–        ai sensi dell’articolo 351, primo comma, TFUE, in combinato disposto con l’articolo 127, paragrafo 1, dell’accordo di recesso, avendo interpretato e applicato erroneamente le nozioni di «diritti (...) [di] uno o più Stati terzi» e «pregiudicati dai trattati»;

–        ai sensi dell’articolo 267, primo comma, lettere a) e b), e terzo comma, TFUE, in combinato disposto con l’articolo 127, paragrafo 1, dell’accordo di recesso, avendo omesso di sollevare una questione di validità dell’ingiunzione di sospensione del 2014 e della decisione di avvio del 2014, e avendo omesso, in qualità di giudice di ultima istanza, di rivolgere alla Corte una questione di interpretazione del diritto dell’Unione in relazione a un atto che non era un acte clair né un acte éclairé; e

–        ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 3, TFUE, in combinato disposto con l’articolo 127, paragrafo 1, dell’accordo di recesso, avendo ingiunto alla Romania di violare gli obblighi a essa incombenti in forza del diritto dell’Unione, derivanti dall’ingiunzione di sospensione del 2014 e dalla decisione di avvio del 2014; e

–        condannare il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord alle spese.

30.      Il governo del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, dopo aver ricevuto la regolare notifica dell’atto introduttivo del giudizio, non ha presentato un controricorso entro il termine prescritto. Contattato dalla cancelleria della Corte perché accusasse ricezione del ricorso della Commissione, il governo del Regno Unito ha dichiarato di aver ricevuto il ricorso e che, «in tale fase», non intendeva partecipare al procedimento.

31.      Con lettera del 31 ottobre 2022 la Commissione ha chiesto alla Corte di pronunciare una sentenza contumaciale ai sensi dell’articolo 152 del regolamento di procedura della Corte di giustizia (in prosieguo: il «regolamento di procedura»).

32.      A seguito di una lettera della cancelleria della Corte, la Commissione ha informato la Corte che non si sarebbe opposta alla fissazione di un nuovo termine per la presentazione di un controricorso da parte della convenuta. Tuttavia, con lettera del 20 aprile 2023, il governo del Regno Unito ha confermato che non intendeva presentare un controricorso nel caso di specie, nonostante il nuovo termine fissato dalla Corte.

V.      Analisi

33.      Nel caso di specie, la Commissione fa valere quattro distinte violazioni del diritto dell’Unione derivanti dalla sentenza impugnata. Prima di esaminare tali contestazioni (C), vorrei menzionare brevemente alcuni aspetti procedurali che caratterizzano il presente procedimento: la competenza della Corte ai sensi dell’articolo 258 TFUE, in forza dell’accordo di recesso (A), e talune specificità del procedimento nell’ambito del quale la Corte si pronuncia in contumacia (B).

A.      Osservazioni preliminari I: competenza della Corte di giustizia ai sensi dell’articolo 258 TFUE, in forza dell’accordo di recesso

34.      Il 31 gennaio 2020 il Regno Unito è receduto dall’Unione europea e dalla Comunità europea dell’energia atomica. Il 1o febbraio 2020 l’accordo di recesso è entrato in vigore.

35.      L’articolo 2, lettera e) e l’articolo 126 dell’accordo di recesso hanno fissato un periodo di transizione con decorrenza dalla data di entrata in vigore dell’accordo di recesso e termine il 31 dicembre 2020. L’articolo 127 prevedeva che il diritto dell’Unione fosse applicabile al Regno Unito e nel Regno Unito durante il periodo di transizione, salvo che l’accordo di recesso disponesse diversamente.

36.      Tale accordo comprendeva anche talune disposizioni specifiche sul controllo degli aiuti di Stato e sulle relative procedure amministrative presso la Commissione (14), nonché sui procedimenti giudiziari dinanzi ai giudici dell’Unione (15). Tuttavia, nessuna di tali disposizioni dell’accordo stabiliva alcuna deroga al principio sancito dall’articolo 127 dello stesso per quanto riguarda le disposizioni dell’Unione europea (di natura sia sostanziale che procedurale) che sono pertinenti nel presente procedimento.

37.      In particolare, l’articolo 87, paragrafo 1, dell’accordo di recesso prevedeva che «[l]a Commissione europea, quando reputi che il Regno Unito abbia mancato a uno degli obblighi ad esso incombenti in virtù dei trattati (...) prima della fine del periodo di transizione, può adire la Corte di giustizia dell’Unione europea entro quattro anni dalla fine del periodo di transizione nelle modalità stabilite all’articolo 258 TFUE (...). Per tali cause è competente la Corte di giustizia dell’Unione europea».

38.      Da queste disposizioni si possono trarre due conclusioni. In primo luogo, il Regno Unito, quando si sono verificate le presunte violazioni, era vincolato dalle disposizioni dell’Unione che la Commissione invoca nel presente procedimento. In secondo luogo, la Corte è competente a conoscere della presente causa, atteso che: i) la sentenza impugnata è stata pronunciata nel corso del periodo di transizione (il 19 febbraio 2020), e ii) il ricorso della Commissione ai sensi dell’articolo 258 TFUE è stato presentato entro quattro anni dalla fine del periodo di transizione (il 29 luglio 2022).

B.      Osservazioni preliminari II: sentenze contumaciali

39.      Nel presente procedimento, il Regno Unito non ha presentato un controricorso e la Commissione ha quindi chiesto alla Corte di emettere una sentenza contumaciale.

40.      Ai sensi dell’articolo 152, paragrafo 3, del regolamento di procedura, in tali casi, la Corte deve accertare «se il ricorso è ricevibile, se sono state regolarmente adempiute le formalità prescritte e se le conclusioni del ricorrente appaiono fondate».

41.      Nel caso di specie, le formalità prescritte sembrano essere state rispettate. In particolare, come indicato ai paragrafi da 31 a 33 supra, il governo del Regno Unito ha confermato alla cancelleria della Corte che aveva ricevuto il ricorso. Inoltre, non vedo nulla nel ricorso che suggerisca l’esistenza di una qualche irregolarità procedurale che possa incidere sulla ricevibilità del ricorso. Il ricorso della Commissione soddisfa i requisiti di chiarezza e precisione di cui all’articolo 120 del regolamento di procedura e le censure ivi formulate sembrano corrispondere a quelle precedentemente sollevate nella lettera di diffida e nel parere motivato.

42.      Per quanto riguarda la valutazione del merito di un ricorso giudicato in contumacia, vorrei sviluppare due brevi considerazioni, tra loro collegate.

43.      In primo luogo, può essere utile chiarire il livello di prova che la Corte deve applicare quando valuta le conclusioni di un ricorrente. Al riguardo, devo nuovamente richiamare la lettera dell’articolo 152, paragrafo 3, del regolamento di procedura, secondo cui, nei procedimenti in contumacia, la Corte è tenuta a decidere se «le conclusioni del ricorrente appaiono fondate» (16).

44.      A mio avviso, tale disposizione chiarisce che, da un lato, la mancata partecipazione del convenuto al procedimento non comporta automaticamente l’accoglimento, da parte della Corte, delle conclusioni del ricorrente. Come ha affermato l’avvocato generale Mischo, nei procedimenti contumaciali «[n]on possono (...) beneficiare di una qualsiasi presunzione di veridicità le affermazioni della ricorrente» (17). Infatti, la Corte ha costantemente affermato che, nei procedimenti ai sensi degli articoli da 258 a 260 TFUE, «spetta, in ogni caso, alla Corte accertare la sussistenza o meno dell’inadempimento contestato, anche qualora lo Stato membro interessato non lo neghi» (18).

45.      Né il criterio di prova può essere quello utilizzato dalla Corte nell’ambito delle domande di provvedimenti provvisori ai sensi degli articoli 278 e 279 TFUE. Secondo una giurisprudenza consolidata, nei suddetti procedimenti la Corte deve solo accertare l’esistenza del fumus boni iuris, inteso come un motivo «prima facie, non privo di serio fondamento» (19). A mio avviso, la differenza tra un motivo che «appare fondato» e uno che «appare non privo di serio fondamento» non è meramente terminologica. Ai sensi dell’articolo 152, paragrafo 3, è quindi necessario qualche ulteriore elemento.

46.      D’altra parte, tuttavia, il verbo «apparire» indica che il criterio di controllo è relativamente benevolo nei confronti delle conclusioni del ricorrente. La Corte non è tenuta a svolgere un esame completo dei fatti dedotti e degli argomenti giuridici avanzati dal ricorrente, né ci si può aspettare che approfondisca le argomentazioni di fatto e di diritto che il convenuto avrebbe potuto sviluppare, se avesse partecipato al procedimento. Rinunciando al diritto di comparire, il convenuto sceglie di perdere la possibilità, tra l’altro, di produrre prove che possano mettere in dubbio l’esattezza dei fatti dedotti dal ricorrente, o di sollevare argomentazioni difensive che, in linea di principio, spetta al convenuto produrre e comprovare.

47.      Ovviamente, nel valutare le conclusioni del ricorrente, la Corte può considerare accertato un fatto di comune conoscenza o provato dall’esperienza generale (20), e rimane pienamente valido il principio iura novit curia (21). Tuttavia, per il resto, la Corte deve basarsi sulle informazioni contenute nel fascicolo.

48.      Direi che, in un procedimento contumaciale, il ricorrente ha l’onere di dimostrare che le sue conclusioni sono «prima facie, fondate»: se gli argomenti dedotti a sostegno di tali richieste appaiono, senza un’analisi approfondita, ragionevoli in fatto e in diritto e, se del caso, sostenuti da prove adeguate, la Corte deve pronunciarsi a favore del ricorrente senza ulteriori indugi (22).

49.      Tale approccio equilibrato della Corte al livello di prova in forza dell’articolo 152, paragrafo 3, del regolamento di procedura mi sembra il più coerente con i termini di detta disposizione e con la logica stessa del procedimento contumaciale. I procedimenti contumaciali sono un costrutto giuridico che esiste, in forme diverse, nella maggior parte delle giurisdizioni. Per quanto mi consta, tali procedimenti sono di solito di natura sommaria e i giudici sono per lo più tenuti a pronunciarsi a favore dei ricorrenti, benché non in modo acritico o automatico (23).

50.      In fin dei conti, se la Corte effettuasse un’analisi normale e approfondita delle conclusioni dei ricorrenti, sia in diritto che in fatto, la possibilità per i convenuti di chiedere l’annullamento della sentenza contumaciale (24) perderebbe in gran parte la sua ragion d’essere.

51.      Questo mi conduce al prossimo punto.

52.      Sebbene non competa a me giudicare la saggezza della scelta di una parte di non partecipare al procedimento, devo tuttavia sottolineare che l’esercizio, da parte della Corte, del suo compito giurisdizionale può essere reso più difficile da una tale scelta (25). Secondo un vecchio detto inglese, «ci sono sempre due facce della stessa medaglia» (26). Stando così le cose, è un peccato che, in alcuni casi, una delle facce della medaglia non venga mostrata alla Corte, almeno fino a quando non si svolge un eventuale secondo procedimento. La possibilità di presentare una domanda per annullare la sentenza pronunciata in contumacia può offrire l’opportunità di porre rimedio ad alcuni problemi che potrebbero derivare dalla prima sentenza della Corte, ma porta anche a una duplicazione dei procedimenti, che si traduce in una situazione prolungata di incertezza giuridica e in un uso non ottimale delle risorse della Corte (e, eventualmente, delle parti).

53.      Dopo aver affrontato le questioni procedurali di cui sopra, valuterò ora il merito dei quattro motivi della Commissione. Sebbene tali motivi siano strettamente correlati, esaminerò ciascuno di essi separatamente e inserirò riferimenti incrociati a questioni già esaminate nelle presenti conclusioni.

C.      Sul primo motivo: violazione dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE

1.      Argomenti della ricorrente

54.      Con il primo motivo, la Commissione sostiene che il Regno Unito ha violato il principio di leale cooperazione per il fatto che la Supreme Court (Corte Suprema) non ha sospeso il procedimento dinanzi a essa, in attesa della sentenza della Corte di giustizia nel procedimento di impugnazione nella causa European Food.

55.      Secondo la Commissione, dall’obbligo di leale cooperazione sancito dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE discende che, quando un giudice nazionale è investito di una causa che è già oggetto di un’istruttoria della Commissione o di un procedimento dinanzi agli organi giurisdizionali dell’Unione, detto obbligo impone a tale giudice di sospendere il procedimento, salvo che sussista un rischio minimo di conflitto tra la sua sentenza prevista e il probabile atto della Commissione o decisione degli organi giurisdizionali dell’Unione.

56.      Attraverso il procedimento di riconoscimento e di esecuzione che gli investitori hanno avviato nel Regno Unito, la Supreme Court (Corte Suprema) – secondo la Commissione – è stata investita di una questione che richiedeva l’interpretazione delle medesime disposizioni del diritto dell’Unione in relazione alle medesime misure, già decise dalla Commissione e oggetto di procedimenti pendenti dinanzi agli organi giurisdizionali dell’Unione.

57.      Pur essendo consapevole che l’obbligo di leale cooperazione continuava ad applicarsi, la Supreme Court (Corte Suprema) ha deciso di emettere una sentenza definitiva in materia, dando luogo a un rischio di conflitto tra tale sentenza e le attese decisioni della Commissione e/o degli organi giurisdizionali dell’Unione sulla stessa questione.

2.      Valutazione

a)      Principio di leale cooperazione e controllo degli aiuti di Stato.

58.      L’articolo 4, paragrafo 3, TUE stabilisce uno dei principi generali del diritto dell’Unione che costituiscono la spina dorsale del sistema giuridico creato dai trattati dell’Unione: il principio di leale cooperazione. In sostanza, tale principio impone alle istituzioni dell’Unione e a tutte le autorità nazionali, comprese le autorità giurisdizionali degli Stati membri che agiscono nell’ambito delle loro competenze, un obbligo di leale cooperazione (27).

59.      In particolare, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE, gli Stati membri sono tenuti, da un lato, ad «adotta[re] ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell’Unione» e, dall’altro, a «facilita[re] all’Unione l’adempimento dei suoi compiti e [astenersi] da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell’Unione».

60.      Uno dei principali obiettivi dell’Unione europea – che quasi non occorre ricordare – è instaurare un mercato interno (28): uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali (29), in cui la concorrenza tra le imprese non sia falsata (30), né da comportamenti unilaterali e multilaterali delle imprese (31) né dalla concessione di aiuti da parte delle autorità nazionali (32).

