Language of document : ECLI:EU:T:2017:251

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Prima Sezione)

5 aprile 2017 (*)

«Dumping – Importazioni di alcuni tipi di polietilentereftalato (PET) originari dell’India, della Thailandia e di Taiwan – Riesame in previsione della scadenza delle misure – Proposta della Commissione di rinnovo di dette misure – Decisione del Consiglio di chiudere il procedimento di riesame senza istituire tali misure – Ricorso di annullamento – Articolo 11, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1225/2009 – Probabilità di reiterazione di un pregiudizio notevole – Articolo 21, paragrafo 1, del regolamento n. 1225/2009 – Interesse dell’Unione – Errori manifesti di valutazione – Obbligo di motivazione – Ricorso per risarcimento danni»

Nella causa T‑422/13,

Committee of Polyethylene Terephthalate (PET) Manufacturers in Europe (CPME), con sede in Bruxelles (Belgio), e le altri ricorrenti i cui nomi figurano nell’allegato (1), rappresentate da L. Ruessmann, avvocato, e J. Beck, solicitor,

ricorrenti,

sostenute da

Commissione europea, rappresentata da J.‑F. Brakeland, A. Demeneix e M. França, in qualità di agenti,

interveniente,

contro

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da S. Boelaert e J.‑P. Hix, in qualità di agenti, assistiti da B. O’Connor, solicitor, e S. Gubel, avvocato,

convenuto,

sostenuto da

European Federation of Bottled Waters (EFBW), con sede in Bruxelles,

Caiba, SA, con sede in Paterna (Spagna),

CocaCola Enterprises Belgium (CCEB), con sede in Anderlecht (Belgio),

Danone, con sede in Parigi (Francia),

Nestlé Waters Management & Technology, con sede in Issy‑les‑Moulineaux (Francia),

Pepsico International Ltd, con sede in Londra (Regno Unito),

e

Refresco Gerber BV, con sede in Rotterdam (Paesi Bassi),

rappresentate da E. McGovern, barrister,

intervenienti

avente ad oggetto, da un lato, una domanda fondata sull’articolo 263 TFUE e diretta all’annullamento parziale della decisione di esecuzione 2013/226/UE del Consiglio, del 21 maggio 2013, che respinge la proposta di regolamento di esecuzione del Consiglio che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di alcuni tipi di polietilentereftalato originari dell’India, di Taiwan e della Thailandia in seguito a un riesame in previsione della scadenza effettuato ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1225/2009, e che chiude il riesame in previsione della scadenza riguardante le importazioni di alcuni tipi di polietilentereftalato originari dell’Indonesia e della Malaysia, in quanto istituirebbe un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di alcuni tipi di polietilentereftalato originari dell’India, di Taiwan e della Thailandia (GU 2013, L 136, pag. 12), nella parte in cui ha respinto la proposta di istituire un dazio antidumping definitivo sulle importazioni originarie dell’India, di Taiwan e della Thailandia e ha chiuso il procedimento di riesame riguardante tali importazioni, e, dall’altro, una domanda fondata sull’articolo 268 TFUE e diretta a ottenere il risarcimento dei danni che le ricorrenti avrebbero asseritamente subito,

IL TRIBUNALE (Prima Sezione),

composto da H. Kanninen, presidente, I. Pelikánová e E. Buttigieg (relatore), giudici,

cancelliere: C. Heeren, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 28 giugno 2016,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Quadro giuridico

1        La decisione di cui trattasi nella causa in esame è stata adottata in base al regolamento (CE) n. 1225/2009 del Consiglio, del 30 novembre 2009, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU 2009, L 343, pag. 51, rettifica GU 2010, L 7, pag. 22; in prosieguo: il «regolamento di base»), prima della sua modifica mediante il regolamento (UE) no37/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 gennaio 2014, che modifica alcuni regolamenti in materia di politica commerciale comune per quanto riguarda le procedure di adozione di determinate misure (GU 2014, L 18, pag. 1), e della sua abrogazione mediante il regolamento (UE) 2016/1036 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2016, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri dell’Unione europea (GU 2016, L 176, pag. 21).

2        L’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento di base era formulato come segue:

«Le misure di antidumping definitive scadono dopo cinque anni dalla data in cui sono state istituite oppure dopo cinque anni dalla data della conclusione dell’ultimo riesame relativo al dumping e al pregiudizio, salvo che nel corso di un riesame non sia stabilito che la scadenza di dette misure implica il rischio del persistere o della reiterazione del dumping e del pregiudizio. Il riesame in previsione della scadenza è avviato per iniziativa della Commissione [europea] oppure su domanda dei produttori [dell’Unione] o dei loro rappresentanti e le misure restano in vigore in attesa dell’esito del riesame.

Il riesame in previsione della scadenza viene avviato se la domanda contiene sufficienti elementi di prova del rischio del persistere o della reiterazione del dumping o del pregiudizio, in assenza di misure. Tali elementi di prova possono riguardare, tra l’altro, il persistere del dumping o del pregiudizio oppure il fatto che l’eliminazione del pregiudizio sia dovuta in parte o integralmente all’applicazione delle misure oppure la probabilità che, alla luce della situazione degli esportatori o delle condizioni del mercato, vengano attuate nuove pratiche di dumping arrecanti pregiudizio.

Nello svolgimento delle inchieste a norma del presente paragrafo gli esportatori, gli importatori, i rappresentanti del paese esportatore e i produttori dell[’Unione] hanno la possibilità di sviluppare o di confutare le questioni esposte nella domanda di riesame oppure di presentare osservazioni in merito. Ai fini delle relative conclusioni si tiene debitamente conto di tutti gli elementi di prova pertinenti, debitamente documentati, che sono stati presentati in merito al rischio del persistere o della reiterazione del dumping e del pregiudizio, in assenza di misure.

Un avviso di imminente scadenza delle misure è pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea a una data appropriata nel corso dell’ultimo anno del periodo di applicazione delle misure definito nel presente paragrafo. I produttori dell[’Unione], non oltre tre mesi prima della fine del periodo di cinque anni, possono presentare una domanda di riesame a norma del secondo comma. Viene inoltre pubblicato anche l’avviso relativo all’effettiva scadenza delle misure a norma del presente paragrafo».

3        A norma dell’articolo 11, paragrafo 5, del regolamento di base, «[l]e disposizioni del presente regolamento relative alle procedure e allo svolgimento delle inchieste, escluse quelle relative ai termini, si applicano ai riesami effettuati a norma dei paragrafi 2, 3 e 4 (…)».

4        L’articolo 9, paragrafo 4, del regolamento di base precisava quanto segue:

«Quando dalla constatazione definitiva dei fatti risulta l’esistenza di dumping e di un conseguente pregiudizio e quando gli interessi dell[’Unione] esigono un intervento a norma dell’articolo 21, il Consiglio, deliberando su una proposta presentata dalla Commissione dopo aver sentito il comitato consultivo, istituisce un dazio antidumping definitivo. La proposta è adottata dal Consiglio a meno che questo non decida a maggioranza semplice di respingerla entro un mese dalla sua presentazione da parte della Commissione (…)».

5        Conformemente all’articolo 15, paragrafo 1, del regolamento di base, «[l]e consultazioni previste dal presente regolamento si svolgono in seno ad un comitato consultivo, composto dai rappresentanti di ogni Stato membro e presieduto da un rappresentante della Commissione (…)».

6        L’articolo 20, paragrafo 4, del regolamento di base così recitava:

«Le informazioni finali sono comunicate per iscritto. La trasmissione tiene debitamente conto dell’esigenza di tutelare le informazioni riservate, avviene il più rapidamente possibile e di norma entro un mese prima della decisione definitiva o della presentazione di qualsiasi proposta di atto definitivo, a norma dell’articolo 9, da parte della Commissione. Eventuali fatti e considerazioni che la Commissione non può comunicare al momento della risposta sono resi noti successivamente il più rapidamente possibile. La divulgazione delle informazioni non pregiudica qualsiasi eventuale decisione della Commissione o del Consiglio, ma, qualora tale decisione si basi su fatti o considerazioni diversi, questi sono comunicati il più rapidamente possibile».

7        Conformemente all’articolo 20, paragrafo 5, del regolamento di base, «[l]e osservazioni presentate dopo l’informazione finale sono prese in considerazione unicamente se sono ricevute entro un termine fissato dalla Commissione, per ciascun caso, in funzione dell’urgenza della questione e comunque non inferiore a dieci giorni».

8        L’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento di base prevedeva quanto segue:

«Per decidere se sia necessario intervenire nell’interesse dell[’Unione] vengono valutati i diversi interessi nel loro complesso, compresi quelli dell’industria comunitaria, degli utenti e dei consumatori. Una decisione a norma del presente articolo può essere presa unicamente se tutte le parti hanno avuto la possibilità di comunicare le loro osservazioni a norma del paragrafo 2. Per valutare l’interesse dell[’Unione] viene presa in particolare considerazione l’esigenza di eliminare gli effetti del dumping in termini di distorsioni degli scambi e di ripristinare una concorrenza effettiva. Le misure stabilite in base al dumping e al pregiudizio accertati possono non essere applicate se le autorità, alla luce delle informazioni presentate, concludono che l’applicazione di tali misure non è nell’interesse dell[’Unione]».

 Fatti

9        La causa considerata riguarda un procedimento di riesame avviato ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento di base a causa della scadenza dei dazi antidumping imposti, a partire dal 2000, dal Consiglio dell’Unione europea alle importazioni di alcuni tipi di polietilentereftalato (PET) originari, in particolare, dell’India, di Taiwan e della Thailandia (in prosieguo: i «dazi antidumping in questione»).

10      Il Consiglio aveva imposto, dal 2000, anche dazi antidumping alle importazioni di alcuni tipi di PET originari dell’Indonesia e della Malesia nonché dazi compensativi alle importazioni di alcuni tipi di PET originari, in particolare, dell’India (in prosieguo: i «dazi compensativi in questione»).

11      Il 25 novembre 2011, in seguito alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea di due avvisi di scadenza di tutti i dazi antidumping menzionati supra ai punti 9 e 10 (GU 2011, C 122, pag. 10) e dei dazi compensativi in questione (GU 2011, C 116, pag. 10), la Commissione europea è stata investita dall’industria produttrice di PET dell’Unione europea di due domande di avvio di un procedimento di riesame in previsione della scadenza dei dazi antidumping e compensativi ai sensi, rispettivamente, dell’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento di base e dell’articolo 18 del regolamento (CE) n. 597/2009 del Consiglio, dell’11 giugno 2009, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di sovvenzioni provenienti da paesi non membri della Comunità europea (GU 2009, L 188, pag. 93).

12      Una volta stabilito, dopo aver sentito il comitato consultivo di cui all’articolo 15 del regolamento di base, che esistevano elementi di prova sufficienti per avviare procedimenti di riesame in previsione della scadenza, la Commissione ha annunciato, il 24 febbraio 2012, l’avvio di tali procedimenti (GU 2012, C 55, pag. 4, e GU 2012, C 55, pag. 4, e GU 2012, C 55, pag. 14).

13      A seguito delle sue indagini, la Commissione ha proposto di non rinnovare i dazi antidumping riguardanti le importazioni di PET dall’Indonesia e dalla Malesia. Per contro, la Commissione ha proposto di rinnovare, per un periodo di cinque anni, i dazi antidumping e compensativi in questione. Per quanto riguarda, più in particolare, i dazi antidumping in questione, la Commissione ha ritenuto che, in caso di scadenza di questi ultimi, sussistesse il rischio del persistere del dumping e della reiterazione del pregiudizio per l’industria dell’Unione e che la proroga di detti dazi non fosse contraria all’interesse dell’Unione.

14      Il 3 aprile 2013, la Commissione ha presentato tali proposte al comitato consultivo. In tale data, tredici rappresentanti degli Stati membri all’interno di detto comitato si sono opposti alla proposta di proroga dei dazi antidumping in questione. Tale proposta era quindi sostenuta dalla maggioranza semplice dei rappresentati degli Stati membri.

15      Su tale base, il 23 aprile 2013, la Commissione ha sottoposto al Consiglio un progetto di regolamento antidumping (in prosieguo: la «proposta della Commissione») e un progetto di regolamento antisovvenzioni che prorogava i dazi antidumping e compensativi in questione per un periodo supplementare di cinque anni.

16      Il 21 maggio 2013, in base alla proposta della Commissione, il Consiglio ha rinnovato i dazi compensativi in questione con il regolamento di esecuzione (UE) n. 461/2013, che istituisce un dazio compensativo definitivo sulle importazioni di taluni tipi di PET originario dell’India, in seguito ad un riesame in previsione della scadenza ai sensi dell’articolo 18 del regolamento (CE) n. 597/2009 (GU 2013, L 137, pag. 1). Il Consiglio ha infatti constatato che, malgrado tendenze apparentemente positive e grandi sforzi di ristrutturazione, la situazione dell’industria dell’Unione «[era] ancora fragile» (considerando 186). Il Consiglio ha altresì rilevato che, dato l’atteso sostanziale incremento delle importazioni sovvenzionate dall’India a prezzi di vendita probabilmente inferiori a quelli dell’industria dell’Unione, in caso di mancata proroga delle misure, la situazione molto probabilmente si sarebbe deteriorata e il notevole pregiudizio si sarebbe ripetuto (considerando 211). Infine, il Consiglio ha rilevato che i dazi compensativi in questione non avevano «alcun effetto sproporzionato» sugli utilizzatori di PET nell’Unione (considerando 264). Su tale base il Consiglio ha ritenuto che «non [fosse] possibile concludere con chiarezza che mantenere in vigore [i dazi] compensativ[i] [in questione] non [era] nell’interesse dell’Unione» (considerando 265).

17      Per contro, alla stessa data, il Consiglio ha adottato la decisione 2013/226/UE che respinge la proposta di regolamento di esecuzione del Consiglio che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di alcuni tipi di PET originari dell’India, di Taiwan e della Thailandia in seguito a un riesame in previsione della scadenza effettuato ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento n. 1225/2009, e che chiude il riesame in previsione della scadenza riguardante le importazioni di alcuni tipi di PET originari dell’Indonesia e della Malaysia, in quanto istituirebbe un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di alcuni tipi di PET originari dell’India, di Taiwan e della Thailandia (GU 2013, L 136, pag. 12; in prosieguo: la «decisione impugnata»).

