Language of document : ECLI:EU:T:2022:541

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Sesta Sezione ampliata)

14 settembre 2022 (*)

«Concorrenza – Abuso di posizione dominante – Dispositivi mobili intelligenti – Decisione che accerta una violazione dell’articolo 102 TFUE e dell’articolo 54 dell’accordo SEE – Nozioni di piattaforma e di mercato multifaccia («ecosistema») – Sistema operativo (Google Android) – Portale di vendita di applicazioni (Play Store) – Applicazioni per la ricerca e per la navigazione (Google Search e Chrome) – Accordi con i costruttori di dispositivi e con gli operatori di reti mobili – Infrazione unica e continuata – Nozioni di piano globale e di comportamenti attuati nell’ambito della medesima infrazione (pacchetti di prodotti, pagamenti in cambio dell’esclusiva e obblighi antiframmentazione) – Effetti preclusivi – Diritti della difesa – Competenza estesa al merito»

Nella causa T‑604/18,

Google LLC, con sede in Mountain View, California (Stati Uniti),

Alphabet, Inc., con sede in Mountain View,

rappresentate da N. Levy, J. Schindler, A. Lamadrid de Pablo, J. Killick, A. Komninos, G. Forwood, avvocati, P. Stuart, D. Gregory, H. Mostyn, barristers, e M. Pickford, QC,

ricorrenti,

sostenute da

Application Developers Alliance, con sede in Washington, D.C. (Stati Uniti), rappresentata da A. Parr e S. Vaz, solicitors, e R. Baena Zapatero, avvocato,

da

Computer & Communications Industry Association, con sede in Washington, D.C., rappresentata da E. Batchelor e T. Selwyn Sharpe, solicitors, e G. de Vasconcelos Lopes, avvocata,

da

Gigaset Communications GmbH, con sede in Bocholt (Germania), rappresentata da J.‑F. Bellis, avvocato,

da

HMD global Oy, con sede in Helsinki (Finlandia), rappresentata da M. Glader e M. Johansson, avvocati,

e da

Opera Norway AS, già Opera Software AS, con sede in Oslo (Norvegia), rappresentata da M. Glader e M. Johansson, avvocati,

intervenienti,

contro

Commissione europea, rappresentata da N. Khan, A. Dawes, C. Urraca Caviedes e F. Castillo de la Torre, in qualità di agenti,

convenuta,

sostenuta da

BDZV – Bundesverband Digitalpublisher und Zeitungsverleger eV, già Bundesverband Deutscher Zeitungsverleger eV, con sede in Berlino (Germania), rappresentata da T. Höppner, professore, e P. Westerhoff, avvocato,

da

Bureau européen des unions de consommateurs (BEUC), con sede in Bruxelles (Belgio), rappresentato da A. Fratini, avvocata,

da

FairSearch AISBL, con sede in Bruxelles, rappresentata da T. Vinje, D. Paemen e K. Missenden, avvocati,

da

Qwant, con sede in Parigi (Francia), rappresentata da T. Höppner, professore, e P. Westerhoff, avvocato,

da

Seznam.cz, a.s., con sede in Praga (Repubblica ceca), rappresentata da M. Felgr, T. Vinje, D. Paemen, J. Dobrý e P. Chytil, avvocati,

e da

Verband Deutscher Zeitschriftenverleger eV, con sede in Berlino, rappresentata da T. Höppner, professore, e da P. Westerhoff, avvocato,

intervenienti,

IL TRIBUNALE (Sesta Sezione ampliata),

composto da A. Marcoulli, presidente, S. Frimodt Nielsen (relatore), J. Schwarcz, C. Iliopoulos e R. Norkus, giudici,

cancelliere: C. Kristensen, capo unità

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza che si è svolta dal 27 settembre al 1° ottobre 2021,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con il loro ricorso, fondato sull’articolo 263 TFUE, Google LLC (già Google Inc.) e la Alphabet, Inc., di cui Google LLC è la società figlia (in prosieguo, considerate congiuntamente, «Google» o le «ricorrenti») chiedono, in via principale, l’annullamento della decisione C(2018) 4761 final della Commissione, del 18 luglio 2018, relativa a un procedimento a norma dell’articolo 102 TFUE e dell’articolo 54 dell’accordo SEE (Caso AT.40099 – Google Android) (in prosieguo: la «decisione impugnata») o, in subordine, la soppressione o la riduzione dell’ammenda che è stata loro inflitta in tale decisione.

I.      Fatti

2        Google è un’impresa del settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione specializzata nei prodotti e nei servizi legati a Internet e attiva all’interno dello Spazio economico europeo (SEE).

A.      Contesto fattuale

3        Nel 2005, per tener conto della nascita e dello sviluppo di Internet mobile e del probabile cambiamento di comportamento che ciò avrebbe comportato per gli utenti per quanto riguarda le ricerche generali effettuate online, Google ha acquisito l’impresa che aveva inizialmente sviluppato il sistema operativo per dispositivi mobili intelligenti (in prosieguo: il «SO») Android. Nel luglio 2018, secondo la Commissione europea, circa l’80% dei dispositivi mobili intelligenti utilizzati in Europa e nel mondo funzionavano con Android.

4        Quando Google sviluppa una nuova versione di Android pubblica il codice sorgente online. Ciò consente ai terzi di scaricare e di modificare tale codice, per creare così «fork» di Android (un fork è un nuovo software creato a partire dal codice sorgente di un software esistente). Il codice sorgente Android divulgato su licenza open source («Android Open Source Project licence»; in prosieguo: la «licenza AOSP») contiene gli elementi di base di un SO, ma non le applicazioni e i servizi Android di cui Google è proprietaria. I costruttori di apparecchiature originali (in prosieguo: gli «OEM») che intendano ottenere applicazioni e servizi di Google devono quindi concludere contratti con Google. Tali contratti sono altresì conclusi da Google con i gestori di reti mobili (in prosieguo: gli «MNO») che desiderino poter installare le applicazioni e i servizi di proprietà di Google sui dispositivi venduti agli utenti finali.

5        Alcuni di questi contratti sono oggetto della presente causa.

B.      Procedimento dinanzi alla Commissione

6        Il 25 marzo 2013 la FairSearch AISBL, un’associazione di imprese attive nel settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ha presentato una denuncia alla Commissione per quanto riguarda talune pratiche commerciali di Google in Internet mobile. A seguito di tale denuncia la Commissione ha inviato richieste di informazioni a Google, ai suoi clienti, ai suoi concorrenti e ad altri soggetti attivi in tale ambiente. Anche altri soggetti hanno denunciato alla Commissione il comportamento di Google in Internet mobile.

7        Il 15 aprile 2015 la Commissione ha avviato un procedimento nei confronti di Google per quanto riguarda il sistema operativo Android.

8        Il 20 aprile 2016 la Commissione ha inviato a Google una comunicazione degli addebiti. Una versione non riservata della comunicazione degli addebiti è stata inviata anche ai 17 denuncianti e terzi interessati.

9        Tra l’ottobre 2016 e l’ottobre 2017 la Commissione ha ricevuto osservazioni sulla comunicazione degli addebiti da parte di undici denuncianti e terzi interessati. Nel dicembre 2016 Google ha presentato la versione definitiva della sua risposta alla comunicazione degli addebiti (in prosieguo: la «risposta alla comunicazione degli addebiti»). A tale data Google non aveva chiesto lo svolgimento di un’audizione.

10      Tra l’agosto 2017 e il maggio 2018, la Commissione ha presentato a Google diversi elementi fattuali che potevano suffragare le conclusioni presentate nella comunicazione degli addebiti. La comunicazione di tali elementi è stata effettuata in particolare, il 31 agosto 2017, con una prima lettera di esposizione dei fatti e, l’11 aprile 2018, con una seconda lettera di esposizione dei fatti. Google ha presentato le proprie osservazioni su tali lettere, rispettivamente, il 23 ottobre 2017 e il 7 maggio 2018.

11      Inoltre, nel settembre 2017, Google ha chiesto di ottenere tutti i documenti pertinenti relativi alle riunioni che la Commissione aveva potuto avere con i terzi. La Commissione ha risposto a tale domanda nel febbraio 2018.

12      Google ha avuto accesso al fascicolo nel 2016 a seguito della comunicazione degli addebiti, nel 2017 a seguito della prima lettera di esposizione dei fatti e nel 2018 a seguito della seconda lettera di esposizione dei fatti.

13      Il 7 maggio 2018 Google ha chiesto che si tenesse un’audizione. Tale domanda è stata respinta dalla Commissione il 18 maggio 2018.

14      Il 21 giugno 2018, su richiesta della Google, la Commissione le ha trasmesso due lettere di terzi interessati. Google ha presentato le proprie osservazioni su tali documenti il 27 giugno 2018.

C.      Decisione impugnata

15      Il 18 luglio 2018 la Commissione ha adottato la decisione impugnata. In quest’ultima la Commissione ha inflitto un’ammenda a Google LLC e, in parte, alla Alphabet Inc. per aver commesso una violazione delle regole di concorrenza imponendo restrizioni contrattuali anticoncorrenziali agli OEM e agli MNO al fine di proteggere e di consolidare la posizione dominante di Google nei mercati nazionali, all’interno del SEE, dei servizi di ricerca generale.

16      Nella decisione impugnata vengono individuate tre serie di restrizioni contrattuali:

–        le restrizioni inserite negli accordi di distribuzione delle applicazioni mobili (in prosieguo: gli «ADAM») in forza delle quali Google imponeva agli OEM di preinstallare le sue applicazioni di ricerca generale (Google Search) e di navigazione (Chrome), prima di poter ottenere una licenza di sfruttamento per il suo portale di vendita di applicazioni (Play Store);

–        le restrizioni inserite negli accordi antiframmentazione (in prosieguo: gli «AAF»), in forza delle quali gli OEM che intendevano preinstallare applicazioni Google non potevano vendere dispositivi che funzionavano su versioni di Android non approvate da Google;

–        le restrizioni inserite negli accordi di ripartizione dei ricavi (in prosieguo: gli «ARR») in forza dei quali Google concedeva agli OEM e agli MNO una percentuale dei suoi introiti pubblicitari purché tali costruttori o gestori avessero accettato di non preinstallare un servizio di ricerca generale concorrente su uno qualsiasi dei dispositivi rientranti in un portafoglio definito di comune accordo (in prosieguo: gli «ARR per portafoglio»).

17      Per quanto riguarda la durata delle restrizioni contrattuali (in prosieguo, considerate congiuntamente: le «restrizioni controverse»), quelle collegate agli ADAM sono durate, per il pacchetto Google Search e Play Store, dal 1º gennaio 2011 alla data della decisione impugnata e, per il pacchetto Chrome, Google Search e Play Store, dal 1º agosto 2012 alla data della decisione impugnata; quelle collegate agli AAF sono durate dal 1º gennaio 2011 alla data della decisione impugnata, e quelle collegate agli ARR sono durate dal 1º gennaio 2011 al 31 marzo 2014, data in cui è cessato l’ultimo ARR per portafoglio.

18      Secondo la Commissione, le restrizioni controverse avevano l’obiettivo di proteggere e di rafforzare la posizione dominante di Google in materia di servizi di ricerca generale e, pertanto, i redditi percepiti da tale impresa mediante annunci pubblicitari collegati a tali ricerche. L’obiettivo comune e l’interdipendenza delle restrizioni controverse hanno indotto la Commissione a qualificarle come infrazione unica e continuata agli articoli 102 TFUE e 54 dell’accordo SEE.

19      Per sanzionare tali pratiche considerate abusive la Commissione ha inflitto a Google un’ammenda pari a EUR 4 342 865 000. Per determinare tale importo, la Commissione ha preso in considerazione il valore delle vendite rilevanti all’interno del SEE, in relazione all’infrazione unica e continuata, realizzate da Google nell’ultimo anno di partecipazione all’infrazione (2017) e ha applicato ad esso un coefficiente di gravità (11%). La Commissione ha poi moltiplicato l’importo ottenuto per il numero di anni di partecipazione all’infrazione (circa 7,52) e ha aggiunto ad esso un importo supplementare (pari all’11% del valore delle vendite del 2017) al fine di dissuadere imprese simili dall’intraprendere pratiche identiche. La Commissione ha altresì ritenuto che non occorresse applicare circostanze attenuanti o aggravanti o tener conto, in particolare, della notevole capacità finanziaria di Google per modificare l’importo dell’ammenda al ribasso o al rialzo.

20      La Commissione ha altresì imposto a Google di porre fine a tali pratiche entro 90 giorni dalla notifica della decisione impugnata.

II.    Procedimento e conclusioni delle parti

21      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 9 ottobre 2018, Google ha proposto il presente ricorso.

22      Su richiesta della Commissione, il termine per il deposito del controricorso è stato prorogato più volte. Infine, esso è stato fissato al 15 marzo 2019, data in cui tale memoria è stata depositata.

23      Su richiesta di Google, il termine per il deposito della replica è stato prorogato più volte. Infine, esso è stato fissato al 1º luglio 2019, data in cui la replica è stata depositata.

24      Su richiesta della Commissione, il termine per il deposito della controreplica è stato prorogato più volte. Infine, esso è stato fissato al 29 novembre 2019, data in cui la controreplica è stata depositata.

A.      Istanze di intervento

25      Sono state presentate undici istanze di intervento entro il termine previsto dall’articolo 143, paragrafo 1, del regolamento di procedura del Tribunale.

26      Con ordinanza del presidente della Terza Sezione, del 23 settembre 2019:

–        l’Application Developers Alliance (in prosieguo: l’«ADA»), la Computer & Communications Industry Association (in prosieguo: la «CCIA»), la Gigaset Communications GmbH (in prosieguo: la «Gigaset»), la HMD global Oy (in prosieguo: la «HMD») e l’Opera Norway AS, già Opera Software AS (in prosieguo: l’«Opera») sono state ammesse a intervenire a sostegno delle conclusioni di Google;

–        il Bureau européen des unions de consommateurs (BEUC), la Verband Deutscher Zeitschriftenverleger eV (in prosieguo: la «VDZ»), la BDZV – Bundesverband Digitalpublisher und Zeitungsverleger eV (in prosieguo: la «BDZV»), la Seznam.cz, a.s. (in prosieguo: la «Seznam»), la FairSearch e la Qwant sono stati ammessi a intervenire a sostegno delle conclusioni della Commissione.

27      Al fine di consentire agli intervenienti di pronunciarsi su tutte le memorie delle parti principali, il termine per il deposito delle memorie di intervento è stato fissato a decorrere dal deposito della versione comune non riservata della controreplica.

28      Su richiesta di alcuni intervenienti, il termine per il deposito delle memorie di intervento è stato prorogato più volte. Infine, esso è stato fissato al 30 giugno 2020, data in cui tutte queste memorie sono state depositate.

29      Il 12 ottobre 2020 le parti principali hanno depositato le proprie osservazioni sulle memorie di intervento.

B.      Svolgimento del procedimento, principali domande di trattamento riservato e istruzione della causa

30      Su richiesta delle parti principali, il termine per il deposito delle domande di trattamento riservato del ricorso, del controricorso, della replica e della controreplica è stato prorogato più volte. Per il ricorso e il controricorso, esso è stato fissato, da ultimo, al 13 settembre 2019, data in cui le parti principali hanno depositato una versione comune non riservata di ciascuno di tali documenti. Per la replica e la controreplica, esso è stato fissato, da ultimo, rispettivamente, all’11 dicembre 2019 e al 1º maggio 2020, date in cui le parti principali hanno depositato una versione comune di ciascuno di tali documenti.

31      Per quanto attiene a tali documenti, le uniche obiezioni alle domande di trattamento riservato sono state presentate dalla FairSearch il 20 marzo 2020 a proposito della riservatezza invocata da Google riguardo a tre allegati della controreplica.

32      Il 7 aprile 2020, nell’ambito di una misura di organizzazione del procedimento prevista all’articolo 89 del regolamento di procedura, il Tribunale ha chiesto a Google precisazioni sulla portata della riservatezza invocata riguardo ai tre allegati individuati dalla FairSearch. Google ha risposto il 23 aprile 2020 e ha prodotto nuove versioni di tali allegati.

33      Il 6 maggio 2020, nell’ambito di una misura di organizzazione del procedimento, il Tribunale ha chiesto alla FairSearch se, alla luce delle nuove versioni dei tre allegati della controreplica trasmesse da Google, essa manteneva le proprie obiezioni riguardo alla riservatezza di tali documenti. La FairSearch ha risposto il 1º giugno 2020 dichiarando di non mantenere le sue obiezioni.

34      Su richiesta delle parti principali, il termine per il deposito delle domande di trattamento riservato delle loro osservazioni sulle memorie di intervento è stato prorogato più volte. Infine, esso è stato fissato all’11 dicembre 2020, data in cui sono state depositate versioni comuni non riservate di tali osservazioni.

35      Per quanto riguarda le osservazioni delle parti principali sulle memorie di intervento, le uniche obiezioni alle domande di trattamento riservato sono state presentate dal BEUC l’8 gennaio 2021 a proposito della riservatezza invocata da Google riguardo a un allegato dell’atto introduttivo del ricorso e a taluni passaggi delle osservazioni di Google sulla memoria di intervento del BEUC.

36      Il 21 gennaio 2021, nell’ambito di una misura di organizzazione del procedimento, il Tribunale ha chiesto a Google precisazioni sulla portata della riservatezza invocata riguardo a tale allegato del ricorso e a tali passaggi delle sue osservazioni. Google ha risposto il 27 gennaio 2021 e ha prodotto nuove versioni dell’allegato del ricorso individuato dal BEUC, nonché delle sue osservazioni sulla memoria di intervento del BEUC.

37      Il 18 febbraio 2021, nell’ambito di una misura di organizzazione del procedimento, il Tribunale ha chiesto al BEUC se, alla luce della nuova versione non riservata dell’allegato da esso individuato, nonché della nuova versione non riservata delle osservazioni di Google sulla sua memoria di intervento, esso mantenesse le proprie obiezioni. Il BEUC ha risposto il 5 marzo 2021 dichiarando che non manteneva le sue obiezioni.

38      Gli sforzi congiunti di tutte le parti nel corso dell’intero procedimento hanno consentito, nonostante gli interessi divergenti che spesso erano in gioco, di risolvere le difficoltà connesse al carattere riservato delle informazioni, dei dati e dei documenti invocati nell’ambito della presente causa, e di autorizzare l’esame della causa alla luce di una versione comune non riservata. Taluni dati riservati, noti alle parti principali, sono stati sostituiti qui di seguito dalle forbici utilizzate nella versione pubblica della decisione impugnata disponibile sul sito Internet della Commissione.

39      Essendo stata modificata la composizione delle sezioni del Tribunale, a norma dell’articolo 27, paragrafo 5, del regolamento di procedura, il giudice relatore è stato assegnato alla Sesta Sezione del Tribunale, alla quale, di conseguenza, è stata attribuita la presente causa.

40      La fase scritta del procedimento si è conclusa il 19 marzo 2021 con la comunicazione delle ultime osservazioni sulle domande di trattamento riservato.

41      Il 6 aprile 2021 Google ha chiesto di essere sentita in un’udienza di discussione.

42      Su proposta della Sesta Sezione, il Tribunale ha deciso, a norma dell’articolo 28 del regolamento di procedura, di rinviare la causa alla Sesta Sezione ampliata.

43      Su proposta del giudice relatore, il Tribunale ha deciso di avviare la fase orale del procedimento.

44      Il 25 giugno 2021, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento, il Tribunale ha invitato le parti a rispondere a una prima serie di quesiti. Le parti hanno risposto a tali quesiti riguardanti il merito della causa e le parti principali hanno presentato le loro osservazioni scritte su tali risposte.

45      Il 5 luglio 2021 il Tribunale ha invitato le parti a presentare le loro osservazioni sulla programmazione prevista per le diverse giornate dell’udienza. Tale programmazione è stata adattata in considerazione delle osservazioni presentate al riguardo.

46      Una relazione d’udienza è stata trasmessa alle parti e Google e la Commissione hanno presentato, rispettivamente, il 7 settembre e il 24 settembre 2021, osservazioni su tale documento. Il Tribunale ha preso atto di tali osservazioni.

47      Le parti principali e gli intervenienti hanno svolto le loro difese orali e risposto ai quesiti orali posti dal Tribunale all’udienza che si è svolta in cinque giorni, dal 27 settembre al 1° ottobre 2021.

C.      Conclusioni delle parti

48      Google, sostenuta dall’ADA, dalla CCIA, dalla Gigaset, dalla HMD e dall’Opera, chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        in subordine, annullare o ridurre l’ammenda;

–        condannare la Commissione al pagamento delle spese;

–        condannare il BEUC, la VDZ, la BDZV, la Seznam, la FairSearch e la Qwant alle spese connesse al loro intervento.

49      L’ADA, la CCIA, la Gigaset, la HMD e l’Opera chiedono, a loro volta, che il Tribunale voglia condannare la Commissione alle spese connesse al loro intervento.

50      La Commissione, sostenuta dal BEUC, dalla VDZ, dalla BDZV, dalla Seznam, dalla FairSearch e dalla Qwant, chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare Google alle spese.

–        condannare l’ADA, la CCIA, la Gigaset, la HMD e l’Opera alle spese connesse al loro intervento.

51      Il BEUC, la VDZ, la BDZV, la Seznam, la FairSearch e la Qwant chiedono, a loro volta, che il Tribunale voglia condannare Google alle spese connesse al loro intervento.

III. In diritto

52      A sostegno del ricorso, le ricorrenti deducono sei motivi:

–        il primo motivo verte sull’erronea valutazione della definizione del mercato e sull’esistenza di una posizione dominante;

–        il secondo motivo verte sull’erronea valutazione del carattere abusivo delle condizioni di preinstallazione degli Adam;

–        il terzo motivo verte sull’erronea valutazione del carattere abusivo della condizione unica di preinstallazione inclusa negli ARR per portafoglio;

–        il quarto motivo verte sull’erronea valutazione del carattere abusivo del fatto di subordinare la concessione delle licenze di Play Store e di Google Search al rispetto degli obblighi antiframmentazione (in prosieguo: gli «OAF») contenuti negli AAF;

–        il quinto motivo verte sulla violazione dei diritti della difesa;

–        il sesto motivo verte sull’erronea valutazione dei diversi elementi presi in considerazione per il calcolo dell’ammenda.

A.      Osservazioni preliminari

53      Prima di esaminare gli argomenti delle parti, occorre formulare alcune osservazioni sul contesto commerciale delle condotte sanzionate, sulle modalità del controllo giurisdizionale della decisione impugnata e sull’assunzione della prova nonché sulla ricevibilità degli elementi di prova presentati dinanzi al Tribunale.

1.      Sul contesto commerciale delle condotte sanzionate 

54      Il dizionario online Merriam Webster definisce il verbo «to google» come l’azione consistente «nell’utilizzare il motore di ricerca di Google per ottenere informazioni su qualcuno o qualcosa nella rete Internet globale». Sono rare le imprese che possono avvalersi di una notorietà tale che il loro nome ha dato origine ad un verbo e questo solo fatto testimonia l’importanza acquisita da Google nella vita quotidiana.

a)      Modello commerciale incentrato sulla ricerca attraverso Google Search

55      Google trae la maggior parte delle sue entrate dal suo prodotto di punta: il motore di ricerca Google Search. Sui dispositivi mobili intelligenti, gli utenti possono accedere al motore di ricerca Google Search con l’applicazione Google Search o attraverso altri punti di accesso, come il gadget di ricerca (search widget), o una barra URL che si trova nel browser. Tale motore di ricerca fornisce servizi di ricerca generale («general search services») e consente agli utenti di cercare una risposta alle loro richieste nell’intera rete Internet (punti da 94 a 101 e 106 della decisione impugnata).

56      Il modello commerciale di Google si basa sull’interazione tra, da un lato, prodotti e servizi connessi a Internet, proposti il più delle volte gratuitamente agli utenti e, dall’altro, servizi di pubblicità online, da cui trae la maggior parte delle sue entrate. Pertanto, il SO Android, il portale di vendita di applicazioni Play Store, l’applicazione Google Search, il browser Chrome, il servizio di messaggeria Gmail, il servizio di archiviazione e di modifica di contenuti Google Drive, il servizio di geolocalizzazione Google Maps, il servizio di diffusione di contenuti YouTube sono proposti gratuitamente. Altri servizi sono a pagamento, come Google Play Music and Movie, e alcuni propongono una formula premium a pagamento, come YouTube e Google Drive (punto 107 e nota a piè di pagina n. 65 della decisione impugnata). Nel 2016, ad esempio, la pubblicità online ha rappresentato l’88,7% del totale delle entrate di Google, di cui l’80% è stato generato attraverso i siti di Google, in particolare la pagina iniziale di Google Search (punti da 105 a 107 e nota a piè di pagina n. 62 della decisione impugnata).

57      A differenza del modello commerciale adottato, ad esempio, da Apple, che è basato sull’integrazione verticale e sulla vendita di dispositivi mobili intelligenti di fascia alta, il modello commerciale di Google si basa soprattutto sull’aumento degli utenti dei suoi servizi di ricerca online per poter vendere i propri servizi di pubblicità online (punto 153 della decisione impugnata).

58      In occasione delle interazioni degli utenti con i suoi prodotti e servizi, Google raccoglie dati sulle loro attività commerciali e sull’uso dei loro dispositivi. I dati ottenuti comprendono, in particolare, le informazioni di contatto (nome, indirizzo, indirizzo di posta elettronica, numero di telefono); i dati di autenticazione dell’account (nome utente e password); informazioni demografiche (genere e data di nascita); i dati della carta o del conto bancario utilizzati; informazioni sul contenuto servito all’utente (pubblicità, pagine visitate, ecc.); i dati di interazione, quali i «clic»; la localizzazione; dati relativi al dispositivo e all’operatore utilizzati. Tali dati consentono a Google di rafforzare la propria capacità di presentare risposte di ricerca e annunci pubblicitari pertinenti (punti da 109 a 111 della decisione impugnata).

b)      Pratiche adottate durante il passaggio a Internet mobile 

59      Il modello commerciale di Google è stato sviluppato inizialmente nell’ambiente dei personal computer (PC), per i quali il browser era il principale punto di ingresso in Internet. A metà degli anni 2000 Google ha compreso che lo sviluppo di Internet mobile avrebbe costituito un cambiamento fondamentale nelle abitudini degli utenti, tenendo conto, in particolare, delle opportunità offerte dalla geolocalizzazione.

60      Tale prevedibile espansione ha indotto Google a porre in essere una strategia per anticipare gli effetti di tale cambiamento e per fare in modo che gli utenti effettuino le loro ricerche sui dispositivi mobili attraverso Google Search (punti da 112 a 117 della decisione impugnata). Tale strategia ha assunto diversi aspetti.

61      Da un lato, nel 2005, Google ha acquisito il programmatore iniziale del SO Android per riprendere in proprio il suo sviluppo e la sua manutenzione (punti da 120 a 123 della decisione impugnata). Il SO Android è proposto senza corrispettivo finanziario agli OEM, agli MNO e agli sviluppatori di applicazioni mediante una licenza open source, la licenza AOSP (punto 124 della decisione impugnata). Il SO Android è altresì inserito in un «ecosistema», che incorpora altri elementi come l’insieme dei servizi Google Mobile («GMS bundle» o «Google Mobile Services»; in prosieguo: il «pacchetto GMS») (v. punto 133 della decisione impugnata) che comprende in particolare il portale di vendita di applicazioni Play Store, l’applicazione Google Search e il browser Chrome. Le prime versioni commerciali di dispositivi Android sono state commercializzate tra il 2008 e il 2009.

62      D’altro lato, a partire dal 2007, Google ha concluso un accordo con Apple per consentire a Google Search di essere definito come il servizio di ricerca generale standard su tutti i dispositivi mobili intelligenti lanciati da Apple a partire dall’iPhone. Tale accordo ha consentito a Google Search di rappresentare, nel 2010, più della metà del traffico Internet sull’iPhone e quasi un terzo di tutto il traffico Internet mobile (punti 118 e 119 della decisione impugnata).

63      Inoltre, Google è attiva anche nella produzione di dispositivi Google Android con le proprie gamme Nexus e Pixel (punti 152 e 153 della decisione impugnata).

c)      Infrazione unica che presenta diversi aspetti 

64      Nella presente causa la Commissione ha ritenuto che taluni aspetti della strategia attuata da Google per adeguare il suo modello commerciale alla transizione verso Internet mobile costituissero un abuso di posizione dominante.

65      Ciò varrebbe per le restrizioni controverse imposte da Google agli OEM e agli MNO per fare in modo che il traffico sui dispositivi Google Android sia indirizzato verso il motore di ricerca Google Search. Secondo la Commissione, tali pratiche hanno avuto l’effetto di privare i concorrenti di Google – quali Qwant o Seznam – della possibilità di farle concorrenza attraverso i loro meriti e di privare i consumatori dell’Unione europea dei vantaggi di una concorrenza effettiva, come la possibilità di utilizzare un motore di ricerca che privilegia la tutela della vita privata, adeguato a particolarità linguistiche o che privilegia i contenuti a valore aggiunto, in particolare nel settore dell’informazione.

66      Come è stato esposto supra, in base alle sezioni da 11 a 13 della decisione impugnata, le restrizioni controverse erano di tre tipi:

–        le restrizioni inserite negli ADAM in forza dei quali Google imponeva agli OEM di preinstallare le sue applicazioni di ricerca generale (Google Search) e di navigazione (Chrome), prima di poter ottenere una licenza per il suo portale di vendita di applicazioni online (Play Store);

–        le restrizioni inserite negli AAF in forza dei quali gli OEM che intendevano preinstallare applicazioni di Google non potevano vendere dispositivi che funzionavano su versioni di Android non approvate da Google;

–        le restrizioni inserite negli ARR per portafoglio in forza dei quali Google concedeva agli OEM e agli MNO una percentuale dei suoi introiti pubblicitari, a condizione che tali costruttori e tali operatori avessero accettato di non preinstallare un servizio concorrente di ricerca generale su uno qualsiasi dei dispositivi rientranti in un portafoglio definito di comune accordo.

67      Secondo la Commissione, le restrizioni controverse rientravano in una strategia generale di Google volta a consolidare la sua posizione dominante nel mercato della ricerca generale in Internet, nel momento in cui l’importanza di Internet mobile stava aumentando in modo significativo (v. sezione 14 della decisione impugnata).

68      L’obiettivo di tale strategia sarebbe stato quello di preservare le possibilità di Google di vedere i consumatori utilizzare il suo motore di ricerca quando effettuavano le loro ricerche generali in Internet, il che le avrebbe garantito non solo l’ottenimento degli introiti pubblicitari corrispondenti, ma anche l’acquisizione delle informazioni necessarie per migliorare i suoi servizi. Se i mezzi utilizzati fossero stati molteplici e avessero interagito, l’obiettivo sarebbe rimasto complessivamente lo stesso:

–        gli ADAM avevano l’obiettivo di consentire a Google di garantire che i dispositivi Google Android commercializzati disponessero dell’applicazione Google Search e del browser Chrome, i due principali punti di accesso per effettuare una ricerca generale; la preinstallazione di tali applicazioni avrebbe così avuto l’effetto di consentire a Google di beneficiare del cosiddetto «status quo bias (pregiudizio dello status quo)» ad essa collegata, un vantaggio che avrebbe avuto effetti significativi sulla concorrenza riducendo in particolare le possibilità di scelta offerte ai consumatori;

–        gli AAF avevano l’obiettivo di consentire a Google di evitare la comparsa di soluzioni per sfruttare il SO Android a suo svantaggio; pertanto, la società Amazon non sarebbe riuscita a servirsi di Android per sviluppare le proprie soluzioni in termini di applicazioni e di servizi corrispondenti;

–        Gli ARR per portafoglio, che certamente non avrebbero incluso tutti i dispositivi Google Android e che sarebbero stati attuati solo per un breve periodo, avevano l’obiettivo di consentire a Google di ottenere ciò che non era formalmente previsto dagli altri accordi, vale a dire l’esclusiva; infatti, in applicazione di tali accordi di ripartizione dei ricavi, OMN e MNO si impegnavano a preinstallare soltanto il motore di ricerca Google Search.

69      Occorre anche mettere in evidenza un punto importante del ragionamento svolto dalla Commissione nella decisione impugnata, in particolare ai punti 738 e 739 e alla sezione 14.2.

70      Infatti, la Commissione ha individuato tre tipi di restrizioni controverse negli ADAM, negli AAF e negli ARR per portafoglio e ha ritenuto che esse dessero luogo a «quattro infrazioni distinte» all’articolo 102 TFUE.

71      Tuttavia, la Commissione ha altresì ritenuto che tali restrizioni, e le infrazioni che ne derivavano, perseguissero un obiettivo identico e fossero complementari e interdipendenti. Tale insieme costituirebbe quindi un’«infrazione unica e continuata» per la quale veniva inflitta una sola ammenda.

72      Siffatta infrazione presenterebbe quindi diversi aspetti, e ciascuno di essi si è evoluto nel tempo secondo i propri parametri, pur essendo tutti legati dall’obiettivo comune di garantire a Google il miglior accesso possibile alle ricerche generali effettuate dai consumatori su dispositivi mobili intelligenti. Esisterebbe altresì un «effetto cumulativo» non trascurabile legato alla combinazione dei diversi aspetti di tale infrazione. In particolare, gli effetti delle restrizioni controverse non sarebbero gli stessi a partire dal momento in cui la garanzia di presenza consentita dagli ADAM, sebbene non esclusiva, era rafforzata dall’esclusiva conferita dagli ARR.

2.      Sulle modalità del controllo giurisdizionale 

73      Occorre rammentare che il sistema di controllo giurisdizionale delle decisioni della Commissione riguardanti i procedimenti ai sensi degli articoli 101 e 102 TFUE consiste in un controllo di legittimità degli atti delle istituzioni previsto all’articolo 263 TFUE, il quale può essere integrato, in applicazione dell’articolo 261 TFUE e su richiesta del ricorrente, dall’esercizio da parte del Tribunale di una competenza estesa al merito per quanto riguarda le sanzioni inflitte in tale settore dalla Commissione (v. sentenza del 26 settembre 2018, Infineon Technologies/Commissione, C‑99/17 P, EU:C:2018:773, punto 47 e giurisprudenza ivi citata).

a)      Controllo approfondito di tutti gli elementi pertinenti

74      Per quanto riguarda il controllo di legittimità di cui all’articolo 263 TFUE, occorre rilevare che la sua portata si estende a tutti gli elementi delle decisioni della Commissione relative ai procedimenti in applicazione degli articoli 101 e 102 TFUE di cui il Tribunale garantisce un controllo approfondito, in diritto e in fatto, alla luce dei motivi dedotti dal ricorrente e in considerazione di tutti gli elementi pertinenti forniti da quest’ultima (v. sentenza del 26 settembre 2018, Infineon Technologies/Commissione, C‑99/17 P, EU:C:2018:773, punto 48 e giurisprudenza ivi citata).

75      A tal riguardo, nei limiti in cui la decisione impugnata sanziona con un’ammenda e con una penalità di mora un’infrazione al diritto della concorrenza, il giudice dell’Unione è tenuto in particolare a verificare non solo l’esattezza materiale degli elementi di prova invocati dalla Commissione, la loro attendibilità e la loro coerenza, ma altresì ad accertare se tali elementi costituiscano l’insieme dei dati rilevanti che devono essere presi in considerazione per valutare l’esistenza dei fatti costitutivi dell’infrazione e se consentano di corroborare l’interpretazione che ne viene data dalla Commissione nella decisione impugnata (v., in tal senso, sentenza dell’8 dicembre 2011, Chalkor/Commissione, C‑386/10 P, EU:C:2011:815, punto 54 e giurisprudenza ivi citata).

76      Infatti, a differenza, ad esempio, di un’analisi prospettica richiesta per l’esame di un progetto di concentrazione, che necessita di prevedere eventi che si verificheranno in futuro, con una probabilità più o meno forte, qualora non sia adottata alcuna decisione volta a vietare o a precisare i presupposti della concentrazione prevista, nella maggior parte dei casi, quando sanziona un abuso di posizione dominante, per la Commissione si tratta di esaminare eventi del passato, riguardo ai quali esistono generalmente numerosi elementi che consentono di comprenderne le cause e di valutarne gli effetti sulla concorrenza effettiva (v., in tal senso, sentenza del 15 febbraio 2005, Commissione/Tetra Laval, C‑12/03 P, EU:C:2005:87, punto 42).

77      In una situazione del genere, la Commissione è tenuta a provare non solo l’esistenza dell’abuso, ma anche la sua durata. Più in particolare, la Commissione deve fornire la prova dell’infrazione che constata e produrre gli elementi di prova idonei a dimostrare, in modo giuridicamente valido, l’esistenza dei fatti che integrano l’infrazione (v., in tal senso, sentenze del 5 ottobre 2011, Romana Tabacchi/Commissione, T‑11/06, EU:T:2011:560, punto 129 e giurisprudenza ivi citata, e del 15 luglio 2015, Trafilerie Meridionali/Commissione, T‑422/10, EU:T:2015:512, punto 88 e giurisprudenza ivi citata).

78      A tal riguardo, la circostanza che il giudice nutra un dubbio deve avvantaggiare l’impresa destinataria della decisione che constata l’infrazione. Il giudice non può quindi concludere che la Commissione abbia adeguatamente dimostrato, sotto il profilo giuridico, l’esistenza dell’infrazione di cui trattasi qualora egli nutra ancora dubbi in merito a tale questione, in particolare nel contesto di un ricorso diretto all’annullamento o alla riforma di una decisione che infligge un’ammenda (v., in tal senso, sentenze del 5 ottobre 2011, Romana Tabacchi/Commissione, T‑11/06, EU:T:2011:560, punto 129 e giurisprudenza ivi citata, e del 15 luglio 2015, Trafilerie Meridionali/Commissione, T‑422/10, EU:T:2015:512, punto 88 e giurisprudenza ivi citata).

79      In particolare, qualora la Commissione constati una violazione delle norme sulla concorrenza basandosi sull’ipotesi che i fatti accertati possano essere spiegati soltanto con l’esistenza di un comportamento anticoncorrenziale, il giudice sarà indotto ad annullare la decisione di cui trattasi qualora l’impresa interessata deduca un argomento che ponga in una luce diversa i fatti accertati dalla Commissione e che consenta, quindi, di sostituire una diversa spiegazione plausibile dei fatti a quella considerata dalla Commissione per concludere per l’esistenza di un’infrazione. Infatti, in un caso del genere, non si può ritenere che la Commissione abbia fornito la prova dell’esistenza di una violazione del diritto della concorrenza (v., in tal senso, sentenze del 28 marzo 1984, Compagnie royale asturienne des mines e Rheinzink/Commissione, 29/83 e 30/83, EU:C:1984:130, punto 16, e del 31 marzo 1993, Ahlström Osakeyhtiö e a./Commissione, C‑89/85, C‑104/85, C‑114/85, C‑116/85, C‑117/85 e da C‑125/85 a C‑129/85, EU:C:1993:120, punti 126 e 127).

80      Infatti, in presenza di un dubbio sull’esistenza di un fatto costitutivo dell’infrazione, occorre tener conto del principio della presunzione d’innocenza, che fa parte dei diritti fondamentali tutelati dall’ordinamento giuridico dell’Unione e che è stato sancito dall’articolo 48, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Considerata la natura delle infrazioni di cui trattasi, nonché la natura e il grado di severità delle sanzioni che vi sono connesse, il principio della presunzione d’innocenza si applica, in particolare, alle procedure relative a violazioni delle norme sulla concorrenza applicabili alle imprese, violazioni che possono sfociare nell’irrogazione di multe o penalità di mora. Pertanto, è necessario che la Commissione produca prove precise e concordanti per corroborare il fermo convincimento che l’asserita infrazione sia stata commessa (v., in tal senso, sentenze del 5 ottobre 2011, Romana Tabacchi/Commissione, T‑11/06, EU:T:2011:560, punto 129 e giurisprudenza ivi citata, e del 15 luglio 2015, Trafilerie Meridionali/Commissione, T‑422/10, EU:T:2015:512, punto 88 e giurisprudenza ivi citata).

81      Tuttavia, sebbene sia necessario che la Commissione produca prove precise e concordanti per fondare il fermo convincimento che l’infrazione sia stata commessa, va sottolineato che non occorre che ogni singola prova apportata dalla Commissione risponda necessariamente a tali criteri con riguardo ad ogni singolo elemento dell’infrazione. È sufficiente che il complesso di indizi dedotti dall’istituzione, complessivamente valutati, risponda a tale esigenza (v., in tal senso, sentenza del 26 gennaio 2017, Commissione/Keramag Keramische Werke e a., C‑613/13 P, EU:C:2017:49, punto 52 e giurisprudenza ivi citata).

b)      Competenza estesa al merito per quanto riguarda lammenda 

82      Per quanto riguarda la competenza estesa al merito, riconosciuta al giudice dell’Unione dall’articolo 31 del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli [101 et 102 TFUE] (GU 2003, L 1, pag. 1) conformemente all’articolo 261 TFUE, essa autorizza il giudice, al di là del mero controllo di legittimità della sanzione, a sostituire la sua valutazione a quella della Commissione e, di conseguenza, a sopprimere, ridurre o aumentare l’ammenda o la penalità irrogata (v. sentenza del 26 settembre 2018, Infineon Technologies/Commissione, C‑99/17 P, EU:C:2018:773, punto 193 e giurisprudenza ivi citata).

83      In particolare, per soddisfare i requisiti di una competenza estesa al merito ai sensi dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali per quanto riguarda l’ammenda, il giudice dell’Unione è tenuto, nell’esercizio delle competenze previste agli articoli 261 e 263 TFUE, a esaminare ogni censura, di fatto o di diritto, diretta a dimostrare che l’importo dell’ammenda non è adeguato alla gravità e alla durata dell’infrazione (v. sentenza del 26 settembre 2018, Infineon Technologies/Commissione, C‑99/17 P, EU:C:2018:773, punto 195 e giurisprudenza ivi citata).

84      In tale contesto, è stato dichiarato, in particolare, che la gravità dell’infrazione doveva essere valutata su base individuale e che, per determinare l’importo delle ammende, si doveva tener conto della durata dell’infrazione e di tutti gli elementi che possono rientrare nella valutazione della sua gravità, quali, in particolare, il comportamento dell’impresa in questione, il suo ruolo nell’instaurazione delle pratiche abusive, il profitto che essa ha potuto trarre da tali pratiche o, ancora, l’intensità dei comportamenti anticoncorrenziali (v., in tal senso, sentenza del 26 settembre 2018, Infineon Technologies/Commissione, C‑99/17 P, EU:C:2018:773, punti 196 e 197 e giurisprudenza ivi citata).

85      Tale esercizio non richiede che il Tribunale applichi gli orientamenti della Commissione per il calcolo delle ammende (v., in tal senso, sentenza del 14 settembre 2016, Trafilerie Meridionali/Commissione, C‑519/15 P, EU:C:2016:682, punti da 52 a 55).

86      In conclusione, il giudice dell’Unione può riformare l’atto impugnato, anche in mancanza di annullamento, al fine di sopprimere, ridurre o aumentare l’ammenda inflitta. Tale competenza è esercitata tenendo conto di tutte le circostanze di fatto. Ne discende che il giudice dell’Unione è legittimato a esercitare la sua competenza estesa al merito quando il problema dell’importo dell’ammenda è sottoposto alla sua valutazione, e l’esercizio di tale competenza comporta il trasferimento definitivo al giudice del potere di infliggere sanzioni (v. ordinanza del 7 luglio 2016, Westfälische Drahtindustrie e Pampus Industriebeteiligungen/Commissione, C‑523/15 P, EU:C:2016:541, punti da 32 a 34 e giurisprudenza ivi citata).

3.      Sullassunzione della prova e sulle diverse contestazioni presentate al riguardo 

87      Nell’ambito del presente ricorso, sia la Commissione che Google contestano la pertinenza, se non addirittura la ricevibilità, di taluni argomenti ed elementi di prova ad essi relativi, presentati dalle stesse o dagli intervenienti.

88      Ciò vale, ad esempio, per quanto riguarda talune dichiarazioni rese da un dirigente o da un dipendente di Google o da una parte interessata, talune dichiarazioni o relazioni presentate su richiesta di una parte da un terzo che fa valere la qualità di perito e documenti prodotti al fine di dimostrare l’esistenza di un fatto qualificabile come notorio, menzionato nella decisione impugnata e che è contestato dinanzi al Tribunale, vale a dire il concetto di «status quo bias» individuato in psicologia per illustrare un comportamento irrazionale che spiega l’avversione al cambiamento. Lo stesso dicasi per quanto riguarda documenti redatti a partire da dati interni propri di un’impresa prodotti per sostenere o per confutare un’affermazione resa nella decisione impugnata o nell’ambito del presente ricorso.

89      A tal riguardo, in primo luogo, occorre ricordare che il controllo di legittimità di una decisione della Commissione relativa a un procedimento a norma dell’articolo 101 o 102 TFUE si effettua tenendo conto di tutti gli elementi presentati dal ricorrente, a prescindere dal fatto che essi siano anteriori o posteriori alla decisione impugnata, che siano stati preventivamente presentati nell’ambito del procedimento amministrativo o, per la prima volta, nell’ambito del ricorso proposto dinanzi al Tribunale, laddove questi ultimi elementi siano pertinenti (v., in tal senso, sentenza del 21 gennaio 2016, Galp Energía España e a./Commissione, C‑603/13 P, EU:C:2016:38, punto 72 e giurisprudenza ivi citata).

90      Analogamente, nell’esercizio della sua competenza estesa al merito, spetta al Tribunale valutare, alla data in cui esso adotta la propria decisione, se al ricorrente sia stata inflitta un’ammenda adeguata (v., in tal senso, sentenza dell’11 luglio 2014, Esso e a./Commissione, T‑540/08, EU:T:2014:630, punto 133 e giurisprudenza ivi citata). In tale ambito, il Tribunale può tener conto di tutte le circostanze di fatto che ritiene pertinenti, indipendentemente dal fatto che siano precedenti o successive alla decisione adottata (ordinanza del 7 luglio 2016, Westfälische Drahtindustrie e Pampus Industriebeteiligungen/Commissione, C‑523/15 P, EU:C:2016:541, punto 43 e giurisprudenza ivi citata).

91      Nel caso di specie, da tali principi risulta che, se sono rilevanti ai fini della valutazione del Tribunale, gli argomenti e i relativi elementi di prova presentati dalle ricorrenti per la prima volta dinanzi ad esso non possono essere respinti con il pretesto che non sarebbero stati previamente esposti alla Commissione nell’ambito del procedimento amministrativo.

92      In secondo luogo, occorre altresì rilevare che il principio vigente nel diritto dell’Unione è quello del libero apprezzamento delle prove, da cui deriva, da una parte, che, qualora un elemento di prova sia stato ottenuto regolarmente, la sua ricevibilità non può essere contestata dinanzi al Tribunale e, dall’altra, che il solo criterio pertinente di apprezzamento del valore probatorio delle prove regolarmente prodotte è la loro attendibilità (v. sentenza del 26 settembre 2018, Infineon Technologies/Commissione, C‑99/17 P, EU:C:2018:773, punto 65 e giurisprudenza ivi citata).

93      In base a tale principio, nella presente causa risulta che non vi è motivo per il Tribunale di ritenere che i diversi elementi di prova prodotti dalle parti non siano stati ottenuti regolarmente o che non presentino un’attendibilità sufficiente per essere presi in considerazione ai fini della sua valutazione.

94      A tal riguardo, quanto al valore probatorio dei diversi elementi di prova che sono stati contestati, si può rilevare quanto segue.

95      Anzitutto, per quanto riguarda le dichiarazioni rese da un dirigente o da un dipendente di Google o da una parte interessata, occorre rilevare che, sebbene non si possa ritenere che esse non abbiano alcun valore probatorio, resta il fatto che tali dichiarazioni mirano o ad attenuare o a suffragare la responsabilità dell’impresa interessata dal procedimento al fine di difenderla o di accusarla a seconda degli interessi propri della parte che presenta la dichiarazione. Per tale motivo, pur se tali dichiarazioni hanno un valore probatorio, quest’ultimo deve essere relativizzato rispetto a quello dei differenti documenti, quali messaggi di posta elettronica o altri documenti interni, che riguardano direttamente il periodo e i fatti di cui trattasi (v., in tal senso, sentenza dell’8 luglio 2008, Lafarge/Commissione, T‑54/03, non pubblicata, EU:T:2008:255, punto 379).

96      Analogamente, per quanto riguarda le dichiarazioni o le relazioni presentate su richiesta di una parte per sostenere le sue affermazioni da parte di un terzo che fa valere la qualità di perito, occorre rilevare che il valore probatorio di tali documenti deve essere valutato sotto diversi aspetti. Da un lato, il loro autore deve provvedere ad esporre le sue qualifiche ed esperienze e a spiegare in che modo esse siano rilevanti per emettere un parere sulla questione esaminata. D’altro lato, il contenuto di tale parere deve esporre le ragioni per le quali esso merita di essere preso in considerazione, che si tratti dell’affidabilità del metodo utilizzato o della pertinenza della risposta fornita a tale questione ai fini della presente causa. È alla luce di tali principi e delle osservazioni presentate dalle parti al riguardo che il Tribunale ha esaminato tali documenti nella presente causa.

97      Infine, per quanto riguarda i documenti prodotti al fine di dimostrare l’esistenza di un fatto qualificabile come notorio, menzionato nella decisione impugnata, dalla giurisprudenza risulta che questi ultimi devono essere considerati ricevibili [v., in tal senso, sentenza del 5 febbraio 2020, Hickies/EUIPO (Forma di un laccio da scarpe), T‑573/18, EU:T:2020:32, punto 18]. Documenti del genere si limitano infatti, in sostanza, a dimostrare l’esistenza di un consenso riguardo al significato comunemente attribuito al concetto di «status quo bias», invocato da talune imprese e ripreso dalla Commissione nella decisione impugnata.

98      In terzo luogo, occorre constatare che, sebbene, ai sensi dell’articolo 85 del regolamento di procedura, le prove e le offerte di prova siano in linea di principio presentate nell’ambito del primo scambio di memorie, le parti principali possono ancora produrne in sede di replica e di controreplica a sostegno delle loro argomentazioni o anche, in via eccezionale, prima della chiusura della fase orale del procedimento, a condizione che il ritardo nella presentazione delle stesse sia giustificato. Tuttavia, dalla giurisprudenza risulta che la prova contraria e l’ampliamento delle deduzioni istruttorie a seguito di un argomento o di una prova contraria nel controricorso non sono colpite dalla preclusione prevista da detta disposizione. Tale disposizione riguarda, infatti, i mezzi di prova nuovi e deve essere letta alla luce dell’articolo 92, paragrafo 7, di detto regolamento, il quale prevede espressamente che la prova contraria e l’ampliamento dei mezzi di prova sono riservati (v., in tal senso, sentenze del 17 dicembre 1998, Baustahlgewebe/Commissione, C‑185/95 P, EU:C:1998:608, punti 71 e 72, e del 5 dicembre 2006, Westfalen Gassen Nederland/Commissione, T‑303/02, EU:T:2006:374, punto 189).

99      Nel caso di specie, dall’esame delle diverse contestazioni formulate dalle parti riguardo alla pertinenza, se non addirittura alla ricevibilità, di taluni argomenti ed elementi di prova ad essi relativi, presentati dalle parti principali o dagli intervenienti, risulta che tali contestazioni possono essere tutte respinte per il fatto che tali argomenti ed elementi si ricollegano all’applicazione del principio del contraddittorio, dal momento che le parti interessate li hanno presentati al fine di rispondere a un argomento o a una prova contraria appena comunicata al Tribunale.

100    In tale ottica, il Tribunale considera che tanto elementi di prova che erano stati presentati per la prima volta nell’ambito del ricorso quanto la deduzione di elementi di fatto o la produzione di elementi di prova diretti a confutare gli argomenti dedotti da un’altra parte in corso di causa, se necessario in considerazione di dati interni, o ad attestare un fatto notorio non possono essere dichiarati irricevibili e che la loro pertinenza potrà essere valutata successivamente nell’ambito dell’esame dei diversi motivi dedotti contro la decisione impugnata.

101    È alla luce di tali considerazioni che occorre esaminare i diversi motivi dedotti da Google a sostegno del ricorso nonché l’insieme degli elementi di prova prodotti dalle parti.

B.      Sul primo motivo, vertente sull’erronea valutazione della definizione del mercato rilevante e dell’esistenza di una posizione dominante

102    Con il primo motivo di ricorso, suddiviso in tre parti, Google contesta alla Commissione di essere incorsa in numerosi errori di valutazione nella definizione dei mercati rilevanti e nella conseguente valutazione successiva della sua posizione dominante in alcuni di tali mercati.

1.      Il contesto 

103    In via preliminare, al fine di prendere in considerazione la nozione di concorrenza tra «ecosistemi» evidenziata da Google nell’ambito del presente motivo, occorre, da un lato, ricordare quale sia la principale questione della determinazione del mercato rilevante in materia di abuso di posizione dominante, e, dall’altro, esaminare le particolarità della presente causa.

a)      Nozioni di mercato rilevante, di posizione dominante e di vincoli concorrenziali, in particolare in presenza di un «ecosistema» 

104    Occorre ricordare che, nell’ambito dell’applicazione dell’articolo 102 TFUE, la determinazione del mercato rilevante ha ad oggetto la definizione del perimetro all’interno del quale deve essere valutata la questione se l’impresa interessata sia in grado di tenere comportamenti alquanto indipendenti nei confronti dei suoi concorrenti, dei suoi clienti e dei consumatori [v. sentenza del 30 gennaio 2020, Generics (UK) e a., C‑307/18, EU:C:2020:52, punto 127 e giurisprudenza ivi citata].

105    La determinazione del mercato rilevante costituisce quindi, in linea di principio, un presupposto per la valutazione dell’eventuale esistenza di una posizione dominante dell’impresa interessata. Tale esercizio presuppone la definizione, in primo luogo, dei prodotti o dei servizi che fanno parte del mercato rilevante (in prosieguo: il «mercato di prodotti») e, in secondo luogo, la dimensione geografica di tale mercato [v. sentenza del 30 gennaio 2020, Generics (UK) e a., C‑307/18, EU:C:2020:52, punti 127 e 128 e giurisprudenza ivi citata].

106    Per quanto riguarda il mercato di prodotti, la nozione di mercato rilevante implica che possa esistere una concorrenza effettiva tra i prodotti o i servizi che ne fanno parte, il che presuppone un sufficiente grado di intercambiabilità o di sostituibilità tra tali prodotti e tali servizi. L’intercambiabilità o la sostituibilità non si valuta unicamente in relazione alle caratteristiche oggettive dei prodotti e dei servizi di cui trattasi. Si devono prendere in considerazione anche le condizioni della concorrenza, nonché la struttura della domanda e dell’offerta in tale mercato [v. sentenza del 30 gennaio 2020, Generics (UK) e a., C‑307/18, EU:C:2020:52, punto 129 e giurisprudenza ivi citata].

107    Nella sua dimensione geografica il mercato rilevante corrisponde al territorio all’interno del quale le condizioni di concorrenza sono simili e costituiscono un complesso sufficientemente omogeneo da essere considerato un tutto unico e da consentire di valutare l’effetto della potenza economica dell’impresa in questione (v., in tal senso, sentenza del 14 febbraio 1978, United Brands e United Brands Continentaal/Commissione, 27/76, EU:C:1978:22, punti 11, 44, 52 e 53).

108    In base a tali principi, la posizione dominante contemplata dall’articolo 102 TFUE corrisponde quindi a una posizione di potenza economica grazie alla quale l’impresa che la detiene è in grado di ostacolare la persistenza di una concorrenza effettiva sul mercato in questione e ha la possibilità di tenere comportamenti alquanto indipendenti nei confronti dei suoi concorrenti, dei suoi clienti e, in ultima analisi, dei consumatori (sentenza del 14 febbraio 1978, United Brands e United Brands Continentaal/Commissione, 27/76, EU:C:1978:22, punto 65).

109    A tal proposito, occorre sottolineare che la determinazione del mercato rilevante e della posizione dominante detenuta su tale mercato dall’impresa interessata mira non solo a definire la realtà e l’ampiezza dei vincoli concorrenziali interni, propri di tale mercato, ma anche a verificare che non esistano vincoli concorrenziali esterni provenienti da prodotti, servizi o territori diversi da quelli che fanno parte del mercato rilevante esaminato.

110    In generale, occorre, infatti, che la Commissione individui e definisca il perimetro all’interno del quale si esercita la concorrenza tra le imprese al fine di determinare se l’impresa interessata possa agire, in misura apprezzabile, indipendentemente dai vincoli esercitati da una concorrenza effettiva.

111    Orbene, come è già stato rilevato dalla Corte, l’intercambiabilità e la sostituibilità di prodotti o di servizi presentano naturalmente un carattere dinamico, in quanto una nuova offerta può modificare la concezione dei prodotti o dei servizi considerati intercambiabili con un prodotto o un servizio già presente sul mercato o come sostituibili a tale prodotto o servizio e, in tal modo, giustificare una nuova definizione dei parametri del mercato rilevante [v. sentenza del 30 gennaio 2020, Generics (UK) e a., C‑307/18, EU:C:2020:52, punto 130].

112    Una siffatta valutazione presuppone tuttavia che esista un grado sufficiente di intercambiabilità tra i prodotti o i servizi che fanno parte del mercato rilevante e quelli previsti per rispondere alla domanda su tale mercato. Ciò si verificherebbe qualora l’autore dell’offerta alternativa sia in grado di rispondere a breve termine alla domanda con una forza sufficiente da costituire un contrappeso serio al potere detenuto dall’impresa interessata sul mercato rilevante [v., in tal senso, sentenza del 30 gennaio 2020, Generics (UK) e a., C‑307/18, EU:C:2020:52, punti 132 e 133].

113    Se è vero che, in talune circostanze, può essere quindi opportuno esaminare il vincolo esterno che un’offerta alternativa potrebbe rappresentare, occorre altresì tener conto delle peculiarità proprie di talune situazioni, in particolare nell’ipotesi in cui più mercati siano collegati gli uni agli altri.

114    Infatti, anche se i principi sopra esposti rimangono validi per definire un quadro di analisi chiaro e trasparente delle nozioni di mercato rilevante e di posizione dominante, la loro applicazione richiede talvolta un esame più circostanziato, che vada al di là della semplice segmentazione in mercati, al fine di valutare meglio i vincoli concorrenziali esistenti in tali mercati e la posizione di potenza economica detenuta dall’impresa interessata.

115    Ciò vale in particolare per i mercati rientranti, come nel caso di specie, nell’economia digitale, in cui i parametri tradizionali come il prezzo dei prodotti o dei servizi o la quota di mercato dell’impresa interessata possono avere un’importanza minore rispetto ai mercati classici, paragonati ad altre variabili come l’innovazione, l’accesso ai dati, gli aspetti multifaccia, il comportamento degli utenti o gli effetti di rete.

116    Pertanto, in presenza di un «ecosistema» digitale, che riunisce e fa interagire all’interno di una piattaforma diverse categorie di fornitori, di clienti e di consumatori, i prodotti o i servizi che fanno parte dei mercati rilevanti che compongono tale ecosistema possono sovrapporsi o essere collegati gli uni agli altri in considerazione della loro complementarità orizzontale o verticale. Considerati congiuntamente, tali mercati rilevanti possono anche avere una dimensione globale in considerazione del sistema che ne riunisce le componenti e degli eventuali vincoli concorrenziali in azione nell’ambito di tale sistema o provenienti da altri sistemi.

117    L’individuazione delle condizioni di concorrenza rilevanti ai fini della valutazione della posizione di potenza economica detenuta dall’impresa interessata può quindi richiedere un esame a più livelli o in più direzioni al fine di determinare la realtà e la portata dei diversi vincoli concorrenziali che possono essere esercitati su tale impresa.

118    In conclusione, ciò che rileva nell’ambito del presente motivo è verificare, alla luce degli argomenti delle parti e del ragionamento esposto nella decisione impugnata, se l’esercizio da parte di Google del potere attribuitole dalla Commissione nei mercati rilevanti le consentisse effettivamente di agire, in misura apprezzabile, indipendentemente dai diversi fattori che potevano vincolare il suo comportamento.

119    Infatti, secondo Google, come essa ha fatto valere in sostanza nel corso del procedimento amministrativo e come fa valere nuovamente nell’ambito del presente motivo, la Commissione avrebbe dovuto tener conto delle sue affermazioni secondo cui, a causa dei vincoli concorrenziali esercitati dall’ecosistema di Apple, essa non aveva il potere di ostacolare il mantenimento di una concorrenza effettiva nei mercati rilevanti connessi all’ecosistema Android.

b)      Mercati distinti, ma interconnessi 

120    Nel caso di specie, occorre rilevare anzitutto che la Commissione ha individuato quattro tipi di mercato rilevante (punti 217 e 402 della decisione impugnata): sotto un primo profilo, il mercato mondiale (esclusa la Cina) dei SO su licenza, nel senso di licenze di sistemi operativi per dispositivi mobili intelligenti (v. supra, punto 3; in prosieguo: il «mercato dei SO su licenza»); in secondo luogo, il mercato mondiale (esclusa la Cina) di portali di vendita di applicazioni Android; in terzo luogo, i diversi mercati nazionali, all’interno del SEE, di fornitura di servizi di ricerca generale e, in quarto luogo, il mercato mondiale dei browser Internet concepiti per un uso mobile (in prosieguo: i «browser Internet mobile») non specifici di un SO.

121    La Commissione ha poi ritenuto che Google occupasse una posizione dominante nei primi tre mercati (punto 439 della decisione impugnata), vale a dire che fosse in grado, di tenere comportamenti, in tali mercati, alquanto indipendenti nei confronti dei suoi concorrenti, dei suoi clienti e dei consumatori.

122    Nell’ambito di tale analisi la Commissione ha preso in considerazione, in particolare, la pressione concorrenziale esercitata da Apple su Google, qualificata come «vincolo indiretto», in quanto veniva esercitata a livello degli utenti e degli sviluppatori di applicazioni (punto 242 della decisione impugnata), e ritenuta «insufficiente» per rimettere in discussione le posizioni dominanti di Google nei mercati rilevanti (punti 243, 322, da 479 a 559 e da 652 a 672 della decisione impugnata). Secondo la decisione impugnata, Apple e l’ecosistema iOS non erano in grado di esercitare un sufficiente vincolo concorrenziale su Google e sull’ecosistema Android.