61.      Per quanto riguarda le misure di aiuto di Stato, l’articolo 108 TFUE ha istituito un sistema di controllo ex ante ed ex post, in cui alla Commissione è attribuito un ruolo centrale. La Commissione, tra l’altro, «procede (...) all’esame permanente» di tutti i regimi di aiuti esistenti e valuta preventivamente «i progetti diretti a istituire o modificare aiuti» prima che essi vengano attuati. Inoltre, alla Commissione è stata conferita una «competenza esclusiva» per valutare la compatibilità delle misure di aiuto con il mercato interno, soggetta al controllo degli organi giurisdizionali dell’Unione (33).

62.      Detto questo, i giudici nazionali hanno parimenti un ruolo importante da svolgere in questo ambito. Secondo una giurisprudenza consolidata, l’applicazione delle norme dell’Unione in materia di aiuti di Stato si fonda su un obbligo di leale cooperazione tra, da un lato, i giudici nazionali e, dall’altro, la Commissione e gli organi giurisdizionali dell’Unione, nell’ambito della quale ciascuno agisce in funzione del ruolo assegnatogli dal Trattato (34). Il ruolo dei giudici nazionali comprende, in particolare, l’obbligo di tutelare le parti interessate dalla distorsione della concorrenza causata dalla concessione di aiuti illegali (35). Nondimeno, i giudici nazionali devono segnatamente astenersi dall’adottare decisioni contrarie a una decisione della Commissione, anche ove questa abbia carattere provvisorio (36).

63.      In siffatto contesto – a causa della sovrapposizione tra le rispettive competenze e poteri della Commissione, degli organi giurisdizionali dell’Unione e dei giudici nazionali – in casi specifici può talvolta sorgere un rischio di conflitto per quanto riguarda l’interpretazione e l’applicazione delle norme in materia di aiuti di Stato. In particolare, ciò può accadere quando la compatibilità di una misura nazionale con le norme dell’Unione in materia di aiuti di Stato è soggetta a diverse procedure amministrative e/o giudiziarie, che si svolgono parallelamente a livello dell’Unione e a livello nazionale.

64.      Alla luce di ciò, la Corte ha ritenuto che, quando l’esito di una controversia dinanzi al giudice nazionale dipende dalla validità di una decisione della Commissione, dall’obbligo di leale cooperazione discende che il giudice nazionale, al fine di evitare di giungere a una decisione incompatibile con quella della Commissione, dovrebbe sospendere il proprio procedimento fino alla sentenza definitiva sul ricorso di annullamento pendente dinanzi ai giudici dell’Unione. Il suddetto giudice nazionale può tuttavia rifiutarsi di sospendere il procedimento se ritiene che, nelle circostanze del caso, sia giustificato deferire alla Corte una questione pregiudiziale sulla validità della decisione della Commissione, o vi sia un rischio minimo di conflitto tra decisioni amministrative e/o giudiziarie (37).

65.      I principi derivanti da tale giurisprudenza (in prosieguo: la «giurisprudenza Masterfoods») appaiono, a mio avviso, pienamente applicabili nel caso di specie.

b)      Principio di leale cooperazione nella sentenza impugnata

66.      Come ha riconosciuto la Supreme Court (Corte Suprema) nel punto 2 della sentenza impugnata, il caso sottoposto alla sua attenzione era «l’ultimo capitolo dei numerosi tentativi [degli investitori] in diverse giurisdizioni di far valere il loro lodo contro la Romania e dei tentativi della Commissione europea (...) di impedirne l’esecuzione in quanto contrario al diritto dell’Unione che vieta gli aiuti di Stato illegali» (38).

67.      La Supreme Court (Corte Suprema) ha infatti osservato che erano in corso procedimenti di esecuzione in vari altri Stati membri: Francia, Belgio, Lussemburgo e Svezia. Inoltre, in uno di tali Stati (il Belgio), il giudice nazionale competente aveva già sottoposto alla Corte di giustizia tre questioni relative all’esecuzione del lodo e al principio di leale cooperazione (39). Oltre a ciò, aspetto ancora più importante, il procedimento dinanzi alla Supreme Court (Corte Suprema) si svolgeva parallelamente al procedimento dinanzi agli organi giurisdizionali dell’Unione in cui gli investitori avevano contestato la validità della decisione definitiva del 2015 (in prosieguo: il «procedimento European Food») (40).

68.      Consapevole delle conseguenze che avrebbero potuto discendere da tale complesso intreccio di controversie, al punto 56 della sentenza impugnata, la Supreme Court (Corte Suprema) ha affermato che, nelle circostanze del caso di specie, i) essa era «preoccupata per decisioni potenzialmente contraddittorie sulla stessa materia tra le stesse parti»; ii) essa non poteva concludere che «[sussisteva] uno scarso rischio di conflitto» tra tali decisioni; iii) qualora si fosse materializzato il conflitto tra le diverse sentenze, le conseguenze avrebbero costituito «un ostacolo sostanziale al funzionamento del diritto dell’Unione», e iv) l’esistenza di un’impugnazione pendente dinanzi alla Corte era, in linea di principio, «sufficiente per far sorgere l’obbligo di cooperazione».

69.      Ciò nonostante, la Supreme Court (Corte Suprema) ha esaminato il merito del motivo d’impugnazione degli investitori basato sull’articolo 351, primo comma, TFUE. Essa ha iniziato richiamando la giurisprudenza dell’Unione su tale disposizione (41) e, successivamente, discutendo in generale la portata degli obblighi derivanti da convenzioni anteriori ai sensi di tale disposizione (42). La Supreme Court (Corte Suprema) ha poi rivolto la sua attenzione alla questione se l’articolo 351 TFUE fosse applicabile agli obblighi pertinenti del Regno Unito ai sensi della Convenzione ICSID (43), prima di valutare infine se la sua interpretazione della disposizione del Trattato nel caso di cui trattasi avrebbe potuto dar luogo a un rischio di conflitto che imporrebbe la sospensione del procedimento nazionale, in attesa dell’esito del procedimento dinanzi agli organi giurisdizionali dell’Unione (44).

70.      È quest’ultima parte del ragionamento della Supreme Court (Corte Suprema) che la Commissione contesta nel primo motivo del presente ricorso. Nei passaggi finali della sentenza impugnata, la Supreme Court (Corte Suprema) è giunta alla conclusione che, nonostante le sue precedenti conclusioni sull’astratta applicabilità del principio di leale cooperazione, la sospensione del procedimento non fosse comunque necessaria per tre motivi.

71.      In primo luogo, la Supreme Court (Corte Suprema) ha affermato che, in base al diritto dell’Unione, le questioni relative all’esistenza e alla portata degli obblighi derivanti da convenzioni anteriori ai sensi dell’articolo 351, primo comma, TFUE non sono riservate agli organi giurisdizionali dell’Unione. Tali questioni non sono disciplinate dal diritto dell’Unione e – ha proseguito la Supreme Court (Corte Suprema) – la Corte di giustizia non è in una posizione privilegiata per risolverle rispetto a un giudice nazionale.

72.      In secondo luogo, la Supreme Court (Corte Suprema) ha affermato che la questione sollevata dinanzi ad essa dagli investitori ai sensi dell’articolo 351 TFUE non era del tutto identica a quella sollevata davanti agli organi giurisdizionali dell’Unione. Nel procedimento European Food, gli investitori sostenevano, tra l’altro, che l’articolo 351 TFUE conferiva il primato agli obblighi internazionali preesistenti della Romania derivanti dal TBI e dall’articolo 53 della Convenzione ICSID. Nel procedimento nel Regno Unito, invece, la questione giuridica rilevante era l’obbligo del Regno Unito di attuare la Convenzione ICSID e di riconoscere ed eseguire il lodo ai sensi degli articoli 54 e 69 della Convenzione ICSID (45). La Supreme Court (Corte Suprema) ha osservato che quest’ultima era una questione che, in quanto specifica della controversia del Regno Unito, non era stata sollevata dinanzi ai giudici dell’Unione.

73.      In terzo luogo, la Supreme Court (Corte Suprema) ha anche ritenuto remota la possibilità che gli organi giurisdizionali dell’Unione avrebbero affrontato l’applicabilità dell’articolo 351, primo comma, TFUE agli obblighi di cui alla Convenzione ICSID antecedenti l’adesione nel contesto della controversia pendente nel Regno Unito. La sentenza del Tribunale nella causa European Food non aveva affrontato l’interpretazione dell’articolo 351 TFUE e, di conseguenza, l’impugnazione (allora pendente) dinanzi alla Corte di giustizia era limitata alla valutazione di altre questioni. Anche in caso di annullamento della sentenza impugnata e di rinvio al Tribunale per un nuovo esame della causa, secondo la Supreme Court (Corte Suprema) era improbabile che i giudici dell’Unione si sarebbero occupati della questione specifica sollevata nel procedimento del Regno Unito. La Supreme Court (Corte Suprema) ha quindi concluso che, in tali circostanze, non era necessario sospendere il procedimento.

c)      Sospensione del procedimento

74.      Ritengo che le censure della Commissione in merito alla valutazione del principio di leale cooperazione nella sentenza impugnata siano fondate. Trovo che gli argomenti dedotti dalla Supreme Court (Corte Suprema) per evitare la sospensione del procedimento – nonostante il fatto che, come essa stessa aveva riconosciuto, il principio di leale cooperazione continuasse ad applicarsi – non siano convincenti.

1)      Giurisprudenza Masterfoods

75.      In primo luogo, la circostanza che le questioni relative all’esistenza e alla portata degli obblighi derivanti da convenzioni anteriori ai sensi dell’articolo 351, primo comma, TFUE non siano «riservate agli organi giurisdizionali dell’Unione», o che gli organi giurisdizionali dell’Unione non siano «in una posizione privilegiata rispetto a un giudice nazionale per risolverle», è irrilevante ai fini dell’applicazione del principio di leale cooperazione.

76.      La giurisprudenza Masterfoods non si basa sull’idea che l’interpretazione di alcune disposizioni dell’Unione debba essere «riservata» agli organi giurisdizionali dell’Unione. È vero il contrario: tale giurisprudenza si basa proprio sulla premessa che entrambi gli insiemi di organi giurisdizionali sono, salvo eccezioni, competenti e in grado di affrontare le questioni di interpretazione e applicazione del diritto dell’Unione che possono sorgere nei procedimenti intentati dinanzi a essi, anche in materia di concorrenza. Dopo tutto, dall’articolo 19 TUE discende che il giudice nazionale va inteso, per i cittadini che chiedono la tutela dei diritti loro conferiti dal diritto dell’Unione, come giudice dell’Unione di diritto comune (46).

77.      La ratio della giurisprudenza Masterfoods è duplice. Da un lato, essa mira a preservare i poteri esecutivi conferiti alla Commissione in materia di concorrenza (nella fattispecie, di stabilire l’esistenza e la compatibilità di un presunto aiuto) evitando un conflitto di decisioni (amministrative e/o giudiziarie) su questioni giuridiche che sono all’esame della Commissione o che sono state esaminate dalla Commissione e sono al momento oggetto di un controllo giurisdizionale da parte dei giudici dell’Unione. Dall’altro, si intende preservare la competenza esclusiva dei giudici dell’Unione a controllare la validità degli atti giuridici adottati dalle istituzioni dell’Unione, evitando una situazione in cui un giudice nazionale possa emettere una sentenza che, in pratica, implica l’invalidità di uno di tali atti.

78.      Alla luce di ciò, mi sembra che il caso in esame rientri perfettamente nella tipologia di situazioni in cui è applicabile la giurisprudenza Masterfoods (47).

79.      Entrambi i procedimenti, quello dell’Unione e quello del Regno Unito, riguardavano, in linea di massima, la stessa questione (la possibilità per gli investitori di far valere il lodo nell’Unione europea), comportavano l’interpretazione delle medesime disposizioni e dei medesimi principi generali del diritto dell’Unione (in particolare, l’articolo 351 TFUE, gli articoli 107 e 108 TFUE e il principio di leale cooperazione) e incidevano sulla validità e/o sull’efficacia di tre decisioni su aiuti di Stato adottate dalla Commissione (48).

80.      Dalla sentenza impugnata emerge inoltre che la Supreme Court (Corte Suprema) aveva ben chiaro che, se avesse «dato il via libera» all’esecuzione del lodo nel Regno Unito, sia il procedimento amministrativo dinanzi alla Commissione in materia di presunti aiuti di Stato, sia il procedimento di annullamento dinanzi agli organi giurisdizionali dell’Unione avrebbero in gran parte perso la propria ragion d’essere (49).

81.      In tal caso, la circostanza che una determinata questione giuridica sollevata dagli investitori dinanzi ai giudici del Regno Unito fosse o meno oggetto di competenza riservata ai giudici dell’Unione, o che questi ultimi fossero in una posizione privilegiata per decidere, è irrilevante ai fini dell’applicabilità della giurisprudenza Masterfoods.

82.      Il rischio di decisioni contrastanti non sarebbe differente, nelle due situazioni e il potenziale pregiudizio al corretto adempimento dei compiti affidati dagli estensori dei Trattati alla Commissione e ai giudici dell’Unione sussisterebbe in entrambi i casi. Da un lato, la sentenza impugnata ha consentito agli investitori di eseguire il lodo, aggirando così gli «effetti di blocco» derivanti non solo dalla decisione definitiva del 2015, ma anche dalla decisione di avvio del procedimento e dall’ingiunzione di sospensione. Dall’altro, anche l’interpretazione e l’applicazione dell’articolo 351, primo comma, TFUE da parte della Supreme Court (Corte Suprema) divergevano da quelle che erano state propugnate dalla Commissione nella decisione definitiva del 2015 (50). La sentenza impugnata implicava quindi, di fatto, l’illegittimità di tale decisione, in quanto la Commissione non avrebbe rispettato una disposizione di diritto primario dell’Unione. La validità di tale decisione era tuttavia ancora oggetto di controllo da parte degli organi giurisdizionali dell’Unione.