18      Nella decisione impugnata il Consiglio ha deciso di non rinnovare i dazi antidumping in questione, contrariamente a quanto proposto dalla Commissione (articolo 1). Esso ha infatti ritenuto che la probabilità di reiterazione del pregiudizio, in caso di scadenza delle misure antidumping in questione, «non [fosse] dimostrat[a]» (punto 5), o addirittura che tale reiterazione fosse «improbabile» (punto 17). Il Consiglio ha altresì ritenuto che una proroga delle misure fosse palesemente contraria all’interesse dell’Unione, in quanto i costi per gli importatori, gli utilizzatori e i consumatori erano sproporzionati rispetto ai vantaggi per l’industria dell’Unione (punti da 18 a 23). Su tale base, il Consiglio ha chiuso il procedimento di riesame relativo ai dazi antidumping in questione senza prorogare tali dazi (articolo 2).

19      Per quanto riguarda i dazi antidumping relativi alle importazioni di PET originario dell’Indonesia e della Malesia (v. supra, punto 10), il Consiglio ha invece aderito, nella decisione impugnata, alla proposta della Commissione di non rinnovare tali dazi. Al riguardo, esso ha ritenuto, al pari della Commissione, che, a breve e medio termine, non fosse probabile che i produttori esportatori indonesiani o malesi ricominciassero a esportare quantitativi pregiudizievoli a prezzi di dumping verso il mercato dell’Unione in caso di abrogazione delle misure (punto 4). Su tale base, il Consiglio ha chiuso anche il procedimento di riesame relativo ai dazi antidumping applicabili alle importazioni da tali paesi (articolo 2).

 Procedimento e conclusioni delle parti

20      Il Committee of Polyethylene Terephthalate (PET) Manufacturers in Europe (CPME) è un’associazione di produttori di PET dell’Unione. La Cepsa Química, SA, l’Equipolymers Srl, l’Indorama Ventures Poland sp. z o.o., la Lotte Chemical UK Ltd, la M & G Polimeri Italia SpA, la Novapet, SA, l’Ottana Polimeri Srl, l’UAB Indorama Polymers Europe, l’UAB Neo Group e l’UAB Orion Global pet sono produttori di PET dell’Unione.

21      Con atto depositato nella cancelleria del Tribunale il 14 agosto 2013, le ricorrenti, ossia tutte le entità menzionate supra al punto 20, hanno chiesto, in sostanza, in base all’articolo 263 TFUE, l’annullamento parziale della decisione impugnata e, in base all’articolo 268 TFUE, il risarcimento del danno che esse avrebbero subito in seguito all’illegittima adozione di quest’ultima.

22      Con atto depositato nella cancelleria del Tribunale il 17 ottobre 2013, la Commissione ha chiesto di intervenire a sostegno delle conclusioni delle ricorrenti dirette all’annullamento parziale della decisione impugnata. Con ordinanza del 27 novembre 2013, il presidente della Prima Sezione del Tribunale ha autorizzato tale intervento.

23      Con atto depositato nella cancelleria del Tribunale il 20 dicembre 2013, taluni utilizzatori di PET dell’Unione, ossia la Caiba, SA, la Coca‑Cola Enterprises Belgium (CCEB), la Danone, la Nestlé Waters Management & Technology, la Pepsico International Ltd e la Refresco Gerber BV, nonché l’associazione che rappresenta tale industria, ossia l’European Federation of Bottled Waters (EFBW) (in prosieguo, congiuntamente, le «intervenienti private»), hanno chiesto di intervenire a sostegno delle conclusioni del Consiglio.

24      Il 20 febbraio 2014 le ricorrenti hanno sollevato obiezioni riguardo a tale domanda di intervento. Peraltro, ai sensi dell’articolo 116, paragrafo 2, del regolamento di procedura del Tribunale del 2 maggio 1991, le ricorrenti hanno chiesto che, nel caso in cui le intervenienti private fossero state autorizzate a intervenire, tutti gli argomenti e gli allegati contenuti nelle memorie riguardanti la loro domanda di risarcimento fossero esclusi dalla comunicazione a tali parti, a causa della loro riservatezza. Ai fini di tale comunicazione, le ricorrenti hanno prodotto una versione non riservata delle memorie e degli allegati di cui trattasi.

25      Con ordinanza dell’8 luglio 2014, la Prima Sezione del Tribunale ha accolto la domanda di intervento delle intervenienti private, unicamente in quanto esse sostenevano le conclusioni del Consiglio dirette al rigetto della domanda di annullamento delle ricorrenti e non per quanto riguarda le conclusioni dirette al rigetto della loro domanda di risarcimento. La comunicazione alle intervenienti private degli atti del procedimento è stata limitata alla versione non riservata prodotta dalle ricorrenti. Le intervenienti private non hanno sollevato obiezioni sulla domanda di trattamento riservato.

26      Su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Prima Sezione) ha deciso di avviare la fase orale del procedimento e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento di cui all’articolo 89 del regolamento di procedura del Tribunale, ha posto alcuni quesiti scritti alle parti. Le parti hanno risposto a tali quesiti nei termini impartiti. In particolare, il Tribunale ha chiesto alle parti di prendere posizione sulla questione se la decisione impugnata soddisfacesse gli obblighi incombenti al Consiglio in forza dell’articolo 296 TFUE.

27      Le difese orali delle parti e le loro risposte ai quesiti orali del Tribunale sono state sentite all’udienza del 28 giugno 2016.

28      Nel corso dell’udienza, le ricorrenti hanno precisato che intendevano aggiornare la domanda di risarcimento danni presentata in base all’articolo 268 TFUE. A seguito di tale richiesta, il Tribunale ha invitato le ricorrenti a depositare tale aggiornamento. Il Consiglio ha presentato osservazioni su detto aggiornamento nel termine impartito.

29      La fase orale del procedimento è stata chiusa il 18 novembre 2016.

30      Le ricorrenti chiedono che il Tribunale voglia:

–        dichiarare il ricorso ricevibile e fondato;

–        annullare la decisione impugnata, per la parte in cui non ha rinnovato i dazi antidumping in questione;

–        condannare il Consiglio a indennizzarle per i danni subiti;

–        condannare il Consiglio alle spese;

–        condannare le intervenienti private alle spese sostenute a causa del loro intervento.

31      Il Consiglio chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere la domanda di annullamento in quanto infondata;

–        respingere la domanda di risarcimento in quanto infondata;

–        condannare le ricorrenti alle spese.

32      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        dichiarare la domanda di annullamento ricevibile e fondata;

–        condannare il Consiglio a sostenere le spese.

33      Le intervenienti private chiedono che il Tribunale voglia:

–        respingere la domanda di annullamento;

–        condannare le ricorrenti alle spese.

 In diritto

1.     Sulla domanda di annullamento

34      Le ricorrenti deducono tre motivi a sostegno della loro domanda di annullamento. Il primo e il terzo motivo denunciano il fatto che il Consiglio non ha comunicato loro i fatti e le considerazioni che hanno portato all’adozione della decisione impugnata, né ha concesso un termine per presentare osservazioni su questi ultimi. Siffatta omissione costituirebbe, a loro avviso, una violazione dell’articolo 20, paragrafi 4 e 5, del regolamento di base e dei diritti della difesa delle ricorrenti (primo motivo) nonché dei principi di diligenza e di buona amministrazione (terzo motivo). Col secondo motivo le ricorrenti denunciano un errore manifesto di valutazione e la violazione dell’articolo 11, paragrafo 2, e dell’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento di base.

35      Il Tribunale esaminerà anzitutto il secondo motivo dedotto dalle ricorrenti.

 Sul secondo motivo, vertente su un errore manifesto di valutazione e sulla violazione dell’articolo 11, paragrafo 2, e dell’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento di base

36      Le ricorrenti, sostenute dalla Commissione, fanno valere che le conclusioni del Consiglio, ai punti 17 e 23 della decisione impugnata, secondo le quali, da un lato, era improbabile che lasciare scadere le misure potesse comportare un notevole pregiudizio e, dall’altro, la proroga dei dazi antidumping in questione era palesemente contraria all’interesse dell’Unione, costituiscono un errore manifesto di valutazione e violano, rispettivamente, l’articolo 11, paragrafo 2, e l’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento di base.

37      Infatti, tali conclusioni si fonderebbero su considerazioni costituenti il riflesso di una scelta parziale e distorta dei fatti accertati durante l’indagine svolta dalla Commissione nonché su altre affermazioni infondate, se non addirittura manifestamente errate. Talune affermazioni sarebbero, peraltro, non suffragate e incoerenti. La decisione impugnata avrebbe portato a conclusioni contrarie a quelle della Commissione nonché contrarie alle conclusioni dello stesso Consiglio nel regolamento di esecuzione n. 461/2013.

38      Il Consiglio, sostenuto dalle intervenienti private, respinge gli argomenti delle ricorrenti e della Commissione affermando che, in base al suo ampio potere discrezionale, esso poteva privilegiare un elemento piuttosto che un altro, se non addirittura ritenere che un elemento non fosse pertinente. Poiché l’analisi prospettica nell’ambito di un riesame è di natura complessa, sia la Commissione che esso stesso potevano, del tutto legittimamente, giungere a conclusioni diverse senza che uno di essi commettesse un errore manifesto di valutazione. Per quanto riguarda la presunta contraddizione tra la decisione impugnata e il regolamento di esecuzione n. 461/2013, il Consiglio osserva che si trattava di procedimenti differenti che potevano sfociare in una diversa valutazione dei fatti. Infine, le sue conclusioni, ai punti 17 e 23 della decisione impugnata, non sarebbero viziate da errore manifesto.

39      Prima di esaminare in modo più dettagliato gli argomenti delle parti sulle violazioni dell’articolo 11, paragrafo 2, e dell’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento di base, occorre stabilire, in risposta a taluni argomenti delle parti, la natura dell’esame che il Consiglio era tenuto a effettuare in base all’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento di base e la portata del controllo effettuato dal Tribunale sulla decisione impugnata.

 Sull’analisi che deve essere realizzata dal Consiglio in base all’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento di base e sulla portata del controllo effettuato dal Tribunale sulla decisione impugnata

40      Le intervenienti private osservano che, conformemente all’articolo 11, paragrafo 2, primo comma, del regolamento di base, le misure scadono in via di principio allo scadere del termine fissato, «salvo che (…) non sia stabilito» che la loro soppressione implica il rischio del persistere o della reiterazione del dumping e del pregiudizio. Pertanto, a loro avviso, affinché le misure scadano, non è necessario dimostrare positivamente che il persistere o la reiterazione di pratiche di dumping recanti pregiudizio è poco probabile o improbabile, ma è sufficiente constatare che non è stato dimostrato il contrario, il che è meno difficile.

41      Le intervenienti private riconoscono che, nella decisione impugnata, il Consiglio presenta talvolta le sue conclusioni «in maniera più decisa», affermando che era «improbabile» che lasciare scadere le misure potesse comportare la reiterazione di un notevole pregiudizio. Tuttavia, a loro avviso, tali affermazioni non modificano la natura dell’esame da effettuare. In tali circostanze, esse chiedono al Tribunale di tener conto della natura di tale esame quando analizzerà le censure delle ricorrenti riguardanti l’applicazione, da parte del Consiglio, dell’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento di base.

42      Le intervenienti private osservano inoltre che il Consiglio ha effettuato un esame adeguato, nella decisione impugnata, quando ha affermato, in primo luogo, che «non [era] dimostrato che la soppressione delle misure antidumping nei confronti dell’India, di Taiwan e della Tailandia comport[asse] la probabilità di persistenza o di reiterazione di pratiche di dumping arrecanti pregiudizio» (punto 5), in secondo luogo, che«non [era] stato dimostrato che lo scadere delle misure comport[asse] un rischio di reiterazione di pratiche pregiudizievoli di dumping in relazione alle importazioni [dall’India, da Taiwan e dalla Thailandia]» (punto 12) e, in terzo luogo, che «non [erano] state fornite prove convincenti riguardo a una serie di fattori che sembra[va]no importanti per valutare se la soppressione dei dazi [avrebbe comportato] una ripresa di pratiche di dumping arrecanti pregiudizio» (punto 15).

43      In risposta a un quesito scritto del Tribunale, il Consiglio ha precisato che, quando adottava una decisione in base all’articolo 9, paragrafo 4, del regolamento di base, in seguito a un procedimento di riesame ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 2, di detto regolamento, doveva analizzare «se [fosse] stato dimostrato» che, in base a fatti constatati in passato, [era] probabile che il dumping pregiudizievole persistesse o si reiterasse in futuro. Orbene, nella fattispecie, il Consiglio precisa di aver ritenuto che i fatti, quali accertati dalla Commissione, non dimostravano la probabilità della persistenza o della reiterazione di pratiche di dumping arrecanti pregiudizio.

44      In udienza, il Consiglio ha aggiunto che doveva unicamente respingere o accogliere la proposta della Commissione e giustificare la sua decisione. Esso ha altresì riconosciuto che, nella decisione impugnata, era andato al di là dell’analisi richiesta dall’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento di base, concludendo talvolta positivamente per l’improbabilità della reiterazione del pregiudizio. Tuttavia, il Consiglio ha osservato che gli elementi di fatto che esso aveva constatato nella decisione impugnata, a sostegno di tale conclusione, dimostravano necessariamente che la probabilità del pregiudizio non era stata dimostrata dalla Commissione.

45      In risposta a un quesito scritto del Tribunale, la Commissione ha precisato che, in via di principio, le istituzioni dell’Unione concludevano il procedimento di riesame in previsione della scadenza senza mantenere in vigore le misure esistenti se ritenevano che non esistessero elementi di prova sufficienti per dimostrare la probabilità della persistenza o della reiterazione del dumping e del pregiudizio. Tuttavia, la Commissione ha osservato che l’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento di base non ostava a che le istituzioni dell’Unione applicassero, come nel caso di specie, un metodo più rigoroso, basandosi sulla constatazione espressa che, da un punto di vista sostanziale, l’abrogazione delle misure esistenti non poteva comportare la reiterazione del dumping e del pregiudizio. A suo avviso, se ricorreva tale ipotesi, i giudici dell’Unione potevano verificare se i fatti confermassero tale conclusione. La Commissione ha fatto riferimento, al riguardo, alla sentenza del 7 aprile 2016, ArcelorMittal Tubular Products Ostrava e a./Hubei Xinyegang Steel (C‑186/14 P e C‑193/14 P, EU:C:2016:209, punti 74 e 75).

46      Interpellate su tale punto in udienza, le ricorrenti hanno condiviso gli argomenti della Commissione.

47      Al riguardo, va osservato che, nella decisione impugnata, il Consiglio ha non solo respinto, in parte, la proposta della Commissione (articolo 1), ma ha anche provveduto a chiudere esso stesso il procedimento di riesame avviato da quest’ultima (articolo 2). In tali circostanze, il Consiglio era tenuto a rispettare le condizioni imposte dal regolamento di base per siffatta chiusura.