123    A tal proposito, occorre rilevare in primo luogo che, per ragioni di opportunità e fatta salva la sua posizione al riguardo, Google menziona nel ricorso la scelta di non contestare la constatazione effettuata nella decisione impugnata del suo dominio nei diversi mercati nazionali dei servizi di ricerca generale.

124    In mancanza di qualsiasi argomento dedotto al riguardo, al di fuori dell’osservazione incidentale fatta successivamente da Google sulle condizioni di concorrenza esaminate dalla Commissione per quanto riguarda il mercato dei servizi di ricerca generale nella Repubblica ceca, in cui non si contesta il fatto che la quota di mercato di Google è meno consistente di quella negli altri paesi del SEE, non occorre che il Tribunale rimetta in discussione le constatazioni effettuate dalla Commissione riguardo a tali mercati nazionali ai punti da 674 a 727 della decisione impugnata.

125    Ai fini della presente causa, si deve quindi ritenere che la Commissione abbia debitamente dimostrato nella decisione impugnata che Google, essendo in grado di tenere comportamenti alquanto indipendenti nei confronti dei suoi concorrenti, dei suoi clienti e dei consumatori, disponeva di una posizione dominante nei diversi mercati nazionali all’interno del SEE dei servizi di ricerca generale (v. punti 674 e 675 della decisione impugnata e il ragionamento a sostegno di tale conclusione).

126    In secondo luogo, occorre sottolineare che, sebbene i mercati rilevanti siano presentati separatamente nella decisione impugnata, essi non possono essere tuttavia artificiosamente dissociati in quanto presentavano tutti aspetti complementari debitamente menzionati dalla Commissione.

127    Lo stesso valeva per il mercato dei SO su licenza e per il mercato dei portali di vendita di applicazioni Android. Le applicazioni accessibili a partire da un portale di vendita di applicazioni Android erano, infatti, interessanti solo per il fatto che funzionavano sul SO su licenza Android. Al contrario, un SO su licenza dipendeva, al fine di aumentare la sua attrattiva, dal numero, dalla diversità e dalla qualità delle applicazioni che potevano funzionare su tale SO (punti da 84 a 88 e 271 della decisione impugnata).

128    Analogamente, i mercati nazionali dei servizi di ricerca generale non potevano essere dissociati dai mercati dei SO su licenza, dei portali di vendita di applicazioni Android nonché dai browser Internet mobile non specifici di un SO. Considerati congiuntamente, i prodotti o i servizi oggetto di questi tre tipi di mercato rilevante costituivano infatti una porta di ingresso ai servizi di ricerca generale (v., ad esempio, punto 1341 della decisione impugnata).

129    È in tale contesto fattuale dei mercati rilevanti distinti, ma interconnessi e dell’attuazione di una strategia globale volta essenzialmente, secondo la Commissione, a garantire la posizione dominante detenuta da Google nei mercati nazionali dei servizi di ricerca generale, che occorre esaminare gli argomenti relativi al primo motivo.

2.      Sulla prima parte, riguardante il dominio dei SO su licenza per dispositivi mobili intelligenti

130    Per definire il mercato dei SO su licenza, la Commissione ha ritenuto che si dovessero escludere da tale mercato i sistemi operativi per computer, i sistemi operativi per dispositivi mobili dalle funzionalità limitate e i SO senza licenza, nel senso di sistemi operativi per dispositivi mobili intelligenti che non erano proposti su licenza, tra cui l’iOS di Apple. Per contro, la Commissione ha dichiarato che tale mercato comprendeva tutti i SO su licenza e non prevedeva differenze a seconda che tali SO funzionassero per smartphone o tablet (punti da 218 a 267 della decisione impugnata).

131    Successivamente, la Commissione ha ritenuto che Google detenesse, con i suoi dispositivi Google Android, una posizione dominante nel mercato dei SO su licenza. Per giungere a tale conclusione, la Commissione si è basata sulla quota di mercato di Google e sulla sua evoluzione nel tempo, sull’esame delle barriere all’ingresso e all’espansione, sull’assenza di potere d’acquisto compensativo nonché sull’esistenza di un vincolo concorrenziale insufficiente dei SO senza licenza, in particolare l’iOS di Apple (punti da 440 a 589 della decisione impugnata).

132    Nella prima parte del primo motivo, Google sostiene che la Commissione ha erroneamente valutato la sua posizione in tale mercato omettendo di prendere correttamente in considerazione, da un lato, la concorrenza dei SO senza licenza, in particolare l’iOS di Apple, e, dall’altro, quella dovuta alla licenza AOSP.

a)      Sulla ricevibilità della prima parte

133    La Commissione sostiene che la prima parte, in quanto è diretta a contestare la definizione del mercato dei SO su licenza, deve essere dichiarata irricevibile. Infatti, Google contesterebbe soltanto la constatazione della sua posizione dominante in tale mercato.  

134    A tal riguardo, sebbene Google concentri i suoi argomenti sul piano della sua presunta posizione dominante nel mercato dei SO su licenza e formuli in tal senso il titolo della prima parte, resta il fatto che, con i suoi argomenti, essa contesta alla Commissione di aver definito tale mercato con riferimento agli OEM e non agli utenti o ai sviluppatori di applicazioni, che terrebbero conto del vincolo concorrenziale esercitato da Apple.

135    Tale argomento va inteso alla luce del ragionamento che ha indotto la Commissione a non includere i SO senza licenza nel mercato rilevante, il quale prende segnatamente in considerazione il fatto che la concorrenza proveniente da Apple era indiretta e insufficiente e il fatto che le soluzioni elaborate nella sentenza del 22 ottobre 2002, Schneider Electric/Commissione (T‑310/01, EU:T:2002:254), richiamata da Google, non erano applicabili (v. sezione 7.3.5 relativa alla definizione del mercato e punti da 241 a 245 della decisione impugnata). Inoltre, in fase di definizione del mercato dei SO su licenza, la Commissione ha fatto essa stessa riferimento al ragionamento sviluppato per valutare la posizione dominante di Google in tale mercato, il quale prende altresì in considerazione il vincolo concorrenziale che può essere esercitato da Apple, in particolare con riferimento agli utenti o agli sviluppatori di applicazioni (v. punti 243 e 267 della decisione impugnata che rinviano alla sezione 9.3.4 relativa alla valutazione della posizione dominante).

136    Dunque, poiché Google contesta tanto il ragionamento sviluppato per definire il mercato dei SO su licenza quanto quello sviluppato per valutare la sua posizione dominante in tale mercato, non si deve limitare la ricevibilità della prima parte alla seconda parte del ragionamento contestato.

137    Pertanto, occorre dichiarare ricevibile l’argomento di Google diretto a contestare la definizione del mercato dei SO su licenza nell’ambito della prima parte del primo motivo.

b)      Sulla fondatezza della prima parte

138    A sostegno della prima parte del primo motivo, Google deduce due censure vertenti, la prima, sull’erronea valutazione del vincolo concorrenziale esercitato dai SO senza licenza, in particolare l’iOS di Apple, e, la seconda, sull’erronea valutazione del vincolo concorrenziale esercitato dalla natura aperta della licenza AOSP.

1)      Sul vincolo concorrenziale dei SO senza licenza

139    Nella decisione impugnata la Commissione ha ritenuto, da un lato, che i SO senza licenza non facessero parte dello stesso mercato dei SO su licenza (v. punti da 238 a 267 della decisione impugnata) e, dall’altro, che sulla posizione dominante di Google nel mercato dei SO su licenza non incideva il vincolo concorrenziale esercitato su tale mercato dai SO senza licenza di Apple e di BlackBerry (v. punti da 479 a 589 della decisione impugnata). Pertanto, pur prendendo in considerazione separatamente la definizione del mercato rilevante e la posizione occupata da Google in detto mercato, le questioni sollevate in queste due fasi della decisione impugnata presentano una notevole connessione.

140    Occorre a tal proposito rilevare che, per delimitare il mercato dei SO su licenza, la Commissione ha preso in considerazione il fatto, non contestato da Google, che gli OEM non avevano accesso ai SO senza licenza, in particolare all’iOS di Apple. Pertanto, il ruolo che poteva essere svolto dai SO senza licenza poteva essere esaminato, come sosteneva del resto Google, solo a livello degli utenti e dei sviluppatori di applicazioni (punto 241, paragrafo 2, e punto 243 della decisione impugnata). La Commissione ha tuttavia ritenuto che tale concorrenza indiretta fosse insufficiente a controbilanciare il potere di mercato di Google (punto 243 con un rinvio alla sezione 9.3.4 della decisione impugnata).

141    Per giungere a tale conclusione, la Commissione ha previsto, in particolare, l’ipotesi di un peggioramento lieve, ma significativo e non provvisorio, della qualità (Small but Significant and Non Transitory Decrease in Quality; in prosieguo: il «peggioramento della qualità» o il «test SSNDQ») di Android. Con tale test, essa ha esaminato la reazione degli utilizzatori e degli sviluppatori di applicazioni a un peggioramento della qualità di Android. In altri termini, la Commissione ha verificato se Google potesse astenersi dallo sviluppare e dal finanziare Android senza che i suoi utenti e gli sviluppatori di applicazioni preferissero in risposta un’offerta alternativa.

142    Nell’ambito della prima parte, Google contesta alla Commissione di aver ignorato la concorrenza esercitata da Apple per quanto riguardava gli utenti e gli sviluppatori di applicazioni sia con riferimento alla definizione del mercato dei SO su licenza sia in fase di valutazione del suo potere in tale mercato. In primo luogo, la Commissione avrebbe erroneamente escluso elementi di prova del vincolo concorrenziale di Apple. In secondo luogo, essa non avrebbe tenuto conto dei principi elaborati dalla sentenza del 22 ottobre 2002, Schneider Electric/Commissione (T‑310/01, EU:T:2002:254), i quali prevedevano la concorrenza di imprese verticalmente integrate. In terzo luogo, con il test SSNDQ, che resterebbe uno strumento poco preciso, la Commissione avrebbe sottovalutato l’impatto di un peggioramento della qualità di Android valutando erroneamente la sensibilità degli utenti alla qualità del SO, l’importanza della politica tariffaria di Apple, i costi del passaggio a un altro SO, la fedeltà degli utenti per i loro SO nonché il comportamento degli sviluppatori di applicazioni.

i)      Sulle prove di un vincolo concorrenziale di Apple

–       Argomenti delle parti

143    Google, al pari degli intervenienti a suo sostegno, afferma che la Commissione ha erroneamente escluso vari elementi di prova del vincolo concorrenziale di Apple. Ciò varrebbe, in primo luogo, per i notevoli investimenti realizzati da Google per sviluppare il SO Android, in secondo luogo, per la regolarità delle innovazioni avvenute tra il SO e l’iOS di Apple, e, in terzo luogo, per i documenti di cui ai punti da 250 a 252 della decisione impugnata, che illustrerebbero la concorrenza di Apple.  

144    La Commissione sottolinea anzitutto di aver debitamente considerato che i vincoli concorrenziali derivanti dai SO senza licenza di Apple e di BlackBerry erano insufficienti. A tal riguardo, in primo luogo, gli investimenti realizzati da Google per sviluppare Android sarebbero motivati dal suo interesse finanziario, in secondo luogo, la corsa all’innovazione asserita da Google non sarebbe dimostrata, dato che, in particolare, gli utenti non scelgono una SO, bensì un dispositivo, e, in terzo luogo, i documenti citati da Google sarebbero poco numerosi e insufficienti per dimostrare l’esistenza di un vincolo concorrenziale sufficiente da parte di Apple.

–       Giudizio del Tribunale

145    Per affermare l’erroneità della valutazione del vincolo concorrenziale esercitato di Apple sul mercato dei SO su licenza e sulla posizione dominante detenuta da Google su tale mercato, Google si basa su diversi elementi che possono essere sintetizzati come segue:

–        le dichiarazioni di uno dei suoi dirigenti, il quale sostiene che essa ha investito in Android in risposta al vincolo concorrenziale di Apple;

–        talune risposte alle richieste di informazioni della Commissione, allegate al ricorso, che menzionano un rapporto di concorrenza tra Apple e Google;

–        due documenti interni di Google, ossia un messaggio di posta elettronica datato 16 maggio 2012 nonché una presentazione interna dell’ottobre 2011, menzionati al punto 252 della decisione impugnata, da cui risulta che Google subisce attacchi dai suoi concorrenti, tra i quali Apple, e che l’obiettivo di Google è quello di fare concorrenza a tale impresa verticalmente integrata.

146    A tal riguardo, occorre anzitutto ricordare che Google non contesta che il fatto che il vincolo concorrenziale proveniente da Apple non esistesse relativamente agli OEM, come rilevato dalla Commissione (v. punti 239, 249 e 252 della decisione impugnata). Google si limita a far valere la concorrenza esercitata da Apple a livello degli utenti e degli sviluppatori di applicazioni, concorrenza esaminata dalla Commissione, la quale ha ritenuto che tale vincolo concorrenziale fosse non solo indiretto, ma anche insufficiente (v. punti 242, 243 e rinvio alla sezione 9.3.4, punti 249 e 267 della decisione impugnata).

147    Inoltre, si deve necessariamente constatare che dagli elementi di prova invocati da Google non risulta che Apple eserciti un vincolo concorrenziale in grado di impedirle di tenere comportamenti alquanto indipendenti nei confronti dei suoi concorrenti, dei suoi clienti e dei consumatori. Infatti, le dichiarazioni di un dirigente di Google al pari delle risposte di varie imprese alle richieste di informazioni della Commissione non consentono di dimostrare che la concorrenza indiretta di Apple, per quanto riguarda gli utenti e gli sviluppatori di applicazioni, fosse sufficientemente forte da contrastare il potere detenuto da Google nel mercato dei SO su licenza. Tali documenti indicano soltanto che Google e altre imprese percepiscono Apple come una concorrente. Essi non sono molto concludenti riguardo alla questione se Google sia vincolata in misura apprezzabile dalla concorrenza esercitata da Apple nel mercato di cui trattasi nel caso di specie. La stessa constatazione si impone con riferimento ai due documenti interni di Google menzionati dalla Commissione al punto 252 della decisione impugnata, i quali si limitano ad attestare l’esistenza di un rapporto di concorrenza tra Google e Apple, senza consentire tuttavia di valutarne l’importanza o senza essere tali da dimostrarne il carattere significativo con riferimento al potere detenuto da Google nel mercato dei SO su licenza.

148    Per quanto riguarda, più in particolare, le affermazioni di Google secondo cui l’importo dei suoi investimenti in Android nonché il parallelismo delle innovazioni di Android e di iOS sarebbero testimonianza della vivacità della concorrenza con Apple, esse non bastano a rimettere in discussione il ragionamento esposto dalla Commissione nella decisione impugnata.

149    Da un lato, infatti, gli investimenti di Google ai fini dello sviluppo di Android non possono, di per sé, trovare una spiegazione nell’importanza della concorrenza esercitata da Apple su Google per quanto riguardava gli utenti di dispositivi mobili intelligenti e degli sviluppatori di applicazioni per tali dispositivi. Come osserva correttamente la Commissione, tali investimenti si spiegano essenzialmente con il fatto che Android costituiva un elemento essenziale della strategia di Google per far fronte alla sfida della transizione verso Internet mobile, in quanto tale SO consentiva di accogliere sui dispositivi mobili intelligenti i servizi di ricerca generale di Google.

150    D’altro lato, la Commissione ha già risposto all’argomento relativo al parallelismo delle innovazioni nella decisione impugnata osservando, in particolare, senza essere contraddetta al riguardo nell’ambito del presente ricorso, che tale parallelismo non era tanto regolare quanto affermava Google, poiché taluni aggiornamenti dell’iOS di Apple menzionati prima del 2011 erano solo aggiornamenti intermedi intesi a mantenere il SO e non veri e propri aggiornamenti e poiché il rallentamento degli aggiornamenti di Android a partire dal 2011, e quindi il suo allineamento a quelli di iOS, si spiegava verosimilmente con l’acquisizione, a decorrere da tale data, di un notevole potere di mercato che le consentiva di beneficiare più a lungo delle versioni Android senza dover investire come in passato per i loro aggiornamenti (v. punti da 258 a 262 della decisione impugnata).

151    Pertanto, non si può contestare alla Commissione di aver relativizzato l’asserita corsa all’innovazione tra Android e iOS nel periodo 2008‑2011, in quanto, in tale periodo, erano state sviluppate solo tre versioni successive di iOS contro sette per Android. Allo stesso modo, la Commissione ha correttamente ritenuto che la riduzione della frequenza nell’aggiornamento di Android a partire dal 2011 costituisse un elemento atto a suffragare l’esistenza di un potere di mercato di Google piuttosto che un elemento atto a riflettere il vincolo concorrenziale esercitato da Apple, il quale, in ogni caso, non sarebbe per questo sufficiente.

152    Pertanto, se è vero che un rapporto di causa‑effetto tra un aggiornamento di iOS e un aggiornamento di Android può essere invocato in una certa misura, gli elementi invocati al riguardo non consentono di dimostrare che esso sia stato talmente significativo da consentire ad Apple di costringere Google in modo tale che quest’ultima impresa non potesse tenere comportamenti alquanto indipendenti nei confronti dei suoi concorrenti, dei suoi clienti e dei consumatori.

153    Per quanto riguarda, infine, le censure formulate riguardo al rigetto, da parte della Commissione, al punto 251 della decisione impugnata, di documenti anteriori al 2011 per il fatto che Google non deteneva ancora una posizione dominante nel mercato dei SO su licenza, occorre constatare che la situazione concorrenziale precedente e successiva al 2011 è mutata a causa dell’evoluzione della posizione di Google in tale mercato. L’importanza della pressione concorrenziale proveniente da Apple non può quindi essere valutata sulla base di dati relativi a un periodo in cui Google non deteneva una posizione dominante e la Commissione ha quindi correttamente ritenuto che i documenti in questione non fossero pertinenti ai fini della sua valutazione. Quest’ultima, del resto, non sarebbe stata modificata se fossero stati presi in considerazione, in quanto, pur illustrando un vincolo concorrenziale di Apple, essi non consentono tuttavia di valutarne l’importanza e non sono atti a dimostrarne il carattere apprezzabile con riferimento al potere detenuto da Google nel mercato dei SO su licenza.

154    Di conseguenza, occorre respingere tutti gli argomenti di Google relativi alla valutazione di taluni elementi di prova relativi al vincolo concorrenziale esercitato dall’iOS di Apple nel mercato dei SO su licenza.

ii)    Sulla presa in considerazione della sentenza del 22 ottobre 2002, Schneider Electric/Commissione (T310/01, EU:T:2002:254), e sulla coerenza con la prassi decisionale precedente

–       Argomenti delle parti

155    Google sostiene che, non tenendo conto del vincolo concorrenziale di Apple, la Commissione è incorsa in un errore identico a quello sanzionato dal Tribunale nella sentenza del 22 ottobre 2002, Schneider Electric/Commissione (T‑310/01, EU:T:2002:254). In quest’ultima causa, il Tribunale avrebbe dichiarato che, per valutare la posizione di un’impresa non integrata in un mercato a valle, doveva essere presa in considerazione la concorrenza esercitata, nello stesso mercato, da imprese integrate. Google sostiene altresì che la Commissione ha minato la coerenza della sua prassi decisionale.

156    La Commissione osserva che il contesto fattuale della presente causa differisce da quello della causa che ha dato luogo alla sentenza del 22 ottobre 2002, Schneider Electric/Commissione (T‑310/01, EU:T:2002:254), in mancanza, in particolare, della concorrenza tra Apple e Google a livello degli OEM. Inoltre, le decisioni sulle quali si basa Google non mostrerebbero alcuna incoerenza con la prassi della Commissione.

–       Giudizio del Tribunale

157    In primo luogo, per quanto riguarda la presa in considerazione della sentenza del 22 ottobre 2002, Schneider Electric/Commissione (T‑310/01, EU:T:2002:254), occorre ricordare che tale sentenza chiude un ricorso di annullamento proposto contro una decisione che dichiara incompatibile con il mercato interno una concentrazione tra due imprese, la Schneider Electric SA e la Legrand SA. In tale sentenza il Tribunale ha annullato la decisione della Commissione con la motivazione, in particolare, che quest’ultima non aveva correttamente tenuto conto del potere di mercato di imprese integrate e, così facendo, aveva sopravvalutato il potere di mercato delle imprese non integrate, in particolare quello dell’entità risultante dalla concentrazione tra la Schneider e la Legrand.

158    Più precisamente, dal punto 282 della sentenza del 22 ottobre 2002, Schneider Electric/Commissione (T‑310/01, EU:T:2002:254), risulta che i produttori non integrati di componenti per quadri elettrici, quali la Schneider e la Legrand, subivano a due livelli la concorrenza dei produttori integrati. Tale concorrenza si concretizzava direttamente nella partecipazione dei produttori integrati e degli assemblatori delle loro reti alle gare d’appalto alle quali partecipavano anche i produttori non integrati associati occasionalmente ad altri assemblatori. Essa si concretizzava anche indirettamente in quanto i produttori integrati vendevano le loro componenti agli assemblatori che si erano aggiudicati una gara d’appalto, ma che non facevano parte delle loro reti. In queste due ipotesi i produttori non integrati subivano la concorrenza dei produttori integrati.

159    Orbene, il contesto di fatto della presente causa differisce da quello della causa che ha dato luogo alla sentenza del 22 ottobre 2002, Schneider Electric/Commissione (T‑310/01, EU:T:2002:254). In primo luogo, il mercato a valle non era caratterizzato da gare d’appalto alle quali avrebbero presentato offerte direttamente Apple e Google. La concorrenza nel mercato a valle degli utenti contrapponeva Apple e gli altri OEM, i quali non assemblavano i loro dispositivi mobili a partire unicamente dalle componenti vendute da Google. Il SO era solo uno dei vari elementi. Anche supponendo che, inserendo Android, gli OEM si siano associati a Google e si siano contrapposti ad Apple, in quanto impresa integrata, la concorrenza a livello di utenti non può tuttavia limitarsi al solo SO.

160    In secondo luogo, come giustamente rilevato dalla Commissione al punto 245 della decisione impugnata, Apple, in quanto impresa integrata, non proponeva iOS agli OEM. Non vi può quindi essere concorrenza tra Apple e Google a tale livello. La situazione sarebbe stata diversa se, oltre a vendere dispositivi funzionanti con iOS, Apple avesse proposto il suo SO su licenza. Mentre nella sentenza del 22 ottobre 2002, Schneider Electric/Commissione (T‑310/01, EU:T:2002:254) le imprese integrate e non integrate si facevano concorrenza per proporre le loro componenti agli assemblatori, ciò non avveniva nella presente causa.

161    Per quanto riguarda gli OEM, iOS e Android non erano quindi sostituibili, il che giustificava la mancata definizione di un mercato comprendente tutti i SO. Se è vero che Google subiva una concorrenza proveniente da Apple a livello degli utenti o degli sviluppatori di applicazioni, in quanto il SO poteva essere uno dei parametri di cui questi ultimi tenevano conto prima di acquistare un dispositivo mobile o di sviluppare un’applicazione per tale SO, ciò era solo uno dei tanti parametri. La sostituibilità risultava quindi limitata a tale livello, il che poteva giustificare, come sottolineato dalla Commissione al punto 243 della decisione impugnata, il fatto di non includere iOS e Android all’interno di uno stesso mercato.

162    In ogni caso, non si può contestare alla Commissione di aver occultato nella decisione impugnata la concorrenza di Apple a livello degli utenti e degli sviluppatori di applicazioni, in quanto la Commissione ne ha tenuto conto per concludere che essa era al contempo indiretta e insufficiente.

163    Pertanto, correttamente la Commissione non ha applicato, nel caso di specie, le soluzioni adottate nella sentenza del 22 ottobre 2002, Schneider Electric/Commissione (T‑310/01, EU:T:2002:254).

164    In secondo luogo, per quanto riguarda la coerenza della decisione impugnata con la prassi decisionale precedente della Commissione, occorre ricordare che decisioni riguardanti altre cause hanno solo natura indicativa, dal momento che le circostanze di tali cause non sono identiche (v., in tal senso, sentenza del 16 settembre 2013, Roca Sanitario/Commissione, T‑408/10, EU:T:2013:440, punto 64 e giurisprudenza ivi citata).

165    In ogni caso, la Commissione è tenuta a procedere ad un’analisi individualizzata delle circostanze specifiche di ciascun caso, senza essere vincolata da decisioni anteriori riguardanti altri operatori economici, altri mercati di prodotti e di servizi o altri mercati geografici in momenti diversi (v. sentenza del 9 settembre 2009, Clearstream/Commissione, T‑301/04, EU:T:2009:317, punto 55 e giurisprudenza ivi citata). Pertanto, non si può contestare alla Commissione di aver minato la coerenza della sua prassi decisionale, tenuto conto delle circostanze proprie del caso di specie.

166    In ogni caso, in primo luogo, dalla decisione C(2012) 2405 definitivo della Commissione, del 4 aprile 2012, che dichiara un’operazione di concentrazione compatibile con il mercato comune e il funzionamento dell’accordo SEE (caso COMP/M.6439 – AGRANA/RWA/JV), risulta che le imprese integrate erano state considerate, in tale caso, esercitanti un vincolo concorrenziale in quanto erano in grado di riorientare e di vendere una parte della loro produzione di succo concentrato a terzi. Orbene, nel caso di specie, Apple non proponeva affatto il suo SO a terzi. Inoltre, anche se dal punto 115 della citata decisione risulta che la Commissione ha tenuto conto dell’esistenza di un vincolo concorrenziale indiretto da parte delle imprese integrate sui trasformatori di succo concentrato, non può essere constatata alcuna differenza rispetto alla presente causa. La Commissione ha effettivamente esaminato il vincolo concorrenziale indiretto proveniente da Apple per ritenerlo, in definitiva, non pertinente ai fini della sua valutazione a causa della sua insufficienza.

167    In secondo luogo, quanto all’approccio seguito nella decisione C(2014) 8546 final della Commissione, del 12 novembre 2014, che dichiara un’operazione di concentrazione compatibile con il mercato comune e il funzionamento dell’accordo SEE (caso COMP/M.7342 – Alcoa/Firth Rixson) e nella decisione C(2005) 2676 definitivo della Commissione, del 13 luglio 2005, che dichiara una concentrazione compatibile con il mercato comune e il funzionamento dell’accordo SEE (caso COMP/M.3653 – Siemens/VA Tech), quest’ultimo si rivela simile a quello seguito nella presente causa, cosicché non può essere rilevata alcuna incoerenza. Infatti, in tali decisioni, la Commissione ha esaminato l’importanza del vincolo concorrenziale che può essere esercitato nel mercato rilevante da imprese verticalmente integrate.

168    In terzo luogo, nella decisione C(2012) 1068 final della Commissione, del 13 febbraio 2012, che dichiara un’operazione di concentrazione compatibile con il mercato comune e il funzionamento dell’accordo SEE (caso COMP/M.6381 – Google/Motorola Mobility), la Commissione non ha affatto ritenuto che i SO mobili con e senza licenza appartenessero allo stesso mercato. Dal punto 30 di tale decisione risulta che la Commissione ha preferito lasciare aperta tale questione in quanto la concentrazione tra Google e Motorola Mobility non sollevava difficoltà al riguardo.

169    In quarto luogo, lo stesso dicasi per la decisione C(2009) 10033 della Commissione, del 16 dicembre 2009, relativa a un procedimento a norma dell’articolo 102 TFUE e dell’articolo 54 dell’accordo SEE [caso COMP/39.530 – Microsoft (vendita abbinata)]. Se è vero che, alla luce del punto 17 di tale decisione, è lecito interrogarsi sulla definizione di mercato comprendente al contempo i sistemi operativi per computer con e senza licenza, si deve necessariamente rilevare che tale questione non ha dato luogo ad alcuna discussione. Infatti, dal punto 30 di tale decisione risulta che Microsoft non ha affatto contestato di detenere una posizione dominante nel mercato dei sistemi operativi per computer.

170    In quinto luogo, l’esame della decisione C(2013) 8873 della Commissione, del 4 dicembre 2013, che dichiara un’operazione di concentrazione compatibile con il mercato comune e il funzionamento dell’accordo SEE (caso COMP/M.7047 – Microsoft/Nokia), fornisce un chiarimento identico. Dal punto 102 di tale decisione risulta infatti che la Commissione non si è pronunciata sull’esistenza o meno di un mercato dei SO mobili con e senza licenza.

171    Pertanto, non si può contestare alla Commissione di aver minato la coerenza della sua prassi decisionale, cosicché occorre respingere gli argomenti dedotti a tal riguardo da Google.

iii) Sul test SSNDQ

–       Argomenti delle parti

172    Per Google, la Commissione si è contraddetta quando ha considerato l’ipotesi di un peggioramento della qualità di Android là dove ha affermato, parallelamente, che Google aveva tutto l’interesse ad assicurare la più ampia diffusione dei dispositivi Android. Google sottolinea altresì, al pari degli intervenienti a suo sostegno, che il test del peggioramento della qualità utilizzato al riguardo è impreciso e che essa ignora le sue modalità concrete di attuazione.

173    Secondo la Commissione, in primo luogo, non può essere rilevata alcuna incoerenza tra la constatazione secondo cui la strategia commerciale di Google era quella di aumentare la distribuzione dei dispositivi Android e la constatazione secondo cui Google era in grado di trarre profitto da un peggioramento della qualità di Android. Tale ipotesi non implicherebbe tuttavia che sia nell’interesse di Google deteriorare la qualità di Android. In secondo luogo, la Commissione sottolinea che essa non può essere tenuta a definire uno standard fisso di peggioramento della qualità per attuare il test SSNDQ, salvo renderlo inutile in pratica.

–       Giudizio del Tribunale

174    Occorre osservare che, nella decisione impugnata, la Commissione ha preso in considerazione l’eventualità di un peggioramento della qualità di Android per valutare la posizione di Google nel mercato dei SO su licenza. La Commissione ha dichiarato al riguardo che gli utenti e gli sviluppatori di applicazioni di SO su licenza non erano sufficientemente sensibili a un peggioramento della qualità di Android (punto 483 della decisione impugnata). Essa ha altresì rinviato a tale valutazione per definire la portata del mercato dei SO su licenza (v. punti 243 e 267 della decisione impugnata).

175    Inoltre, in sostanza, a causa di un vincolo indiretto e insufficiente a livello degli utenti e degli sviluppatori di applicazioni, la Commissione ha ritenuto che i SO senza licenza non appartenevano allo stesso mercato dei SO su licenza e le imprese che gestiscono i primi, in particolare Apple, non controbilancerebbero il potere di mercato di Google.

176    Orbene, anzitutto, al fine di definire un mercato rilevante e di valutare, in quest’ultimo, la situazione concorrenziale di un’impresa interessata, la Commissione può basarsi su una serie di indizi, senza essere tenuta a seguire un rigido ordine gerarchico delle diverse fonti di informazione o dei diversi tipi di elementi di prova a sua disposizione (v., in tal senso, sentenza dell’11 gennaio 2017, Topps Europe/Commissione, T‑699/14, non pubblicata, EU:T:2017:2, punti da 80 a 82).

177    In presenza di un prodotto che poteva difficilmente dar luogo al test classico dell’ipotetico monopolista, diretto a verificare la risposta del mercato a un aumento lieve, ma significativo e non provvisorio, del prezzo di un bene (Small but Significant and Non Transitory Increase in Price), il test SSNDQ, che esamina il peggioramento della qualità del prodotto di cui trattasi, costituiva effettivamente un indizio pertinente per definire un mercato rilevante. La concorrenza tra imprese può certamente manifestarsi in termini di prezzo, ma anche sul piano della qualità e sul piano dell’innovazione.

178    Tale ipotesi poteva del pari essere utilizzata, alle sezioni da 9.3.4.1 a 9.3.4.3 della decisione impugnata, per verificare se Google, in situazione di posizione dominante nel mercato dei SO su licenza, fosse vincolata dalla concorrenza di Apple, situata al di fuori di tale mercato. La constatazione, in fase di definizione di un mercato, di una scarsa sostituibilità della domanda indiretta in presenza di un peggioramento della qualità di un prodotto rimaneva del pari pertinente, in sede di valutazione della posizione dominante, per valutare il vincolo proveniente da un’impresa che commercializzava un prodotto diverso, esterno al mercato così definito.

179    Inoltre, la formulazione di tale ipotesi non implica affatto, come sostiene erroneamente Google, che la Commissione abbia affermato che era nell’interesse di Google deteriorare la qualità di Android. Al contrario, l’esame di un peggioramento della qualità di Android mirava semplicemente a verificare se Google subisse, a livello degli utenti e degli sviluppatori di applicazioni, il vincolo concorrenziale di Apple, come sostenuto da Google nel corso del procedimento amministrativo.

180    Infine, la definizione di uno standard quantitativo preciso di peggioramento della qualità del prodotto considerato non può essere un prerequisito dell’applicazione del test SSNDQ. L’ipotesi di un lieve peggioramento della qualità di Android non richiedeva, come per il test classico dell’ipotetico monopolista per il quale un aumento lieve, ma significativo e non provvisorio del prezzo può essere quantificato più facilmente, la previa fissazione di uno standard di peggioramento preciso.  Rileva soltanto l’idea secondo cui il peggioramento della qualità rimane lieve, pur essendo significativo e non provvisorio.

181    Pertanto, la Commissione ha correttamente considerato il peggioramento della qualità di Android mediante il test SSNDQ.

iv)    Sulla fedeltà degli utenti per i loro SO

–       Argomenti delle parti

182    Secondo Google, la fedeltà degli utenti non era un parametro pertinente. Sebbene, nel 2015, più di quattro utenti su cinque che avevano acquistato un dispositivo funzionante con Android avessero acquistato un nuovo dispositivo Android, ciò avveniva solo a causa degli sforzi compiuti da Google per mantenere la qualità del SO. La fedeltà dipenderebbe quindi dalla qualità di Android, come emergerebbe da varie prove indebitamente respinte dalla Commissione. Per di più, la Commissione respingerebbe erroneamente l’utilizzo del modello economico Klemperer, il quale dimostrerebbe che Google subisce la concorrenza di Apple per attirare i nuovi acquirenti e che tale concorrenza incide sul comportamento per tutti gli utenti di Android.

183    Secondo la Commissione, la fedeltà degli utenti era un parametro pertinente per escludere l’ipotesi di un passaggio sostanziale degli utenti a un altro SO in caso di lieve peggioramento della qualità di Android. La Commissione ha parimenti respinto la pertinenza, nel caso di specie, dei risultati ottenuti con l’utilizzo del modello economico Klemperer.

–       Giudizio del Tribunale

184    A tal riguardo, in primo luogo, occorre osservare che la fedeltà degli utenti nei confronti di Android non si spiegava, secondo la Commissione, unicamente con la qualità del SO. Come ha indicato quest’ultima sulla base delle dichiarazioni degli OEM, citate ai punti 524 e 534 della decisione impugnata, il grado elevato di fedeltà degli utenti nei confronti di Android poteva anche trovare spiegazione nelle difficoltà incontrate dagli utenti per garantire la portabilità dei dati personali oppure nell’obbligo di procedere al riacquisto di applicazioni. In particolare, come rilevato segnatamente da uno di tali OEM, gli utenti si abituano al funzionamento del loro dispositivo intelligente e non vogliono imparare a utilizzare un nuovo sistema (v. punto 534, paragrafo 3, della decisione impugnata). La fedeltà degli utenti non può essere spiegata nemmeno con la sola qualità del SO, come esposto dalla Commissione al punto 488 della decisione impugnata, in quanto numerosi utenti utilizzavano una versione di Android non aggiornata.

185    In secondo luogo, la dichiarazione di un dirigente di Google, allegata al ricorso, non rimette in discussione l’importanza del parametro relativo alla fedeltà degli utenti verso il loro SO. Tale dichiarazione menziona in particolare gli sforzi compiuti da Google per rispondere alle richieste degli utenti e degli sviluppatori di prodotti Android e le diverse tecniche utilizzate da tale impresa per valutare il rischio di passaggio degli utenti ad Apple. Le affermazioni esposte al riguardo rimangono generiche e non sono corroborate, nella maggior parte dei casi e sostanzialmente, da elementi concreti o da dati numerici che consentano di misurarne la portata. Per quanto attiene, più in particolare, agli sforzi menzionati da Google per rispondere alle richieste degli utenti, occorre rilevare che la soddisfazione degli utenti non può essere spiegata unicamente con il rischio di passaggio di questi ultimi a un altro SO, ma risponde piuttosto in generale alla strategia di qualsiasi impresa che intenda innovare e rispondere alle esigenze dei suoi utenti. Garantire la soddisfazione degli utenti consentiva altresì di rafforzare la loro fedeltà per Android.

186    In terzo luogo, gli elementi sui quali si è basata la Commissione nella decisione impugnata rivelavano certamente il passaggio a un altro SO, ma di un’intensità relativa. È vero che Google sostiene che il fatto che l’82% degli utenti di dispositivi Android, nel 2015, sia rimasto fedele ad Android in occasione di un nuovo acquisto non consentirebbe di concludere con certezza che, in caso di peggioramento della qualità di Android, tale percentuale resterebbe altrettanto elevata. Per contro, tale fatto consentirebbe di affermare che, quantomeno, l’elevato grado di fedeltà degli utenti nei confronti di Android rendeva poco probabile, a prima vista, il passaggio degli utenti a un altro SO. Analogamente, senza essere contestata su tale punto da Google, la Commissione ha sostenuto, al punto 537 della decisione impugnata, che, nel periodo 2013‑2015, solo il 16% degli utenti di dispositivi mobili Apple utilizzava, in precedenza, un dispositivo Android. In altri termini, solo una piccola parte degli utenti, non una parte sostanziale di essi, era suscettibile di passare ad Apple. Le dichiarazioni degli OEM, riportate al punto 543 della decisione impugnata, andavano nello stesso senso. Pur se questi ultimi riconoscevano la possibilità che gli utenti potessero passare ad Apple, ciò è avvenuto solo in casi eccezionali, caratterizzati da cambiamenti significativi.

187    Inoltre, sebbene, come affermato dalla Commissione al punto 538 della decisione impugnata, numerosi utenti fossero passati ad Apple alla fine del 2015, ciò era dovuto al lancio di un nuovo dispositivo mobile intelligente dotato di nuove caratteristiche. In altri termini, il passaggio non si spiegava con una concorrenza tra SO. Siffatta lettura è confermata da un documento interno di Google sul quale si basa quest’ultima. Dal documento intitolato «Switcher Insights» (Informazioni sui consumatori che passano a un altro dispositivo) risulta, infatti, che il passaggio degli utenti derivava principalmente dal lancio di nuovi dispositivi e non da evoluzioni dei SO.

188    In quarto luogo, l’utilizzo del modello economico Klemperer, considerato al punto 551 della decisione impugnata, non consentiva di contraddire la fedeltà degli utenti verso i loro SO. Tale studio riguardava infatti gli acquirenti del primo dispositivo e non può essere interpretato nel senso che gli utenti non dimostrerebbero alcuna fedeltà verso i loro SO dopo aver effettuato la loro scelta.

189    Pertanto, la Commissione poteva basarsi correttamente sulla fedeltà degli utenti verso il loro SO per valutare la portata del vincolo concorrenziale di Apple.

v)      Sulla sensibilità degli utenti alla qualità del SO

–       Argomenti delle parti

190    Google afferma, al pari degli intervenienti a suo sostegno, che gli utenti erano sensibili a qualsiasi peggioramento, seppur lieve, della qualità di Android. Per la scelta dei consumatori la qualità sarebbe il parametro determinante, non equivalente o accessorio ad altri parametri, quali il prezzo o l’estetica del prodotto interessato. La notevole copertura mediatica dei lanci delle nuove versioni dei SO e vari sondaggi illustrerebbero tale stato di fatto.

191    La Commissione, sostenuta dagli intervenienti a suo sostegno, precisa di non aver ritenuto che gli utenti fossero insensibili a tutte le variazioni di qualità dei SO mobili, ma di aver ritenuto che fosse poco probabile che essi cambiassero le loro abitudini di acquisto e passassero a un prodotto diverso in risposta ad un lieve peggioramento della qualità di Android. Gli utenti terrebbero conto di un insieme di parametri e non soltanto del SO. I diversi elementi fatti valere da Google non consentirebbero di sostenere la tesi opposta.

–       Giudizio del Tribunale

192    Occorre anzitutto rilevare che, contrariamente a quanto sostenuto da Google, la Commissione non ha affatto ritenuto che gli utenti non attribuissero alcuna importanza al SO dei dispositivi mobili intelligenti.

193    Pertanto, nel solco della sua prassi decisionale, la Commissione ha dichiarato che il SO era un parametro importante per la scelta di un dispositivo mobile intelligente. La Commissione ha tuttavia insistito anche sul fatto che non si trattava dell’unico parametro preso in considerazione dagli utenti (v. punto 483 della decisione impugnata). È proprio in considerazione di ciò che la Commissione ha ritenuto, in detto punto, che, in presenza di un lieve peggioramento della qualità di Android, era «poco probabile» che un utente cambiasse le proprie abitudini di acquisto e passasse da un apparecchio funzionante con un SO su licenza a un apparecchio funzionante con un SO senza licenza.

194    Al di là di quest’unica constatazione, Google contesta due delle motivazioni sottese alla valutazione della Commissione. In primo luogo, senza rimettere in discussione il fatto che un utente decide in funzione di diversi parametri, Google osserva che ammettere l’esistenza di più parametri non è sufficiente ad escludere che un peggioramento della qualità del SO induca gli utenti a passare ad apparecchi che funzionano con un altro SO. Così i risultati di vari sondaggi attesterebbero il fatto che la qualità del SO era un parametro preponderante nella scelta degli utenti. In secondo luogo, Google osserva che, contrariamente ai punti da 488 a 490 della decisione impugnata, la mancanza di un passaggio immediato degli utenti in presenza di ritardi nell’accesso agli aggiornamenti di Android non consente affatto di sostenere che gli utenti non reagirebbero a un peggioramento della qualità di Android. L’accesso agli aggiornamenti di Android richiederebbe un certo tempo.

195    Orbene, da un lato, si deve necessariamente rilevare che i sondaggi menzionati da Google non consentono di corroborare utilmente le sue affermazioni. Il primo, il documento intitolato «Switchers Insight», elaborato da Google e menzionato al punto 540 della decisione impugnata, indicava che i passaggi avvenivano contemporaneamente al lancio di un nuovo dispositivo, e non all’evoluzione dei SO. Ne deriva che gli utenti attribuivano importanza a un insieme di parametri del dispositivo, e non al solo SO. Tale interpretazione è tanto più ammissibile in quanto il sondaggio rivelava percentuali differenti di passaggio a seconda degli OEM.

196    Il secondo, il sondaggio Kantar, menzionato al punto 494 della decisione impugnata, indicava che il 24% degli utenti di dispositivi Android di fascia bassa passavano ogni anno a un altro SO contro il 14% degli utenti di dispositivi di fascia alta. Tale sondaggio rivelava certamente che taluni utenti di dispositivi Google Android nel Regno Unito erano passati ad apparecchi che funzionavano con un altro SO mobile. Tuttavia, tale passaggio non si spiegava principalmente con la qualità del SO, bensì con altre caratteristiche, come la marca o il modello, il costo, la facilità d’uso, la rete o l’operatore. Ciò valeva a maggior ragione in quanto da detto sondaggio, senza che ciò fosse contestato da Google, risultava che una parte molto limitata degli utenti affermava di essere passata a un dispositivo Apple a causa della qualità e della marca del SO. In altri termini, se è vero che la qualità del SO poteva essere un parametro importante, non era il parametro determinante al momento dell’acquisto di un nuovo dispositivo.

197    Il terzo, il sondaggio Yandex, menzionato al punto 492 della decisione impugnata, indicava che la maggior parte degli utenti di dispositivi Android era fedele a detto SO a motivo, in sostanza, della sua qualità. Tale sondaggio non può tuttavia corroborare le affermazioni di Google. Infatti, sebbene il 44% degli utenti avesse espresso la propria fedeltà ad Android per l’interesse nutrito verso il SO e non verso il dispositivo o il suo prezzo, il documento in questione relativizzava il significato di tale dato. Tale documento stesso indicava che non si poteva escludere che, tra tali utenti, fossero stati presi in considerazione altri parametri, in particolare la fedeltà per la marca o per i costi occasionati dal passaggio ad un’altra piattaforma. Analogamente, nelle sue conclusioni, il sondaggio indicava altresì che un lieve peggioramento della qualità di Android non era determinante nella scelta di un dispositivo nella fase della sua distribuzione.

198    D’altro lato, ai punti da 488 a 490 della decisione impugnata, la Commissione ha dichiarato che numerosi utenti di SO su licenza utilizzavano un dispositivo che funzionava con una versione precedente di Android. Tale constatazione non è contestata da Google. Così, nel maggio 2017, solo il 7,1% degli utenti possedeva un dispositivo che funzionava con una versione aggiornata di Android, versione che era tuttavia disponibile sin dall’ottobre 2016. Analogamente, dai punti 489 e 490 della decisione impugnata risulta che le vendite di dispositivi Google Android non erano collegate agli aggiornamenti di tale SO. Ne deriva quindi che gli utenti presentavano una sensibilità relativa a una variazione della qualità di Android, in quanto essi sembravano essere soddisfatti di versioni precedenti di detto SO.

199    Pertanto, non si può contestare alla Commissione di aver ritenuto che, in presenza di molteplici parametri che determinavano la scelta di un utente, fosse poco probabile che un peggioramento della qualità di Android comportasse il passaggio degli utenti di un dispositivo funzionante con un SO su licenza a un apparecchio funzionante con un SO senza licenza.

vi)    Sui costi del passaggio a un altro SO

–       Argomenti delle parti

200    Secondo Google, l’obbligo di procedere al riacquisto di applicazioni affinché esse funzionassero con iOS non costituiva un freno al passaggio degli utenti a tale SO. Le applicazioni a pagamento sarebbero solo una minima parte delle applicazioni scaricate e alcune consentirebbero di garantire la portabilità degli abbonamenti sottoscritti. Analogamente, Apple si sforzerebbe affinché gli utenti possano cambiare facilmente SO proponendo strumenti per far migrare le applicazioni da Android a iOS.

201    Secondo la Commissione, numerosi altri fattori renderebbero gli utenti propensi a non passare ad un altro SO, come la fedeltà degli utenti per il loro SO, le caratteristiche del dispositivo e l’obbligo di procedere al riacquisto di nuove applicazioni.

–       Giudizio del Tribunale

202    Occorre anzitutto sottolineare che Google non contesta la serie di ostacoli al passaggio individuati dalla Commissione al punto 523 della Decisione. Google si concentra unicamente sulla necessità, evidenziata dalla Commissione, di scaricare e di acquistare nuove applicazioni, mentre la Commissione suffraga altresì la constatazione secondo cui il passaggio a iOS sarebbe costoso a causa dell’obbligo per gli utenti di prendere confidenza con una nuova interfaccia e dell’obbligo di trasferire una quantità considerevole di dati.

203    Orbene, gli argomenti dedotti da Google non possono rimettere in discussione il complesso delle valutazioni di cui ai punti da 522 a 532 della decisione impugnata. Da un lato, quand’anche gli utenti avessero speso poco in applicazioni rispetto al costo di un dispositivo mobile, si deve necessariamente rilevare che esisterebbe comunque un costo supplementare per gli utenti che intendessero passare a un altro SO. Google non lo contesterebbe. Per quanto esiguo esso possa essere, tale costo supplementare non potrebbe essere eluso e costituiva effettivamente un freno al passaggio degli utenti.

204    D’altro lato, la circostanza, di cui al punto 525 della decisione impugnata, secondo cui Apple cercava di agevolare tale passaggio, non può essere interpretato nel senso che il passaggio fosse effettivo. Al contrario, come osserva la Commissione, il lancio di un’applicazione da parte di Apple al fine di facilitare il passaggio da Android a iOS rivelava proprio il fatto che il passaggio era fonte di preoccupazione. La Commissione osserva giustamente, senza essere contestata su tale punto da Google, che il passaggio costringe gli utenti a prendere confidenza con una nuova interfaccia, rendendolo necessariamente più complesso e incerto.

205    Pertanto, la Commissione non ha erroneamente ritenuto che il passaggio ad un altro SO mobile potesse comportare un costo supplementare, costituente un ulteriore ostacolo al passaggio degli utenti ad Apple.

vii) Sull’incidenza della politica tariffaria di Apple

–       Argomenti delle parti

206    Secondo Google e gli intervenienti a suo sostegno, la politica tariffaria seguita da Apple non costituiva un freno al passaggio degli utenti, indipendentemente dal fatto che questi ultimi utilizzassero dispositivi di fascia alta o bassa.

207    Dal canto suo, la Commissione obietta, al pari degli intervenienti a suo sostegno, che la politica tariffaria di Apple non poteva essere occultata e costituiva un ostacolo importante al passaggio degli utenti, sia per i dispositivi di fascia alta che per i dispositivi di fascia bassa.

–       Giudizio del Tribunale

208    Nel caso di specie, gli argomenti dedotti da Google sono identici a quelli respinti dalla Commissione ai punti da 512 a 521 della decisione impugnata. Per gli utenti di dispositivi di fascia bassa, la politica tariffaria di Apple appariva come un ostacolo evidente. La Commissione ha giustamente osservato, al punto 513 della decisione impugnata, che almeno il 50% dei dispositivi che funzionavano con Android erano venduti ad un prezzo inferiore a quello dei dispositivi Apple. Per di più, ai punti 503 e 504 della decisione impugnata, la Commissione ha sottolineato che, nel periodo 2009‑2014, i dispositivi Apple costavano mediamente quasi il doppio rispetto ai dispositivi Android. Pertanto, qualsiasi passaggio a dispositivi Apple era accompagnato da una spesa più consistente per gli utenti di dispositivi di fascia bassa.

209    L’argomento basato sul prezzo del modello iPhone SE non può essere accolto al riguardo. In primo luogo, sebbene il modello iPhone SE fosse il dispositivo meno caro venduto da Apple, a un prezzo intorno ai 400 dollari statunitensi (USD) (circa EUR 290 nel 2014), tuttavia, conformemente alla tabella riprodotta al punto 503 della decisione impugnata, tale prezzo era sempre superiore al prezzo medio di vendita dei dispositivi Android. In secondo luogo, il prezzo inferiore di detto iPhone su una piattaforma di vendita online, indicato da Google, non corrispondeva affatto al prezzo praticato da Apple. Tale prezzo era quello praticato da un rivenditore terzo, in un dato momento, e non può essere quindi generalizzato. In terzo luogo, alla luce del punto 518 della decisione impugnata, il modello iPhone SE era stato messo in vendita a partire dal marzo 2016, ossia alla fine del periodo dell’infrazione, circostanza che Google non contesta.

210    Pertanto, la Commissione non ha erroneamente ritenuto che la politica tariffaria di Apple fosse un freno al passaggio degli utenti di dispositivi Android di fascia bassa.

211    Un’identica conclusione non si impone tuttavia per quanto riguarda gli utenti di dispositivi di fascia alta, vale a dire i dispositivi venduti in una fascia di prezzo equivalente ai dispositivi Apple.

212    Nella decisione impugnata la Commissione ha sottolineato, al punto 513, che il passaggio degli utenti di dispositivi di fascia alta era poco probabile, tenuto conto delle loro abitudini di acquisto, dei costi supplementari che tale passaggio comportava nonché della fedeltà degli utenti per il loro SO. Essa ha altresì precisato, al punto 515 della decisione impugnata, che, anche tenendo conto di tale passaggio, l’impatto finanziario su Google sarebbe limitato. Infatti, Google continuava a percepire una quota rilevante di entrate, grazie all’utilizzo via iOS del suo motore di ricerca Google Search, a seguito dell’accordo concluso con Apple. A tal riguardo, Google sostiene, al contrario, di trarre gran parte dei suoi redditi dall’utilizzo di dispositivi Google Android che si trovano in una fascia di prezzo equivalente ai dispositivi Apple. Pertanto, anche il passaggio di una piccola parte di essi le arrecherebbe un danno.

213    Orbene, se la politica tariffaria di Apple appariva come un freno al passaggio degli utenti di dispositivi di fascia bassa, lo stesso non vale per gli utenti di dispositivi di fascia alta. La Commissione sembra riconoscere ciò implicitamente, in quanto, al punto 513 della decisione impugnata, per affermare che gli utenti di tali dispositivi non passerebbero ai dispositivi Apple, essa menziona motivi diversi. La Commissione non avanza infatti alcun argomento riguardo alla politica tariffaria di Apple, la quale non costituisce di per sé un freno al passaggio degli utenti di dispositivi di fascia alta in caso di lieve peggioramento della qualità di Android.

214    La constatazione di cui al punto 515 della decisione impugnata, secondo la quale l’impatto di tale passaggio per quanto riguarda i dispositivi di fascia alta sarebbe finanziariamente limitato, in quanto gli utenti continuerebbero a effettuare ricerche con Google Search sui dispositivi iOS e Google manterrebbe i redditi generati da tali ricerche, non ha una reale incidenza sulla questione se la politica tariffaria di Apple fosse in grado di controbilanciare la posizione di Google nel mercato dei SO su licenza. Infatti, come riconosciuto dalla Commissione al punto 540, paragrafo 1, della decisione impugnata richiamando un esempio, la politica tariffaria di Apple non può costituire un freno al passaggio degli utenti di dispositivi di fascia alta dall’ecosistema Android all’ecosistema iOS.

215    Pertanto, la Commissione ha giustamente ritenuto che la politica tariffaria di Apple costituisse un freno al passaggio della maggior parte degli utenti di dispositivi Android. Per contro, lo stesso non può dirsi per gli utenti di dispositivi di fascia alta. Tale errore è privo tuttavia di conseguenze, in quanto, per questi ultimi utenti, il loro passaggio dipende da altri fattori, come risulta dal punto 513 della decisione impugnata oppure dal punto 540, paragrafo 2, e dal punto 540, paragrafo 3, della decisione impugnata. Lo stesso vale quindi, in particolare, per la fedeltà degli utenti al loro SO, compresa, come risulta dalla dichiarazione di un OEM riportata dalla Commissione al punto 534 della decisione impugnata, l’abitudine degli utenti all’uso del loro SO (v. supra, punti da 184 a 189).

viii) Sul comportamento degli sviluppatori di applicazioni

–       Argomenti delle parti

216    Google insiste sull’importanza di essere sostenuta dagli sviluppatori di applicazioni. Google sostiene che doveva mantenere un livello elevato di qualità di Android per garantire agli sviluppatori di applicazioni il più ampio numero di utenti. Qualsiasi peggioramento di Android porterebbe gli sviluppatori di applicazioni ad operare a vantaggio di altre piattaforme, in particolare quella di Apple, se non addirittura a ridurre i loro investimenti per Android. Un calo dell’investimento degli sviluppatori di applicazioni causerebbe una spirale negativa che porterebbe al passaggio degli utenti.

217    Secondo la Commissione, il mancato passaggio degli utenti in caso di lieve peggioramento della qualità di Android implica correlativamente il mancato passaggio degli sviluppatori di applicazioni. Il diagramma contenuto nel punto 610 della decisione impugnata consentirebbe del resto di chiarire il fatto che gli sviluppatori di applicazioni, dal 2010, sono passati in gran numero da iOS ad Android.

–       Giudizio del Tribunale

218    A tal riguardo, occorre rilevare che la Commissione ha esposto correttamente le ragioni per le quali uno sviluppatore di applicazioni continuerebbe ad operare per Android in caso di lieve peggioramento della qualità del SO. Infatti, Android era la piattaforma più diffusa tra gli utenti, cosicché gli sviluppatori di applicazioni avevano tutto l’interesse a puntare sulla più ampia percentuale di utenti (v. punto 553 della decisione impugnata).

219    Essendo improbabile che gli utenti potessero passare ad un altro SO mobile in caso di lieve peggioramento della qualità di Android, lo stesso varrebbe per gli sviluppatori di applicazioni, i quali non potevano ragionevolmente abbandonare la maggior parte dei loro clienti.

220    Analogamente, contrariamente a quanto sostenuto da Google, il fatto che gli sviluppatori di applicazioni operassero per più SO rafforzava la constatazione secondo cui un peggioramento della qualità di Android non avrebbe comportato la cessazione dello sviluppo di un’applicazione per Android.

221    Pertanto, la Commissione non è incorsa in errori di valutazione nel considerare che gli sviluppatori di applicazioni non si sarebbero discostati da Android in caso di lieve peggioramento della qualità di detto SO.

222    Di conseguenza, la Commissione ha correttamente ritenuto che l’intensità relativa della concorrenza proveniente da Apple giustificasse il fatto di non estendere il mercato rilevante a tutti i SO mobili e di escludere qualsiasi vincolo concorrenziale, da parte dei SO senza licenza, del forte potere detenuto da Google nel mercato dei SO su licenza. Che si tratti della fedeltà degli utenti verso il loro SO, dell’incidenza della politica tariffaria di Apple, in particolare per gli utenti che dispongono di dispositivi di fascia bassa, e dei costi che comporta il passaggio a un altro SO, la Commissione ha correttamente ritenuto che tali molteplici ostacoli, considerati nel loro insieme, consentissero di relativizzare l’impatto del vincolo concorrenziale di Apple sul potere di mercato di Google.

2)      Sul vincolo concorrenziale della licenza AOSP

i)      Argomenti delle parti

223    Google ritiene di subire un vincolo concorrenziale a causa della licenza AOSP, che consentirebbe lo sviluppo di perfetti sostituti di Android. Pertanto, qualsiasi lieve peggioramento della qualità di Android indurrebbe gli OEM a privilegiare versioni non peggiorate di Android liberamente accessibili. La Commissione non terrebbe conto della soluzione sancita nella sua decisione C(2010) 142 definitivo, del 21 gennaio 2010, che dichiara una concentrazione compatibile con il mercato comune e il funzionamento dell’accordo SEE (caso COMP/M.5529, Oracle/Sun MicroSystems; in prosieguo: la «decisione Sun Microsystems»), in cui essa ha ritenuto che la natura aperta di un software comportasse una pressione concorrenziale. Inoltre, la stabilità delle quote di mercato di Google dal 2011, che si spiegherebbe con i suoi sforzi per mantenere la qualità di Android, non inciderebbe sulla reazione degli OEM in caso di lieve peggioramento della sua qualità. Google contesta altresì la pertinenza dei riferimenti fatti nella decisione impugnata al marchio Android, che essa detiene, alle sue interfacce di programmazione di applicazioni proprietarie (in prosieguo: le «IPA proprietarie»), al suo controllo di Android mediante test di compatibilità, o al fatto che la maggior parte degli OEM ha concluso con essa AAF e Adam.

224    La Commissione contesta tali argomenti. Essa ricorda in particolare che Google controlla l’accesso al codice sorgente di Android (punti da 128 a 130 della decisione impugnata). La Commission si basa inoltre su una presentazione interna di un dirigente di Google. Tale presentazione chiarirebbe la politica seguita da Google, in particolare la necessità di mantenere il controllo di Android attraverso lo sviluppo di Play Store e delle sue applicazioni Google che consentono, alla fine, di rendere impossibile l’emergere di una versione alternativa credibile di Android. Inoltre, la decisione Sun Microsystems non sarebbe di alcun ausilio, in quanto, nella presente causa, gli OEM che intendano utilizzare il marchio Android, avere accesso a Play Store e usare applicazioni di Google devono concludere accordi con quest’ultima.

225    La BDZV concorda pienamente con la Commissione. Android sarebbe il «progetto aperto più chiuso». La BDZV menziona il fatto che Google garantisce lo sviluppo del codice sorgente stesso di Android, che essa controlla la licenza AOSP nonché il marchio Android, che ne controlla l’attuazione attraverso i test di compatibilità, che ha un interesse commerciale che spiega la sua necessità di mantenere il controllo di Android e che la natura aperta di Android è discutibile alla luce della progressiva restrizione del codice sorgente.

ii)    Giudizio del Tribunale

226    Si deve necessariamente constatare che Google sopravvaluta il vincolo concorrenziale dovuto alla licenza AOSP. È vero che la motivazione di cui al punto 568 della decisione impugnata, secondo cui le quote di mercato di Google dal 2011 non hanno cessato di aumentare fino a raggiungere un livello particolarmente elevato, non può essere, di per sé, sufficiente per escludere qualsiasi vincolo concorrenziale dovuto alla licenza AOSP. Neppure il fatto che non sia potuta emergere nessun fork Android non compatibile consentirebbe di escludere la possibilità per un’impresa di sviluppare, a partire dal codice sorgente, un’alternativa credibile ad Android. Tuttavia, unitamente agli altri motivi sui quali si è basata la Commissione ai punti da 567 a 583 della decisione impugnata, il vincolo dovuto alla licenza AOSP poteva essere fortemente relativizzato.

227    In primo luogo, occorre ricordare che le barriere all’ingresso per un’impresa che intendesse sviluppare un SO a partire dal codice sorgente di Android erano elevate, e ciò nonostante la gratuità di Android, se non addirittura a causa di tale gratuità. Come correttamente rilevato dalla Commissione al punto 569 della decisione impugnata, senza essere contestata su tale punto da Google, qualsiasi impresa che intendesse sviluppare un SO alternativo a partire dal codice sorgente Android doveva sostenere spese ingenti, che inducevano verosimilmente a proporre, in un primo tempo, una versione alternativa a pagamento. Gli esempi tratti dal SO di Amazon o dal tentativo della Seznam di sviluppare il proprio SO sono particolarmente probanti. In altri termini, Google non può sostenere che, in caso di lieve peggioramento della qualità di Android, gli OEM sarebbero stati in grado di volgersi rapidamente al codice sorgente per far fronte a un siffatto peggioramento.

228    Ciò è tanto più vero tenuto conto degli AAF, che frenavano l’emergere di alternative ad Android come sottolineato dalla Commissione, in particolare ai punti 572, 575 e 576 della decisione impugnata. Infatti, numerosi OEM erano vincolati da tali accordi, i quali non consentivano loro di vendere dispositivi mobili funzionanti con versioni di Android non approvate da Google. Per i firmatari degli AAF, ossia in realtà un centinaio di OEM, di cui i 30 più importanti (v. infra, punto 849), volgersi a una versione alternativa non approvata da Google implicava una rottura totale con quest’ultima.