2)      Interpretazione delle convenzioni anteriori e dell’articolo 351 TFUE

83.      In secondo luogo, può essere vero che determinare l’esistenza e la portata degli obblighi di uno Stato membro ai sensi di una determinata convenzione, ai fini dell’articolo 351, primo comma, TFUE, non è una questione disciplinata dal diritto dell’Unione. In linea di principio, non compete alla Corte interpretare le convenzioni internazionali di cui l’Unione europea non è parte.

84.      Tuttavia, determinare il significato e la portata dell’articolo 351, primo comma, TFUE – vale a dire, in particolare, le condizioni in cui tale disposizione consente che una norma di diritto dell’Unione possa essere privata di effetti da una convenzione anteriore – è, chiaramente, una questione di interpretazione del diritto dell’Unione.

85.      Si tratta inoltre di una questione che era stata specificamente sollevata dinanzi alla Supreme Court (Corte Suprema) (51) e che, logicamente, precede qualsiasi indagine sugli effetti di una convenzione internazionale nei confronti di uno Stato membro. È evidente che un giudice non può stabilire con certezza cosa discenda da una determinata disposizione di una convenzione anteriore, a meno che non abbia precedentemente stabilito che detta convenzione (e/o alcune sue disposizioni) rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 351, primo comma, TFUE.

86.      In effetti, la determinazione dell’ambito di applicazione dell’articolo 351, primo comma, TFUE era una questione che la Supreme Court (Corte Suprema) ha dovuto esaminare approfonditamente, prima di iniziare a valutare le conseguenze giuridiche derivanti dalle disposizioni della Convenzione ICSID invocate dagli investitori. Al punto 98 della sentenza impugnata, la Supreme Court (Corte Suprema) ha correttamente affermato che, a tal fine, era necessario esaminare se la convenzione internazionale di cui trattasi imponga allo Stato membro interessato obblighi la cui esecuzione può essere ancora richiesta da Stati terzi che ne sono parti. La Supreme Court (Corte Suprema) ha poi interpretato, ai punti da 98 a 100 della sentenza, l’espressione «obblighi il cui adempimento può essere ancora preteso dagli Stati terzi che sono parti contraenti della convenzione».

87.      Tale espressione – il cui significato preciso era una questione controversa tra le parti – si trova nella giurisprudenza della Corte relativa all’articolo 351, primo comma, TFUE (52), che riguarda «i diritti e gli obblighi derivanti da convenzioni (...) tra uno o più Stati membri da una parte e uno o più Stati terzi dall’altra».

88.      Andrebbe notato, in questo contesto, che il primo comma dell’articolo 351 TFUE non contiene alcun riferimento né alle leggi degli Stati membri né al diritto internazionale. Ne consegue che le nozioni ivi contenute sono nozioni autonome del diritto dell’Unione il cui significato e la cui portata devono essere interpretati in maniera uniforme nel territorio di quest’ultima, tenendo conto non soltanto della lettera di tale disposizione, ma anche del suo scopo e contesto (53). Ciò non significa, ovviamente, che gli estensori dei Trattati dell’Unione abbiano inteso ignorare i principi di diritto internazionale in materia (54). Significa soltanto che le condizioni e i limiti entro i quali gli Stati membri sono autorizzati (ai sensi dei Trattati dell’Unione) a disapplicare le norme dell’Unione per conformarsi a convenzioni anteriori sono stabiliti dal diritto dell’Unione stesso (55).

89.      Al riguardo, andrebbe ricordato che, oltre alle condizioni espressamente stabilite nel primo comma dell’articolo 351 TFUE, il secondo comma della stessa disposizione introduce un obbligo specifico di eliminare i conflitti per il futuro e il terzo comma include il divieto di concedere un trattamento preferenziale a Stati terzi. Inoltre, alcuni limiti alla portata di tale disposizione derivano dalle caratteristiche specifiche dell’ordinamento giuridico dell’Unione. Come ha affermato la Corte nella sentenza Kadi, l’articolo 351 TFUE «non potrebbe infatti in alcun caso consentire di mettere in discussione i principi che fanno parte dei fondamenti stessi dell’ordinamento giuridico [dell’Unione], tra i quali quello della tutela dei diritti fondamentali, che include il controllo, ad opera del giudice [dell’Unione], della legittimità degli atti [dell’Unione]quanto alla loro conformità a tali diritti fondamentali» (56).

90.      Nel caso di specie, la questione centrale su cui la Supreme Court (Corte Suprema) doveva pronunciarsi era, detto semplicemente, in quali circostanze fosse applicabile l’articolo 351, primo comma, TFUE, allorché i) la convenzione anteriore invocata era una convenzione multilaterale, e ii) la controversia appariva puramente interna all’Unione europea, non essendo coinvolto alcuno Stato terzo o cittadino di uno Stato terzo.

91.      Alla luce delle precedenti considerazioni, nella sentenza impugnata la Supreme Court (Corte Suprema) non ha interpretato (e applicato) soltanto una convenzione anteriore, ma anche una disposizione del diritto dell’Unione. Il fatto che, nel caso di specie, le due serie di disposizioni fossero inestricabilmente connesse quanto alla loro interpretazione non può mettere in discussione la competenza della Corte ad affrontare l’aspetto della questione relativo all’Unione.

92.      Quando ciò è necessario per risolvere una controversia che rientra nell’ambito della sua giurisdizione, la Corte deve essere in grado di interpretare incidentalmente le clausole di accordi internazionali, anche quando tali accordi non fanno parte del diritto dell’Unione. Ciò spiega perché, nei ricorsi diretti, la Corte non ha esitato a svolgere tale compito, nella misura necessaria per giudicare la controversia (57).

93.      Al contrario, nei procedimenti pregiudiziali la Corte di solito non ha necessità di interpretare la convenzione internazionale di cui trattasi, poiché tale compito può essere lasciato ai giudici nazionali dello Stato membro interessato (58). Tuttavia, la competenza incidentale della Corte a interpretare una convenzione internazionale di cui l’Unione europea non è parte può sorgere anche nel contesto di un procedimento pregiudiziale (59). Ciò avviene quando, per fornire un’interpretazione del diritto dell’Unione che possa essere utile a un giudice nazionale, la Corte deve considerare il contesto giuridico in cui opera una norma dell’Unione.

94.      Ad esempio, quando, come nel caso in esame, si tratta di stabilire se una determinata convenzione o una clausola di una convenzione possa rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 351, primo comma, TFUE, non si può seriamente sostenere che la Corte può solo fornire un’interpretazione della disposizione dell’Unione a un alto livello di astrazione, non potendo prendere in considerazione le caratteristiche specifiche della convenzione o della clausola di cui trattasi (60).

95.      Inoltre, nel caso di specie vi era un’altra ragione che avrebbe potuto giustificare che la Corte esaminasse, seppur incidentalmente, le disposizioni della Convenzione ICSID invocate dagli investitori: l’interpretazione da dare a tali disposizioni avrebbe avuto un impatto diretto sulla validità e/o sull’efficacia di tre decisioni della Commissione (61).

3)      Differenze nelle questioni giuridiche sollevate nei procedimenti nel Regno Unito e nell’Unione

96.      In terzo luogo, l’affermazione della Supreme Court (Corte Suprema) secondo cui la questione sollevata dagli investitori ai sensi dell’articolo 351 TFUE dinanzi ad essa non era del tutto identica a quella sollevata dinanzi agli organi giurisdizionali dell’Unione è, ancora una volta, nel contempo di scarso significato e, in una certa misura, imprecisa.

97.      In primo luogo, non vedo perché dovrebbe essere importante se, nei vari procedimenti avviati dinanzi ai giudici dell’Unione e nazionali, gli investitori abbiano invocato l’articolo 53 e/o l’articolo 54 della Convenzione ICSID. Entrambe le disposizioni riguardano il riconoscimento e l’esecuzione dei lodi. In sostanza, si tratta di disposizioni rivolte a soggetti diversi, che prevedono rimedi diversi per l’esecuzione dei lodi, al fine di creare un obbligo simmetrico tra Stati e investitori a tale riguardo (62).

98.      Il rischio di creare un «ostacolo sostanziale al funzionamento del diritto dell’Unione» (63) esisteva a prescindere dalla specifica base giuridica invocata dagli investitori nei diversi procedimenti. È la coesistenza di diversi procedimenti amministrativi e giurisdizionali all’interno dell’Unione europea – che riguardavano tutti lo stesso lodo e avevano il comune obiettivo di porre fine agli effetti della decisione definitiva della Commissione del 2015 (annullandola, a livello dell’Unione, ed eludendola, a livello nazionale) – che effettivamente contava ai fini dell’articolo 4, paragrafo 3, TFUE e della giurisprudenza Masterfoods.

99.      Inoltre, la constatazione della Supreme Court (Corte Suprema) in merito alla differenza delle conclusioni degli investitori non è del tutto esatta. La stessa Supreme Court (Corte Suprema) ha riconosciuto che gli investitori avevano effettivamente invocato non solo l’articolo 53 ma anche l’articolo 54 della Convenzione ICSID nel procedimento dinanzi alla Corte dell’Unione europea (64). Lo stesso vale per il procedimento amministrativo dinanzi alla Commissione: di fatto, la decisione definitiva del 2015 fa riferimento a entrambe le disposizioni (65).

100. Analogamente, ugualmente irrilevante per il caso di specie è la circostanza che le questioni relative all’esistenza e alla portata degli obblighi del Regno Unito in forza della Convenzione ICSID non siano state sollevate dinanzi ai giudici dell’Unione europea. Ovviamente, non essendo il Regno Unito coinvolto in alcun modo nel procedimento sugli aiuti di Stato che ha portato alla decisione definitiva del 2015, non vi era motivo di trattare la situazione specifica di tale Stato membro.

101. Ciononostante, per quanto mi risulta, gli obblighi del Regno Unito ai sensi della Convenzione ICSID non sono dissimili da quelli degli altri Stati membri dell’Unione che, ad eccezione della Polonia, sono tutti parti di tale convenzione. Tra essi figurano non solo la Romania (lo Stato membro che ha effettivamente concesso il presunto aiuto), ma anche il Belgio, il Lussemburgo e la Svezia (nei confronti dei quali era in corso un procedimento parallelo). Pertanto, qualsiasi conclusione degli organi giurisdizionali dell’Unione in merito all’applicabilità della Convenzione ICSID, in virtù dell’articolo 351 TFUE, nella controversia pendente dinanzi ad essi (o dinanzi ai giudici nazionali) sarebbe stata applicabile, mutatis mutandis, al procedimento del Regno Unito.

102. È vero che l’applicabilità dell’articolo 351, primo comma, TFUE non rientrava tra le questioni su cui il Tribunale si è pronunciato quando ha annullato la decisione definitiva del 2015 e che, di conseguenza, era stata sollevata nell’impugnazione allora pendente dinanzi alla Corte di giustizia.

103. Tuttavia, ciò non implica che – come ha affermato la Supreme Court (Corte Suprema) – «la prospettiva che [gli organi giurisdizionali dell’Unione] si occupino dell’applicabilità dell’articolo 351 TFUE agli obblighi precedenti l’adesione ai sensi della Convenzione ICSID [fosse] remota» o, in altre parole, che «la possibilità che gli organi giurisdizionali dell’Unione [possano] prendere in considerazione [tale] questione in una fase futura [fosse] tanto aleatoria quanto remota» (66). La stessa Supreme Court (Corte Suprema) ha statuito che l’obbligo di leale cooperazione sorgeva, in linea di principio, per l’«esistenza di un ricorso pendente dinanzi alla Corte di giustizia con una reale prospettiva di successo» (67).

104. Qualora l’impugnazione presentata dalla Commissione fosse stata accolta (ciò che poi è effettivamente avvenuto (68)), la Corte avrebbe potuto rinviare la causa al Tribunale per un nuovo esame, oppure pronunciare una sentenza definitiva in materia. In entrambi i casi, ciò avrebbe comportato la trattazione dei motivi di annullamento degli investitori che non erano stati esaminati nella sentenza annullata dalla Corte (69). Uno di questi motivi riguardava, per l’appunto, l’asserita violazione dell’articolo 351, primo comma, TFUE da parte della Commissione (70).

105. Per contro, qualora la Commissione avesse perso il ricorso, avrebbe dovuto riavviare l’istruttoria sulla presunta misura di aiuto e valutare ex novo gli argomenti degli investitori, compresi quelli basati sull’applicabilità dell’articolo 351, primo comma, TFUE e, in virtù di tale disposizione, della Convenzione ICSID (71). Inutile dire che una conclusione di questo tipo avrebbe potuto essere contestata dagli investitori dinanzi ai giudici dell’Unione.

106. Pertanto, in una qualche fase del procedimento dell’Unione, le argomentazioni degli investitori relative all’applicabilità dell’articolo 351, primo comma, TFUE e della Convenzione ICSID erano destinate a essere espressamente affrontate dai giudici dell’Unione. Rectius, dato che gli investitori avevano espressamente avanzato tali argomentazioni, non era possibile che una decisione della Commissione a loro sfavorevole potesse diventare definitiva senza che i giudici dell’Unione esaminassero tali argomenti.

107. Da ultimo, ma non per importanza, qualora la Supreme Court (Corte Suprema) avesse ritenuto che le specificità del procedimento dinanzi ad essa pendente – relative alla disposizione della Convenzione ICSID invocata dagli investitori e/o alla posizione del Regno Unito nei confronti della Convenzione ICSID – sollevassero questioni rilevanti per la soluzione della controversia e che difficilmente sarebbero state trattate dagli organi giurisdizionali dell’Unione nel procedimento European Food, avrebbe potuto sottoporre questioni pregiudiziali alla Corte ai sensi dell’articolo 267 TFUE. Come spiegato, tali questioni sono state sollevate in relazione all’ambito di applicazione dell’articolo 351, primo comma, TFUE, e rientrano quindi nella competenza della Corte. Segnatamente, l’articolo 86, paragrafo 2, dell’accordo di recesso consentiva di adire la Corte in tali circostanze.

108. In conclusione, la Supreme Court (Corte Suprema) si è pronunciata su questioni di interpretazione del diritto dell’Unione che erano state trattate in una decisione della Commissione la cui validità era oggetto di verifica in un procedimento allora pendente dinanzi ai giudici dell’Unione. Gli argomenti sollevati dagli investitori a questo proposito, sia dinanzi alla Supreme Court (Corte Suprema) sia dinanzi ai giudici dell’Unione, implicavano necessariamente l’invalidità della decisione della Commissione di cui trattasi. Il rischio di decisioni contrastanti (amministrative e/o giudiziarie) sulla stessa materia all’interno dell’Unione europea era reale e concreto. Di conseguenza, rifiutandosi di sospendere il procedimento, come richiesto dalla giurisprudenza Masterfoods, la Supreme Court (Corte Suprema) ha violato l’obbligo di leale cooperazione, sancito dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE. Pertanto, il primo motivo della Commissione appare fondato.