48      Conformemente all’articolo 11, paragrafo 2, primo comma, del regolamento di base, le misure di antidumping definitive scadono dopo cinque anni dalla data in cui sono state istituite oppure dopo cinque anni dalla data della conclusione dell’ultimo riesame relativo al dumping e al pregiudizio, «salvo che nel corso di un riesame non sia stabilito che la scadenza di dette misure implica il rischio del persistere o della reiterazione del dumping e del pregiudizio».

49      Da una giurisprudenza consolidata emerge che una semplice possibilità di continuazione o di reiterazione del pregiudizio non basta per giustificare il mantenimento in vigore di una misura, richiedendosi a tal fine che sia stata accertata la probabilità di una continuazione o di una reiterazione del pregiudizio (sentenza del 20 giugno 2001, Euroalliages/Commissione, T‑188/99, EU:T:2001:166, punto 42). Peraltro, è necessario che tale probabilità sia stata accertata positivamente, sulla base di un’inchiesta effettuata da autorità competenti (sentenza del 20 giugno 2001, Euroalliages/Commissione, T‑188/99, EU:T:2001:166, punto 57).

50      Ne deriva che, in forza dell’articolo 11, paragrafo 2, primo comma, del regolamento di base, le misure scadono salvo che non sia stabilito che la scadenza implica il rischio del persistere o della reiterazione del dumping e del pregiudizio. Conformemente a tale disposizione, per non mantenere una misura antidumping definitiva, le istituzioni dell’Unione non sono quindi tenute a dimostrare che il persistere o la reiterazione del dumping e del pregiudizio è improbabile, ma possono limitarsi a constatare che siffatta probabilità non è dimostrata.

51      Il dettato dell’articolo 11, paragrafo 2, primo comma, del regolamento di base differisce da quello dell’articolo 6, paragrafo 1, di detto regolamento, esaminato nella sentenza del 7 aprile 2016, ArcelorMittal Tubular Products Ostrava e a./Hubei Xinyegang Steel (C‑186/14 P e C‑193/14 P, EU:C:2016:209), citata dalla Commissione. Infatti, in tale causa, il Consiglio si era avvalso della possibilità eccezionale, di cui all’articolo 6, paragrafo 1, del regolamento di base, di prendere in considerazione non solo i dati relativi al periodo dell’inchiesta, ma anche, in taluni casi, dati successivi a tale periodo. In tali circostanze, la Corte ha dichiarato che l’uso di questi ultimi non poteva sfuggire al controllo del giudice dell’Unione. Orbene, l’articolo 11, paragrafo 2, primo comma, del regolamento di base prevede solo un tipo di esame per stabilire la necessità del mantenimento delle misure, il quale mira a stabilire se la probabilità della persistenza o della reiterazione del dumping e del pregiudizio sia stata dimostrata.

52      Nella fattispecie, il Consiglio ha concluso nella decisione impugnata, al contempo, che «non [era] dimostrato» che la scadenza dei dazi antidumping in questione avrebbe comportato la reiterazione di un notevole pregiudizio (punto 5) e che siffatta reiterazione era «improbabile» (punto 17). Il Consiglio ha fondato queste due conclusioni sulle stesse motivazioni esposte ai punti da 8 a 17 della decisione impugnata.

53      Come sottolinea il Consiglio, occorre esaminare, conformemente all’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento di base, se le considerazioni sulle quali si è basato nella decisione impugnata consentano di concludere, senza commettere errori manifesti di valutazione, che non era stato dimostrato nella fattispecie che la scadenza dei dazi antidumping in questione avrebbe implicato il rischio della reiterazione del pregiudizio.

54      A tale riguardo, occorre ricordare che, in materia di politica commerciale comune e, specialmente, nell’ambito delle misure di difesa commerciale, le istituzioni dell’Unione godono di un ampio potere discrezionale in considerazione della complessità delle situazioni economiche, politiche e giuridiche che devono esaminare (sentenze del 27 settembre 2007, Ikea Wholesale, C‑351/04, EU:C:2007:547, punto 40, e dell’11 febbraio 2010, Hoesch Metals e Alloys, C‑373/08, EU:C:2010:68, punto 61).

55      In tale contesto si deve osservare che l’esame della probabilità di una continuazione o reiterazione del dumping e del pregiudizio presuppone la valutazione di questioni economiche complesse e che il sindacato giurisdizionale di tale valutazione deve pertanto limitarsi all’accertamento del rispetto delle norme procedurali, dell’esattezza materiale dei fatti considerati nell’operare la scelta contestata e dell’assenza di errori manifesti nella valutazione di tali fatti o di sviamento di potere (v., in tal senso, sentenze del 20 giugno 2001, Euroalliages/Commissione, T‑188/99, EU:T:2001:166, punti 45 e 46, e dell’8 maggio 2012, Dow Chemical/Consiglio, T‑158/10, EU:T:2012:218, punto 21).

56      La Corte ha altresì dichiarato che il controllo, da parte del Tribunale, degli elementi di prova sui quali le istituzioni dell’Unione fondavano le loro constatazioni non rappresentava una nuova valutazione dei fatti che sostituiva quella delle istituzioni. Tale controllo non sconfina nell’ampio potere discrezionale di tali istituzioni nel settore della politica commerciale, ma si limita a rilevare se tali elementi siano idonei ad avvalorare le conclusioni tratte dalle istituzioni (v., in tal senso, sentenza del 16 febbraio 2012, Consiglio e Commissione/Interpipe Niko Tube e Interpipe NTRP, C‑191/09 P e C‑200/09 P, EU:C:2012:78, punto 68).

57      Infine, la Corte ha precisato che spettava al giudice dell’Unione non soltanto verificare l’esattezza materiale degli elementi di prova invocati, la loro affidabilità e la loro coerenza, ma anche controllare se tali elementi costituissero l’insieme dei dati rilevanti che dovevano essere presi in considerazione per valutare una situazione complessa e se essi fossero idonei a fondare le conclusioni delle istituzioni (v., in tal senso, sentenza del 7 aprile 2016, ArcelorMittal Tubular Products Ostrava e a./Hubei Xinyegang Steel, C‑186/14 P e C‑193/14 P, EU:C:2016:209, punto 36).

58      Alla luce di tali principi, occorre esaminare, nella fattispecie, l’analisi del Consiglio nella decisione impugnata riguardante l’applicazione dell’articolo 11, paragrafo 2, e dell’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento di base.

 Sull’esame della probabilità di reiterazione di un pregiudizio ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento di base

59      Il mantenimento in vigore di una misura nell’ambito di un procedimento di riesame in previsione della sua scadenza dipende dal risultato di una valutazione delle conseguenze della sua scadenza, quindi da un pronostico basato su ipotesi riferite agli sviluppi futuri della situazione del mercato in questione (sentenza del 20 giugno 2001, Euroalliages/Commissione, T‑188/99, EU:T:2001:166, punto 42).

60      Nella fattispecie, il Consiglio ha anzitutto constatato, al punto 7 della decisione impugnata, che «l’industria dell’UE non st[esse] attualmente subendo un pregiudizio sostanziale».

61      Per quanto riguarda la reiterazione di un notevole pregiudizio in caso di scadenza delle misure antidumping, il Consiglio ha ritenuto, ai punti 5 e 17 della decisione impugnata, che questa non fosse stata dimostrata, o addirittura che fosse improbabile.

62      Il Consiglio ha fondato, in sostanza, tale conclusione sulle sette constatazioni riportate di seguito.

63      In primo luogo, il Consiglio ha rilevato l’esistenza di indicatori economici positivi (punti 8 e 9), segnatamente, l’aumento dei prezzi (punto 8) – in particolare, i prezzi all’importazione (punti 9 in fine, 10 e 12). Secondo il Consiglio, «[l]e tendenze indica[va]no che questi sviluppi del mercato non po[teva]no essere considerati temporanei» (punto 8 in fine).

64      In secondo luogo, il Consiglio ha sottolineato che le importazioni dai paesi interessati non erano state significative negli ultimi anni (punto 10) e che le quote di mercato delle importazioni da Taiwan e dalla Tailandia erano «vicine allo zero», il che implicava che «l’affidabilità delle denunce di dumping [fosse] soggetta a un ampio margine d’errore» (punto 11).

65      In terzo luogo, il Consiglio ha osservato che, secondo i «dati presentati», le misure applicate erano state più vantaggiose, in termini di quote di mercato, per i produttori dei paesi terzi che per l’industria dell’Unione (punto 10 in fine).

66      In quarto luogo, il Consiglio ha rilevato la mancanza di sottoquotazioni dei prezzi delle importazioni dall’India, da Taiwan e dalla Thailandia nel corso del periodo esaminato (punto 12).

67      In quinto luogo, il Consiglio ha osservato che, sebbene esista la possibilità di un aumento delle importazioni allo scadere delle misure, «tale aumento non sarebbe significativo» (punto 14 in fine). Infatti, il Consiglio «non [era] convinto» che «una certa sovracapacità» in India, a Taiwan e in Tailandia sarebbe stata reindirizzata verso l’Unione (punto 13). La domanda sarebbe in aumento nella maggior parte dei principali mercati a livello mondiale (punti 6 e 13). I prezzi praticati nell’Unione tenderebbero ad allinearsi (al ribasso) a quelli praticati in altri paesi (punto 14). Non sarebbero stati forniti taluni dati o elementi probatori apparentemente rilevanti ai fini di tale analisi (punti 14 e 15).

68      In sesto luogo, il Consiglio ha ritenuto che il mantenimento dei dazi compensativi in questione e delle misure antidumping nei confronti della Cina e di altri paesi avrebbe continuato a fornire «una certa protezione all’industria dell’Unione» (punto 16).

69      In settimo luogo, secondo il Consiglio, la «passata struttura degli scambi in [tale] mercato suggeri[va] inoltre che qualsiasi aumento delle esportazioni dall’India, dalla Thailandia e da Taiwan [avrebbe potuto] avere come risultato quello di spostare integralmente o in parte le importazioni provenienti da altri paesi terzi anziché incidere sulla produzione UE» (punto 16 in fine).

70      Come rilevato supra al punto 53, occorre esaminare, in base agli argomenti delle parti, se tali constatazioni consentissero al Consiglio di ritenere, senza commettere errori manifesti di valutazione, che non fosse stato dimostrato che la scadenza dei dazi antidumping in questione avrebbe implicato il rischio della reiterazione del pregiudizio.

71      Poiché il difetto o l’insufficienza di motivazione rientra nella violazione delle forme sostanziali ai sensi dell’articolo 263 TFUE e può, o addirittura deve essere rilevato d’ufficio dal giudice dell’Unione, sentite le parti (v., in tal senso, sentenza del 2 dicembre 2009, Commissione/Irlanda e a., C‑89/08 P, EU:C:2009:742, punti 54 e 57), occorre esaminare altresì se il Consiglio abbia rispettato gli obblighi ad esso incombenti in forza dell’articolo 296 TFUE. Al riguardo, va osservato che le parti hanno preso posizione sull’osservanza, da parte del Consiglio, dell’obbligo ad esso incombente di motivare la decisione impugnata, su richiesta del Tribunale nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento che sono state disposte (v. supra, punto 26).

–       Sull’esistenza di indicatori economici positivi, in particolare, l’aumento dei prezzi del PET

72      Dal punto 8 della decisione impugnata emerge che «[i]l Consiglio ha (…) esaminato se l’eventuale scadere delle misure comport[asse] un rischio di reiterazione del pregiudizio sostanziale» e che esso «[era] del parere che un siffatto rischio non sussist[esse]. Secondo il Consiglio, «[n]el periodo esaminato nell’ambito del riesame in previsione della scadenza, la produttività [era] aumentata. Peraltro, l’«industria dell’UE det[eneva] in modo uniforme oltre il 70% del mercato UE, i prezzi presenta[va]no un buon margine di rendimento sugli investimenti e i dati relativi al flusso di cassa fa[cevano] registrare un notevole miglioramento» e le «tendenze indica[va]no che questi sviluppi del mercato non po[tevano] essere considerati temporanei.

73      Per quanto riguarda in particolare i prezzi all’importazione, il Consiglio ha aggiunto che questi ultimi «[erano] notevolmente aumentati negli ultimi anni, e pertanto la pressione sui prezzi sta[va] diminuendo» (punto 9). Il Consiglio ha precisato che i prezzi delle importazioni dall’India, da Taiwan e dalla Tailandia «[erano] in linea con quelli delle vendite e delle altre importazioni dell’UE» (punto 10). Peraltro, il Consiglio ha precisato che «[l]addove vi [erano] importazioni, i prezzi delle importazioni [erano] aumentati in modo consistente» e che «[n]el periodo considerato, i prezzi indiani [erano] aumentati del 29%, quelli di Taiwan del 27% e quelli della Thailandia del 32%» (punto 12).

74      Le ricorrenti, sostenute dalla Commissione, fanno valere che il Consiglio ha rinviato selettivamente agli sviluppi positivi di taluni indicatori economici dell’industria dell’Unione, ma ha ignorato gli sviluppi negativi e la durata limitata degli sviluppi positivi che esso stesso aveva definito nel regolamento di esecuzione n. 461/2013. Tale contraddizione rivela, secondo la Commissione, l’esistenza di un errore manifesto del Consiglio, che non ha fornito una spiegazione chiara e inequivocabile su tale punto essenziale.

75      Per quanto riguarda le affermazioni, contenute nei punti 9, 10 e 12 della decisione impugnata, relative all’aumento dei prezzi delle importazioni nel corso del periodo dell’inchiesta di riesame, esse riflettono, secondo le ricorrenti, soltanto un’evoluzione del mercato verificatasi in modo inatteso e temporaneo a livello mondiale, a causa dell’impennata del prezzo del cotone, come è stato riconosciuto dal Consiglio nel regolamento di esecuzione n. 461/2013. In ogni caso, la questione pertinente sarebbe quella della probabile evoluzione dei prezzi in caso di scadenza delle misure. Orbene, la decisione impugnata non si esprimerebbe su tale punto e ignorerebbe la valutazione della Commissione al riguardo.

76      Il Consiglio, sostenuto dalle intervenienti private, fa valere di aver ammesso i fatti, come gli erano stati presentati dalla Commissione, e di averli tutti successivamente valutati. Secondo il Consiglio, valutare i fatti non equivale ad accertarli. Esso ricorda altresì che una valutazione è necessariamente discrezionale e che ciò giustifica il fatto che le istituzioni godono di un ampio potere discrezionale.