229    In secondo luogo, quand’anche gli OEM fossero riusciti a sviluppare una versione alternativa di Android a partire dal codice sorgente di Android, siffatta versione rischiava di non essere, in un primo tempo, un concorrente credibile. Per elaborare una versione del genere, un’impresa doveva essere in grado di proporre varie applicazioni e altresì di consentire l’accesso ad interfacce di programmazione di applicazioni sufficientemente funzionali, come dichiarato dalla Commissione al punto 576 della decisione impugnata. Google non rimette del resto in discussione le dichiarazioni riportate dalla Commissione ai punti 576 e 577 della decisione impugnata, secondo le quali le applicazioni e le IPA proprietarie di Google, in particolare a causa del suo potere di mercato nei servizi di ricerca generale, erano commercialmente importanti per i produttori. Replicare tali applicazioni e le interfacce di programmazione di applicazioni corrispondenti richiedeva quindi del tempo e un investimento considerevole. In altri termini, l’emergere di una versione alternativa credibile si rivelava fortemente incerto.

230    Google sostiene al riguardo che una versione alternativa di Android poteva beneficiare delle sue IPA proprietarie. Tuttavia, anche supponendo accertata siffatta possibilità, Google non contraddice la valutazione, contenuta nel punto 576 della decisione impugnata, secondo cui l’accesso alle applicazioni e alle sue IPA proprietarie era subordinato alla conclusione di un AAF, consentendo così a Google di supervisionare le versioni alternative di Android.

231    In terzo luogo, la decisione Sun Microsystems non rimette in discussione l’analisi che precede. Infatti, come fa valere la Commissione, le circostanze differiscono tra tale caso e quello in esame. È vero che, al punto 749 di detta decisione, la Commissione ha tenuto conto del vincolo concorrenziale proveniente da software elaborati a partire dal codice sorgente di un software della Sun Microsystems, Inc. per esaminare il potere di mercato dell’entità risultante dalla concentrazione. Analogamente, al punto 252 della decisione impugnata, sul quale si basa Google, la Commissione ha riconosciuto che il detentore di un software aperto era vincolato da sviluppatori indipendenti che erano in grado di proporre miglioramenti o correttivi a detto software. Tuttavia, nella presente causa, resta il fatto che la natura aperta di Android non è paragonabile a quella del software di cui trattasi nella decisione Sun Microsystems. Infatti, come risulta dal punto 128 della decisione impugnata, la versione aperta di Android disponibile non è necessariamente l’ultima versione di Android proposta da Google. Analogamente, il fatto di proporre miglioramenti di Android a partire dal codice sorgente risulta difficile in pratica, salvo legarsi ulteriormente con Google al fine di ottenere, in particolare, l’accesso alle sue applicazioni nonché alle sue IPA proprietarie. Da quanto precede risulta che il carattere aperto diAndroid non costituisce un vincolo concorrenziale paragonabile a quello individuato nella decisione Sun Microsystems.

232    Infine, non occorre dare seguito all’argomento di Google, presentato nella replica, secondo il quale la Commissione si contraddirebbe in quanto, da un lato, affermerebbe che «una variante di Android deve avere accesso ai marchi Android e alle applicaioni Play Store e Google Search per rappresentare una minaccia credibile», mentre, dall’altro, si considera, nell’ambito dell’abuso nel mercato mondiale, esclusa la Cina, dei portali di vendita di applicazioni Android, da un lato, e nei mercati nazionali dei servizi di ricerca generale, dall’altro, subordinando la licenza di Play Store e di Google Search all’accettazione degli OAF (in prosieguo: il «secondo abuso»), che i «fork incompatibili», che non disponevano di tale accesso, «costituiscono una minaccia concorrenziale credibile» (v. punto 1036, paragrafo 1, della decisione impugnata). Infatti, come esposto dalla Commissione, per valutare il vincolo concorrenziale che può essere esercitato dalla licenza AOSP, si deve tener conto del fatto che, per poter vendere i loro dispositivi funzionanti con fork compatibili e attuare le IPA proprietarie di Google, gli OEM devono concludere un AAF e un ADAM. Pertanto, nei limiti in cui tali OEM sono vincolati dagli AAF la cui durata è generalmente di cinque anni (punti 168, 169 e 1078 della decisione impugnata), essi ultimi non possono basarsi liberamente sul codice sorgente Android per creare fork. Non sarebbe quindi consentito loro di lanciare rapidamente e in qualsiasi momento un dispositivo funzionante con tale fork.

233    Pertanto, la Commissione ha correttamente concluso che la natura aperta della licenza AOSP non costituiva un vincolo concorrenziale sufficiente per controbilanciare la posizione dominante occupata da Google nel mercato dei SO su licenza.

234    Di conseguenza, la prima parte del primo motivo deve essere respinta in quanto infondata.

3.      Sulla seconda parte riguardante il dominio dei portali di vendita di applicazioni Android

235    Oltre al mercato dei SO su licenza, la Commissione ha altresì considerato il mercato dei portali di vendita di applicazioni Android. Per definire tale mercato, la Commissione, ai punti da 268 a 322 della decisione impugnata, ha incluso l’insieme dei portali di vendita di applicazioni destinati ai dispositivi Google Android, nonché i portali di vendita di applicazioni destinati agli altri dispositivi che funzionano con Android. Per contro, in primo luogo, la Commissione ha escluso che un insieme di applicazioni, in particolare quelle scaricabili direttamente da Internet, appartenesse allo stesso mercato di un portale di vendita di applicazioni. In secondo luogo, la Commissione ha escluso i portali di vendita degli altri SO mobili con licenza nonché quelli dei SO mobili senza licenza.

236    Nel mercato dei portali di vendita per Android la Commissione ha poi ritenuto che Google detenesse una posizione dominante con Play Store. Come risulta dai punti da 590 a 673 della decisione impugnata, la Commissione si è basata sulle quote di mercato di Google, sul numero e sulla popolarità delle applicazioni scaricabili nonché sull’accessibilità agli aggiornamenti, sull’obbligo di utilizzare Play Store per beneficiare dei servizi di Google Play, sull’esistenza di barriere all’ingresso, sull’assenza di potere di acquisto compensativo degli OEM nonché sull’esistenza di un vincolo concorrenziale insufficiente dei portali di vendita di applicazioni per i SO mobili senza licenza.

237    Con la seconda parte del primo motivo, Google concentra i suoi argomenti sull’esame, da parte della Commissione, alla sezione 9.4.7 della decisione impugnata, dell’intensità del vincolo concorrenziale dei portali di vendita dei SO mobili senza licenza.

a)      Argomenti delle parti 

238    Google sottolinea, anzitutto, che Android e Play Store erano interdipendenti. Essi dovevano essere contemporaneamente competitivi: il dominio dell’uno non può essere dissociato da quello dell’altro. La Commissione lo riconoscerebbe ai punti 299, 305 e 594 della decisione impugnata. La HMD, l’ADA e la CCIA confermano tale interpretazione e sottolineano che, occultando la concorrenza tra i «sistemi» Android e Apple e non valutando la concorrenza a livello globale, la decisione impugnata si discosta dalla realtà dei fatti.

239    Inoltre, dissociando Play Store da Android, la Commissione non avrebbe poi tenuto conto della concorrenza esercitata da Apple. Orbene, quest’ultima è la causa dello sviluppo di Play Store al fine di mantenere detto portale di vendita a un livello di qualità elevato. La sentenza del 12 dicembre 2018, Servier e a./Commissione (T‑691/14, con impugnazione pendente, EU:T:2018:922), confermerebbe che un siffatto schema di innovazione implica l’esistenza di una concorrenza. Se Google detenesse, come sostiene la Commissione, una posizione dominante, si sarebbe astenuta dall’innovare e si sarebbe potuto osservare un peggioramento della qualità di Play Store. Analogamente, l’affermazione di cui al punto 660 della decisione impugnata secondo la quale lo sviluppo di Play Store non si spiega con un fenomeno di innovazione, ma piuttosto con l’attuazione di tendenze tecnologiche o con un allineamento dell’uno alle caratteristiche dell’altro sarebbe non dimostrata ed erronea. Ammesso che sia fondata, tale constatazione corroborerebbe l’esistenza di una concorrenza tra Google e Apple.  

240    Infine, contrariamente a quanto affermato ai punti 290 e 668 della decisione impugnata, Google sottolinea, al pari dell’ADA, di non poter aumentare in modo redditizio l’importo delle spese a carico degli sviluppatori di applicazioni. Così come non può peggiorare la qualità di Android, essa non può trarre alcun profitto da un aumento delle spese a loro carico, salvo intensificare la concorrenza proveniente da Apple. Ne sarebbe prova la riduzione del 15%, operata da Google, durante il periodo di asserita dominanza, delle spese a carico degli sviluppatori di applicazioni per allinearsi a quella decisa da Apple.

241    La Commissione e gli intervenienti a suo sostegno contestano la fondatezza degli argomenti dedotti da Google. Da un lato, gli argomenti di Google sarebbero errati in quanto eludono in particolare il fatto che gli utenti non possono utilizzare portali di vendita di applicazioni per altri SO, come risulta dal punto 299, paragrafo 2, della decisione impugnata, e in quanto Play Store domina il mercato dei portali di vendita di applicazioni Android.

242    D’altro lato, nessun elemento di prova consentirebbe di dimostrare che lo sviluppo di Play Store è stato stimolato dall’evoluzione dell’App Store di Apple. In ogni caso, altri elementi di prova citati nella decisione impugnata consentirebbero di dimostrare la posizione dominante di Play Store nel mercato dei portali di vendita di applicazioni Android. Analogamente, gli elementi di prova citati nella decisione impugnata per spiegare a quale titolo Google potrebbe aumentare i prezzi per gli sviluppatori di applicazioni senza che ciò comporti ripercussioni rimarrebbero validi. Tenuto conto in particolare dell’aumento della quota dei dispositivi Google Android nelle vendite mondiali di dispositivi mobili intelligenti, che è passata dal 48% nel 2011 all’81% nel 2016, gli sviluppatori non intenderebbero rinunciare all’accesso a una base di utenti così ampia e in espansione. Gli sviluppatori di applicazioni non cesserebbero di distribuire applicazioni tramite Play Store in caso di aumento dei prezzi.  

b)      Giudizio del Tribunale

243    In primo luogo, occorre rilevare che Google contesta solo un numero limitato di aspetti della motivazione della decisione impugnata. Le censure non vertono su tutti gli elementi che hanno indotto la Commissione a ritenere che Google occupasse, attraverso Play Store, una posizione dominante nel mercato dei portali di vendita di applicazioni per Android. Google si concentra esclusivamente sulla mancata considerazione, da parte della Commissione, del vincolo concorrenziale proveniente da Apple.

244    In tale contesto, Google considera i punti 299 e seguenti della decisione impugnata relativi alla definizione del mercato e all’esclusione di qualsiasi sistema tra Android e Play Store. Secondo Google, la Commissione sarebbe incorsa in un errore di valutazione negando l’esistenza di un siffatto sistema, che sarebbe in concorrenza con il sistema Apple, vale a dire quello tra iOS e App Store.

245    Tuttavia, occorre rilevare che, ai punti 299 e seguenti della decisione impugnata, la Commissione ha preso in considerazione l’esistenza di un sistema tra Android e Play Store, non per respingere l’ipotesi di una concorrenza proveniente da Apple, ma per relativizzare la concorrenza proveniente da portali di vendita di applicazioni specifici degli altri SO su licenza e proveniente da altri portali di vendita specifici di Android. In altri termini, la Commissione non affrontava formalmente, ai punti 299 e seguenti della decisione impugnata, la questione dell’esistenza di una concorrenza tra il sistema Android e il sistema Apple.

246    In secondo luogo, per quanto riguarda l’esame del vincolo concorrenziale proveniente da App Store, la questione dell’esistenza di un sistema tra Android e Play Store si pone in termini diversi. Infatti, contrariamente ad Android, iOS disponeva di un solo portale di vendita di applicazioni e non poteva, solo per questo motivo, esserne dissociato. In tal senso, Play Store e App Store si facevano entrambi concorrenza attraverso il sistema al quale appartenevano tali portali di vendita, rispettivamente, iOS e Android.

247    Di fronte al sistema Apple, e al fine di valutare il vincolo concorrenziale di App Store, anche Play Store non può essere dissociato da Android. Ciò vale a maggior ragione in quanto Google subordina l’accesso a Play Store alla conclusione di un AAF, il quale consente di associare Play Store alle sole versioni di Android che soddisfano il suo test di compatibilità.

248    Da quanto precede risulta che valutare, a livello degli utenti e degli sviluppatori di applicazioni, il vincolo concorrenziale di App Store su Play Store equivale a tener conto del vincolo concorrenziale di iOS su Android, circostanza che Google, in risposta a un quesito del Tribunale posto all’udienza di discussione, ha espressamente riconosciuto.

249    Il vincolo concorrenziale di App Store su Play Store dipendeva infatti da quello di iOS su Android. Oltre al fatto che il SO è un prerequisito per il funzionamento di un dispositivo mobile, anche il buon funzionamento e la varietà delle applicazioni disponibili dipendono dalla sua qualità.

250    Tale realtà, che porta a valutare la concorrenza tra sistemi, trova conferma nella lettura della decisione impugnata. La Commissione ha ritenuto, al punto 656 della decisione impugnata, che App Store non esercitasse un vincolo concorrenziale sufficiente su Play Store, rinviando in particolare alla sezione 9.3.4, alla fine della quale essa ha ritenuto che iOS non esercitasse, dal punto di vista degli utenti, un vincolo concorrenziale sufficiente su Android.

251    Analogamente, dal punto di vista degli sviluppatori di applicazioni, la Commissione si è basata su motivazioni sostanzialmente identiche ai punti da 552 a 555 e da 668 a 670 della decisione impugnata per considerare, rispettivamente, che iOS esercitava un vincolo concorrenziale insufficiente su Android e che App Store esercitava un vincolo della stessa intensità su Play Store. Tale sovrapposizione delle motivazioni risulta ancor di più dai punti 553 e 668 della decisione impugnata, i quali rinviano entrambi al punto 290 relativo alla non appartenenza di App Store allo stesso mercato di Play Store.

252    Pertanto, la fondatezza della seconda parte del primo motivo dipende dalla fondatezza della prima parte, con la quale Google contesta alla Commissione di non aver tenuto conto del vincolo concorrenziale esercitato da iOS su Android a livello degli utenti e degli sviluppatori di applicazioni. Da un punto di vista logico, appare, infatti, escluso che un vincolo concorrenziale esercitato da App Store su Play Store diverga in intensità dal vincolo esercitato da iOS su Android. In entrambi i casi, i dati presi in considerazione per valutare l’intensità del vincolo concorrenziale sono identici.

253    Orbene, poiché gli argomenti dedotti da Google a sostegno della prima parte del primo motivo sono stati respinti in quanto infondati, confermando così la motivazione della decisione impugnata relativa alla mancanza di una concorrenza sufficiente esercitata da iOS su Android, gli argomenti dedotti da Google a sostegno della seconda parte del primo motivo non possono essere di conseguenza accolti.

254    Pertanto, la seconda parte del primo motivo deve essere respinta in quanto infondata.

4.      Sulla terza parte riguardante la contraddizione tra il dominio dei servizi di ricerca forniti agli utenti e la teoria dellabuso, che riguarda le licenze di applicazione di ricerca agli OEM

a)      Argomenti delle parti

255    A sostegno di tale parte, Google fa valere che la valutazione relativa al dominio esercitato nei mercati dei servizi di ricerca generale non corrisponde alla teoria dell’abuso accolta dalla decisione impugnata. Infatti, la Commissione sottolineerebbe, al punto 674 della decisione impugnata, che Google è dominante per i servizi di ricerca generale forniti agli utenti, ma i comportamenti contestati ai punti 877 e 1016 della decisione impugnata riguarderebbero unicamente le licenze di applicazioni di ricerca generale agli OEM, non agli utenti.

256    La decisione impugnata non dimostrerebbe che Google domini il «mercato» della concessione agli OEM di licenze di applicazioni di ricerca generale, il che, in pratica, non si verificherebbe. Gli OEM non sarebbero necessariamente tenuti a collocare l’applicazione Google Search sui loro dispositivi, poiché tale servizio di ricerca è liberamente e facilmente accessibile in Internet. Analogamente, un utente, che acquista un dispositivo senza l’applicazione Google Search, potrebbe facilmente accedere ad essa. Un OEM potrebbe altresì creare e installare un’icona che porti alla pagina iniziale di Google in un browser. In mancanza di una constatazione di dominio per le licenze di applicazioni di ricerca agli OEM, il fatto di subordinare la licenza dell’applicazione Google Search all’accettazione degli OAF da parte degli OEM e alla preinstallazione di Chrome in forza dell’ADAM non potrebbe essere considerato abusivo. Lo stesso varrebbe per quanto riguarda la condivisione, da parte di Google, di taluni dei suoi introiti pubblicitari come corrispettivo della preinstallazione esclusiva di Google Search da parte degli OEM e degli MNO interessati.

257    La Commissione sostiene in generale che le conclusioni relative al dominio esercitato da Google sui mercati dei servizi di ricerca generale sono concordanti con gli abusi constatati. In ogni caso, non si potrebbe sostenere che, con il pretesto che le ricerche generali sono effettuate dagli utenti, non potrebbe verificarsi alcun abuso per quanto riguarda la posizione dominante detenuta nei mercati di servizi di ricerca generale a causa del comportamento di Google nei confronti degli OEM. La Commissione non si baserebbe sulla forma assunta dall’abuso, ma sulla somiglianza dei fatti, in quanto il comportamento di Google ha avuto luogo a livello degli OEM, ma riguarda un prodotto utilizzato dai consumatori.

b)      Giudizio del Tribunale

258    La censura relativa ad una contraddizione tra gli abusi individuati dalla Commissione ai punti 877 e 1016 della decisione impugnata e la posizione dominante di Google nei mercati nazionali dei servizi di ricerca generale non può essere utilmente accolta.

259    In primo luogo, occorre infatti rilevare che gli abusi individuati dalla Commissione ai punti 877 e 1016 della decisione impugnata sono stati individuati in considerazione della posizione dominante detenuta da Google sia sui mercati nazionali dei servizi di ricerca generale sia sul mercato dei portali di vendita di applicazioni Android. Pertanto, anche supponendo che tali abusi si basassero erroneamente sulla posizione dominante occupata da Google nei mercati nazionali dei servizi di ricerca generale, si deve necessariamente constatare che essi si basavano anche sulla posizione dominante di Google nel mercato dei portali di vendita di applicazioni Android, la quale non è stata rimessa in discussione dagli argomenti presentati da Google nell’ambito della seconda parte del primo motivo.

260    In secondo luogo, e in ogni caso, a prescindere dalla constatazione secondo cui gli abusi individuati dalla Commissione ai punti 877 e 1016 della Decisione derivavano anche dalla posizione dominante di Google nel mercato dei portali di vendita di applicazioni per Android, si deve altresì rilevare che le pratiche in questione erano intimamente connesse alla posizione dominante di Google nei mercati nazionali dei servizi di ricerca generale. Poiché Google Search è un prodotto che gli utenti di dispositivi Google Android si aspettavano di avere, Google approfittava del suo potere nei mercati nazionali dei servizi di ricerca generale al fine di fornire tale applicazione ai firmatari degli ADAM.

261    Pertanto, contrariamente a quanto sostiene Google, gli abusi individuati dalla Commissione ai punti 877 e 1016 della decisione impugnata, che si concretizzavano, certo, nei rapporti tra Google e i firmatari degli ADAM, erano effettivamente diretti, in realtà, nei confronti degli utenti e dei mercati nazionali dei servizi di ricerca generale, sui quali Google deteneva una posizione dominante. Il fatto che le pratiche di cui trattasi riguardassero la fornitura di Google Search ai firmatari degli ADAM non rimette in discussione tale constatazione. Google Search costituiva una porta di ingresso importante verso i servizi di ricerca generale di Google, e i firmatari degli ADAM operavano, in tale contesto, come intermediari tra Google e i suoi utenti.

262    In altri termini, la posizione dominante di Google nei mercati nazionali dei servizi di ricerca generale costituiva sia il punto di partenza sia il punto di arrivo delle pratiche esaminate ai punti 877 e 1016 della decisione impugnata (v., in particolare, punto 1341 della decisione impugnata), le quali miravano in realtà, secondo la Commissione, a preservare e ad accrescere il potere detenuto da Google nei mercati nazionali dei servizi di ricerca generale nonché a prevenire la comparsa in tale mercato di qualsiasi concorrente.

263    Pertanto, non si può constatare alcuna contraddizione tra gli abusi individuati dalla Commissione ai punti 877 e 1016 della decisione impugnata e la posizione dominante di Google nei mercati nazionali dei servizi di ricerca generale.

264    Una siffatta interpretazione si impone anche per quanto riguarda l’asserita incoerenza tra l’abuso individuato, al punto 1192 della decisione impugnata, nell’ambito degli ARR per portafoglio e la posizione dominante detenuta da Google nei mercati nazionali dei servizi di ricerca generale.

265    Mentre gli abusi individuati ai punti 877 e 1016 della decisione impugnata sono considerati dalla Commissione come raggruppamenti di prodotti o di obblighi, l’abuso individuato al punto 1192 della decisione impugnata riguardava, attraverso gli ARR per portafoglio, la condivisione degli introiti pubblicitari percepiti da Google grazie alla sua attività nei mercati nazionali dei servizi di ricerca generale. Gli ARR per portafoglio dipendevano quindi necessariamente dal potere detenuto da Google in tali mercati. Inoltre, anche se gli ARR per portafoglio riguardavano i rapporti intrattenuti da Google con i firmatari di tali contratti, i quali non potevano più preinstallare un’applicazione concorrente di Google Search, si deve nuovamente rilevare che tali firmatari, sottoscrivendo tale obbligo, consentivano a Google di rafforzare la propria posizione nei mercati nazionali dei servizi di ricerca generale destinati agli utenti.

266    Pertanto, non si può constatare alcuna contraddizione tra l’abuso individuato dalla Commissione al punto 1192 della decisione impugnata e la posizione dominante di Google nei mercati nazionali dei servizi di ricerca generale.

267    Pertanto, la terza parte del primo motivo deve essere respinta in quanto infondata e, di conseguenza, il primo motivo nel suo complesso.

5.      Sulla pertinenza relativa della concorrenza tra ecosistemi ai fini della presente causa 

268    Da quel che precede consegue che il primo motivo deve essere interamente respinto. In particolare, per quanto riguarda la prima e la seconda parte di detto motivo, risulta che la Commissione ha correttamente ritenuto che la pressione concorrenziale indiretta esercitata da Apple su Google restasse insufficiente.

269    Inoltre, occorre rilevare che, sebbene, a sostegno della prima e della seconda parte del primo motivo, Google contesti, isolatamente, la definizione e la sua successiva posizione nei mercati dei SO su licenza e dei portali di vendita di applicazioni Android, i suoi argomenti fanno altresì riferimento alla necessità di prendere in considerazione la realtà della concorrenza tra ecosistemi.

270    Infatti, nella decisione impugnata, la Commissione ha riconosciuto che l’iOS al pari dell’App Store di Apple potevano esercitare un certo grado di coercizione su Google (punti 242, 243 e 322 della decisione impugnata). L’«ecosistema» Google, caratterizzato dal rapporto tra il SO Android e Play Store, sarebbe stato così in concorrenza con l’«ecosistema» Apple, caratterizzato dal rapporto tra iOS e App Store.

271    In tale contesto, secondo Google, i vincoli esercitati da Apple per mezzo di iOS e di App Store, che non sono oggetto di licenze, non le avrebbero consentito di tenere comportamenti alquanto indipendenti da tale concorrente, in particolare per quanto riguardava la determinazione delle posizioni dominanti, che la Commissione le avrebbe attribuito nei mercati mondiali ad esclusione della Cina, dei SO su licenza e dei portali di vendita di applicazioni Android.

272    Orbene, a tal riguardo, occorre tener conto del fatto che Apple non può influenzare a priori la posizione dominante di Google nei mercati nazionali dei servizi di ricerca generale. Infatti, come risulta in particolare dai punti da 118 a 199 e 515 della decisione impugnata, Apple beneficiava, durante il periodo dell’infrazione, di un accordo di condivisione degli introiti subordinata alla installazione predefinita di Google Search nel suo browser Internet mobile, Safari. A causa di tale accordo, Apple non era dunque incentivata a intervenire su tali mercati per far concorrenza a Google Search, dal momento che l’utilizzo di tale motore di ricerca da parte degli utenti di apparecchi che funzionavano con iOS era fonte, per la stessa, di redditi significativi.

273    Se è vero che tale accordo non era oggetto del procedimento, esso poteva tuttavia essere preso in considerazione nella decisione impugnata, come ha fatto la Commissione, in quanto elemento di fatto che consente di valutare meglio la situazione di potenza economica di Google e la sua capacità di tenere comportamenti alquanto indipendenti dai suoi concorrenti, dai suoi clienti e dai consumatori.

C.      Sul secondo motivo, relativo ai primi abusi, vertente sull’erronea valutazione del carattere abusivo delle condizioni di preinstallazione dell’ADAM

274    Con il secondo motivo di ricorso, suddiviso in due parti, Google sostiene che la Commissione ha erroneamente concluso per la natura abusiva delle condizioni di preinstallazione dell’ADAM, le quali subordinano l’ottenimento di Play Store alla preinstallazione dell’applicazione Google Search e l’ottenimento di Play Store e dell’applicazione Google Search alla preinstallazione del browser Chrome (in prosieguo: i «primi abusi»).

1.      Il contesto

275    In via preliminare, per rispondere agli argomenti delle parti, occorre esporre, in primo luogo, requisiti necessari per concludere che le pratiche di cui trattasi costituiscono un abuso di posizione dominante, in secondo luogo, i diversi elementi esposti dalla Commissione nella decisione impugnata per caratterizzare gli effetti preclusivi prodotti da tali pratiche e, in terzo luogo, i rapporti tra tali pratiche.

a)      Nozioni di pratica abusiva, di effetti preclusivi e di vendita abbinata, in particolare alla luce della sentenza del 17 settembre 2007, Microsoft/Commissione (T201/04, EU:T:2007:289)

276    Non è di per sé illegittimo che un’impresa occupi una posizione dominante e partecipi al gioco della concorrenza basata sui meriti. Solo in determinate circostanze, quelle in cui, ad esempio, il suo comportamento produce effetti preclusivi che non rientrano in siffatta concorrenza, tale comportamento costituisce un abuso di posizione dominante ai sensi dell’articolo 102 TFUE.

277    Infatti, l’articolo 102 TFUE non ha assolutamente lo scopo di impedire ad un’impresa di conquistare, grazie ai suoi meriti, una posizione dominante su un dato mercato. Tale disposizione non è diretta neppure a garantire che rimangano sul mercato concorrenti meno efficienti dell’impresa che detiene una posizione dominante (v. sentenza del 6 settembre 2017, Intel/Commissione, C‑413/14 P, EU:C:2017:632, punto 133 e giurisprudenza ivi citata).

278    In tal senso, non tutti gli effetti di esclusione dal mercato pregiudicano necessariamente la concorrenza. Per definizione, la concorrenza basata sui meriti può portare alla sparizione dal mercato o all’emarginazione dei concorrenti meno efficienti e quindi meno interessanti per i consumatori, segnatamente dal punto di vista dei prezzi, della scelta, della qualità o dell’innovazione (v. sentenza del 6 settembre 2017, Intel/Commissione, C‑413/14 P, EU:C:2017:632, punto 134 e giurisprudenza ivi citata).

279    Incombe tuttavia all’impresa che detiene una posizione dominante non pregiudicare, con il suo comportamento, una concorrenza basata sui meriti nel mercato interno (v., in tal senso, sentenza del 6 settembre 2017, Intel/Commissione, C‑413/14 P, EU:C:2017:632, punto 135 e giurisprudenza ivi citata).

280    È per tale ragione che l’articolo 102 TFUE vieta, in particolare, che un’impresa detentrice di una posizione dominante attui pratiche che hanno l’effetto di escludere i suoi concorrenti considerati altrettanto efficienti quanto l’impresa stessa, rafforzando la propria posizione dominante mediante il ricorso a mezzi diversi da quelli che sono propri di una concorrenza fondata sui meriti. Sotto tale profilo, al pari di qualsiasi concorrenza attuata mediante i prezzi, qualsiasi concorrenza che operi in base ad altri parametri non può quindi essere considerata legittima (v., in tal senso, sentenza del 6 settembre 2017, Intel/Commissione, C‑413/14 P, EU:C:2017:632, punto 136 e giurisprudenza ivi citata).

281    Gli effetti preclusivi caratterizzano situazioni in cui l’accesso effettivo dei concorrenti attuali o potenziali ai mercati o alle sue componenti è ostacolato o eliminato per effetto del comportamento dell’impresa dominante, consentendo così a quest’ultima di influenzare negativamente, a suo vantaggio e a danno dei consumatori, i diversi parametri della concorrenza, quali i prezzi, la produzione, l’innovazione, la varietà o la qualità dei beni o dei servizi.

282    Il fatto che il comportamento di un’impresa che detiene una posizione dominante produca effetti preclusivi su mercati diversi da quello dominato non osta all’applicazione dell’articolo 102 TFUE (v., in tal senso, sentenza del 14 novembre 1996, Tetra Pak/Commissione, C‑333/94 P, EU:C:1996:436, punto 25 e giurisprudenza ivi citata).

283    Nel caso di specie, le pratiche di cui trattasi nell’ambito dei primi abusi sono vendite abbinate. Si tratta di una prassi corrente nella vita commerciale, che è generalmente diretta a proporre ai clienti prodotti migliori o offerte in modo più economico. Una vendita abbinata consiste, per un’impresa dominante, nel subordinare la vendita di un determinato prodotto (il prodotto principale) all’acquisto di un altro prodotto (il prodotto abbinato). Quest’ultimo può produrre effetti preclusivi nel mercato abbinato, nel mercato principale o in entrambi contemporaneamente. Infatti, un’impresa che detiene una posizione dominante in uno o in più mercati di prodotti (mercato del prodotto principale) può ledere i consumatori per effetto di tale pratica, in quanto chiude il mercato degli altri prodotti che sono oggetto della vendita abbinata (mercato del prodotto abbinato) e, indirettamente, il mercato principale.

284    A tal riguardo, al fine di valutare il carattere abusivo di tali pratiche, è già stato dichiarato che la Commissione poteva basarsi sui seguenti elementi (sentenza del 17 settembre 2007, Microsoft/Commissione, T‑201/04, EU:T:2007:289, punto 869):

–        in primo luogo, il prodotto principale e il prodotto abbinato sono due prodotti distinti;

–        in secondo luogo, l’impresa interessata detiene una posizione dominante nel mercato del prodotto principale;

–        in terzo luogo, detta impresa non offre ai consumatori la possibilità di ottenere il prodotto principale senza il prodotto abbinato;

–        in quarto luogo, la prassi in esame «restringe la concorrenza».

–        in quinto luogo, tale prassi non è obiettivamente giustificata.

285    Per quanto riguarda, in particolare, il quarto requisito menzionato supra al punto 284, relativo alla limitazione della concorrenza, il Tribunale ha ricordato, da un lato, al punto 867 della sentenza del 17 settembre 2007, Microsoft/Commissione (T‑201/04, EU:T:2007:289), il contenuto della giurisprudenza precedente secondo cui, «in linea di principio un comportamento verrà considerato abusivo solo se è idoneo a restringere la concorrenza».

286    Tuttavia, al punto 868 della sentenza del 17 settembre 2007, Microsoft/Commissione (T‑201/04, EU:T:2007:289), il Tribunale ha altresì rilevato, d’altro lato, che, nella decisione impugnata in detta causa, «la Commissione [aveva] ritenuto, alla luce delle circostanze specifiche del caso di specie, di potersi limitare a considerare – come fa[ceva] normalmente nelle cause in materia di vendite abbinate esclusive – che la vendita abbinata di un dato prodotto e di un prodotto dominante determina[va] di per sé un effetto di esclusione dal mercato» e che, in tali circostanze, «la Commissione [aveva] esaminato gli effetti concreti già prodotti sul mercato [considerato] dalla vendita abbinata in parola, nonché il modo in cui quest’ultimo era destinato ad evolversi» (v. altresì, in tal senso, sentenza del 17 settembre 2007, Microsoft/Commissione, T‑201/04, EU:T:2007:289, punto 1035).

287    Per spiegare perché la Commissione avesse esaminato gli effetti concreti della vendita abbinata sul mercato in questione, il Tribunale ha osservato che la Commissione aveva considerato quanto segue nella decisione impugnata in detta causa (sentenza del 17 settembre 2007, Microsoft/Commissione, T‑201/04, EU:T:2007:289, punto 977):

«Esistono (...) delle circostanze che giustificano, per quel che riguarda la vendita abbinata del lettore [Windows Media Player,] un esame più approfondito degli effetti di tale pratica sulla concorrenza. Mentre nei casi classici di vendita abbinata, la Commissione e il giudice [dell’Unione] hanno ritenuto che la vendita abbinata di un prodotto distinto con il prodotto dominante costituisse un indice dell’effetto di esclusione che detta pratica aveva sui concorrenti, [va rilevato invece che], nel caso di specie, gli utenti possono procurarsi – e si procurano in certa misura – lettori multimediali concorrenti [di Windows Media Player] su Internet, talvolta gratuitamente. Vi sono quindi validi motivi per non dare per scontato, senza un’analisi suppletiva, [che] la vendita abbinata di Windows Media Player costituisca un comportamento idoneo, per sua natura, a limitare la concorrenza».

288    Di conseguenza, al punto 869 della sentenza del 17 settembre 2007, Microsoft/Commissione (T‑201/04, EU:T:2077:289), il Tribunale ha considerato che il problema della vendita abbinata in parola doveva essere valutato alla luce dei requisiti indicati nella decisione impugnata in detta causa (ripresa ai punti 842 e 843 di detta sentenza), quindi quello relativo al fatto che la pratica in questione «restringe[va] la concorrenza».

289    Nel caso di specie, nella decisione impugnata, la Commissione fa riferimento alla sentenza del 17 settembre 2007, Microsoft/Commissione (T‑201/04, EU:T:2007:289) per esporre i requisiti necessari per caratterizzare i primi abusi (punti 741 e 742 della decisione impugnata).

290    In particolare, per quanto riguarda il quarto requisito menzionato al precedente punto 284, la Commissione, dopo aver dichiarato nella decisione impugnata che, secondo la giurisprudenza precedente alla sentenza del 17 settembre 2007, Microsoft/Commissione (T‑201/04, EU:T:2007:289), la dimostrazione degli effetti anticoncorrenziali non era richiesta nei «casi classici» di vendite abbinate, ha dichiarato, in sostanza, che il quarto requisito necessario per constatare una vendita abbinata era, in linea di principio, soddisfatto quando la pratica in questione «[era] idonea a [o in grado di] restringere la concorrenza» [v. punto 749 e nota a piè di pagina n. 813 che fa riferimento alla sentenza del 17 settembre 2007, Microsoft/Commissione, (T‑201/04, EU:T:2007:289, punto 867)].

291    A tal riguardo, come sarà esaminato in seguito, nella presente causa risulta che, con il pretesto dell’applicazione di un criterio formulato come quello della «capacità di restringere la concorrenza», con un rinvio al punto 867 della sentenza del 17 settembre 2007, Microsoft/Commissione, (T‑201/04, EU:T:2007:289), la Commissione si è anche premurata di esporre concretamente nella decisione impugnata i diversi elementi che, a suo avviso, consentivano di dimostrare la realtà degli asseriti effetti preclusivi, conformemente al punto 868 di detta sentenza.

292    Infatti, come sostenuto da Google nella presente causa, è agevole per gli utenti procurarsi applicazioni di ricerca generale o di browser concorrenti rispetto a quelle oggetto delle vendite abbinate. Tale circostanza è riconosciuta da tutte le parti in causa, in quanto il dibattito non verte sulla possibilità per gli utenti di scaricare facilmente siffatte applicazioni, bensì sugli incentivi che essi potrebbero avere a farlo (v. punto 917 della decisione impugnata).

293    In tali circostanze, come è stato esposto dal Tribunale e confermato dalle parti in udienza, dalla decisione impugnata risulta effettivamente che la Commissione si è adoperata per caratterizzare una restrizione della concorrenza non solo «potenziale» o «eventuale», ma anche «reale» o «concreta» per quanto riguardava taluni suoi aspetti. Secondo la Commissione, a decorrere dal 2011 o dall’agosto 2012 al luglio 2018, le pratiche di cui trattasi hanno prodotto gli effetti preclusivi individuati nella decisione impugnata, i quali si rivelavano pregiudizievoli per la concorrenza basata sui meriti.

294    Ad esempio, la Commissione conclude così che tali pratiche hanno come effetto, in particolare, di «rendere più difficile», per i servizi di ricerca concorrenti, ottenere richieste di ricerca nonché introiti e informazioni necessari per consentire il miglioramento dei loro servizi (punto 859 della decisione impugnata), che esse «hanno aumentato le barriere all’ingresso» proteggendo Google dalla concorrenza degli altri servizi di ricerca (punto 861 della decisione impugnata) e che esse «hanno ridotto gli incentivi» all’innovazione che intendevano proporre i concorrenti che commercializzavano un servizio di ricerca specializzato in una lingua o riguardante un gruppo particolare di utenti (v. punti 862 e 1213 della decisione impugnata, punto quest’ultimo cita Seznam, DuckDuckGO, Qwant e Kikin’s «touch to search»).

295    Nel caso di specie, la Commissione ha quindi correttamente ritenuto, come nella decisione che ha dato luogo alla sentenza del 17 settembre 2007, Microsoft/Commissione (T‑201/04, EU:T:2007:289) (v. supra, punto 286), che fosse necessario un esame attento degli effetti concreti o un supplemento di analisi, secondo la terminologia utilizzata in passato al riguardo, prima di concludere che le vendite abbinate in questione erano lesive della concorrenza. Tale esame ha il vantaggio, da un lato, di ridurre il rischio che venga sanzionato un comportamento che non è realmente pregiudizievole per la concorrenza basata sui meriti e, dall’altro, di precisare meglio la gravità del comportamento di cui trattasi, il che faciliterà la determinazione del livello appropriato di un’eventuale sanzione.

296    Pertanto, dato che le pratiche di cui trattasi si sono svolte per un lungo periodo e hanno avuto, secondo la decisione impugnata, effetti concreti osservabili nei mercati rilevanti, l’interesse per una definizione più vaga della nozione di «restrizione della concorrenza» sotto il titolo della sua «capacità di restringere la concorrenza» risulta meno importante di quanto non possa esserlo in altre circostanze.

297    Non si tratta per la Commissione di effettuare un’analisi in prospettiva che si fondi su effetti che si realizzeranno in base a ipotesi non ancora verificabili nella pratica, come può accadere in altre circostanze [v., ad esempio, sentenza del 30 gennaio 2020, Generics (UK) e a., C‑307/18, EU:C:2020:52, punto 145].

298    Inoltre, in presenza di comportamenti attuati per diversi anni, la Commissione può dimostrare una restrizione della concorrenza considerando che tali pratiche hanno eliminato o ostacolato fonti di concorrenza che, in sua assenza, sarebbero sorte o si sarebbero sviluppate. È quindi pacifico che gli effetti reali e concreti delle pratiche in questione, effetti che si sono verificati in passato, vanno valutati tanto alla luce della concorrenza attuale alla quale l’impresa in posizione dominante doveva far fronte quanto alla luce della concorrenza potenziale che non è potuta emergere a causa delle pratiche di esclusione.

299    Di conseguenza, la differenza tra «restrizione della concorrenza» e «capacità di restringere la concorrenza» non incide sulla dimostrazione nel caso in cui, come nella fattispecie, la Commissione abbia qualificato la restrizione della concorrenza in considerazione degli effetti prodotti dall’attuazione delle pratiche di cui trattasi nel corso di un periodo significativo, potendo tali effetti essere osservati e consentire alla Commissione di determinare la natura e la portata dell’esclusione anticoncorrenziale che essi producono e al Tribunale di controllare tali valutazioni.

b)      Decisione impugnata

300    Nella decisione impugnata la Commissione ha considerato che i primi abusi erano costituiti da due vendite abbinate che si erano concretizzate nelle condizioni di preinstallazione dell’ADAM che dovevano essere accettate dagli OEM e dagli MNO che intendevano poter commercializzare dispositivi con il pacchetto GMS:

–        con la prima vendita abbinata, che collegava l’applicazione Google Search a Play Store, Google avrebbe abusato della sua posizione dominante nel mercato mondiale (esclusa la Cina) dei portali di vendita di applicazioni Android dal 1º gennaio 2011 alla data della decisione impugnata (punti 752 e 1009 della decisione impugnata);

–        con la seconda vendita abbinata, che collegava il browser Chrome all’applicazione Google Search e a Play Store, Google avrebbe abusato delle sue posizioni dominanti nel mercato mondiale (esclusa la Cina) dei portali di vendita di applicazioni Android e nei mercati nazionali all’interno del SEE dei servizi di ricerca generale dal 1º agosto 2012 alla data della decisione impugnata (punti 753 e 1010 della decisione impugnata).

301    La valutazione, da parte della Commissione, dei primi tre requisiti menzionati nella sentenza del 17 settembre 2007, Microsoft/Commissione (T‑201/04, EU:T:2007:289), effettuata nella decisione impugnata, non è contestata in quanto tale da Google. Gli argomenti presentati nell’ambito del presente motivo vertono piuttosto sugli elementi esposti nella decisione impugnata per quanto riguarda il quarto e il quinto criterio di tale sentenza, relativi rispettivamente alla restrizione della concorrenza e alle giustificazioni oggettive dedotte al riguardo da Google.

1)      Sui primi tre requisiti menzionati nella sentenza del 17 settembre 2007, Microsoft/Commissione (T201/04, EU:T:2007:289)

302    Per quanto riguarda il pacchetto Google Search‑Play Store, la Commissione ritiene, in primo luogo, che si tratti di prodotti distinti (punti da 756 a 762 della decisione impugnata), in secondo luogo, che Google detenga una posizione dominante nel mercato mondiale (esclusa la Cina) dei portali di vendita di applicazioni Android (punto 763 della decisione impugnata) e, in terzo luogo, che Google Search e Play Store non possano essere ottenuti separatamente (punti da 764 a 772 della decisione impugnata).

303    Per quanto riguarda il pacchetto Chrome‑Play Store e Google Search, la Commissione qualifica Chrome come prodotto distinto da Play Store e dall’applicazione Google Search (punti da 879 a 885 della decisione impugnata). La Commissione ricorda altresì che Google detiene una posizione dominante nel mercato mondiale (esclusa la Cina) dei portali di vendita di applicazioni Android e nei mercati nazionali all’interno del SEE dei servizi di ricerca generale (punto 886 della decisione impugnata). La Commissione rileva inoltre che Play Store e l’applicazione Google Search non possono essere ottenuti senza Chrome, riprendendo gli argomenti dedotti per il primo pacchetto (punti da 887 a 895 della decisione impugnata).

2)      Sul requisito relativo alla «restrizione della concorrenza»

i)      Pacchetto Google SearchPlay Store

304    Per quanto riguarda il requisito relativo alla «restrizione della concorrenza» (titolo della sezione 11.3.4 della decisione impugnata), la Commissione ritiene che il pacchetto Google Search‑Play Store sia in grado di restringere la concorrenza per le seguenti ragioni (punto 773 della decisione impugnata):

–        da un lato, esso offre a Google un vantaggio concorrenziale significativo che i fornitori di servizi di ricerca generale concorrenti non possono compensare;

–        d’altro lato, esso consente a Google di mantenere e di rafforzare la propria posizione dominante in ciascun mercato nazionale di servizi di ricerca generale, aumentando le barriere all’ingresso e dissuadendo dall’innovazione, il che tende a danneggiare, direttamente o indirettamente, il consumatore.

305    In primo luogo, per qualificare il vantaggio concorrenziale significativo concesso dal pacchetto Google Search‑Play Store a Google a scapito degli altri fornitori di servizi di ricerca generale, la Commissione deduce i cinque argomenti seguenti (punto 775 della decisione impugnata):

–        il numero di ricerche generali effettuate con i dispositivi mobili intelligenti è aumentato in modo significativo durante il periodo dell’infrazione, superando, in particolare, a partire dal 2015, il numero di ricerche generali effettuate con i PC (punto 777 della decisione impugnata);

–        la preinstallazione è un canale importante per la distribuzione di servizi di ricerca generale sui dispositivi mobili intelligenti, in quanto consentirebbe di aumentare significativamente, in modo duraturo, l’uso del servizio fornito dall’applicazione; infatti, l’utente tende a rivolgersi a un’applicazione preinstallata o impostata come predefinita più che a scaricare un prodotto alternativo (il «status quo bias»), e il pacchetto Google Search‑Play Store garantisce a Google che la distribuzione dell’applicazione Google Search sia altrettanto ampia quanto il numero di dispositivi Google Android (punti da 778 a 800 della decisione impugnata);

–        è impossibile disinstallare l’applicazione Google Search dal pacchetto GMS (punti da 801 a 803 della decisione impugnata);

–        i servizi di ricerca generale concorrenti non possono compensare il vantaggio competitivo concesso dal pacchetto Google Search‑Play Store, indipendentemente dal fatto che facessero ricorso al download, ad accordi con sviluppatori di motori di ricerca o ad accordi di preinstallazione (punti da 804 a 834 della decisione impugnata);

–        l’evoluzione delle quote di mercato di Google per quanto riguarda le richieste di ricerca generale conferma le constatazioni che precedono (punti da 835 a 851 della decisione impugnata).

306    In secondo luogo, al fine di dimostrare la realtà e il carattere pregiudizievole degli effetti preclusivi, la Commissione effettua la seguente dimostrazione. Per attestare che il pacchetto Google Search‑Play Store «aiuta Google a mantenere e a rafforzare la propria posizione dominante nei mercati nazionali dei servizi di ricerca generale, rafforza le barriere all’ingresso, dissuade dall’innovazione e tende a danneggiare il consumatore», la Commissione deduce diversi argomenti:

–        il comportamento di Google «rende più difficile» la possibilità per i suoi concorrenti nei mercati dei servizi di ricerca generale di ottenere richieste di ricerca nonché gli introiti e le informazioni ad esse collegati al fine di migliorare i loro servizi (punti 859 e 860 della decisione impugnata);

–        il comportamento di Google «aumenta» le barriere all’ingresso proteggendola dalla concorrenza dei servizi di ricerca generale che potrebbero mettere in discussione la sua posizione dominante nei mercati nazionali rilevanti; infatti, i servizi di ricerca generale concorrenti devono spendere risorse per compensare il vantaggio conferito dalla preinstallazione, la quale protegge Google anche contro la concorrenza più efficace, collegata alla preinstallazione esclusiva (punto 861 della decisione impugnata);

–        il comportamento di Google «riduce» gli incentivi dei servizi di ricerca generale concorrenti a investire e a innovare rendendo più difficile ottenere richieste di ricerca nonché introiti e informazioni necessari per migliorare tali servizi (punto 862 della decisione impugnata);

–        a seguito di tali interferenze con il normale processo concorrenziale, il comportamento di Google «è [anche] in grado di danneggiare», direttamente o indirettamente, i consumatori che possono avere meno scelte per quanto riguarda i servizi di ricerca generale disponibili (punto 863 della decisione impugnata).

307    In risposta agli argomenti di Google volti a minimizzare l’impatto del pacchetto Google Search‑Play Store sulla base del rilievo che i dispositivi Android rappresentavano soltanto dal [10‑20%] al [20‑30%] di tutte le ricerche su Google Search tra il 2013 e il 2015, la Commissione fa valere che tali cifre rappresenterebbero dal doppio al quintuplo di quelle raggiunte dalle ricerche effettuate su tutti i servizi concorrenti. Quanto all’argomento secondo cui tale prassi coinciderebbe con un periodo di miglioramento del servizio di ricerca generale, ciò non può essere sufficiente per dimostrare la mancanza di effetti sulla concorrenza (punti da 864 a 866 della decisione impugnata). Inoltre, la Commissione dichiara di non essere tenuta a dimostrare che la concorrenza sarebbe stata più vivace in mancanza del pacchetto Google Search‑Play Store, ma solo che quest’ultimo ha potuto restringere la concorrenza, come avverrebbe effettivamente nel caso di specie (punti da 867 a 876 della decisione impugnata).

ii)    Pacchetto ChromePlay Store e Google Search

308    Analogamente, per quanto riguarda la «restrizione della concorrenza» (titolo della sezione 11.4.4 della decisione impugnata), la Commissione ritiene che il pacchetto Chrome‑Play Store e Google Search sia in grado di restringere la concorrenza per le seguenti ragioni (punto 896 della decisione impugnata):

–        da un lato, esso offre a Google un vantaggio competitivo significativo che gli altri browser Internet mobile non specifici di un SO non possono compensare;

–        d’altro lato, esso consente a Google di dissuadere dall’innovazione e tende a danneggiare, direttamente o indirettamente, il consumatore.

309    In primo luogo, riguardo al significativo vantaggio competitivo che i browser Internet mobile non specifici di un SO concorrenti non possono compensare, la Commissione sostiene quanto segue:

–        la preinstallazione è un canale importante per la distribuzione di motori di ricerca per dispositivi mobili intelligenti; ciò risulta in particolare dal confronto tra gli introiti generati su Google Android a partire dal browser preinstallato Chrome e dagli altri browser non preinstallati o tra gli introiti generati dalle ricerche effettuate tramite un browser sul SO iOS o sul SO Android (punti da 900 a 912 della decisione impugnata);

–        Google Chrome non può essere disinstallato dai dispositivi GMS (punti da 913 a 915 della decisione impugnata);

–        i browser Internet mobile non specifici di un SO concorrenti non possono compensare il vantaggio fornito dal pacchetto Chrome‑Play Store e Google Search, indipendentemente dal fatto che ciò avvenga mediante i download o mediante accordi di preinstallazione (punti da 916 a 946 della decisione impugnata);

–        l’evoluzione delle quote di mercato conferma tali constatazioni (punti da 947 a 963 della decisione impugnata).

310    La Commissione ritiene altresì che non sia possibile per imprese concorrenti compensare il vantaggio procurato dal pacchetto Chrome‑Play Store e Google Search mediante accordi di preinstallazione con gli OEM e con gli MNO (punti da 964 a 982 della decisione impugnata).

311    In secondo luogo, al fine di dimostrare la realtà e il carattere pregiudizievole degli effetti preclusivi, la Commissione effettua la seguente dimostrazione. Per attestare che il pacchetto Chrome‑Play Store e Google Search «aiuta Google a mantenere e rafforzare la sua posizione dominante in ciascun mercato nazionale per i servizi di ricerca generale, dissuade dall’innovazione e tende a danneggiare, direttamente o indirettamente, il consumatore», la Commissione deduce i seguenti argomenti:

–        il comportamento di Google «scoraggia» l’innovazione per i browser Internet impedendo lo sviluppo di browser Internet mobile non specifici di un SO innovativi (punto 970 della decisione impugnata);

–        a seguito dell’interferenza di Google con il normale processo concorrenziale, tale comportamento «è [anche] in grado di danneggiare», direttamente o indirettamente, i consumatori, i quali possono avere meno scelte per quanto riguarda i browser Internet mobile (punto 971 della decisione impugnata);

–        il comportamento di Google l’«aiuta a preservare e a rafforzare» la sua posizione dominante nei mercati nazionali dei servizi di ricerca generale e i suoi introiti in materia di pubblicità connessa alle ricerche; tale comportamento «impedisce» pertanto agli altri servizi di ricerca generale di ottenere richieste di ricerca e i profitti in termini di introiti e di informazioni necessari per migliorare tali servizi (punti da 972 a 977 della decisione impugnata).

312    Tali valutazioni non sarebbero inficiate dall’argomento secondo cui il comportamento di Google coincide con il miglioramento di Chrome, che consentirebbe agli utenti di modificare il servizio di ricerca generale impostato come predefinito, e quello secondo cui gli OEM resterebbero liberi di installare altri browser (punto 978 della decisione impugnata). La Commissione fa altresì valere che i vari argomenti di Google riguardanti la necessità di intendere la prassi nel suo contesto non sono dimostrati (punti da 983 a 992 della decisione impugnata).

3)      Sul requisito relativo alla mancanza di giustificazioni obiettive

313    La Commissione ha altresì contestato le giustificazioni obiettive invocate da Google. Anzitutto, Google non avrebbe dimostrato che le sue pratiche costituivano un ritorno necessario dei suoi investimenti in Android e nelle sue applicazioni che non generano redditi. Esisterebbero altre soluzioni, tenuto conto degli introiti di Google. Quest’ultima non avrebbe neppure dimostrato di non avere un interesse proprio a sviluppare Android al fine di contrastare i rischi gravanti sul suo modello commerciale a causa della mobilità. Inoltre, Google non avrebbe dimostrato che le sue pratiche erano necessarie per fornire agli utenti l’esperienza dichiarata. Infine, la dimostrazione relativa alla necessità per Google di far pagare agli OEM le spese per Play Store sarebbe insufficiente, tenuto conto dei redditi generati e del valore di Play Store (punti da 993 a 1008 della decisione impugnata).

c)      Complementarità dei primi abusi 

314    Sebbene sia effettivamente possibile distinguere, come fa la Commissione, due pacchetti di prodotti in considerazione delle applicazioni di cui trattasi, si deve altresì tener conto del fatto che tali pacchetti sono simili sotto due aspetti, sui quali le parti sono state interrogate in udienza, e presentano quindi una certa complementarità.

315    Infatti, per valutare il carattere abusivo delle pratiche in questione nei primi abusi, occorre altresì rilevare che il pacchetto Chrome‑Play Store e Google Search si è venuto a sovrapporre al pacchetto Google Search‑Play Store al fine di tener conto dell’evoluzione dell’ADAM, il quale inizialmente non comprendeva il browser Chrome tra le applicazioni raccolte nel pacchetto GMS (punto 1010 della decisione impugnata).

316    Analogamente, occorre affermare che, in un caso come nell’altro, l’obiettivo dei due pacchetti individuati dalla Commissione era quello di consentire a Google di raggiungere gli utenti, affinché essi effettuassero le loro ricerche generali tramite Google Search, o in quanto applicazione di ricerca generale o in quanto motore di ricerca del browser Chrome.

2.      Sulla prima parte, riguardante la «restrizione della concorrenza» 

317    A sostegno della prima parte del secondo motivo, Google fa valere che la Commissione non ha dimostrato, nella decisione impugnata, che le condizioni di preinstallazione dell’ADAM escludessero la concorrenza.

318    Tenuto conto delle opportunità offerte ai concorrenti e agli utenti, tali condizioni avrebbero solo un impatto limitato sulla concorrenza. L’ADAM esigerebbe soltanto che, sui dispositivi in cui gli OEM intendano preinstallare il pacchetto GMS, nella schermata iniziale siano visualizzate icone per Play Store, per una cartella di applicazioni e per Google Search. Tale posizionamento promozionale non impedirebbe agli OEM di preinstallare servizi concorrenti, collocando altre icone sulla schermata iniziale con visibilità pari o superiore. Gli OEM resterebbero altresì liberi di definire tali servizi concorrenti come impostazioni predefinite, il che offrirebbe loro opportunità promozionali superiori a quelle richieste dall’ADAM per le applicazioni di Google. Inoltre, l’ADAM non impedirebbe agli utenti di scaricare servizi di ricerca o browser concorrenti ed essi potrebbero anche accedere ai servizi di ricerca direttamente attraverso il browser. La sola cosa che gli OEM non potrebbero fare nell’ambito dell’ADAM sarebbe quella di preinstallare esclusivamente servizi di ricerca e browser concorrenti. Essi potrebbero sempre vendere dispositivi Android senza alcuna applicazione Google e preinstallare esclusivamente servizi di ricerca e browser concorrenti su tali apparecchi.

319    Google presenta cinque censure a sostegno dei suoi argomenti e contesta la decisione impugnata nella parte in cui, in primo luogo, non dimostra che le condizioni di preinstallazione creino uno «status quo bias», in secondo luogo, ignora che l’ADAM lasciasse gli OEM liberi di preinstallare concorrenti e di settarli come servizi predefiniti, in terzo luogo, ignora altresì che i concorrenti disponevano di altri mezzi efficaci per raggiungere gli utenti, in quarto luogo, non riesce a dimostrare che le quote di utilizzo del servizio di ricerca e del browser di Google fossero attribuibili alle condizioni di preinstallazione contestate, e, in quinto luogo, non tiene correttamente conto dell’intero contesto economico e giuridico per giungere alla conclusione che le condizioni di preinstallazione hanno fornito nuove opportunità ai concorrenti anziché privarli di tali opportunità.

a)      Preinstallazione e «status quo bias»

320    Con la sua prima censura, Google contesta il ragionamento esposto dalla Commissione al fine di dimostrare l’esistenza di un notevole vantaggio concorrenziale conferito dalle condizioni di preinstallazione dell’ADAM.

1)      Decisione impugnata

321    In considerazione di diversi elementi che attesterebbero l’importanza della preinstallazione, o di tecniche simili, per la distribuzione dei servizi di ricerca generale e dei browser sui dispositivi mobili intelligenti, la Commissione ha considerato che la preinstallazione generava un cosidetto «pregiudizio dello status quo» («status quo bias», secondo l’espressione utilizzata da un’impresa del settore), dato che gli utenti tendevano ad utilizzare ciò che veniva loro proposto (v., in particolare, punti 781 e 782 della decisione impugnata), e consentiva quindi di aumentare in modo significativo e duraturo l’utilizzo del servizio fornito (punti 779 e 900 della decisione impugnata).

322    Una volta dimostrato tale vantaggio, la Commissione ha ritenuto che esso non potesse essere compensato dai concorrenti di Google, che ciò fosse:

–        mediante accordi di preinstallazione con gli OEM o con gli MNO (punti da 823 a 834 e da 932 a 946 della decisione impugnata);

–        mediante il download delle applicazioni concorrenti (punti da 805 a 816 e da 917 a 931 della decisione impugnata); o

–        mediante accordi con gli sviluppatori di browser concorrenti (punti da 817 a 822 della decisione impugnata).

2)      Sintesi degli argomenti delle parti

323    Google sostiene che le condizioni di preinstallazione dell’ADAM non erano esclusive, che esse non creavano uno «status quo bias» e che non precludevano quindi la concorrenza. La conclusione contraria si fonderebbe essenzialmente su elementi di prova di cui Google contesta la pertinenza, in quanto riguarderebbero più l’impostazione predefinita, menzionata in precedenza nella comunicazione degli addebiti, che la preinstallazione, considerata infine nella decisione impugnata.

324    A tal riguardo, Google contesta i seguenti elementi:

–        in primo luogo, l’uso delle sue dichiarazioni e delle dichiarazioni di terzi (HP, Nokia, Amazon, Mozilla), l’analisi Yandex e l’accordo Microsoft‑Verizon;

–        in secondo luogo, lo studio FairSearch, i dati forniti da Microsoft, alla luce, in particolare, dei dati della Netmarketshare, e il confronto degli introiti di Google sui dispositivi Android e iOS;

–        in terzo luogo, il confronto tra gli introiti generati da Safari su iOS e quelli generati da Chrome e il sondaggio Opera.

325    La Commissione sostiene che il complesso di elementi menzionato nella decisione impugnata non riguarda soltanto l’impostazione predefinita o il posizionamento privilegiato. Inoltre, il fatto che tali tecniche creino uno «status quo bias» non cambierebbe in alcun modo il fatto che anche la preinstallazione crei una tendenza siffatta. Nel caso di specie, Google si baserebbe su una definizione restrittiva del termine «predefinito», limitata alla configurazione predefinita di un servizio in una data applicazione. Orbene, come gli altri operatori del settore, Google utilizzerebbe tali termini anche nel senso più ampio della preinstallazione o del «precaricamento» da parte degli OEM e degli MNO di applicazioni sui loro dispositivi, e quindi della configurazione di un dispositivo in fase di fabbricazione. Ricollocati nel loro contesto, gli elementi contestati riguarderebbero effettivamente lo «status quo bias» creato dalla preinstallazione.

3)      Giudizio del Tribunale

i)      Osservazioni preliminari

326    Prima di esaminare la fondatezza degli argomenti di Google, occorre esporre due osservazioni preliminari relative, da un lato, alla mancanza di interesse pratico della distinzione proposta tra «preinstallazione» e «impostazione predefinita» e, dall’altro, all’importanza quantitativa delle condizioni di preinstallazione.

–       Mancanza di interesse pratico della distinzione proposta

327    Google contesta in sostanza alla Commissione di menzionare nella decisione impugnata uno «status quo bias» applicabile alle condizioni di preinstallazione dell’ADAM in considerazione di elementi di prova vertenti piuttosto sull’impostazione predefinita.

328    In particolare, Google contesta la mancanza di distinzione o di ponderazione tra ciò che rientrerebbe nella preinstallazione e ciò che rientrerebbe nell’impostazione predefinita.

329    Tale approccio si basa sulla premessa che siffatta distinzione o ponderazione sarebbe facile da effettuare. Sarebbe quindi possibile e opportuno distinguere gli effetti della preinstallazione dagli effetti dell’impostazione predefinita nella sfilza di riferimenti a tali nozioni nei diversi documenti menzionati nella decisione impugnata.

330    Tuttavia, appare anzitutto che non è agevole procedere a tale differenziazione. Da taluni documenti citati nella decisione impugnata risulta quindi che Google stessa utilizza talvolta il termine «predefinito» non per designare in senso stretto l’impostazione predefinita di un servizio in una determinata applicazione, ma per riferirsi più ampiamente alla preinstallazione o al «precaricamento» di applicazioni nella fase della configurazione dei dispositivi prima che essi siano commercializzati (v. punto 787, paragrafi 2 e 3, della decisione impugnata, che menzionano messaggi di posta elettronica interni di un dirigente di Google). Anche altri operatori del settore mostrano siffatta confusione tra le nozioni di impostazione predefinita e di preinstallazione, che sono altresì associate a una terza tecnica utilizzata per incentivare gli utenti a ricorrere al servizio in questione, vale a dire il posizionamento privilegiato (v., in particolare, punti 781 e 782 della decisione impugnata, che menzionano dichiarazioni della HP o di Nokia).