D.      Sul secondo motivo: violazione dell’articolo 351, primo comma, TFUE

1.      Argomenti delle parti

109. Con il secondo motivo, la Commissione sostiene che, avendo dichiarato che il diritto dell’Unione non si applicava all’esecuzione del lodo nel Regno Unito, dal momento che il Regno Unito era tenuto a eseguire il lodo ai sensi dell’articolo 54 della Convenzione ICSID nei confronti di tutti gli altri Stati contraenti della Convenzione ICSID, compresi i Paesi terzi, la sentenza impugnata ha dato luogo a una violazione dell’articolo 351, primo comma, TFUE.

110. La Commissione sostiene che, nel caso di specie, non era applicabile l’articolo 351, primo comma, TFUE e che la Supreme Court (Corte Suprema), statuendo in senso diverso, ha indebitamente esteso l’ambito di applicazione di tale disposizione. Secondo la Commissione, tale conclusione deriva da un’interpretazione errata di due espressioni contenute nell’articolo 351 TFUE, che sono entrambe nozioni autonome del diritto dell’Unione: «diritti [di] uno o più Stati terzi» e «[i] trattati non pregiudicano».

111. In primo luogo, la Commissione sostiene che non erano coinvolti «diritti [di] uno o più Paesi terzi» in relazione all’obbligo del Regno Unito di eseguire il lodo ai sensi dell’articolo 54 della Convenzione ICSID, poiché il caso in esame riguardava solo gli Stati membri dell’Unione. In secondo luogo, la Commissione sostiene che le disposizioni dei trattati «non [pregiudicavano]» nessun obbligo del Regno Unito ai sensi della Convenzione ICSID nella misura in cui le disposizioni pertinenti di tale convenzione potevano essere interpretate in modo da evitare qualsiasi conflitto con le norme pertinenti dei trattati dell’Unione.

2.      Valutazione

112. Per le ragioni che saranno illustrate di seguito, ritengo che il secondo motivo della Commissione debba essere respinto.

a)      Se uno Stato membro possa violare larticolo 351, primo comma, TFUE

113. Nella sua risposta alla lettera di diffida, il governo del Regno Unito ha contestato l’accusa della Commissione di violazione dell’articolo 351, primo comma, TFUE, rinviando alla formulazione di tale disposizione, che sembra non imporre alcun obbligo agli Stati membri.

114. In via preliminare, può essere utile ricordare che l’articolo 351, primo comma, TFUE introduce una norma per disciplinare gli eventuali conflitti derivanti dall’applicazione concomitante di due normative (72): da un lato, i trattati dell’Unione e, dall’altro, le convenzioni anteriori. Tale disposizione riflette principi di diritto internazionale di lunga data relativi all’applicazione di trattati successivi e agli effetti dei trattati nei confronti di Stati terzi, quali pacta sunt servanda, pacta tertiis nec nocent nec prosunt e res inter alios acta (73). Si tratta di principi codificati nella CVDT (74), il cui valore nell’ordinamento giuridico dell’Unione è stato costantemente riconosciuto dalla Corte (75).

115.  L’articolo 351, primo comma, TFUE ha pertanto lo scopo di precisare, conformemente ai principi di diritto internazionale, che l’applicazione dei trattati dell’Unione non pregiudica l’impegno assunto dagli Stati membri di rispettare i diritti degli Stati terzi derivanti da convenzioni anteriori, e di adempiere gli obblighi che ne derivano (76). Di conseguenza, quando sono soddisfatte le condizioni pertinenti, gli Stati membri sono autorizzati a disapplicare le norme dell’Unione, nella misura in cui ciò è necessario per conformarsi a convenzioni anteriori (77).

116. Ciò premesso, la Corte ha dichiarato che la regola sancita all’articolo 351, primo comma, TFUE «non conseguirebbe il suo scopo se non implicasse l’obbligo delle istituzioni [dell’Unione] di non ostacolare l’adempimento degli impegni degli Stati membri derivanti da una convenzione anteriore» (78). Se è così, è corretto affermare che tale disposizione implica un obbligo per le istituzioni dell’Unione.

117. È vero che si potrebbe interpretare l’articolo 351, primo comma, TFUE nel senso che esso prevede anche, sebbene implicitamente, un obbligo per gli Stati membri, il quale potrebbe essere considerato come l’«immagine speculare» di quello delle istituzioni dell’Unione: di non ostacolare l’applicazione del diritto dell’Unione, qualora non siano soddisfatte le condizioni di cui all’articolo 351, primo comma, TFUE. In altre parole, agli Stati membri sarebbe preclusa la possibilità di far prevalere le disposizioni di convenzioni anteriori sulle norme dell’Unione in conflitto, in situazioni che non rientrano nell’ambito di applicazione di tale disposizione del Trattato. Tale lettura «bidirezionale» della disposizione potrebbe forse essere giustificata dal fatto che l’articolo 351 TFUE è spesso considerato come una manifestazione, in questo settore, del principio di leale cooperazione (79): un principio che, come si è visto, impone sia alle istituzioni dell’Unione sia agli Stati membri di agire in buona fede.

118. Tuttavia, la rilevanza e, per così dire, il valore aggiunto di un siffatto obbligo appaiono prossimi allo zero. In parole semplici, l’obbligo di cui all’articolo 351, primo comma, TFUE sarebbe, per gli Stati membri, semplicemente quello di rispettare il diritto dell’Unione quando l’eccezione ivi prevista è inapplicabile: un’ovvietà. Di fatto, una violazione autonoma dell’articolo 351, primo comma, TFUE non potrebbe sussistere: una siffatta violazione deriverebbe, automaticamente e implicitamente, dalla violazione di un’altra norma del diritto dell’Unione.

119. Soprattutto, la lettura che la Commissione dà della disposizione è difficilmente compatibile con la ratio e la lettera dell’articolo 351, primo comma, TFUE (80). Tale disposizione è, fondamentalmente, una norma che prevede una facoltà, che consente agli Stati membri di disapplicare il diritto dell’Unione in determinate circostanze. In quanto tale, ha una funzione di «scudo», ossia di una possibile difesa che può essere sollevata da uno Stato membro accusato di violare una norma dell’Unione. Per contro, a differenza dei commi secondo e terzo della stessa disposizione – che, come spiegato in precedenza, stabiliscono alcuni obblighi specifici per gli Stati membri – non vedo come l’articolo 351, primo comma, TFUE possa essere utilizzato come una «spada» nel contesto di una procedura di infrazione (81).

120. In conclusione, ritengo che l’articolo 351, primo comma, TFUE non possa costituire il fondamento di una domanda nell’ambito di un procedimento ai sensi dell’articolo 258 TFUE e che, di conseguenza, il secondo motivo della Commissione debba essere respinto.

121. Tuttavia, qualora la Corte non concordasse con me sulla valutazione di tale questione preliminare, e dati gli evidenti legami tra la questione sollevata dalla Commissione nel suo secondo motivo e quelle sollevate negli altri tre motivi, spiegherò in ogni caso perché ritengo che la Supreme Court (Corte Suprema) abbia commesso un errore nell’interpretazione dell’articolo 351, primo comma, TFUE.

b)      Ambito di applicazione dellarticolo 351, primo comma, TFUE

122. Secondo la formulazione dell’articolo 351, primo comma, TFUE, affinché tale disposizione si applichi devono essere soddisfatte due condizioni: i) che si tratti di una convenzione conclusa anteriormente all’entrata in vigore dell’allora Trattato CEE o alla data dell’adesione di uno Stato membro e ii) che un paese terzo tragga da essa diritti di cui può chiedere il rispetto da parte dello Stato membro interessato (82).

123. Nella sentenza impugnata, la Supreme Court (Corte Suprema) ha ritenuto soddisfatte tali condizioni in quanto: (i) la Convenzione ICSID è, per quanto riguarda il Regno Unito, una «convenzione anteriore» ai sensi dell’articolo 351, primo comma, TFUE, e (ii) il Regno Unito era tenuto ad adempiere gli obblighi derivanti dall’articolo 54 della Convenzione ICSID nei confronti di tutti gli altri Stati contraenti. Essa ha quindi concluso che gli investitori potevano legittimamente invocare la disposizione dell’Unione per chiedere ai giudici del Regno Unito l’esecuzione del lodo.

124. Sono certamente d’accordo per quanto riguarda la prima condizione: il Regno Unito ha ratificato la Convenzione ICSID nel 1966, cioè anteriormente alla sua adesione alle Comunità nel 1973 (83).

125. Al contrario, per diverse ragioni, non sono persuaso dalle conclusioni della Supreme Court (Corte Suprema) riguardo alla seconda condizione.

126. Per spiegare il mio parere, cercherò innanzitutto di fornire un po’ di chiarezza sull’ambito di applicazione dell’articolo 351, primo comma, TFUE, un argomento che, invero, potrebbe non essere del tutto chiaro sulla base della giurisprudenza esistente. Al riguardo, ritengo ragionevole iniziare l’analisi esaminando lo scopo e la formulazione della disposizione.

1)      Scopo e formulazione dell’articolo 351, primo comma, TFUE

127. Lo scopo immediato dell’articolo 351, primo comma, TFUE è quello di far salvi i diritti fra gli Stati terzi (84), consentendo agli Stati membri di conformarsi a convenzioni anteriori, qualora esse siano incompatibili con le norme dell’Unione (85), senza che ciò comporti una violazione del diritto dell’Unione (86). Lo scopo generale di tale disposizione è, tuttavia, quello di proteggere gli Stati membri dal commettere, a seguito di obblighi successivamente assunti ai sensi del diritto dell’Unione, un atto illecito che comporti la loro responsabilità internazionale ai sensi delle norme di diritto internazionale pubblico, che potrebbe essere invocata da Stati terzi.

128. In effetti, la Corte ha dichiarato che l’articolo 351, primo comma, TFUE non si applica quando i diritti di paesi terzi non vengono pregiudicati (87). Di conseguenza, tale disposizione non può essere validamente invocata nel caso di convenzioni stipulate unicamente tra Stati membri (88), e nel caso di convenzioni stipulate con Stati terzi se invocate nelle relazioni tra Stati membri (89). Come sottolineato in dottrina, la Corte ha sempre sostenuto il principio secondo cui l’articolo 351 TFUE non può essere applicato nelle relazioni interne all’Unione (90).

129. Per questo motivo la Corte ha chiarito, fin dalla prima giurisprudenza, che l’espressione «i diritti e gli obblighi derivanti da convenzioni concluse», di cui all’articolo 351, primo comma, TFUE, deve essere intesa come riferita ai diritti di Stati terzi e agli obblighi degli Stati membri (91). Gli Stati membri non possono far valere alcun «diritto» derivante da convenzioni anteriori (92).

130. Esiste un legame indissolubile tra questi due elementi. Solo se uno Stato terzo ha un diritto che può essere fatto valere nei confronti di uno Stato membro, il diritto dell’Unione consente (ma non impone (93)) a quest’ultimo di osservare i «relativi obblighi» (94). In effetti, quando una convenzione anteriore consente a uno Stato membro di adottare un provvedimento contrario al diritto dell’Unione, senza tuttavia obbligarlo in tal senso, l’articolo 351, primo comma, TFUE non esonera tale Stato membro dall’obbligo di conformarsi alle norme dell’Unione in materia (95). Allo stesso modo, la Corte ha ritenuto che l’articolo 351, primo comma, TFUE non possa applicarsi quando uno Stato terzo ha espresso il desiderio che la precedente convenzione prenda fine (96). A mio avviso, lo stesso deve valere nei confronti di uno Stato terzo che abbia espressamente acconsentito al mancato rispetto della convenzione precedente o abbia rinunciato ai propri diritti (97).

131. L’identificazione della correlazione fra diritto dello Stato terzo e obbligo dello Stato membro è pertanto fondamentale per stabilire l’applicabilità, in un determinato caso, dell’articolo 351, primo comma, TFUE.

132. A questo punto, sembra importante operare una distinzione tra diversi tipi di convenzioni.

133. Per quanto riguarda gli accordi bilaterali – ossia gli accordi tra uno Stato membro e uno Stato terzo – stabilire l’esistenza di un diritto specifico di uno Stato terzo e del relativo obbligo di uno Stato membro, ai sensi dell’articolo 351, primo comma, TFUE, non dovrebbe di norma comportare problemi di rilievo.

134. Per contro, quando si tratta di convenzioni multilaterali – ossia convenzioni di cui sono parte uno o più Stati membri insieme a uno o più Stati terzi – la situazione potrebbe non essere sempre semplice. È infatti possibile che sorgano questioni relative all’applicazione dell’articolo 351, primo comma, TFUE in situazioni interne all’Unione in cui, come nel caso in esame, sono direttamente coinvolti solo due o più Stati membri (98). In tal caso, in quali circostanze si applica l’articolo 351, primo comma, TFUE?

135.  Al riguardo, condivido l’opinione della Commissione secondo cui, ai sensi dell’articolo 351, primo comma, TFUE, si deve distinguere tra convenzioni multilaterali che contengono obblighi di natura collettiva e convenzioni multilaterali che contengono obblighi di natura bilaterale o reciproca (99).

136. Nella prima categoria di convenzioni, l’inadempimento da parte di una parte contraente di un obbligo previsto dalla convenzione può pregiudicare il godimento da parte degli altri contraenti dei diritti loro spettanti in virtù della convenzione o mettere a repentaglio la realizzazione dello scopo della convenzione (100). In tali casi, gli obblighi derivanti sono dovuti nei confronti di un gruppo di Stati (erga omnes partes) o della comunità internazionale nel suo complesso (erga omnes). In siffatti casi, l’articolo 351, primo comma, TFUE potrebbe essere applicabile, e quindi invocato, per contestare la validità di un atto dell’Unione, anche in controversie che coinvolgono solo attori dell’Unione (101). Tali situazioni, in realtà, possono essere puramente interne all’Unione a livello fattuale, ma non esserlo a livello giuridico.