77      Per quanto attiene, in primo luogo, agli sviluppi positivi del mercato, rilevati al punto 8 della decisione impugnata, si deve constatare che la Commissione aveva certamente rilevato, al punto 186 della sua proposta, che «la maggior parte degli indicatori microeconomici [dava] segni di miglioramento». Pertanto, «[l]a redditività, l’utile sul capitale investito e il flusso di cassa [erano] aumentati in misura significativa, in particolare nel 2010 e nel PIR», ossia nel periodo compreso tra il 1o gennaio e il 31 dicembre 2011.

78      Tuttavia, la Commissione aveva altresì constatato, al punto 186 della sua proposta, che «[n]el 2009 (…) gli investimenti [erano] molto diminuiti e non [avevano] recuperato». Peraltro, secondo il punto 185 della proposta della Commissione, «[l]’analisi dei dati macroeconomici dimostra[va], che durante il periodo in esame [ossia quello compreso tra il 1o gennaio 2008 e il 31 dicembre 2011], la produzione e i volumi delle vendite dell’industria dell’Unione [erano] diminuiti». Inoltre, «dopo la caduta iniziale del 2009, l’industria dell’Unione non [aveva] del tutto recuperato la sua quota di mercato, diminuita, nel complesso, di 3 punti percentuali nel periodo in esame (al 77% nel PIR)». Infine, «[i]l calo dell’occupazione e della capacità di produzione [era] dovuta alla ristrutturazione in corso nel settore e [andava] visto nel contesto dell’aumento dell’utilizzazione degli impianti e della produttività».

79      È vero che il Consiglio beneficiava di un ampio potere discrezionale nel valutare i dati economici presentati dalla Commissione. Nell’esercizio di tale potere avrebbe potuto, ad esempio, contestare la pertinenza di taluni fattori presi in considerazione dalla Commissione oppure effettuare una ponderazione degli interessi positivi e negativi diversa da quella operata dalla Commissione nella sua proposta. Tuttavia, nella decisione impugnata, il Consiglio non ha menzionato gli indicatori economici negativi individuati dalla Commissione né ha contestato, a fortiori, la loro pertinenza. Orbene, il volume degli investimenti, della produzione e delle vendite dell’industria dell’Unione nonché la tendenza a perdere quote di mercato costituivano elementi rilevanti ai fini della valutazione dell’andamento del mercato nell’ambito dell’analisi prospettica che doveva essere effettuata dal Consiglio. Del resto, il Consiglio ha tenuto conto di tali elementi nel regolamento di esecuzione n. 461/2013, che istituisce un dazio compensativo definitivo sulle importazioni di taluni tipi di PET originari dell’India.

80      In tali circostanze, le ricorrenti affermano, correttamente, che il Consiglio non ha tenuto conto, nella decisione impugnata, di tutti i dati pertinenti nell’ambito della sua analisi e che, così facendo, ha commesso un errore manifesto di valutazione.

81      Per quanto riguarda, in secondo luogo, la natura non temporanea degli sviluppi positivi del mercato, si deve ricordare che, al punto 187 della sua proposta, la Commissione aveva affermato che «[i] progressi [erano] (…) relativamente recenti e si basa[va]no in certa misura su sviluppi di mercato imprevisti e temporane[i] avvenuti tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011 [a causa dell’impennata del prezzo del cotone]». A suo avviso, «[c]iò sembra[va] confermato da informazioni disponibili sull’andamento del margine dell’industria dell’Unione nel 2012 (…) che indica[va]no un calo rispetto al PIR».

82      A tal riguardo, il Consiglio si è limitato ad affermare, alla fine del punto 8 della decisione impugnata, che «[l]e tendenze indica[va]no che [gli] sviluppi [positivi] del mercato non [potevano] essere considerati temporanei».

83      Orbene, tale affermazione non è sufficientemente motivata.

84      Nel controricorso il Consiglio osserva che l’unico indicatore temporaneo positivo asserito dalle ricorrenti era il prezzo. Le intervenienti private aggiungono che gli indicatori fondamentali (redditività delle vendite, sviluppi del margine di rendimento sugli investimenti) presentavano sviluppi positivi prima dell’impennata del prezzo del cotone.

85      Tuttavia, tali constatazioni non figurano nella decisione impugnata. Orbene, né il Consiglio né le intervenienti private possono ovviare alla mancanza di motivazione della decisione impugnata fornendo spiegazioni dinanzi al Tribunale (v., in tal senso, sentenza del 15 giugno 2005, Corsica Ferries France/Commissione, T‑349/03, EU:T:2005:221, punto 287 e giurisprudenza ivi citata).

86      Per quanto riguarda, in terzo luogo, l’aumento dei prezzi, la Commissione aveva precisato, nella sua proposta, quanto segue:

«(155)      In via preliminare, è bene precisare che taluni eventi economici globali verificatisi tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011 hanno avuto effetti sulla situazione del mercato UE, soprattutto riguardo ai prezzi e ai volumi delle vendite del prodotto simile. In quel periodo è calata l’offerta di cotone; ciò che ha provocato un aumento della domanda di fibre di poliestere sul mercato asiatico. Il PET e le fibre di poliestere dipendono largamente a monte dalla stessa materia prima, cioè dall’acido tereftalico purificato (PTA). L’aumento della domanda di fibre di poliestere ha reso insufficiente l’offerta di PTA e ha spinto in alto i prezzi del PET. Poiché anche i produttori di PET in Medio Oriente dipendono dal PTA proveniente dall’Asia, si è verificato un brusco calo delle importazioni di PET nell’UE. Al tempo stesso, i principali fornitori di PTA dell’Unione dichiaravano la presenza di un caso di forza maggiore che provocava un’ulteriore calo della produzione interna di PET.

(…)

(181)      Si noti in proposito che l’industria dell’Unione aveva saputo trarre vantaggio dall’aumento del prezzo del PET tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012 perché aveva fissato il prezzo del PTA prima che si verificassero i suddetti eventi del mercato. Secondo statistiche avanzate dalle parti, relative a sviluppi avvenuti dopo il PIR, i margini di profitto dei produttori di PET si sono sostanzialmente deteriorati nel 2012. Ciò conferma che la redditività nel 2011 (PIR) era, di fatto, largamente influenzata da eventi economici globali imprevisti e temporanei (considerando 153) che è improbabile si ripetano e che non possono essere considerati permanenti né rappresentativi della situazione dell’industria dell’Unione».

87      Ai punti 8, 9, 10 e 12 della decisione impugnata, il Consiglio fa riferimento all’aumento dei prezzi del PET, sia dei produttori dell’Unione che degli importatori di tale prodotto dall’India, da Taiwan e dalla Tailandia, senza menzionare l’impennata del prezzo del cotone, né contestare, a fortiori, la pertinenza di tale fattore. Orbene, quest’ultimo è stato certamente menzionato e preso in considerazione dal Consiglio nel regolamento n. 461/2013, il che conferma la sua pertinenza. Pertanto, il Consiglio ha omesso nuovamente di esaminare, nella decisione impugnata, tutti i dati pertinenti nell’ambito della sua analisi prospettica. Così facendo, il Consiglio ha commesso un errore manifesto di valutazione.

88      Nel controricorso il Consiglio spiega che dall’indagine della Commissione emergeva che l’aumento del prezzo del PET non era necessariamente temporaneo. Infatti, secondo i dati forniti dalla Commissione, tale aumento sarebbe iniziato prima dell’impennata del prezzo del cotone, che ha avuto inizio solo alla fine del 2010. Il Consiglio aggiunge, nella controreplica, che la constatazione della Commissione, nella sua proposta, secondo la quale il fatto che il livello di redditività per l’industria dell’Unione fosse diminuito dopo il periodo dell’inchiesta di riesame non forniva alcuna indicazione riguardo alla portata della riduzione, né consentiva di sapere se quest’ultima annullasse l’aumento dei prezzi constatato dal Consiglio prima dell’impennata del prezzo del cotone.

89      Occorre constatare che tali spiegazioni non figurano nella decisione impugnata e quindi non possono essere prese in considerazione nell’ambito dell’analisi della fondatezza di quest’ultima.

90      Dalle suesposte considerazioni risulta che il Consiglio ha commesso errori manifesti di valutazione e non ha sufficientemente motivato la decisione impugnata quando si è basato su taluni indicatori economici positivi, in particolare sull’aumento dei prezzi, omettendo di menzionare taluni fattori negativi rilevanti ai fini dell’analisi.

–       Sul volume non significativo delle importazioni dall’India, da Taiwan e dalla Thailandia durante il periodo dell’inchiesta di riesame

91      Il Consiglio ha affermato, al punto 10 della decisione impugnata, che «[l]e importazioni dei paesi interessati non [erano] significative né in termini di quota del mercato UE che rappresenta[va]no (inferiore al 4% nel periodo considerato ai fini del riesame) né rispetto alle importazioni degli altri paesi e alle vendite dei produttori dell’UE». Il Consiglio ha aggiunto, al punto 11 della decisione impugnata, che «[l]e quote di mercato di Taiwan e della Thailandia [erano] vicine allo zero» e che «[c]on volumi così esigui, [era] probabile che l’affidabilità delle denunce di dumping [fosse] soggetta a un ampio margine d’errore».

92      Per quanto riguarda il punto 10 della decisione impugnata, le ricorrenti fanno valere che il Consiglio non tiene conto, nella sua analisi, del notevole aumento delle importazioni dall’India, da Taiwan e dalla Tailandia, il che dimostra che è stato selettivo a livello dei fatti, tanto da presentare un’immagine distorta e da giungere, così facendo, a conclusioni ingiustificate.

93      Il Consiglio ribatte, nel controricorso, di essere stato legittimato a ponderare e a valutare i fatti nell’ambito del suo esame del volume delle importazioni, al punto 10 della decisione impugnata.

94      Al riguardo, occorre constatare che la Commissione aveva esaminato nella sua proposta non solo il volume delle importazioni durante il periodo considerato, ma anche la tendenza (al rialzo o al ribasso) di tali importazioni nel corso di detto periodo (proposta della Commissione, punti 50, 92 e 114), la quale costituisce un indizio rilevante nell’ambito dell’analisi prospettica da svolgere nella fattispecie. In tali circostanze, anche detto fattore avrebbe dovuto essere esaminato dal Consiglio quando ha menzionato il volume delle importazioni al punto 10 della decisione impugnata.

95      Per quanto riguarda il punto 11 della decisione impugnata, le ricorrenti fanno valere che l’affermazione del Consiglio tenta, senza alcuna constatazione di fatto, né argomento a sostegno, di rimettere in discussione l’analisi della Commissione secondo la quale sussisteva, per la Thailandia e per Taiwan, una probabilità di persistenza del dumping pregiudizievole. Peraltro, l’affermazione contenuta in tale punto sarebbe irrilevante in quanto non terrebbe conto del probabile andamento dei prezzi dopo il periodo dell’inchiesta di riesame in caso di abrogazione delle misure, il che costituirebbe la questione pertinente.

96      Il Consiglio precisa, nel controricorso, di aver anzitutto constatato, nella sua analisi, che i volumi delle importazioni dalla Tailandia e da Taiwan erano diminuiti, il che non consentiva di evidenziare tendenze ben definite. Il Consiglio ha poi constatato che il calcolo del dumping non si basava su un esame del valore normale verificato e dei prezzi all’esportazione dei produttori di tali paesi, bensì sulle affermazioni dell’industria dell’Unione nell’ambito della denuncia. La combinazione di questi due fattori l’avrebbe indotto a dubitare dell’affidabilità delle affermazioni riguardanti il rischio di dumping pregiudizievole per il futuro. Infine, le affermazioni della Commissione, ai punti 105 e 191 della sua proposta, secondo le quali niente indicava che il dumping sarebbe stato ridotto o soppresso in futuro, costituirebbero una valutazione e non un fatto accertato.

97      Le intervenienti private aggiungono che l’affermazione, al punto 11 della decisione impugnata, secondo la quale «è probabile che l’affidabilità delle denunce di dumping sia soggetta a un ampio margine d’errore», si basa anch’essa su due constatazioni contenute nella proposta della Commissione, ossia, da un lato, l’aumento dei prezzi delle importazioni dall’India, da Taiwan e dalla Tailandia e, dall’altro, il fatto che tali prezzi non facevano scendere i prezzi praticati nell’Unione.

98      Al riguardo, va osservato che sia il Consiglio che le intervenienti private forniscono spiegazioni dinanzi al Tribunale che non figurano nella decisione impugnata. Infatti, al punto 11 di quest’ultima, il Consiglio si è limitato a constatare che i volumi delle importazioni dalla Tailandia e da Taiwan erano così esigui che «[era] probabile che l’affidabilità delle denunce di dumping [fosse] soggetta a un ampio margine d’errore».

99      Orbene, nell’ambito di un procedimento di riesame in previsione della scadenza, non si tratta di stabilire l’«affidabilità delle denunce di dumping», ma di verificare se la scadenza delle misure possa implicare il rischio del persistere o della reiterazione del dumping. La constatazione del Consiglio non era quindi rilevante ai fini dell’analisi.

100    Se il punto 11 della decisione impugnata dovesse essere inteso nel senso che è volto a rimettere in discussione la conclusione della Commissione, contenuta nella sua proposta, secondo la quale esisterebbe una persistenza del dumping in Tailandia e a Taiwan in caso di scadenza delle misure antidumping in questione, è giocoforza constatare che l’affermazione del Consiglio non è né concludente né suffragata da prove. Infatti, quest’ultimo non ha rimesso in discussione, nella decisione impugnata, né il calcolo del margine di dumping effettuato dalla Commissione né la sua conclusione secondo la quale era probabile che, in caso di scadenza delle misure, vi sarebbe stata una persistenza del dumping.

101    Ne consegue che le conclusioni del Consiglio tratte dal volume non significativo delle importazioni dall’India, da Taiwan e dalla Tailandia durante il periodo dell’inchiesta di riesame sono viziate da errori manifesti di valutazione.

–       Sui reali beneficiari delle misure in termini di quote di mercato

102    Il Consiglio afferma, al punto 10 in fine della decisione impugnata, che «i dati presentati mostrano che, in termini di quote di mercato, le misure applicate sono state più vantaggiose per i produttori dei paesi terzi che per l’industria dell’Unione».

103    In mancanza di qualsiasi indicazione, da parte del Consiglio, sui dati ai quali esso si riferisce, il Tribunale non è in grado di controllare la fondatezza di siffatta affermazione e la decisione impugnata è viziata da un difetto di motivazione su tale punto (v., in tal senso, sentenza del 6 settembre 2006, Portogallo/Commissione, C‑88/03, EU:C:2006:511, punto 88 e giurisprudenza ivi citata).