331    Inoltre, come è stato esposto in udienza, è pacifico che la preinstallazione di un’applicazione attribuisce di per sé un vantaggio rispetto alle applicazioni concorrenti. È certamente preferibile che vi sia la disponibilità sul dispositivo fin dal primo uso piuttosto che non essere presenti in tale dispositivo. In generale, Google riconosce al riguardo che, come qualsiasi forma di promozione, la preinstallazione aumenta la probabilità che gli utenti provino l’applicazione che ne fruisca. La preinstallazione presenta quindi per lo meno un valore promozionale per Google come per gli altri operatori del settore. Tale punto di vista, esposto nella decisione impugnata in considerazione di passaggi della risposta alla comunicazione degli addebiti (punto 780 della decisione impugnata), è stato ammesso da Google in udienza.

332    Nel caso di specie, occorre altresì rilevare che le opportunità promozionali offerte dalle condizioni di preinstallazione dell’ADAM comprendevano non solo disposizioni relative alla preinstallazione dell’applicazione Google Search e del browser Chrome, ma anche disposizioni relative al posizionamento privilegiato o alla impostazione predefinita. Come riconosciuto da Google in udienza, nelle condizioni di preinstallazione esisteva effettivamente un elemento relativo alla collocazione. Non si tratta quindi, in ogni caso, di una semplice preinstallazione.

333    È in tale contesto che occorre esaminare l’approccio adottato nella decisione impugnata. Secondo tale approccio, la Commissione ritiene che, tenuto conto degli effetti della preinstallazione, dell’impostazione predefinita o del posizionamento privilegiato, oppure di una combinazione di tali tecniche (punti 779, 781 e 782 della decisione impugnata), le condizioni di preinstallazione dell’ADAM attribuiscano un vantaggio concorrenziale (v. punto 785 della decisione impugnata).

334    Supponendo che ricorra tale ipotesi, gli elementi di prova contestati da Google nell’ambito della prima parte potrebbero quindi essere effettivamente invocati per dimostrare l’esistenza di una tendenza generale a cristallizzare la situazione, a prescindere dal fatto che essi riguardino propriamente l’impostazione predefinita o la preinstallazione oppure il posizionamento privilegiato. Infatti, secondo l’approccio adottato nella decisione impugnata, ciò che può dedursi in caso di preinstallazione vale anche, mutatis mutandis e a fortiori, in caso di impostazione predefinita. Analogamente, anche se viene menzionata solo l’impostazione predefinita, ciò non esclude che un effetto analogo possa prodursi in caso di preinstallazione, soprattutto se quest’ultima è associata al posizionamento privilegiato o all’impostazione predefinita.

335    Di conseguenza, per dimostrare l’esistenza di uno «status quo bias», non occorre distinguere con precisione, come auspicato da Google, gli effetti dell’impostazione predefinita dagli effetti della preinstallazione, dato che, come suggerisce la decisione impugnata, tali effetti sono simili tra un caso e l’altro.

–       Importanza quantitativa delle condizioni di preinstallazione

336    Occorre, inoltre, sottolineare che la preinstallazione dell’applicazione Google Search e del browser Chrome, abbinata, la prima, a un posizionamento privilegiato e, il secondo, all’impostazione predefinita dell’applicazione Google Search, ha conseguenze rilevanti sul piano quantitativo.

337    Infatti, a causa delle condizioni di preinstallazione dell’ADAM, l’applicazione Google Search e il browser Chrome erano preinstallati su un gran numero di dispositivi mobili intelligenti. A tal proposito, dalla decisione impugnata risulta quanto segue:

–        nel 2016, dei 260 milioni di smartphone venduti in Europa, 197 milioni, ossia il 76%, erano dispositivi Google Android e Google non contesta l’affermazione contenuta nella decisione impugnata secondo cui l’applicazione Google Search e il browser Chrome erano preinstallati sulla quasi totalità di tali dispositivi (punto 783 della decisione impugnata);

–        analogamente, nel 2016, degli 1,65 miliardi di dispositivi mobili intelligenti venduti nel mondo, 1,33 miliardi, ossia l’81%, erano dispositivi Google Android, di cui 918 milioni, ossia il 56%, vale a dire la quasi totalità dei dispositivi Google Android venduti al di fuori della Cina, avevano l’applicazione Google Search e il browser Chrome preinstallati (punti 784 e 901 della decisione impugnata).

338    Per fare un confronto, Bing era impostato come servizio di ricerca generale predefinito solo su 21 milioni di dispositivi mobili intelligenti venduti nel mondo nel 2016 e la Samsung aveva preinstallato il suo browser Samsung Internet, che peraltro aveva come impostazione predefinita Google Search, solo su 336 milioni di tali dispositivi (punti 784 e 901 della decisione impugnata).

339    È in tale contesto che occorre esaminare gli argomenti di Google vertenti, in primo luogo, su talune dichiarazioni e informazioni riportate nella decisione impugnata, in secondo luogo, su taluni confronti ivi effettuati e, in terzo luogo, più specificamente, su taluni elementi relativi a Chrome.

ii)    Su talune dichiarazioni e informazioni riportate nella decisione impugnata

340    In primo luogo, Google sostiene che taluni elementi di prova citati nella decisione impugnata riguardano più l’impostazione predefinita che la preinstallazione (elementi relativi ad essa stessa, HP, Nokia, Amazon e Mozilla), non distinguerebbero la preinstallazione dall’impostazione predefinita (analisi della Yandex), o illustrerebbero la confusione fatta dalla Commissione tra i vantaggi dell’impostazione predefinita e quelli della preinstallazione (accordo di preinstallazione tra Microsoft e la Verizon). Orbene, un servizio impostato come predefinito sarebbe attivato senza che l’utente debba scegliere, mentre un’applicazione preinstallata, che non è impostata come predefinita, dovrebbe essere scelta dall’utente. La preinstallazione non esclusiva di un’applicazione non predefinita, prevista dall’ADAM, non potrebbe quindi essere considerata analoga all’impostazione predefinita.  

–       Elementi di prova provenienti da Google

341    Quanto agli argomenti relativi agli elementi di prova provenienti da Google, occorre rilevare quanto segue per quanto riguarda il primo pacchetto.

342    In primo luogo, in un messaggio di posta elettronica interno del 14 novembre 2008, un dirigente di Google afferma di essere preoccupato per «[il servizio di ricerca generale di Google], a causa delle implicazioni in termini di entrate derivanti dal fatto che esso non sia precaricato (l’ipotesi su cui si fonda è che la prevalenza di [tale servizio] comporti ulteriori ricerche, in particolare mediante la voce)» e si chiede quanto segue (punto 787, paragrafo 1, della decisione impugnata):

«Come possiamo risolvere questo problema? Potremmo quanto meno pretendere che [tale servizio] sia precaricato su Android (o su tutte le piattaforme) quale condizione necessaria per qualsiasi contratto GMS?».

343    In secondo luogo, in un messaggio di posta elettronica interno del 1° novembre 2010, un altro dirigente di Google afferma quanto segue (punto 787, paragrafo 2, della decisione impugnata):

«Il precaricamento resta prezioso per gli utenti, e quindi per gli OEM, nonostante la completa disaggregazione [vale a dire il fatto che le applicazioni Google sono non solo preinstallate ma anche disponibili per il download su Play Store], in quanto la maggior parte degli utenti utilizza solo ciò che viene fornito con il dispositivo. Raramente gli utenti cambiano ciò che è predefinito [nel senso di impostazioni predefinite]».

344    In terzo luogo, in un messaggio di posta elettronica interno del 26 aprile 2011, lo stesso dirigente di Google afferma quanto segue (punto 787, paragrafo 3, della decisione impugnata):

«Abbiamo veramente bisogno di condizioni di esclusiva? La versione attuale [non applicabile negli Stati Uniti] di tali condizioni fornisce più o meno lo stesso risultato. Gli OEM preinstallano [le impostazioni] predefinite in forza dell’ADAM + incentivo per gli operatori sotto forma di ripartizione dei ricavi con non duplicazione + obiettivi di volume [accordi di ricerca] = numerosi ostacoli per un operatore che cerca di modificare i parametri predefiniti. Occorrerebbe più denaro per l’altro motore di ricerca [e/o] convincere gli OEM a chiederci (e a ottenere) una deroga al loro ADAM al fine di autorizzare la preinstallazione di un altro servizio di ricerca con preinstallazione di un altro GMS, [oppure] vendere dispositivi senza alcun GMS installato [requisiti dell’ADAM]. In pratica, non avvengono forniture senza GMS salvo in casi limite, come (in precedenza) America Movil. Tutti i mercati sviluppati hanno utenti che si attendono e esigono GMS».

345    In quarto luogo, nella risposta alla comunicazione degli addebiti, Google dichiara, riferendosi a una relazione del professor Carl Shapiro, dell’Università della California a Berkeley (Stati Uniti), del 5 novembre 2016, ad essa allegata, che «[pre]caricare [Google Search e Google Chrome] e collocare Search sulla schermata iniziale è incontestabilmente prezioso per [tale impresa]» (punto 788 della decisione impugnata).

346    Inoltre, per quanto riguarda il pacchetto Chrome‑Play Store e Google Search, la decisione impugnata menziona un messaggio di posta elettronica interno di Google dell’aprile 2012, nel quale un dirigente di tale impresa sottolinea l’interesse di Google a «rendere Chrome obbligatorio», nel senso che esso dovrebbe essere disponibile sui dispositivi distribuiti dagli OEM.

347    Tali documenti sono presentati dalla Commissione a sostegno della sua affermazione secondo cui la preinstallazione è importante per Google. Senza contestare l’importanza della preinstallazione di un’applicazione in quanto tale, Google fa valere al riguardo che tali documenti – in particolare il secondo e il terzo, che sono documenti interni relativi al periodo dell’infrazione – riguardano più l’impostazione predefinita che la preinstallazione.

348    Su tale punto, come fa valere la Commissione, occorre rilevare che la terminologia utilizzata da Google resta imprecisa. Infatti, si parla di «precaricamento» o di «predefinizione». È vero che a priori i termini menzionati possono essere intesi come riferimenti a «impostazioni predefinite», ma, rapportati al contenuto dell’ADAM, che prevedeva solo la preinstallazione e il posizionamento privilegiato, non vi è dubbio che tali termini non indicano l’impostazione predefinita nel senso stretto menzionato da Google.

349    Di conseguenza, tenuto conto del contesto contrattuale nel quale tali documenti si inseriscono, vale a dire quello delle condizioni di preinstallazione definite dall’ADAM, occorre respingere gli argomenti di Google sulla necessità di distinguere tra preinstallazione e impostazione predefinita e ammettere che argomenti dedotti nell’ambito di una di queste due nozioni possano valere anche nell’ambito dell’altra.

–       Elementi di prova provenienti da imprese terze

350    Quanto agli argomenti relativi agli elementi di prova provenienti da imprese terze, occorre rilevare quanto segue per quanto riguarda il pacchetto Google Search‑Play Store.

351    In primo luogo, la decisione impugnata cita una dichiarazione della HP (punto 781). Infatti, nella sua risposta a una richiesta di informazioni del 12 giugno 2013, inviata agli OEM, la HP, in risposta al quesito 55 sull’«importanza commerciale del posizionamento privilegiato e delle impostazioni predefinite per la distribuzione dei servizi mobili e delle applicazioni sui dispositivi mobili intelligenti», ha dichiarato quanto segue:

«[I]l posizionamento privilegiato e le impostazioni predefinite attribuiscono alle applicazioni e ai servizi situati in tali posizioni il vantaggio di essere le prime cose che gli utenti vedono quando iniziano a interagire con i loro dispositivi. È più probabile che gli utenti provino tali applicazioni o servizi a causa della loro grande visibilità e una volta che li hanno utilizzati, continueranno generalmente a farlo. È uno strumento facile per ottenere nuovi utenti e assicurare un’adesione quasi automatica a un’applicazione o a un servizio».

352    Anzitutto, è vero che, come rileva Google, tale dichiarazione non riguarda propriamente la preinstallazione. Infatti, la preinstallazione era prevista ai quesiti da 50 a 54 della sezione sulla «preinstallazione di servizi mobili e di applicazioni» (v., in particolare, quesito 54: «La preinstallazione di una particolare applicazione mobile influenzerà il modo in cui gli utenti fanno uso dei servizi e delle applicazioni mobili concorrenti?»). Il quesito 55 apre, dal canto suo, la sezione riguardante il «posizionamento privilegiato e le impostazioni predefinite per i servizi mobili e le applicazioni».

353    Tuttavia, come illustrano i diversi screenshot di un dispositivo Google Android trasmessi dalla HP nella sua risposta al quesito 55, il posizionamento privilegiato consente effettivamente agli utenti di tale dispositivo di vedere i servizi di Google in modo preminente. Occorre altresì rilevare che, accanto a tali screenshot, la HP indica, per individuare le applicazioni oggetto del posizionamento privilegiato, che queste ultime sono «preinstallate».

354    Inoltre, come emerge dalle precisazioni fornite su tale punto in risposta alle misure di organizzazione del procedimento, appare altresì che la risposta della HP al quesito 54 non è tale da rimettere in discussione il contenuto della risposta al quesito 55 che è stato preso in considerazione dalla Commissione nella decisione impugnata.

355    Inoltre, alla luce delle risposte alle misure di organizzazione del procedimento, risulta parimenti che la risposta al quesito 55, relativa all’importanza commerciale del posizionamento privilegiato e delle impostazioni predefinite, è corroborata da otto delle altre dodici risposte fornite dagli OEM destinatari della richiesta di informazioni.

356    Da tali risposte risulta che esiste un certo consenso tra gli OEM nel ritenere che il posizionamento privilegiato o l’impostazione predefinita, o una combinazione di tali tecniche, agevoli l’uso delle applicazioni che ne fruiscono. È in tale contesto che deve essere presa in considerazione la dichiarazione della HP citata al punto 781 della decisione impugnata.

357    Infine, quanto al contenuto delle altre risposte fornite dagli OEM destinatari della richiesta di informazioni al quesito 54 sulla preinstallazione, il cui contenuto è stato comunicato al Tribunale dalla Commissione, non se ne può ricavare lo stesso consenso che risulta dalle risposte fornite sul posizionamento privilegiato o sull’impostazione predefinita.

358    Infatti, dei nove OEM che si sono espressamente pronunciati al riguardo, cinque fanno valere che la preinstallazione non è tale da influenzare il modo in cui gli utenti fanno uso dei servizi e delle applicazioni mobili. Un OEM si limita a tal proposito a rispondere in senso negativo al quesito posto, mentre altri quattro si avvalgono delle opportunità offerte dal download. Va osservato, come sostenuto da Google, che quest’ultimo punto di vista è anche quello della Gigaset e della HMD, altri due OEM. Gli altri quattro OEM che hanno presentato risposte al quesito 54 riconoscono, dal canto loro, l’influenza che può essere esercitata dalla preinstallazione, osservando al contempo, per due di essi, che tale influenza può essere compensata dalle opportunità offerte dal download.

359    Tuttavia, contrariamente a quanto sostenuto da Google, tale mancanza di consenso tra gli OEM sul ruolo della preinstallazione sul comportamento degli utenti non può essere sufficiente a rimettere in discussione l’affermazione fatta dalla Commissione al punto 781 della decisione impugnata. Infatti, affermando che «la ragione per cui la preinstallazione, come l’impostazione predefinita o il posizionamento privilegiato, può aumentare significativamente e in modo duraturo l’utilizzo di un servizio fornito da un’applicazione attiene al fatto che gli utenti che trovano applicazioni preinstallate ed evidenti sui loro dispositivi mobili intelligenti possono limitarsi a tali applicazioni», la Commissione tiene conto della dichiarazione della HP, ma anche degli altri elementi di prova citati nella decisione impugnata.

360    Tali elementi che corroborano siffatta affermazione, in particolare per quanto riguarda l’applicazione Google Search e, per analogia e di conseguenza, il browser Chrome, provengono sia da taluni OEM, tra cui Nokia, sia da altri operatori, tra cui Google, che si tratti in particolare di sviluppatori di applicazioni o di sistemi operativi (Amazon, Yandex), di un MNO (Hutchinson 3G) o di fornitori di servizi di ricerca (Yahoo, Qwant, Microsoft).

361    Analogamente, l’affermazione fatta dalla Commissione al punto 781 della decisione impugnata deve essere analizzata nel suo contesto, vale a dire sia in considerazione del fatto che la preinstallazione dell’applicazione Google Search e del browser Chrome non era una semplice preinstallazione, bensì una preinstallazione accompagnata da un posizionamento privilegiato o da un’impostazione predefinita di un motore di ricerca, e che un numero assai elevato di dispositivi Google Android era interessato dalla preinstallazione (v. supra, punto 337), sia del fatto che il download di applicazioni concorrenti è rimasto in pratica limitato (v. infra, punti 549 e 550).

362    Inoltre, occorre rilevare che l’intervento del BEUC nella presente causa, che può essere considerato rappresentativo del punto di vista degli utenti dei servizi di ricerca generale, consente di attenuare le osservazioni formulate al riguardo dall’ADA a nome degli sviluppatori e dalla CCIA a nome degli operatori del settore. Le spiegazioni fornite su tale punto dal BEUC consentono infatti di suffragare e di corroborare l’idea che, dal punto di vista degli utenti, la preinstallazione dell’applicazione Google Search e del browser Chrome su quasi tutti i dispositivi Google Android commercializzati all’interno del SEE tende a cristallizzare la situazione per quanto riguarda l’uso del servizio di ricerca generale di Google Search associato.

363    Da quanto precede risulta che le obiezioni sollevate da Google per quanto riguarda la dichiarazione della HP e lo «status quo bias» che può essere collegato alla preinstallazione, al pari dell’impostazione predefinita o del posizionamento privilegiato, ai quali essa può essere associata, non sono tali da suscitare dubbi di cui potrebbe beneficiare Google. Infatti, anche se tali obiezioni appaiono a priori pertinenti quando sono esaminate fuori contesto, ciò non può essere tuttavia sufficiente a rimettere in discussione la citata conclusione quando si tiene conto del contesto e dei dati menzionati al riguardo nella decisione impugnata il cui contenuto è stato ricordato nei punti precedenti.

364    In secondo luogo, la decisione impugnata cita una dichiarazione di Nokia (punto 782 della decisione impugnata). Infatti, nella sua risposta a una richiesta di informazioni del 29 giugno 2015 inviata agli sviluppatori di applicazioni, Nokia ha in particolare dichiarato, al quesito 17 relativo alla «preinstallazione delle applicazioni», che chiedeva di stimare, per tre applicazioni popolari, il reddito medio supplementare percepito per apparecchio quando tale applicazione era preinstallata sullo schermo anteriore o preinstallata con un semplice scorrimento del dito dallo schermo anteriore, rispetto al reddito medio percepito in mancanza di tale preinstallazione, che «[q]uando un prodotto [era] precaricato come predefinito, i consumatori [tendevano] a limitarsi a tale prodotto, a danno di prodotti concorrenti, e ciò anche se il prodotto predefinito [era] inferiore ai prodotti concorrenti». Nokia ha precisato, a tal riguardo, che la sua risposta riguardava «l’impatto delle applicazioni preinstallate in generale».

365    Le ricorrenti fanno riferimento a un altro passaggio della risposta di Nokia a tale quesito, in cui tale impresa ha dichiarato che, «per quanto riguarda[va] l’impatto delle applicazioni preinstallate in generale, [era] chiaro che la pertinenza dell’impostazione predefinita sui dispositivi mobili [era] significativa», per sostenere che tale risposta confonde gli effetti della preinstallazione con gli effetti dell’impostazione predefinita.

366    Dalla lettura dell’intera risposta di Nokia risulta che quest’ultima prevede diverse opzioni, vale a dire quella dell’impostazione predefinita quando si fa riferimento ad Apple Maps e quella della preinstallazione quando il termine «precaricato» viene utilizzato con riferimento a Google Search o a YouTube. Tale dichiarazione deve essere quindi presa in considerazione nel contesto delle diverse soluzioni tecniche scelte per le applicazioni menzionate, che possono essere impostate come predefinite, preinstallate o essere oggetto di un posizionamento privilegiato.

367    La dichiarazione di Nokia è corroborata da una dichiarazione della Yandex (punto 782 e nota a piè di pagina n. 834 della decisione impugnata). Infatti, nella sua risposta ad una richiesta di informazioni del 12 giugno 2013 inviata agli sviluppatori di applicazioni, la Yandex ha dichiarato, in risposta al quesito 35.1, che i «livelli di download delle applicazioni mobili che fa[cevano] concorrenza alle applicazioni mobili preinstallate tend[eva]no ad essere bassi anche se i servizi preinstallati [erano] di qualità paragonabile o anche sostanzialmente peggiori».

368    In terzo luogo, la decisione impugnata cita un’altra dichiarazione Nokia (punto 789, paragrafo 1). Infatti, nella sua risposta a una richiesta di informazioni del 12 giugno 2013 inviata agli OEM, Nokia ha dichiarato in particolare, in risposta al quesito 17.2 relativo all’importanza, quali criteri di acquisto per gli utenti, della disponibilità e della preinstallazione dei singoli servizi mobili sui loro dispositivi, che «[i]l precaricamento di applicazioni (contrapposto alla messa a disposizione di applicazioni da scaricare) svolge[va] un ruolo essenziale per gli sviluppatori, poiché il fatto di essere ben visibile sulla schermata iniziale di uno smartphone o in prossimità della schermata iniziale aumenta[va] inevitabilmente la probabilità che i consumatori provassero l’applicazione».

369    Le ricorrenti menzionano altri passaggi di tale risposta, nei quali Nokia affermava altresì che «gli utenti si [erano] abituati a cercare nei portali di vendita di applicazioni per scaricare le applicazioni che intend[eva]no utilizzare», che «[c]iò [aveva] ridotto l’importanza del precaricamento» e che «la maggior parte dei consumatori presuppone[va] che gli dispositivi intelligenti [fossero] dotati di funzionalità di navigazione complete e che [potessero] effettuare facilmente ricerche in Internet con il loro dispositivo intelligente». Tali passaggi contraddirebbero l’affermazione secondo cui la preinstallazione di un’applicazione di ricerca generale creerebbe uno «status quo bias».

370    Tuttavia, anche se occorre tener conto dei passaggi citati dalle ricorrenti, che si ricollegano più alla situazione degli utenti rispetto al passaggio citato nella decisione impugnata che riguarda gli sviluppatori di applicazioni, si deve tener conto anche di altri passaggi della risposta di Nokia. Infatti, tale impresa, da un lato, ha altresì dichiarato che «Google stessa [era] disposta a pagare somme di denaro considerevoli ai suoi partner di distribuzione per l’inserimento delle proprie applicazioni in una posizione di primo piano sui dispositivi» e, dall’altro, ha precisato, in altri punti della sua risposta, che essa riteneva che la preinstallazione potesse influenzare la scelta dei consumatori e l’uso delle applicazioni.

371    Di conseguenza, tenuto conto dell’intera risposta fornita da Nokia alla richiesta di informazioni della Commissione e delle soluzioni tecniche alle quali tale risposta rinvia, da essa non si può dedurre che la preinstallazione di un’applicazione di ricerca specifica non crei uno «status quo bias».

372    In quarto luogo, la decisione impugnata cita una dichiarazione di Amazon (punto 789, paragrafo 2). Infatti, nella sua risposta a una richiesta di informazioni del 29 giugno 2015 inviata agli sviluppatori di applicazioni, Amazon ha dichiarato, in risposta al quesito 17 relativo all’importanza, quali criteri di acquisto per gli utenti, della disponibilità e della preinstallazione dei singoli servizi mobili sui loro dispositivi, che «avere un’applicazione preinstallata su un dispositivo migliora[va] la scoperta di tale applicazione da parte degli utenti finali». Analogamente, nella sua risposta a una richiesta di informazioni del 12 giugno 2013 inviata agli sviluppatori di sistemi operativi, Amazon ha dichiarato, in risposta al quesito 35 relativo all’influenza che poteva avere la preinstallazione di una particolare applicazione mobile sull’uso di applicazioni concorrenti, che «il posizionamento privilegiato delle applicazioni preinstallate [aveva] un impatto significativo sul loro uso» e che «[l] a presenza di applicazioni mobili preinstallate limita[va], in molti casi, la volontà degli utenti di provare applicazioni mobili concorrenti».

373    Le ricorrenti citano una terza dichiarazione di Amazon, resa nella sua risposta a una richiesta di informazioni del 12 giugno 2013 inviata agli sviluppatori di applicazioni, in cui tale impresa ha affermato, in risposta al quesito 35.1, riguardante la misura in cui gli utenti scaricavano applicazioni mobili che facevano concorrenza ad applicazioni preinstallate su dispositivi mobili intelligenti, che essa disponeva di informazioni sui download delle applicazioni preinstallate solo in relazione a quelle che beneficiavano di un posizionamento privilegiato o che erano oggetto di impostazioni predefinite. Gli esempi forniti da Amazon a tal proposito riguardavano i servizi di cartografia impostati come predefiniti.

374    Anche in tal caso, l’esame delle diverse dichiarazioni menzionate dalle parti principali, una volta ricollocate nel loro contesto, non rimette in discussione l’uso che ne è stato fatto nella decisione impugnata. Gli estratti citati dalla Commissione possono essere invocati per sostenere che la preinstallazione di un’applicazione, combinata o meno con un posizionamento privilegiato, tende a cristallizzare la situazione. Gli estratti citati da Google non contraddicono le osservazioni precedenti.

375    In quinto luogo, la decisione impugnata cita una dichiarazione della Hutchison 3G (punto 789, paragrafo 3). Infatti, nella sua risposta a una richiesta di informazioni del 12 giugno 2013 inviata agli MNO, la Hutchison 3G ha dichiarato, in risposta al quesito 51, quanto segue:

«È particolarmente potente avere un’applicazione precaricata rispetto a un bootstrap o anche a un suggerimento di marketing per utilizzare l’applicazione. Come per qualsiasi servizio, se è a portata di mano, è maggiore la probabilità del suo utilizzo».

376    Le ricorrenti contestano tale dichiarazione per il motivo che tale società riconosce, peraltro, di non sviluppare applicazioni (risposta alla richiesta di informazioni del 13 agosto 2013).

377    Tuttavia, il fatto che la Hutchinson 3G dichiari di non sviluppare applicazioni non osta al fatto che essa possa esprimere un parere sull’utilità della preinstallazione in considerazione, in particolare, della sua esperienza, in quanto MNO, del comportamento degli utenti. La dichiarazione riprodotta nella decisione impugnata resta pertinente per valutare gli effetti della preinstallazione dal punto di vista dell’operatore interessato.

378    In sesto luogo, la decisione impugnata cita una dichiarazione della Yandex (punto 789, paragrafo 4). Infatti, nella sua risposta a una richiesta di informazioni del 12 giugno 2013 inviata agli sviluppatori di applicazioni, la Yandex ha dichiarato, in risposta al quesito 25.5, quanto segue:

«[I]l canale di distribuzione più efficace è la preinstallazione da parte degli OEM. Gli OEM preinstallano principalmente i servizi che possono generare per essi redditi supplementari; il servizio che genera la maggior parte del reddito al riguardo è il nostro servizio mobile di ricerca e i servizi associati. La maggior parte delle nostre discussioni con gli OEM riguarda quindi principalmente la preinstallazione di Yandex Search».

379    Tale dichiarazione non è contestata da Google. Essa può essere invocata dalla Commissione per sostenere che la preinstallazione di un’applicazione tende a cristallizzare la situazione.

380    Per quanto riguarda il pacchetto Chrome‑Play Store e Google Search, la decisione impugnata cita in particolare una dichiarazione di Mozilla (punto 905, paragrafo 1). Infatti, nella sua risposta ad una richiesta di informazioni del 12 giugno 2013 inviata agli sviluppatori di applicazioni, Mozilla ha dichiarato, in risposta al quesito 39 sul posizionamento privilegiato e sulle impostazioni predefinite sui dispositivi mobili intelligenti, che «l’impostazione predefinita rimane[va] l’influenza più potente sull’uso delle applicazioni» e che il posizionamento privilegiato si trovava, «[nel]la gerarchia dell’importanza commerciale[,] tra [l’]impostazione predefinita e [la] preinstallazione», con l’impostazione predefinita al di sopra di esso (v. risposta alla richiesta di informazioni del 22 marzo 2016).

381    Secondo le ricorrenti, tale dichiarazione porrebbe l’accento sull’impostazione predefinita. Tuttavia, da tale dichiarazione risulta che essa menziona anche la preinstallazione di un’applicazione, di cui si è altresì constatato che «aumenta l’adozione da parte di un utente», anche se è in forma meno marcata rispetto al caso dell’impostazione predefinita. Tenuto conto di tale distinzione, la dichiarazione di Mozilla resta pertinente.

382    Le altre dichiarazioni menzionate nella decisione impugnata per dimostrare l’importanza della preinstallazione in quanto canale di distribuzione non sono contestate da Google.

383    In conclusione, da quanto precede risulta che i diversi elementi esposti nella decisione impugnata consentono effettivamente alla Commissione, se considerati nel loro insieme, di ritenere che, dal punto di vista degli operatori del mercato, la preinstallazione delle applicazioni Google Search e Chrome alle condizioni previste dall’ADAM consenta di «cristallizzare la situazione» e di dissuadere gli utenti dal ricorrere ad un’applicazione concorrente.

384    L’esame degli interventi su questo punto avvalora tale conclusione. In tal senso, il BEUC, la FairSearch, la Seznam e la Qwant, che intervengono a sostegno della Commissione, confermano che, dal loro punto di vista, lo «status quo bias» connesso alla preinstallazione può essere assimilato a quello causato dall’impostazione predefinita. Dal canto loro, l’ADA, la CCIA, la HMD, la Gigaset e l’Opera, che intervengono a sostegno di Google, non contestano, in quanto tale, l’esistenza di uno «status quo bias» connesso alla preinstallazione, ma pongono l’accento sulle opportunità offerte dal download per porre rimedio alla situazione.

–       Analisi della Yandex

385    La decisione impugnata menziona l’analisi della Yandex, che riguarda le quote di mercato di tale motore di ricerca in Russia nel maggio 2015, per affermare che, quando il «search widget» era preinstallato sulla schermata iniziale e tale motore di ricerca era impostato come predefinito nel browser Internet mobile preinstallato, la quota di mercato della Yandex sui dispositivi Android era «tre volte più elevata» della sua quota di mercato in mancanza di preinstallazione (punto 789, paragrafo 5, tabella 18, e punto 798, paragrafo 4, della decisione impugnata).

386    Google contesta tale valutazione per il motivo che essa non distingue la preinstallazione dall’impostazione predefinita, dato che il motore di ricerca della Yandex è «impostato come predefinito nel browser Internet mobile preinstallato» e che gli effetti della preinstallazione dipendono da tale configurazione predefinita (v. Econometric Data Report). Tale analisi conterrebbe anche vari errori metodologici.

387    Tuttavia, come fa valere la Commissione, tale distinzione non è necessaria per valutare la portata della valutazione esposta nella decisione impugnata. Quest’ultima si limita infatti a constatare, alla luce delle diverse ipotesi esaminate dall’analisi della Yandex, che, in caso di preinstallazione e di impostazione predefinita (colonne 4 e 5 della tabella 18 della decisione impugnata), la quota di mercato di tale motore di ricerca è «tre volte più elevata» della quota di mercato rilevata in mancanza di preinstallazione (colonna 1 di detta tabella). I dati riportati in tale tabella consentono altresì di rilevare che la quota di mercato della Yandex è più elevata quando il suo motore di ricerca è preinstallato sotto forma di «widget» di ricerca sul secondo schermo (colonna 3 di detta tabella) anziché in una situazione in cui non vi sia preinstallazione.

388    L’analisi della Yandex e i suoi risultati riportati nella tabella 18 della decisione impugnata possono quindi essere invocati per sostenere che la preinstallazione di un’applicazione, combinata o meno con un’impostazione predefinita o con un posizionamento privilegiato, consente di ottenere risultati migliori.

389    Il fatto che l’analisi della Yandex riguardi solo un’impresa e solo un mese o che essa presenti ciò che Google considera come errori di metodologia non la priva di pertinenza, in quanto tale analisi è invocata soltanto dalla Commissione per confermare altri elementi di prova relativi all’importanza della preinstallazione in quanto canale di distribuzione e allo «status quo bias» che essa comporta.

390    Inoltre, occorre rilevare su tale punto che le dichiarazioni della Yahoo e della Qwant, che affermano in sostanza che la preinstallazione è tale da migliorare i risultati dei servizi di ricerca che ne costituiscono l’oggetto (punto 789, paragrafo 6, e punto 789, paragrafo 7, della decisione impugnata), non sono contestati da Google.

–       Accordo tra Microsoft e la Verizon

391    La decisione impugnata menziona altresì un accordo tra Microsoft e la Verizon del 2008, ai sensi del quale il servizio di ricerca generale di Microsoft, Bing, era preinstallato nel 2010 e nel 2011 accanto a Google Search su sei modelli di dispositivi Google Android, e il traffico generato da tale accordo rappresentava dal 15 al 25% del volume totale delle richieste di ricerca generale effettuate su Bing negli Stati Uniti nel corso di tale periodo. La quota di mercato di Bing negli Stati Uniti durante tale periodo sarebbe aumentata da quasi 0 a circa 1,5% (punto 789, paragrafo 8, e punto 798, paragrafo 3, della decisione impugnata).

392    Google sostiene che tali constatazioni illustrano la confusione tra i vantaggi dell’impostazione predefinita e quelli della preinstallazione. Infatti, Microsoft avrebbe spiegato che tale accordo le consentiva di ottenere «l’impostazione di ricerca predefinita per Bing», in quanto i dispositivi mobili erano «forniti con Bing [impostato] come predefinito su tutti i punti di accesso». L’aumento menzionato non sarebbe del resto né «significativo» né «durevole» e non potrebbe essere imputato alla preinstallazione, ma solo all’impostazione predefinita.

393    L’esame della risposta di Microsoft al quesito 10.1 della richiesta di informazioni del 20 novembre 2015 inviata ai fornitori di servizi di ricerca generale consente effettivamente di constatare che, sui sei dispositivi che vi sono menzionati, uno aveva Bing impostato come predefinito su tutti i punti di accesso e gli altri cinque avevano anche, oltre a Bing impostato come predefinito, l’applicazione Google Voice Search con un’icona sulla schermata iniziale. Pertanto, Google sostiene correttamente che i risultati ottenuti da Microsoft a causa di tale accordo con la Verizon si spiegano con l’impostazione predefinita e non con la preinstallazione sui dispositivi Google Android.

394    Tuttavia, anche se tale accordo non può essere invocato a sostegno dell’importanza della preinstallazione, nondimeno esso non confuta la rilevanza di quest’ultima per i motivi indicati dalla Commissione nella decisione impugnata in base ai diversi elementi di prova sopra esaminati.

iii) Su taluni confronti effettuati nella decisione impugnata

395    In secondo luogo, Google contesta taluni confronti effettuati nella decisione impugnata.

–       Studio FairSearch

396    Sotto un primo profilo, la decisione impugnata menziona lo studio realizzato per la FairSearch, nel 2017, dal professor Marco Iansiti dell’Università di Harvard (Stati Uniti; in prosieguo: lo «studio FairSearch»), per constatare che l’utilizzo di ogni applicazione del pacchetto GMS, tra cui l’applicazione Google Search, è significativamente maggiore sui dispositivi Google Android, in cui le applicazioni sono preinstallate, che sui dispositivi iOS, in cui gli utenti devono scaricare tali applicazioni. Tale constatazione viene effettuata in considerazione dei dati forniti da Microsoft a proposito dell’utilizzo mensile di tali applicazioni nel Regno Unito nel febbraio 2016. Così, il 17% degli utenti di un dispositivo iOS si è avvalso dell’applicazione Google Search scaricata, mentre il 76% degli utenti di un dispositivo Android si è avvalso dell’applicazione Google Search preinstallata (punti 791 e 792, tabella 10 e grafico 19, e punto 799, paragrafo 1, della decisione impugnata).

397    Google sostiene che i confronti effettuati nello studio FairSearch contraddicono l’affermazione di uno «status quo bias», in quanto dimostrano che le sue quote sarebbero simili per l’utilizzo delle funzioni di ricerca, su Android, in cui si applica l’ADAM, e su iOS, in cui l’ADAM non si applica. A sostegno di tale affermazione, Google si riferisce in realtà a dati diversi da quelli riportati nello studio FairSearch. In particolare, Google sottolinea che lo studio della FairSearch verte unicamente sull’utilizzo dell’applicazione Google Search, e non sull’utilizzo del servizio Google Search nel suo insieme, che costituirebbe invece il mercato rilevante secondo la decisione impugnata (punto 323), né sulle ricerche effettuate tramite il browser. Orbene, quando si tiene conto dell’accesso tramite il browser, la «portata» di Google Search su Android e iOS non sarebbe significativamente diversa (v. punto 515, paragrafo 3, e nota a piè di pagina n. 857 della decisione impugnata). In tale contesto complessivo, un confronto dell’utilizzo su Android e iOS non corroborerebbe quindi uno «status quo bias» derivante dalla preinstallazione, ma sottolineerebbe piuttosto l’importanza dell’accesso a Internet tramite un browser.

398    Tuttavia, contrariamente a quanto sostenuto da Google, la constatazione effettuata dalla Commissione nella decisione impugnata in considerazione dei risultati dello studio FairSearch conserva la sua rilevanza nell’ambito dell’esame del primo pacchetto. Infatti, tale studio tiene unicamente conto delle richieste effettuate tramite l’applicazione Google Search e non di quelle effettuate tramite altri punti di accesso di ricerca quali i browser Internet mobile (punto 799, paragrafo 1, della decisione impugnata), i quali rientrano nella valutazione effettuata nell’ambito del secondo pacchetto.

399    Inoltre, come sostiene la Commissione, se l’utilizzo di Google Search – e non dell’applicazione Google Search – risulta simile sui dispositivi Android e iOS, ciò si spiega con il fatto che, anche se Apple non preinstalla un’applicazione di ricerca generale sui dispositivi iOS, essa imposta Google Search come servizio di ricerca generale predefinito su Safari (v. in particolare punto 799, paragrafo 2, della decisione impugnata).

400    Di conseguenza, tenuto conto delle peculiarità sopra citate, non si deve ritenere che l’esame dei confronti effettuati nello studio FairSearch contraddica l’utilizzo che ne viene fatto nella decisione impugnata quanto all’esistenza di uno «status quo bias».

–       Dati forniti da Microsoft e dati Netmarketshare

401    Sotto un secondo profilo, la decisione impugnata fa riferimento ai dati forniti da Microsoft in risposta al quesito 13 di una richiesta di informazioni del 10 aprile 2017, che confrontano le richieste di ricerca generale effettuate sui dispositivi Google Android, in cui Google Search è preinstallato, e sui dispositivi Windows Mobile, in cui Bing è impostato come predefinito, in Francia, in Germania, in Italia, in Spagna e nel Regno Unito dal 2014 al 2017. Secondo tali dati, Google Search rappresenta dal [10‑20]% al [40‑50]% delle richieste di ricerca generale sui dispositivi Windows Mobile e il [90‑100]% delle richieste di ricerca generale sui dispositivi Google Android (v. punto 793 e tabella 11 della decisione impugnata).

402    Google sostiene che la mancata distinzione tra i rispettivi effetti dell’impostazione predefinita e della preinstallazione compromette la pertinenza di tali dati, dal momento che Google Search non era preinstallato sui dispositivi Windows Mobile in cui Bing è «impostato come predefinito come servizio di ricerca generale» (v. punti 793 e 840 della decisione impugnata) e che tale impostazione predefinita non potrebbe essere generalmente modificata, contrariamente ai parametri di ricerca predefiniti sui dispositivi Android. L’impostazione predefinita potrebbe quindi rappresentare una quota considerevole o la totalità della differenza menzionata nella decisione impugnata. Sarebbe piuttosto la preferenza degli utenti per Google Search a spiegare lo scarso numero di download delle applicazioni di ricerca generale concorrenti (circa il 95% degli utenti nel Regno Unito, in Francia e in Germania preferiscono Google secondo i dati presentati da Google alla fine del 2016). In confronto, i dati della Netmarketshare dimostrerebbero che la differenza nella quota di richieste di ricerca di Google, tra i dispositivi Android e Windows Mobile, sarebbe inferiore, con una differenza reale pari soltanto all’1% (Data On Operating System Market Share: Mobile OS, Europe, 2015). La decisione impugnata lamenterebbe il fatto che Google non abbia fornito i dati quantitativi alla base di tali statistiche (punto 799, paragrafo 3), ma la Commissione avrebbe potuto ottenerli su richiesta.

403    Tuttavia, anche supponendo che una parte della differenza tra le quote delle richieste di ricerca sugli apparecchi Android e Windows Mobile possa essere «attribuita all’impostazione predefinita sul browser preinstallato» anziché alla preinstallazione, i dati forniti da Microsoft mantengono la loro pertinenza. Infatti, tali dati si limitano a riflettere le differenze esistenti tra i dispositivi dotati del SO Android con il pacchetto GMS e quelli dotati del SO Windows Mobile: i primi dispongono dell’applicazione del servizio di ricerca Google Search preinstallata e i secondi del servizio di ricerca Bing impostato come predefinito.

404    Quanto ai dati Netmarketshare, forniti da Google e menzionati per dimostrare che la differenza tra le sue quote di richieste di ricerca sui dispositivi Android e Windows Mobile, è lieve ed è pari all’1%, occorre anzitutto rilevare che essi rimangono succinti. Essi vengono presentati sotto forma di grafico e di tabella privi di spiegazioni. In particolare, come rilevato dalla Commissione al punto 799, paragrafo 3, della decisione impugnata, in mancanza di informazioni sui dati presi in considerazione per sapere quali siano i dispositivi considerati per valutare le quote di richieste di ricerca sui dispositivi dotati del SO Windows Mobile, è difficile valutare la portata reale dei dati menzionati nella colonna «Windows Phone». Analogamente, come spiegato altresì dalla Commissione al punto 799, paragrafo 3, della decisione impugnata, i dati Netmarketshare sono contraddetti da altri dati forniti da Microsoft e da Google nel corso del procedimento amministrativo, i quali corroborano l’affermazione contenuta nella decisione impugnata secondo cui la quota di Google nelle ricerche generali effettuate sui dispositivi Android, in cui l’applicazione Google Search è preinstallata, è più ampia che sui dispositivi Windows Mobile, in cui tale applicazione non è preinstallata.

–       Confronto dei redditi di Google ricavati dai dispositivi Android e iOS

405    Sotto un terzo profilo, nella decisione impugnata viene menzionato un confronto dei redditi mondiali di Google ricavati dai dispositivi Android e dai dispositivi iOS (punto 794 e tabella 12) per gli anni dal 2014 al 2016, realizzato con dati forniti da Google, da cui risulta che Google percepisce redditi notevolmente maggiori con l’uso della sua applicazione di ricerca generale Google Search su Android che su iOS (+71% nel 2014, +134% nel 2015 e +193% nel 2016), mentre i redditi complessivi percepiti per la ricerca erano a un livello simile tra Android e iOS (+3% nel 2014, +22% nel 2015 e +28% nel 2016).

406    Google sostiene che la mancata presa in considerazione delle richieste di ricerca effettuate su un browser ostacola tale confronto. Se tali richieste fossero prese in considerazione, la tabella 12 della decisione impugnata mostrerebbe quindi che i redditi complessivi di Google provenienti da richieste effettuate su iOS erano superiori a quelli ricavati da Android, benché l’applicazione Google Search non fosse preinstallata sugli iPhones. Inoltre, Apple non renderebbe disponibile Safari su Android. La quota di Chrome sarebbe quindi inevitabilmente inferiore su iOS.

407    Tuttavia, come rilevato dalla Commissione, i dati forniti da Google mostrano che gli introiti di Google generati dall’applicazione Google Search sono più elevati sui dispositivi GMS, in cui l’applicazione Google Search è preinstallata, che sui dispositivi iOS, in cui non è preinstallata alcuna applicazione di ricerca generale, compreso Google Search. Poiché tale parte della decisione è dedicata al primo pacchetto, non occorre inserirvi i redditi provenienti dall’attuazione del secondo pacchetto. Più ampiamente, anche in questo caso, tali dati confrontano situazioni in cui il servizio di ricerca generale di cui trattasi, nella fattispecie Google Search, fruisce o della preinstallazione dell’applicazione Google Search su Google Android, o dell’impostazione predefinita di Google Search sul browser Safari.

408    Occorre quindi respingere la censura di Google sul confronto dei suoi redditi ricavati dai dispositivi Android e quelli ricavati dai dispositivi iOS effettuata nella decisione impugnata.

iv)    Su taluni elementi relativi a Chrome

409    In terzo luogo, Google sostiene che anche l’osservazione secondo cui Safari produrrebbe redditi più elevati su iOS di quelli ricavati da Chrome (punto 907 della decisione impugnata) confonde la preinstallazione e l’impostazione predefinita e che il sondaggio Opera (v. punto 905, paragrafo 3, della decisione impugnata) non consente di dimostrare effetti restrittivi.

–       Confronto dei redditi di Google tramite Safari e tramite Chrome

410    Sotto un primo profilo, la decisione impugnata menziona un confronto dei redditi mondiali percepiti da Google per le ricerche effettuate tramite Safari, che è preinstallato sui dispositivi iOS e tramite Chrome, che non è preinstallato su tali dispositivi. Tale confronto, effettuato con dati forniti da Google, mostra che Google percepisce più redditi tramite Safari che tramite Chrome sui dispositivi iOS (+2457% nel 2014, +1988% nel 2015 e +1883% nel 2016) (punto 907 e tabella 16 della decisione impugnata). Per il 2016, a fronte dei 258 milioni di preinstallazioni di Safari, il download di Chrome sui dispositivi iOS rappresentava solo 40 milioni di occorrenze (punto 912, paragrafo 2, della decisione impugnata).

411    Google sostiene che tale osservazione, secondo cui Safari produrrebbe redditi più elevati su iOS rispetto a Chrome sugli stessi apparecchi (punto 907 della decisione impugnata), confonde preinstallazione e impostazione predefinita. Infatti, Apple imposterebbe il proprio browser Safari come browser predefinito su tutti i dispositivi iOS, circostanza di cui la decisione impugnata non terrebbe conto. Sarebbe impossibile isolare correttamente gli effetti della preinstallazione alla luce di prove riguardanti una combinazione della preinstallazione, del posizionamento privilegiato e dell’impostazione predefinita.

412    Tuttavia, una simile osservazione non ha l’effetto di privare di pertinenza il confronto tra gli introiti percepiti da Google sui dispositivi iOS a partire dalle richieste di ricerca tramite Safari e tramite Google Chrome. Infatti, tale confronto è stato effettuato in considerazione delle particolarità di tali browser sui dispositivi iOS: il primo è l’unico preinstallato, mentre il secondo deve esservi scaricato. Inoltre, gli utenti scaricano Google Chrome solo su una piccola percentuale di dispositivi iOS (15% nel 2016) (punto 912, paragrafo 2, della decisione impugnata).

413    Occorre quindi respingere la censura di Google per quanto riguarda il confronto dei suoi redditi generati tramite Safari e tramite Chrome effettuata nella decisione impugnata.

–       Sondaggio Opera

414    Sotto un secondo profilo, la decisione impugnata menziona un sondaggio effettuato dall’Opera (v. punto 905, paragrafo 3), che indica, da un lato, che, nel 2013, il 72% delle 1 500 persone intervistate in Germania, in Polonia e nel Regno Unito ha utilizzato il browser preinstallato sui loro dispositivi mobili intelligenti e, dall’altro, che il 16% di tali persone non teneva conto di fattori come la qualità, la facilità d’uso, la velocità, la sicurezza o altre caratteristiche, ma continuava a servirsi del browser semplicemente perché era preinstallato.

415    Google ricorda che il quesito posto per tale sondaggio era il seguente: «[S]elezionando il browser che utilizzate più spesso o regolarmente, quali fattori avete preso in considerazione?» La decisione impugnata si basa sugli utenti che hanno selezionato la risposta secondo cui essi «utilizza[vano] semplicemente il browser in dotazione nel [loro] telefono cellulare» per corroborare le sue affermazioni. Tale opzione non distinguerebbe tra gli utenti che hanno scelto un browser, a seconda che esso fosse preinstallato o fosse impostato come predefinito. Orbene, diverse risposte aggiungevano come commento che era il «browser predefinito del telefono» ad essere utilizzato. Inoltre, come dimostrano i dati del sondaggio forniti dall’Opera (risposta alla richiesta di informazioni del 15 dicembre 2015), solo 70 partecipanti su 500 (il 14%) hanno scelto in effetti l’opzione citata nella decisione impugnata. In realtà, il numero potrebbe essere ancora più limitato: 18 utenti su questi 70 sembrerebbero fare riferimento a dispositivi iOS, e non a dispositivi Android, dichiarando che essi utilizzavano Safari come browser, che non è disponibile con Android. Il restante 86% di persone intervistate ha citato fattori quali la velocità, la facilità d’uso, la sicurezza, il consumo di dati e altri fattori legati alla qualità. Sarebbe altresì errato ritenere che esistesse un solo browser «in dotazione» al telefono, mentre, di fatto, gli OEM preinstallerebbero generalmente due o più browser.

416    Tuttavia, come sostiene la Commissione, anche se il sondaggio Opera non isola l’effetto della preinstallazione da quello della configurazione predefinita, almeno una parte dei motivi per cui le persone intervistate hanno utilizzato il browser Internet «fornito con il cellulare» sarebbe imputabile al fatto che gli OEM preinstallano tale browser. Tale sondaggio individua il browser Internet mobile che gli utenti utilizzano «più spesso» per effettuare ricerche in Internet sui loro dispositivi. Prendendo in considerazione i tre paesi del SEE (Germania, Regno Unito e Polonia) inclusi nel campione di 1 500 utenti, da un lato, 853 utenti (il 57%) hanno menzionato Chrome o Safari come browser che essi utilizzavano più spesso – si tratta dei browser preinstallati, rispettivamente, su tutti i dispositivi GMS e iOS – e, dall’altro, 232 utenti (il 15%) hanno risposto che utilizzavano più spesso i browser configurati come predefiniti (ossia Chrome sui dispositivi GMS e Safari sui dispositivi iOS).

417    Occorre quindi respingere la censura di Google per quanto riguarda i riferimenti fatti ai risultati del sondaggio Opera nella decisione impugnata.

418    In conclusione, i vari argomenti dedotti da Google per confutare il vantaggio conferito dalla preinstallazione delle applicazioni Google Search e Chrome sui dispositivi Google Android non consentono di rimettere in discussione le conclusioni tratte dalla Commissione dai diversi elementi esposti al riguardo nella decisione impugnata.

b)      Possibilità per gli OEM di preinstallare o di impostare come predefiniti servizi di ricerca generale concorrenti

1)      Decisione impugnata

419    La decisione impugnata considera che il vantaggio concorrenziale conferito dalle condizioni di preinstallazione dell’ADAM non può essere compensato dai fornitori di servizi di ricerca generale concorrenti mediante altri accordi di preinstallazione per le seguenti ragioni (punto 833 della decisione impugnata):

–        gli OEM non intenderebbero installare, in generale, un’altra applicazione di ricerca generale; ciò sarebbe dovuto ai redditi supplementari piuttosto esigui che deriverebbero dall’aggiunta di una siffatta applicazione, al costo delle negoziazioni di tali accordi, e al rischio legato al fatto di avere doppioni di applicazioni, il che potrebbe nuocere all’esperienza dell’utente o causare problemi di spazio; lo stesso varrebbe mutatis mutandis per i browser (punti da 824 a 829, 933 e 934 della decisione impugnata);

–        l’ADAM impedirebbe agli OEM e agli MNO di preinstallare in via esclusiva un’altra applicazione di ricerca generale sui dispositivi Google Android (punti da 830 a 832 della decisione impugnata); inoltre, anche se potesse essere preinstallato un browser concorrente di Chrome, esso non potrebbe essere impostato come predefinito (punto 935 della decisione impugnata);

–        gli ARR conclusi con gli OEM e con gli MNO, che hanno comportato la preinstallazione esclusiva dell’applicazione Google Search su una percentuale compresa tra [il 50‑60%] e [l’80‑90%] di tutti i dispositivi Google Android del SEE, impedirebbero altresì ai concorrenti di Google di preinstallare un’altra applicazione di servizio di ricerca generale accanto a quella di Google su tali dispositivi (punto 833 della decisione impugnata).

–        il numero di preinstallazioni di browser concorrenti sui dispositivi Google Android sarebbe significativamente inferiore al numero di preinstallazioni di Google Chrome (punto 936 e tabella 19 della decisione impugnata).

420    Pertanto, Bing, il principale concorrente di Google Search, non avrebbe potuto essere preinstallato sui dispositivi Google Android tra il 2011 e il 2016, ad eccezione di un unico modello di dispositivo commercializzato negli Stati Uniti a partire dal 2011 (punto 834 e punto 789, paragrafo 8, della decisione impugnata).

2)      Sintesi degli argomenti delle parti

421    Google sostiene che le condizioni di preinstallazione dell’ADAM non impedivano agli OEM di fornire la stessa preinstallazione concessa a Google Search e a Chrome ai servizi di ricerca e i browser concorrenti su tutti i loro dispositivi Android. Sarebbe stato persino possibile assicurare un’opportunità promozionale superiore a quella dei prodotti di Google, dal momento che gli OEM potevano impostare un browser diverso da Chrome come browser predefinito e i servizi di ricerca generale concorrenti come servizi predefiniti in tali browser preinstallati. Inoltre, anche se Google Search fosse stato impostato come predefinito su Chrome nella barra URL, gli utenti avrebbero sempre potuto cambiare tale servizio di ricerca configurando quello di un concorrente. Le pratiche di cui trattasi non avrebbero quindi potuto restringere la concorrenza.

422    Pertanto, l’affermazione secondo cui gli OEM e gli MNO non vorrebbero applicazioni concorrenti sui dispositivi Android sarebbe contraddetta dalle loro pratiche, che si tratti di servizi di ricerca generale, di browser o di altri tipi di applicazioni. Analogamente, il ragionamento sugli ARR contraddirebbe l’affermazione secondo cui gli OEM e gli MNO non avrebbero alcun interesse a preinstallare applicazioni di ricerca e di navigazione accanto alle applicazioni di Google (punti da 824 a 829, 933 e 934, in combinato disposto con il punto 1208, paragrafo 1, e con i punti 1213, 1214, 1219 e 1220 della decisione impugnata). Inoltre, nessuna delle quattro ragioni addotte per affermare che gli OEM non intendevano preinstallare le applicazioni concorrenti accanto alle applicazioni Google, ossia gli ostacoli connessi all’«esperienza utente», i problemi di spazio di archiviazione; i costi di transazione e la mancanza di vantaggi finanziari connessi alla preinstallazione, non sarebbe corroborata da prove sufficienti.

423    La Commissione sostiene che i concorrenti non possono compensare, con accordi di preinstallazione, il notevole vantaggio concorrenziale che Google si assicura grazie alla preinstallazione dell’applicazione Google Search e Google Chrome su praticamente tutti i dispositivi Google Android venduti nel SEE.

3)      Giudizio del Tribunale

i)      Osservazioni preliminari

424    In via preliminare, occorre rilevare che Google afferma essenzialmente in tale censura che le condizioni di preinstallazione dell’ADAM non impedivano agli OEM di fornire la stessa preinstallazione concessa a Google Search e a Chrome ai servizi di ricerca generale e per i browser concorrenti sui dispositivi Google Android venduti nel SEE.

425    Orbene, la Commissione non contesta, nella decisione impugnata, il fatto che l’ADAM consenta agli OEM di preinstallare applicazioni concorrenti di Google Search e di Chrome. I concorrenti di Google potevano quindi, in linea di principio, offrire agli OEM le stesse condizioni di preinstallazione previste dall’ADAM per le proprie applicazioni. Ai sensi dell’ADAM era possibile un’installazione congiunta.

426    Nella decisione impugnata si afferma piuttosto, da un lato, che l’ADAM «impedisce» agli OEM di preinstallare in via esclusiva tali applicazioni al posto di Google Search e di Chrome (punto 832 della decisione impugnata) e, dall’altro, che gli ARR richiedono agli OEM e agli MNO la preinstallazione esclusiva dell’applicazione Google Search per la parte rientrante in tali accordi, ossia, nel corso del tempo, di una percentuale compresa tra l’[80‑90%] e il [50‑60%] dei dispositivi Google Android venduti nel SEE (punto 833 della decisione impugnata), il che comprende gli ARR per portafoglio nonché gli ARR per dispositivo, come è stato confermato dalla Commissione in risposta alle misure di organizzazione del procedimento.

427    In tale contesto, tenuto conto delle quote di mercato e della loro evoluzione, dal 2011 per Google Search e dal 2012 per Chrome fino all’adozione della decisione impugnata, la discussione sulle possibilità offerte ai concorrenti di compensare il vantaggio concorrenziale concesso dalle condizioni di preinstallazione dell’ADAM resta soprattutto teorica. In pratica, infatti, i fornitori di applicazioni concorrenti non sono stati in grado di compensare con accordi di preinstallazione il vantaggio concorrenziale che Google si assicurava grazie alla preinstallazione di Google Search e di Chrome praticamente su tutti i dispositivi Google Android venduti nel SEE. Come affermato nella decisione impugnata, la preinstallazione di applicazioni di ricerca generale e di browser concorrenti non è paragonabile, in termini di presenza, alla preinstallazione dell’applicazione Google Search e di Google Chrome (v. punto 940 della decisione impugnata per i browser).

428    Occorre effettuare una distinzione a tal riguardo tra le ipotesi teoriche di concorrenza e la realtà pratica, in cui le alternative concorrenziali menzionate da Google sembrano poco credibili o prive di incidenza concreta a causa dello «status quo bias» determinato dalle condizioni di preinstallazione dell’ADAM e dagli effetti combinati di tali condizioni con gli altri accordi contrattuali di Google, tra cui gli ARR.

429    È in tale contesto che occorre esaminare l’argomento di Google secondo cui, nonostante le condizioni di preinstallazione dell’ADAM, gli OEM rimanevano liberi di fornire le stesse condizioni di preinstallazione concesse a Google Search e a Chrome per i servizi di ricerca generale e per i browser concorrenti sui dispositivi Google Android venduti nel SEE. Tale argomento prende in considerazione, anzitutto, la preinstallazione di applicazioni concorrenti, poi, l’asserita contraddizione tra il ragionamento relativo agli ARR e l’affermazione secondo cui la preinstallazione di applicazioni concorrenti non sarebbe interessante e, infine, l’interesse degli OEM alla preinstallazione di applicazioni concorrenti.

ii)    Sulla preinstallazione di applicazioni concorrenti

430    In primo luogo, occorre rilevare che l’argomento di Google a tal riguardo si concentra più sulla situazione dei browser che su quella delle applicazioni di servizi di ricerca generale. Tale argomento prende in considerazione, anzitutto, l’applicazione Google Search e le applicazioni concorrenti, poi il browser Chrome e i suoi concorrenti e, infine, le altre applicazioni.

–       Sull’applicazione Google Search e sui suoi concorrenti

431    Per quanto riguarda le applicazioni dei servizi di ricerca generale, Google si limita a contestare il riferimento fatto a Bing, che, dal 2011 al 2016 ha potuto essere preinstallato soltanto su un solo modello di dispositivo Google Android commercializzato negli Stati Uniti nel 2011 (v. punto 834 e punto 789, paragrafo 8, della decisione impugnata).

432    Secondo Google, il fatto che Bing non abbia potuto essere preinstallato su dispositivi Google Android venduti nel SEE non si spiegherebbe con le condizioni di preinstallazione dell’ADAM, ma piuttosto con la mancanza di programmazione locale di Bing per la maggior parte dei paesi del SEE.

433    Tuttavia, si deve necessariamente rilevare, come fa la Commissione, che solo raramente concorrenti di Google sono riusciti a preinstallare la loro applicazione di ricerca generale su dispositivi oltre all’applicazione Google Search. In ogni caso, ciò ha riguardato solo una parte limitata dei dispositivi degli OEM interessati, in particolare nel SEE.

434    Infatti, nella decisione impugnata sono menzionati solo due casi di «preinstallazione» di un’applicazione concorrente di ricerca generale, nei casi in cui l’OEM non aveva o non aveva più ARR con Google (punto 1219 della decisione impugnata):

–        un accordo di ripartizione dei ricavi tra Microsoft e la ZTE del febbraio 2017 per la vendita di taluni dispositivi Google Android nel mondo, compreso il SEE, con Bing impostato come predefinito sul browser della ZTE, nonché per la vendita di taluni quantitativi di dispositivi Google Android con l’applicazione di ricerca generale Bing preinstallata su tali apparecchi (punto 1219, paragrafo 1, della decisione impugnata);

–        un accordo di ripartizione dei ricavi tra la Yandex e due OEM per la vendita di dispositivi Google Android nel mondo, compreso un numero limitato all’interno del SEE, in cui erano preinstallati il «widget» del servizio di ricerca generale Yandex e link verso la homepage della Yandex sul browser predefinito (punto 1219, paragrafo 2, della decisione impugnata).

435    Inoltre, la ragione addotta da Google a proposito di Bing non costituisce una spiegazione plausibile dell’incapacità di Microsoft di convincere gli OEM a preinstallare tale applicazione sui dispositivi Google Android. Infatti, la mancanza di programmazione locale non riguardava tutti i paesi del SEE e, anche nei paesi in cui tale applicazione consentiva la localizzazione, quali il Regno Unito o la Germania, gli OEM non hanno preinstallato l’applicazione Bing. Analogamente, gli OEM non hanno preinstallato l’applicazione Seznam sui loro dispositivi nella Repubblica ceca, nonostante gli algoritmi di ricerca generale di tale applicazione fossero costruiti sulla lingua ceca (v. punto 682 e punto 814, paragrafo 4, della decisione impugnata).

436    Da quanto precede risulta che, contrariamente a quanto affermato da Google, i fornitori di servizi di ricerca generale concorrenti di Google Search non sono stati in grado di compensare il vantaggio concorrenziale conferito dalle condizioni di preinstallazione dell’ADAM.