137. Al contrario, nella seconda categoria di convenzioni, l’inadempimento da parte di uno Stato contraente di un obbligo previsto dalla convenzione anteriore riguarderà di norma solo uno o più Stati contraenti specifici: quelli interessati dalla situazione di cui trattasi. In tali casi, non vi è pregiudizio per il godimento dei diritti detenuti da altri Stati contraenti in forza della convenzione (102). Stando così le cose, ne consegue che, in detti casi, quando gli Stati contraenti interessati dall’inadempimento di uno Stato membro sono altri Stati membri, l’articolo 351, primo comma, TFUE non si applica. Poiché non entra in gioco alcun diritto di uno Stato terzo, non occorre escludere l’applicazione del diritto dell’Unione al fine di evitare la conseguente responsabilità internazionale di uno Stato membro.

138.  Vorrei aggiungere, in tale contesto, che ancora una volta concordo con la Commissione quando sostiene che il mero interesse di fatto (in contrapposizione all’interesse giuridico) degli Stati contraenti a garantire che tutti gli altri Stati contraenti si conformino a una convenzione multilaterale non è sufficiente a determinare l’applicazione dell’articolo 351, primo comma, TFUE (103). Il testo di tale disposizione fa riferimento a «diritti», un termine che è stato costantemente richiamato anche nella giurisprudenza della Corte in materia (104).

2)      Una disposizione con conseguenze di vasta portata e un campo di applicazione generale, ma non eccessivamente ampio.

139. Come correttamente statuito dalla Supreme Court (Corte Suprema), l’articolo 351 TFUE ha un campo di applicazione generale: esso si applica a qualsiasi convenzione internazionale, indipendentemente dal suo oggetto, che possa incidere sull’applicazione dei trattati dell’Unione (105).

140. Tuttavia, ciò non significa che l’eccezione di cui al primo comma abbia un campo di applicazione ampio. Va ricordato che l’articolo 351, primo comma, TFUE deroga al principio del primato, uno dei pilastri centrali su cui si fonda l’ordinamento giuridico dell’Unione. Quando le condizioni sono soddisfatte, salvo circostanze eccezionali (106), qualsiasi disposizione di una convenzione anteriore può prevalere su qualsiasi disposizione contrastante del diritto dell’Unione, ivi compreso il diritto primario (107). Ciò è vero indipendentemente dalle ripercussioni che la mancata applicazione di tali norme dell’Unione possono avere sui diritti e sugli interessi degli altri Stati membri e sul corretto funzionamento dell’Unione europea stessa.

141. Date le conseguenze potenzialmente dirompenti che derivano dall’applicazione di detta disposizione, il principio interpretativo secondo cui le eccezioni devono essere interpretate restrittivamente affinché le regole generali non vengano svuotate del loro contenuto, è ovviamente di particolare rilevanza in questo contesto (108).

142. Alla luce delle considerazioni che precedono, mi accingo ora a esaminare i passaggi pertinenti della sentenza impugnata.

c)      Articolo 351, primo comma, TFUE nella sentenza impugnata

143. Nel caso di specie, il punto cruciale della questione era – come affermato dalla Supreme Court (Corte Suprema) (109) – stabilire se la convenzione anteriore in questione imponesse allo Stato membro interessato obblighi la cui esecuzione poteva ancora essere pretesa dagli Stati terzi che ne erano parte. Nella sentenza impugnata, la Supreme Court (Corte Suprema) ha effettuato tale valutazione esaminando l’obbligo di uno Stato membro (il Regno Unito) di eseguire il lodo in forza di una convenzione internazionale (la Convenzione ICSID).

144. Trovo che l’approccio seguito dalla Supreme Court (Corte Suprema) al riguardo sia problematico sotto tre aspetti.

145. In primo luogo, l’analisi della Supreme Court (Corte Suprema), incentrata quasi esclusivamente sugli obblighi del Regno Unito ai sensi dell’articolo 54 della Convenzione ICSID, non ha individuato alcun diritto corrispondente degli Stati terzi.

146. Come si è detto, l’importanza del nesso tra questi due elementi, ai fini dell’articolo 351, primo comma, TFUE, può difficilmente essere sopravvalutata. Tale disposizione richiede infatti che un paese terzo, parte della convenzione, tragga da essa diritti di cui può pretendere il rispetto da parte dello Stato membro interessato.

147. Non si tratta, quindi, di una questione su cui si possa sorvolare. Ad esempio, nell’ipotesi in cui i giudici del Regno Unito avessero rifiutato di eseguire il lodo di cui trattasi (110), sarebbe ciascuno Stato terzo aderente alla Convenzione ICSID (attualmente ben oltre 150) in grado di invocare la responsabilità internazionale del Regno Unito per tale rifiuto e di agire contro tale Stato, attraverso le procedure previste dal diritto internazionale (111), per ottenere la cessazione dell’atto illecito e/o il risarcimento del danno causato? Tale questione, nonostante la sua importanza, non è stata affrontata nella sentenza impugnata.

148. In secondo luogo, mi sembra che il criterio applicato dalla Supreme Court (Corte Suprema) per identificare un obbligo nei confronti di uno Stato terzo fosse alquanto debole. Intendo dire che i requisiti affinché un obbligo derivante da una convenzione internazionale possa essere considerato collettivo (in questo caso, erga omnes partes), e non bilaterale o reciproco, sembrano facilmente soddisfatti in base al ragionamento seguito dalla Supreme Court (Corte Suprema).

149. Nella sentenza impugnata non mancano certo i riferimenti a fonti internazionali e accademiche ma, a un esame più attento, nessuno di questi sembra specifico o risolutivo in materia. Ad eccezione di due dichiarazioni (112), tutte le altre fonti sono piuttosto vaghe sul punto e le conclusioni della Supreme Court (Corte Suprema) sono tratte da un significato implicito (113). Direi che queste fonti sembrano, per lo più, riferirsi all’esistenza di un interesse di carattere generale delle parti contraenti della Convenzione ICSID a che la stessa sia rispettata in ogni circostanza (114). Tuttavia, come già detto, ciò non è sufficiente a determinare l’applicazione dell’articolo 351, primo comma, TFUE.

150. In terzo luogo, pur comprendendo che la questione principale sottoposta alla Supreme Court (Corte Suprema) riguardava gli effetti della Convenzione ICSID nei confronti del Regno Unito (in parole semplici, «se il Regno Unito sia tenuto a eseguire il lodo in base a tale convenzione»), detta questione non poteva essere esaminata in «isolamento clinico» dal contesto della controversia.

151. La situazione di diritto e di fatto della controversia era, in realtà, piuttosto complessa: essa riguardava tre diversi Stati (Regno Unito, Romania e Svezia) e due diversi convenzioni internazionali (il TBI e Convenzione ICSID).

152. Il lodo concedeva un risarcimento agli investitori in quanto, secondo il tribunale arbitrale, la Romania aveva violato i termini del TBI non garantendo un trattamento giusto ed equo, il rispetto delle legittime aspettative degli investitori e un’azione trasparente (115). È stato quindi il TBI a stabilire gli obblighi sostanziali che la Romania aveva assunto nei confronti della Svezia. Inoltre, era ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 6, del TBI che la Romania era tenuta, nei confronti dalla Svezia, a versare l’indennizzo concesso ai cittadini svedesi interessati (116).

153. In sostanza, limitando la sua valutazione a un’unica questione procedurale derivante dalla controversia ed espungendo dall’equazione una convenzione internazionale, la Supreme Court (Corte Suprema) ha perso di vista il rapporto giuridico di base che ha dato origine alla controversia: quello tra la Romania, da un lato, e la Svezia e i suoi cittadini, dall’altro.

154. Secondo l’interpretazione dell’articolo 351, primo comma, TFUE adottata dalla Supreme Court (Corte Suprema), alcune situazioni puramente interne all’Unione europea – atteso che sono coinvolti solo Stati membri e loro cittadini, non solo di fatto ma anche di diritto – sarebbero disciplinate dalle disposizioni di convenzioni internazionali precedenti, nonostante esse rientrino nel campo di applicazione dei trattati dell’Unione e siano in conflitto con alcune norme dell’Unione. A mio avviso, ciò risulterebbe incoerente con la formulazione dell’articolo 351, primo comma, TFUE e non sarebbe necessario per conseguire lo scopo del medesimo. Inoltre, ciò non sarebbe neanche in linea con la giurisprudenza sviluppata precedentemente, che ne ha escluso l’applicazione nelle relazioni puramente interne all’Unione.

155. Questa lettura estensiva dell’articolo 351, primo comma, TFUE creerebbe inoltre, in varie circostanze, una via, relativamente facile per i singoli, per eludere il carattere vincolante delle norme dell’Unione (117). Al riguardo, non va tralasciato il fatto che l’articolo 351 TFUE è, innanzitutto, una disposizione che riguarda i rapporti tra Stati. Come rilevato dalla Corte, si tratta di una disposizione neutra che non può avere l’effetto di modificare la natura dei diritti eventualmente derivanti da convenzioni anteriori. Da ciò consegue che «detta disposizione non ha l’effetto di attribuire, ai singoli che invochino [una convenzione anteriore], (…) diritti che i giudici nazionali degli Stati membri debbono tutelare. Essa non ha nemmeno l’effetto di comprimere i diritti che i singoli possono trarre dalla convenzione stessa» (118).

156. Pertanto, il fatto che alcuni soggetti (come gli investitori) abbiano un diritto in virtù di una convenzione anteriore è, per lo più, irrilevante ai fini dell’applicazione dell’articolo 351, primo comma, TFUE. I singoli possono beneficiare di tale disposizione soltanto per via indiretta, nella misura in cui essi possono dimostrare che una disposizione o una misura dell’Unione impone a uno Stato membro di violare un obbligo ad esso incombente nei confronti uno Stato terzo in virtù di una convenzione anteriore, che potrebbe determinare la responsabilità internazionale di tale Stato membro.

157. In conclusione, ritengo che, nella sentenza impugnata, la Supreme Court (Corte Suprema) abbia interpretato e applicato erroneamente l’articolo 351, primo comma, TFUE, attribuendo a detta disposizione un campo di applicazione eccessivamente ampio. In particolare, essa ha interpretato erroneamente la nozione «i diritti e gli obblighi derivanti da convenzioni», non valutando correttamente come tale nozione debba essere esaminata nel contesto delle convenzioni multilaterali, in particolare quando non sono coinvolti Stati o cittadini terzi.

158. Ciò detto, per le ragioni esposte ai precedenti paragrafi da 114 a 121, il secondo motivo della Commissione deve essere respinto.

E.      Sul terzo motivo: violazione dell’articolo 267 TFUE

1.      Argomenti delle parti

159. Con il terzo motivo, la Commissione sostiene che la pronuncia della sentenza impugnata da parte della Supreme Court (Corte Suprema), senza adire la Corte di giustizia in via pregiudiziale, ha dato luogo a una violazione dell’articolo 267 TFUE sotto due profili.

160. La Commissione sostiene che, omettendo di sollevare una questione pregiudiziale sulla validità della decisione di avvio e dell’ingiunzione di sospensione, la Supreme Court (Corte Suprema) ha violato l’obbligo di cui all’articolo 267 TFUE, primo comma, lettera b). La Commissione afferma che l’effetto della sentenza impugnata è quello di rendere inoperanti tali decisioni. Pertanto, rifiutandosi di dare esecuzione a tali decisioni – che imponevano di rispettare l’obbligo di sospensione, impedendo il pagamento degli aiuti in questione – la Supreme Court (Corte Suprema) ha agito come se tali atti fossero invalidi.

161. Inoltre, la Commissione sostiene che, omettendo di sollevare una questione relativa all’interpretazione dell’articolo 351, primo comma, TFUE, la Supreme Court (Corte Suprema), in quanto organo giurisdizionale di ultima istanza, ha violato l’obbligo previsto dall’articolo 267 TFUE, terzo comma. Nella sentenza impugnata, la Supreme Court (Corte Suprema) doveva interpretare nozioni del diritto dell’Unione che non erano state sufficientemente trattate dalla giurisprudenza dell’Unione.

2.      Valutazione

162. Inizierò la mia valutazione del presente motivo con il secondo argomento avanzato dalla Commissione.

163. In via preliminare, non sembra necessario ricordare che, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, la Supreme Court (Corte Suprema) è «un organo giurisdizionale nazionale, avverso le cui decisioni non [può] proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno». Pertanto, tale organo giurisdizionale è, in linea di principio, tenuto a effettuare un rinvio pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE, quando, per emettere una sentenza, deve risolvere una questione di interpretazione di una disposizione dell’Unione.

164. Tuttavia, secondo una giurisprudenza consolidata, nonostante l’obbligo di rinvio previsto dall’articolo 267 TFUE, il giudice di ultima istanza può astenersi dall’effettuare detto rinvio in due tipi di circostanze.

165. In primo luogo, il rinvio non è giustificato nelle cosiddette situazioni di «acte clair»: qualora l’interpretazione corretta del diritto dell’Unione s’imponga con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi quanto alla soluzione da dare alla questione sollevata. Al riguardo, la Corte ha aggiunto che, prima di concludere che l’interpretazione di una disposizione non lascia adito a ragionevoli dubbi, l’organo giurisdizionale nazionale di ultima istanza deve, tuttavia, maturare il convincimento che la stessa evidenza si imporrebbe altresì ai giudici di ultima istanza degli altri Stati membri e alla Corte (119).

166. In secondo luogo, l’obbligo di rinvio viene meno nelle cosiddette situazioni di acte éclairé: quando la questione sollevata sia materialmente identica ad altra questione, sollevata in relazione ad analoga fattispecie, che sia già stata decisa in via pregiudiziale oppure qualora il punto di diritto di cui trattasi sia stato risolto dalla costante giurisprudenza della Corte, indipendentemente dalla natura dei procedimenti da cui essa ha tratto origine, anche in mancanza di una stretta identità delle questioni controverse (120).

167. Più in generale, la Corte ha affermato che la questione dell’esistenza di una possibilità, per un organo giurisdizionale di ultima istanza, di astenersi dal rinvio «va valutata in funzione delle caratteristiche proprie del diritto dell’Unione, delle particolari difficoltà che la sua interpretazione presenta e del rischio di divergenze giurisprudenziali in seno all’Unione» (121).