–       Sulla mancanza di sottoquotazioni dei prezzi durante il periodo esaminato

104    Il Consiglio ha constatato, al punto 12 della decisione impugnata, che «non [erano] state registrate sottoquotazioni», durante il periodo esaminato, per quanto riguarda le importazioni dall’India, da Taiwan e dalla Tailandia.

105    Al riguardo, la Commissione osserva, correttamente, che la mancanza di sottoquotazioni era constatata in passato, senza che la decisione impugnata fornisca alcuna informazione riguardo agli sviluppi futuri della situazione, una volta che le misure antidumping siano state soppresse. L’argomento del Consiglio, in risposta alla memoria d’intervento della Commissione, secondo il quale gli importatori indiani avevano aumentato i loro prezzi nell’Unione, non inficia tale constatazione.

106    La constatazione del Consiglio, al punto 12 della decisione impugnata, riguardante la mancanza di sottoquotazioni non costituisce quindi un elemento decisivo che consenta di stabilire, di per sé, che la probabilità di reiterazione del pregiudizio non era stata dimostrata.

–       Sul volume non significativo delle importazioni dall’India, da Taiwan e dalla Tailandia in caso di soppressione delle misure

107    I punti da 13 a 15 della decisione impugnata sono così formulati:

«(13)      Nonostante l’esistenza di una certa sovracapacità [in India, a Taiwan e in Tailandia] il Consiglio non è convinto che le capacità inutilizzate sarebbero orientate verso l’UE, in quanto la domanda è in aumento nella maggior parte dei principali mercati.

(14)      Rispetto agli altri paesi, nell’UE il livello dei prezzi è superiore a quello degli altri grandi mercati poiché sono in vigore queste misure di lunga durata. In loro assenza, i prezzi tenderebbero ad allinearsi a quelli degli altri paesi. È improbabile che misure di difesa commerciale adottate nei paesi terzi abbiano l’effetto di dirigere significativi flussi commerciali verso l’UE, in quanto tali paesi non sono i principali consumatori di PET a livello mondiale. Non sono state fornite informazioni riguardo all’esistenza o meno di misure di difesa commerciale in altri mercati importanti per il PET, come gli Stati Uniti e il Giappone. Pertanto, il Consiglio ritiene che, sebbene esista la possibilità di un aumento delle importazioni allo scadere delle misure, tale aumento non sarebbe significativo.

(15)      Il Consiglio è del parere che non siano state fornite prove convincenti riguardo a una serie di fattori che sembrano importanti per valutare se la soppressione dei dazi comporterebbe una ripresa di pratiche di dumping arrecanti pregiudizio. Tali fattori comprendono:

a)      le tendenze della domanda nei paesi terzi: nel caso di Taiwan, ad esempio, le esportazioni verso paesi terzi rappresentano circa il 60% della capacità produttiva. Ciò suggerisce che le future tendenze della domanda in questi paesi sono importanti ai fini della valutazione;

b)      i costi di trasporto e altri fattori aventi un’incidenza sulla redditività: se i mercati di esportazione dei paesi terzi sono più vicini all’esportatore rispetto al mercato UE (l’Asia orientale è mercato importante), ciò inciderà sui costi di trasporto e di conseguenza sulla redditività delle vendite all’esportazione, e quindi sull’attrattiva relativa del mercato UE».

108    Le ricorrenti, sostenute dalla Commissione, ritengono che il Consiglio abbia arbitrariamente disatteso l’esame minuzioso della Commissione che concludeva nel senso della probabilità che si verificasse un notevole aumento delle importazioni in caso di soppressione delle misure. Sebbene la violazione dell’articolo 296 TFUE non sia formalmente invocata, viene altresì denunciata la mancata conferma, e, talvolta, la natura contraddittoria, di talune affermazioni del Consiglio nella decisione impugnata.

109    Il Consiglio, sostenuto dalle intervenienti private, respinge tali argomenti.

110    Occorre constatare che il Consiglio ha concluso, in sostanza, nella decisione impugnata che «sebbene esista la possibilità di un aumento delle importazioni allo scadere delle misure, tale aumento non sarebbe significativo» (punto 14 in fine), in quanto «non [era] convinto che le capacità inutilizzate [in India, a Taiwan e in Tailandia] sarebbero [state] orientate verso l’UE» (punto 13).

111    Tale conclusione del Consiglio si basa su cinque constatazioni esposte infra ai punti 112, 121, 122, 127 e 130.

112    In primo luogo, secondo il Consiglio, in India a Taiwan e in Tailandia esisteva «una certa» sovracapacità (punto 13 della decisione impugnata).

113    Le ricorrenti e la Commissione sottolineano che tale affermazione contraddice l’analisi della Commissione, contenuta nella sua proposta, e le constatazioni del Consiglio stesso, contenute nel regolamento di esecuzione n. 461/2013, secondo le quali la sovracapacità prevedibile in questi tre paesi, in particolare in India, era consistente.

114    Il Consiglio fa valere, nel controricorso, che l’analisi della Commissione si fondava sulle informazioni contenute nella denuncia e che essa non le aveva verificate in loco a Taiwan e in Thailandia. Orbene, il Consiglio avrebbe tenuto conto di tale circostanza quando ha stabilito l’importanza da attribuire a tale indicatore di pregiudizio nell’ambito dell’analisi. Il Consiglio sostiene che poteva valutare in modo diverso le capacità e la domanda future a Taiwan e in Tailandia, alla luce degli argomenti presentati durante l’inchiesta da altre parti interessate, tra le quali utilizzatori di PET nell’Unione, senza che siffatta analisi fosse viziata da un errore manifesto di valutazione.

115    In risposta a tali argomenti del Consiglio, le ricorrenti e la Commissione contestano il fatto che siano rimessi in discussione dal Consiglio taluni fatti accertati dalla Commissione nel corso della sua inchiesta, per il motivo che essi risultavano dalla denuncia e non erano stati verificati in loco a Taiwan e in Tailandia.

116    Al riguardo, va osservato che gli elementi presentati dal Consiglio dinanzi al Tribunale non figurano nella decisione impugnata. Infatti, l’affermazione del Consiglio, al punto 13 di quest’ultima, secondo la quale esiste «una certa» sovracapacità, non si fonda su alcuna spiegazione.

117    È vero che non si può richiedere alle istituzioni che nella motivazione siano specificati tutti i diversi elementi di fatto e di diritto pertinenti. Infatti, l’accertamento se la motivazione di una decisione soddisfi tali requisiti va effettuato alla luce non solo del suo tenore, ma anche del suo contesto e del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia (sentenza del 9 gennaio 2003, Petrotub e Republica/Consiglio, C‑76/00 P, EU:C:2003:4, punto 81).

118    Tuttavia, nella fattispecie, come sottolineano le ricorrenti e la Commissione, l’affermazione del Consiglio secondo la quale esisteva in India, a Taiwan e in Tailandia «una certa» sovracapacità contraddice l’analisi della Commissione nella sua proposta e, quanto all’India, la conclusione del Consiglio stesso nel regolamento di esecuzione n. 461/2013 secondo la quale tale sovracapacità «[era] da considerarsi rilevante» (considerando 193). In tali circostanze, spettava al Consiglio fornire spiegazioni, nella decisione impugnata, per consentire alle parti di comprendere il ragionamento sotteso alla sua affermazione e al Tribunale di effettuare un controllo.

119    La decisione impugnata è quindi viziata da un difetto di motivazione, senza che le spiegazioni presentate dal Consiglio dinanzi al Tribunale possano porre rimedio a tale difetto (v., in tal senso, sentenza del 15 giugno 2005, Corsica Ferries France/Commissione, T‑349/03, EU:T:2005:221, punto 287 e giurisprudenza ivi citata).

120    In ogni caso, anche nell’ipotesi in cui sia necessario prendere in considerazione tali spiegazioni del Consiglio, occorre rilevare che, dal momento che i produttori esportatori di Taiwan e della Tailandia avevano rifiutato di collaborare, la Commissione poteva basarsi sui fatti disponibili, conformemente all’articolo 18 del regolamento di base.

121    In secondo luogo, il Consiglio ha constatato che la domanda era in aumento nella maggior parte dei principali mercati (punto 13 della decisione impugnata), il che si ricollega[va] alle sue affermazioni, contenute nel punto 6 della decisione impugnata, secondo le quali «i principali mercati di esportazione di PET [erano] in crescita», e «con la ripresa dell’economia mondiale si [sarebbe assistito] verosimilmente a un ulteriore aumento globale della domanda di prodotti confezionati con PET». Né le ricorrenti né la Commissione contestano tali affermazioni del Consiglio.

122    In terzo luogo, il Consiglio ha ritenuto, in sostanza, che, in seguito alla soppressione delle misure antidumping in questione, l’attrattiva costituita dal mercato dell’Unione in termini di prezzo sarebbe stata meno rilevante, in quanto i prezzi si sarebbero allineati al ribasso a quelli degli altri paesi (punto 14 della decisione impugnata). La tesi del Consiglio si basava sulla constatazione secondo la quale il livello dei prezzi nell’Unione era superiore a quello di altri mercati principali a causa delle misure antidumping in questione e che, senza queste ultime, i prezzi nell’Unione avrebbero teso ad allinearsi al ribasso a quelli degli altri paesi.

123    Al riguardo, occorre constatare, al pari delle ricorrenti e della Commissione, che la tesi del Consiglio implicava che le importazioni dall’India, da Taiwan e dalla Tailandia, a causa del loro volume, potevano incidere sul livello dei prezzi praticati nell’Unione. Orbene, il Consiglio ha affermato al contempo, al punto 14 della decisione impugnata, che, «sebbene esista la possibilità di un aumento delle importazioni allo scadere delle misure, tale aumento non sarebbe significativo». La decisione impugnata è quindi viziata da una motivazione contraddittoria. Peraltro, come hanno sottolineato le ricorrenti in udienza, l’affermazione del Consiglio nella decisione impugnata secondo la quale «nell’UE il livello dei prezzi [era] superiore a quello degli altri grandi mercati poiché [erano] in vigore [tali] misure di lunga durata» non è affatto motivata.

124    Il Consiglio fa valere nel controricorso che la riduzione dei prezzi in caso di soppressione delle misure antidumping in questione, menzionata al punto 14 della decisione impugnata, non significava che vi sarebbe stata necessariamente una reiterazione del dumping pregiudizievole. Secondo il Consiglio, la pressione sui prezzi nell’Unione non proverrebbe principalmente dall’India, da Taiwan e della Tailandia. Tale valutazione sarebbe stata confermata dal fatto che tali importazioni avrebbero rappresentato meno del 4% delle quote di mercato dell’Unione, mentre le importazioni provenienti da paesi terzi non soggetti a misure antidumping, e che avrebbero praticato prezzi inferiori, rappresentavano il 15,9% delle stesse quote di mercato. In risposta alla memoria d’intervento della Commissione, il Consiglio precisa di non aver affermato nella decisione impugnata che il prezzo in aumento nell’Unione sarebbe derivato semplicemente dall’applicazione delle misure antidumping. Su tale punto, il Consiglio rileva che gli esportatori indiani hanno aumentato i loro prezzi del 29%.

125    Al riguardo, occorre constatare che tali spiegazioni contraddicono la constatazione effettuata al punto 14 della decisione impugnata secondo la quale i prezzi nell’Unione erano superiori «poiché [erano] in vigore [tali] misure di lunga durata». Come viene precisato supra al punto 123, tale constatazione si fonda necessariamente sulla tesi secondo la quale le importazioni dall’India, da Taiwan e dalla Tailandia potevano incidere sul livello dei prezzi praticati nell’Unione.

126    Gli argomenti del Consiglio non rimettono quindi in discussione la constatazione effettuata supra al punto 123 secondo la quale la decisione impugnata è viziata da una motivazione contraddittoria per quanto riguarda l’analisi vertente sull’attrattiva costituita dal mercato dell’Unione.

127    In quarto luogo, il Consiglio sottolinea, al punto 14 della decisione impugnata, che è improbabile che «misure di difesa commerciale adottate nei paesi terzi abbiano l’effetto di dirigere significativi flussi commerciali verso l’UE, in quanto tali paesi non sono i principali consumatori di PET a livello mondiale». Il Consiglio fa riferimento indirettamente all’esistenza, constatata dalla Commissione nella sua proposta, di talune misure di difesa commerciale in Turchia, in Sudafrica e in Malesia contro le importazioni dall’India, da Taiwan e dalla Tailandia.

128    Su tale punto, occorre constatare, al pari delle ricorrenti, che, quando ha accertato, nell’ambito dell’inchiesta, che taluni paesi avevano istituito misure di difesa commerciale contro importazioni di PET dall’India, da Taiwan e dalla Tailandia, la Commissione non ha sostenuto che l’esistenza di tali misure dirigeva significativi flussi commerciali verso l’Unione. Infatti, con tale constatazione, la Commissione si è limitata ad affermare che l’applicazione di tali misure riduceva potenzialmente il numero di mercati ai quali le esportazioni dall’India, da Taiwan e dalla Tailandia potevano aver accesso. Orbene, siffatta affermazione non è contestata dal Consiglio nella decisione impugnata.

129    La circostanza che non siano stati diretti significativi flussi commerciali verso l’Unione, constatata dal Consiglio, al punto 14 della decisione impugnata, non consente quindi di stabilire, di per sé, che la probabilità di reiterazione del dumping pregiudizievole non è stata dimostrata.

130    In quinto e ultimo luogo, il Consiglio constata, al punto 14 della decisione impugnata, che «[n]on sono state fornite informazioni riguardo all’esistenza o meno di misure di difesa commerciale in altri mercati importanti per il PET, come gli Stati Uniti e il Giappone». Il Consiglio aggiunge, al punto 15 della decisione impugnata, che «non [sono] state fornite prove convincenti riguardo a una serie di fattori che sembrano importanti per valutare se la soppressione dei dazi comporterebbe una ripresa di pratiche di dumping arrecanti pregiudizio». Secondo il Consiglio, «[t]ali fattori comprendono: a) le tendenze della domanda nei paesi terzi (…); b) i costi di trasporto e altri fattori aventi un’incidenza sulla redditività [delle esportazioni]».