–       Sul browser Chrome e sui suoi concorrenti

437    Per quanto riguarda i browser, Google menziona vari elementi per sostenere che le condizioni di preinstallazione dell’ADAM non impedivano agli OEM di fornire ai browser concorrenti le stesse condizioni di preinstallazione concesse a Google Search e a Chrome:

–        nella decisione impugnata si afferma che, tra il 2013 il 2016, browser concorrenti erano preinstallati accanto a Chrome su circa il 60% dei dispositivi Android (punto 936 e tabella 19), il numero di tali preinstallazioni di browser concorrenti non sarebbe quindi «nettamente inferiore al numero di preinstallazioni di Google Chrome sui dispositivi Google Android»;

–        un secondo browser preinstallato potrebbe generare una percentuale più elevata di introiti da ricerca rispetto all’applicazione Google Search o Chrome che siano preinstallati con l’ADAM; ciò risulterebbe dai seguenti elementi di prova: Samsung, che ha iniziato nel 2016 a preinstallare il proprio browser sui suoi dispositivi fornendogli un migliore posizionamento rispetto a Chrome, e tale browser rappresentava il 38,4% degli introiti di Google Search nel SEE sui dispositivi Samsung Galaxy S6, superando l’applicazione Google Search (38,1%) e Chrome (23,3%) (punto 949 della decisione impugnata), Huawei, che ha dichiarato nel 2015 che «il browser Huawei [era] precaricato su tutti gli smartphone Huawei del mercato del SEE quale browser predefinito del sistema» (Huawei, 14 dicembre 2015) e HTC, che ha dichiarato nel 2015 che il suo browser, HTC Internet, era preinstallato sui suoi dispositivi e che non vi era «alcun effetto significativo» per effetto dell’aggiunta di Chrome al pacchetto GMS da parte di Google nel 2012, in quanto HTC preinstallava il proprio browser Internet sulla maggior parte dei suoi dispositivi (HTC, 13 novembre 2015).

438    Contrariamente a quanto suggerisce la Commissione, l’argomento di Google e i diversi elementi che lo suffragano non possono essere respinti a priori.

439    Infatti, l’argomento di Google consente a priori di dimostrare, come risulta dagli elementi di fatto riportati nella decisione impugnata (v. tabella 19, che espone tassi di preinstallazione parallela dal 40 al 60% nel mondo dal 2013 al 2016) che, per quanto riguarda i browser, la situazione concorrenziale è più animata rispetto a quanto riguarda le applicazioni di servizi di ricerca generale. Browser diversi da Chrome possono essere preinstallati sui dispositivi Google Android e, del resto, spesso lo sono.

440    Il caso dell’Opera fornisce un buon esempio. Secondo l’Opera, che interviene a sostegno di Google, gran parte dei suoi utenti proviene da accordi di preinstallazione conclusi con OEM (Samsung, Huawei, OPPO e Tecno) per quanto riguarda dispositivi Google Android. La Commissione ha rilevato a tal proposito che tali accordi riguardavano meno del 5% dei dispositivi Google Android venduti nel SEE (punto 940 della decisione impugnata), in quanto tali dispositivi erano essenzialmente venduti in Africa (accordi di Opera con Samsung e Tecno).

441    Tale esempio mostra che nel periodo di durata dell’infrazione potevano esistere accordi di preinstallazione congiunta di browser, in ogni caso in modo più consistente di quanto non lo fossero gli accordi di preinstallazione di un’applicazione di servizio di ricerca generale. Tuttavia, essere esaminati gli effetti di tali accordi sulla questione se essi siano in grado di compensare il vantaggio derivante dalla preinstallazione devono.

442    Infatti, l’incidenza dell’argomento di Google sull’analisi perde la sua sostanza in considerazione delle diverse osservazioni formulate dalla Commissione e dagli intervenienti a suo sostegno. In pratica, appare così che, sebbene la libertà di preinstallazione di altre applicazioni di navigazione fosse effettivamente una possibilità offerta agli OEM, questi ultimi hanno potuto approfittarne in concreto solo per preinstallare applicazioni di navigazione che utilizzavano Google Search come motore di ricerca impostato come predefinito.

443    Contrariamente all’esempio fornito dall’Opera, infatti, la Seznam espone, nella sua memoria d’intervento, le difficoltà incontrate per ottenere la preinstallazione delle sue applicazioni di ricerca e di navigazione. La Seznam dichiara, del resto, che tali difficoltà esistevano sia all’epoca degli ARR per portafoglio sia in seguito, quando sono entrati in vigore gli ARR per dispositivi. Analogamente, solo nel settembre 2018, ossia dopo l’adozione della decisione impugnata, Qwant ha potuto essere impostato come motore di ricerca predefinito sul browser Brave in Francia e in Germania.

444    In primo luogo, è vero che, dal 2013 al 2016, browser concorrenti erano preinstallati accanto a Chrome su circa il 60% dei dispositivi Android (tabella 19 della decisione impugnata).

445    Tuttavia, da un lato, per quanto riguarda i casi della Samsung e della Huawei menzionati da Google, occorre rilevare che gli unici browser Internet mobile che sono stati preinstallati su un numero significativo di dispositivi Google Android di tali OEM sono i browser propri di tali OEM e non browser terzi.

446    A tal riguardo, la Commissione osserva che taluni operatori, comprese la Samsung e la Huawei, hanno impostato Google Search come servizio di ricerca generale predefinito sui loro browser. Il punto 798, paragrafo 2, della decisione impugnata fa così riferimento ad «accordi con gli OEM e con gli MNO volti a garantire che Google Search fosse l’unico servizio di ricerca generale preinstallato e impostato come predefinito su tutti i browser mobili preinstallati di terzi». Interrogata su tale punto, la Commissione ha precisato che si trattava di un riferimento agli ARR. La Commissione menziona altresì la HTC, che impostava anch’essa Google Search come servizio di ricerca generale predefinito sul suo browser, per affermare che, in ogni caso, quest’ultima aveva cessato di sviluppare il proprio browser a partire dal 30 novembre 2016.

447    D’altro lato, per quanto riguarda la situazione degli operatori che hanno concluso un ARR, occorre rilevare che, per poter beneficiare della ripartizione dei ricavi, tali operatori si impegnano a impostare Google Search come predefinito sui diversi punti di accesso dei loro dispositivi Google Android, compreso il proprio browser (punto 822, nota a piè di pagina n. 908, e sezione 6.3.3 negli ARR per portafoglio), e a non preinstallare alcun servizio di ricerca generale concorrente (punti 192 e 198 della decisione impugnata).

448    Ciò è tanto più significativo in quanto, al punto 822 della decisione impugnata, la Commissione afferma che, dal 2011 al 2016, gli ARR coprivano dall’[80‑90%] al [50‑60%] dei dispositivi Google Android venduti nel SEE. Dalle informazioni esposte nella nota a piè di pagina n. 908 al punto 822 della decisione impugnata risulta che le informazioni prese in considerazione al riguardo comprendono non solo le informazioni dedotte dalla copertura degli ARR per portafoglio, ma anche quelle dedotte dalla copertura degli ARR per dispositivi, che sono succeduti agli ARR per portafoglio. Ciò è stato confermato dalla Commissione in risposta ad un quesito posto a titolo di misure di organizzazione del procedimento.

449    Pertanto, dal 2011 al 2016, più del 50% dei dispositivi Google Android venduti nel SEE erano coperti da un ARR concluso con Google, che si trattasse di ARR per portafoglio o di ARR per dispositivi, che richiedevano tutti l’impostazione di Google Search come motore di ricerca predefinito sui browser preinstallati e vietavano l’installazione di un servizio di ricerca concorrente.

450    Pertanto, e ciò vale per la Samsung, la HTC, la LG e la Sony, come per gli altri operatori che hanno concluso un ARR, risulta che, quando un browser era preinstallato accanto a Chrome, il quale è impostato come predefinito su Google Search, detto browser era anch’esso impostato come predefinito su Google Search.

451    Tale osservazione consente di illustrare la complementarità delle diverse pratiche di Google e implica necessariamente che si tenga conto – come esposto del resto nella decisione impugnata – degli effetti combinati degli ADAM e degli ARR. Infatti, l’obbligo contrattuale collegato all’ARR di non installare una soluzione diversa da Google Search per la realizzazione delle ricerche generali ha come risultato che la possibilità teorica di preinstallare un servizio concorrente delle applicazioni di Google, consentita tuttavia in linea di principio dagli ADAM, era effettivamente esclusa, dal 2011 al 2016, per almeno la metà dei dispositivi Google Android venduti nel SEE. In altri termini, gli ARR garantivano l’esclusiva sui dispositivi di cui trattasi, circostanza di cui occorre tener conto per valutare gli effetti anticoncorrenziali degli ADAM.

452    A tal proposito, occorre rilevare che la presa in considerazione quale elemento di fatto degli effetti combinati degli ADAM e degli ARR non dipende affatto dal carattere abusivo o meno degli ARR, che si tratti degli ARR per portafoglio costitutivi di un abuso secondo l’analisi della Commissione, rimessa in discussione da Google nell’ambito del terzo motivo, o degli ARR per dispositivi che non sono considerati abusivi nella decisione impugnata.

453    In tali circostanze, l’argomento dedotto da Google per quanto riguarda un OEM, secondo il quale, nel 2016, su una categoria dei suoi dispositivi, il browser Internet mobile di detto OEM ha generato introiti da ricerca più elevati nel SEE rispetto all’applicazione Google Search o Chrome, non rimette in discussione l’analisi che precede.

454    Tale argomento, dedotto nel ricorso, è stato contestato dalla Commissione per il motivo che essa non poteva verificare siffatta affermazione, né per la categoria determinata di dispositivi di tale OEM nel 2016, né più ampiamente per altri anni e per altre categorie di dispositivi di detto OEM. In risposta, Google ha presentato i dati interni utilizzati per dimostrare le affermazioni contenute nel ricorso. Tali dati dimostrano effettivamente che, nel 2016, il browser proprio di tale OEM ha generato maggiori introiti mediante le domande di ricerca rispetto all’applicazione Google Search o a Chrome su due serie di modelli.

455    Tali introiti erano altresì superiori a quelli generati da Chrome, nel 2017, su tre serie di modelli (i due citati e un terzo) e, nel 2018, su quattro serie di modelli (i tre citati e un quarto) di detto OEM, ma inferiori agli introiti generati in quel momento dall’applicazione Google Search su tali dispositivi.

456    Google sostiene che si tratta di un caso in cui, con la preinstallazione del proprio browser sui suoi dispositivi Google Android, un OEM è stato in grado di compensare in una certa misura il vantaggio concorrenziale di cui essa beneficiava a causa della preinstallazione dell’applicazione Google Search e di Chrome.

457    Tuttavia, poiché l’OEM in questione era vincolato da un ARR e quindi dall’obbligo di impostare Google Search come predefinito sui diversi punti di accesso dei suoi dispositivi, compreso il proprio browser, occorre relativizzare l’effetto concorrenziale di una siffatta compensazione. Tale punto è stato confermato da Google in risposta alle misure di organizzazione del procedimento.

458    Inoltre, la situazione di un OEM che preinstalla il proprio browser sui suoi dispositivi non è paragonabile a quella di un concorrente di Google nei mercati del servizio di ricerca generale che non dispone della possibilità di fabbricare i propri dispositivi, dal momento che quest’ultimo deve negoziare con un OEM per poter preinstallare le sue applicazioni.

459    In secondo luogo, in ogni caso, la Commissione ricorda che, anche se un browser concorrente è preinstallato su un dispositivo Google Android, quest’ultimo non può essere impostato come predefinito (punto 935 della decisione impugnata).

460    Per rispondere alle affermazioni di Google riguardo alla dichiarazione resa da un rappresentante della Huawei in un messaggio di posta elettronica inviato alla Commissione nel dicembre 2015, secondo la quale un browser diverso da Chrome potrebbe essere il «browser di sistema predefinito», la Commissione afferma a tal proposito che ciò non sarebbe stato possibile.

461    Infatti, risulta, da un lato, dagli ADAM, che gli OEM erano tenuti a preinstallare Chrome sulla quasi totalità dei loro dispositivi Google Android venduti nel SEE e, dall’altro, dagli AAF e dalla clausola 3.2.3.2 del documento di definizione della compatibilità Android (in prosieguo: il «DDC»), che «i progettisti di dispositivi non [dovevano] associare privilegi particolari all’utilizzo da parte delle applicazioni di sistema [degli] schemi di intento, né impedire alle applicazioni terze di collegarsi a tali schemi e di prenderne il controllo». Pertanto, un OEM che aveva preinstallato Chrome, il che presupponeva la firma di un ADAM e di un AAF, non poteva impostare un browser Internet mobile concorrente come predefinito.

462    Le dichiarazioni rese dalla Orange e da un’altra impresa (punto 935 della decisione impugnata) confermano il fatto che, anche in caso di preinstallazione di un browser concorrente di Chrome, quest’ultimo non può essere «impostato come browser predefinito». Questi due operatori fanno riferimento a tal proposito all’obbligo sopra menzionato dalla Commissione di non privilegiare un browser concorrente di Chrome quando anche quest’ultimo è preinstallato sul dispositivo Google Android.

463    In tale contesto, nessuno degli elementi dedotti da Google è tale da suffragare la sua affermazione secondo cui siffatta impostazione predefinita del browser concorrente sarebbe possibile in presenza di Chrome:

–        quanto alla dichiarazione secondo cui «il browser Huawei è precaricato su tutti gli smartphone Huawei nel mercato del SEE quale browser di sistema predefinito», risulta che essa non è stata resa a nome della Huawei in risposta a una richiesta di informazioni, ma semplicemente fornita da un dipendente della Huawei come «informazione di carattere generale» nell’ambito di una «risposta preliminare», e che essa non consente di sapere ciò che tale dipendente intendeva per «browser di sistema predefinito», soprattutto alla luce del requisito del DDC sopra citato in base al quale gli OEM non potevano impostare un browser concorrente predefinito; in ogni caso, dal 2016, la Huawei non preinstalla più il proprio browser Internet mobile (v. Huawei ALE Android 6.0 Release Notes, 7 giugno 2016: «Per una migliore esperienza, tutti i i nostri telefoni cellulari adattati ai mercati esteri che funzionano con Android 5.0 e più sopprimeranno il browser integrato Huawei e adotteranno Google Chrome»);

–        quanto alla dichiarazione resa dalla Orange in un messaggio di posta elettronica del 3 agosto 2012, secondo cui «Chrome potrà coesistere con i browser dei costruttori e Google non lo impone come browser predefinito», da essa risulta semplicemente che gli ADAM non obbligano gli OEM a configurare Chrome come browser predefinito – il che non è contestato dalla Commissione – e non che gli OEM possono impostare il proprio browser Internet mobile come browser predefinito.

464    Inoltre, la questione se un browser concorrente possa essere impostato come predefinito è irrilevante. Google non contesta del resto la natura teorica di tale questione alla luce degli effetti combinati degli ADAM e degli AAF. Ciò che rileva nel caso di specie è esaminare le diverse possibilità pratiche offerte ai servizi di ricerca generale concorrenti per raggiungere gli utenti; e Google veglia a che gli OEM rispettino nei confronti dei browser concorrenti di Chrome il loro obbligo – quale deriva dagli AAF – di fornire a Google Search almeno lo stesso trattamento che essi potrebbero concedere a un altro servizio di ricerca generale.

465    In terzo luogo, il fatto che gli OEM preinstallino i propri browser su alcuni dei loro dispositivi non cambia in alcun modo il fatto che il numero di preinstallazioni di ciascuno di tali browser sia inferiore a quello delle preinstallazioni di Google Chrome su tali dispositivi. Si deve tener conto, in particolare, del fatto che alcuni dei dati menzionati da Google riguardano la preinstallazione a livello mondiale, compresa la Cina (v., ad esempio, la tabella 19 della decisione impugnata). Orbene, la mancanza di preinstallazione di Google Chrome in Cina ha un’incidenza notevole sui dati relativi al SEE. La preinstallazione di Google Chrome riguardava praticamente tutti i dispositivi Google Android nel SEE, mentre in confronto la preinstallazione congiunta di un altro browser resta meno importante in termini di portata e di effettività. Le osservazioni della Commissione su tale punto non sono quindi rimesse in discussione da Google.

–       Sulle altre applicazioni

466    Per quanto riguarda applicazioni diverse da Google Search e Chrome, comprese nel pacchetto GMS, e applicazioni concorrenti di queste ultime, occorre rilevare, come fa la Commissione, che gli argomenti di Google ad esse dedicati sono irrilevanti. Infatti, queste altre applicazioni e le applicazioni concorrenti non sono applicazioni di ricerca generale o browser e non sono quindi oggetto degli abusi di posizione dominante definiti nella decisione impugnata.

iii) Sull’asserita contraddizione tra il ragionamento relativo agli ARR e l’affermazione secondo cui la preinstallazione di applicazioni concorrenti non sarebbe interessante

467    In secondo luogo, Google sostiene che il ragionamento della decisione impugnata sugli ARR contraddice l’affermazione secondo cui gli OEM non avrebbero interesse a preinstallare applicazioni di ricerca generale e di navigazione accanto alle sue applicazioni.

468    A tal riguardo, occorre anzitutto ricordare il contenuto delle affermazioni controverse.

469    Da un lato, per concludere che gli accordi di preinstallazione con gli OEM non potevano essere paragonati, in termini di portata e di efficacia, agli accordi di preinstallazione dell’applicazione Google Search sui dispositivi GMS, la Commissione ha considerato – tra gli altri elementi – che sarebbe «poco probabile» che gli OEM preinstallino una o più delle altre applicazioni di servizio di ricerca generale oltre all’applicazione obbligatoria Google Search. Tale conclusione si spiegherebbe in particolare con il fatto che gli OEM dovrebbero ponderare i potenziali redditi che percepirebbero con tale altra applicazione di servizio di ricerca generale con il costo di una siffatta operazione e con gli altri costi connessi a fattori quali l’esperienza dell’utente e il supporto (punti 823 e 824 della decisione impugnata).

470    Per spiegare tale conclusione, la Commissione ha affermato di aver preso in considerazione i seguenti elementi:

–        sotto un primo profilo, la quota di potenziali redditi che gli OEM percepirebbero dall’installazione di una o più delle altre applicazioni oltre all’applicazione Google Search sarebbe modesta, tenuto conto della quota di mercato superiore al 90% detenuta da Google nella maggior parte dei mercati nazionali dei servizi di ricerca nel SEE e del fatto che Google sarebbe sempre impostato come predefinito su tutti gli altri principali punti di accesso, in particolare sui browser (punto 825 della decisione impugnata);

–        sotto un secondo profilo, gli OEM avrebbero dovuto sostenere costi di transazione per ottenere siffatti accordi di preinstallazione e tali costi probabilmente non potrebbero essere giustificati per un quantitativo ridotto di dispositivi (punto 826 della decisione impugnata);

–        sotto un terzo profilo, gli OEM dovrebbero tener conto anche del fatto che, poiché il pacchetto GMS comprende da 12 a 30 applicazioni, potrebbero esservi doppioni di applicazioni e ciò potrebbe nuocere all’esperienza dell’utente.

471    Analogamente, per concludere che gli accordi di preinstallazione con gli OEM non potevano essere paragonati, in termini di portata e di efficacia, agli accordi di preinstallazione del browser Chrome sui dispositivi GMS, la Commissione ha considerato – tra altri elementi – che gli OEM sarebbero «restii» a preinstallare applicazioni che duplicassero applicazioni già installate per problemi con lo spazio di archiviazione di taluni dispositivi (punti 932 e 933 della decisione impugnata.

472    D’altro lato, nella parte della decisione impugnata dedicata agli ARR, la Commissione menzionerebbe tuttavia a varie riprese l’interesse che avrebbero gli OEM ad ottenere tali accordi per le seguenti ragioni:

–        «senza i pagamenti di ripartizione dei ricavi per portafoglio, gli OEM (...) avrebbero avuto un interesse commerciale a preinstallare servizi di ricerca generale concorrenti su almeno alcuni dei loro dispositivi Google Android» (punto 1208, paragrafo 1, della decisione impugnata);

–        preinstallare servizi di ricerca generale concorrenti avrebbe consentito agli OEM «di offrire prodotti differenziati» (punto 1213 della decisione impugnata);

–        la «preinstallazione di servizi di ricerca generale accanto a Google avrebbe aumentato il traffico verso tali servizi» (v. punto 1214 della decisione impugnata, che cita Yahoo!, Qwant, Microsoft, Yandex, e Seznam);

–        alcuni OEM avrebbero concluso accordi per preinstallare servizi di ricerca generale concorrenti su dispositivi o per impostarli come servizi predefiniti (punto 1219 della decisione impugnata);

–        un accordo tra Mozilla e un servizio di ricerca concorrente «dimostra che Mozilla ritiene che gli OEM (...) abbiano un interesse commerciale a preinstallare il browser Mozilla con un servizio di ricerca generale concorrente impostato come servizio predefinito su almeno alcuni dei loro dispositivi con Android» (punto 1220 della decisione impugnata).

473    Contrariamente a quanto affermato da Google, non si può ritenere che questi due ragionamenti si contraddicano. In un primo momento, infatti, la Commissione esamina la probabilità o l’incentivo degli OEM a negoziare accordi di preinstallazione con concorrenti dell’applicazione Google Search o di Chrome, i quali sono preinstallati sui dispositivi GMS nell’ambito degli ADAM. La Commissione non contesta, tuttavia, che tali OEM possano avere un interesse commerciale a negoziare siffatti accordi, il quale viene in particolare menzionato nell’ambito degli ARR. Tale interesse commerciale deve tuttavia essere conciliato con gli altri fattori menzionati nel ragionamento della Commissione per quanto riguarda il primo pacchetto (esigua quota di mercato residua per una seconda applicazione del servizio di ricerca generale, costi di transazione, difficoltà connesse alla duplicazione con riferimento all’esperienza dell’utente e alla capacità di archiviazione) e il secondo pacchetto (problemi connessi allo spazio di archiviazione).

474    Da quanto precede risulta che occorre respingere la censura relativa alla contraddizione tra il ragionamento della decisione impugnata sugli ARR e le affermazioni fatte dalla Commissione secondo cui sarebbe poco probabile che gli OEM preinstallino applicazioni di servizi di ricerca generale concorrenti dell’applicazione Google Search e secondo cui gli OEM sarebbero restii a preinstallare applicazioni di navigazione concorrenti di Chrome.

iv)    Sull’interesse degli OEM alla preinstallazione di applicazioni concorrenti

475    In terzo luogo, Google sostiene che la decisione impugnata individua quattro ragioni a sostegno dell’affermazione secondo la quale «è poco probabile che gli OEM preinstallino un’applicazione supplementare di servizio di ricerca generale oltre all’applicazione obbligatoria Google Search» (punto 824 della decisione impugnata; in prosieguo: l’«affermazione contestata»), ossia l’esistenza di ostacoli connessi all’esperienza dell’utente, dei problemi connessi allo spazio di archiviazione, ai costi di transazione e alla mancanza di vantaggi finanziari legati alla preinstallazione. Orbene, dato che gli OEM preinstallerebbero nei fatti applicazioni concorrenti sui dispositivi GMS, nessuna di tali ragioni sarebbe corroborata da prove e l’affermazione contestata sarebbe quindi errata.

476    L’esame di tale argomento richiede preliminarmente di rimetterlo nel suo contesto.

477    Da un lato, infatti, l’affermazione contestata si basa sull’idea, esposta nello stesso punto 824 della decisione impugnata, secondo cui la decisione relativa alla preinstallazione di un’applicazione di servizio di ricerca generale concorrente dell’applicazione Google Search deriva dal bilanciamento, da parte dell’OEM, in primo luogo, degli introiti che possono derivare da tale applicazione supplementare con, in secondo luogo, il costo dell’operazione e i suoi effetti sull’esperienza dell’utente o il supporto tecnico. L’affermazione contestata riguarda quindi principalmente l’interesse degli OEM a preinstallare un’applicazione concorrente dell’applicazione Google Search, o in via incidentale del browser Chrome impostato come predefinito sul servizio di ricerca generale Google Search, e non una qualsiasi delle altre applicazioni rientranti nel pacchetto GMS, in particolare quelle che non sono connesse all’attuazione di un servizio di ricerca generale.

478    Di conseguenza, i fatti rilevanti per la valutazione della fondatezza dell’affermazione contestata sono quelli riguardanti le applicazioni che attuano un servizio di ricerca generale e non applicazioni di altro tipo.

479    D’altro lato, l’affermazione contestata costituisce solo la prima delle cinque spiegazioni menzionate dalla Commissione per sostenere, contrariamente a quanto sostenuto da Google nel corso del procedimento amministrativo, che «gli accordi di preinstallazione con gli OEM e gli MNO non possono essere paragonati, in termini di portata e di efficacia, alla preinstallazione dell’applicazione Google Search sui dispositivi GMS» (punto 823 della decisione impugnata).

480    Google non contesta le seguenti spiegazioni:

–        l’ADAM impediva agli OEM di preinstallare in via esclusiva un’applicazione di servizio di ricerca generale concorrente dell’applicazione Google Search sui dispositivi Google Android; i concorrenti di Google venivano quindi privati della possibilità di ottenere condizioni migliori di quelle definite dall’ADAM; infatti, in pratica, un OEM che accettasse tale preinstallazione esclusiva di un’applicazione di servizio di ricerca generale concorrente non potrebbe proporre Play Store o le altre applicazioni del pacchetto GMS (punti 830 e 831 della decisione impugnata);

–        l’ADAM impediva inoltre agli MNO di chiedere agli OEM di preinstallare in via esclusiva un’applicazione di servizio di ricerca generale concorrente dell’applicazione Google Search sui dispositivi Google Android, dato che quasi tutti gli OEM avevano concluso un ADAM e si erano quindi impegnati a preinstallare l’applicazione Google Search sui dispositivi GMS (punto 832 della decisione impugnata);

–        gli ARR conclusi con taluni OEM e MNO comportavano la preinstallazione esclusiva dell’applicazione Google Search dall’[80‑90%] al [50‑60%] dei dispositivi Google Android venduti nel SEE dal 2011 al 2016, il che privava i concorrenti di Google della possibilità di preinstallare la loro applicazione di servizio di ricerca generale accanto all’applicazione Google Search (punto 833 e sezione 13.4.2.1 della decisione impugnata);

–        Bing, il principale concorrente di Google Search, non ha potuto essere preinstallato su alcun dispositivo Google Android tra il 2011 e il 2016, ad eccezione di un unico modello di dispositivo commercializzato negli Stati Uniti nel 2011 (punto 834 e punto 789, paragrafo 8, della decisione impugnata).

481    Occorre esaminare gli argomenti di Google riguardanti l’affermazione contestata in tale contesto di fatto, che tiene conto della portata e dell’efficacia della preinstallazione dell’applicazione Google Search sui dispositivi GMS alla luce dei diversi accordi conclusi da Google nell’ambito della sua strategia generale volta a consolidare e a preservare le proprie quote di mercato in Internet mobile all’interno del SEE. In sostanza, Google contesta le diverse ragioni menzionate dalla Commissione (v. supra, punto 475) per valutare l’interesse degli OEM alla preinstallazione di applicazioni concorrenti, ossia gli introiti potenziali, i costi di transazione, l’esperienza dell’utente e lo spazio di archiviazione.

–       Sugli introiti potenziali

482    Nell’ambito della sua valutazione della probabilità che un OEM preinstalli un’applicazione supplementare di servizio di ricerca generale oltre all’applicazione Google Search per quanto riguarda i dispositivi GMS, la Commissione osserva che «la quota degli introiti potenziali che gli OEM ricaverebbero da una o più applicazioni dei servizi di ricerca generale supplementari sarebbe scarsa, dato che Google disponeva di quote di mercato pari al 90% nella maggior parte dei mercati nazionali e, come spiegato al punto 796 [della decisione impugnata], Google sarebbe ancora impostato come predefinito sugli altri principali punti di accesso, in particolare i browser» (punto 825 della decisione impugnata).

483    Tale spiegazione è contestata da Google per i seguenti motivi:

–        secondo la decisione impugnata, i concorrenti altrettanto efficienti potrebbero ottenere una quota pari al 22,5% delle richieste di ricerca se fossero preinstallati accanto a Google e impostati come predefiniti sui punti di accesso dei browser (punto 1226, paragrafo 2, della decisione impugnata); tali concorrenti potrebbero quindi ripartire i ricavi di tali richieste con gli OEM (in prosieguo: la «prima censura»);

–        l’affermazione secondo cui «Google sarebbe sempre impostato come predefinito sugli altri principali punti di accesso, in particolare i browser» (punto 825 della decisione impugnata) sarebbe errata, in quanto «l’ADAM non ha mai richiesto che Google [Search] sia impostato come predefinito sui browser concorrenti»; la decisione impugnata rinvierebbe qui a elementi di prova relativi alle impostazioni predefinite sui dispositivi diversi da Android (v. punto 796, paragrafo 2, che menziona i browser sui dispositivi iOS o sui computer portatili), il che non avrebbe alcuna attinenza; inoltre, si farebbe riferimento, in altre parti della decisione impugnata, a una versione dell’ADAM, che non richiedeva tuttavia impostazioni predefinite nei browser e che in ogni caso è stata soppressa (punto 185) (in prosieguo: la «seconda censura»);

–        i riferimenti fatti in altre parti della decisione impugnata alle dichiarazioni di due imprese, secondo le quali i browser concorrenti non possono essere configurati come predefiniti (punto 935 della decisione impugnata), non sarebbero corroborati; nessuna di tali imprese era parte degli ADAM e una di esse ha precisato che «Chrome potr[ebbe] coesistere con i browser degli OEM e che non [era] necessario che quest’ultimo fosse il browser predefinito»; tali affermazioni sarebbero altresì contraddette dagli OEM che, come la Huawei, hanno impostato un browser concorrente come predefinito (in prosieguo: la «terza censura»);

–        affermare che gli OEM non avrebbero interesse a preinstallare applicazioni concorrenti, poiché la maggior parte dell’uso collegato alle ricerche andrebbe a Google, implicherebbe che tali applicazioni siano meno attraenti, il che equivarrebbe a proteggere concorrenti meno efficienti (in prosieguo: la «quarta censura»).

484    Tali censure non sono tuttavia idonee a rimettere in discussione l’affermazione contestata.

485    Infatti, come è stato già rilevato, Google non contesta il fatto che l’ADAM avesse come conseguenza che nessuna applicazione dei servizi di ricerca generale concorrente dell’applicazione Google Search poteva ottenere la preinstallazione esclusiva sui dispositivi Google Android (punti da 830 a 832 della decisione impugnata). Su tali dispositivi era possibile soltanto la preinstallazione congiunta.

486    In pratica, occorre inoltre rilevare che, per effetto del solo ADAM, Google si concedeva una preinstallazione che restava esclusiva se l’OEM non decideva di installare congiuntamente un’altra applicazione di servizio di ricerca generale.

487    A differenza della preinstallazione ottenuta subito da Google in forza dell’ADAM, tale OEM o un concorrente di Google doveva tener conto di altri parametri per preinstallare o per ottenere la preinstallazione di un’altra applicazione dei servizi di ricerca generale.

488    In tale contesto, la quota degli introiti potenziali che poteva provenire dalla preinstallazione di una o più applicazioni di servizi di ricerca generale supplementari non era paragonabile, in termini di portata e di efficacia, a quella proveniente dall’ADAM e non poteva che essere limitata.

489    Ciò si spiega anzitutto, come rilevato dalla Commissione ai punti 825 e 830 della decisione impugnata, con il fatto che il servizio di ricerca generale di Google è leader del settore con quote di mercato forti e stabili superiori al 90% nella maggior parte dei paesi del SEE, e ciò a partire dal 2008 (v. punti 683 e 684 della decisione impugnata). Si deve altresì tener conto della forte notorietà del marchio Google, di cui beneficia il suo servizio di ricerca generale (punti 712, 812 e 830 della decisione impugnata). Nessuna di tali affermazioni è contestata da Google.

490    Google contesta piuttosto l’affermazione fatta alla fine del punto 825 della decisione impugnata secondo cui, anche in caso di preinstallazione di un’applicazione di servizio di ricerca generale concorrente su dispositivi GMS, «Google sarebbe ancora impostato come predefinito sugli altri principali punti di accesso, in particolare i browser». Infatti, nella sua seconda censura, Google fa valere che tale affermazione è errata, da un lato, perché «l’ADAM non ha mai richiesto che Google [Search] fosse impostato come predefinito sui browser concorrenti» e, dall’altro, perché tale affermazione si basa su elementi di prova relativi all’impostazione predefinita su dispositivi non Android (v. punto 796, paragrafo 2, della decisione impugnata, che menziona dispositivi iOS, PC aventi in dotazione Chrome e PC aventi in dotazione Safari, Opera o Firefox).

491    Quanto ai primi due argomenti della seconda censura, occorre anzitutto rilevare che nella decisione impugnata non si afferma che l’impostazione predefinita del servizio di ricerca generale Google Search sugli altri principali punti di accesso risultasse dall’ADAM. Considerata nel suo contesto, l’affermazione fatta alla fine del punto 825 della decisione impugnata lascia piuttosto intendere, come fa valere la Commissione nel suo controricorso, che Google utilizzava diversi mezzi a sua disposizione per ottenere dagli OEM che essi impostassero Google Search come servizio di ricerca generale predefinito su punti di accesso diversi da quello risultante dall’utilizzo dell’applicazione Google Search preinstallata.

492    Se è certamente vero, come rileva Google, che taluni elementi di prova menzionati nella decisione impugnata per dimostrare l’importanza dell’uso di Google Search per effettuare ricerche generali non riguardano i dispositivi GMS, ma dispositivi iOS, PC aventi in dotazione Chrome o PC aventi in dotazione i browser Safari, Opera o Firefox, tutti impostati come predefiniti su Google Search (v. punto 796, paragrafo 2, della decisione impugnata), è altrettanto vero che, anche per i dispositivi GMS, anche in caso di preinstallazione di un’applicazione di servizio di ricerca generale concorrente, Google Search sarebbe sempre impostato come predefinito su altri punti di accesso, in particolare i browser.

493    Infatti, come risulta dai punti 818 e 973 della decisione impugnata, Google non consente a un servizio di ricerca generale diverso da Google Search di essere impostato come predefinito su Chrome. Tale impostazione predefinita non può essere modificata da un OEM.

494    Parimenti, dalle risposte alle misure di organizzazione del procedimento risulta che, sulla maggior parte dei browser preinstallati accanto a Chrome o anche scaricati, Google Search era il servizio di ricerca generale predefinito. Ciò vale per la Samsung, Mozilla e UC Web browser o, all’interno del SEE, per Opera. Detta impostazione predefinita era la conseguenza di un ARR o di un accordo in tal senso concluso tra Google e l’impresa interessata, il che aveva quindi come effetto di relativizzare l’interesse finanziario che un OEM avrebbe potuto avere a preinstallare un’applicazione di servizio di ricerca generale concorrente dell’applicazione Google Search.

495    I diversi mezzi attuati da Google nell’ambito della sua strategia complessiva volta a consolidare e a preservare la sua posizione nei mercati della ricerca generale, in particolare quella effettuata a partire da dispositivi mobili che utilizzano Internet, le consentivano così di ottenere, con il servizio di ricerca generale Google Search e per quasi tutti i mercati nazionali all’interno del SEE nel 2016, una quota di mercato che rappresentava da due a cinque volte la quota di mercato combinata di tutti gli altri servizi di ricerca generale (v. punto 796, paragrafo 1, della decisione impugnata).

496    Di conseguenza, tenuto conto di tali osservazioni di fatto, si deve considerare che non è errata l’affermazione contenuta alla fine del punto 825 della decisione impugnata secondo cui, anche in caso di preinstallazione di un’applicazione di servizio di ricerca generale concorrente su dispositivi GMS, «Google sarebbe ancora impostato come predefinito sugli altri principali punti di accesso, in particolare i browser».

497    In ogni caso, quanto al terzo argomento della seconda censura, la portata dei riferimenti fatti nella decisione impugnata alle disposizioni dell’ADAM relative all’impostazione predefinita, citate da Google, le quali sarebbero state mal interpretate e in ogni caso sono state soppresse, deve essere relativizzata in quanto tali riferimenti non hanno conseguenze sul ragionamento che precede. Ciò premesso, la loro censura da parte di Google diviene inoperante.

498    È vero che, in parti della decisione impugnata, diverse dal punto 825, la Commissione ha dichiarato che talune versioni dell’ADAM erano redatte in modo tale da lasciar intendere che esse richiedessero agli OEM di impostare come predefinito il servizio di ricerca generale Google Search per tutti i punti di accesso delle ricerche effettuate sui dispositivi GMS (v. punto 185, in cui si dichiara altresì che tale obbligo è stato abbandonato da Google a partire dall’ottobre 2014).

499    Tuttavia, occorre considerare che, per le ragioni addotte da Google nel corso del procedimento amministrativo, non è più contestato il fatto che tali disposizioni contrattuali non richiedevano agli OEM di impostare Google Search come predefinito per tutte le ricerche effettuate a partire da un browser preinstallato su un dispositivo Google Android. Secondo quanto affermato da Google, senza che ciò sia confutato dalla Commissione, la clausola considerata aveva lo scopo di risolvere i conflitti che potevano sorgere quando una richiesta di ricerca generale, effettuata a partire da una qualsiasi applicazione, rischiava di essere trattata da più di un’applicazione di ricerca generale.

500    Pertanto, anche se la Commissione è legittimata a rilevare che dal fascicolo risulta che una certa ambiguità è potuta esistere quanto alla reale portata di tali disposizioni contrattuali all’inizio del periodo dell’infrazione (v. punti da 1228 a 1238, da un lato, e punto 1230 della decisione impugnata, dall’altro, nell’ambito dell’analisi degli ARR per portafoglio), resta il fatto che le spiegazioni fornite a tal proposito da Google sono convincenti e consentono di spiegarne la ragion d’essere. Su questo punto, il dubbio deve andare a vantaggio dell’impresa di cui trattasi.

501    Quanto alla prima censura, il riferimento fatto, nell’ambito dell’esame del carattere abusivo degli ARR per portafoglio che rientra nel terzo motivo, all’ipotesi secondo cui uno o più concorrenti ipotetici efficienti come Google potrebbero ottenere una quota pari al 22,5% delle richieste di ricerca generale «qualora fossero preinstallati accanto alle applicazioni di Google e anche impostati come predefiniti sui punti di accesso dei browser», non rimette in discussione il ragionamento della Commissione contestato da Google. Infatti, anche supponendo che una siffatta ipotesi sia concepibile per valutare «la quota degli introiti potenziali che gli OEM ricaverebbero dalla preinstallazione di una o più applicazioni di servizi di ricerca generale supplementari», resterebbe comunque il fatto che gli introiti in questione sarebbero difficilmente paragonabili a quelli percepiti da Google per effetto delle condizioni di preinstallazione previste dall’ADAM.

502    Inoltre, in linea di principio, per accettare di preinstallare congiuntamente una o più delle altre applicazioni di servizio di ricerca generale accanto a quelle preinstallate in applicazione dell’ADAM, l’OEM chiederebbe una remunerazione al concorrente di Google. Orbene, tenuto conto della sola presenza dell’applicazione Google Search e di Chrome, a parte l’ipotesi dei pagamenti conferiti per ottenere l’esclusiva ai sensi degli ARR per portafoglio, ciò che un concorrente di Google potrebbe proporre al riguardo non può essere interessante tenuto conto degli introiti sui quali potrebbe contare a titolo di tale preinstallazione congiunta.

503    Quanto alla terza censura, la Commissione ricorda giustamente che, anche supponendo che un OEM preinstalli anche un browser concorrente di Chrome sui dispositivi GMS, esso non potrebbe impostarlo come browser predefinito.

504    Infatti, come risulta dalle risposte alle misure di organizzazione del procedimento, Google non contesta il fatto che, in forza degli AAF e del DDC, se più di un browser era preinstallato su un dispositivo Android, nessuno di tali browser poteva essere impostato come predefinito.

505    Orbene, per quanto riguarda i dispositivi Google Android, dato che, in applicazione dell’ADAM, l’OEM era obbligato a preinstallare Chrome per ottenere il pacchetto GMS, il punto 935 della decisione impugnata enuncia correttamente quindi che, tenuto conto degli effetti combinati di tale accordo con le citate disposizioni, «anche se veniva installato un browser concorrente, non era possibile impostarlo come browser predefinito».

506    A tal riguardo, contrariamente a quanto sostenuto da Google e come già dichiarato ai precedenti punti 462 e 463, le dichiarazioni rese da talune imprese non possono essere utilmente invocate per rimettere in discussione la valutazione contestata.

507    Un messaggio di posta elettronica di Google del 27 marzo 2013, inviato a uno dei principali OEM, menziona così la necessità per quest’ultimo, in tal caso, di consentire all’utente di scegliere tra il browser preinstallato di tale OEM e Google Chrome.

508    Pertanto, la dichiarazione resa dalla Orange in un messaggio di posta elettronica del 3 agosto 2012, secondo cui «Chrome potrà coesistere con i browser dei costruttori[;] Google non lo impone come browser predefinito», indica semplicemente che l’ADAM non obbligava gli OEM a configurare Chrome come browser predefinito e che tale browser poteva quindi coesistere con altri browser (v. supra, punto 463).

509    Anche le dichiarazioni rese da un’altra impresa nel 2013 (punto 935, paragrafo 2, della decisione impugnata) si inseriscono in un contesto in cui, come sostiene la Commissione, gli OEM e, successivamente, gli MNO non potevano impostare un browser concorrente come predefinito. Tali dichiarazioni potevano essere effettivamente invocate dalla Commissione per ritenere, come fa al punto 935 della decisione impugnata, che, «anche se veniva altresì preinstallato un browser concorrente, quest’ultimo non poteva essere impostato quale browser predefinito» (v. supra, punto 462).

510    Per quanto riguarda la dichiarazione resa dalla Huawei nel 2015, in quanto risposta preliminare fornita da uno dei suoi dipendenti, secondo la quale «il browser Huawei è precaricato su tutti gli smartphone nel mercato del SEE quale browser di sistema predefinito», il suo contenuto resta ambiguo (v. supra, punto 463). Come sostiene la Commissione, è effettivamente difficile sapere cosa intende l’autore della risposta per «browser di sistema predefinito», tenuto conto di quanto era richiesto dal DDC in base al quale gli OEM non potevano impostare un browser concorrente come predefinito. Il browser della Huawei non poteva quindi essere impostato, in linea di principio, come browser predefinito se veniva preinstallato su un dispositivo sul quale era preinstallato anche Chrome, almeno nel senso definito dal DDC. Pertanto, come fa valere anche la Commissione, è probabile che l’espressione «browser di sistema predefinito» rinvii semplicemente al fatto che il browser della Huawei era «precaricato», vale a dire preinstallato sui dispositivi Google Android.

511    Analogamente, non è possibile attribuire un valore determinante al contenuto della lettera dell’Opera, trasmessa di propria iniziativa alla Commissione il 31 maggio 2017, in cui si dichiara che «taluni OEM Android hanno accettato di preinstallare Opera e di impostarlo quale browser predefinito sui loro dispositivi e di farlo apparire in modo evidente sulla schermata iniziale predefinita». Detta lettera contraddice, infatti, quanto era stato esposto in precedenza dall’Opera, nella sua risposta alla richiesta di informazioni del 19 ottobre 2015, la quale dichiarava, a sua volta, «che la disponibilità del browser Chrome quale applicazione di navigazione predefinita, preinstallata e disponibile sulla schermata iniziale dei telefoni Android limita[va] la capacità dell’Opera di concorrere per la posizione predefinita su tutti i dispositivi Android» (v. punto 925, paragrafo 2, della decisione impugnata).

512    A tal proposito, per spiegare l’evoluzione della sua posizione, l’Opera dichiara nella sua memoria di intervento che, se nel 2015 la sua impressione era che «gli ADAM richiedessero agli OEM non solo di preinstallare Chrome, ma anche di configurarlo come browser predefinito e di prevedere un posizionamento in primo piano sulla schermata iniziale dei dispositivi Android», nel 2017 essa aveva appreso che «la sua interpretazione non corrispondeva chiaramente alle condizioni di preinstallazione degli ADAM[;] gli ADAM richied[evano] soltanto che Chrome fosse preinstallato in una cartella». Una spiegazione del genere può essere effettivamente formulata, dal momento che le condizioni di preinstallazione degli ADAM non imponevano l’impostazione predefinita di un browser a danno di un altro in caso di preinstallazione congiunta (v. supra, punto 491).

513    Tuttavia, come osserva giustamente la Commissione, l’impostazione predefinita di un browser concorrente in caso di preinstallazione congiunta con Chrome non era ipotizzabile a causa degli effetti combinati dell’ADAM e del DDC. L’impostazione predefinita di un browser concorrente preinstallato era possibile solo con l’intervento dell’utente in una fase successiva. Inoltre, nella sua memoria di intervento, l’Opera non fa più valere la preinstallazione del suo browser con la sua impostazione «quale browser predefinito» e un posizionamento sulla schermata iniziale, ma soltanto la preinstallazione del suo browser con un posizionamento sulla schermata iniziale.

514    Quanto alla quarta censura, non si può condividere la posizione di Google quando afferma che la valutazione contestata implicherebbe che le applicazioni dei servizi di ricerca concorrenti fossero meno attraenti per gli utenti o che esse provenissero da concorrenti meno efficienti. Infatti, come è già stato esposto (v. supra, punto 294), la decisione impugnata chiarisce le ragioni per le quali siffatta supposizione non può essere fatta nel caso di specie, tenuto conto dell’interesse rappresentato dalle diverse soluzioni tecniche proposte dai concorrenti di Google per gli utenti o per l’innovazione.

515    In conclusione, da quanto precede risulta che non si deve rimettere in discussione la valutazione della Commissione secondo cui gli OEM potevano ricavare solo introiti limitati dalla preinstallazione di uno o più servizi di ricerca generale concorrenti parallelamente all’applicazione Google Search.

–       Sui costi di transazione

516    In secondo luogo, Google contesta l’affermazione secondo cui i costi di transazione dissuaderebbero gli OEM dal negoziare accordi di preinstallazione con altri servizi di ricerca generale, in quanto «tali costi non sono facilmente giustificabili per un quantitativo ridotto di dispositivi» (punto 826 della decisione impugnata). Infatti, nessuna prova consentirebbe di giustificare o di quantificare tali costi di transazione, oppure di dimostrare la ragione per cui questi ultimi coprirebbero solo un quantitativo ridotto di dispositivi. L’unico elemento citato al riguardo, vale a dire un messaggio di posta elettronica interno di Google del 2012, relativo a discussioni con un OEM riguardo alla ripartizione dei ricavi generati da Play Store su televisori e dispositivi mobili (v. punto 1222, paragrafo 2, della decisione impugnata), sarebbe insufficiente.

517    Secondo la Commissione, la decisione impugnata non trae «alcuna conclusione generale secondo cui i costi di transazione imped[ivano] gli accordi di preinstallazione», ma constata semplicemente che, a causa dei costi di transazione, era poco probabile che gli OEM concludessero un gran numero di accordi su quantitativi ridotti, che si trattasse di accordi di preinstallazione o di ripartizione dei ricavi. Inoltre, il messaggio di posta elettronica interno di Google del 2012 dimostrerebbe che Google riconoscerebbe l’esistenza di tali costi di transazione per quanto la riguarda.

518    Da quanto precede risulta che le parti principali concordano nel riconoscere che l’affermazione relativa ai costi di transazione non può essere interpretata nel senso che essa impedirebbe gli accordi di preinstallazione. La questione è piuttosto se tali costi rendano improbabile la conclusione di accordi di preinstallazione per un quantitativo ridotto di dispositivi.

519    L’unico elemento menzionato su tale punto nella decisione impugnata, vale a dire il messaggio di posta elettronica interno di Google del 2012 menzionato al punto 826 e citato al punto 1222, paragrafo 2, non può essere considerato sufficiente per suffragare l’esistenza di un ostacolo alla negoziazione di accordi di preinstallazione.

520    Si tratta infatti di un documento unico, relativamente datato per quanto riguarda il periodo dell’infrazione e non direttamente pertinente, poiché esso riguarda una negoziazione in corso tra Google e un OEM sulla ripartizione dei ricavi generati da Play Store su televisori e dispositivi mobili. Le indicazioni secondo cui tale accordo verteva su un quantitativo qualificato come «non significativo» alla luce delle risorse impegnate e dei pagamenti che sarebbero stati effettuati da Google restano al contempo troppo generiche in quanto non sono quantificate e troppo legate alla situazione particolare di Google per poter essere estese alla situazione dei suoi concorrenti.

521    Come sostenuto da Google, dal fascicolo non risulta quindi che i costi di transazione menzionati nella decisione impugnata ostacolassero la negoziazione di accordi di preinstallazione tra OEM e fornitori di un servizio di ricerca generale concorrente di Google Search. Tuttavia, anche se tali costi non ostano la negoziazione di tali accordi, ciò non toglie che si tratta di un parametro economico di cui gli OEM tengono conto quando ne valutano l’interesse.

522    È in tale contesto che occorre tener conto dei vari elementi e valutazioni menzionati nella decisione impugnata per quanto riguarda i costi di transazione.

–       Sull’esperienza degli utenti

523    In terzo luogo, Google contesta l’affermazione secondo cui «la duplicazione di un numero eccessivo di applicazioni può avere un impatto negativo sull’esperienza dell’utente», in quanto, ad esempio, gli utenti «saranno invitati a scegliere più volte l’applicazione da utilizzare o da impostare come applicazione predefinita» (punti 827 e 828 della decisione impugnata). Infatti, la decisione impugnata non dimostrerebbe che la scelta di un’applicazione di ricerca generale o di un browser nuocerebbe all’esperienza dell’utente, di modo che gli OEM non vogliano servizi concorrenti. La decisione impugnata non dimostrerebbe neppure che gli utenti siano «invitati più volte» a selezionare quale applicazione di ricerca generale o quale browser essi intendano utilizzare o impostare come predefiniti. Inoltre, la preinstallazione di un’applicazione di ricerca generale e di un browser concorrenti non costituirebbe un doppione di «un numero eccessivo applicazioni», ma si limiterebbe a duplicare Google Search e Chrome. Non si tratterebbe di «bloatware», in quanto tale termine riguarda le applicazioni che non hanno alcuna o hanno scarsa utilità.

524    Dal canto suo, la Commissione ricorda che, in forza dell’ADAM, gli OEM devono preinstallare un pacchetto comprendente da 12 a 30 applicazioni di Google e non soltanto l’applicazione Google Search e Chrome. In tale contesto, la duplicazione di un numero troppo elevato di applicazioni di Google avrebbe un’incidenza negativa sull’esperienza dell’utente. Tale osservazione varrebbe per le diverse applicazioni comprese nel pacchetto GMS e non specificamente per le applicazioni di ricerca generale e di navigazione concorrenti dell’applicazione Google Search o di Chrome.

525    Da quanto precede risulta che le parti principali concordano nel riconoscere che le censure relative alla duplicazione delle applicazioni non riguardano in senso stretto le applicazioni Google Search e Chrome o le applicazioni di ricerca generale e i browser concorrenti, ma piuttosto altre applicazioni, comprese nel pacchetto GMS.

526    Gli elementi menzionati al riguardo ai punti 827 e 828 della decisione impugnata, vale a dire un messaggio di posta elettronica interno di Google del 10 gennaio 2012, un messaggio di posta elettronica interno di Google del 17 gennaio 2014 riguardante lo stato delle discussioni tra Google e un OEM, e un messaggio di posta elettronica di Google a tale OEM del 18 aprile 2014, confermano che ciò è quanto effettivamente avviene.

527    Inoltre, per quanto riguarda più precisamente l’inconveniente eventualmente rappresentato, per un utente, dal fatto di essere invitato più volte a selezionare quale applicazione di ricerca generale o quale browser intenda utilizzare o impostare predefiniti, occorre rilevare che Google fa valere, senza essere contestata su tale punto, che siffatto invito apparirebbe solo nel caso in cui un’applicazione intenda avviare una ricerca generale o un’azione sul browser e l’applicazione non abbia specificato il servizio di ricerca generale o il browser da utilizzare e, quando ciò si presenta, l’utente potrà in genere selezionare «sempre» per utilizzare l’applicazione preferita, nel qual caso l’invito non apparirà più. Google fa altresì osservare, senza essere contraddetta, che in ogni caso gli utenti potevano facilmente disattivare le applicazioni Google Search e Chrome in modo tale che divenissero invisibili e cessassero di funzionare.

528    Pertanto, come sostenuto da Google, dal fascicolo non risulta che l’installazione di due o più applicazioni di ricerca generale e browser pregiudichi l’esperienza degli utenti.

–       Sullo spazio di archiviazione

529    In quarto luogo, Google censura l’affermazione secondo cui «la duplicazione di un numero eccessivo di applicazioni Google obbligatorie p[oteva] comportare problemi di spazio di archiviazione su taluni dispositivi» (punti 829 e 933 della decisione impugnata), dato che la preinstallazione di diverse applicazioni di ricerca generale e di navigazione non potrebbe certamente riempire lo spazio di archiviazione di un dispositivo mobile moderno. Infatti, la capacità di memoria dei dispositivi mobili sarebbe aumentata in modo esponenziale. Ad esempio, il Samsung Galaxy S9 era fornito con 64 Go di memoria interna, l’S9+ con una memoria fino a 256 Go e l’HTC Desire disponeva di una memoria flash interna di 512 Mo, mentre un’applicazione di ricerca generale concorrente come Bing rappresentava 2,9 Mo nel 2012 e 14 Mo nel 2016. Inoltre, secondo i dati forniti dall’International Data Corporation (IDC), nel 2012, la maggior parte degli smartphone Android forniti disponeva di una capacità di archiviazione pari a 4 Go o più, e nel primo semestre del 2017, il 74% dei dispositivi era dotato di una capacità di archiviazione pari a 16 Go o più. Le dichiarazioni citate dalla decisione impugnata non ribaltano la prova oggettiva della capacità di archiviazione disponibile.

530    Per la Commissione, la decisione impugnata non constata il fatto che i problemi connessi allo spazio di archiviazione dei dispositivi dissuadono generalmente gli OEM dal preinstallare un’applicazione concorrente oltre all’applicazione Google Search o al browser Chrome. La decisione impugnata constaterebbe soltanto il fatto che gli OEM dovevano essere attenti alle conseguenze, per l’esperienza dell’utente, della duplicazione di una determinata applicazione Google preinstallata, tenuto conto del fatto che, a causa dell’ADAM, gli OEM dovevano preinstallare un pacchetto comprendente da 12 a 30 applicazioni di Google e che la duplicazione di un numero eccessivo di tali applicazioni di Google poteva porre problemi con lo spazio di archiviazione di taluni dispositivi (punti da 827 a 829 e 926 della decisione impugnata).

531    Al pari della censura che precede, relativa all’esperienza dell’utente, le parti principali concordano nel riconoscere che le censure relative alla duplicazione delle applicazioni non riguardano in senso stretto le applicazioni Google Search e Chrome o le applicazioni di ricerca generale e i browser concorrenti, ma piuttosto altre applicazioni, comprese nel pacchetto GMS.

532    Per quanto riguarda le applicazioni di servizio di ricerca generale e tenuto conto degli sviluppi tecnologici relativi alla memoria dei dispositivi intelligenti mobili nonché degli esempi forniti da Google, la duplicazione di questo tipo di applicazioni non sembra idonea a porre realmente problemi. Si deve rilevare al riguardo che la dichiarazione della Hutchinson 3G, invocata a tal proposito al punto 829 della decisione impugnata, riguarda la duplicazione delle applicazioni in generale e non quella delle applicazioni di servizio di ricerca generale. Come sostenuto da Google, dal fascicolo non risulta quindi che l’installazione di due o più applicazioni di ricerca generale ponga problemi di archiviazione.

533    Per quanto riguarda i browser, occorre tuttavia rilevare che le dichiarazioni di due OEM, citate al punto 934 della decisione impugnata, menzionano, una, richieste da parte di MNO nell’agosto 2012 e, l’altra, la decisione di non preinstallare più, a partire dal 2012, il proprio browser, tenuto conto della preinstallazione obbligatoria di Chrome in applicazione del’ADAM. È pertanto lecito ritenere che siffatte dichiarazioni siano state rese in un momento in cui lo spazio disponibile all’interno dei dispositivi mobili intelligenti era ancora relativamente limitato, il che non doveva più avvenire successivamente, come illustrato da Google fornendo esempi tratti da dispositivi moderni.

534    Di conseguenza, sebbene non sia dimostrato che la preinstallazione di diverse applicazioni di servizio di ricerca generale ponga un problema di capacità di archiviazione, risulta tuttavia che taluni OEM hanno rinunciato, a causa dell’installazione di Chrome, all’installazione di browser concorrenti, quanto meno per i primi anni dell’infrazione. Dal fascicolo risulta altresì che, almeno a partire dal 2016, uno degli OEM citati al punto 934 della decisione impugnata ha potuto installare il proprio browser oltre a Chrome sui suoi dispositivi Google Android. Il vincolo esercitato dallo spazio di archiviazione sembra quindi rapidamente scomparso.

535    Tuttavia, sulla scia di tale analisi, e tenuto conto quindi del costante aumento della capacità di memoria dei dispositivi mobili, si deve altresì tener conto del fatto che le applicazioni Google Search e Chrome erano oggetto di un complesso, il che aumentava corrispondentemente lo spazio occupato.

536    È in tale contesto che occorre tener conto dei diversi elementi e e delle diverse valutazioni menzionati nella decisione impugnata per quanto riguarda lo spazio di archiviazione.

–       Conclusione

537    Da quanto precede risulta che, nonostante il fatto che talune censure presentate dalle ricorrenti nei confronti di taluni elementi della motivazione della decisione impugnata consentano di attenuarne o di temperarne la portata, la Commissione era certamente in grado di considerare che, anche se i fornitori di servizi di ricerca generale concorrenti di Google Search rimanevano liberi di fornire agli OEM e agli MNO la stessa preinstallazione concessa all’applicazione Google Search e a Chrome sui dispositivi Google Android venduti nel SEE, ciò non si è verificato per la parte essenziale del periodo dell’infrazione e che la mancanza di tali preinstallazioni si spiega, quantomeno, in parte con gli effetti combinati degli ADAM, degli ARR nonché degli AAF.

538    Su tale punto, la differenza di situazione tra la Seznam, che non è riuscita nonostante i suoi tentativi ad ottenere accordi di preinstallazione su dispositivi Google Android, e l’Opera, che è riuscita ad ottenere accordi di preinstallazione su tali dispositivi, risulta impressionante, in quanto tale differenza si spiegava con il fatto che la prima cercava di fare concorrenza al servizio di ricerca generale Google Search mentre la seconda intendeva ricorrere a tale servizio impostandolo come predefinito sul suo browser.

c)      Mezzi diversi dalla preinstallazione che consentono di raggiungere gli utenti

1)      Argomenti delle parti

539    Google sostiene che i concorrenti sarebbero non solo liberi di garantire che gli OEM preinstallino i loro servizi di ricerca generale, li configurino come predefiniti e li posizionino in maniera uguale o superiore rispetto alle applicazioni Google preinstallate, ma che essi disporrebbero altresì di un libero accesso agli utenti attraverso il download e il browser nel caso di servizi di ricerca generali. Ciò non consentirebbe di concludere che le condizioni di preinstallazione siano in grado di estromettere gli utenti. Il comportamento degli utenti dimostrerebbe che essi scaricano continuamente applicazioni, anche concorrenti, per le quali è preinstallata un’alternativa su un dispositivo. Tali abitudini di download contrasterebbero con l’affermazione della decisione impugnata secondo cui la preinstallazione creerebbe uno «status quo bias» che impedirebbe agli utenti di cercare servizi concorrenti.

540    In primo luogo, per quanto riguarda il download delle applicazioni da parte degli utenti, Google osserva che il download è un mezzo efficace per raggiungere gli utenti, anche quando sono preinstallate applicazioni concorrenti. Gli elementi di prova relativi all’applicazione Google Search, a Seznam, a Naver e a Yandex confermerebbero il download dei servizi di ricerca generale concorrenti nel caso in cui fossero attraenti. Anche i browser raggiungerebbero livelli di download elevati. Comparativamente, gli elementi sui quali si fonda la decisione impugnata non sarebbero sufficienti per affermare che il download è inefficace. Così, le risposte alle richieste di informazioni citate non rifletterebbero il contenuto generale delle risposte ricevute.

541    Di conseguenza, né la riluttanza generale degli utenti a scaricare applicazioni per le quali è preinstallato un servizio concorrente, né l’inefficacia del download potrebbero spiegare i bassi livelli di download di applicazioni di ricerca generale concorrenti constatati nella decisione impugnata (punti da 808 a 810). Tenuto conto dei livelli elevati di download di altri tipi di applicazioni concorrenti, sarebbe più plausibile che tali bassi livelli di download siano il risultato di fattori non collegati all’ADAM, come la preferenza degli utenti per Google Search, per la sua qualità e per le sue prestazioni o il fatto che gli utenti effettuino le loro ricerche attraverso il browser.

542    In secondo luogo, Google rileva che gli utenti possono accedere facilmente e rapidamente ai servizi di ricerca generale concorrenti attraverso il browser, senza scaricare applicazioni. Taluni browser, come Chrome, proporrebbero già servizi di ricerca generale concorrenti fornendo agli utenti elenchi sotto forma di menu a tendina con diversi servizi di ricerca generale che consentono loro in tal modo di sceglierne uno come predefinito. La decisione impugnata constaterebbe che la maggior parte delle richieste di Google Search proverrebbero dal browser, e non dall’applicazione Google Search [punto 1234, paragrafo 3, lettera b)]. La quota rilevante di Chrome in termini di utilizzo di browser e l’impostazione, da parte di quest’ultimo, di Google Search come servizio di ricerca predefinito (punti 818 e 821 della decisione impugnata) non sarebbero pertinenti. Ciò che rileverebbe sarebbe il fatto che gli utenti possano accedere, e accedono, ai servizi di ricerca generale concorrenti attraverso Chrome, allo stesso modo che con ogni browser mobile. Gli utenti avrebbero quindi un accesso senza ostacoli ai servizi di ricerca generale concorrenti attraverso il browser e gran parte delle ricerche sarebbe effettuata in tal modo.