168. Ho spiegato supra perché, a mio avviso, nel caso di specie la Supreme Court (Corte Suprema) ha interpretato erroneamente l’articolo 351, primo comma, TFUE. Tuttavia, il semplice fatto che un organo giurisdizionale di ultima istanza abbia commesso un errore di interpretazione di una disposizione del diritto dell’Unione, senza effettuare un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia ai sensi dell’articolo 267 TFUE, non significa che esso abbia necessariamente attuato in violazione del suo obbligo di rinvio. Si tratta, tutt’al più, di un indizio del fatto che potrebbe essere così.

169. Nel caso di specie, tuttavia, vari altri elementi indicano che né la lettera della disposizione stessa, né la giurisprudenza della Corte hanno fornito una risposta ovvia alle questioni interpretative che la Supreme Court (Corte Suprema) si è trovata ad affrontare.

170. In primo luogo, è evidente che la formulazione relativamente concisa dell’articolo 351, primo comma, TFUE non fornisce indicazioni univoche in merito alle questioni interpretative che erano state sollevate dinanzi alla Supreme Court (Corte Suprema). Come sottolineato dalla Commissione, le parti erano in netto disaccordo su tali questioni. Mi sembra che entrambe le parti abbiano presentato argomentazioni che, almeno a prima vista, non potevano essere respinte come manifestamente infondate.

171. In secondo luogo, le decisioni degli organi giurisdizionali dell’Unione relative all’articolo 351, primo comma, TFUE, citate dalle parti e prese in considerazione dalla Supreme Court (Corte Suprema), erano limitate sia per numero che per rilevanza. In particolare, nessuna di tali decisioni aveva affrontato, in modo esplicito e diretto, le questioni che erano dirimenti nel caso di specie. Infatti, la motivazione della sentenza impugnata mostra che l’interpretazione adottata dalla Supreme Court (Corte Suprema) è stata costruita mettendo insieme (se così si può dire) «spezzoni» di diverse sentenze della Corte. Inoltre, da tale motivazione emerge anche che alcuni «spezzoni» di altre sentenze della Corte avrebbero potuto suggerire un’altra lettura dell’articolo 351, primo comma, TFUE (122).

172. In terzo luogo, è difficile capire anche come si potesse concludere con certezza che l’interpretazione dell’articolo 351, primo comma, TFUE adottata dalla Supreme Court (Corte Suprema) si sarebbe probabilmente «imposta con la stessa evidenza» agli organi giurisdizionali dell’Unione e ai giudici di ultima istanza degli altri Stati membri. La Supreme Court (Corte Suprema) era consapevole del fatto che le argomentazioni basate sull’articolo 351 TFUE e sulla Convenzione ICSID erano state dedotte non solo dinanzi ai giudici dell’Unione, ma anche nei procedimenti nazionali in corso. Il numero stesso di tali procedimenti e il fatto che fossero pendenti dinanzi a giudici di diverse giurisdizioni avrebbe dovuto rendere la Supreme Court (Corte Suprema), quanto meno, particolarmente cauta a tale riguardo.

173. Inoltre, la Supreme Court (Corte Suprema) era stata informata dalla Commissione che un giudice nazionale – il Nacka Tingsrätt (Tribunale locale di Nacka, Svezia) – aveva emesso una sentenza in cui aveva respinto le conclusioni degli investitori basate sull’articolo 351, primo comma, TFUE, seguendo un’interpretazione di quest’ultimo che era in contrasto con quella da ultimo sottoscritta dalla Supreme Court (Corte Suprema). Esisteva pertanto un rischio concreto ed effettivo di opinioni divergenti sul significato e sulla portata dell’articolo 351, primo comma, TFUE, e quindi di decisioni giudiziarie contrastanti al riguardo.

174. A tale proposito, devo ricordare che la Corte ha costantemente affermato che, quando l’esistenza di orientamenti giurisprudenziali divergenti – in seno agli organi giurisdizionali di un medesimo Stato membro o tra organi giurisdizionali di Stati membri diversi – relativi all’interpretazione di una disposizione del diritto dell’Unione applicabile alla controversia di cui al procedimento principale è portata a conoscenza del giudice nazionale di ultima istanza, esso deve prestare particolare attenzione nella sua valutazione riguardo a un’eventuale assenza di ragionevole dubbio quanto all’interpretazione corretta della disposizione dell’Unione di cui trattasi e tenere conto, segnatamente, dell’obiettivo perseguito dalla procedura pregiudiziale che è quello di assicurare l’unità di interpretazione del diritto dell’Unione (123).

175. In quarto luogo, sembra la Supreme Court (Corte Suprema) non abbia tenuto conto della rilevanza costituzionale della questione giuridica su cui ha deciso di pronunciarsi o del possibile impatto che la sua decisione potrebbe avere sull’ordinamento giuridico dell’Unione nel suo complesso. Come si è detto, l’articolo 351, primo comma, TFUE costituisce una limitazione pressoché indeterminata all’operatività del principio del primato del diritto dell’Unione. Alla luce dell’importanza di tale principio per l’ordinamento giuridico dell’Unione, alla Supreme Court (Corte Suprema) non poteva sfuggire la conseguenza di una lettura estensiva di tale disposizione del Trattato.

176. Inoltre, osservo che, a differenza della Supreme Court (Corte Suprema), sia la High Court (Alta Corte) che la Court of Appeal (Corte d’Appello) si erano rifiutate di valutare l’applicazione dell’articolo 351, primo comma, TFUE, in quanto si trattava di una questione sollevata nel procedimento European Food dinanzi agli organi giurisdizionali dell’Unione, e che poteva quindi comportare il rischio di sentenze contrastanti in materia (124).

177. Di conseguenza, ritengo che, statuendo sul merito della conclusione degli investitori, fondata sull’articolo 351, primo comma, TFUE, la Supreme Court (Corte Suprema) abbia ignorato i) le «caratteristiche proprie del diritto dell’Unione» e ii) «il rischio di divergenze giurisprudenziali in seno all’Unione». Si tratta di elementi che, in linea con la giurisprudenza supra citata, i giudici nazionali di ultima istanza sono tenuti a prendere in considerazione nel valutare se, in una situazione specifica, abbiano l’obbligo di effettuare un rinvio pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE.

178. In quinto e ultimo luogo, ritengo che, date le circostanze della fattispecie, il mancato rinvio della Supreme Court (Corte Suprema) ai sensi dell’articolo 267 TFUE sia una decisione che esula dal margine di manovra che deve necessariamente essere riconosciuto nei confronti di organi che esercitano funzioni giurisdizionali. Gli elementi esaminati nelle presenti conclusioni mostrano un caso giuridicamente complesso, aggravato dalla coesistenza di diversi procedimenti amministrativi e giudiziari in tutta l’Unione europea, in cui le questioni centrali riguardavano l’applicazione di varie norme e principi dell’Unione. In particolare, l’interpretazione dell’articolo 351, primo comma, TFUE non costituiva una questione accessoria o secondaria – cosa che avrebbe potuto suggerire il ricorso all’economia giudiziaria – ma una questione che «tocca il nucleo stesso della presente controversia» (125).

179. Inoltre, non vedo alcun elemento concreto che possa suggerire l’esistenza di ragioni particolari per le quali il caso dovesse essere trattato con urgenza. Né si può ritenere che il mancato rinvio pregiudiziale della Supreme Court (Corte Suprema) sia il risultato di un errore minore, come può accadere, ad esempio, nel caso in cui una questione giuridica non sia stata sollevata dalle parti o non sia stata pienamente discussa tra di esse. Alcune delle parti in causa avevano infatti invitato più volte la Supreme Court (Corte Suprema) a sottoporre alla Corte una questione sulla corretta interpretazione dell’articolo 351, primo comma, TFUE.

180. Pertanto, ritengo che, alla luce delle circostanze del caso di specie, la Supreme Court (Corte Suprema) non avrebbe potuto concludere in modo plausibile che, a causa del suo tenore letterale e/o della giurisprudenza esistente dell’Unione, i) l’interpretazione da dare all’articolo 351, primo comma, TFUE non lasciava adito ad alcun ragionevole dubbio e ii) l’interpretazione adottata si sarebbe imposta con la stessa evidenza ai giudici dell’Unione e ai giudici di ultima istanza degli altri Stati membri. Di conseguenza, avendo omesso di sottoporre alla Corte di giustizia questioni relative all’interpretazione dell’articolo 351, primo comma, TFUE, la Supreme Court (Corte Suprema) è venuta meno all’obbligo che ad essa incombe ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE.

181. In tali circostanze, ritengo che il terzo motivo sia fondato, senza che occorra analizzare l’altra censura espressa dalla Commissione (126).

F.      Sul quarto motivo: violazione dell’articolo 108, paragrafo 3, TFUE

1.      Argomenti delle parti

182. Con il quarto motivo la Commissione sostiene che il Regno Unito ha violato l’articolo 108, paragrafo 3, TFUE.

183. La Commissione sottolinea che, con la revoca della sospensione dell’esecuzione del lodo, che era stata disposta dai giudici del Regno Unito investiti della causa nei precedenti gradi del giudizio, tale lodo è diventato esecutivo. La sentenza della Supreme Court (Corte Suprema) ha quindi avuto l’effetto di rendere esigibili gli importi stabiliti nel lodo. Siffatto effetto – sostiene la Commissione – è in diretta contraddizione con l’obbligo di sospensione previsto dall’articolo 108, paragrafo 3, TFUE.

184. La Commissione aggiunge che la Supreme Court (Corte Suprema) ha altresì ignorato la giurisprudenza consolidata secondo cui il divieto di concedere aiuti di Stato non debitamente autorizzati può essere invocato per impedire l’esecuzione di sentenze definitive dei giudici nazionali che sarebbero in diretta contraddizione con l’obbligo di sospensione (127).

2.      Valutazione

185. Sebbene gli argomenti giuridici della Commissione appaiano, in linea di principio, validi, ritengo che questo motivo debba essere respinto.

186. In base all’articolo 108, paragrafo 3, TFUE, gli Stati membri hanno l’obbligo, da un lato, di notificare alla Commissione ogni misura volta ad istituire o modificare un aiuto e, dall’altro, di non dare esecuzione a una tale misura, prima che la suddetta istituzione abbia adottato una decisione definitiva su detta misura. Tale duplice obbligo (di notifica e di sospensione) è volto a garantire che gli effetti dell’aiuto non si producano prima che la Commissione abbia avuto a disposizione un ragionevole spatium deliberandi ai fini di un approfondito esame del progetto e per l’eventuale avvio del procedimento di indagine formale. L’obiettivo finale è, ovviamente, quello di prevenire la possibilità che ai beneficiari vengano concessi aiuti incompatibili (128).

187. Nel caso di specie, la misura in questione (il pagamento da parte della Romania del risarcimento concesso agli investitori in base al lodo (129)) era già stata esaminata dalla Commissione e ritenuta un aiuto di Stato incompatibile, nella decisione definitiva del 2015.

188. È vero che la decisione finale della Commissione, quando la Supreme Court (Corte Suprema) ha emesso la sentenza impugnata, era stata annullata dal Tribunale. Tuttavia, era già pendente dinanzi alla Corte un’impugnazione avverso la sentenza del Tribunale.

189. Inoltre, il procedimento di annullamento dinanzi ai giudici dell’Unione non riguardava la legittimità della decisione di avvio e/o dell’ingiunzione di sospensione. Vale la pena sottolineare che la legittimità della decisione di avvio non era stata contestata dagli investitori, nonostante ciò fosse in linea di principio possibile (130). A sua volta, la legittimità dell’ingiunzione di sospensione era stata inizialmente contestata dagli investitori, ma il loro ricorso è stato successivamente ritirato (131).

190. In siffatto contesto, occorre ricordare che gli atti di istituzioni dell’Unione si presumono, in linea di principio, legittimi e producono pertanto effetti giuridici, finché non siano stati revocati o annullati nel contesto di un ricorso per annullamento ovvero dichiarati invalidi a seguito di un rinvio pregiudiziale o di un’eccezione di illegittimità (132).

191. Inoltre, la sentenza del Tribunale non può essere letta nel senso che, sia pur implicitamente, la decisione di avvio e l’ingiunzione di sospensione erano anch’esse illegittime. Secondo una giurisprudenza consolidata, l’annullamento di un atto dell’Unione non incide necessariamente sugli atti preparatori e, in linea di principio, il procedimento diretto a sostituire l’atto annullato può ripartire dal punto preciso in cui l’illegittimità si è verificata (133).

192. Nel caso di specie, il motivo per cui il Tribunale ha annullato la decisione definitiva del 2015 era inerente specificamente alla decisione oggetto di riesame (134). Un siffatto errore della Commissione, anche se fosse stato confermato dalla Corte in sede di impugnazione, non avrebbe inficiato la legittimità delle decisioni della Commissione adottate in una fase precedente del procedimento. La conseguenza per la Commissione sarebbe stata infatti quella di dover riavviare l’indagine approfondita sul presunto aiuto, per poi adottare una nuova decisione di chiusura del procedimento, che doveva essere coerente con le conclusioni degli organi giurisdizionali dell’Unione.

193. Di conseguenza, a prescindere dallo status della decisione definitiva del 2015, poiché la decisione di avvio e l’ingiunzione di sospensione erano atti in vigore e producevano effetti giuridici, l’obbligo di sospensione per il presunto aiuto era ancora efficace (135).

194. A questo proposito, è opportuno ricordare che, secondo una giurisprudenza consolidata, il divieto di erogare gli aiuti previsti di cui all’ultima frase dell’articolo 108, paragrafo 3, TFUE, ha effetto diretto e, pertanto, ad esso può essere immediatamente data esecuzione (136), anche da parte dei giudici nazionali (137). Di conseguenza, un giudice nazionale non può, senza incorrere in una violazione dell’articolo 108, paragrafo 3, TFUE, ordinare il pagamento di aiuti che non sono stati notificati alla Commissione, la cui compatibilità con il mercato interno è in corso di esame da parte della Commissione o, peggio, che sono già stati giudicati incompatibili con il mercato interno. Una siffatta richiesta dovrebbe, in linea di principio, essere rigettata (138).

195. Pertanto, con la revoca della sospensione dell’esecuzione del lodo, la conseguenza inevitabile della sentenza impugnata è stata che la Romania è divenuta, in linea di principio, obbligata a versare il presunto aiuto, in violazione della clausola sospensiva. Appare probabile che una situazione siffatta comporti una violazione dell’articolo 108, paragrafo 3, TFEU.