131    Al riguardo, le ricorrenti constatano, correttamente, che la possibilità che paesi terzi, ivi compresi gli Stati Uniti e il Giappone, assorbano le sovracapacità dell’India, di Taiwan e della Tailandia era stata esaminata dalla Commissione, contrariamente a quanto afferma il Consiglio ai punti 14 e 15, lettera a), della decisione impugnata. Infatti, quest’ultima aveva analizzato nella sua proposta le affermazioni di talune parti interessate basate sul fatto che «i principali mercati di esportazione della produzione di PET di Taiwan [erano] le regioni asiatiche affacciate sul Pacifico e le Americhe» (punto 101) e sulla necessità «di tenere conto della crescente domanda in altri mercati terzi» (punto 104). Tuttavia, la Commissione ha respinto tali affermazioni ricordando che essa non sosteneva che «l’intero eccesso di capacità disponibile per le esportazioni sarebbe stato diretto verso l’Unione», ma unicamente che «le quantità che probabilmente saranno dirette verso l’Unione saranno prevedibilmente superiori ai livelli che potrebbero causare un pregiudizio» (punto 104).

132    Per quanto riguarda il fatto che non siano stati presi in considerazione i costi di trasporto e altri fattori aventi un’incidenza sulla redditività delle esportazioni, denunciato al punto 15, lettera b), della decisione impugnata, le ricorrenti osservano che l’indagine della Commissione aveva esaminato il prezzo CIF (costo, assicurazione e nolo) delle importazioni nell’Unione, che include il costo del trasporto, e i prezzi analoghi delle importazioni nei paesi terzi.

133    Al riguardo, va osservato, al pari delle intervenienti private, che, quando ha esaminato l’attrattiva costituita dal mercato dell’Unione, la Commissione ha confrontato i prezzi delle esportazioni dall’India, da Taiwan e dalla Tailandia verso paesi terzi con il prezzo delle esportazioni dagli stessi paesi verso l’Unione, senza esaminare l’impatto del costo del trasporto sulla redditività delle esportazioni.

134    Tuttavia, come sottolinea la Commissione, l’attrattiva costituita dall’Unione e la redditività delle esportazioni erano state determinate anche nella sua proposta, in considerazione, in particolare, delle dimensioni del mercato dell’Unione (il terzo a livello mondiale) e dei prezzi praticati all’interno di quest’ultimo, notevolmente superiori ai prezzi delle esportazioni indiane, taiwanesi e tailandesi verso paesi terzi.

135    In tali circostanze, la constatazione del Consiglio, al punto 15, lettera b), della decisione impugnata, secondo la quale la Commissione non aveva fornito alcun elemento di prova su «altri fattori aventi un’incidenza sulla redditività» delle esportazioni verso l’Unione è viziata da errore.

–       Sulla tutela sufficiente dell’industria dell’Unione con altre misure di difesa commerciale

136    Il Consiglio ha segnalato, al punto 16 della decisione impugnata, che «[a]ltri fattori lascia[va]no prevedere che [era] probabile che la soppressione delle misure non comport[asse] una ripresa di pratiche di dumping pregiudizievoli per l’industria dell’Unione». Esso ha precisato che il «mantenimento delle misure antisovvenzioni nei confronti dell’India e delle misure antidumping nei confronti della Cina e di altri paesi [avrebbe continuato] a fornire una certa protezione all’industria dell’Unione».

137    Al riguardo, occorre constatare che il Consiglio ha riconosciuto dinanzi al Tribunale che era sfuggito un errore quando aveva menzionato, al punto 16 della decisione impugnata, l’esistenza di misure antidumping nei confronti di paesi diversi dalla Cina, in quanto tali misure non esistevano.

138    Peraltro, il Consiglio non ha spiegato le ragioni per cui l’esistenza di talune misure di protezione commerciale consentiva di concludere che la probabilità di reiterazione del pregiudizio non era stata dimostrata.

139    L’affermazione del Consiglio, al punto 16 della decisione impugnata, secondo la quale l’industria dell’Unione era sufficientemente tutelata è quindi viziata da un difetto di motivazione.

–       Sull’incidenza su altri operatori in caso di soppressione delle misure

140    Il Consiglio ha affermato, alla fine del punto 16 della decisione impugnata, che «[l]a passata struttura degli scambi in [tale] mercato suggeri[va] inoltre che qualsiasi aumento delle esportazioni dall’India, dalla Thailandia e da Taiwan [avrebbe potuto] avere come risultato quello di spostare integralmente o in parte le importazioni provenienti da altri paesi terzi anziché incidere sulla produzione UE».

141    Come hanno sottolineato le ricorrenti in udienza, tale affermazione del Consiglio non è sufficientemente motivata, in quanto il solo riferimento alla «passata struttura degli scambi in [tale] mercato» non consente al Tribunale di controllare la fondatezza della sua affermazione, anche alla luce del contesto che ha condotto all’adozione della decisione impugnata (v. supra punto 117). Si deve quindi constatare un difetto di motivazione su tale punto.

–       Conclusione sull’esame della probabilità di reiterazione del pregiudizio

142    Dalle suesposte considerazioni risulta che l’analisi del Consiglio, effettuata ai punti da 8 a 17 della decisione impugnata, è viziata da errori manifesti di valutazione nonché, su taluni punti, da un difetto di motivazione, se non addirittura da una motivazione contradditoria.

143    Tuttavia, la decisione impugnata non dovrà essere annullata se la conclusione del Consiglio, al punto 23 della decisione impugnata, secondo la quale «una proroga delle misure [era] palesemente contraria all’interesse dell’Unione» non è viziata da alcun errore manifesto di valutazione né da alcun difetto di motivazione. Infatti, conformemente all’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento di base, anche se viene dimostrata l’esistenza di una probabilità di dumping pregiudizievole, la scadenza delle misure in questione è possibile quando le istituzioni «concludono che l’applicazione di tali misure non è nell’interesse dell[’Unione]».

 Sull’esame dell’interesse dell’Unione ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento di base

144    L’esame dell’interesse dell’Unione ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento di base necessita di una stima delle probabili conseguenze sia dell’applicazione che della non applicazione delle misure previste per l’interesse dell’industria dell’Unione e per gli altri interessi in gioco, in particolare quelli delle varie parti menzionate all’articolo 21 del regolamento di base. Tale stima implica un pronostico fondato su ipotesi relative ad eventi futuri, il quale comporta la valutazione di situazioni economiche complesse (sentenza dell’8 luglio 2003, Euroalliages e a./Commissione, T‑132/01, EU:T:2003:189, punto 47).

145    Nella decisione impugnata il Consiglio ha analizzato l’interesse dell’Unione nel seguente modo:

«(18)      L’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento di base prevede che per decidere se sia necessario intervenire nell’interesse dell’Unione debbano essere valutati i diversi interessi nel loro complesso.

(19)      I prezzi del PET sono determinati da una serie di fattori, ma è chiaro che le misure antidumping hanno provocato un aumento dei costi per l’industria utilizzatrice. Numerosi utilizzatori sono imprese di imbottigliamento e PMI che operano con stretti margini e che sono state fortemente danneggiate dai costi elevati del PET negli ultimi anni, in quanto il PET incide in modo decisivo sui loro costi di produzione. L’impatto dei costi elevati si è fatto sentire maggiormente sulle piccole imprese di imbottigliamento, che non sono state in grado di ripercuotere l’aumento dei prezzi sui dettaglianti e i consumatori finali a causa del loro scarso potere negoziale. Numerose piccole imprese registrano forti perdite e hanno perso un numero significativo di dipendenti. La proposta riconosce il deterioramento della situazione degli utilizzatori e il fatto che nell’UE i prezzi del PET sono superiori a quelli degli altri grandi mercati. Tuttavia, il Consiglio ritiene che non sia stato dimostrato che le misure in questione non [erano] uno dei fattori responsabili dei prezzi relativamente elevati del PET nell’Unione.

(20)      Attualmente il settore UE del PET è caratterizzato da un’elevata concentrazione e da una crescente integrazione verticale. È un settore redditizio e dovrebbe potere essere competitivo a livello internazionale.

(21)      L’accumulo di misure, combinato con la crescente integrazione dei produttori di PET e delle imprese produttrici di imballaggi in PET nell’UE, crea condizioni di disparità per le imprese produttrici di imballaggi in PET indipendenti, che sono confrontate ai prezzi più elevati al mondo (a causa dell’effetto orizzontale esistente sui prezzi del PET), mentre i loro principali concorrenti dei paesi terzi beneficiano di prezzi inferiori.

(22)      Gli utilizzatori di PET dispongono di un numero esiguo di fonti di approvvigionamento fuori dall’UE, in quanto le misure si applicano anche alle importazioni provenienti da altri paesi terzi.

(23)      La conclusione del Consiglio è che una proroga delle misure è palesemente contraria all’interesse dell’Unione, in quanto i costi per gli importatori, gli utilizzatori e i consumatori sono sproporzionati rispetto ai vantaggi per l’industria dell’Unione».

146    Le ricorrenti, sostenute dalla Commissione, ricordano che l’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento di base prescrive che sia presa in particolare considerazione l’esigenza di eliminare gli effetti del dumping in termini di distorsioni degli scambi e di ripristinare una concorrenza effettiva. Orbene, la decisione impugnata, contrariamente al regolamento di esecuzione n. 461/2013, non menzionerebbe neppure tale possibilità ed esaminerebbe unicamente gli interessi degli utilizzatori di PET nell’Unione, non tenendo conto degli interessi degli importatori indipendenti, dei fornitori di materie prime e dei riciclatori di PET, esaminati dalla Commissione nella proposta sui dazi antidumping. Nella replica le ricorrenti ricordano la manifesta erroneità della conclusione del Consiglio secondo la quale non vi sarebbe reiterazione del dumping pregiudizievole in caso di mancato rinnovo delle misure.

147    Per quanto riguarda, più in particolare, l’interesse degli utilizzatori di PET nell’Unione, le ricorrenti osservano che i tre elementi considerati dal Consiglio, ai punti da 19 a 22 della decisione impugnata, sono stati contraddetti dal medesimo Consiglio, ai considerando 234, 249 e da 252 a 260 del regolamento di esecuzione n. 461/2013, basati sull’analisi della Commissione. Quest’ultima osserva, peraltro, che incombeva al Consiglio provare positivamente che non era nell’interesse dell’Unione applicare le misure antidumping in questione.

148    Il Consiglio, sostenuto dalle intervenienti private, replica di aver esaminato in modo dettagliato, nella decisione impugnata, la questione del dumping pregiudizievole per l’industria dell’Unione, in particolare, al punto 4 in caso di importazioni dall’Indonesia e dalla Malesia e ai punti 5, 12, 15 e 16 nel caso dell’India, della Tailandia e di Taiwan. Il Consiglio avrebbe quindi adempiuto il suo obbligo di valutare tutti gli interessi in gioco complessivamente considerati e non avrebbe violato l’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento di base. Per quanto riguarda il presunto errore manifesto di valutazione, il Consiglio e le intervenienti private ricordano che è stato ritenuto improbabile che l’industria dell’Unione avrebbe subito un pregiudizio qualora le misure antidumping in questione fossero state revocate e che il Consiglio ha tenuto conto di tale conclusione nella sua valutazione dell’interesse dell’Unione, conformemente all’articolo 21 del regolamento di base.

149    Per quanto riguarda, più in particolare, gli interessi degli utilizzatori di PET nell’Unione, il Consiglio osserva che le ricorrenti non contestano il livello elevato del prezzo del PET nell’Unione né l’estrema limitatezza delle fonti di approvvigionamento di tali utilizzatori. Le ricorrenti contesterebbero, per contro, il modo in cui il Consiglio ha valutato tali fatti e le conclusioni ne ha tratto. Orbene, tale valutazione non sarebbe viziata da un errore manifesto né sarebbe irragionevole. I fatti sui quali si fonda tale valutazione non sarebbero neppure manifestamente errati. Le intervenienti private aggiungono che le constatazioni del Consiglio a proposito dell’industria dell’Unione riguardano necessariamente interessi dei produttori di materie prime. Esse sottolineano altresì che il Consiglio si è concentrato sulla situazione degli utenti, in quanto gli utilizzatori costituiscono il principale interesse dell’Unione (diverso dai produttori di PET) che si è manifestato nel corso dell’indagine. Né gli importatori né l’industria di riciclaggio del PET avrebbero partecipato o presentato osservazioni nel corso dell’indagine. Le intervenienti private insistono altresì sul particolare problema della perdita di dipendenti tra gli imbottigliatori nonché sugli specifici problemi delle PMI.

150    Infine, per quanto riguarda la valutazione effettuata nel regolamento di esecuzione n. 461/2013, il Consiglio fa valere che tale valutazione rientrava in una procedura diversa e riguardava fatti diversi. Inoltre, tale regolamento non sarebbe stato soggetto al sindacato giurisdizionale del Tribunale.

151    Al riguardo, va osservato che il Consiglio e le stesse intervenienti private riconoscono che la conclusione, al punto 23 della decisione impugnata, sulla mancanza manifesta di interesse dell’Unione al mantenimento delle misure si fonda sulle conclusioni del Consiglio secondo le quali era improbabile che lasciare scadere le misure potesse comportare un notevole pregiudizio per l’Unione (punto 17) o, quanto meno, che siffatta probabilità non era stata dimostrata (punto 5).

152    Infatti, il Consiglio ha rinviato, in sostanza, ai punti da 8 a 17 della decisione impugnata quando ha ricordato, al punto 20 della medesima decisione, che il settore UE del PET «[era] (…) redditizio e [avrebbe dovuto] potere essere competitivo a livello internazionale». L’affermazione del Consiglio, al punto 19 della decisione impugnata, secondo la quale «[era] chiaro che le misure antidumping [avevano] provocato un aumento dei costi per l’industria utilizzatrice» si basava necessariamente sulla constatazione, effettuata al punto 14, che «il livello dei prezzi [era] superiore a quello degli altri grandi mercati poiché [erano] in vigore [tali] misure di lunga durata».

153    Orbene, come è stato precisato supra al punto 142, l’analisi del Consiglio riguardante il probabile rischio di pregiudizio è viziata da errori manifesti di valutazione nonché, su taluni punti, da un difetto di motivazione, se non addirittura da una motivazione contradditoria. Tali vizi incidono, quindi, anche sulla conclusione del Consiglio relativa all’interesse dell’Unione al mantenimento delle misure antidumping in questione.

 Conclusione sulla domanda di annullamento

154    Alla luce delle suesposte considerazioni, senza che sia necessario esaminare i motivi primo e terzo dedotti dalle ricorrenti, si deve accogliere il secondo motivo e annullare in parte la decisione impugnata, in quanto è viziata da errori manifesti di valutazione e da vizi di motivazione che incidono sull’analisi, al contempo, della probabilità di reiterazione del pregiudizio in caso di mancato rinnovo dei dazi antidumping in questione e dell’interesse dell’Unione al mantenimento di tali dazi.