543    Inoltre, nell’ambito di tale argomento, Google contesta alla decisione impugnata di confondere «vantaggio competitivo» ed «esclusione anticoncorrenziale». La seconda sarebbe dedotta dal primo. Orbene, affinché il comportamento sia considerato abusivo, la Commissione dovrebbe dimostrare che l’effetto preclusivo renderebbe «più difficile, se non impossibile, l’accesso al mercato da parte dei concorrenti dell’impresa in posizione dominante». Uno svantaggio concorrenziale non equivarrebbe ad una pratica di esclusione anticoncorrenziale. Nel caso di specie, anche supponendo che le condizioni di preinstallazione dell’ADAM conferiscano a Google un «vantaggio concorrenziale significativo», il che non avverrebbe, la decisione impugnata non dimostrerebbe che i concorrenti non siano stati in grado di compensare tale vantaggio o che tali condizioni abbiano reso il loro «ingresso nel mercato assai difficile, se non addirittura impossibile». La decisione impugnata non tenterebbe di qualificare l’asserito vantaggio concorrenziale e non esaminerebbe il tasso di copertura del comportamento, benché la maggior parte delle richieste di ricerca generale nel SEE – tra l’[80‑90]% e il [70‑80]%, tra il 2013 e il 2015 – non avvenisse su apparecchi Google Android (punto 796). L’ADAM sarebbe limitato ai dispositivi GMS, che rappresentano solo una parte dei dispositivi sui quali gli utenti accedono a browser e a servizi di ricerca generale; essi utilizzano, in particolare, i dispositivi mobili Apple o i computer da tavolo Windows. Inoltre, gli sviluppatori di browser e di servizi di ricerca generale concorrenti sarebbero liberi di negoziare accordi di preinstallazione per i dispositivi GMS e di ottenere una pubblicità identica o superiore per i loro servizi su tali dispositivi. La facilità di accesso ai concorrenti grazie al download e al browser significherebbe che essi dispongono di possibilità supplementari per raggiungere gli utenti su tali dispositivi. Non vi sarebbe quindi alcun fondamento per sostenere un’esclusione.

544    La Commissione sostiene che nessuna delle affermazioni di Google rimette in discussione la conclusione secondo cui i concorrenti non possono compensare il notevole vantaggio concorrenziale che Google si assicura grazie alla preinstallazione dell’applicazione Google Search e di Google Chrome praticamente su tutti i dispositivi Google Android venduti nel SEE. Infatti, i download di applicazioni di ricerca generale e di browser concorrenti o la configurazione come predefinito di un servizio di ricerca generale concorrente nei browser sui dispositivi Google Android non sarebbero paragonabili, in termini di presenza e di efficacia (v. punti da 805 a 812 e da 917 a 931 della decisione impugnata). Peraltro, per dimostrare la restrizione della concorrenza, la decisione impugnata terrebbe conto non solo del notevole vantaggio concorrenziale conferito dalla preinstallazione, ma anche del fatto che esso non potrebbe essere compensato dai concorrenti (v. punto 896, paragrafo 1, della decisione impugnata). Inoltre, sebbene non sia necessario quantificare il notevole vantaggio concorrenziale derivante dalla vendita abbinata, né esaminare la copertura del mercato attraverso la vendita abbinata, la decisione impugnata indicherebbe in particolare che, tra il 2013 e il 2015, i dispositivi Google Android hanno rappresentato dal [10‑20]% al [20‑30]% delle richieste di ricerca generale su Google Search nel SEE e, nel 2016, il [20‑30]% di tali richieste (v. punto 796 della decisione impugnata).

2)      Giudizio del Tribunale

545    A parte delle possibilità di preinstallazione offerte ai servizi di ricerca generale o ai browser concorrenti, Google sostiene altresì che i suoi concorrenti possono compensare la tendenza a cristallizzare la situazione derivante dalle condizioni di preinstallazione dell’ADAM, contando sul comportamento degli utenti, i quali possono scaricare le loro applicazioni o accedere al loro servizio di ricerca generale attraverso il browser.

i)      Sul download delle applicazioni concorrenti

546    In via preliminare, occorre rilevare che le parti principali non contestano il fatto che gli utenti possano facilmente scaricare applicazioni di servizio di ricerca generale o di navigazione concorrenti dell’applicazione Google Search o di Chrome.

547    Le parti principali non concordano sul fatto che tali download siano reali, il che incide direttamente sulla possibilità per i concorrenti di Google di compensare le condizioni di preinstallazione dell’ADAM.

548    Gli sviluppi della decisione impugnata relativi a tale questione vertono quindi effettivamente sulla qualificazione degli effetti concreti e reali del comportamento controverso di Google nel periodo compreso tra il 2011 o il 2012 e il 2018.

549    A tal proposito, per quanto riguarda le applicazioni di ricerca generale, dai dati forniti da Google e riportati nella decisione impugnata risulta che il numero di download di applicazioni concorrenti dell’applicazione Google Search è rimasto esiguo rispetto al numero di dispositivi sui quali l’applicazione Google Search era preinstallata:

–        tra il 2011 e il 2016 gli utenti hanno scaricato da Play Store applicazioni di ricerca generale concorrenti su meno del 5% dei dispositivi GMS venduti nel mondo, cifra che scenderebbe a meno dell’1% per i dispositivi GMS venduti nel SEE, dato che la maggior parte di tali download è stata effettuata nella Corea del Sud (punti 808 e 809 della decisione impugnata);

–        tra il 2011 e il 2016 il numero annuale di download di applicazioni di ricerca generale concorrenti su Play Store in ogni paese del SEE sarebbe stato minimo, salvo nella Repubblica ceca con Seznam (punto 810 della decisione impugnata);

–        per quanto riguarda la Repubblica ceca, gli utenti hanno scaricato l’applicazione di ricerca Seznam a partire da Play Store sul 23% al massimo, per un determinato anno, dei dispositivi GMS venduti in tale Stato membro.

550    Analogamente, per quanto riguarda i browser, dai dati forniti da Google riportati nella decisione impugnata risulta che il numero di download di browser concorrenti di Chrome è rimasto limitato rispetto al numero di dispositivi sui quali Chrome era preinstallato:

–        nel 2016 nessun browser Internet mobile concorrente avrebbe ottenuto un numero di download paragonabile al numero di browser Google Chrome preinstallati (v. punto 919 della decisione impugnata);

–        nel 2016 gli utenti avrebbero scaricato browser Internet mobile concorrenti su meno del 50% dei dispositivi GMS venduti nel mondo e, tra il 2013 e il 2016, gli utenti avrebbero scaricato brower Internet mobile concorrenti solo sul 30% circa dei dispositivi GMS venduti nel mondo (v. punto 920 della decisione impugnata);

–        nel 2016 gli utenti avrebbero scaricato i browser UC, Opera e Firefox su meno dell’1%, 1,5% e 4%, rispettivamente, dei dispositivi GMS venduti nel SEE, e, tra il 2013 e il 2016, il numero totale di download di browser Internet mobile concorrenti a partire da Play Store sui dispositivi GMS nel SEE avrebbe rappresentato meno del 10% dei dispositivi GMS sui quali Google Chrome era preinstallato (v. punti 921 e 922 della decisione impugnata).

551    Occorre rilevare, in tale contesto, che gli elementi invocati da Google per quanto riguarda il download delle applicazioni Seznam, Naver e Yandex non sono sufficienti per rimettere in discussione le constatazioni che precedono. Come riconoscono le parti principali, questi tre esempi si spiegano con il fatto che si tratta di servizi di ricerca generale impostati intorno a un algoritmo che tiene conto delle specificità linguistiche ceca, coreana e russa.

552    La Commissione spiega altresì, in modo convincente, che il controesempio del download dell’applicazione Google Search sui dispositivi Windows Mobile per i quali Bing è impostato come predefinito non è affatto probante come sostenuto da Google, dal momento che il 2016 non è rappresentativo e i dati invocati non comprendono solo gli smarphone, ma anche altri tipi di dispositivi (nota a piè di pagina 901 della decisione impugnata). L’asserita cifra del 95% di download dell’applicazione Google Search sarebbe quindi, in realtà, solo del 27% nel 2016. Tale cifra potrebbe essere paragonata alla cifra del 23% corrispondente al download dell’applicazione Seznam sugli smartphone Google Android venduti nella Repubblica ceca che avevano tutti l’applicazione Google Search preinstallata.

553    Analogamente, la Commissione osserva giustamente, per le ragioni esposte al punto 813 della decisione impugnata, che le analogie suggerite da Google in considerazione delle pratiche di download osservate per altri tipi di applicazioni, come le applicazioni di messaggistica, non sono pertinenti per la ricerca e la navigazione.

554    Inoltre, contrariamente a quanto affermato da Google, i diversi elementi esposti nella decisione impugnata per dimostrare che il download di applicazioni concorrenti di Google Search e di Chrome non compensa il vantaggio concesso dalla preinstallazione mantengono la loro pertinenza. Tali elementi confermano che i download non sono paragonabili, in termini di presenza e di efficacia, alla preinstallazione.

555    Lo stesso vale per il sondaggio fornito dall’Opera (punti 812 e 923 della decisione impugnata), che, benché fornisca indicazioni solo sull’uso dei browser preinstallati e riguardi solo il 2013, può essere comunque invocato nella decisione impugnata per sostenere che «taluni utenti continuano ad essere restii a scaricare applicazioni e preferiscono utilizzare il browser Internet mobile preinstallato».

556    Analogamente, quanto alle diverse dichiarazioni rese nelle risposte alle richieste di informazioni, risulta effettivamente che risposte che non sono citate nella decisione impugnata menzionano la possibilità teorica per il download di compensare la preinstallazione. Tuttavia, ciò non priva di pertinenza le diverse risposte esposte nella decisione impugnata che consentono di suffragare l’idea che gli utenti tendono a privilegiare l’applicazione preinstallata a un’applicazione da scaricare.

557    Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto da Google, non si deve ritenere che la decisione impugnata non sia conforme alla giurisprudenza e alla prassi decisionale precedente. Infatti, la decisione impugnata non contesta il fatto che il download possa compensare in linea di principio il vantaggio che sarebbe concesso dalla preinstallazione, il che è già stato preso in considerazione in altri casi esaminati dalla Commissione. Nel caso di specie, tuttavia, per le ragioni esposte nella decisione impugnata ed esaminate nei punti precedenti, risulta che, anche se è facile e gratuito scaricare un’applicazione di ricerca generale o di navigazione, tale download in pratica non è realizzato o in ogni caso è realizzato per una parte insufficiente dei dispositivi interessati.

558    Di conseguenza, occorre respingere la censura di Google relativa al download delle applicazioni concorrenti.

ii)    Sull’accesso ai servizi di ricerca concorrenti attraverso il browser

559    L’argomento di Google non rimette in discussione la conclusione secondo cui i concorrenti non possono compensare, mediante accordi con gli sviluppatori di browser Internet mobili, il notevole vantaggio concorrenziale che Google si assicura grazie alla preinstallazione dell’applicazione Google Search praticamente su tutti i dispositivi Google Android venduti nel SEE.

560    Occorre confrontare, a tal fine, la situazione reale osservata dalla Commissione e ripresa nella decisione impugnata con le diverse soluzioni alternative prospettate da Google, ma non concretizzatesi nella realtà.

561    Infatti, come esposto dalla Commissione, la configurazione come predefinito di un servizio di ricerca generale concorrente nei browser Internet mobile sui dispositivi Google Android non sarebbe paragonabile, in termini di presenza e di efficacia, alla preinstallazione dell’applicazione Google Search (v. punti da 817 a 822 della decisione impugnata). In particolare, si deve tener conto del fatto che Google non consente di impostare come predefinito un servizio di ricerca diverso da Google Search su Chrome e che Chrome deteneva una quota di utilizzo pari a circa il 75% dei browser Internet mobile non specifici di un SO in Europa e pari al 58% a livello mondiale.

562    La Commissione espone inoltre, senza essere contraddetta su tale punto da Google, diversi elementi, tra cui alcune presentazioni di Microsoft e della Yandex, che consentono di dimostrare che gli utenti in pratica non accedono ad altri servizi di ricerca generale tramite i browser e solo raramente modificano la configurazione come predefiniti di tali browser. Tali osservazioni sono pertinenti, contrariamente a quanto sostenuto da Google, e consentono di dimostrare che, nonostante la possibilità offerta al riguardo di impostare un altro motore di ricerca generale, quest’ultimo rimane in pratica quello originariamente impostato.

563    In tali circostanze, occorre respingere la censura di Google sull’accesso ai servizi di ricerca concorrenti attraverso il browser.

iii) Sulla confusione tra vantaggio competitivo ed esclusione anticoncorrenziale

564    Quanto all’asserita confusione tra vantaggio competitivo e esclusione anticoncorrenziale, occorre rilevare che tale censura deriva da un’errata interpretazione della decisione impugnata, da cui risulta che essa dimostra, da un lato, l’esistenza di un vantaggio connesso alle condizioni di preinstallazione dell’ADAM, che non poteva essere compensato dai concorrenti, e, dall’altro, gli effetti anticoncorrenziali di tale vantaggio.

565    Per quanto riguarda la questione se si debba quantificare il vantaggio, occorre osservare in ogni caso, come suggerisce la Commissione, che tra il 2013 e il 2015 i dispositivi Google Android rappresentavano dall’11 al 24% di tutte le richieste di ricerca effettuate su Google Search nel SEE. Nel 2016 i dispositivi Google Android rappresentavano il 29% di tali richieste di ricerca (punto 796 della decisione impugnata). Analogamente, nel 2016, l’ADAM ha coperto tutti i dispositivi Google Android venduti al di fuori della Cina, il che corrisponde al 76% del numero totale di dispositivi mobili intelligenti venduti in Europa e al 56% del numero totale di dispositivi mobili intelligenti venduti nel mondo (Cina compresa) (punti 783, 784 e 901 della decisione impugnata). In tali circostanze, resta sempre possibile ritenere, come fa la Commissione nella decisione impugnata, che le condizioni di preinstallazione dell’ADAM conferissero a Google un notevole vantaggio concorrenziale.

566    Pertanto, occorre respingere la censura di Google sulla confusione tra vantaggio competitivo ed esclusione anticoncorrenziale.

iv)    Conclusione

567    Da quanto precede risulta che la Commissione può legittimamente considerare che, anche se gli utenti rimanevano liberi di scaricare applicazioni concorrenti dell’applicazione Google Search e di Chrome o di modificare le impostazioni predefinite, o ancora che gli sviluppatori di browser Internet mobili potevano proporre le loro applicazioni agli OEM, ciò non è avvenuto in modo sufficiente per gran parte del periodo dell’infrazione a causa delle condizioni di preinstallazione dell’ADAM.

d)      Mancata dimostrazione del nesso tra le quote di utilizzo e la preinstallazione

1)      Argomenti delle parti

568    Google osserva che, secondo la decisione impugnata, le sue quote di ricerca generale e di navigazione «non sembrano trovare una spiegazione» nella preferenza degli utenti e sono «conformi a» una restrizione della concorrenza (punti 835, 837, 947 e 954). Tuttavia, la decisione impugnata non dimostrerebbe che le quote di Google siano state determinate dalle condizioni di preinstallazione contestate o che siano incompatibili con la concorrenza basata sui meriti, circostanza che spetterebbe tuttavia alla Commissione dimostrare. Inoltre, la decisione impugnata ignorerebbe numerose prove secondo le quali il successo del servizio di ricerca generale e del browser di Google rispecchierebbe la loro qualità. Invocare i voti di Play Store per l’applicazione Google Search e i suoi concorrenti non può essere sufficiente per escludere tali elementi di prova.

569    La Commissione sostiene che nessuno degli argomenti di Google rimette in discussione la conclusione secondo cui il notevole vantaggio concorrenziale derivante dalla preinstallazione dell’applicazione Google Search e di Google Chrome praticamente su tutti i dispositivi Google Android venduti nel SEE e l’incapacità dei concorrenti di compensare tale vantaggio corrispondono all’evoluzione delle quote di mercato di Google. Infatti, il successo dell’applicazione Google Search e di Google Chrome non sarebbe soltanto il riflesso delle asserite «qualità e prestazioni superiori dei servizi di Google». Analogamente, il fatto che le valutazioni su Play Store, da parte degli utenti, siano basate su campioni di diverse dimensioni non sarebbe determinante. Tali campioni sarebbero sufficientemente estesi per essere rappresentativi.

2)      Giudizio del Tribunale

570    In primo luogo, per quanto riguarda la preinstallazione e i suoi effetti, occorre rilevare che, nella decisione impugnata, la Commissione ha dichiarato che le sue conclusioni sull’esistenza di un vantaggio concorrenziale per Google per effetto della preinstallazione, il quale non aveva potuto essere compensato dai concorrenti e aveva l’effetto di restringere la concorrenza basata sui meriti a danno dei consumatori, erano confermate dall’evoluzione delle quote di utilizzo imputabili a Google realizzate sui dispositivi mobili intelligenti (v. punti da 835 a 851 e da 947 a 963 della decisione impugnata).

571    In tale contesto, i riferimenti fatti dalla Commissione all’evoluzione di tali quote di utilizzo non sono di per sé criticabili. Essi consentono infatti alla Commissione di fondare la sua dimostrazione secondo la quale, da un lato, la preinstallazione conferisce un vantaggio alle applicazioni di ricerca generale e di navigazione di Google che ne sono oggetto e, dall’altro, tale vantaggio non ha potuto essere compensato dai concorrenti.

572    Per quanto riguarda l’evoluzione della quota di Google, nelle richieste di ricerca generale effettuate per tipo di dispositivo in Europa dal 2009 al marzo 2017 la Commissione è quindi in grado di constatare che tale quota ha sempre oscillato tra il 95 e il 98% dal 2011 al marzo 2017 per quanto riguardava i dispositivi mobili intelligenti e che tale quota è sempre stata più consistente di quella osservata nel medesimo periodo per quanto riguardava i PC (88‑95%) o i tablet (90‑98% dal luglio 2012 al marzo 2017) (punto 836 della decisione impugnata).

573    Per quanto riguarda l’evoluzione della quota di utilizzo di Chrome rispetto a quella di altri browser mobili non specifici di un SO in Europa dall’agosto 2012 al marzo 2017, la Commissione è altresì in grado di constatare che la quota di Chrome è passata dal 4,7 al 74,9% nel corso di tale periodo. Per contro, la quota degli altri browser Android (gli «AOSP‑based browsers» o gli «Android browsers») è passata dal 74,5% all’8,2% nello stesso periodo (v. punto 949 della decisione impugnata; per una presentazione dei risultati a livello mondiale, v. punto 950 della decisione impugnata; per una presentazione dei risultati con il browser su PC, v. punto 951 della decisione impugnata; per una presentazione dei risultati con i browser specifici di un SO in Europa, v. punto 952 della decisione impugnata).

574    Contrariamente a quanto sostenuto da Google, la Commissione può invocare tali sviluppi a sostegno della propria tesi del danno. Nei limiti in cui tale tesi prende come punto di partenza lo «status quo bias» connesso alla preinstallazione, il quale perturba il gioco della concorrenza supposto da Google, secondo la quale l’utente potrebbe, in particolare, porre rimedio a tale tendenza scaricando un’applicazione concorrente – appunto ciò che l’utente non fa –, la Commissione può correttamente riferirsi alle quote di utilizzo.

575    In secondo luogo, per quanto riguarda il fattore relativo alla qualità e i suoi asseriti effetti, occorre considerare che, in un caso come quello di specie, la Commissione non era tenuta a determinare con precisione se tali quote di utilizzo si spiegassero non solo con la preinstallazione – ciò che essa ritiene – ma anche, o piuttosto, con la superiorità qualitativa asserita da Google. Infatti, secondo Google, la mancata contestazione delle quote di utilizzo dell’applicazione Google Search o l’aumento progressivo delle quote di utilizzo di Chrome si spiegherebbero più con la superiorità qualitativa dei suoi prodotti che con la preinstallazione. Nel caso di specie, tuttavia, la preinstallazione non è contestata, cosicché tutti i dispositivi Google Android disponevano dell’applicazione Google Search e di Chrome, mentre l’incidenza della qualità sulla mancanza di preinstallazione o di download di un’applicazione concorrente è solo affermata da Google senza che gli elementi di prova trasmessi al riguardo siano né sufficienti né particolarmente pertinenti.

576    Google invoca a tal fine la dichiarazione di uno dei suoi dirigenti, che si pronuncia sulla superiorità qualitativa dell’applicazione Google Search rispetto ai suoi concorrenti. Tale documento menziona effettivamente vari elementi, tra cui un sondaggio effettuato presso i consumatori nel 2016 da cui risulta che Google Search era il motore di ricerca generale preferito dei consumatori nel Regno Unito, in Germania e in Francia e diversi articoli in cui si affermava che Google Search presentava migliori o più recenti funzionalità rispetto a Bing o che Bing non era così preciso come annunciato. La dichiarazione del dirigente di Google e i diversi elementi che vi sono allegati non sono tuttavia sufficienti, in quanto tali, per dimostrare che la quota di utilizzo di Google Search e di Chrome si spiega piuttosto con il fatto che Google dispone di un servizio di qualità superiore che con il fatto che tali applicazioni sono preinstallate.

577    Del resto, anche supponendo che Google Search e Chrome beneficino di una superiorità qualitativa rispetto ai servizi proposti dai concorrenti, essa non sarebbe determinante dal momento che non si afferma affatto che i diversi servizi proposti dai concorrenti non sarebbero tecnicamente in grado di soddisfare le esigenze dei consumatori.

578    Inoltre, come risulta dagli atti contenuti nel fascicolo, le esigenze dei consumatori non sono necessariamente soddisfatte dalla soluzione qualitativamente migliore, anche supponendo che Google possa sostenere che i suoi servizi rappresentano una soluzione siffatta, dato che variabili diverse dalla qualità tecnica, come la tutela della vita privata o la presa in considerazione delle specificità linguistiche delle richieste di ricerca effettuate svolgono anch’esse un ruolo.

579    In terzo luogo, occorre rilevare che, per confutare l’argomento di Google secondo cui la qualità dei suoi prodotti agli occhi dei consumatori piuttosto che la preinstallazione spiegherebbe l’importanza e l’evoluzione delle sue quote di utilizzo, la Commissione ha dichiarato nella decisione impugnata che tale vantaggio qualitativo non sembrava risultare dalle valutazioni attribuite ai servizi concorrenti su Play Store.

580    Per il primo pacchetto, i voti medi di Play Store erano di 4,4 per l’applicazione Google Search con 5,8 milioni di valutazioni, di 4,3 per l’applicazione Bing con 73 000 valutazioni, di 4,2 per l’applicazione Yahoo con 28 000 valutazioni, di 4,3 per l’applicazione della Seznam con 39 000 valutazioni e di 4,4 per l’applicazione Yandex con 219 000 valutazioni (punto 837 della decisione impugnata).

581    Per il secondo pacchetto, i voti medi di Play Store erano di 4,3 per Chrome con 7,4 milioni di valutazioni, di 4,3 per Opera con 2,2 milioni di valutazioni, di 4,4 per Firefox con 2,8 milioni di valutazioni, di 4,5 per UC browser con 13,9 milioni di valutazioni e di 4,4 per UC browser Mini con 2,8 milioni di valutazioni (punto 954 della decisione impugnata).

582    È vero che, come rileva Google, le valutazioni non sono della stessa entità e non costituiscono necessariamente un criterio di valutazione rappresentativo. Tuttavia, come sostenuto dalla Commissione, da tali voti risulta effettivamente che la valutazione qualitativa dei diversi servizi in concorrenza resta analoga. Si può quindi tenerne conto per considerare che la rispettiva qualità dei diversi servizi di ricerca e navigazione in concorrenza non è un criterio determinante nel loro utilizzo, dato che essi propongono tutti un servizio idoneo a rispondere alla richiesta.

583    Da quanto precede risulta che, tenuto conto della tendenza a cristallizzare la situazione connessa alle condizioni di preinstallazione dell’ADAM e in assenza di prova dell’incidenza precisa della superiorità qualitativa asserita da Google per quanto riguarda le sue applicazioni di ricerca generale e di navigazione, la Commissione ha ritenuto correttamente che le quote di utilizzo di Google corroborassero lo «status quo bias» collegato alla preinstallazione.

584    Tale censura deve essere quindi respinta.

e)      Mancata presa in considerazione del contesto economico e giuridico

1)      Argomenti delle parti

585    Google sostiene che la decisione impugnata omette di valutare se le condizioni di preinstallazione dell’ADAM fossero in grado di pregiudicare la concorrenza che sarebbe esistita in loro assenza, e ciò alla luce dell’intero contesto economico e giuridico. Un’analisi completa di tale contesto dimostrerebbe che tali condizioni non erano idonee a escludere la concorrenza, né erano in grado di farlo, in quanto creavano nuove opportunità per i concorrenti, anziché privarli di queste ultime. La misura in cui Google o i suoi concorrenti si sono avvalsi di tali opportunità dipenderebbe dalle rispettive qualità dei loro servizi e dalla loro attrattiva ne confronti degli utenti. Infatti, le condizioni di preinstallazione dell’ADAM farebbero parte del modello di licenza gratuita elaborato per la piattaforma Android e non potrebbero quindi essere esaminate separatamente. Inoltre, non rileva chi possa servirsi gratuitamente del SO Android e utilizzarlo.

586    La Commissione fa valere che è Google, e non la decisione impugnata, ad omettere di valutare il contesto economico e giuridico della vendita abbinata dell’applicazione Google Search con Play Store e della vendita abbinata di Google Chrome con Play Store e l’applicazione Google Search. Infatti, la decisione impugnata terrebbe conto della natura delle interazioni tra le diverse parti della piattaforma Android (punti 874 e 875, 990 e 991 della decisione impugnata). Si dovrebbe tener conto, in particolare, dei seguenti aspetti in cui si inserisce la vendita abbinata:

–        all’interno del SEE la preinstallazione di Google Chrome ha coperto praticamente tutti i dispositivi Google Android;

–        sui dispositivi GMS Google non autorizza la preinstallazione esclusiva di alcuna applicazione di ricerca generale diversa da Google Search. L’applicazione Google Search è il punto di accesso unico più importante per le ricerche generali sui dispositivi Google Android, e rappresentava il [40‑50]% di tutte le richieste di ricerca generale sui dispositivi Google Android nel 2016 (punto 799, paragrafo 1, e punto 974 della decisione impugnata);

–        Google non consente di configurare come predefinito, su Google Chrome, un servizio di ricerca generale diverso da Google Search (punti 818 e 973 della decisione impugnata), secondo punto di accesso più importante per le ricerche generali sui dispositivi Google Android, con il [30‑40]% di tutte le richieste di ricerca generale sui dispositivi Google Android effettuate tramite Google Chrome nel 2016 (punti 818, 973 e 974 della decisione impugnata);

–        tra il 2011 e il 2016 Google ha concluso accordi di ripartizione dei ricavi con OEM e MNO. In forza di tali accordi, che coprono tra il [50‑60]% e l’[80‑90]% di tutti i dispositivi Google Android venduti nel SEE, gli OEM e gli MNO erano tenuti a preinstallare in via esclusiva l’applicazione Google Search e di configurare Google Search come servizio di ricerca generale predefinito per tutti i browser Internet mobile preinstallati (v. punti 822 e 833 della decisione impugnata);

–        in forza degli AAF, gli OEM che intendano vendere sia pure un solo dispositivo con Play Store e l’applicazione Google Search preinstallati non possono vendere nessun altro apparecchio funzionante con fork Android;

–        in forza di un accordo di ripartizione dei ricavi mantenuto dal 2007, Apple definisce Google Search come servizio di ricerca generale predefinito nel browser Safari sui dispositivi iOS [v. punti 119 e 154, punto 515, paragrafo 1, punto 796, paragrafo 2, lettera a), punto 799, paragrafo 2, punti 840 e 1293 della decisione impugnata];

–        in forza degli accordi di ripartizione dei ricavi, tutti i principali browser Internet per PC, ad eccezione di Internet Explorer/Edge di Microsoft, sono tenuti a configurare Google Search come servizio di ricerca generale predefinito [v. punto 796, paragrafo 2, lettera c), e punto 845 della decisione impugnata].

2)      Giudizio del Tribunale

587    In sostanza, Google contesta alla Commissione la mancata analisi di tutte le circostanze rilevanti per valutare gli asseriti effetti del comportamento controverso.

588    Secondo Google, la Commissione avrebbe dovuto considerare meglio, da un lato, la ragione che l’ha spinta a sviluppare la piattaforma Android, vale a dire la volontà di far fronte alla chiusura degli altri sistemi operativi (iOS o Windows) da parte dei loro proprietari, e, dall’altro, gli effetti favorevoli alla concorrenza generati dal successo della piattaforma aperta e gratuita Android, sebbene fossero in vigore le condizioni di preinstallazione controverse, le quali dimostrerebbero un aumento dei volumi di utilizzo dei servizi di ricerca generale e di navigazione nonché un aumento del numero di applicazioni. In tale contesto, la Commissione avrebbe dovuto valutare la situazione confrontandola con una situazione in cui, a causa della mancanza delle condizioni di preinstallazione controversa, Google non sarebbe stata in grado di sviluppare e di mantenere la piattaforma aperta e gratuita Android.

589    Tale argomento non corrisponde tuttavia al contenuto della decisione impugnata.

590    Infatti, come sostiene la Commissione, il comportamento abusivo individuato nella decisione impugnata non verte sullo sviluppo e sulla manutenzione della piattaforma Android, anche per quanto riguarda il suo aspetto aperto e gratuito definito da Google per far fronte a ciò che tale impresa ritiene essere la chiusura degli altri sistemi operativi da parte dei loro proprietari. La Commissione riconosce, del resto, dinanzi al Tribunale che la piattaforma Android ha aumentato le opportunità per i concorrenti di Google.

591    Dalla decisione impugnata risulta altresì che Google aveva presentato alla Commissione un argomento della stessa natura di quello ribadito dinanzi al Tribunale e che tale argomento è stato respinto dalla Commissione sulla base del rilievo, in particolare, che essa non metteva in discussione l’intero ADAM, ma solo uno dei suoi aspetti i cui effetti erano restrittivi della concorrenza (v. punti da 867 a 876 per il primo pacchetto; v. punti da 983 a 992 per il secondo pacchetto). L’argomento di Google è stato quindi preso in considerazione dalla Commissione ai fini della valutazione di tutte le circostanze pertinenti come risulta dalla decisione impugnata.

592    Infatti, anche tenendo conto degli effetti favorevoli alla concorrenza generati dalla piattaforma Android, di cui l’ADAM costituisce una delle modalità, la Commissione ha tuttavia ritenuto che un aspetto specifico dell’ADAM, vale a dire le condizioni di preinstallazione controverse, fosse abusivo.

593    Pertanto, come è stato esaminato in precedenza nell’ambito del presente motivo (v. altresì, le diverse circostanze di fatto ricordate al precedente punto 585), la Commissione ha ritenuto che i due raggruppamenti di prodotti conferiscano a Google un vantaggio concorrenziale determinato dallo «status quo bias» legato alla preinstallazione, che non poteva essere compensato dai concorrenti e che aveva l’effetto di restringere la concorrenza basata sui meriti a danno dei consumatori.

594    Sono queste condizioni di preinstallazione dell’ADAM, e non, più in generale, il sistema di licenza aperta e gratuita auspicato da Google con gli OEM firmatari di tale accordo, a costituire il comportamento controverso.

595    È in tale contesto, pertanto, come suggerisce la Commissione, che occorre richiamare i diversi contributi di Opera. Alcuni fanno riferimento, come indica Google, agli effetti favorevoli alla concorrenza dello sviluppo e della manutenzione della piattaforma Android. Altri menzionano, come rileva la Commissione, gli effetti restrittivi della concorrenza legati alla preinstallazione.

596    Da quanto precede risulta che Google non dimostra, come essa afferma, che la Commissione non abbia tenuto debitamente conto di tutte le circostanze pertinenti per valutare il comportamento controverso. Tale censura deve essere quindi respinta.

3.      Sulla seconda parte, riguardante le giustificazioni obiettive

a)      Argomenti delle parti 

597    Google sostiene che le condizioni di preinstallazione dell’ADAM sono obiettivamente giustificate in quanto le consentono di fornire gratuitamente la piattaforma Android garantendo che le applicazioni che generano redditi, Google Search e Chrome, non siano escluse dalla preinstallazione e dalle opportunità pubblicitarie associate. Tali condizioni, legittime e favorevoli alla concorrenza, avrebbero contribuito alla diversità e all’adozione generalizzata dei dispositivi mobili, ridotto le barriere all’ingresso e creato opportunità per i concorrenti. Il suggerimento contenuto nella decisione impugnata di fatturare agli OEM un diritto di licenza per Play Store che varii per i dispositivi di fascia bassa e alta sacrificherebbe i benefici favorevoli alla concorrenza dell’offerta gratuita fatta da Google per quanto riguarda la piattaforma Android. Google contesta altresì di poter percepire un compenso dai dati mobili. Analogamente, lo scambio non monetario creato dalle condizioni di preinstallazione dell’ADAM sarebbe più efficace e aumenterebbe la produzione rispetto a un sistema nel quale gli OEM versassero pagamenti per i componenti della piattaforma Android.

598    La Commissione sostiene che le condizioni di preinstallazione di Google Search e di Chrome praticamente su tutti gli apparecchi Google Android venduti nel SEE non sono oggettivamente giustificate. Infatti, Google monetizzerebbe già gli investimenti grazie alla commercializzazione dei dati raccolti presso utenti e agli introiti generati da Play Store e da altre applicazioni e servizi, tra cui Google Search. Inoltre, un numero significativo di utenti di Google Android continuerà ad utilizzare Google Search in assenza di tali requisiti. Google non dimostrerebbe neppure che la preinstallazione sarebbe necessaria per evitare che la preinstallazione esclusiva sui dispositivi Google Android non sia accessibile a Google o per evitare che essa sia obbligata a fatturare costi agli OEM per Play Store.

b)      Giudizio del Tribunale 

599    Occorre ricordare che, nel caso in cui sia stata constatata l’esistenza di effetti anticoncorrenziali dovuti al comportamento di un’impresa che detiene una posizione dominante, tale impresa può giustificare azioni illecite che possono incorrere nel divieto di cui all’articolo 102 TFUE (v., in tal senso, sentenza del 27 marzo 2012, Post Danmark, C‑209/10, EU:C:2012:172, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).

600    In particolare, una siffatta impresa può, a tal fine, dimostrare o che il proprio comportamento è obiettivamente necessario, o che l’effetto preclusivo che ne deriva può essere controbilanciato, o anche superato, da vantaggi in termini di efficienza che vanno anche a beneficio del consumatore (v., in tal senso, sentenza del 27 marzo 2012, Post Danmark, C‑209/10, EU:C:2012:172, punto 41 e giurisprudenza ivi citata).

601    Per quanto riguarda la prima ipotesi, è stato dichiarato che, se l’onere della prova riguardo all’esistenza di circostanze costitutive di una violazione dell’articolo 102 TFUE grava sulla Commissione, è tuttavia all’impresa dominante interessata, e non alla Commissione, che spettava, all’occorrenza, e prima della chiusura del procedimento amministrativo, far valere un’eventuale giustificazione obiettiva e dedurre argomenti ed elementi di prova al riguardo. La Commissione è tenuta allora, qualora intenda dichiarare l’esistenza di un abuso di posizione dominante, dimostrare che gli argomenti e gli elementi di prova invocati da tale impresa non sono convincenti e che quindi la giustificazione presentata non può essere accolta (v., in tal senso, sentenza del 17 settembre 2007, Microsoft/Commissione, T‑201/04, EU:T:2007:289, punti 688 e 1144).

602    Per quanto riguarda la seconda ipotesi, spetta all’impresa dominante considerata dimostrare che i vantaggi in termini di efficienza che possono risultare dal comportamento in questione neutralizzano l’effetto preclusivo che ne deriva, che è stato o è possibile realizzare tali vantaggi in termini di efficienza grazie a detto comportamento, che quest’ultimo è indispensabile per realizzarli e che esso non elimina una concorrenza effettiva sopprimendo la totalità o la maggior parte delle fonti esistenti di concorrenza attuale o potenziale (v., in tal senso, sentenza del 27 marzo 2012, Post Danmark, C‑209/10, EU:C:2012:172, punto 42).

603    A tal riguardo, occorre rilevare che, nella decisione impugnata, la Commissione ha esaminato sotto lo stesso titolo «Giustificazioni obiettive e vantaggi in termini di efficienza» i vari argomenti invocati a tal riguardo da Google nel corso del procedimento amministrativo (punti da 993 a 1008).

604    Nelle sue memorie, Google invoca in sostanza due serie di argomenti per giustificare il suo comportamento, che corrispondono in gran parte a quelli che essa aveva fatto valere nel corso del procedimento amministrativo e che sono stati esaminati e respinti nella decisione impugnata.

605    In primo luogo, Google sosteneva dinanzi alla Commissione che le sue pratiche erano legittime in quanto le consentivano di rendere redditizi i suoi investimenti in Android e nelle sue applicazioni che non generavano introiti (punto 993, paragrafo 1, della decisione impugnata).

606    Tale argomento è ripreso nel presente ricorso, in cui Google invoca, da un lato, l’importanza dei suoi investimenti nello sviluppo e nella manutenzione della piattaforma Android, compresi il SO Android, Play Store e il pacchetto GMS, e, dall’altro, la gratuità di tale piattaforma. Le condizioni di preinstallazione dell’ADAM sarebbero pertanto giustificate in quanto consentirebbero a Google, grazie ai redditi generati dalle applicazioni Google Search e Chrome, di ottenere un ritorno adeguato sui suoi investimenti, senza tuttavia escludere la possibilità per i concorrenti o per gli utenti di ricorrere alla preinstallazione o ad altre opzioni.

607    Per respingere tale argomento, la Commissione ha considerato che Google non aveva dimostrato che i pacchetti controversi fossero necessari per rendere redditizi i suoi investimenti in Android e nelle sue applicazioni che non generavano introiti (v. punti da 995 a 998 della decisione impugnata).

608    Comparato all’importo degli investimenti destinati da Google allo sviluppo e alla manutenzione di Android, indipendentemente dal fatto che tale importo sia quello menzionato dalla Commissione o quello evidenziato da Google, risulta, in ogni caso, che Google è sempre stata in grado di disporre di fonti di reddito consistenti per finanziare tali investimenti effettuati nell’ambito della sua strategia volta a preservare le proprie quote di mercato nei servizi di ricerca generale in occasione del passaggio a Internet sui dispositivi mobili.

609    Oltre agli introiti generati da Play Store (punto 996 e nota a piè di pagina n. 1074 della decisione impugnata), che sono ormai di per sé sufficienti per consentire a Google di recuperare gli investimenti effettuati per lo sviluppo e per la manutenzione della piattaforma Android durante l’anno corrispondente (v., a tal riguardo, i dati forniti da Google dinanzi al Tribunale), Google disponeva anche di altre fonti di reddito.

610    Infatti, come rilevato dalla Commissione nella decisione impugnata, Google poteva sempre beneficiare della valorizzazione dei dati relativi agli utenti ottenuti dagli apparecchi Google Android, come quelli collegati alla localizzazione o all’utilizzo dei Google Play Services. Google poteva altresì, tenuto conto delle sue ingenti quote di mercato sui PC, godere dei significativi redditi generati dalla pubblicità sulle ricerche (punti da 997 a 998 della decisione impugnata).

611    Le censure formulate da Google nei confronti di tali possibilità restano generiche e vaghe.

612    Di conseguenza, in considerazione, da un lato, del valore rappresentato dai dati relativi agli utenti e, dall’altro, dell’entità dei redditi generati dalla pubblicità sulle ricerche effettuate sui PC, la Commissione ha correttamente ritenuto che Google potesse non dover recuperare la totalità delle spese relative allo sviluppo e alla manutenzione della piattaforma Android, tenendo conto soltanto degli introiti generati a partire da tale piattaforma.

613    Inoltre, come altresì rilevato dalla Commissione nella decisione impugnata, Google non ha dimostrato di non aver avuto interesse a sviluppare Android al fine di contrastare i rischi gravanti sul suo modello commerciale di pubblicità associato alla ricerca a seguito della transizione al dispositivo mobile intelligente. In tale prospettiva, si può validamente ritenere che Google avrebbe effettuato le spese relative allo sviluppo e alla manutenzione della piattaforma Android senza neppure avere la garanzia che tali spese fossero compensate dagli introiti generati a partire da tale piattaforma, in considerazione, ad esempio, degli introiti generati da Play Store.

614    Da quanto precede risulta che Google non ha dimostrato che le condizioni di preinstallazione dell’ADAM fossero obiettivamente giustificate nel senso che le avevano consentito, garantendo la preinstallazione dell’applicazione Google Search e di Chrome sui dispositivi Google Android, di recuperare l’importo delle spese effettuate a titolo dello sviluppo e della manutenzione della piattaforma Android.

615    In secondo luogo, Google sostiene che le condizioni di preinstallazione dell’ADAM le hanno consentito di proporre gratuitamente Play Store in quanto il suo valore presso gli OEM e gli utenti corrispondeva al valore per Google della promozione, da parte di tali OEM, del suo servizio di ricerca generale. Il suggerimento della Commissione di far pagare un diritto di licenza per Play Store rimetterebbe in discussione tale modello e i suoi effetti positivi sulla concorrenza (v. punto 993, paragrafo 3, della decisione impugnata).

616    Tuttavia, neppure in questo caso Google soddisfa l’onere della prova ad essa incombente nell’ambito della dimostrazione delle giustificazioni obiettive.

617    La soluzione privilegiata da Google, quella della gratuità delle licenze, non può tuttavia impedire l’applicazione delle altre soluzioni considerate dalla Commissione per consentirle di sostituire i redditi generati dalla preinstallazione dell’applicazione Google Search e di Chrome sui dispositivi Google Android, come, ad esempio, il pagamento di un diritto di licenza per Play Store, che può conciliarsi con una differenza di trattamento tra i prodotti di fascia bassa e i prodotti di fascia alta.

618    Da quanto precede risulta che Google non è in grado di dimostrare che le condizioni di preinstallazione dell’ADAM siano obiettivamente giustificate, nel senso che le garantiscono la gratuità delle licenze relative a Play Store.

619    La seconda parte, riguardante le giustificazioni obiettive della preinstallazione, deve essere quindi respinta, al pari dell’integralità del secondo motivo, relativo all’erronea valutazione del carattere abusivo delle condizioni di preinstallazione dell’ADAM.

D.      Sul terzo motivo, vertente sull’erronea valutazione del carattere abusivo della condizione di preinstallazione unica inclusa negli ARR per portafoglio

620    Con il terzo motivo di ricorso, Google sostiene che la Commissione ha erroneamente concluso per la natura abusiva di talune disposizioni incluse negli ARR per portafoglio.

1.      Elementi contestuali

a)      Decisione impugnata

621    Secondo la decisione impugnata, Google ha concesso pagamenti a taluni OEM e MNO a condizione che essi non preinstallassero o che non rendessero immediatamente disponibile dopo l’acquisto alcun servizio di ricerca generale concorrente su un insieme di dispositivi mobili presente all’interno di un portafoglio predefinito (punti 198 e 1195 della decisione impugnata).

622    Dalla decisione impugnata risulta altresì che gli ARR per portafoglio sanzionati sono quelli in vigore dal 1° gennaio 2011, data in cui la Commissione ha ritenuto che Google detenesse una posizione dominante in ogni mercato nazionale dei servizi di ricerca generale all’interno del SEE, al 31 marzo 2014, data in cui è cessato un ARR per portafoglio con un OEM citato dalla Commissione (punto 1333 della decisione impugnata).

1)      Sulla natura degli ARR per portafoglio

623    La Commissione fa valere che gli ARR per portafoglio contengono pagamenti concessi in cambio dell’esclusiva. Essa ricorda che, in applicazione di detti ARR, se l’OEM o l’MNO interessato preinstalla un servizio di ricerca generale concorrente su un dispositivo che rientra nel portafoglio predefinito e accettato, deve rinunciare alla ripartizione dei ricavi su tutto il portafoglio.

624    Nel caso tanto degli OEM quanto degli MNO interessati, la Commissione sottolinea che gli ARR per portafoglio coprivano un segmento sostanziale dei dispositivi mobili venduti. Documenti interni di Google confermerebbero che l’obiettivo degli ARR per portafoglio era quello di garantire che Google rispondesse all’intero fabbisogno di tali OEM ed MNO in materia di servizi di ricerca generale sui dispositivi inclusi in tali portafogli. Tali documenti rivelerebbero altresì che Google era consapevole del fatto che tale pratica poteva sollevare problemi di concorrenza (punti da 1195 a 1205 della decisione impugnata).

2)      Sulla capacità degli ARR per portafoglio di restringere la concorrenza

625    Ai punti 1206 e 1207 della decisione impugnata, la Commissione sostiene che la presunzione secondo cui i pagamenti di esclusiva di Google sono abusivi è confermata, nel caso di specie, dall’analisi della loro capacità di restringere la concorrenza, tenuto conto in particolare del tasso di copertura dei mercati nazionali dei servizi di ricerca generale da parte della pratica contestata.

626    Anzitutto, la Commissione ritiene che gli ARR per portafoglio abbiano ridotto gli incentivi degli OEM e degli MNO interessati a preinstallare servizi di ricerca generale concorrenti. In primo luogo, in mancanza degli ARR per portafoglio, tali OEM ed MNO avrebbero avuto un interesse commerciale a preinstallare tali servizi su almeno una parte dei loro dispositivi Google Android. In secondo luogo, i servizi di ricerca generale concorrenti non avrebbero potuto proporre a tali OEM ed MNO lo stesso livello di introiti offerto da Google. In terzo luogo, gli ARR per portafoglio sarebbero una delle ragioni dell’esitazione degli OEM e degli MNO a installare servizi di ricerca generale concorrenti sui loro dispositivi Google Android (punti da 1208 a 1281 della decisione impugnata).

627    La Commissione sostiene, inoltre, che gli ARR per portafoglio hanno reso più difficile l’accesso dei concorrenti di Google ai mercati nazionali dei servizi di ricerca generale. In primo luogo, tali pagamenti avrebbero disincentivato gli OEM e gli MNO dal preinstallare servizi di ricerca generale concorrenti. In secondo luogo, gli ARR per portafoglio coprirebbero una quota significativa dei mercati rilevanti. In terzo luogo, i servizi concorrenti non sarebbero stati in grado di compensare, attraverso canali alternativi di distribuzione come il download, il vantaggio competitivo che Google trarrebbe dalla pratica controversa (punti da 1282 a 1312 della decisione impugnata).

628    Infine, la Commissione dichiara che gli ARR per portafoglio hanno disincentivato l’innovazione poiché hanno impedito il lancio di dispositivi Google Android, in cui fossero preinstallati servizi di ricerca generale diversi da Google Search. In mancanza di tale pratica, gli utenti avrebbero beneficiato di una scelta più ampia. Tale pratica avrebbe altresì ridotto, da un lato, gli incentivi dei concorrenti allo sviluppo di funzionalità innovative, impedendo loro di beneficiare di richieste di ricerca supplementari e dei ricavi e dei dati necessari per migliorare i loro servizi, e, dall’altro, l’incentivo di Google a innovare, in quanto non subiva più alcuna pressione concorrenziale basata sui meriti. Inoltre, anche se la pratica coincideva con un periodo di miglioramento del servizio di ricerca generale di Google, essa non dimostrerebbe che tale pratica non abbia inciso sugli incentivi o sulla capacità dei servizi di ricerca generale concorrenti di migliorare i loro servizi. Google avrebbe quindi potuto migliorare i suoi servizi portandoli a un livello superiore (punti da 1313 a 1322 della decisione impugnata).

629    Inoltre, come risulta in particolare dal punto 1259 della decisione impugnata, la Commissione ha esaminato, nel caso di specie, la capacità della pratica in questione di produrre un effetto preclusivo su imprese considerate tanto efficienti quanto l’impresa dominante. Interrogata su tale punto nel corso dell’udienza di discussione, la Commissione ha confermato di aver preso effettivamente in considerazione gli attributi di tale concorrente ipotetico nell’ambito della sua valutazione.

3)      Sull’esistenza di giustificazioni obiettive

630    La Commissione contesta altresì le giustificazioni obiettive invocate da Google. Così, in primo luogo, gli ARR per portafoglio non sarebbero stati necessari per convincere inizialmente gli OEM e gli MNO a vendere dispositivi Google Android, dato che i dispositivi Google Android rappresentavano già più del 40% delle vendite mondiali di dispositivi mobili intelligenti nel gennaio 2011 e che gli ARR avevano come obiettivo, non già quello di vendere dispositivi Google Android, ma di consentire «l’installazione esclusiva del servizio di ricerca generale» di Google su tali dispositivi Google Android. In secondo luogo, Google non dimostrerebbe che gli ARR per portafoglio fossero necessari per consentirle di recuperare gli investimenti effettuati in Android. In mancanza degli ARR per portafoglio, Google sarebbe sempre stata in grado di ottenere da Android redditi significativi. In terzo luogo, Google non avrebbe dimostrato che gli ARR per portafoglio fossero necessari per consentire ai dispositivi Google Android di fare concorrenza ad Apple (punti da 1323 a 1332 della decisione impugnata).

b)      Sulla distinzione tra gli ARR per portafoglio e gli ARR per dispositivi

631    Le ripartizioni di introiti pubblicitari considerate dalla decisione impugnata sono subordinate alla condizione della preinstallazione esclusiva di Google Search su un insieme di dispositivi predefiniti in un portafoglio. In altri termini, per ciascuno dei dispositivi considerati, gli OEM e gli MNO, per ottenere una partecipazione agli introiti pubblicitari di Google, devono soddisfare le condizioni poste dagli ARR per portafoglio.

632    Come sottolinea la Commissione al punto 197 della decisione impugnata, Google ha tuttavia progressivamente sostituito, a partire dal marzo 2013, gli ARR per portafoglio con ARR per dispositivi.  Sulla base di un ARR per dispositivi, la partecipazione di un OEM e di un MNO ai ricavi di Google dipende dal numero di dispositivi venduti che rispettano l’obbligo di non preinstallazione di servizi di ricerca generale concorrenti. Così, gli ARR per dispositivi consentono a un OEM o a un MNO di proporre, per uno stesso tipo di dispositivo, alcuni che mettono in rilievo esclusivamente il servizio di ricerca generale di Google e altri che propongono altresì servizi di ricerca generale concorrenti.

633    Pertanto, a differenza della posizione esposta nella comunicazione degli addebiti, la Commissione non ha considerato nella decisione impugnata che gli ARR per dispositivi, progressivamente posti in essere più di cinque anni prima della sua adozione, costituivano, di per sé, una pratica abusiva. Gli ARR per dispositivi restano tuttavia parte integrante del contesto di fatto nel quale la Commissione ha esaminato gli effetti preclusivi derivanti dalle pratiche contestate a Google nella decisione impugnata (v. supra, punti da 448 a 452).

c)      Sui ricavi ripartiti nellambito degli ARR per portafoglio

634    Nell’ambito degli ARR per portafoglio Google ripartisce una quota dei suoi introiti pubblicitari come corrispettivo della preinstallazione esclusiva di Google Search su un insieme di dispositivi mobili contenuto in un portafoglio predefinito.

635    Al punto 1240 della decisione impugnata, la Commissione sottolinea che gli ARR non comprendono i redditi provenienti dalle richieste di ricerca effettuate su dispositivi mobili attraverso la homepage Internet di Google, circostanza che quest’ultima ha espressamente confermato in risposta a un quesito posto dal Tribunale prima dell’udienza.

636    In altri termini, gli ARR per portafoglio comprendono gli introiti pubblicitari derivanti dalle richieste di ricerca effettuate tramite Google Search, Chrome e la barra URL di altri browser Internet mobile quando il motore di ricerca di Google è ivi impostato come predefinito. Una lettura combinata dei punti 1234 e 1240 della decisione corrobora tale constatazione.

d)      Sulla prova del carattere abusivo di un pagamento di esclusiva

637    Secondo la decisione impugnata, gli ARR per portafoglio hanno lo scopo di assicurare a Google l’esclusiva della preinstallazione sui dispositivi mobili delle applicazioni di servizio di ricerca generale. Tale pratica conduce ad un risultato sostanzialmente identico a quello degli sconti cosiddetti di «fedeltà», che sono stati al centro della causa che ha dato luogo alla sentenza del 6 settembre 2017, Intel/Commissione (C‑413/14 P, EU:C:2017:632). Google remunera, nel caso di specie, gli OEM e gli MNO per garantire la preinstallazione esclusiva di Google Search.

638    In tale contesto, prima di valutare la fondatezza degli argomenti dedotti da Google a sostegno del terzo motivo, occorre ricordare i principi che disciplinano la valutazione, alla luce dell’articolo 102 TFUE, dei pagamenti cosiddetti di «esclusiva».

639    Dalla giurisprudenza risulta che, in una situazione in cui, come nel caso di specie, l’impresa interessata da un procedimento a norma dell’articolo 102 TFUE che può comportarne la condanna per abuso di posizione dominante fa valere, nel corso di tale procedimento, che il suo comportamento non ha avuto la capacità di restringere la concorrenza e, in particolare, di produrre gli effetti preclusivi che le sono addebitati, incombe allora alla Commissione, per dimostrare la colpevolezza di tale impresa, analizzare le diverse circostanze che consentono di dimostrare la restrizione della concorrenza risultante dalla pratica contestata (v., in tal senso, sentenza del 6 settembre 2017, Intel/Commissione, C‑413/14 P, EU:C:2017:632, punti 137 e 138).

640    In tale situazione, la Commissione è tenuta, non solo ad analizzare, da un lato, l’ampiezza della posizione dominante dell’impresa nel mercato rilevante e, dall’altro, il tasso di copertura del mercato ad opera della pratica contestata, nonché le condizioni e le modalità delle pratiche tariffarie di cui trattasi, la loro durata e i loro importi, ma deve anche valutare l’eventuale esistenza di una strategia diretta ad escludere dal mercato i concorrenti almeno altrettanto efficienti. Analogamente, la ponderazione degli effetti favorevoli e sfavorevoli per la concorrenza della pratica contestata può essere svolta solo in esito ad un’analisi della capacità di esclusione dal mercato di concorrenti almeno altrettanto efficienti, inerente alla pratica considerata (sentenza del 6 settembre 2017, Intel/Commissione, C‑413/14 P, EU:C:2017:632, punti 139 e 140).

641    Per valutare la capacità, inerente a una pratica, di estromettere concorrenti almeno altrettanto efficienti, può rivelarsi utile il cosiddetto test del concorrente altrettanto efficiente («As Efficient Competitor Test»; in prosieguo: il «test AEC»).

642    Il test AEC riguarda un concorrente ipoteticamente altrettanto efficiente, che si presume applichi ai propri clienti gli stessi prezzi applicati dall’impresa dominante, facendo fronte agli stessi costi sostenuti da quest’ultima (v., in tal senso, sentenza del 17 febbraio 2011, TeliaSonera Sverige, C‑52/09, EU:C:2011:83, punti da 40 a 44). Peraltro, oltre al prezzo, per poter essere considerato «altrettanto efficiente» quanto l’impresa in posizione dominante, tale concorrente ipotetico deve essere anche interessante per i clienti di detta impresa in termini di scelta, di qualità o di innovazione (v., in tal senso, sentenza del 27 marzo 2012, Post Danmark, C‑209/10, EU:C:2012:172, punto 22).

643    Il test AEC, menzionato negli «Orientamenti sulle priorità della Commissione nell’applicazione dell’articolo [102 TFUE] al comportamento abusivo delle imprese dominanti volto all’esclusione dei concorrenti» (GU 2009, C 45, pag. 7; in prosieguo: gli «orientamenti sugli abusi preclusivi), mira a distinguere i comportamenti che un’impresa in posizione dominante non può adottare da quelli che le sono consentiti. Il test AEC costituisce quindi una griglia di analisi possibile degli effetti preclusivi relativi a una determinata causa e degli effetti preclusivi contestati. Tuttavia, si tratta solo di uno tra vari elementi che possono essere utilizzati per dimostrare, mediante prove qualitative o quantitative, l’esistenza di un’esclusione dal mercato anticoncorrenziale ai sensi dell’articolo 102 TFUE.

644    Tuttavia, quando, come nel caso di specie, viene effettuato, il test AEC deve essere svolto rigorosamente. A tal riguardo, per stabilire se un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente rischi di essere escluso dalla pratica contestata, la Commissione deve esaminare i dati economici relativi ai costi e ai prezzi di vendita e verificare, in particolare, se l’impresa dominante pratichi prezzi inferiori ai costi. Tale metodo presuppone tuttavia che siano disponibili dati sufficientemente affidabili. Quando lo sono, la Commissione è tenuta ad utilizzare le informazioni sui costi dell’impresa dominante stessa. Al fine di ottenere i dati necessari, la Commissione dispone di poteri di indagine. Inoltre, in mancanza di dati affidabili su tali costi, la Commissione può decidere di utilizzare i costi dei concorrenti o altri dati affidabili comparabili.

645    Per quanto riguarda i pagamenti di esclusiva, la finalità del test AEC è quella di valutare se un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente quanto l’impresa dominante sarebbe stato in grado di eguagliare o di rincarare detti pagamenti. Nel caso di specie, come risulta dalla decisione impugnata, lo scopo del test AEC condotto dalla Commissione era quello di valutare se un concorrente di Google ipoteticamente almeno altrettanto efficiente potesse avere un interesse strategico o economico a ottenere la quota contestabile delle richieste di servizi di ricerca generale coperti dagli ARR per portafoglio.

646    A tal riguardo, occorre ricordare che l’analisi effettuata dalla Commissione nella decisione impugnata per dimostrare il carattere anticoncorrenziale degli ARR per portafoglio dipende in particolare da due serie di considerazioni, vale a dire, da un lato, l’esame della copertura di tale prassi e, dall’altro, i risultati del test AEC da essa effettuato.

647    È alla luce di tali considerazioni preliminari che occorre valutare la fondatezza degli argomenti dedotti da Google a sostegno del terzo motivo.

648    Il terzo motivo del ricorso è suddiviso in tre parti. Con la prima, Google contesta alla Commissione di aver erroneamente ritenuto che gli ARR per portafoglio contenessero una condizione di esclusiva. Con la seconda, sviluppata in udienza, Google sostiene che la decisione impugnata si basa su un difetto di motivazione, in quanto la Commissione non giustificherebbe in quale misura una pratica che presenta una limitata copertura del mercato rilevante restringa la concorrenza. Nell’ambito della terza parte, Google sostiene che la Commissione non ha sufficientemente dimostrato, in fatto e in diritto, la natura anticoncorrenziale degli ARR.

2.      Sulla prima parte, riguardante la natura degli ARR per portafoglio

a)      Argomenti delle parti

649    Google sostiene che la Commissione non poteva qualificare gli ARR per portafoglio come accordi di esclusiva. Una situazione di esclusiva potrebbe esistere, in astratto, solo se fosse coperto tutto il fabbisogno di un cliente. Orbene, in primo luogo, gli ARR per portafoglio non sarebbero destinati a regolare il fabbisogno degli OEM e degli MNO di servizi di ricerca generale sui dispositivi mobili non Android o sui computer. In secondo luogo, gli ARR per portafoglio riguarderebbero solo uno dei punti di accesso ai servizi di ricerca generale. Essi imporrebbero chiaramente agli OEM e agli MNO di preservare punti di accesso per i servizi di ricerca generale concorrenti. In terzo luogo, gli ARR per portafoglio sarebbero, per taluni OEM e MNO, territorialmente limitati.

650    La Commissione osserva che gli ARR per portafoglio costituiscono il «vertice» delle diverse pratiche strettamente interconnesse e sanzionate nella decisione impugnata. Infatti, secondo la Commissione, per poter percepire una quota degli introiti provenienti dalle richieste effettuate tramite il servizio di ricerca generale di Google sui dispositivi che funzionano con le versioni di Android approvate da Google, gli OEM dovevano anzitutto concludere un AAF e un ADAM, poi un ARR per portafoglio, e quest’ultimo rafforzava le capacità di restrizione degli AAF e degli ADAM. Inoltre, nessuna delle tre ragioni invocate da Google per negare che gli ARR per portafoglio siano accordi di esclusiva può essere convincente, dato che tali ragioni sono tutte incentrate sull’ampiezza della copertura degli ARR e non sul loro carattere esclusivo.

b)      Giudizio del Tribunale

651    In primo luogo, come ricorda Google, una situazione di esclusiva deriva dalla chiusura, da parte di un’impresa, della totalità o di una parte considerevole del fabbisogno di un cliente. Infatti, per un’impresa che si trova in posizione dominante su un mercato, il fatto di vincolare taluni acquirenti attraverso l’obbligo o la promessa di rifornirsi per tutto o gran parte del loro fabbisogno esclusivamente presso di essa costituisce un abuso di posizione dominante ai sensi dell’articolo 102 TFUE, tanto se l’obbligo in questione è imposto sic et simpliciter, quanto se ha come contropartita la concessione di sconti. Lo stesso dicasi se detta impresa, senza vincolare gli acquirenti con un obbligo formale, applica, vuoi in forza di accordi stipulati con tali acquirenti, vuoi unilateralmente, un sistema di sconti di fedeltà, cioè di riduzioni subordinate alla condizione che il cliente – indipendentemente dal volume degli acquisti – si rifornisca esclusivamente per la totalità o per una parte considerevole del suo fabbisogno presso l’impresa in posizione dominante (sentenze del 13 febbraio 1979, Hoffmann‑La Roche/Commissione, 85/76, EU:C:1979:36, punto 89, e del 6 settembre 2017, Intel/Commissione, C‑413/14 P, EU:C:2017:632, punto 137).

652    Pertanto, per valutare l’argomento di Google secondo cui la Commissione ha erroneamente qualificato gli ARR per portafoglio come accordi di esclusiva, occorre verificare se, in forza di tali accordi, i clienti di Google, vale a dire gli OEM e gli MNO, potessero, per la totalità o per una parte considerevole del loro fabbisogno, richiedere anche i servizi o i prodotti di concorrenti dell’impresa che detiene una posizione dominante.

653    Orbene, nel caso di specie, e fatto salvo l’esame della copertura dei mercati nazionali dei servizi di ricerca generale, il quale è oggetto della terza parte del presente motivo, occorre constatare che Google non contesta il fatto che gli ARR per portafoglio costituissero un vantaggio finanziario concesso agli OEM e agli MNO a condizione che essi non preinstallassero nessun servizio di ricerca generale diverso da Google Search su un insieme di dispositivi mobili presente all’interno di un portafoglio predefinito. Del pari, è altresì pacifico che gli ARR per portafoglio costituivano, per gli OEM e gli MNO in questione, allorché intendevano commercializzare dispositivi mobili intelligenti dotati di un servizio di ricerca generale, un incentivo ad approvvigionarsi presso Google e ad escludere i concorrenti di quest’ultima per gran parte di tali dispositivi (v. punti 1197 e 1199 della decisione impugnata).