196. È vero che – come ha sottolineato il Regno Unito nella risposta alla lettera di diffida della Commissione – l’articolo 108, paragrafo 3, TFUE prevede un obbligo che, in linea di principio, incombe allo Stato membro che concede il presunto aiuto (139). Tuttavia, come giustamente osservato dalla Commissione, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE, gli Stati membri sono tenuti a prestarsi assistenza reciproca per agevolare l’osservanza del diritto dell’Unione e ad astenersi dall’adottare misure che possano ostacolare o mettere a repentaglio tale osservanza (140).

197. Di conseguenza, condivido l’opinione della Commissione secondo cui il Regno Unito può essere considerato responsabile di una violazione dell’articolo 108, paragrafo 3 TFUE, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3, TUE, se è una delle sue misure a determinare una violazione dell’obbligo di sospensione nei confronti di una presunta misura di aiuto.

198. Ciò premesso, devo rilevare che, nel caso di specie, la Commissione non ha fornito alcuna informazione sulle modalità e i tempi con cui l’esecuzione del lodo nel Regno Unito, resa possibile dalla sentenza impugnata, abbia portato a un effettivo pagamento delle somme ivi indicate.

199. Ricordo, al riguardo, che nelle procedure di infrazione spetta alla Commissione provare l’asserito inadempimento e presentare alla Corte tutte le informazioni necessarie a tal fine, senza che la Commissione si possa basare su alcuna presunzione (141). Inoltre, secondo una giurisprudenza consolidata, la procedura di infrazione può essere utilizzata solo contro violazioni effettive del diritto dell’Unione. Al contrario, non possono essere accettate semplici deduzioni di potenziali violazioni future o di un rischio in tal senso (142).

200. Pertanto, pur concordando con la Commissione sul fatto che appare che la sentenza impugnata sia, in linea di principio, atta a comportare una violazione dell’obbligo di sospensione di cui all’articolo 108, paragrafo 3, TFUE, che potrebbe essere imputata al Regno Unito, non vedo alcuna prova dell’esistenza di una siffatta violazione.

201. Per tale ragione, a mio avviso, il quarto motivo della Commissione non appare fondato.

VI.    Sulle spese

202. A norma dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte giustizia, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

203. Di conseguenza, dato che la Commissione ha presentato domanda di condanna alle spese e il suo ricorso è stato in gran parte accolto, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord deve essere condannato alle spese.

VII. Conclusione

204. Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo che la Corte di giustizia voglia:

–        dichiarare che, poiché, con sentenza del 19 febbraio 2020 nella causa Micula/Romania, la Supreme Court (Corte Suprema) si è rifiutata di sospendere il procedimento e si è pronunciata sull’interpretazione dell’articolo 351, paragrafo 1, TFUE, nonostante la stessa questione fosse stata oggetto di decisioni esistenti della Commissione e fosse in attesa di decisione dinanzi ai giudici dell’Unione, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord ha violato l’articolo 4, paragrafo 3, TUE, in combinato disposto con l’articolo 127, paragrafo 1, dell’accordo di recesso;

–        dichiarare che, poiché la Supreme Court (Corte Suprema), in qualità di giudice di ultima istanza, ha omesso di sottoporre alla Corte di giustizia una questione pregiudiziale per l’interpretazione del diritto dell’Unione che non era un acte clair né un acte éclairé, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord ha violato l’articolo 267, terzo comma, TFUE, in combinato disposto con l’articolo 127, paragrafo 1, dell’accordo di recesso;

–        respingere il ricorso quanto al resto;

–        condannare il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord a farsi carico delle spese del presente procedimento.


1      Lingua originale: l’inglese.


2      Mertens de Wilmars, J., Verougstraete, I.M., «Proceedings against Member States for failure to fulfil their obligations» Common Market Law Review, Vol. 7, Fascicolo 4, 1970, pagg. 389 e 390. Analogamente, alcuni anni dopo, conclusioni presentate dall’avvocato generale Warner nella causa Bouchereau (30/77, EU:C:1977:141, pag. 2020).


3      V., di recente, sentenza del 28 gennaio 2020, Commissione/Italia (Direttiva Lotta contro i ritardi di pagamento) (C‑122/18, EU:C:2020:41, punto 55 e giurisprudenza ivi citata).


4      V, in particolare, sentenze del 12 novembre 2009, Commissione/Spagna (C‑154/08, EU:C:2009:695), e del 4 ottobre 2018, Commissione/Francia (Précompte mobilier) (C‑416/17, EU:C:2018:811). V. altresì parere 1/09 (Creazione di un sistema unico di risoluzione delle controversie in materia di brevetti) dell’8 marzo 2011 (EU:C:2011:123, punto 87).


5      Un punto sottolineato dalla Corte in diverse occasioni e con il quale concordo pienamente. V., ad esempio, sentenze del 9 dicembre 2003, Commissione/Italia (C‑129/00, EU:C:2003:656, punto 32), e del 7 giugno 2007, Commissione/Grecia (C‑156/04, EU:C:2007:316, punto 52).


6      Tali convenzioni internazionali saranno in seguito denominate «convenzioni anteriori».


7      In prosieguo: l’«accordo di recesso» (GU 2020, L 29, pag. 7).


8      T‑624/15, T‑694/15 e T‑704/15, EU:T:2019:423.


9      Sentenza nella causa Commissione/European Food e a. (C‑638/19, UE:C:2022:50).


10      Sentenza del 6 marzo 2018, C‑284/16, EU:C:2018:158. In tale sentenza, la Corte ha ritenuto che una clausola compromissoria contenuta in un trattato bilaterale di investimento tra Paesi Bassi e Slovacchia fosse incompatibile con il diritto dell’Unione.


11      C‑333/19, EU:C:2022:749.


12      [2017] EWHC 31 (Comm).


13      [2018] EWCA 1801.


14      V., in particolare, articoli da 92 a 95 dell’accordo di recesso.


15      V., in particolare, articoli da 86 a 91 dell’accordo di recesso.


16      Il corsivo è mio.


17      Conclusioni presentate nella causa Portogallo/Commissione (C‑365/99, EU:C:2001:184, paragrafo 16).


18      V., tra le altre, sentenza del 28 marzo 2019, Commissione/Irlanda (Sistema di raccolta e trattamento delle acque reflue) (C‑427/17, EU:C:2019:269, punto 43 e giurisprudenza ivi citata).


19      V., ad esempio, ordinanza dell’8 aprile 2020, Commissione/Polonia (C‑791/19 R, EU:C:2020:277, punto 52 e giurisprudenza ivi citata). Il corsivo è mio.


20      V., in tal senso, sentenze del 20 marzo 2014, Commissione/Polonia (C‑639/11, EU:C:2014:173, punto 57), e del 20 marzo 2014, Commissione/Lituania (C‑61/12, EU:C:2014:172, punto 62).


21      Con riferimento a tale principio, v., ad esempio, sentenza del 20 gennaio 2021, Commissione/Printeos (C‑301/19 P, EU:C:2021:39, punto 54).


22      V., in tal senso, sentenze del 21 settembre 1989, Commissione/Grecia (68/88, EU:C:1989:339, punto 9), e del 1o ottobre 1998, Commissione/Italia (C‑285/96, EU:C:1998:453, punto 13).


23      Per un quadro comparativo e storico di questa procedura: v., ad esempio, Guyomar, G., Le Défaut des parties à un différend devant les juridictions internationales, Librairie Générale de Droit et de Jurisprudence, Parigi, 1960; e U.S. Supreme Court (Corte Suprema degli Stati Uniti), 30 marzo 1885, Thomson and Others v. Wooster, 114 U.S. 104 (1885).


24      Articolo 41 dello Statuto della Corte e articolo 156, paragrafo 1, del regolamento di procedura.


25      Analogamente, conclusioni presentate dall’avvocato generale Mischo nella causa Portogallo/Commissione (C‑365/99, EU:C:2001:184, paragrafo 17).


26      Tale proverbio deriverebbe dalla favola «La mula» dell’antico scrittore greco Esopo (620‑564 a.C.).


27      V., al riguardo, sentenza del 22 ottobre 2002, Roquette Frères (C‑94/00, EU:C:2002:603, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).


28      Articolo 3, paragrafo 3, primo comma, TUE.


29      Articolo 26, paragrafo 1, TFUE.


30      Protocollo (n. 27) sul mercato interno e sulla concorrenza.


31      Articoli da 101 a 106 TFUE.


32      Articoli da 107 a 109 TFUE.


33      V., in particolare, sentenza del 18 luglio 2007, Lucchini (C‑119/05, EU:C:2007:434, punto 52 e giurisprudenza ivi citata).


34      V., in particolare, sentenza del 21 novembre 2013, Deutsche Lufthansa (C‑284/12, EU:C:2013:755, punto 41). V. altresì, in tal senso, sentenza del 23 gennaio 2019, Fallimento Traghetti del Mediterraneo (C‑387/17, EU:C:2019:51, punto 54 e giurisprudenza ivi citata).


35      V. sentenza del 21 novembre 2013, Deutsche Lufthansa (C‑284/12, EU:C:2013:755, punti da 28 a 31 e giurisprudenza ivi citata).


36      Ibidem, punto 41.


37      V., in tal senso, sentenze del 25 luglio 2018, Georgsmarienhütte e a. (C‑135/16, EU:C:2018:582, punto 24) e, per analogia, del 14 dicembre 2000, Masterfoods e HB (C‑344/98, EU:C:2000:689, punto 57).


38      Il corsivo è mio.


39      Punto 25 della sentenza impugnata. Per la decisione della Corte in tale causa, v. ordinanza del 21 settembre 2022, Romatsa e a. (C‑333/19, EU:C:2022:749).


40      V. supra, paragrafi 21 e 22 delle presenti conclusioni.


41      Punto 97 della sentenza impugnata.


42      Punti da 98 a 100 della sentenza impugnata.


43      Punti da 101 a 108 della sentenza impugnata.


44      Punti da 109 a 117 della sentenza impugnata.


45      Per quanto riguarda gli articoli 53 e 54 della Convenzione ICSID, v. paragrafi 13 e 14 delle presenti conclusioni. L’articolo 69 della suddetta Convenzione si limita a stabilire che «[c]iascuno Stato contraente adotta le misure legislative o di altro tipo necessarie per dare effetto, nel proprio territorio, alle disposizioni della presente Convenzione».


46      Analogamente, conclusioni presentate dall’avvocato generale Léger nella causa Köbler (C‑224/01, EU:C:2003:207, paragrafo 66).


47      Mi risulta che ciò sia stato parimenti concluso, nel procedimento del Regno Unito, dalla High Court (Alta Corte) e dalla Court of Appeal (Corte d’Appello) a tale riguardo (v. punto 42 della sentenza impugnata).


48      V., in particolare, punto 56 della sentenza impugnata.


49      V. punti 2, 51, 52, 56 e 116 della sentenza impugnata.


50      V., in particolare, considerando 44 e da 126 a 129 della decisione definitiva del 2015. Nella decisione di avvio anche la Commissione aveva scartato l’applicazione dell’articolo 351, primo comma, TFUE.


51      V., in particolare, punto 100 della sentenza impugnata.


52      Aggiungo incidentalmente che nessuna espressione simile si trova nelle fonti internazionali più pertinenti, come la Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati (in prosieguo: la «CVDT») e il Progetto, della Commissione di diritto internazionale, di articoli sulla responsabilità dello Stato per fatti illeciti internazionali (in prosieguo: il «Progetto di articoli»).


53      V., in tal senso, sentenza del 22 giugno 2021, Venezuela/Consiglio (Incidenza su di uno stato terzo) (C‑872/19 P, EU:C:2021:507, punto 42 e giurisprudenza ivi citata).


54      V., infra, paragrafo 114 delle presenti conclusioni.


55      Non sono quindi del tutto d’accordo con l’avvocato generale Mischo quando, nelle conclusioni presentate nella causa Commissione/Portogallo (C‑62/98 e C‑84/98, EU:C:1999:509, paragrafo 56), ha affermato che il primo comma dell’articolo 351 TFUE non ha «altra portata che quella declaratoria».


56      Sentenza del 3 settembre 2008, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione, C‑402/05 P e C‑415/05 P, EU:C:2008:461, punto 304). V., altresì, conclusioni presentate dall’avvocato generale Poiares Maduro in tale causa (EU:C:2008:11, paragrafi 30 e 31). V. altresì, più in generale, sentenza del 2 settembre 2021, Repubblica di Moldova (C‑741/19, EU:C:2021:655, punto 42).


57      V., tra l’altro, sentenze del 6 aprile 1995, RTE e ITP/Commissione (C‑241/91 P e C‑242/91 P, EU:C:1995:98), e del 15 settembre 2011, Commissione/Slovacchia (C‑264/09, EU:C:2011:580).


58      Come nelle sentenze, richiamate dalla Supreme Court (Corte Suprema), del 2 agosto 1993, Levy (C‑158/91, EU:C:1993:332), e del 28 marzo 1995, Evans Medical e Macfarlan Smith (C‑324/93, EU:C:1995:84).


59      Ciò discende molto chiaramente dalla sentenza del 18 novembre 2003, Budějovický Budvar (C‑216/01, EU:C:2003:618, punti 134 e 143). V. altresì, per analogia, sentenza del 27 novembre 1973, Vandeveghe e a. (130/73, EU:C:1973:131, punti 2 e 3).


60      Su tale argomento, in dottrina, v. Klabbers, J., Treaty Conflict and the European Union, Cambridge University Press, 2009, pagg. da 142 a 148; Manzini, P., «The Priority of Pre‐Existing Treaties of EC Member States within the Framework of International Law», European Journal of International Law, 2001, pagg. da 785 a 788; e Schermers, H.G., Annotation of Case 812/79 Attorney General (of Ireland) v Burgoa, Common Market Law Review, 1981, pagg. 229 e 230.


61      V. supra, paragrafo 82 delle presenti conclusioni, e infra, paragrafo 193, delle presenti conclusioni. In generale, su questo tema, v. conclusioni presentate dall’avvocato generale Capotorti nella causa Burgoa (812/79, EU:C:1980:196, pag. 2817) e conclusioni presentate dall’avvocato generale Lenz nella causa Evans Medical e Macfarlan Smith (C‑324/93, EU:C:1994:357, paragrafo 42).