2.     Sulle domande di risarcimento danni

155    La competenza del Tribunale in materia di responsabilità extracontrattuale è prevista dagli articoli 268 e 340, secondo e terzo comma, TFUE. Da quest’ultima disposizione emerge che l’Unione deve risarcire, conformemente ai principi generali comuni ai diritti degli Stati membri, i danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell’esercizio delle loro funzioni.

156    Secondo una giurisprudenza costante, in forza dell’articolo 340, secondo comma, TFUE, la responsabilità extracontrattuale dell’Unione per comportamento illecito delle sue istituzioni o dei suoi organi presuppone che siano soddisfatte varie condizioni, vale a dire l’illiceità del comportamento di cui si fa carico all’istituzione o all’organo dell’Unione, l’effettività del danno e l’esistenza di un nesso di causalità tra il comportamento fatto valere e il danno lamentato (sentenze del 29 settembre 1982, Oleifici Mediterranei/CEE, 26/81, EU:C:1982:318, punto 16, e del 14 dicembre 2005, Beamglow/Parlamento e a., T‑383/00, EU:T:2005:453, punto 95).

157    Nella fattispecie, le ricorrenti fanno valere che le tre condizioni sono soddisfatte, circostanza che il Consiglio contesta.

158    Prima di esaminare se sono soddisfatte nella fattispecie le condizioni della responsabilità dell’Unione, richiamate supra al punto 156, occorre chiarire la portata delle domande delle ricorrenti.

 Sulla portata delle domande delle ricorrenti

159    Conformemente alla giurisprudenza, l’articolo 268 TFUE non vieta di proporre ricorsi per responsabilità per danni imminenti e prevedibili con una certa sicurezza, anche se l’entità del danno non è ancora determinabile (v., in tal senso, sentenza dell’8 giugno 2000, Camar e Tico/Commissione e Consiglio, T‑79/96, T‑260/97 e T‑117/98, EU:T:2000:147, punti 192 e 193 e giurisprudenza ivi citata).

160    Nella fattispecie, le ricorrenti hanno presentato le loro domande di risarcimento danni il 14 agosto 2013, ossia circa due mesi e mezzo dopo la data di entrata in vigore della decisione impugnata, facendo valere che, a partire da tale data, esse subivano un pregiudizio che sarebbe derivato da una violazione grave di norme giuridiche superiori di tutela dell’industria dell’Unione.

161    Secondo le ricorrenti, il pregiudizio asserito avrebbe una duplice natura.

162    Il primo tipo di pregiudizio deriverebbe dal fatto che, dopo la decisione impugnata, le ricorrenti sarebbero state costrette a mantenere i loro prezzi di vendita nell’Unione a livelli non redditizi per competere con le importazioni dall’India, da Taiwan e dalla Tailandia oggetto di dumping. Esse continuerebbero a perdere quote di mercato a favore di produttori indiani, taiwanesi e tailandesi. Tale pregiudizio consisterebbe nella differenza tra l’utile al lordo di interessi, imposte e ammortamenti (in prosieguo: l’«EBITA») stimato per il periodo (in parte futuro al momento della proposizione del ricorso) compreso tra il giugno 2013 e il maggio 2014 e l’EBITA già realizzato nel corso del periodo (passato) compreso tra l’aprile 2012 e il marzo 2013. Le ricorrenti hanno fornito, in allegato all’atto introduttivo del ricorso, un calcolo del danno stimato e hanno chiesto al Tribunale di poter aggiornare, in una fase più avanzata del giudizio, le loro informazioni e i loro calcoli. Secondo le ricorrenti, siffatta possibilità sarebbe già stata ammessa dal Tribunale (v., in tal senso, sentenza del 30 settembre 1998, Coldiretti e a./Consiglio e Commissione, T‑149/96, EU:T:1998:228, punti 49 e 50).

163    Il secondo tipo di pregiudizio, brevemente esposto nell’atto introduttivo del ricorso, deriverebbe dal fatto che le ricorrenti sarebbero state costrette a licenziare personale o a chiudere impianti di produzione nell’Unione in seguito alla decisione impugnata. In allegato all’atto introduttivo del ricorso le ricorrenti menzionano la chiusura imminente di uno stabilimento dell’UAB Indorama Polymers Europe UK nel Regno Unito e di uno stabilimento [riservato] (2). Nella replica, la Lotte Chemical UK ha altresì chiesto il rimborso delle spese di chiusura di uno stabilimento di PTA, la quale sarebbe collegata alla chiusura dello stabilimento dell’UAB Indorama Polymers Europe UK nel Regno Unito.

164    In totale, secondo i calcoli iniziali delle ricorrenti presentati nell’atto introduttivo del ricorso e nella replica, il danno subito dalle stesse sarebbe di [riservato] per la Cepsa Química, [riservato] per l’Equipolymers, [riservato] per l’Indorama Group (che comprende quattro ricorrenti, ossia: l’Indorama Ventures Poland, l’UAB Indorama Polymers Europe, l’UAB Orion Global pet e l’Ottana Polimeri), [riservato] e [riservato] per la Lotte Chemical UK, [riservato] per la M & G Polimeri Italia, [riservato] per la Novapet e [riservato] per l’UAB Neo Group.

165    Nell’ambito dell’aggiornamento delle loro domande di risarcimento (v. supra, punto 28), sette ricorrenti – ossia la Cepsa Química, l’Indorama Ventures Poland, la Lotte Chemical UK, l’Ottana Polimeri, l’UAB Neo Group, l’UAB Indorama Polymers Europe e l’UAB Orion Global pet – hanno rinunciato alla loro domanda di risarcimento danni per le perdite subite (primo tipo di danno asserito). Tale domanda è stata mantenuta unicamente da tre ricorrenti – ossia l’Equipolymers, la M & G Polimeri Italia et la Novapet – e soltanto per il periodo di nove mesi compreso tra il giugno 2013 e il febbraio 2014. Le ricorrenti hanno chiarito che tale limitazione era motivata dall’entrata in vigore della decisione di esecuzione 2014/109/UE della Commissione, del 4 febbraio 2014, che abroga la decisione 2000/745/CE che accetta gli impegni offerti in relazione ai procedimenti antidumping e antisovvenzioni riguardanti le importazioni di un determinato tipo di polietilentereftalato (PET) originario, tra l’altro, dell’India (GU 2014, L 59, pag. 35). Secondo le ricorrenti, la revoca, con tale decisione, degli impegni in materia di prezzi minimi concessa a vari produttori esportatori indiani a decorrere dal 1o marzo 2014 avrebbe determinato un notevole calo delle importazioni di PET dall’India verso l’Unione.

166    Per quanto riguarda il secondo tipo di pregiudizio asserito – ossia le spese di chiusura di taluni impianti – la domanda di risarcimento è stata mantenuta soltanto dall’UAB Indorama Polymers Europe e dalla Lotte Chemical UK, unicamente per i danni da chiusura registrati per il 2013.

167    Inoltre, per i due tipi di danno asseriti, le ricorrenti hanno riconosciuto che una parte potrebbe essere imputata alle perdite generate dalle importazioni dall’Indonesia e dalla Malesia e non alle illegittimità denunciate nella decisione impugnata. In tali circostanze, esse chiedono unicamente il risarcimento per il 77% delle perdite e delle spese di chiusura asserite.

168    Infine, per quanto riguarda il CPME, le ricorrenti hanno precisato che, quale associazione, esso non aveva subito alcun pregiudizio.

169    Ne deriva che le domande di risarcimento danni sono state mantenute, in parte, unicamente dalle seguenti ricorrenti: l’Equipolymers, la M & G Polimeri Italia, la Novapet, l’UAB Indorama Polymers Europe e la Lotte Chemical UK.

170    Occorre quindi esaminare se tali domande soddisfino le tre condizioni della responsabilità extracontrattuale dell’Unione richiamate supra al punto 156.

171    Conformemente alla giurisprudenza, quando una di tali condizioni non è soddisfatta, le pretese risarcitorie devono essere respinte, senza che sia necessario esaminare se le altre condizioni siano soddisfatte (v., in tal senso, sentenze del 15 settembre 1994, KYDEP/Consiglio e Commissione, C‑146/91, EU:C:1994:329, punto 81, e del 20 febbraio 2002, Förde‑Reederei/Consiglio e Commissione, T‑170/00, EU:T:2002:34, punto 37). Peraltro, il giudice dell’Unione non è tenuto a esaminare tali condizioni secondo un ordine prestabilito (sentenza del 9 settembre 1999, Lucaccioni/Commissione, C‑257/98 P, EU:C:1999:402, punto 13).

172    Il Tribunale ritiene opportuno esaminare anzitutto la condizione relativa al nesso di causalità diretto tra il comportamento asserito e il danno lamentato.

 Sul nesso di causalità diretto

173    Secondo una giurisprudenza costante, per quanto riguarda l’esistenza di un nesso di causalità tra il comportamento asserito e il danno lamentato, detto pregiudizio deve derivare in modo sufficientemente diretto dal comportamento contestato, dovendo costituire, quest’ultimo, la causa determinante del danno (sentenza del 4 ottobre 1979, Dumortier e a./Consiglio, 64/76, 113/76, 167/78, 239/78, 27/79, 28/79 et 45/79, EU:C:1979:223, punto 21; v. anche sentenza del 10 maggio 2006, Galileo International Technology e a./Commissione, T‑279/03, EU:T:2006:121, punto 130 e giurisprudenza ivi citata). Spetta al ricorrente fornire la prova dell’esistenza di un nesso di causalità tra il comportamento contestato e il danno lamentato (v. sentenza del 30 settembre 1998, Coldiretti e a./Consiglio e Commissione, T‑149/96, EU:T:1998:228, punto 101 e giurisprudenza ivi citata).

174    Nella fattispecie, occorre esaminare se le ricorrenti abbiano sufficientemente dimostrato che i due tipi di pregiudizio asseriti (v. supra, punti 162 e 163) derivavano in modo sufficientemente diretto dal comportamento contestato.

 Sulle perdite subite dall’Equipolymers, dalla M & G Polimeri Italia e dalla Novapet

175    Nell’ambito dell’aggiornamento della loro domanda di risarcimento danni, fondato su dati reali, le ricorrenti hanno confrontato i dati corrispondenti al periodo di nove mesi successivo all’entrata in vigore della decisione impugnata (dal giugno 2013 al febbraio 2014) con quelli del periodo di nove mesi che ha direttamente preceduto tale entrata in vigore (dal settembre 2012 al maggio 2013).

176    Le ricorrenti hanno osservato che, espresse in percentuale di consumo dell’Unione, consistente in circa 2 119 425 tonnellate metriche (TM) nel corso dei due periodi esaminati, le importazioni dall’India, da Taiwan e dalla Tailandia erano aumentate, passando dal 3,8% circa durante il periodo compreso tra il settembre 2012 e il maggio 2013 al 5,6% nel corso del periodo compreso tra il giugno 2013 e il febbraio 2014. Il prezzo delle importazioni da questi tre paesi sarebbe diminuito di 88 euro/TM tra i due periodi, passando da 1 202 euro/TM nel corso del periodo compreso tra il settembre 2012 e il maggio 2013 a 1 114 euro/TM nel corso del periodo compreso tra il giugno 2013 e il febbraio 2014. Secondo le ricorrenti, è quindi evidente che la revoca illegittima dei dazi antidumping in questione ha comportato un aumento immediato e notevole delle importazioni dall’India, da Taiwan e dalla Tailandia, nonché un calo significativo dei prezzi, il che avrebbe avuto un’incidenza negativa sui risultati delle ricorrenti.

177    Le ricorrenti hanno ritenuto che il danno collegato alle perdite in seguito alla decisione impugnata rappresentasse il 77% della differenza tra l’EBITA realizzato nel corso del periodo compreso tra il settembre 2012 e il maggio 2013 e l’EBITA realizzato nel corso del periodo compreso tra il giugno 2013 e il febbraio 2014. Secondo le ricorrenti, l’EBITA costituisce l’elemento più adeguato per determinare il danno derivante dalla decisione impugnata. Infatti, tale indicatore si fonda principalmente sugli utili e sugli oneri di gestione e non tiene conto di altre fonti di perdita (o di guadagno) potenziali, quali le spese in conto capitale o i costi di chiusura degli impianti. Inoltre, l’EBITA può essere agevolmente verificato mese per mese nei sistemi di gestione delle ricorrenti.

178    Le ricorrenti precisano altresì che il prezzo delle principali materie prime, che potrebbe influire sull’EBITA, è leggermente diminuito tra i due periodi considerati e non ha quindi avuto ripercussioni negative sui risultati dell’EBITA dell’industria dell’Unione.

179    In base a tali precisazioni, l’Equipolymers chiede il pagamento di un importo di [riservato] a titolo di risarcimento danni (invece dell’importo iniziale di [riservato]), la M & G Polimeri Italia un importo di [riservato] (invece dell’importo iniziale di [riservato]) e la Novapet un importo di [riservato] (invece dell’importo iniziale di [riservato]).

180    In primo luogo, il Consiglio osserva che, nell’aggiornamento della domanda di risarcimento danni, le ricorrenti hanno modificato detta domanda, quale era stata inizialmente definita. Infatti, nell’atto introduttivo del ricorso, esse avevano denunciato un mancato guadagno in seguito alla decisione impugnata – che includeva le perdite subite per mantenere le quote di mercato a fronte delle importazioni – mentre, nell’aggiornamento, esse si riferiscono unicamente alla perdita di attività subita. Tuttavia, le ricorrenti avrebbero mantenuto lo stesso metodo per quantificare questi due tipi di perdita – ossia il confronto dell’EBITA nei due periodi – il che dimostra che tale metodo è carente. Peraltro, secondo il Consiglio, la giurisprudenza che autorizza una certa flessibilità riguardo al danno futuro o l’impossibilità di quantificare il danno non può essere estesa al metodo (o alle modifiche apportate a un metodo predeterminato) che deve essere utilizzato per realizzare tale quantificazione.

181    In secondo luogo, il Consiglio fa valere che l’EBITA può essere influenzato da fattori diversi dalla decisione impugnata e non misura le perdite di attività, bensì la redditività delle società. Inoltre, le ricorrenti confrontano gli EBITA constatati in periodi differenti dell’anno (dal settembre 2012 al maggio 2013 e dal giugno 2013 al febbraio 2014), il che va oltre un semplice aggiornamento e falsa l’analisi, in quanto la domanda di PET è più consistente in taluni mesi più che in altri.