654    In secondo luogo, Google sostiene che gli ARR per portafoglio non escludevano l’accesso ai servizi di ricerca generale concorrenti, i quali rimarrebbero accessibili nonostante la preinstallazione esclusiva di Google Search. Lo stesso varrebbe per il download di applicazioni concorrenti o per un accesso diretto tramite i browser Internet mobili diversi da Chrome.

655    A tal riguardo, dalla giurisprudenza sopra citata, relativa agli accordi di esclusiva, risulta che la nozione di esclusiva si valuta rispetto alla possibilità, per i clienti dell’impresa che detiene una posizione dominante, di rivolgersi ai concorrenti di quest’ultima per servizi identici. L’esclusiva non viene quindi valutata con riferimento al comportamento degli utenti, ma con riferimento a quello dei clienti dell’impresa in posizione dominante. L’argomento dedotto da Google dal fatto che l’utente stesso potrebbe ricorrere a servizi di ricerca generale concorrenti di Google Search, mediante download di applicazioni o di browser diversi da Chrome, deve essere pertanto respinto in quanto inoperante.

656    In terzo luogo, Google sottolinea che taluni ARR per portafoglio avevano un ambito di applicazione geografico ridotto a taluni Stati membri. Orbene, come sottolinea giustamente la Commissione, Google non contesta il fatto che i mercati interessati costituiscano il complesso dei mercati nazionali, singolarmente considerati, per i servizi di ricerca generale. Il fatto che taluni ARR per portafoglio si applichino solo ad un numero limitato di Stati membri non consente di escludere un effetto di esclusiva sui mercati nazionali interessati.

657    Pertanto, Google non è fondata nel sostenere che la Commissione è incorsa in un errore di valutazione nel ritenere che i pagamenti in questione fossero pagamenti di esclusiva.

3.      Sulla seconda parte, riguardante un difetto di motivazione

658    In udienza Google ha sostenuto che la decisione impugnata era insufficientemente motivata. La Commissione non spiegherebbe infatti in alcun modo in quale misura una prassi che, secondo Google, rappresenta una copertura limitata del mercato rilevante possa restringere la concorrenza.

659    A tal riguardo, occorre rammentare che la motivazione prescritta dall’articolo 296 TFUE deve essere adeguata alla natura dell’atto di cui trattasi e deve far apparire in forma chiara ed inequivocabile l’iter logico seguito dall’istituzione da cui esso promana, in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e da permettere al giudice competente di esercitare il proprio controllo. La necessità della motivazione deve essere valutata in funzione delle circostanze del caso, in particolare del contenuto dell’atto, della natura dei motivi esposti e dell’interesse che i destinatari dell’atto o altre persone che esso riguarda direttamente e individualmente possano avere a ricevere spiegazioni. Non è richiesto che la motivazione specifichi tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti, dal momento che la questione se la motivazione di un atto soddisfi i requisiti di cui all’articolo 296 TFUE va esaminata alla luce non solo del suo tenore, ma anche del suo contesto nonché del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia di cui trattasi (sentenza del 27 giugno 2012, Microsoft/ Commissione, T‑167/08, EU: T:2012:323, punto 99).

660    Orbene, anzitutto, occorre ricordare che le ragioni per le quali la Commissione ha ritenuto che gli ARR per portafoglio presentassero un carattere abusivo sono esposte ai punti da 1188 a 1336 della decisione impugnata, dedicati al carattere abusivo degli ARR per portafoglio. Al riguardo, nell’ambito di tale ragionamento, la Commissione ha dedicato i punti da 1286 a 1304 alla copertura dei mercati nazionali dei servizi di ricerca generale da parte della pratica contestata.

661    Alla luce di detto ragionamento e dell’argomento di Google a tal proposito nell’ambito della terza parte del presente motivo, il Tribunale considera, da un lato, che Google ha potuto utilmente contestare l’analisi effettuata su tale punto dalla Commissione e, dall’altro, che esso è in grado di valutarne la fondatezza.

662    Pertanto, occorre respingere in quanto infondata la censura vertente su un difetto di motivazione asserita da Google.

4.      Sulla terza parte, riguardante la constatazione di una restrizione della concorrenza

663    Google sostiene, il che è contestato dalla Commissione, che la decisione impugnata non analizza correttamente, alla luce di tutte le circostanze pertinenti, la condizione di preinstallazione unica inclusa negli ARR per portafoglio al fine di dimostrare i suoi effetti preclusivi.

664    In primo luogo, la decisione impugnata non terrebbe conto della modesta quota di mercato coperta dalla pratica contestata e del suo impatto trascurabile. In secondo luogo, la decisione impugnata valuterebbe erroneamente la possibilità per gli ARR per portafoglio di escludere concorrenti ipoteticamente almeno altrettanto efficienti, in particolare la capacità di questi ultimi di compensarli. In terzo luogo, la Decisione ignorerebbe le condizioni di concessione dei pagamenti di cui trattasi, che lascerebbero agli utenti libero accesso ai concorrenti. In quarto luogo, la Commissione non avrebbe effettuato un test controfattuale valido.

a)      Sulla copertura e sullimpatto degli ARR per portafoglio

1)      Decisione impugnata

665    Secondo la decisione impugnata, la Commissione ha ritenuto che gli ARR per portafoglio coprissero una «parte significativa» dei mercati nazionali dei servizi di ricerca generale (punto 1286 della decisione impugnata).

666    In primo luogo, per sostenere tale constatazione, la Commissione sottolinea che gli ARR per portafoglio sono stati conclusi con i principali OEM che vendevano smartphone Google Android e con i principali MNO attivi sul mercato europeo. Gli OEM interessati avrebbero venduto nel mercato europeo, secondo la Commissione, circa l’[80‑90]% degli smartphone Google Android nel periodo compreso tra il 2011 e il 2012. Tenendo altresì conto del fatto che gli smartphone Google Android rappresentavano il 56% di tutti gli smartphone venduti nel periodo compreso tra il 2011 e il 2012, la Commissione ne deduce che gli ARR per portafoglio coprivano, durante tale periodo, il [40‑50]% di tutti gli smartphone venduti. La Commissione precisa al riguardo di non aver incluso tutti gli smartphone venduti dagli MNO nell’ambito dei loro ARR per portafoglio, i quali rappresentavano, per i due MNO presi in considerazione, solo una parte molto limitata delle vendite citate (punti da 1287 a 1289 e nota a piè di pagina n. 1376 della decisione impugnata).

667    In secondo luogo, la Commissione osserva che la percentuale delle richieste di ricerca effettuate su tutti i dispositivi mobili attraverso Google Search è aumentata in modo significativo tra il 2012 e il 2014 per raggiungere quasi il [30‑40]% delle richieste di Google nel 2014 nel SEE (punto 1290 della decisione impugnata).

668    In terzo luogo, la Commissione menziona la sostituzione, a partire dal 2013, degli ARR per portafoglio con gli ARR per dispositivi, i quali coprivano rispettivamente quasi il [50‑60]% e quasi il [60‑70]% dei dispositivi Google Android nel 2013 e nel 2014. Del pari, la Commissione sottolinea che Google Search era impostato come predefinito nel browser di Apple, Safari, e ciò per tutti gli iPhones. Google Search sarebbe quindi preinstallato o impostato come predefinito su un browser per gran parte dei restanti dispositivi mobili o dei PC (punti da 1291 a 1293, e 1298 della decisione impugnata).

669    In quarto luogo, la percentuale di richieste di ricerca a partire dai dispositivi Google Android corrispondeva rispettivamente al [10‑20]% e al [10‑20]% di tutte le richieste di ricerca di Google effettuate nel 2013 e nel 2014 all’interno del SEE (punto 1294 della decisione impugnata; dati che non sono disponibili per il 2011 e il 2012).

670    In quinto luogo, in risposta a un argomento di Google sull’«impatto» minimo degli ARR per portafoglio anche alla luce di taluni dati presi in considerazione nella comunicazione degli addebiti per quanto riguarda la possibilità per i servizi di ricerca generale concorrenti di eguagliare il livello dei pagamenti concessi agli OEM o agli MNO di cui trattasi (v. punti da 1225 a 1271 della decisione impugnata), la Commissione afferma che, sebbene tale «impatto» sembrasse minimo a Google, era tuttavia significativo per tali servizi, in particolare in quanto le richieste di ricerca menzionate nell’ambito di tale analisi avrebbero costituito per essi una «quantità significativa di ricerche supplementari» in un momento cruciale dello sviluppo della ricerca generale, vale a dire il passaggio dalla ricerca generale su PC alla ricerca generale su dispositivi mobili (punti da 1299 a 1302 della decisione impugnata). La Commissione sostiene altresì che il carattere significativo della copertura dei mercati nazionali dei servizi di ricerca generale, da parte della pratica contestata, risulta dal fatto che il tipo di ricerca di cui trattasi consentiva di ottenere dati di localizzazione preziosi che potevano, in quanto tali, migliorare il servizio di ricerca generale e gli introiti pubblicitari che ne derivavano (punto 1298 della decisione impugnata).

2)      Argomenti delle parti

671    Google osserva che, ai punti 1286, 1287 e 1295 della decisione impugnata, la Commissione sostiene che gli ARR per portafoglio «coprivano una parte significativa dei mercati nazionali rilevanti dei servizi di ricerca generale» per il motivo che tali ARR venivano applicati agli «OEM più importanti» che distribuivano i dispositivi Google Android e ai «principali MNO attivi nel SEE». Tale valutazione non terrebbe conto del tasso di copertura della pratica contestata. Infatti, un’analisi adeguata della copertura degli ARR per portafoglio dipenderebbe dalla percentuale delle richieste di ricerca imputabili ai dispositivi Google Android e dalla percentuale dei dispositivi Google Android sottoposti a ARR per portafoglio.

672    Orbene, in media, Google afferma al punto 262 del ricorso o, tenendo conto delle osservazioni presentate a tal riguardo dalla Commissione, al punto 172 della replica, che gli ARR per portafoglio coprirebbero soltanto lo [0‑5]% dei «mercati» nazionali di ricerca generale durante il periodo dell’abuso asserito. Infatti, tali «mercati» comprenderebbero, secondo il punto 353 della decisione impugnata, «le ricerche tramite PC e dispositivi mobili intelligenti» e gli ARR per portafoglio, che si applicavano solo a taluni smartphone, rappresenterebbero solo una parte non significativa delle richieste effettuate durante il periodo rilevante. Analogamente, numerosi OEM e MNO non avrebbero mai firmato ARR per portafoglio. Un tasso di copertura dello [0‑5]% in media durante il periodo compreso tra il 2011 e il 2014 non consentirebbe quindi di concludere che tali ARR hanno reso l’accesso ai mercati rilevanti «più difficile, se non addirittura impossibile» per i concorrenti. Un tasso del genere sarebbe, del resto, notevolmente inferiore alla copertura del mercato delle pratiche ritenute abusive in casi precedenti, che erano del 39, 40 o 85%.

673    In risposta alla censura della Commissione secondo cui Google ha utilizzato cifre relative ai dispositivi venduti e non ai dispositivi utilizzati, Google sostiene che la stessa decisione impugnata ha tenuto conto dei dispositivi venduti come un indicatore della copertura del mercato. Google aggiunge che, anche modificando i suoi calcoli per includere i dispositivi utilizzati, considerando che ogni dispositivo venduto ha una durata di vita stimata in circa due anni, l’incidenza sulla copertura resta minima.

674    In via incidentale, Google rileva che, secondo la Commissione, come risulta dal punto 1226 della decisione impugnata, i servizi di ricerca concorrenti avrebbero potuto raggiungere, al massimo, lo [0‑5]% delle richieste sui dispositivi Google Android soggetti alla ripartizione dei ricavi se la loro applicazione fosse stata preinstallata accanto all’applicazione Google Search. Così, tenuto conto dei mercati presi in considerazione e secondo l’analisi propria della Commissione, l’impatto degli ARR per portafoglio sulle quote delle richieste di ricerca generale nel SEE sarebbe estremamente lieve per ogni anno dell’asserita infrazione.

675    Pertanto, tenuto conto della scarsa copertura degli ARR per portafoglio contestati e del loro impatto trascurabile, le ragioni addotte per concludere che la copertura della condizione di preinstallazione unica era «significativa» non dovrebbero essere accolte.

676    In sostanza, la Commissione sostiene che la copertura degli ARR per portafoglio suggerita da Google non indebolirebbe la conclusione formulata nella decisione impugnata sull’ampiezza di tale copertura per le ragioni ivi menzionate.

677    In particolare, le vendite annuali non potrebbero essere assimilate al numero di dispositivi coperti dagli ARR per portafoglio, senza tener conto delle vendite effettuate, negli anni precedenti, dei dispositivi ancora in uso. Inoltre, il calcolo dell’impatto di Google si baserebbe, senza ulteriori spiegazioni, sulla quota di mercato contestabile dello [0‑5]% anziché della quota contestabile del 22,5%, raggiungibile da un concorrente nell’ipotesi in cui il suo servizio di ricerca fosse impostato come predefinito su un browser Internet mobile preinstallato diverso da Chrome.

678    La VDZ sostiene, dal canto suo, che il grado di copertura del mercato è irrilevante, poiché occorrerebbe tutelare la concorrenza al massimo non appena il mercato è dominato. In tale contesto, gli ARR per portafoglio contribuirebbero a rafforzare la posizione dominante di Google impedendo agli OEM di offrire un multihoming.

3)      Giudizio del Tribunale

679    Occorre ricordare che nell’ipotesi in cui, come nel caso di specie, l’impresa considerata sostenga, nel corso del procedimento amministrativo, sulla base di elementi di prova, che una pratica di esclusiva, di cui essa è all’origine, non ha avuto la capacità di restringere la concorrenza e, in particolare, di produrre gli effetti di esclusione dal mercato ad essa addebitati dalla Commissione, quest’ultima è tenuta in particolare ad analizzare il tasso di copertura del mercato ad opera della pratica contestata (v., in tal senso, sentenza del 6 settembre 2017, Intel/Commissione, C‑413/14 P, EU:C:2017:632, punti 138 e 139).

680    Un’analisi del genere consente di determinare l’effetto di chiusura del mercato rilevante imputabile alla pratica contestata al fine, in particolare, di stabilire quale sia la quota sottratta alla concorrenza a causa dell’esclusiva conferita dai pagamenti controversi.

681    Orbene, dal punto 1286 della decisione impugnata risulta inequivocabilmente che la Commissione ha ritenuto che gli ARR per portafoglio, conclusi da Google con taluni OEM e MNO, coprissero una parte significativa dei mercati nazionali dei servizi di ricerca generale all’interno del SEE.

682    Dalla decisione impugnata risulta altresì che tali diversi mercati includono tutte le ricerche generali effettuate a partire da tutti i tipi di dispositivi, compresi i dispositivi mobili non Android e i PC (v., ad esempio, punto 353 della decisione impugnata).

683    Come sostenuto da Google al riguardo, dai vari esempi relativi alla prassi anteriore della Commissione risulta altresì che quest’ultima ha considerato significativi tassi di copertura del mercato rilevante compresi tra il 39% e l’85%.

684    Nel caso di specie, tuttavia, il tasso di copertura della pratica contestata considerato significativo dalla Commissione è, in quanto tale, notevolmente inferiore a quelli considerati in precedenza dalla Commissione nella sua prassi anteriore. Infatti, secondo i dati forniti da Google al riguardo, esso sarebbe inferiore al 5% del mercato definito dalla Commissione.

685    Benché la Commissione sostenga che il tasso di copertura indicato da Google nel ricorso e successivamente nella replica sottovaluti il numero di dispositivi in circolazione coperti dagli ARR per portafoglio nel corso del periodo pertinente dell’infrazione, resta il fatto che i dati e le spiegazioni presentati da Google a tal proposito consentono di ritenere che il calcolo presentato da Google sia verosimile.

686    Ciò è tanto più vero in quanto la Commissione, pur essendo tenuta a farlo in conformità alla giurisprudenza citata al precedente punto 679, ha omesso di indicare quale sarebbe la propria stima del tasso di copertura degli ARR per portafoglio, per quanto riguarda i diversi mercati, che essa stessa ha considerato rilevanti ai fini della sua analisi.

687    Infatti, risulta che, per concludere che gli ARR per portafoglio coprivano una parte significativa dei mercati nazionali dei servizi di ricerca generale all’interno del SEE, gli argomenti dedotti dalla Commissione nella decisione impugnata vertono, o su un solo segmento dei diversi mercati rilevanti, ossia quello corrispondente alle richieste di ricerca generale effettuate a partire da un dispositivo mobile intelligente, o su elementi non aventi alcun rapporto con l’incidenza della pratica contestata su tali mercati.

688    In primo luogo, la Commissione osserva quindi, ai punti da 1287 a 1289 della decisione impugnata, da un lato, che gli ARR per portafoglio vincolano, in sostanza, OEM (la Commissione ne cita tre) e MNO (la Commissione ne cita quattro) importanti all’interno del SEE e, dall’altro, che quelli che vincolano gli OEM rappresentavano il [40‑50]% di tutti gli smartphone venduti in Europa nel 2011 e nel 2012. Tuttavia, tali constatazioni non consentono di sostenere quella di una copertura significativa dei mercati nazionali dei servizi di ricerca generale da parte degli ARR per portafoglio. Tali constatazioni dimostrano che si incide su un solo segmento di tali mercati, quello della ricerca mobile. Tale quota deve essere tanto più relativizzata in quanto dal punto 1288 della decisione impugnata risulta che la quota degli smartphone Google Android venduti dagli OEM e interessati dagli ARR per portafoglio si è gradualmente ridotta dal 2011 al 2014 per passare dal [70‑80]% nel 2011 al [5‑10]% nel 2014.

689    È vero che dal punto 1292 della decisione impugnata risulta che, a partire dal 2013, anno in cui la percentuale degli smartphone Google Android interessati dagli ARR per portafoglio si è notevolmente ridotta, Google ha progressivamente sostituito gli ARR per portafoglio con ARR per dispositivi. La Commissione osserva che questi ultimi hanno riguardato il [50‑60]% e il [60‑70]% degli smartphone Google Android venduti nel 2013 e nel 2014. Tuttavia, il tasso di copertura di una pratica di esclusiva asseritamente anticoncorrenziale non può essere, in linea di principio, dimostrato tenendo conto di pratiche che non sono considerate esse stesse anticoncorrenziali. È quindi indifferente ai fini della valutazione del tasso di copertura degli ARR per portafoglio che questi ultimi siano stati progressivamente sostituiti con gli ARR per dispositivi a partire dal 2013.

690    In secondo luogo, ai punti 1290 e 1297 della decisione impugnata, la Commissione sottolinea che le richieste di ricerca generale effettuate a partire da Google Search su tutti i dispositivi mobili sono costantemente aumentate tra il 2012 e il 2014 e rappresentano il [30‑40]% di tutte le richieste di Google, all’interno del SEE, nel 2014. Tuttavia, tale constatazione consente, non di dimostrare la copertura asseritamente significativa degli ARR per portafoglio sui mercati nazionali dei servizi di ricerca generale, ma solo l’importanza per Google di Google Search quale punto di accesso su dispositivi mobili.

691    In terzo luogo, ai punti 1293 e 1298 della decisione impugnata, la Commissione fonda la copertura asseritamente significativa dei mercati nazionali dei servizi di ricerca generale mediante gli ARR per portafoglio sulla constatazione secondo cui Google Search è impostato come predefinito sul browser Safari integrato nei dispositivi mobili venduti da Apple. Tuttavia, come sostenuto da Google, il suo accordo con Apple non figura tra gli ARR per portafoglio considerati nella decisione impugnata.

692    In quarto luogo, al punto 1294 della decisione impugnata, la Commissione osserva che la percentuale di richieste di ricerca a partire dai dispositivi mobili Google Android corrispondeva rispettivamente al [10‑20]% e al [10‑20]% di tutte le richieste di ricerca di Google effettuate nel 2013 e nel 2014. Tuttavia, tale constatazione non corrobora, al contrario, l’esistenza di una copertura asseritamente significativa dei mercati nazionali dei servizi di ricerca generale. Infatti, anche supponendo, quod non, che tutti i dispositivi mobili Google Android fossero oggetto degli ARR per portafoglio negli anni 2013 e 2014, e che Google detenesse, quod non, sebbene le sue quote di mercato fossero vicine a tale traguardo, tutte le quote di mercato sui mercati nazionali dei servizi di ricerca generale, la copertura teorica degli ARR per portafoglio sui mercati nazionali dei servizi di ricerca generale non poteva, nel 2013 e nel 2014, superare, rispettivamente, il [10‑20]% e il [10‑20]% dei mercati nazionali dei servizi di ricerca generale. La Commissione, nella sua risposta a un quesito posto dal Tribunale prima dell’udienza di discussione, ha espressamente ammesso il risultato di tale calcolo puramente teorico.

693    In tali circostanze, il tasso di copertura dei mercati rilevanti, da parte della pratica contestata, non può essere qualificato come significativo,

694    È vero che, in risposta a un argomento di Google sull’«impatto» minimo degli ARR per portafoglio anche alla luce di taluni dati presi in considerazione nella comunicazione degli addebiti per quanto riguarda la possibilità per i servizi di ricerca generale concorrenti di eguagliare il livello dei pagamenti concessi agli OEM o agli MNO di cui trattasi (v. punti da 1225 a 1271 della decisione impugnata), la Commissione afferma che, sebbene tale «impatto» sembrasse minimo a Google, era tuttavia significativo per tali servizi, in particolare in quanto le richieste di ricerca menzionate nell’ambito di tale analisi avrebbero costituito per essi una «quantità significativa di ricerche supplementari» in un momento cruciale dello sviluppo della ricerca generale, quello del passaggio dalla ricerca generale su PC alla ricerca generale su dispositivi mobili (punti da 1299 a 1302 della decisione impugnata). La Commissione sostiene altresì, in risposta a un altro argomento, che il carattere significativo della copertura dei mercati nazionali dei servizi di ricerca generale, da parte della pratica contestata, risulta dal fatto che il tipo di ricerca di cui trattasi consentiva di ottenere dati di localizzazione preziosi che potevano, in quanto tali, migliorare il servizio di ricerca generale e gli introiti pubblicitari che ne derivavano (punto 1298 della decisione impugnata).

695    Riferite al ragionamento esposto nella decisione impugnata ed esaminato in precedenza, tali osservazioni non possono essere tuttavia sufficienti per dimostrare il carattere significativo della copertura dei mercati rilevanti da parte della pratica contestata.

696    Diverso sarebbe stato il caso se la Commissione avesse scelto di sostenere, cosa che non ha fatto, che, nonostante un tasso di copertura dei mercati rilevanti, da parte della pratica contestata, che non era significativo, il segmento coperto da tale pratica o anche semplicemente gli OEM e gli MNO in questione avevano un’importanza strategica tale che l’effetto di chiusura imputabile a tale pratica poteva escludere i servizi di ricerca generale concorrenti di Google dai mercati rilevanti. Ciò avrebbe allora privato tali servizi concorrenti di possibilità sufficienti per esercitare la concorrenza basata sui meriti entrando o sviluppandosi in tali mercati, in un momento in cui sia per Google che per i suoi concorrenti, come Microsoft, era importante affrontare le sfide del passaggio dalla ricerca generale su PC alla ricerca generale su dispositivi mobili.

697    Siffatta dimostrazione non risulta dalla decisione impugnata, in cui è semplicemente abbozzata e insufficientemente suffragata dalla Commissione in una parte che inizia con l’affermazione secondo cui la sua conclusione, in base alla quale gli ARR per portafoglio coprono una parte significativa dei mercati nazionali dei servizi di ricerca generale, non è rimessa in discussione dagli argomenti di Google al riguardo (v.punto 1295 della decisione impugnata).

698    Dall’intera analisi relativa alla copertura degli ARR per portafoglio risulta che essa è stata erroneamente qualificata, al punto 1286 della decisione impugnata, come «significativa». Tale errore deve essere preso, pertanto, in considerazione per valutare la natura abusiva intrinseca degli ARR per portafoglio.

699    Occorre, inoltre, esaminare gli argomenti tratti da Google dagli errori in cui è incorsa la Commissione nella valutazione delle condizioni in cui il vantaggio concorrenziale conferito dagli ARR per portafoglio poteva essere compensato da un concorrente almeno altrettanto efficiente.

b)      Sulla compensazione degli ARR per portafoglio

1)      Decisione impugnata

700    Nella decisione impugnata la Commissione sottolinea che un servizio di ricerca generale concorrente non potrebbe compensare la perdita di introiti pubblicitari che subirebbero gli OEM e gli MNO di cui trattasi nel caso in cui un’applicazione concorrente dovesse essere preinstallata accanto a Google Search. In primo luogo, la Commissione si basa sui seguenti dati (punti da 1225 a 1271 della decisione impugnata).

701    Anzitutto, un servizio di ricerca generale concorrente potrebbe, secondo la Commissione, sperare di contestare al massimo solo lo [0‑5]% delle richieste di ricerca effettuate su un dispositivo mobile, nel caso in cui la sua applicazione dovesse essere preinstallata accanto a Google Search. Tale quota contestabile raggiungerebbe il 22,5%, secondo la Commissione, se, oltre alla preinstallazione di un’applicazione concorrente, gli OEM e gli MNO impostassero come predefinito un motore di ricerca concorrente su un browser Internet mobile diverso da Chrome.

702    Sotto un primo profilo, la Commissione sottolinea che, a causa degli ADAM, un’applicazione concorrente di Google Search potrebbe essere preinstallata solo ad integrazione di quest’ultimo, e non al suo posto. Sussisterebbe altresì confusione, secondo taluni OEM e secondo taluni dipendenti di Google, per quanto riguarda l’obbligo imposto, nell’ambito degli ADAM, di impostare come predefinito il motore di ricerca di Google sui browser Internet mobile diversi da Chrome. Nel caso di un’impostazione come predefinito del motore di ricerca di Google su tutti i browser Internet mobile, il meglio che avrebbe potuto sperare un servizio concorrente era di ottenere la preinstallazione, accanto a Google Search, della sua applicazione mobile.

703    Sotto un secondo profilo, la Commissione esamina dettagliatamente il calcolo della quota contestabile, in caso di preinstallazione di un’applicazione di ricerca concorrente accanto a Google Search. Da un lato, essa tiene conto della percentuale di richieste di ricerca (12%) effettuate su PC da tutti i servizi di ricerca generale concorrenti nel periodo compreso tra il 2011 e il 2014 e applica tale percentuale al caso di richieste di ricerca effettuate a partire da un dispositivo mobile. D’altro lato, essa tiene conto della percentuale per Google di richieste di ricerca provenienti da Google Search [30‑40]%. La quota contestata corrisponde quindi allo [0‑5]% delle richieste di ricerca provenienti da tale applicazione. Ciò vale in quanto, in applicazione degli ADAM, ogni applicazione dei servizi di ricerca concorrente deve essere preinstallata, in tale ipotesi, accanto a Google Search. Secondo la Commissione, tale percentuale sarebbe favorevole a Google.

704    Sotto un terzo profilo, la Commissione esamina dettagliatamente il calcolo della quota contestabile, in caso di impostazione come predefinito supplementare di un motore di ricerca concorrente in un browser Internet mobile diverso da Chrome, vale a dire il 22,5%. Tale percentuale risulta dalla somma della quota contestabile delle richieste di ricerca attraverso un’applicazione mobile [0‑5]% e della quota delle richieste di ricerca ottenute da Google attraverso la barra URL di un browser Internet mobile [10‑20]%.

705    Inoltre, la Commissione osserva che gli OEM e gli MNO ricevevano tra lo [0‑20]% e il [30‑50]% degli introiti pubblicitari di Google coperti dagli ARR per portafoglio.

706    Infine, gli ARR per portafoglio coprirebbero, secondo la Commissione, solo gli introiti pubblicitari generati a partire dal [70‑80]% delle richieste di ricerca di Google. Infatti, la Commissione sottolinea che gli ARR per portafoglio non riguardano i redditi generati a partire dalla pagina Internet iniziale di Google.

707    In secondo luogo, alla luce di tali dati, la Commissione sostiene che un servizio di ricerca generale concorrente si sarebbe trovato nell’impossibilità di compensare la perdita di reddito su tutti i dispositivi oggetto degli ARR portafoglio. La Commissione prende in considerazione due possibili ipotesi distinte, le quali variano a seconda dell’esistenza o meno, nell’ambito degli ADAM, dell’obbligo di impostare il motore di ricerca di Google come predefinito su altri browser Internet mobile.

708    Da un lato, in caso di assenza di un siffatto obbligo, la Commissione afferma che, per fare concorrenza ad una ripartizione dei ricavi pari al [30‑40]%, un servizio concorrente dovrebbe rinunciare a più del 100% dei suoi introiti pubblicitari. Per fare concorrenza ad una ripartizione dei ricavi pari al [10‑20]%, la Commissione aggiunge che un servizio concorrente dovrebbe rinunciare a più del [70‑80]% dei suoi introiti pubblicitari. Tale percentuale cala al [50‑60]% in caso di ripartizione, da parte di Google, del [10‑20]% dei suoi introiti pubblicitari e al [30‑40]% in caso di ripartizione, da parte di Google, del [10‑20]% di detti introiti. Tali differenze si spiegano nel senso che, mentre Google ripartisce quasi il [70‑80]% dei suoi introiti pubblicitari, un servizio concorrente potrebbe ripartire, a seconda della quota contestabile, tutt’al più, solo il 22,5% di tali introiti.

709    Analogamente, la Commissione sottolinea che tale calcolo vale solo se i servizi concorrenti sono presenti, nel caso di una ripartizione pari al [10‑20]%, almeno sul [70‑80]% dei dispositivi mobili coperti dagli ARR per portafoglio, nel caso di una ripartizione pari al [10‑20]%, almeno sul [50‑60]% dei dispositivi mobili e, nel caso di una ripartizione pari al [10‑20]%, almeno sul [30-40]% dei dispositivi mobili. Nel caso di una ripartizione pari al [30-40]%, la compensazione sarebbe in ogni caso impossibile.

710    La preinstallazione di servizi di ricerca generale concorrenti su un gran numero di dispositivi mobili si rivelerebbe difficile in pratica, in particolare per i servizi di ricerca generale che puntano ad una parte limitata di consumatori, come quello della Seznam che si rivolge a coloro che parlano la lingua ceca. La difficoltà sarebbe tanto maggiore in quanto i servizi di ricerca generale concorrenti potrebbero sperare di essere preinstallati solo sui nuovi dispositivi mobili, e non su quelli già in circolazione. Maggiore è il numero di dispositivi mobili Google Android in circolazione, più elevata sarebbe la percentuale di redditi ai quali dovrebbero rinunciare i servizi concorrenti per compensare gli ARR per portafoglio.

711    D’altro lato, l’ipotesi dell’esistenza di un siffatto obbligo di impostare Google Search come predefinito su un browser Internet mobile preinstallato diverso da Chrome non lascerebbe, secondo la Commissione, alcun dubbio. Infatti, per compensare anche solo una ripartizione, da parte di Google, del [10‑20]% dei suoi introiti pubblicitari, un servizio concorrente dovrebbe offrire più del 100% degli stessi introiti. A ciò si aggiungerebbe il vincolo relativo alla preinstallazione dell’applicazione concorrente su un numero verosimilmente limitato di dispositivi mobili oggetto degli ARR per portafoglio.

2)      Argomenti delle parti

712    Google sostiene che, a causa della limitata copertura di mercato degli ARR per portafoglio, del libero accesso degli utenti ai concorrenti e della possibilità per concorrenti altrettanto efficienti di eguagliare i pagamenti che essa effettua nell’ambito degli ARR per portafoglio, è errato ritenere che questi ultimi consentissero di escludere concorrenti altrettanto efficienti. Infatti, in base alla propria analisi della decisione impugnata, concorrenti altrettanto efficienti o addirittura meno efficienti avrebbero potuto eguagliare i pagamenti nell’ambito degli ARR per portafoglio.

713    In primo luogo, Google sostiene che la maggior parte degli ARR per portafoglio comportava pagamenti del [10‑20]% dei redditi da ricerca e che i pagamenti superiori al [20‑30]% erano estremamente rari. Orbene, dai calcoli presentati nella decisione impugnata, in particolare al punto 1243, risulterebbe che concorrenti altrettanto efficienti (o addirittura meno efficienti) potevano compensare gli ARR per portafoglio che offrivano pagamenti fino al [20‑30]%. Più precisamente, la decisione impugnata affermerebbe che «per un OEM o per un MNO che ha ricevuto un pagamento di ripartizione dei ricavi per portafoglio del [20-30]% da parte di Google, un servizio di ricerca generale concorrente avrebbe dovuto offrire una parte dei suoi ricavi superiore al [70‑80]%». Così, secondo la decisione impugnata, i concorrenti potevano compensare tali ARR per portafoglio conservando, al contempo, un margine approssimativo del [30-40]% proveniente dai redditi da ricerca su dispositivi coperti dagli stessi. Tale margine sarebbe pari al [60-70]% per quanto riguarda i pagamenti di ripartizione dei ricavi di Google pari al [10‑20]%.

714    La decisione impugnata menzionerebbe tuttavia, al punto 1246, il fatto che i concorrenti non avrebbero avuto alcun margine proveniente dai redditi da ricerca dei dispositivi coperti quando i pagamenti di ripartizione dei ricavi di Google raggiungevano un livello pari al [40‑50]%, ma ciò riguarderebbe solo due MNO. Nessun altro partner avrebbe ricevuto il pagamento di una ripartizione dei ricavi a tale livello. Orbene, l’accordo con uno di questi due MNO partner è stato concluso prima che Google diventasse asseritamente dominante ed è cessato quasi un anno prima dell’asserita infrazione e l’accordo con il secondo MNO partner riguarderebbe solo alcuni Stati membri del SEE, come risulta dai punti 208 e 209 della decisione impugnata. Poiché la copertura degli ARR per portafoglio era assai limitata nel suo insieme, la copertura di questi due ARR per portafoglio sarebbe stata notevolmente ancor più limitata. La decisione impugnata non potrebbe quindi dimostrare probabili effetti preclusivi per tali accordi.

715    In secondo luogo, Google sostiene che l’analisi della decisione impugnata sulla capacità dei concorrenti di eguagliare i pagamenti degli ARR per portafoglio contiene vari errori che inficiano la sua conclusione secondo la quale un servizio di ricerca generale concorrente non avrebbe potuto compensare, per un OEM o un MNO, la perdita dei pagamenti di Google in forza degli ARR pertinenti.

716    Infatti, il margine che un servizio di ricerca concorrente potrebbe raggiungere eguagliando le ripartizioni dei ricavi di Google dipenderebbe dalla quota di richieste che un concorrente altrettanto efficiente e attraente può aspettarsi di ottenere quando la sua applicazione è preinstallata accanto a Google, dalla percentuale di dispositivi per i quali un OEM o un MNO sarebbero disposto a preinstallare un concorrente e dai costi di un concorrente altrettanto efficiente. Su tali punti, la decisione impugnata commetterebbe errori che, una volta rettificati, dimostrerebbero che i concorrenti avrebbero potuto fare un’offerta più alta rispetto agli ARR per portafoglio di Google, ivi compresi gli ARR che offrivano il [40‑50]% di ripartizioni dei ricavi.

717    Sotto un primo profilo, un concorrente altrettanto efficiente avrebbe potuto ottenere ben più del 12% delle richieste di ricerca dell’applicazione Google Search se l’applicazione di ricerca concorrente fosse stata anch’essa preinstallata. A titolo illustrativo, la Seznam avrebbe ottenuto, nella Repubblica ceca, fino al 26% delle quote annue di richieste di ricerca generale sui PC durante il periodo dell’asserito abuso. Un concorrente altrettanto attraente e altrettanto efficiente potrebbe quindi ottenere almeno il 26% delle richieste di ricerca generale.

718    Sotto un secondo profilo, un concorrente altrettanto efficiente avrebbe potuto ottenere richieste attraverso la sua pagina iniziale e generare, attraverso tale punto di accesso, ricavi che potevano essere ripartiti. Sebbene Google non ripartisca tali ricavi, un concorrente almeno altrettanto efficiente potrebbe fare un’offerta più alta, ripartendo tali ricavi.

719    Sotto un terzo profilo, un concorrente altrettanto efficiente avrebbe potuto ottenere richieste supplementari attraverso l’impostazione predefinita di un browser Internet mobile, senza che gli ADAM la vietassero. Le dichiarazioni di tre OEM, citate nella decisione impugnata, non proverebbero che gli OEM avessero mal comprese le condizioni dell’ADAM. Tale questione dovrebbe essere valutata, in ogni caso, in base ai termini oggettivi dell’ADAM, non su fraintendimenti. Inoltre, tali dichiarazioni non indicherebbero che gli OEM non potessero impostare come predefinito un altro browser o un altro servizio di ricerca nella barra URL di altri browser. Altri documenti dimostrerebbero che gli OEM erano liberi, in forza dell’ADAM, di impostare servizi di ricerca concorrenti come predefiniti sui browser e confermerebbero che gli OEM avevano compreso che così avveniva. La decisione impugnata sopravvaluterebbe quindi l’asserito effetto preclusivo degli ARR di Google.

720    Sotto un quarto profilo, la decisione impugnata non spiegherebbe né perché un concorrente altrettanto efficiente possa ottenere una preinstallazione solo su una percentuale limitata dei dispositivi degli OEM, né perché a un determinato OEM sarebbe stato impedito di preinstallare doppioni di applicazioni su alcuni suoi dispositivi, ma non sugli altri, né perché le applicazioni concorrenti non potessero essere preinstallate su dispositivi già venduti durante il periodo nel corso del quale l’ARR veniva eseguito.

721    Sotto un quinto profilo, la decisione impugnata sopravvaluterebbe i costi di Google e di conseguenza sottostimerebbe il margine che un concorrente altrettanto efficiente potrebbe raggiungere eguagliando, al contempo, gli ARR per portafoglio di Google.

722    Secondo Google, un concorrente altrettanto efficiente avrebbe potuto attirare almeno il [30‑40]% delle richieste di ricerca se fosse stato preinstallato accanto a Google Search e impostato come predefinito. Esso avrebbe dovuto essere in grado di ottenere una preinstallazione su un intero portafoglio di dispositivi e avrebbe fatto fronte a costi soltanto del [5‑10]%. Di conseguenza, esso avrebbe potuto fare un’offerta più alta rispetto agli ARR per portafoglio di Google raggiungendo, al contempo, un margine compreso tra il [10‑20]% sugli ARR che danno luogo a pagamenti dal [40‑50]% al [70‑80]% sugli ARR che danno luogo a pagamenti del [10‑20]%.

723    Dal canto suo, la Commissione, in primo luogo, osserva che l’analisi dell’incapacità dei concorrenti altrettanto efficienti di compensare i pagamenti di Google è solo uno tra più fattori per determinare la capacità degli ARR per portafoglio di restringere la concorrenza. Inoltre, l’applicazione del test AEC non sarebbe pertinente in una situazione in cui il mercato è strutturato in modo tale che la comparsa di un concorrente altrettanto efficiente è praticamente impossibile.

724    La Commissione ritiene altresì che, nel caso di specie, sarebbe irrealistico non tener conto della posizione dominante di Google nella ricerca generale, la quale amplificherebbe l’effetto leva di cui Google beneficerebbe concludendo ARR per portafoglio con gli OEM e con gli MNO. Le motivazioni di Google per concludere tali ARR sarebbero anch’esse pertinenti, al pari dell’obiettivo degli ARR di fare in modo che gli OEM e gli MNO ottengano da Google la risposta a tutto il loro fabbisogno in materia di servizi di ricerca generale sui dispositivi inclusi nella fascia convenuta.

725    In secondo luogo, per quanto riguarda la valutazione degli ARR per portafoglio, la Commissione insiste sulla mancanza di uniformità degli ARR nonché sull’esistenza di restrizioni imposte agli OEM presenti negli ADAM. La decisione impugnata osserva al riguardo che esisterebbero diversi punti di accesso per le ricerche su un dispositivo Google Android già configurati a vantaggio di Google dagli ADAM con l’obbligo di preinstallare l’applicazione Google Search sulla schermata iniziale del dispositivo e di preinstallare Google Chrome, essendo Google impostato come predefinito per la ricerca generale.

726    In tale contesto, Google versava agli OEM e agli MNO una percentuale compresa tra lo [0‑10]% e il [30‑40]% degli introiti pubblicitari netti di Google generati dalle ricerche Google su una fascia di dispositivi definita, a partire dall’applicazione Google Search, dalla barra degli indirizzi di Chrome e dalla barra URL di tutti gli altri browser Internet mobile. Tali pagamenti erano subordinati all’obbligo per l’OEM o per l’MNO di mantenere l’esclusiva, vale a dire di non installare, su qualsiasi dispositivo della fascia interessata, un qualsivoglia servizio simile a Google Search.

727    La Commissione ricorda altresì che la questione se gli ADAM impedissero agli OEM di impostare un altro servizio di ricerca generale come predefinito in un browser che tali OEM potevano aver preinstallato oltre a Chrome era un motivo di incertezza per gli OEM. Taluni OEM avrebbero inteso che il loro ADAM imponeva loro di fare del servizio di ricerca generale di Google il servizio predefinito per tutti i punti di accesso sui dispositivi della loro fascia. Tuttavia, al fine di determinare se un servizio di ricerca generale concorrente potesse eguagliare i pagamenti di Google, la Commissione è partita dal principio favorevole a Google che gli ADAM non imponevano siffatta restrizione. Gli argomenti di Google a tal proposito sarebbero quindi inoperanti.

728    In terzo luogo, sotto un primo profilo, le censure formulate da Google riguardo all’iter logico seguito nella decisione impugnata assumerebbero come punto di partenza una fase intermedia del calcolo, senza tener conto dell’analisi esposta successivamente in merito alla portata limitata dell’installazione che un concorrente poteva sperare di raggiungere. Tali osservazioni non sarebbero rimesse in discussione dalle critiche mosse in merito agli ARR per portafoglio conclusi con due MNO partner Android.

729    Sotto un secondo profilo, quanto all’argomento di Google volto a confutare la pertinenza del criterio del 12% relativo alla quota totale ottenuta dai concorrenti per le richieste di ricerca generale sui PC, per il motivo che tale criterio non rifletterebbe la quota che un concorrente poteva ottenere, la Commissione tiene a ricordare che la sua valutazione della capacità dei concorrenti di eguagliare i pagamenti di Google era favorevole a Google. La Commissione respinge parimenti tutti gli argomenti presentati da Google al riguardo.

730    Sotto un terzo profilo, quanto all’argomento di Google diretto a invocare la ripartizione, da parte dei concorrenti, dei proventi generati attraverso la pagina iniziale, sarebbe illusorio, secondo la Commissione, ritenere che tali concorrenti accettino di ripartire introiti che Google non ripartirebbe ai sensi dei propri ARR.

731    Sotto un quarto profilo, la decisione impugnata spiegherebbe con precisione perché sarebbe poco probabile che servizi di ricerca generale concorrenti siano stati installati su tutta la fascia di dispositivi di un OEM, quale sarebbe l’incidenza della preinstallazione dell’applicazione Google Search sui dispositivi già venduti, perché un servizio di ricerca concorrente non potrebbe compensare i pagamenti di Google, nonostante l’aumento delle vendite di nuovi dispositivi, e perché gli OEM non sarebbero in grado di concludere ARR con diversi servizi concorrenti allo scopo di compensare i pagamenti di Google.

732    Sotto un quinto profilo, quanto all’argomento di Google relativo ai costi, esso sarebbe inoperante se il Tribunale accettasse gli argomenti della Commissione relativi all’esattezza dell’analisi dell’impossibilità, per un concorrente, di allinearsi alle condizioni degli ARR per portafoglio. In ogni caso, tale argomento sarebbe infondato, in particolare in quanto i costi calcolati da Google non includerebbero una parte dei costi fissi, in particolare quelli di ricerca e di sviluppo (R&S).

3)      Giudizio del Tribunale

733    Google contesta alla Commissione di aver ritenuto che le imprese concorrenti fossero nell’impossibilità di compensare la perdita che subirebbero gli OEM e gli MNO nel caso in cui questi ultimi decidessero di preinstallare, accanto a Google Search, un’applicazione di ricerca generale concorrente.

734    Per giungere a tale conclusione, la Commissione ha effettuato, in particolare, un test AEC di cui Google contesta sia i risultati che la metodologia e le ipotesi quantitative considerate. Occorre pertanto esaminare gli errori asseriti da Google alla luce dei principi giurisprudenziali richiamati ai precedenti punti da 639 a 645.

i)      Sui costi attribuibili ad un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente

735    Secondo Google, ai punti 1265 e 1266 della decisione impugnata, la Commissione sopravaluterebbe i suoi costi e, correlativamente, sottovaluterebbe il margine che un servizio di ricerca concorrente potrebbe riservarsi se la sua applicazione dovesse essere preinstallata accanto a Google Search.

736    Infatti, la Commissione riterrebbe erroneamente che i costi di Google corrispondano al [10‑20]% dei suoi introiti pubblicitari e che, per far concorrenza a Google, un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente dovrebbe quantomeno riservarsi il [10‑20]% di introiti pubblicitari. Orbene, i costi sostenuti da Google e pertinenti ai fini dello svolgimento del test AEC sarebbero piuttosto dell’ordine, secondo Google, dello [0‑10]%. Anziché presumere i costi di Google, la Commissione avrebbe potuto avere agevolmente accesso a un’informazione precisa richiedendo l’accesso ai suoi dati finanziari.

737    La Commissione sostiene che la questione dei costi risulta irrilevante. La facoltà che Google attribuirebbe ad un concorrente altrettanto efficiente di dedurre soltanto lo [0‑10]% dai costi anziché il [10‑20]% sarebbe insufficiente per modificare il risultato dell’analisi effettuata nella decisione impugnata. Google non fornirebbe la prova contraria e occulterebbe, come affermato al punto 1267 della decisione impugnata, il fatto che un servizio di ricerca generale concorrente dovrebbe coprire anche una parte dei suoi costi fissi, in particolare i costi di R&S.

738    Inoltre, la censura relativa alla mancata presa in considerazione delle «informazioni pertinenti e disponibili» sarebbe, secondo la Commissione, infondata. I dati allegati da Google al ricorso non sarebbero stati forniti nel corso del procedimento amministrativo.

739    A tal proposito, occorre rilevare che un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente è un concorrente che, come sottolineato dalla Commissione al punto 1259 della decisione impugnata, presenta quantomeno la stessa capacità di produrre redditi e fa fronte a costi identici a quelli dell’impresa in posizione dominante. Tale requisito figura del resto negli orientamenti sugli abusi preclusivi. Infatti, la Commissione sottolinea, in sostanza, al punto 25 di detti orientamenti, che, per determinare se un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente rischi di essere escluso da pratiche di natura tariffaria, essa esamina, in particolare, quando sono disponibili, i dati economici relativi ai costi dell’impresa dominante.

740    Infatti, i costi da prendere in considerazione hanno un impatto diretto sul margine che un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente quanto Google potrebbe riservarsi se dovesse procedere a pagamenti di esclusiva per compensare, nel caso di specie, gli ARR per portafoglio. Più i costi da coprire sono bassi, più un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente può riservarsi un margine ampio e, correlativamente, ripartire ricavi più consistenti.

741    Oltre a tale osservazione preliminare, occorre, in primo luogo, rilevare che, al punto 1265 della decisione impugnata, la Commissione afferma che Google, nella sua risposta alla seconda lettera di esposizione dei fatti, avrebbe «riconosciuto» che i suoi costi cosiddetti «operativi» sarebbero del [10‑20]% e che, in sostanza, un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente quanto Google dovrebbe sostenere lo stesso livello di costi.

742    È vero che, nella sua risposta alla seconda lettera di esposizione dei fatti, Google ammette che il documento sul quale si fonda la Commissione, ossia un ARR per portafoglio concluso con un OEM, contiene una riga relativa ai «costi operativi», i quali sono quantificati in misura pari al [10‑20]%. Tuttavia, si deve necessariamente constatare che Google ha altresì chiaramente sottolineato che la percentuale considerata dalla Commissione non corrispondeva ai costi rilevanti ai fini dell’applicazione del test AEC, che dovevano essere costituiti dai costi marginali.

743    In effetti, Google ha informato la Commissione che tale percentuale non aveva alcun rapporto con i costi che un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente avrebbe dovuto sopportare. Essa corrisponderebbe solo alla riduzione operata sulla quota dei ricavi ripartiti con la controparte contrattuale, la quale sarebbe espressa solo in valore lordo, e non netto. Tale punto è stato sollevato da Google nella sua risposta alla prima lettera di esposizione dei fatti.

744    Pertanto, la Commissione non può sostenere, salvo snaturare la risposta di Google alla seconda lettera di esposizione dei fatti, che Google ha implicitamente acconsentito alla presa in considerazione di tale percentuale quali costi rilevanti per l’applicazione del test AEC.

745    In secondo luogo, Google, nella sua risposta alla seconda lettera di esposizione dei fatti, ha sottolineato che era compito della Commissione svolgere un’indagine adeguata al fine di definire con precisione i costi rilevanti. Google contestava, più precisamente, alla Commissione di aver ritenuto che i costi di cui si doveva tener conto nell’ambito del test AEC fossero del [10‑20]%, avendo ricavato tale percentuale da documenti trasmessi da terzi, e non da una risposta a una richiesta di informazioni rivoltale direttamente.  

746    Orbene, dal punto 25 degli orientamenti sugli abusi preclusivi risulta in particolare che, quando sono disponibili, la Commissione tiene conto dei dati economici provenienti dall’impresa dominante, cosicché la Commissione, nel caso di specie, ha omesso di effettuare un esame dei costi appropriato.

747    Inoltre, anche se, come sottolineato dalla Commissione, Google non ha spontaneamente trasmesso tali dati nel corso del procedimento amministrativo, ciò non può esserle contestato.

748    Infatti, l’onere della prova della natura abusiva di una pratica incombe alla Commissione, tenuto conto delle giustificazioni eventualmente presentate dall’impresa interessata (v., in tal senso, sentenza del 6 settembre 2017, Intel/Commissione, C‑413/14 P, EU:C:2017:632, punti da 138 a 140). Pertanto, la Commissione, nel caso di specie, non poteva basarsi unicamente su dati contenuti in un documento trasmesso da terzi ed esimersi dal corroborarli presso Google, mediante, se del caso, una richiesta di informazioni.

749    In terzo luogo, dal punto 1266 della decisione impugnata risulta che la Commissione riconosce la pertinenza dei costi marginali per l’applicazione, nel caso di specie, del test AEC, in quanto osserva che, poiché i «costi operativi» dedotti da Google costituiscono una percentuale dei redditi associati alle richieste di ricerca, essi sono simili, in sostanza, a detti costi.

750    Tuttavia, si deve necessariamente rilevare che la Commissione si basa al riguardo solo su mere congetture, senza tuttavia rinviare a dati più precisi provenienti da Google. Tale punto è tanto più essenziale in quanto, dinanzi al Tribunale, Google quantifica i suoi costi marginali, di cui si doveva tener conto nell’ambito del test AEC, in misura pari allo [0‑10]%. Orbene, come sostenuto correttamente da Google, non si può escludere che, dovendo coprire soltanto lo [0‑10]% dei costi un concorrente ipoteticamente altrettanto efficiente si trovi in una posizione più agevole per compensare gli ARR per portafoglio rispetto a quella considerata dalla Commissione.  

751    In tali circostanze, la Commissione non può limitarsi a menzionare il carattere inoperante dell’argomento di Google, affermando dinanzi al Tribunale che, tenendo conto di una percentuale inferiore, il risultato del test AEC resterebbe invariato e che Google non suggerirebbe il contrario.

752    Ne consegue che il riferimento fatto da Google ad una percentuale sostanzialmente inferiore a quella considerata dalla Commissione nella decisione impugnata, unitamente alla mancanza di ulteriori indagini avviate dalla Commissione e alla mancanza di motivazioni dettagliate ad essa relative nella decisione impugnata, è tale da far sorgere dubbi quanto alla correttezza e alla regolarità del test AEC applicato dalla Commissione.

ii)    Sui ricavi che possono essere ripartiti da un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente

753    Secondo Google, la Commissione occulterebbe erroneamente la parte delle richieste di ricerca che un’impresa concorrente potrebbe ottenere attraverso la pagina iniziale Internet del suo motore di ricerca. Mentre Google non ripartirebbe gli introiti pubblicitari generati dalle richieste di ricerca sulla sua pagina iniziale Internet, imprese concorrenti almeno altrettanto efficienti avrebbero potuto scegliere di ripartire detti introiti e, così facendo, di fare concorrenza a Google. Al punto 1264 della decisione impugnata, la Commissione escluderebbe tale eventualità, senza tuttavia fornire una motivazione adeguata.

754    A tal riguardo, occorre anzitutto rilevare che Google contesta soltanto una delle due ragioni che hanno indotto la Commissione a respingere tale eventualità. Al punto 1264 della decisione impugnata, la Commissione osserva infatti che i servizi di ricerca generale concorrenti non ripartirebbero gli introiti pubblicitari generati a partire da richieste di ricerca effettuate sulla pagina Internet dei loro motori di ricerca, in quanto, in primo luogo, Google non ripartisce tali introiti e, in secondo luogo, tali introiti sarebbero generati indipendentemente da qualsiasi accordo di ripartizione dei ricavi concluso con gli OEM e con gli MNO.

755    L’argomento di Google non può essere accolto. Per valutare la capacità di una pratica di escludere un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente occorre tener conto dei ricavi ripartiti dall’impresa che occupa una posizione dominante. In caso contrario, ciò equivarrebbe a valutare gli effetti del comportamento di un’impresa che occupa una posizione dominante su un concorrente meno efficiente, in quanto quest’ultimo dovrebbe ripartire un’ulteriore fonte di reddito per fare concorrenza.

756    Inoltre, la seconda ragione di cui al punto 1264 della decisione impugnata è sufficiente ad escludere la presa in considerazione di tali ricavi nello svolgimento, nel caso di specie, del test AEC. La logica di un accordo di ripartizione dei ricavi è di incentivare gli OEM e gli MNO a privilegiare le ricerche a partire, in particolare, da un’applicazione mobile o da un altro punto di accesso. Per contro, gli OEM e gli MNO non hanno alcuna possibilità di incentivare gli utenti a recarsi spontaneamente sulla homepage Internet del motore di ricerca concorrente, indipendentemente dagli accordi eventualmente conclusi.

757    Pertanto, occorre respingere tale argomento in quanto infondato.

iii) Sulla quota di richieste di ricerca contendibile da parte di un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente

758    Google sostiene che il margine che le imprese concorrenti avrebbero potuto riservarsi per contrastare gli ARR per portafoglio deve essere rivalutato al rialzo. E ciò in quanto la quota contendibile di richieste di ricerca considerata al punto 1234 della decisione impugnata avrebbe dovuto essere più significativa. Google insiste altrettanto sul fatto che gli ADAM non impedivano affatto agli OEM e agli MNO interessati di configurare come predefinito un servizio di ricerca concorrente su un browser Internet mobile preinstallato diverso da Chrome. La Commissione osserva, dal canto suo, che i dati considerati nella decisione impugnata sono favorevoli a Google. Essa sottolinea altresì che gli ADAM presentavano una portata ambigua che si sarebbe riflessa nei comportamenti degli OEM e degli MNO.

759    A tal proposito occorre, in primo luogo, rilevare che la portata degli ADAM non è stata valutata allo stesso modo da tutti gli OEM e gli MNO interessati. Come osservato dalla Commissione ai punti 1229 e 1230 della decisione impugnata, taluni OEM e MNO, ma non tutti, interpretavano gli ADAM nel senso che vietavano l’impostazione predefinita su un browser Internet mobile diverso da Chrome di un servizio di ricerca generale concorrente.

760    Tale constatazione non è priva di incidenza sul ragionamento seguito dalla Commissione nella decisione impugnata. Infatti, nel caso di una quota contendibile di richieste di ricerca che includa anche come punto di accesso verso i servizi di ricerca generale concorrenti l’impostazione predefinita di un motore di ricerca concorrente su un browser terzo, la Commissione giunge, in sostanza, al punto 1243 della decisione impugnata, in una fase intermedia della sua analisi, alla conclusione secondo la quale un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente quanto Google potrebbe compensare la quasi totalità degli ARR per portafoglio. Tale constatazione è tuttavia rimessa in discussione dalla stessa Commissione al punto 1244 della decisione impugnata, in quanto include, quale parametro supplementare, parimenti contestato da Google nell’ambito del presente ricorso, la portata limitata della preinstallazione che può essere, in pratica, ottenuta da un servizio di ricerca generale concorrente.

761    Al contrario, se si tiene conto solo di un punto di accesso, vale a dire la preinstallazione di un’applicazione concorrente accanto a Google Search, la Commissione giunge alla conclusione, sin dalla fase intermedia della sua analisi, al punto 1253 della decisione impugnata, che sia impossibile per un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente quanto Google compensare gli ARR per portafoglio. In tale contesto, occorre pertanto risolvere la questione relativa alla presa in considerazione, nell’ambito dell’applicazione del test AEC, delle molteplici interpretazioni di cui gli ADAM sono stati oggetto.

762    Orbene, un’incertezza o un dubbio relativamente, come nel caso di specie, alla portata di un obbligo contrattuale deve, nell’ambito di un’indagine a scopo repressivo che possa sfociare nell’irrogazione di un’ammenda, andare a beneficio dell’impresa chiamata in causa, salvo far gravare su quest’ultima il peso di tale dubbio (v., in tal senso, sentenza del 22 novembre 2012, E.ON Energie/Commissione, C‑89/11 P, EU:C:2012:738, punti 71 e 72).

763    Pertanto, la Commissione poteva considerare, ai fini dell’applicazione del test AEC, soltanto l’ipotesi di una quota contendibile che includesse al contempo quella derivante dalla preinstallazione di un’applicazione concorrente accanto a Google Search e quella derivante dall’impostazione predefinita di un servizio di ricerca concorrente su un browser Internet mobile diverso da Chrome.

764    In secondo luogo, Google contesta alla Commissione di aver valutato al ribasso la quota contendibile delle richieste di ricerca su dispositivi mobili da parte di un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente. Siffatto concorrente sarebbe in grado, secondo Google, di riservarsi più del 12% delle richieste di ricerca effettuate dagli utenti attraverso Google Search.

765    Occorre anzitutto ricordare che la quota contendibile delle richieste di ricerca del 12% corrisponde, come risulta dal punto 1234 della decisione impugnata, alla quota contestata da tutti i servizi di ricerca generale concorrenti per quanto riguarda le richieste di ricerca generale effettuate su PC all’interno del SEE. La Commissione ha infatti trasposto la quota contestata per le richieste di ricerca generale su PC alla quota contestabile delle richieste di ricerca generale su dispositivi mobili. A partire da tale quota, la Commissione ha determinato la percentuale massima di richieste di ricerca generale che un servizio di ricerca generale concorrente avrebbe potuto, tutt’al più, riservarsi se la sua applicazione fosse stata preinstallata accanto a Google Search.

766    Per sostenere le sue affermazioni, Google sottolinea, sotto un primo profilo, che la quota delle richieste di ricerca generale contesa da parte di tutti i servizi di ricerca generale concorrenti su PC è minima. Ciò implica, secondo Google, che i servizi di ricerca generale concorrenti non sono concorrenti ipoteticamente almeno altrettanto efficienti. Essa sottolinea altresì che, nei mercati nazionali in cui alcuni servizi concorrenti godono di una copertura consistente, come Seznam nella Repubblica ceca, la quota contesa è più elevata. Sotto un secondo profilo, la Commissione avrebbe occultato il fatto che, durante il periodo considerato, Bing era impostato come predefinito su quasi tutti i PC.

767    A tal riguardo, da un lato, l’argomento relativo all’impostazione come predefinito di Bing su quasi tutti i PC non può essere accolto. La Commissione sottolinea infatti, senza essere contestata su tale punto da Google, che, durante il periodo considerato, ossia quello compreso tra il 2011 e il 2014, Bing non era impostato come predefinito su tutti i PC. Microsoft, durante tale periodo, era tenuta a lasciare la scelta agli utenti.

768    D’altro lato, Google spiega che, considerando una quota contendibile di richieste di ricerca del 12%, la Commissione non si sarebbe basata sulla quota che potrebbe essere contesa da un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente quanto Google. Al contrario, la Commissione avrebbe considerato la quota realmente contesa da tutti i servizi di ricerca generale concorrenti su PC, potenzialmente meno efficienti. Tale errore vizierebbe l’intero test AEC applicato dalla Commissione.

769    Orbene, la definizione della quota contendibile delle richieste di ricerca si basa, come correttamente sottolineato da Google, su un errore di ragionamento e su una concezione falsata del test AEC.

770    Sotto un primo profilo, il fatto che la Commissione abbia scelto di considerare come premessa del suo ragionamento la quota realmente contesa delle richieste di ricerca generale da parte di tutti i servizi di ricerca generale concorrenti su PC non consente di affermare con sufficiente certezza che un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente avrebbe potuto contendere, sui dispositivi mobili, solo una quota identica. La presa in considerazione delle quote realmente contese su PC non poteva, nel caso di specie, costituire ragionevolmente la base di un test AEC diretto a verificare la quota di richieste di ricerca generale contendibile da parte di un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente quanto Google su dispositivi mobili.

771    Sotto un secondo profilo, per taluni mercati nazionali dei servizi di ricerca generale, in particolare la Repubblica ceca, la quota contesa da taluni concorrenti, quale la Seznam, risulta assai più elevata di quella considerata dalla Commissione nella decisione impugnata. Google sottolinea infatti, senza essere contestata su tale punto dalla Commissione, che, durante il periodo dell’infrazione, la Seznam ha ottenuto fino al 26% di richieste di ricerca generale su PC.

772    Neppure il fatto che la quota contendibile di richieste di ricerca, pari al 12%, tenga conto della quota contesa dalla Seznam nella Repubblica ceca consente di ritenere che un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente non possa, al pari della Seznam nella Repubblica ceca, contendere una quota maggiore di richieste di ricerca nel SEE. Il fatto stesso che Google subisca una concorrenza maggiore in taluni mercati nazionali di servizi di ricerca generale è proprio tale da far sorgere dubbi quanto alla correttezza di tale percentuale.