62      V., con riferimento alle decisioni dei pertinenti organi internazionali, Alexandrov, S.A., «Enforcement of ICSID Awards: Articles 53 and 54 of the ICSID Convention», in Binder C., e a. (a cura di), International Investment Law for the 21st Century: Essays in Honour of Christoph Schreuer, Oxford University Press, 2009, pag. 328.


63      Per usare l’espressione stessa della Supreme Court (Corte Suprema) al punto 56 della sentenza impugnata.


64      V. punto 113 della sentenza impugnata.


65      V. considerando 45 della decisione definitiva del 2015.


66      Rispettivamente, punti 114 e 117 della sentenza impugnata.


67      Punto 56 della sentenza impugnata. Il corsivo è mio.


68      V. supra, paragrafo 22 delle presenti conclusioni.


69      Come giustamente osservato al punto 114 della sentenza impugnata.


70      Sentenza del 18 giugno 2019, European Food e a./Commissione (T‑624/15, T‑694/15 e T‑704/15, EU:T:2019: 423, punto 58).


71      V., ad esempio, considerando da 64 a 66 della decisione definitiva del 2015.


72      Analogamente, conclusioni presentate dall’avvocato generale Jääskinen nella causa Commissione/Slovacchia (C‑264/09, EU:C:2011:150, paragrafo 48).


73      Analogamente, conclusioni presentate dall’avvocato generale Lagrange nella causa Commissione/Italia (10/61, non pubblicate, EU:C:1961:26, pag. 25).


74      V., al riguardo, articolo 26, articolo 30, paragrafo 4, lettera b) e articoli da 34 a 36 della CVDT.


75      Ad esempio, per quanto riguarda il collegamento tra l’articolo 351 TFUE e l’articolo 30, paragrafo 4, lettera b), della CVDT, v. sentenza del 9 febbraio 2012, Luksan (C‑277/10, EU:C:2012:65, punto 61 e giurisprudenza ivi citata).


76      V., tra l’altro, sentenza del 14 gennaio 1997, Centro-Com (C‑124/95, EU:C:1997:8, punto 56 e giurisprudenza ivi citata).


77      V., in tal senso, sentenza del 3 febbraio 1994, Minne (C‑13/93, EU:C:1994:39, punto 17).


78      Sentenza del 14 ottobre 1980, Burgoa (812/79, EU:C:1980:231, punto 9).


79      V., in tal senso, conclusioni presentate dall’avvocato generale Tizzano nella causa Commissione/Regno Unito (C‑466/98, EU:C:2002:63, paragrafo 38). In dottrina, v. Koutrakos, P., «International agreements concluded by Member States prior to their EU accession: Burgoa», in Butler, G., Wessel, R. (a cura di), EU External Relations Law, 2022, Hart Publishing, Oxford, pag. 137.


80      V., più in dettaglio, infra, paragrafi 127 e seg. delle presenti conclusioni.


81      Mutatis mutandis, sarebbe come ritenere che uno Stato membro che introduca una misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa che non soddisfa le condizioni per essere giustificata ai sensi dell’articolo 36 TFUE violi tale disposizione, e non il divieto (generale) di restrizioni quantitative di cui all’articolo 34 TFUE.


82      V., in tal senso, sentenza del 10 marzo 1998, T. Port (C‑364/95 e C‑365/95, EU:C:1998:95, punto 61).


83      V., analogamente, sentenza del 5 novembre 2002, Commissione/Regno Unito (C‑466/98, EU:C:2002:624, punto 25).


84      V., in tal senso, sentenza del 13 luglio 1966, Consten e Grundig/Commissione (56/64 e 58/64, EU:C:1966:41, pag. 461).


85      V., in tal senso, sentenza del 12 febbraio 2009, Commissione/Grecia (C‑45/07, EU:C:2009:81, punto 35).


86      V., a tal fine, tra l’altro, parere 2/15 (accordo di libero scambio con Singapore) del 16 maggio 2017 (EU:C:2017:376, punto 254).


87      V., ad esempio, sentenza del 22 settembre 1988, Deserbais (286/86, EU:C:1998:434, punto 18), e conclusioni presentate dall’avvocato generale Tesauro nella causa Levy (C‑158/91, EU:C:1992:411, paragrafo 4).


88      V., tra l’altro, sentenze del 27 febbraio 1962, Commissione/Italia (10/61, EU:C:1962:2, pag. 10), e del 27 settembre 1988, Matteucci (235/87, EU:C:1988:460, punto 21).


89      V. sentenze dell’11 marzo 1986, Conegate (121/85, EU:C:1986:114, punto 25), e del 2 luglio 1996, Commissione/Lussemburgo (C‑473/93, EU:C:1996:263, punto 40).


90      Eeckhout, P., EU external relations law, 2a ed., Oxford University Press, 2011, pag. 426.


91      Sentenza del 27 febbraio 1962, Commissione/Italia (10/61, EU:C:1962:2, pag. 10).


92      V. sentenza del 2 luglio 1996, Commissione/Lussemburgo (C‑473/93, EU:C:1996:263, punto 40).


93      V., in tal senso, sentenza del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a. (C‑366/10, EU:C:2011:864, punto 61).


94      V., tra l’altro, sentenze del 2 agosto 1993, Levy (C‑158/91, EU:C:1993:332, punto 12), e del 10 marzo 1998, T. Port (C‑364/95 e C‑365/95, EU:C:1998:95, punto 60). Il corsivo è mio.


95      V. sentenza del 14 gennaio 1997, Centro-Com (C‑124/95, EU:C:1997:8, punto 60 e giurisprudenza ivi citata).


96      V., in tal senso, parere 2/15 (Accordo di libero scambio con Singapore) del 16 maggio 2017 (EU:C:2017:376, punto 254).


97      V., al riguardo, articoli 20 e 45 del Progetto di articoli.


98      Ovviamente, nel caso di specie, la situazione coinvolge anche uno Stato terzo (il Regno Unito) che, tuttavia, all’epoca dei fatti doveva essere considerato, per quanto riguarda la disposizione pertinente del diritto dell’Unione, nella stessa posizione degli Stati membri.


99      Ai fini delle presenti conclusioni non è necessario addentrarsi in questo settore (certamente complesso) del diritto internazionale, poiché la distinzione di base qui utilizzata è ben accettata nelle fonti giuridiche internazionali. V., tra l’altro, sentenza della Corte Internazionale di giustizia del 5 febbraio 1970, Barcelona Traction, Light and Power Company, Limited (Belgio c. Spagna), I.C.J. Reports 1970, pag. 3, punti 33 e 35; nonché articolo 33 (e punto 2 del relativo commento), articolo 42 (e punto 8 del relativo commento) e articolo 48 (e punto 8 del relativo commento) del Progetto di articoli. Per riferimenti a tale distinzione nella giurisprudenza dell’Unione, v. conclusioni presentate dall’avvocato generale Warner nella causa Henn e Darby (34/79, EU:C:1979:246, pag. 3833); conclusioni dell’avvocato generale Tesauro nella causa Levy (C‑158/91, EU:C:1992:411, paragrafo 5); conclusioni presentate dall’avvocato generale Lenz nella causa Evans Medical e Macfarlan Smith (C‑324/93, EU:C:1994:357, paragrafo 33); e conclusioni presentate dall’avvocato generale Szpunar nella causa Repubblica di Moldova (C‑741/19, EU:C:2021:164, paragrafo 42). Naturalmente, alcune convenzioni possono contenere clausole di entrambe le categorie e, in tali casi, l’interprete deve quindi esaminare la natura di ciascuna clausola.


100      Le convenzioni sui diritti umani sono spesso citate come esempio.


101      Analogamente, in dottrina, Mastroianni, R., Commento all’articolo 351 TFUE, in Tizzano, A. (a cura di), Trattati dell’Unione Europea, 2a edizione, 2014, pag. 2545.


102      Gli accordi per la protezione degli investimenti offrono un buon esempio in tal senso.


103      V., al riguardo, commenti all’articolo 42 (in particolare punto 9) e all’articolo 48 (in particolare punto 2) del Progetto di articoli.


104      V., tra molte, sentenze del 22 settembre 1988, Deserbais (286/86, EU:C:1988:434, punto 18); del 6 aprile 1995, RTE e ITP/Commissione (C‑241/91 P e C‑242/91 P, EU:C:1995:98, punto 84); del 10 marzo 1998, T. Port (C‑364/95 e C‑365/95, EU:C:1998:95, punto 60), e del 18 novembre 2003, Budějovický Budvar (C‑216/01, EU:C:2003:618, punto 148).


105      Punto 97 della sentenza impugnata, che richiama la sentenza del 2 agosto 1993, Levy (C‑158/91, EU:C:1993:332, punto 11).


106      V. supra, paragrafo 89 delle presenti conclusioni.


107      Sentenza del 28 ottobre 2022, Generalstaatsanwaltschaft München (Estradizione e ne bis in idem) (C‑435/22 PPU, EU:C:2022:852, punto 119).


108      Ibidem, punti 120 e 121.


109      Punto 98 della sentenza impugnata.


110      Come la Supreme Court (Corte Suprema) ha giustamente statuito, la controversia in esame riguardava unicamente la questione se, ai sensi della Convenzione ICSID, il Regno Unito fosse tenuto ad eseguire il lodo di cui trattasi nei confronti di Stati terzi (punto 101 della sentenza impugnata).


111      Ad esempio, sottoponendo la controversia alla Corte Internazionale di giustizia.


112      Dichiarazioni rese dal Presidente durante la quinta e la sesta sessione dei lavori degli Incontri di consultazione degli esperti giuridici nominati dai governi membri (citate al punto 107 della sentenza impugnata).


113      V. in particolare quelle cui rinviano i punti 104 e 105 della sentenza impugnata.


114      Mi sembra che ciò sia particolarmente vero riguardo alle argomentazioni degli investitori su tale tema, che la Supreme Court (Corte Suprema) sembra avallare al punto 106 della sentenza impugnata.


115      V., tra l’altro, punto 15 della sentenza impugnata.


116      Secondo tale disposizione, il lodo è «definitivo e vincolante».


117      In tale contesto, osservo incidentalmente che, a seguito delle decisioni della Corte nelle cause Achmea, European Food e Romatsa (v. supra, paragrafi 23 e 24 delle presenti conclusioni), la clausola compromissoria di cui al TBI dovrebbe ora essere considerata invalida.


118      V. sentenza del 14 ottobre 1980 Burgoa (812/79, EU:C:1980:231, punto 10).


119      V., in particolare, sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi (C‑561/19, EU:C:2021:799, punti 39 e 40 e giurisprudenza ivi citata).


120      Ibidem, punto 36 e giurisprudenza ivi citata.


121      Ibidem, punto 41 e giurisprudenza ivi citata.


122      V. in particolare punti 99 e 102 della sentenza impugnata.


123      V., in tal senso, sentenze del 9 settembre 2015, Ferreira da Silva e Brito e a. (C‑160/14, EU:C:2015:565, punti da 42 a 44), e del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi (C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 49).


124      V. punti 29, 32, 91 e 94 della sentenza impugnata.


125      Come affermato dalla Supreme Court (Corte Suprema) al punto 96 della sentenza impugnata.


126      V., in tal senso, sentenza del 4 ottobre 2018, Commissione/Francia (Anticipo d’imposta) (C‑416/17, EU:C:2018:811, punto 113).


127      La Commissione fa riferimento, in particolare, alla sentenza del 18 luglio 2007, Lucchini (C‑119/05, EU:C:2007:434, punti 62 e 63).


128      V., in generale e con ulteriori riferimenti, conclusioni presentate dall’avvocato generale Kokott nella causa Viasat Broadcasting UK (C‑445/19, EU:C:2020:644, paragrafi 17 e 18).


129      V. considerando 39 della decisione definitiva del 2015.


130      V. ad esempio, sentenza del 21 dicembre 2016, Commissione/Hansestadt Lübeck (C‑524/14 P, EU:C:2016:971).


131      Ordinanza del 29 febbraio 2016, Micula e a./Commissione (T‑646/14, non pubblicata, EU:T:2016:135).


132      V., tra le altre, sentenza del 10 settembre 2019, HTTS/Consiglio (C‑123/18 P, EU:C:2019:694, punto 100 e giurisprudenza ivi citata).


133      V., tra le altre, sentenza del 21 settembre 2017, Riva Fire/Commissione (C‑89/15 P, EU:C:2017:713, punto 34).


134      In sostanza, nella sua sentenza, il Tribunale aveva ritenuto che il risarcimento concesso agli investitori coprisse, almeno in parte, un periodo precedente all’adesione della Romania all’Unione europea. Secondo il Tribunale, la Commissione era incorsa in errore nel qualificare l’intero risarcimento come aiuto, senza distinguere, tra gli importi da recuperare, quelli rientranti nel periodo precedente l’adesione e quelli afferenti al periodo successivo all’adesione.


135      La Supreme Court (Corte Suprema) lo ha sostanzialmente riconosciuto al punto 51 della sentenza impugnata. Su tale questione, v. conclusioni presentate dall’avvocato generale Mengozzi nella causa Deutsche Lufthansa (C‑284/12, EU:C:2013:442, paragrafi da 27 a 29).


136      V., ad esempio, sentenza del 5 marzo 2019, Eesti Pagar (C‑349/17, EU:C:2019:172, punto 88).


137      Ibidem, punti da 89 a 91.


138      V., tra tante, sentenza del 12 gennaio 2023, DOBELES HES (C‑702/20 e C‑17/21, EU:C:2023:1, punto 121).


139      Tale disposizione recita, nella parte pertinente: «Lo Stato membro interessato non può dare esecuzione alle misure progettate prima che [la procedura in materia di aiuto di Stato] abbia condotto a una decisione finale» (il corsivo è mio).


140      V., in tal senso, sentenza del 27 settembre 1988, Matteucci (235/87, EU:C:1988:460, punto 19).


141      V., ad esempio, sentenza del 10 novembre 2020, Commissione/Italia (Valori limite – PM10) (C‑644/18, EU:C:2020:895, punto 83 e giurisprudenza ivi citata).


142      V., in tal senso, sentenza del 16 ottobre 2012, Ungheria/Slovacchia (C‑364/10, EU:C:2012:630, punti da 68 a 71).