182    In terzo luogo, il Consiglio ritiene che la revoca delle domande di risarcimento ad opera della maggior parte delle ricorrenti dimostra che queste ultime non sono state in grado di provare l’esistenza di un danno e che le perdite subite dalle tre ricorrenti che hanno mantenuto le loro domande non sarebbero dovute alla decisione impugnata, ma ad altri fattori. I dati dell’istituto statistico dell’Unione europea (Eurostat) dimostrerebbero che le importazioni dall’India, da Taiwan e dalla Tailandia sono calate nel 2014 e nel 2015, il che spiegherebbe la limitazione, da parte delle ricorrenti, della loro domanda di risarcimento danni al periodo compreso tra il giugno 2013 e il febbraio 2014.

183    Infine, il Consiglio ritiene che il calo dei prezzi delle principali materie prime, qualora sia stato accompagnato da un calo dei prezzi del PET, può aver avuto ripercussioni sui risultati dell’EBITA che non sono stati valutati dalle ricorrenti.

184    In via preliminare, occorre rilevare che la quantificazione iniziale del danno asseritamente patito dalle ricorrenti per le perdite subite a seguito della decisione impugnata (primo danno asserito) si fondava, in parte, su una stima riguardante il periodo compreso tra il giugno 2013 e il maggio 2014 (v. supra, punto 162). Tale calcolo includeva una stima delle perdite imputabili al dumping pregiudizievole previsto a seguito dell’adozione illegittima della decisione impugnata. Tale stima si fondava sull’analisi effettuata dalla Commissione nel 2000, nel momento in cui erano stati imposti, per la prima volta, i dazi antidumping in questione. Infatti, nel regolamento (CE) n. 1742/2000, del 4 agosto 2000, che istituisce un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di alcuni tipi di [PET] originarie dell’India, dell’Indonesia, della Malaysia, della Repubblica di Corea, di Taiwan e della Thailandia (GU 2000, L 199, pag. 48), la Commissione ha constatato che l’industria dell’Unione aveva dovuto rivedere i suoi prezzi nettamente al ribasso per adeguarli a quelli delle importazioni oggetto di dumping al fine di riconquistare la quota di mercato perduta, il che aveva determinato una perdita del 15% del fatturato netto. Un’altra variabile del calcolo utilizzata dalle ricorrenti si fondava sulla stima dell’aumento delle importazioni dai paesi in questione effettuata dalla Commissione nella sua proposta di regolamento. Pertanto, l’esistenza di un danno imputabile all’adozione illegittima della decisione impugnata non era stata dimostrata dalle ricorrenti in base a dati reali.

185    Detta stima è stata sostituita dalla quantificazione del danno effettuata dalle ricorrenti nel loro aggiornamento basato sull’EBITA effettivamente constatato durante il periodo compreso tra il giugno 2013 e il febbraio 2014.

186    Occorre quindi esaminare le domande, quali sono state precisate nell’ambito di tale aggiornamento.

187    Al riguardo, occorre constatare che gli elementi forniti dalle ricorrenti nell’ambito dell’aggiornamento non consentono di dimostrare sufficientemente l’esistenza di un nesso di causalità tra l’adozione illegittima della decisione impugnata e le perdite asserite.

188    Infatti, come sottolinea il Consiglio, le ricorrenti non hanno distinto, nella riduzione del loro EBITA, la quota che sarebbe determinata dall’aumento delle importazioni a basso costo a seguito dell’adozione illegittima della decisione impugnata e quella risultante da altri fattori che possano causare o comportare una diminuzione di tale indicatore economico unico. L’EBITA ha potuto essere influenzato da fattori diversi dalla decisione impugnata, in particolare, il mutamento delle modalità di vendita, la concorrenza tra produttori dell’Unione e la concorrenza tra i prodotti di questi ultimi e le importazioni da paesi diversi dall’India, da Taiwan, dalla Tailandia, dalla Malesia e dall’Indonesia. Al riguardo, va osservato, al pari del Consiglio, che le importazioni dall’India, da Taiwan e dalla Tailandia hanno rappresentato, durante il periodo compreso tra il giugno 2013 e il febbraio 2014, soltanto il 5,6% del consumo dell’Unione e quelle dalla Malesia e dall’Indonesia l’1,72%.

189    Ne deriva che le ricorrenti non hanno dimostrato l’esistenza di un nesso di causalità diretto e sufficiente che potesse far sorgere la responsabilità dell’Unione.

 Sulle spese di chiusura di taluni impianti sostenute dall’UAB Indorama Polymers Europe e dalla Lotte Chemical UK

190    Come è stato ricordato supra al punto 163, le ricorrenti hanno sostenuto in breve, nell’atto introduttivo del ricorso, che sarebbero state anche costrette a licenziare personale o a chiudere impianti di produzione nell’Unione a seguito della decisione impugnata.

191    Nell’aggiornamento le ricorrenti hanno limitato la loro domanda di risarcimento danni subiti a tale titolo alle spese sostenute dall’UAB Indorama Polymers Europe, a causa della chiusura del suo stabilimento nel Regno Unito, e a quelle sostenute dalla Lotte Chemical UK, a causa della chiusura del suo stabilimento di PTA. Peraltro, come è stato ricordato supra al punto 167, tali ricorrenti chiedono soltanto il 77% di tali spese, in quanto, a loro avviso, una parte di queste ultime può essere imputata alle importazioni dalla Malesia e dall’Indonesia. Su tale base, l’UAB Indorama Polymers Europe reclama la somma di [riservato] (invece di [riservato]) e la Lotte Chemical UK la somma di [riservato] (in vece di [riservato]).

192    Il Consiglio contesta l’esistenza di un nesso di causalità. Peraltro, nelle sue osservazioni sull’aggiornamento delle domande di indennizzo delle ricorrenti, il Consiglio fa valere che le domande mantenute sarebbero irricevibili alla luce dell’articolo 84 del regolamento di procedura, in quanto sarebbero state presentate tardivamente, o nella replica per la Lotte Chemical UK, o nell’aggiornamento per l’UAB Indorama Polymers Europe.

193    A tal proposito, per quanto riguarda la fondatezza delle domande, occorre constatare, al pari del Consiglio, che, per dimostrare l’esistenza di un nesso di causalità tra i danni asseriti e il comportamento contestato, le ricorrenti si sono limitate, nell’atto introduttivo del ricorso e nella replica, a produrre comunicati stampa o corrispondenza in cui si dichiarava che la chiusura degli stabilimenti era dovuta alla decisione impugnata. Tuttavia, tali documenti, redatti dalle stesse ricorrenti, non dimostrano che la chiusura di tali impianti è imputabile alla decisione impugnata, in quanto non vengono prodotti né indizi né dati a sostegno. Peraltro, per quanto riguarda lo stabilimento nel Regno Unito dell’UAB Indorama Polymers Europe, il testo stesso del comunicato relativo alla sua chiusura non attribuisce quest’ultima alla decisione impugnata, ma al calo dei margini di profitto e all’aumento della concorrenza, in particolare dall’Asia. Orbene, come sottolinea il Consiglio, le importazioni dalla Corea del Sud, che si trova anch’essa in Asia, sono aumentate nel corso del periodo considerato e potrebbero certo essere state all’origine della chiusura dello stabilimento. Inoltre, per quanto attiene all’impianto di produzione di PTA della Lotte Chemical UK, le ricorrenti non sostengono che la sua chiusura è direttamente imputabile all’adozione illegittima della decisione impugnata, ma si limitano ad affermare che «una delle principali ragioni» di tale chiusura è la chiusura dello stabilimento di PET nel Regno Unito dell’UAB Indorama Polymers Europe.

194    Nell’aggiornamento delle domande di indennizzo le ricorrenti non hanno fornito alcuna prova supplementare che consentisse di dimostrare tale nesso di causalità. Infatti, le ricorrenti si sono limitate a fornire i bilanci consolidati dell’UAB Indorama Polymers Europe e della Lotte Chemical UK per dimostrare le spese collegate ai licenziamenti alla base delle loro domande, senza fornire altri elementi che consentissero di dimostrare l’esistenza di nesso di causalità tra i danni asseriti e le illegittimità denunciate.

195    In tali circostanze, occorre respingere le domande delle ricorrenti relative alle spese di chiusura sostenute dall’UAB Indorama Polymers Europe e dalla Lotte Chemical UK, senza necessità di esaminare se, come sostiene il Consiglio, tali domande siano state presentate in una fase tardiva del procedimento, in violazione dell’articolo 84 del regolamento di procedura.

196    Dalle suesposte considerazioni risulta che le ricorrenti non dimostrano l’esistenza di un nesso di causalità diretto e sufficiente che possa far sorgere la responsabilità dell’Unione.

 Conclusione sulle domande di risarcimento

197    Dato che, conformemente alla giurisprudenza citata supra al punto 171, la mancanza di una sola delle condizioni necessarie per far sorgere la responsabilità dell’Unione è sufficiente per respingere la domanda di risarcimento, le domande di risarcimento delle ricorrenti devono essere respinte nel loro insieme, senza necessità di esaminare le condizioni relative all’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica che conferisce diritti ai singoli e all’esistenza di un pregiudizio.

 Sulle spese

198    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 3, del regolamento di procedura, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, le spese sono compensate. Tuttavia, se ciò appare giustificato alla luce delle circostanze del caso di specie, il Tribunale può decidere che una parte sostenga, oltre alle proprie spese, una quota delle spese dell’altra parte. Peraltro, ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, gli Stati membri e le istituzioni intervenuti nella causa sopporteranno le proprie spese.

199    Nella fattispecie, poiché il Consiglio è rimasto soccombente per quanto riguarda la domanda di annullamento delle ricorrenti e queste ultime sono rimaste soccombenti per quanto riguarda le loro domande di risarcimento, occorre condannare le ricorrenti e il Consiglio a sopportare le proprie spese, ad eccezione di quelle di cui al successivo punto 200.

200    Le intervenienti private sopporteranno, oltre alle proprie spese, quelle sostenute dalle ricorrenti per il loro intervento, conformemente alla domanda di queste ultime.

201    La Commissione sopporterà le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Prima Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      La decisione di esecuzione 2013/226/UE del Consiglio, del 21 maggio 2013, che respinge la proposta di regolamento di esecuzione del Consiglio che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di alcuni tipi di polietilentereftalato originari dell’India, di Taiwan e della Thailandia in seguito a un riesame in previsione della scadenza effettuato ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1225/2009, e che chiude il riesame in previsione della scadenza riguardante le importazioni di alcuni tipi di polietilentereftalato originari dell’Indonesia e della Malaysia, in quanto istituirebbe un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di alcuni tipi di polietilentereftalato originari dell’India, di Taiwan e della Thailandia è annullata, nella parte in cui ha respinto la proposta di istituire un dazio antidumping definitivo sulle importazioni originarie dell’India, di Taiwan e della Thailandia e ha chiuso il procedimento di riesame riguardante le importazioni di polietilentereftalato (PET) provenienti da tali tre paesi.

2)      Le domande di risarcimento danni sono respinte.

3)      Il Committee of Polyethylene Terephthalate (PET) Manufacturers in Europe (CPME), la Cepsa Química, SA, l’Equipolymers Srl, l’Indorama Ventures Poland sp. z o.o., la Lotte Chemical UK Ltd, la M & G Polimeri Italia SpA, la Novapet, SA, l’Ottana Polimeri Srl, l’UAB Indorama Polymers Europe, l’UAB Neo Group e l’UAB Orion Global pet sopporteranno le proprie spese, ad eccezione di quelle di cui al successivo punto 5).

4)      Il Consiglio dell’Unione europea sopporterà le proprie spese.

5)      L’European Federation of Bottled Waters (EFBW), la Caiba, SA, la Coca-Cola Enterprises Belgium (CCEB), la Danone, la Nestlé Waters Management & Technology, la Pepsico International Ltd e la Refresco Gerber BV sopporteranno, oltre alle proprie spese, quelle sostenute dalle ricorrenti per il loro intervento.

6)      La Commissione europea sopporterà le proprie spese.

Kanninen

Pelikánová

Buttigieg

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 5 aprile 2017.

Firme


Indice


Quadro giuridico

Fatti

Procedimento e conclusioni delle parti

In diritto

1.  Sulla domanda di annullamento

Sul secondo motivo, vertente su un errore manifesto di valutazione e sulla violazione dell’articolo 11, paragrafo 2, e dell’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento di base

Sull’analisi che deve essere realizzata dal Consiglio in base all’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento di base e sulla portata del controllo effettuato dal Tribunale sulla decisione impugnata

Sull’esame della probabilità di reiterazione di un pregiudizio ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento di base

–  Sull’esistenza di indicatori economici positivi, in particolare, l’aumento dei prezzi del PET

–  Sul volume non significativo delle importazioni dall’India, da Taiwan e dalla Thailandia durante il periodo dell’inchiesta di riesame

–  Sui reali beneficiari delle misure in termini di quote di mercato

–  Sulla mancanza di sottoquotazioni dei prezzi durante il periodo esaminato

–  Sul volume non significativo delle importazioni dall’India, da Taiwan e dalla Tailandia in caso di soppressione delle misure

–  Sulla tutela sufficiente dell’industria dell’Unione con altre misure di difesa commerciale

–  Sull’incidenza su altri operatori in caso di soppressione delle misure

–  Conclusione sull’esame della probabilità di reiterazione del pregiudizio

Sull’esame dell’interesse dell’Unione ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento di base

Conclusione sulla domanda di annullamento

2.  Sulle domande di risarcimento danni

Sulla portata delle domande delle ricorrenti

Sul nesso di causalità diretto

Sulle perdite subite dall’Equipolymers, dalla M & G Polimeri Italia e dalla Novapet

Sulle spese di chiusura di taluni impianti sostenute dall’UAB Indorama Polymers Europe e dalla Lotte Chemical UK

Conclusione sulle domande di risarcimento

Sulle spese


Allegato


Cepsa Química, SA, con sede in Madrid (Spagna),

Equipolymers Srl, con sede in Milano (Italia),

Indorama Ventures Poland sp. z o.o., con sede in Włocławek (Polonia),

Lotte Chemical UK Ltd, con sede in Cleveland (Regno Unito),

M & G Polimeri Italia SpA, con sede in Patrica (Italia),

Novapet, SA, con sede in Saragozza (Spagna),

Ottana Polimeri Srl, con sede in Ottana (Italia),

UAB Indorama Polymers Europe, con sede in Klaipėda (Lituania),

UAB Neo Group, con sede in Rimkai (Lituania),

UAB Orion Global pet, con sede in Klaipėda.


* Lingua processuale: l’inglese.


1      L’elenco delle altre ricorrenti è allegato solo alla versione notificata alle parti.


2 –      Dati riservati omessi.