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Impugnazione proposta il 3 agosto 2023 dalla Meta Platforms Ireland Ltd, già Facebook Ireland Ltd, avverso la sentenza del Tribunale (Quinta Sezione ampliata) del 24 maggio 2023, causa T-451/20, Meta Platforms Ireland / Commissione

(Causa C-497/23 P)

Lingua processuale: l’inglese

Parti

Ricorrente: Meta Platforms Ireland Ltd, già Facebook Ireland Ltd (rappresentanti: D. Jowell KC, D. Bailey, Barrister-at-Law, J Aitken, D. Das, S. Malhi e R. Haria, Solicitors, T. Oeyen, avocat)

Altre parti nel procedimento: Commissione europea, Repubblica federale di Germania

Conclusioni della ricorrente

La ricorrente chiede che la Corte voglia

annullare la sentenza impugnata;

annullare la decisione C(2020) 3013 final della Commissione, del 4 maggio 2020, relativa a un procedimento ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 3 e dell’articolo 24, paragrafo 1, lettera d), del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio (caso AT.40628 – Pratiche di Facebook relative ai dati), come modificata dalla decisione C(2020) 9231 final della Commissione, dell’11 dicembre 2020 (in prosieguo: la «decisione impugnata»);

o, in subordine:

rinviare la causa al Tribunale affinché si pronunci ex novo sul secondo e terzo motivo del ricorso di annullamento; e

condannare la Commissione a farsi carico di tutte le spese inerenti al presente procedimento e adattare la condanna alle spese di cui alla sentenza impugnata al fine di tener conto dell’esito dell’impugnazione.

Motivi e principali argomenti

A sostegno dell’impugnazione la ricorrente deduce i seguenti motivi:

Primo motivo d’impugnazione, vertente sul fatto che il Tribunale avrebbe erroneamente respinto il secondo motivo di ricorso e sarebbe incorso in un errore di diritto sostenendo, ai punti da 132 a 155, che i termini di ricerca enunciati ai punti 132 e 149 della sentenza impugnata erano conformi al principio di necessità contenuto nell’articolo 18, paragrafi 1 e 3, del regolamento n. 1/20031 . In particolare:

Il Tribunale sarebbe incorso in un errore di diritto concludendo in sostanza, ai punti 134, 138, 140, 143 e 146 della sentenza impugnata, che il principio di necessità era soddisfatto semplicemente perché la Commissione poteva ragionevolmente supporre, in maniera totalmente astratta, che i termini di ricerca fossero idonei ad aiutarla a confermare la sussistenza della condotta di cui al punto 4 della decisione impugnata. Il Tribunale non avrebbe dato alcuna importanza (o, in subordine, importanza insufficiente) al fatto che i termini di ricerca, indebitamente generici, selezionati dalla Commissione, laddove applicati a tutti i documenti della depositaria durante l’intero periodo, avrebbero necessariamente dato luogo a una vasta preponderanza di documenti privi di qualsiasi collegamento con l’indagine (e molti dei quali conterrebbero informazioni personali sensibili o commercialmente riservate) in circostanze in cui la Commissione era consapevole che il suo approccio avrebbe portato a tale risultato.

Il Tribunale avrebbe violato, al punto 136 della sentenza impugnata, l’obbligo di motivazione con riguardo a ricerche alternative e più proporzionate, e parimenti ai punti 140, 143 e 146, che rinviano semplicemente al punto 136.

Il Tribunale sarebbe incorso in un errore di diritto al punto 150 della sentenza impugnata affermando che i documenti possono considerarsi non pertinenti ai fini dell’indagine «solo dopo l’applicazione dei termini di ricerca nelle banche dati della ricorrente». In pratica, un approccio simile rischia di sottrarre il principio di necessità al sindacato giurisdizionale. Infatti, tale approccio conferisce alla Commissione un margine di discrezionalità che è sconfinato e priva il principio di necessità di qualsiasi utilità. Permettere a un’autorità di applicare termini di ricerca manifestamente troppo ampi a un vasto numero di documenti, ottenendo così un’enorme quantità di documenti di riscontro irrilevanti e riservati, non costituisce un’interpretazione corretta del principio giuridico di necessità (e proporzionalità). Il punto 150 avrebbe inoltre trascurato e distorto il vero senso degli elementi probatori della ricorrente, dai quali risulta che la Commissione sapeva in anticipo che i suoi termini di ricerca avrebbero portato a una preminenza schiacciante di documenti non pertinenti (cosa poi effettivamente avvenuta).

Il Tribunale sarebbe incorso in un ulteriore errore di diritto ai punti 152 e 153 rifiutandosi di considerare pertinente il quadro giuridico applicabile alle decisioni di ispezione ai fini delle richieste di informazioni e permettendo alla Commissione di richiedere documenti senza le garanzie o i filtri equivalenti a quelli riconosciuti durante le ispezioni ai sensi dell’articolo 20 del regolamento n. 1/2003.

Secondo motivo d’impugnazione, vertente sul fatto che il Tribunale sarebbe incorso in un errore di diritto e non avrebbe motivato a sufficienza il punto 120 della sentenza impugnata laddove ha dichiarato che «una valutazione globale del rispetto del principio di necessità da parte della Commissione non è appropriata».

Terzo motivo d’impugnazione, vertente sul fatto che il Tribunale avrebbe indebitamente respinto il terzo motivo di ricorso e sarebbe incorso in un errore di diritto ai punti da 226 a 239 della sentenza impugnata, dichiarando che la Commissione poteva richiedere documenti che contenevano informazioni personali ed erano connessi alle attività commerciali della ricorrente senza fornire garanzie o filtri per tali informazioni personali.

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1 Regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del trattato (GU 2003, L 1, pag. 1).