773    Sotto un terzo profilo, neppure il fatto che solo Google potesse beneficiare dei vantaggi connessi al suo potere di mercato per migliorare e proporre un servizio di precisione consente di escludere con certezza che un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente, in particolare dal punto di vista della qualità dei servizi e dell’innovazione, contenda una quota superiore al 12% delle richieste di ricerca.

774    Pertanto, la Commissione è del pari incorsa in un errore partendo dalla premessa secondo cui un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente quanto Google potrebbe, su dispositivi mobili, contendere solo il 12% delle richieste di ricerca effettuate dagli utenti attraverso Google Search.

iv)    Sulla portata della preinstallazione di un’applicazione di un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente

775    Secondo Google, la Commissione non giustificherebbe, al punto 1244 della decisione impugnata, le ragioni per cui un’applicazione di servizio di ricerca concorrente possa essere preinstallata solo su un numero limitato di dispositivi mobili. Secondo Google, il rinvio alla parte della decisione impugnata relativa agli ADAM non può essere sufficiente e sarebbe in contrasto con il punto 1208 della decisione impugnata, ai sensi del quale la Commissione sottolineerebbe che, in mancanza degli ARR per portafoglio, gli OEM e gli MNO avrebbero un interesse commerciale a preinstallare varie applicazioni di ricerca generale.

776    A tal riguardo, si deve necessariamente rilevare che, al punto 1244 della decisione impugnata, la Commissione motiva l’affermazione secondo cui un concorrente non potrebbe aspirare, da un OEM o da un MNO, ad ottenere la preinstallazione della sua applicazione sull’intero portafoglio di dispositivi mobili coperti dagli ARR per portafoglio rinviando ai punti da 824 a 832 della decisione impugnata.

777    I punti da 824 a 832 della decisione impugnata riguardano la valutazione della natura anticoncorrenziale degli ADAM. La Commissione spiega in tali punti che, se, in applicazione degli ADAM, agli OEM e agli MNO non era, in teoria, impedito di preinstallare applicazioni di servizio di ricerca generale concorrenti, essi erano, in pratica, restii a preinstallare varie applicazioni di servizio di ricerca generale.

778    Tuttavia, il rinvio, nel punto 1244 della decisione impugnata, alle motivazioni relative alla valutazione della natura abusiva degli ADAM per relativizzare la capacità di un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente di compensare gli ARR per portafoglio non può essere convincente, come sottolineato correttamente da Google. Infatti, il contesto della valutazione concorrenziale degli ADAM differisce da quello della valutazione della possibilità, per un concorrente ipoteticamente almeno efficiente quanto Google, che intende ottenere la preinstallazione della sua applicazione in cambio di una ripartizione degli introiti pubblicitari, di compensare gli ARR per portafoglio.

779    In primo luogo, per dimostrare che il vantaggio concorrenziale che Google trae dagli ADAM non può essere compensato dalla preinstallazione di applicazioni concorrenti, la Commissione sottolinea, ai punti da 825 a 832 della decisione impugnata, che gli OEM e gli MNO potrebbero percepire solo scarsi ricavi supplementari tenuto conto della quota di mercato di Google e della sua onnipresenza nei punti di accesso ai servizi di ricerca generale. Inoltre, gli OEM e gli MNO farebbero fronte a costi di transazione più elevati e problemi tecnici legati alla capacità di archiviazione, peggiorando in tal modo l’esperienza degli utenti.

780    Orbene, tali motivazioni, sebbene siano pertinenti quando viene presa in considerazione la situazione di un concorrente attuale di Google che non cerchi di ripartire i suoi introiti pubblicitari, non consentono affatto di sostenere che un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente, desideroso di ripartire i suoi introiti, non sarebbe in grado di ottenere la preinstallazione della sua applicazione sull’intero portafoglio di dispositivi mobili degli OEM e degli MNO.

781    Siffatta preinstallazione congiunta potrebbe aumentare l’attrattiva dei dispositivi mobili intelligenti e, quindi, corrispondere agli interessi degli OEM e degli MNO. Infatti, proponendo diverse applicazioni di ricerca generale, ossia quelle di Google e di un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente, l’esperienza degli utenti potrebbe essere migliorata, rendendo i dispositivi mobili interessati ancor più attraenti, come è del resto riconosciuto dalla Commissione al punto 1213 della decisione impugnata.

782    Inoltre, i redditi nell’ambito degli ARR per portafoglio che gli OEM e gli MNO perderebbero nel caso in cui Google Search non beneficiasse più di una preinstallazione esclusiva potrebbero, come risulta dal punto 1243 della decisione impugnata, essere compensati da un concorrente almeno altrettanto efficiente nell’ipotesi in cui l’insieme dei dispositivi mobili sia coperto dalla ripartizione dei suoi introiti pubblicitari da parte di un concorrente almeno altrettanto efficiente. La Commissione sottolinea peraltro, al punto 1216 della decisione impugnata, sulla base di dichiarazioni di Google, che, in mancanza degli ARR per portafoglio, gli OEM e gli MNO potrebbero sempre percepire redditi da parte di Google, il che consente nuovamente di relativizzare l’affermazione secondo cui un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente potrebbe ottenere la preinstallazione della sua applicazione solo su un numero limitato di dispositivi mobili.

783    In secondo luogo, la Commissione osserva, ai punti da 830 a 832 della decisione impugnata, che gli ADAM vietano agli OEM e agli MNO di preinstallare in via esclusiva un’applicazione di servizi di ricerca generale concorrente o agli MNO di esigere dall’OEM la preinstallazione esclusiva di una siffatta applicazione.

784    Orbene, l’ipotesi contemplata al punto 1244 della decisione impugnata è quella di una preinstallazione in aggiunta a Google Search, non in mancanza di quest’ultima applicazione. La constatazione fatta dalla Commissione ai punti da 830 a 832 della decisione impugnata non è di alcun ausilio, in quanto l’ipotesi prospettata a titolo di compensazione degli ARR parte dalla premessa secondo cui un’applicazione concorrente è preinstallata accanto a Google Search.

785    In terzo luogo, la Commissione si basa, al punto 1247 della decisione impugnata, su due esempi che figurano al punto 1219 per chiarire che i concorrenti che, in pratica, sono riusciti ad ottenere la preinstallazione di servizi di ricerca generale hanno potuto coprire solo un numero limitato di dispositivi mobili o, in ogni caso, un numero insufficiente per compensare gli ARR per portafoglio. Google sottolinea, al contrario, che uno degli esempi citati dalla Commissione consente di corroborare la tesi opposta.

786    Orbene, gli esempi sui quali si basa la Commissione sono quelli di concorrenti attuali. La Commissione non precisa, del resto, al punto 1247 della decisione impugnata, se consideri tali concorrenti come concorrenti ipoteticamente almeno altrettanto efficienti quanto Google, che hanno cercato di ripartire i loro introiti pubblicitari.

787    In quarto luogo, occorre rilevare che l’affermazione secondo cui il vantaggio concorrenziale che Google trae dagli ADAM non può essere controbilanciato dal comportamento degli OEM e degli MNO che scelgano di preinstallare un’applicazione concorrente è anzitutto, come risulta dal punto 833 della decisione impugnata, motivata dal fatto che questi ultimi sono anche vincolati a Google dagli ARR per portafoglio. Orbene, lo scenario esaminato nel caso di specie riguarda un concorrente ipotetico che propone di sostituire l’ARR di Google con il proprio accordo di ripartizione dei ricavi.

788    Pertanto, la Commissione non può relativizzare la capacità di un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente di compensare gli ARR per portafoglio con la semplice affermazione che un siffatto concorrente potrebbe, in tale situazione, ottenere una preinstallazione della sua applicazione solo su un numero limitato di dispositivi mobili di un OEM o di un MNO.

v)      Sull’applicazione temporale del test AEC

789    Contrariamente all’approccio seguito dalla Commissione al punto 1249 della decisione impugnata, Google sostiene che la possibilità per un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente di compensare gli ARR per portafoglio dovrebbe essere verificata solo a partire dal momento in cui detti accordi sono entrati in vigore. In ogni caso, la Commissione non esaminerebbe la capacità dei recenti dispositivi mobili di generare redditi più elevati rispetto a quelli già in circolazione. Essa tralascerebbe altresì, erroneamente, il fatto che i redditi generati da vecchi dispositivi diminuiscono nel corso del tempo, per il solo motivo che Google non avrebbe fornito una prova in tal senso durante il procedimento amministrativo. La Commissione sostiene che nessuno degli elementi prodotti da Google consente di rimettere in discussione la decisione impugnata.  

790    A tal riguardo, occorre sottolineare che, come per taluni sistemi di sconti concessi in funzione dei quantitativi venduti nel corso di un periodo di riferimento nell’ambito dei quali la pressione esercitata sull’acquirente aumenta alla fine del periodo di riferimento per realizzare il fatturato che gli dà diritto a detto sconto, l’effetto di esclusiva di un accordo di ripartizione dei ricavi si intensifica man mano che aumenta il numero di beni venduti e comprendenti i servizi da cui derivano tali redditi (v., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2015, Post Danmark, C‑23/14, EU:C:2015:651, punto 34).

791    Orbene, nel caso di specie, la Commissione ha correttamente valutato, al punto 1249 della decisione impugnata, la natura anticoncorrenziale degli ARR per portafoglio, non solo al momento della loro conclusione, ma anche nel corso del periodo durante il quale essi erano in vigore. Contrariamente a quanto sostenuto da Google, non si può celare il fatto che più il numero dei dispositivi mobili in circolazione interessati dagli ARR per portafoglio aumentava, più la capacità di un concorrente, anche ipoteticamente almeno altrettanto efficiente, di eguagliarli risultava, in pratica, difficile. Ciò vale nel caso di specie, in quanto i ricavi ripartiti da Google dipendono dalle ricerche effettuate sui dispositivi mobili venduti.

792    Pertanto, la Commissione non può essere incorsa in un errore di diritto nell’aver analizzato la capacità di un concorrente di compensare gli ARR per portafoglio in modo non statico, ma dinamico.

793    Tuttavia, da un lato, si deve necessariamente rilevare che le considerazioni di cui al punto 1249 della decisione impugnata restano puramente teoriche. La Commissione non quantifica, nel caso di specie, l’incidenza concreta dei dispositivi già venduti sulla capacità di un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente quanto Google di compensare gli ARR per portafoglio.

794    D’altro lato, mentre un dato siffatto poteva essere pertinente, come giustamente sottolineato da Google, per relativizzare l’impatto sulla capacità di un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente di compensare gli ARR per portafoglio, la Commissione esclude, al punto 1270 della decisione impugnata, la propensione dei dispositivi mobili recenti a generare redditi più elevati rispetto ai dispositivi mobili di vecchia generazione per il solo motivo che Google non avrebbe fornito prove in tal senso nella sua risposta alla seconda lettera di esposizione dei fatti.

795    Orbene, la natura abusiva dei pagamenti di esclusiva non può basarsi su una presunzione semplice di abuso, che spetta all’impresa in posizione dominante superare. Al contrario, dalla giurisprudenza risulta chiaramente che, in caso di contestazione della natura restrittiva della concorrenza di una pratica tariffaria, la Commissione è tenuta a valutare tutte le circostanze pertinenti in cui si inserisce la pratica in questione al fine di analizzare la capacità di preclusione di concorrenti almeno altrettanto efficienti inerente ad essa (v., in tal senso, sentenza del 6 settembre 2017, Intel/Commissione, C‑413/14 P, EU:C:2017:632, punti 139 e 140).

796    Pertanto, dal momento che, nel caso di specie, l’onere della prova dell’effetto preclusivo degli ARR per portafoglio su un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente non gravava su Google, ma sulla Commissione, quest’ultima non poteva basarsi, al punto 1270 della decisione impugnata, su un’asserita carenza di Google per considerare acquisita, senza un’analisi suppletiva, la capacità dei dispositivi mobili recenti e di vecchia generazione di generare redditi da ricerca generale identici.

797    Pertanto, la Commissione non può aver svolto un esame adeguato della capacità di un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente di compensare gli ARR per portafoglio nel corso del periodo durante il quale essi erano in vigore.

vi)    Conclusione sulla regolarità del test AEC

798    Da quanto precede deriva che il test AEC applicato dalla Commissione nella decisione impugnata presenta diversi errori di ragionamento. Questi ultimi vertono, anzitutto, su una delle premesse del test AEC, vale a dire la quota di richieste di ricerca generale contendibile da un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente se la sua applicazione dovesse essere preinstallata accanto a Google Search. Inoltre, si deve necessariamente rilevare che la Commissione ha omesso di isolare i costi che possono essere attribuiti ad un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente e ha scelto semplicemente di estrapolare dati contenuti in un documento trasmesso da terzi e contestati da Google nel corso del procedimento amministrativo. Inoltre, le motivazioni di cui al punto 1244 della decisione impugnata non consentono affatto di corroborare l’affermazione secondo cui un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente può, in mancanza degli ARR per portafoglio, ottenere la preinstallazione della sua applicazione solo su un numero limitato di dispositivi mobili. Infine, la Commissione ha valutato in maniera lacunosa la propensione dei dispositivi mobili già in circolazione a generare redditi inferiori a quelli dei dispositivi mobili recenti.

799    Tale quadruplice constatazione è, di per sé, atta a far sorgere dubbi quanto alla correttezza del risultato del test AEC svolto dalla Commissione e, di conseguenza, dell’asserito effetto preclusivo degli ARR per portafoglio su un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente. Pertanto, nel modo in cui è stato svolto dalla Commissione, il test AEC non può corroborare la constatazione di un abuso risultante dagli ARR per portafoglio.

5.      Conclusione sulla regolarità delle ragioni relative alla natura abusiva degli ARR per portafoglio

800    A causa dei vari errori di ragionamento della Commissione, la conclusione secondo cui gli ARR per portafoglio erano abusivi non può essere considerata sufficientemente dimostrata. Infatti, detti errori vertono su aspetti essenziali dell’analisi concorrenziale degli ARR per portafoglio, vale a dire la valutazione della loro copertura e l’applicazione del test AEC.

801    Lasciando da parte tali fasi del ragionamento della Commissione, la natura abusiva degli ARR per portafoglio non può, di per sé, fondarsi sulla duplice constatazione di una restrizione dell’innovazione o di un interesse degli OEM e degli MNO, in mancanza di detti ARR, a preinstallare varie applicazioni di servizi di ricerca generale. Quand’anche Google non contestasse questi due aspetti del ragionamento della Commissione, si deve necessariamente rilevare che essi sono, di per sé, insufficienti per fugare il dubbio indotto dagli errori commessi dalla Commissione nell’ambito dell’analisi della copertura e della capacità degli ARR per portafoglio, mediante il test AEC da essa svolto, di escludere un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente.

802    Di conseguenza, occorre annullare la decisione impugnata nella parte in cui considera di per sé costitutivi di un abuso gli ARR per portafoglio, senza che sia necessario esaminare gli argomenti di Google relativi all’accesso degli utenti a servizi di ricerca generale concorrenti e alla necessità di un test controfattuale.

E.      Sul quarto motivo, vertente sull’errata valutazione del carattere abusivo della subordinazione della concessione delle licenze di Play Store e di Google Search al rispetto degli OAF

1.      Osservazioni preliminari relative alla portata del secondo abuso individuato nella decisione impugnata

803    Nel quarto motivo, articolato in due parti, Google contesta che possa essere qualificato come abuso della sua posizione dominante nei mercati dei portali di vendita di applicazioni Android e dei servizi di ricerca generale la sua pratica di subordinare la concessione delle licenze di Play Store e di Google Search (nell’ambito di un ADAM) all’accettazione degli OAF, contenuti negli AAF.

804    La Commissione ritiene che le pratiche di cui trattasi abbiano carattere abusivo e, inoltre, che una parte degli argomenti presentati da Google a sostegno del quarto motivo sia inoperante. A tal riguardo, essa fa altresì valere che Google non contesta numerosi elementi di prova sui quali si fonda la decisione impugnata.

805    Come risulta dal fascicolo, Google ha imposto agli OEM che intendevano beneficiare della possibilità di commercializzare dispositivi mobili intelligenti sui quali erano preinstallati Play Store e Google Search di concludere un AAF. Infatti, la firma di un ADAM era subordinata alla conclusione di un AAF.

806    Occorre ricordare che è pacifico che gli OAF impongono il rispetto di una norma di riferimento di compatibilità minima per l’attuazione del codice sorgente di Android. Tale norma, definita da Google nel DDC, pubblicato in Internet, richiede in particolare che i dispositivi mobili intelligenti consentano l’installazione di applicazioni, trasmettano correttamente le dimensioni dei loro schermi alle applicazioni, attuino le funzioni di sicurezza di base e includano un insieme completo di IPA per Android.

807    Gli OAF si applicano a tutti i dispositivi commercializzati da ciascun OEM che abbia concluso un AAF, qualora tali dispositivi funzionino con Android o con un fork Android (vale a dire un SO sviluppato a partire dal codice sorgente di Android). Per dimostrare la loro compatibilità con le norme previste nel DDC, i dispositivi devono superare una serie di test di compatibilità (in prosieguo: la «STC»). La STC, alla quale Google garantisce un accesso pubblico nel sito di Android, consiste in una serie di test che consentono di dimostrare che un dispositivo mobile intelligente funzionante con un fork Android soddisfa tutti i requisiti tecnici di compatibilità previsti nel DDC. Spetta agli OEM far passare essi stessi la STC ai loro dispositivi che funzionano con un fork Android, compresi quelli sui quali non sono preinstallate le applicazioni di Google.

808    Per convenzione, i fork Android che superano la STC saranno denominati in prosieguo «fork Android compatibili». Dal canto loro, i fork Android che non sono stati sottoposti a tali test o che non li hanno superati, vale a dire le varianti derivate dal codice sorgente di Android che non hanno effettivamente dimostrato la loro capacità di superare la STC, saranno denominate in prosieguo «fork Android non compatibili».

809    Secondo la decisione impugnata, dal 1º gennaio 2011 Google ha abusato della sua posizione dominante nel mercato mondiale, esclusa la Cina, dei portali di vendita di applicazioni Android, da un lato, e nei mercati nazionali dei servizi di ricerca generale, dall’altro, subordinando la licenza di Play Store e di Google Search all’accettazione degli OAF. Il secondo abuso sarebbe iniziato il 1º gennaio 2011, data in cui Google ha acquisito una posizione dominante nei mercati citati, e sarebbe proseguito fino alla data di adozione della decisione impugnata (punto 1187 della decisione impugnata).

810    Occorre precisare anzitutto che, come confermato in udienza dalle parti principali, gli AAF sono considerati abusivi nella decisione impugnata solo nei limiti in cui impongono agli OEM di garantire la compatibilità con il DDC di tutti i dispositivi che essi commercializzano e il cui SO è Android o un fork Android, ivi compresi quelli sui quali non sono preinstallate le applicazioni di Google. In altri termini, gli AAF sono considerati abusivi solo nella parte in cui vietano la commercializzazione di dispositivi mobili intelligenti aventi come SO fork Android non compatibili anche in mancanza di preinstallazione su tali dispositivi delle applicazioni di Google.

811    Infatti, se è vero che la Commissione ha ritenuto, in generale, che il fatto di subordinare la licenza di Play Store e di Google Search al rispetto degli OAF fosse tale da restringere la concorrenza (punto 1036 della decisione impugnata), tale valutazione deve essere tuttavia messa in relazione con quella secondo cui, sebbene possano ammettersi giustificazioni per quanto riguarda i dispositivi mobili intelligenti sui quali è preinstallato il pacchetto GMS, lo stesso non può dirsi in alcun caso per quanto riguarda i dispositivi che funzionano con fork Android sui quali le applicazioni di Google non sono installate (punto 1173 della decisione impugnata).

812    Così, facendo riferimento alla sentenza del 17 settembre 2007, Microsoft/Commissione (T‑201/04, EU:T:2007:289), e alle condizioni alle quali può essere dimostrato il carattere abusivo di un gruppo di prodotti o di obblighi, la Commissione contesta, in sostanza, a Google di aver attuato una pratica anticoncorrenziale volta a privare di sbocchi commerciali i fork Android non compatibili.

813    Ne consegue che gli argomenti presentati da Google e dagli intervenienti a sostegno delle ricorrenti diretti a dimostrare la legittimità dell’applicazione degli OAF ai dispositivi sui quali è installato il pacchetto GMS non sono, in ogni caso, idonee a provare che la Commissione inficiato d’errore la sua valutazione del secondo abuso.  

814    Nella prima parte del quarto motivo da essa dedotto, Google contesta le valutazioni della Commissione relative al carattere restrittivo della concorrenza della pratica di cui trattasi. Nella seconda parte di detto motivo, Google fa valere che il suo comportamento è, in ogni caso, obiettivamente giustificato.

2.      Sulla prima parte, relativa alla restrizione della concorrenza

a)      Decisione impugnata

815    Facendo riferimento alla sentenza del 17 settembre 2007, Microsoft/Commissione (T‑201/04, EU:T:2007:289), la Commissione afferma che, per caratterizzare il secondo abuso, occorre dimostrare, in primo luogo, che gli OAF non sono collegati alla licenza di Play Store e di Google Search; in secondo luogo, che Google detiene una posizione dominante nel mercato dei portali di vendita di applicazioni Android e nei mercati dei servizi di ricerca generale; in terzo luogo, che Play Store e Google Search non possono essere ottenuti senza l’accettazione degli OAF e, in quarto luogo, che gli OAF sono in grado di restringere la concorrenza (punti 1011 e seguenti della decisione impugnata).

816    Dopo aver valutato i primi tre criteri, la Commissione sviluppa sei serie di argomenti per dimostrare che gli OAF possono restringere la concorrenza: in primo luogo, i fork Android non compatibili rappresentano una minaccia concorrenziale credibile per Google; in secondo luogo, Google definisce gli OAF, di cui controlla così il contenuto, e vigila effettivamente sul rispetto della loro applicazione da parte dei OEM; in terzo luogo, gli OAF ostacolano lo sviluppo dei fork Android non compatibili; in quarto luogo, i fork Android compatibili non rappresentano una minaccia concorrenziale credibile per Google; in quinto luogo, la capacità degli OAF di restringere la concorrenza è rafforzata dall’indisponibilità delle IPA proprietarie di Google per gli sviluppatori di fork Android non compatibili, il che riduce l’interesse degli sviluppatori a concepire applicazioni destinate a funzionare su tali SO e, in sesto luogo, il comportamento di Google mantiene e rafforza la sua posizione dominante nei mercati nazionali del servizio di ricerca generale, scoraggia l’innovazione e tende a pregiudicare, direttamente o indirettamente, i consumatori (punto 1036 della decisione impugnata).

b)      Argomenti delle parti

1)      Argomenti di Google

817    A sostegno della prima parte del quarto motivo, Google afferma che gli OAF non limitano la competitività delle varianti di Android, ma, al contrario, la aumentano mantenendo una norma di riferimento di compatibilità minima che garantisce il buon funzionamento delle applicazioni su tutte queste varianti. I fork Android non compatibili, che non rispettano tale norma, non presenterebbero alcun interesse e metterebbero in pericolo l’intero «ecosistema Android».

818    In primo luogo, secondo Google, il rispetto delle norme tecniche del DDC è indispensabile, da un lato, per garantire il buon funzionamento dei dispositivi mobili intelligenti il cui SO è Android o un fork Android e, dall’altro, per consentire la compatibilità di tali dispositivi tra loro e con le applicazioni sviluppate per Android (in prosieguo: l’«interoperabilità»). Al contrario, incompatibilità accertate ridurrebbero l’attrattiva del SO e dei fork Android per gli utenti e per i produttori di applicazioni. Gli OAF consentirebbero quindi agli OEM di beneficiare della grande flessibilità del modello aperto di Android, tutelando al contempo la redditività e la qualità di tale SO e dei fork Android contro le disfunzioni causate da incompatibilità. Google sostiene che gli OAF mirano a trarre le conseguenze dalle esperienze passate e dalla scomparsa di altri ecosistemi aperti, quali Symbian e Unix. Pertanto, essendo indispensabili per tutelare l’«ecosistema Android», gli OAF non restringerebbero la concorrenza.

819    In secondo luogo, la decisione impugnata non indicherebbe i requisiti specifici degli OAF che si considera limitino la concorrenza. Essa non preciserebbe neppure quale parametro concorrenziale pertinente potrebbe essere pregiudicato. Le parti degli AAF si impegnerebbero semplicemente a garantire che i loro fork Android siano conformi ai requisiti di compatibilità previsti nel DDC. Gli OAF lascerebbero quindi agli OEM la libertà di concorrere con i loro fork Android su tutti i possibili parametri concorrenziali, compresi i prezzi, la qualità e l’innovazione. Essi potrebbero apportare innovazioni al codice sorgente di Android, sviluppare nuove funzionalità e aggiungere IPA. Gli OAF non impedirebbero ai fornitori di SO o agli OEM che abbiano concluso un AAF di proporre servizi di ricerca generale concorrenti. Infatti, i fork Android compatibili non sarebbero meno adatti dei fork non compatibili a proporre servizi di ricerca concorrenti.

820    In terzo luogo, Google sostiene altresì che gli AAF, garantendo lo sviluppo e la manutenzione della piattaforma Android, hanno esteso le opportunità per i concorrenti, evitando loro i maggiori costi di sviluppo che sarebbero derivati dai test aggiuntivi richiesti nel caso di una piattaforma frammentata, ciò che avrebbe aumentato, di conseguenza, anche i costi per gli utenti. Ad esempio, esigere che l’insieme degli IPA Android sia installato su un dispositivo sviluppato appositamente per funzionare con Android o un fork Android costituirebbe un vantaggio, e non un vincolo. Infatti, ogni dispositivo avrebbe immediatamente accesso all’ampia gamma di applicazioni concepite per tutti i SO compatibili. Gli altri requisiti tecnici del DDC mirerebbero allo stesso risultato. Tutti gli operatori economici interessati sfuggirebbero così alla necessità di costruire il proprio «ecosistema» a partire da nulla.

821    In quarto luogo, Google sostiene che l’affermazione secondo cui gli OAF restringono la concorrenza si basa su argomenti vaghi ed erronei, i quali, inoltre, sarebbero privi di nesso con gli OAF. A tal riguardo, Google menziona in particolare la minaccia concorrenziale asseritamente rappresentata dai fork Android non compatibili, le difficoltà incontrate da taluni fork Android non compatibili, come il SO Fire OS di Amazon e il SO Aliyun di Alibaba, nonché l’affermazione relativa al carattere auspicabile di talune incompatibilità, la quale sarebbe asseritamente illustrata dalla decisione di Google di porre fine alla compatibilità di Android con Java. Secondo Google, il fallimento dei fork Android non compatibili sarebbe imputabile alla loro debolezza intrinseca e non agli AAF.

822    In quinto luogo, l’affermazione secondo cui Google potrebbe «in linea di principio» modificare i requisiti del DDC al fine di renderli in futuro più restrittivi sarebbe basata su congetture e non potrebbe configurare un’infrazione. Google non avrebbe mai esercitato il proprio controllo limitato sulla piattaforma per restringere la concorrenza e non vi sarebbe alcun motivo per ritenere che essa possa essere indotta a farlo. Essa ricorda che gli AAF prevedono che possono essere ammesse anche eccezioni ai requisiti di compatibilità.

823    In sesto e ultimo luogo, Google sostiene che, contrariamente a quanto affermato nella decisione impugnata, gli OAF non hanno rafforzato la sua posizione nel mercato dei servizi di ricerca generale. Infatti, servizi concorrenti potrebbero certamente utilizzare, come canale di distribuzione, altrettanto bene fork Android compatibili o non compatibili. Gli OAF non impedirebbero agli sviluppatori di SO o agli OEM di commercializzare dispositivi sui quali è preinstallato un servizio di ricerca generale concorrente. Inoltre, nella decisione impugnata, la Commissione non avrebbe spiegato perché riteneva che i fork Android non compatibili offrissero un migliore canale di distribuzione per i servizi di ricerca generale concorrenti di Google Search. Le prospettive commerciali dei fork Android non compatibili, essendo inferiori a quelle dei fork compatibili, costituirebbero canali di distribuzione meno validi. Gli esempi di preinstallazione di Bing da parte di Amazon e di Nokia su fork Android non compatibili non sarebbero pertinenti.

824    A sostegno di tali argomenti, gli intervenienti a sostegno di Google fanno valere, in particolare, quanto segue:

–        l’ADA sostiene che la Commissione avrebbe dovuto esaminare gli AAF tenendo conto delle interazioni tra i SO e le applicazioni; in tale contesto, i fork non compatibili non costituirebbero una minaccia concorrenziale credibile, a causa dei costi di porting e degli inconvenienti connessi alle incompatibilità; infatti, senza le IPA proprietarie di Google, le applicazioni non funzionerebbero correttamente e le correzioni di tali disfunzioni comporterebbero costi molteplici ed elevati; tali incompatibilità presenterebbero quindi uno svantaggio per gli sviluppatori e inconvenienti per gli utenti; non esisterebbe pertanto alcuna alternativa realistica agli AAF;

–        la CCIA sostiene che la Commissione avrebbe dovuto ricercare uno scenario controfattuale realistico, ciò che sarebbe stato sufficiente a dimostrare che gli AAF, contrariamente a quanto affermato nella decisione impugnata, hanno in realtà ampliato le possibilità per la concorrenza;

–        La Gigaset e la HMD sostengono che gli AAF hanno incentivato la concorrenza tutelando la redditività di Android rispetto ad altri modelli alternativi; ciò sarebbe andato a vantaggio degli sviluppatori di applicazioni, degli OEM e dei consumatori; la portata del DDC sarebbe priva di qualsiasi ambiguità; gli effetti delle disfunzioni create da fork non compatibili sarebbero negativi per tutti gli attori;

–        l’Opera sostiene di aver beneficiato del modello commerciale di Android che le ha offerto una piattaforma affidabile, che le consente di accedere a numerosi utenti potenziali; tale modello sarebbe più favorevole alla concorrenza di qualsiasi altro.

2)      Argomenti della Commissione

825    La Commissione rinvia, in sostanza, al contenuto della decisione impugnata. Infatti, documenti interni e comunicazioni di Google con gli OEM mostrerebbero che tale impresa auspicava che gli AAF impedissero agli OEM che intendevano vendere dispositivi con preinstallazione di Play Store e dell’applicazione Google Search di vendere anche dispositivi che funzionavano con fork Android non compatibili. Gli AAF limiterebbero altresì la concorrenza nel settore dei servizi di ricerca generale, impedendo ai partner e ai concorrenti di Google di sviluppare fork Android non compatibili che sfuggono al controllo di Google, sui quali gli OEM avrebbero potuto preinstallare e impostare come predefiniti servizi di ricerca generale concorrenti.

826    Così, in primo luogo, secondo la Commissione, l’obiettivo perseguito dagli AAF è di impedire, da un lato, lo sviluppo dei fork Android non compatibili, sia da parte degli sviluppatori di SO sia da parte degli OEM, nonché, dall’altro, la vendita di dispositivi che funzionano con tali fork. Un siffatto obiettivo sarebbe sufficiente per caratterizzare la strategia di Google volta ad escludere i fork Android non compatibili. In secondo luogo, i fork Android non compatibili costituirebbero per Google una minaccia concorrenziale più credibile rispetto ai fork Android compatibili. In terzo luogo, gli effetti preclusivi inerenti agli AAF non sarebbero attenuati dall’esistenza di SO su licenza diversi da Android. In quarto luogo, la Commissione ricorda che taluni OEM intendevano vendere dispositivi funzionanti con fork Android non compatibili. Orbene, in tutti questi casi, gli AAF avrebbero impedito agli OEM e agli sviluppatori interessati di rispondere a una domanda siffatta.

827    Gli intervenienti a sostegno della Commissione fanno valere, in particolare, quanto segue:

–        la VDZ sostiene che la concorrenza dei fork Android non compatibili consente di aumentare la diversità e di diminuire il prezzo dei dispositivi, incentivando al contempo l’innovazione; gli OAF andrebbero quindi al di là del necessario;

–        la FairSearch fa valere che gli OAF sono stati concepiti per escludere la concorrenza dei software liberi e che Google dispone di un potere discrezionale nell’interpretazione del termine «frammentazione», il che le consentirebbe di consolidare il suo potere di mercato; pertanto, gli OAF non sarebbero né giustificati né proporzionati;

–        la Seznam osserva di essere obbligata a ricorrere a Play Store, a causa dell’impossibilità di convincere gli sviluppatori a creare il proprio portale di vendita di applicazioni per un mercato così piccolo come la sola Repubblica ceca; gli OAF la priverebbero di ogni opzione che presenti un interesse commerciale e ostacolerebbero la concorrenza basata sui meriti nei mercati dei servizi di ricerca generale;

–        la Qwant sostiene che, dall’adozione della decisione impugnata, le offerte di fork Android non compatibili da parte degli OEM sono divenute competitive, come illustra l’esempio di Fairphone; gli AAF, impedendo lo sviluppo di fork Android non compatibili, avrebbero privato di piattaforme di distribuzione motori di ricerca concorrenti di Google Search.

c)      Giudizio del Tribunale

828    Come appena ricordato, la Commissione contesta a Google di subordinare la concessione delle licenze di Play Store e di Google Search ad un insieme di obblighi restrittivi della libertà degli OEM che intendono ottenere tali licenze, proprio per il fatto che essi vietano loro di commercializzare qualsiasi altro dispositivo che funziona con un fork Android non compatibile. Tale restrizione deriva dagli AAF, di cui costituisce, nella parte in cui si applica ai dispositivi mobili intelligenti sui quali le applicazioni di Google non sono preinstallate, l’unico obbligo considerato abusivo nella decisione impugnata. Infatti, la Commissione non contesta il diritto di Google di imporre requisiti di compatibilità riguardanti i dispositivi sui quali sono installate le sue applicazioni. Per contro, essa considera abusiva la pratica di Google diretta ad ostacolare lo sviluppo e la presenza nel mercato di dispositivi che funzionano con un fork Android non compatibile. Occorre quindi esaminare se la Commissione sia riuscita a dimostrare, come essa ritiene nella decisione impugnata, che Google ha attuato una pratica diretta a precludere i fork Android non compatibili e se tale pratica possa essere qualificata come anticoncorrenziale ai sensi dell’articolo 102 TFUE.

829    Ai sensi dell’articolo 102, secondo comma, lettera b), TFUE, le pratiche abusive che possono costituire un abuso di posizione dominante consistono, in particolare, nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico a danno dei consumatori. Per valutare se il secondo comportamento di Google qualificato come abuso nella decisione impugnata costituisca una pratica abusiva di tal genere, occorre verificare, anzitutto, se la Commissione abbia dimostrato la sua esistenza, poi se abbia dimostrato che tale pratica era in grado di restringere la concorrenza.

1)      Sull’esistenza della pratica

830    Per quanto riguarda l’esistenza della pratica di cui trattasi, il divieto imposto alle parti degli AAF di commercializzare dispositivi che utilizzano fork Android non compatibili non è contestato dalle parti. Esso risulta inoltre dagli atti di causa.

831    In primo luogo, l’esistenza di tale pratica è corroborata dalle risposte presentate da Google ai quesiti scritti che le sono stati rivolti dal Tribunale, nelle quali essa ricorda che la sua decisione di istituire gli AAF risale alle origini di Android. Essa sostiene di aver scelto di trattare commercialmente solo con imprese che accettassero di non mettere a rischio Android. A suo avviso, tale obiettivo poteva essere raggiunto solo limitando tutte le fonti possibili di incompatibilità e, in particolare, lo sviluppo di fork Android non compatibili. Questi ultimi, creando un rischio di malfunzionamento delle applicazioni, rappresenterebbero una minaccia per la sua reputazione e uno svantaggio, tanto dal punto di vista degli sviluppatori quanto dal punto di vista dei consumatori. Occorre quindi constatare che Google riconosce di aver messo in atto, sin dall’inizio, gli AAF per ostacolare lo sviluppo di fork Android non compatibili.

832    In secondo luogo, Google non contesta la realtà dei sette esempi, riportati nella decisione impugnata, secondo i quali essa è intervenuta attivamente per ricordare i loro obblighi contrattuali a OEM che avevano iniziato a commercializzare dispositivi funzionanti con fork Android non compatibili o per fare pressioni su alcuni sviluppatori, al fine di dissuaderli dall’ideare applicazioni per fork Android non compatibili (punti da 1051 a 1059 della decisione impugnata). Sebbene Google abbia fatto valere, durante il procedimento amministrativo, che i suoi interventi miravano a porre rimedio a carenze del materiale, essa non ha prodotto alcun elemento di prova a sostegno delle sue affermazioni. Al contrario, dai messaggi di posta elettronica inviati all’epoca da Google alle imprese di cui trattasi risulta che i suoi interventi erano motivati dalla volontà di ostacolare lo sviluppo di fork Android non compatibili e non dalla necessità di risolvere difficoltà tecniche connesse ai dispositivi stessi.

833    In terzo luogo, le osservazioni trasmesse alla Commissione da un’impresa interrogata durante il procedimento amministrativo mostrano che Google stessa vegliava al rispetto degli AAF da parte degli OEM procedendo, sporadicamente, ad acquisti presso gli MNO e sottoponendo essa stessa i dispositivi così acquistati alla STC (punto 1061 della decisione impugnata).

834    Si deve quindi ritenere che l’esistenza in concreto della pratica considerata dalla Commissione come costitutiva del secondo abuso, ammessa da Google, sia dimostrata. Da quanto precede risulta altresì che essa è stata oggetto di un’attuazione effettiva, e ciò fin dalle origini di Android.

835    Occorre, pertanto, verificare se tale prassi, volta a limitare lo sviluppo di fork Android non compatibili, costituisca un abuso di posizione dominante ai sensi dell’articolo 102 TFUE. A tal fine, occorre esaminare le ragioni per le quali la Commissione ha ritenuto, nella decisione impugnata, che tale esclusione restringesse la concorrenza o, quantomeno, fosse in grado di farlo, nonché gli argomenti con cui Google contesta tali valutazioni.

2)      Sul carattere anticoncorrenziale della pratica

836    Per quanto riguarda il carattere anticoncorrenziale della pratica di cui trattasi, secondo la decisione impugnata Google ha perseguito obiettivi anticoncorrenziali e il suo comportamento ha effettivamente prodotto effetti restrittivi della concorrenza. È necessario, pertanto, esaminare tali valutazioni.

i)      Sul carattere anticoncorrenziale degli obiettivi perseguiti

837    Da documenti interni menzionati nella decisione impugnata risulta che gli OAF sono stati concepiti, in particolare, con l’intento di ostacolare qualsiasi sviluppo del codice sorgente di Android non approvato da Google, privando di sbocchi commerciali gli sviluppatori di fork Android non compatibili. Tale obiettivo è peraltro confermato dagli argomenti dedotti da Google nell’ambito della prima parte del quarto motivo.

838    Da un lato, infatti, da messaggi di posta elettronica interni citati nella decisione impugnata risulta che la strategia intesa ad ostacolare lo sviluppo dei fork Android non compatibili è stata posta in essere sin dall’inizio, per impedire ai partner e ai concorrenti di Google di sviluppare versioni autonome di Android. Sin dall’inizio, come risulta da messaggi di posta elettronica interni e da informazioni pubblicate sul sito Internet di Android, Google ha inteso riservare l’accesso all’«ecosistema» ai fork Android compatibili e vietare alle imprese partecipanti di commercializzare dispositivi funzionanti con fork Android non compatibili (punti 159 e 160 della decisione impugnata).

839    D’altro lato, gli argomenti presentati da Google nell’ambito della prima parte del presente motivo per contestare il carattere anticoncorrenziale della pratica in questione si fondano sull’asserita necessità di preservare l’«ecosistema Android» dalla frammentazione inerente ai modelli di licenza cosiddetti «open source». Tale asserita necessità costituirebbe una circostanza ostante a che il suo comportamento possa essere considerato abusivo, dal momento che i vantaggi pro concorrenza derivanti dalla non frammentazione dell’«ecosistema Android» supererebbero ampiamente gli effetti anticoncorrenziali dell’esclusione dei fork Android non compatibili. Orbene, secondo Google, tale rischio di frammentazione deriverebbe dalla presenza stessa nel mercato dei fork Android non compatibili, idonei, a causa della loro incompatibilità, a minare l’interoperabilità, vale a dire la capacità di far funzionare tutte le applicazioni concepite per Android su tutti i dispositivi che utilizzano Android o qualsiasi fork Android come SO. Google riconosce quindi che la necessità di lottare contro una siffatta minaccia l’ha indotta a ostacolare lo sviluppo dei fork non compatibili.

840    A tal riguardo, secondo Google, i semplici incentivi del mercato non avrebbero potuto pervenire al risultato perseguito, dal momento che gli sviluppatori e gli OEM, in mancanza degli AAF, non avrebbero avuto un interesse sufficiente a porre rimedio essi stessi a qualsiasi rischio di incompatibilità. Google fa quindi valere che il divieto di commercializzazione riguardante i fork Android non compatibili contenuto negli AAF era pertanto necessario. Quanto alla questione se il rischio di frammentazione asserito da Google sia tale da giustificare obiettivamente tale comportamento, essa sarà esaminata nell’ambito della seconda parte del presente motivo.

841    Si deve quindi constatare che dalle dichiarazioni stesse di Google, corroborate dai documenti del fascicolo, risulta che la pratica qualificata come abusiva nella decisione impugnata è stata scientemente attuata al fine di limitare l’accesso al mercato dei fork Android non compatibili.

ii)    Sulla restrizione della concorrenza

842    Occorre pertanto esaminare se Google abbia fondamento nel sostenere che la Commissione non ha sufficientemente dimostrato, nella decisione impugnata, che la pratica di cui trattasi fosse idonea a restringere la concorrenza. A tal proposito, gli elementi considerati dalla Commissione, nella decisione impugnata, per dimostrare la capacità del secondo abuso di restringere la concorrenza, contestata da Google, possono essere raggruppati in ragioni principali. In primo luogo, i fork Android non compatibili sarebbero concorrenti di Google più credibili dei fork Android compatibili. In secondo luogo, il secondo abuso avrebbe consentito a Google di escludere effettivamente i fork Android non compatibili. In terzo luogo, infine, tale esclusione sarebbe pregiudizievole per la concorrenza, in quanto avrebbe come conseguenza di rafforzare la posizione dominante di Google nei mercati dei servizi di ricerca generale nazionali e costituirebbe un freno all’innovazione.

–       Sulla minaccia potenziale esercitata dai fork non compatibili

843    Secondo la Commissione, i fork Android non compatibili costituiscono per Google una minaccia concorrenziale non solo credibile, ma anche superiore a quella esercitata dai fork Android compatibili e a quella che potrebbe essere rappresentata da SO diversi, come Windows Mobile o Linux. A tal riguardo, le parti non concordano, da un lato, sulla misura in cui le applicazioni ideate per Android possano funzionare correttamente su fork Android non compatibili nonché, dall’altro, sui costi derivanti dall’adattamento di tali applicazioni ai fork Android non compatibili, in quanto la Commissione stima che essi siano inferiori in caso di porting di un’applicazione concepita per Android verso un fork Android non compatibile rispetto a quelli che sarebbero necessari per il porting da tale applicazione verso SO diversi.

844    A tal riguardo, dagli atti di causa risulta inequivocabilmente che i fork Android non compatibili costituiscono, al pari di Android e dei fork Android compatibili, SO su licenza. Inoltre, dall’esame del primo motivo risulta che i SO su licenza costituiscono un mercato rilevante ai fini della valutazione dei rapporti di concorrenza. Di conseguenza, i fork Android non compatibili possono entrare in concorrenza con Google nel mercato dei SO su licenza. Pertanto, è irrilevante la questione, dibattuta tra le parti, di stabilire in che misura, rispetto alla pressione concorrenziale esercitata su Google dai fork Android non compatibili, la pressione concorrenziale relativa esercitata dai fork Android compatibili e dagli altri SO oggetto di licenza sia più o meno significativa. Per caratterizzare una restrizione della concorrenza, è sufficiente, infatti, dimostrare che i fork Android non compatibili sarebbero stati concorrenti di Android nel mercato dei SO oggetto di licenza, circostanza che Google non contesta.

845    Del pari, è altresì irrilevante la questione se i costi di porting delle applicazioni verso i fork Android non compatibili, vale a dire le spese di sviluppo che devono essere sostenute per consentire il corretto funzionamento delle applicazioni concepite per Android su dispositivi il cui SO è un fork Android non compatibile, siano più o meno elevati di quelli del porting verso SO diversi da Android. Infatti, anche ammesso – circostanza che Google non ha dimostrato – che i costi del porting delle applicazioni ideate per l’«ecosistema Android» verso i fork Android non compatibili siano paragonabili a quelli che devono essere sostenuti per un porting verso SO completamente diversi, vale a dire non sviluppati a partire dal codice sorgente di Android, si deve ritenere che, per quanto riguarda tali spese, la minaccia concorrenziale nei confronti di Google esercitata dai fork Android non compatibili non può essere inferiore a quella esercitata dagli altri SO su licenza analizzati nella decisione impugnata.

846    La capacità dei fork Android non compatibili di esercitare una pressione concorrenziale su Google non è rimessa in discussione neppure dagli argomenti delle ricorrenti secondo cui lo sviluppo di fork Android non compatibili non presenta alcun interesse commerciale, il che escluderebbe che costituiscano una minaccia nei loro confronti. Infatti, Google presenta al riguardo un’affermazione generale ed astratta, la cui fondatezza non è basata su alcun elemento di prova concludente. Al contrario, la Seznam, nella sua risposta ai quesiti scritti del Tribunale, fa valere di aver tentato invano di convincere alcuni OEM che avevano concluso un AAF con Google di commercializzare dispositivi funzionanti con fork Android non compatibili, sui quali essa contava di installare il proprio motore di ricerca. Tale esempio corrobora le valutazioni contenute nella decisione impugnata secondo cui il secondo abuso ha contribuito a sottrarre Google alla minaccia concorrenziale che fork Android non compatibili avrebbero potuto rappresentare per essa, sia nel mercato dei SO su licenza sia in quello dei servizi di ricerca generale.

847    Da quanto precede risulta che Google non ha dimostrato che i fork Android non compatibili non avrebbero potuto in alcun caso costituire per essa una minaccia concorrenziale. Pertanto, occorre esaminare se gli AAF possano avere effettivamente reso più difficile l’ingresso di tali concorrenti di Google nel mercato dei SO.

–       Sull’effettiva esclusione dei fork Android non compatibili e sugli effetti anticoncorrenziali di tale esclusione

848    È pacifico che, durante il periodo dell’infrazione considerato nella decisione impugnata, nessun fork Android non compatibile è stato in grado di esistere in modo duraturo nel mercato. Le parti dissentono sull’interpretazione di tale constatazione. La Commissione ritiene, nella decisione impugnata, che il fallimento commerciale dei fork Android non compatibili che sono comparsi sul mercato, da un lato, e il mancato ingresso nel mercato di nuovi fork Android non compatibili, dall’altro, derivino dal comportamento di Google. In particolare, la Commissione contesta a Google di aver imposto di concludere un AAF a tutti gli OEM che intendevano beneficiare dell’installazione di Play Store e di Google Search sui dispositivi da essi commercializzati. Al contrario, Google sostiene che il fallimento dei fork Android non compatibili attiene alle loro carenze intrinseche e alla loro mancanza di interesse commerciale.

849    Anzitutto, occorre osservare che Google non contesta le osservazioni, contenute nella sezione 6.3.1 della decisione impugnata, relative alla copertura degli AAF. A tal riguardo, nella decisione impugnata viene ricordato che Google ha concluso AAF o accordi analoghi con un centinaio di imprese operanti nel mercato dei dispositivi mobili intelligenti, a tutti i livelli della catena di produzione di tali dispositivi. Alcuni AAF, in particolare, sono stati conclusi con i 30 OEM più importanti in base alle loro vendite di dispositivi mobili intelligenti (grafico 7 della decisione impugnata). La durata di tali accordi conclusi con gli OEM era almeno pari a quella degli ADAM, dovendo gli AAF essere rinnovati nel caso in cui gli OEM intendessero continuare a beneficiare di un ADAM. Si deve quindi ritenere dimostrato che, durante il periodo dell’infrazione, gli operatori economici più importanti, in grado di offrire uno sbocco commerciale agli sviluppatori di fork Android non compatibili, erano ostacolati dal farlo dagli AAF.

850    Inoltre, Google contesta l’interpretazione, da parte della Commissione, del fallimento di Fire OS, un fork Android non compatibile sviluppato da Amazon e concepito allo scopo di creare un «ecosistema» indipendente da Google, ma per consentire alle applicazioni concepite per Android di funzionare. Secondo Google, il fallimento di Fire OS si spiega con diversi fattori, tra cui l’indisponibilità di Play Store, circostanza che Amazon stessa avrebbe riconosciuto. A tal riguardo, occorre osservare che è certamente pacifico che Play Store è un «must have» deliberatamente riservato ai partecipanti all’«ecosistema Android». Tuttavia, Google non fornisce alcun elemento idoneo a inficiare le constatazioni, contenute nella decisione impugnata, secondo cui sei degli OEM più importanti in termini di vendite hanno rifiutato di concludere accordi diretti allo sviluppo di dispositivi funzionanti con Fire OS, rispondendo ad Amazon che si tratterebbe di una violazione manifesta degli AAF (punto 1094 della decisione impugnata). Occorre pertanto considerare che, pur se il fallimento commerciale di Fire OS potrebbe trovare spiegazione anche in altre ragioni, le quali non sono, peraltro, indipendenti dalla politica commerciale di Google, la Commissione ha tuttavia dimostrato che gli AAF avevano privato tale SO degli sbocchi che avrebbero potuto per quest’ultimo essere costituiti dagli OEM che avevano concluso un AAF con Google.

851    Inoltre, Google non contesta di essere attivamente intervenuta per ricordare i loro obblighi a vari OEM che intendevano commercializzare, in un primo tempo in Cina, il SO Aliyun, un fork Android non compatibile sviluppato da Alibaba. Infatti, dalle dichiarazioni rese da quest’ultima impresa durante il procedimento amministrativo risulta che essa intendeva concludere accordi di produzione miranti a introdurre il suo SO in Cina, poi nel resto del mondo, compreso il SEE. Dalle dichiarazioni rese da vari OEM risulta altresì che Google ha chiesto espressamente loro di sospendere qualsiasi trattativa commerciale con Alibaba (punti 1054, 1057 e 1069 della decisione impugnata). Orbene, pur se ritiene i suoi interventi giustificati da ragioni relative alla tutela della sua reputazione e alla volontà di non consentire ai suoi concorrenti di beneficiare di esternalità positive dovute al carattere «open source» della licenza di Android, Google non contesta di essere intervenuta per far rispettare da tali OEM gli obblighi relativi al divieto di fornire sbocchi ai fork Android non compatibili contenuti negli AAF. In tali circostanze, Google non può fondatamente sostenere che il fallimento di Alibaba in Cina si spiega esclusivamente con carenze del materiale e con problemi di qualità delle contraffazioni.

852    Inoltre, occorre ricordare che, nella seconda parte del quarto motivo, Google fa valere, in risposta ad un argomento della Commissione, che, in mancanza degli AAF, la disciplina del mercato, malgrado la mancanza di interesse commerciale allo sviluppo di fork Android non compatibili, non sarebbe stata sufficiente a garantire la mancanza di incompatibilità. Infatti, in mancanza di obblighi vincolanti, Google ritiene che gli operatori dell’«ecosistema Android» avrebbero avuto interesse a beneficiare dell’interoperabilità risultante dalla compatibilità, ma non necessariamente a sostenere essi stessi le spese necessarie per porre rimedio a tutte le incompatibilità.

853    Infine, le parti non concordano neppure per quanto riguarda le conseguenze che devono essere tratte dal fatto che Google si è riservata la proprietà delle IPA nonché di altri programmi da essa stessa sviluppati, che contribuiscono al funzionamento delle applicazioni sui dispositivi, consentendo loro di comunicare efficacemente con il SO. Sebbene, nella decisione impugnata, la Commissione ritenga che il rifiuto di Google di mettere le sue IPA a disposizione degli sviluppatori di fork Android non compatibili abbia contribuito al secondo abuso, occorre tuttavia rilevare che, come ha confermato in udienza, essa non contesta, in quanto tale, il diritto di proprietà di Google sui programmi da essa sviluppati. Occorre inoltre rilevare che Google ha dichiarato, senza essere contraddetta, che le versioni successive del codice sorgente di Android da essa divulgate includevano tutte un aggiornamento delle IPA «di base» e che queste ultime erano sufficienti a consentire alle applicazioni concepite per Android di funzionare su tutti gli sviluppi compatibili del codice sorgente.

854    Nel caso di specie, occorre rilevare che non può essere considerato di per sé abusivo, ai sensi dell’articolo 102 TFUE, l’uso da parte di un’impresa, anche in posizione dominante, di un diritto di proprietà legittimamente acquisito. Infatti, l’esercizio di un diritto esclusivo connesso a un diritto di proprietà intellettuale fa parte delle prerogative del titolare di un siffatto diritto, cosicché l’esercizio di tale diritto, pur provenendo da un’impresa in posizione dominante, non può costituire di per sé un abuso di quest’ultima. Tuttavia, comportamenti siffatti non possono essere ammessi quando hanno proprio lo scopo di rafforzare la posizione dominante del loro autore e di abusarne [v. sentenza del 30 gennaio 2020, Generics (UK) e a., C‑307/18, EU:C:2020:52, punti 150 e 151 e giurisprudenza ivi citata].

855    Nel caso di specie, occorre tener conto delle dichiarazioni rilasciate da tre imprese durante il procedimento amministrativo, secondo le quali la messa a disposizione di IPA proprietarie sempre più efficienti solo per i partecipanti all’«ecosistema Android» ha avuto la tendenza a incentivare gli sviluppatori di applicazioni per Android a dipendere in modo critico da tali IPA. Il costo di un eventuale porting delle applicazioni verso fork Android non compatibili è quindi divenuto più dissuasivo. Tenuto conto di tali constatazioni, occorre considerare che la politica commerciale adottata da Google per quanto riguarda la messa a disposizione delle sue IPA deve essere presa in considerazione, in quanto elemento contestuale, per valutare l’effetto delle restrizioni degli sbocchi introdotte negli AAF. Tale effetto è tanto più importante in quanto Google non contesta le valutazioni della Commissione secondo le quali il divario tecnologico tra le IPA di Google e le versioni di base del codice sorgente è aumentato durante tutto il periodo dell’infrazione. L’accesso alle IPA proprietarie di Google presentava quindi un interesse strategico per gli sviluppatori e gli OEM. L’ADA, interveniente a sostegno di Google, conferma del resto che, senza le IPA proprietarie di Google, le applicazioni non funzionerebbero correttamente e le correzioni di tali disfunzioni comporterebbero costi molteplici ed elevati.

856    Orbene, come risulta dall’esame del secondo motivo, gli OEM intenzionati a disporre delle IPA proprietarie di Google dovevano concludere un ADAM, il che presupponeva, in via preliminare, di accettare le condizioni degli AAF. Pertanto, occorre constatare che la politica di sviluppo e di distribuzione dei suoi IPA da parte di Google ha costituito un incentivo a concludere AAF, i quali, come si è appena constatato, limitavano gli sbocchi dei fork Android non compatibili.

857    Per dimostrare il carattere anticoncorrenziale della pratica di esclusione costitutiva del secondo abuso, la Commissione, nella decisione impugnata, evidenzia, oltre all’ostacolo allo sviluppo di concorrenti reali o potenziali di Google nel mercato dei SO su licenza, due conseguenze principali. Da un lato, il secondo abuso avrebbe portato al rafforzamento della posizione dominante di Google nel mercato dei servizi di ricerca generale. D’altro lato, esso costituirebbe un freno all’innovazione e limiterebbe la diversità delle offerte accessibili ai consumatori (punti da 1139 a 1145 della decisione impugnata).

858    Per quanto riguarda il primo punto sopra menzionato, da un lato, Google contesta il fatto che gli AAF abbiano contribuito al rafforzamento della sua posizione dominante nei mercati dei servizi di ricerca generale. A sostegno della sua contestazione, Google fa valere, in sostanza, che gli AAF non contenevano alcuna clausola che vietasse agli OEM di installare servizi di ricerca generale concorrenti di Google Search e che il successo del proprio servizio si spiega con i suoi meriti.

859    A tal riguardo, è sufficiente constatare che la Commissione non ha ritenuto abusive le clausole degli AAF nella parte in cui si applicavano ai dispositivi sui quali è installato il pacchetto GMS. Per contro, nell’ambito del secondo abuso, la Commissione contesta a Google di aver fatto in modo di privare i fork Android non compatibili di qualsiasi sbocco commerciale. Orbene, è pacifico che la politica di licenza attuata da Google consisteva nel riservare il pacchetto GMS ai fork Android compatibili. Era quindi escluso installare Google Search sui dispositivi funzionanti con fork Android non compatibili. Questa sola circostanza è sufficiente per dimostrare che i fork Android non compatibili avrebbero potuto costituire canali di distribuzione per servizi di ricerca generale concorrenti. Pertanto, se è vero che gli AAF non contenevano alcun divieto di preinstallare servizi di ricerca generale concorrenti di Google Search, essi contribuivano tuttavia, limitando gli sbocchi dei fork Android non compatibili, a privare i servizi di ricerca generale concorrenti di situazioni nelle quali, essendo oggetto di una preinstallazione esclusiva, essi non sarebbero entrati in concorrenza diretta con Google Search su un determinato dispositivo.

860    Infatti, sui dispositivi che funzionano con fork Android non compatibili, i servizi di ricerca generale concorrenti di Google Search avrebbero potuto aspirare non solo a una preinstallazione, ma anche a un’installazione esclusiva. È questa del resto, secondo la Seznam, la ragione per cui essa ha proposto ad alcuni OEM la commercializzazione di dispositivi funzionanti con fork Android non compatibili, sui quali sarebbe stato installato unicamente il proprio servizio di ricerca generale. La FairSearch fa altresì valere, senza essere seriamente contraddetta, che la pratica controversa ha reso più difficile lo sviluppo e la penetrazione nel mercato dei servizi di ricerca generale che pongono l’accento sulla tutela della vita privata degli utenti.

861    Ne consegue che Google non ha fondamento nel contestare le valutazioni secondo cui la sua pratica di esclusione dei fork Android non compatibili ha contribuito al rafforzamento della sua posizione dominante nei mercati dei servizi di ricerca generale.

862    D’altro lato, per quanto riguarda il freno all’innovazione, la Commissione ha ritenuto, nella decisione impugnata, che la pratica di esclusione dei fork Android non compatibili istituita negli AAF, impedendo lo sviluppo di varianti diverse del SO, aveva, di conseguenza, ostacolato le possibilità di innovazione e privato gli utenti di funzionalità distinte da quelle offerte dai fork Android compatibili o aggiuntive rispetto a questi ultimi. A tal riguardo, contrariamente a quanto sostenuto da Google, la Commissione non era tenuta, per dimostrare la fondatezza di tale valutazione, a definire con maggiore precisione quali funzionalità avrebbero potuto essere introdotte in mancanza della pratica controversa. Infatti, Google non contesta il fatto che i mercati di cui trattasi siano caratterizzati dalla rapidità delle innovazioni, alle quali fork aventi caratteristiche diverse da quelle dei fork compatibili sarebbero state in grado di contribuire.

863    Da quanto precede risulta che la Commissione ha sufficientemente dimostrato che gli AAF avevano vietato ai loro firmatari di fornire sbocchi ai fork Android non compatibili. Tale ostacolo a concorrenti diretti di Google nel mercato dei SO, i cui effetti sono, inoltre, rafforzati dalla politica di Google relativa alle condizioni di commercializzazione delle sue IPA e delle altre sue applicazioni proprietarie, ha peraltro contribuito a rafforzare la posizione dominante di Google nei mercati dei servizi di ricerca generale e si è altresì rivelato pregiudizievole per gli utenti finali.

864    Poiché la Commissione ha ritenuto che il secondo abuso consistesse nell’applicazione del complesso di norme tecniche definite nel DDC ai dispositivi sui quali non era installato il pacchetto GMS e ha proceduto ad un’analisi complessiva degli effetti della restrizione della concorrenza causata dalla pratica controversa, essa non era tenuta, contrariamente a quanto sostiene Google, a individuare con precisione le norme del DDC da cui derivavano tali effetti. Infatti, gli addebiti rivolti a Google nella decisione impugnata non riguardano il contenuto degli obblighi di compatibilità da essa definiti, bensì la sua pratica diretta a impedire ai fork Android non compatibili di trovare sbocchi commerciali.

865    Dal momento che tale pratica può essere considerata dimostrata nella sua esistenza e nei suoi effetti dagli elementi che precedono, non è necessario pronunciarsi, nell’ambito di questa parte, sugli argomenti relativi alla chiarezza degli OAF, al carattere puramente teorico della possibilità, per Google, di far evolvere il contenuto del DDC in senso anticoncorrenziale o dell’esistenza, da parte di quest’ultima, dell’intenzione di indurre in errore le controparti contrattuali. Tali argomenti, infatti, sono diretti a contestare ragioni supplementari considerate peraltro della decisione impugnata, di modo che il loro esame non potrebbe rimettere in discussione le constatazioni che precedono. Per contro, occorre ora esaminare le giustificazioni obiettive presentate da Google.

3.      Sulla seconda parte, relativa allesistenza di giustificazioni obiettive

a)      Decisione impugnata

866    La Commissione ritiene che non possa essere ammessa nessuna delle giustificazioni obiettive addotte da Google. Essa contesta l’argomento sviluppato da Google in otto punti durante il procedimento amministrativo, vale a dire che, in primo luogo, gli OAF sarebbero necessari per garantire la compatibilità all’interno dell’«ecosistema Android», in quanto i modelli commerciali degli sviluppatori degli altri SO sono più restrittivi della concorrenza; in secondo luogo, gli OAF sarebbero necessari prevenire la frammentazione, che sarebbe deleteria per l’intero «ecosistema Android»; in terzo luogo, gli OAF sarebbero necessari per tutelare la sua reputazione; in quarto luogo, gli OAF sarebbero necessari per evitare che gli sviluppatori di fork Android non compatibili beneficino di esternalità indebite connesse alla riduzione dei loro costi di sviluppo mediante la messa a disposizione gratuita di un codice sorgente già operativo; in quinto luogo, gli OAF sarebbero necessari per evitare che gli sviluppatori di fork Android non compatibili beneficino di esternalità indebite connesse alla messa a loro disposizione, da parte di Google, della sua tecnologia, in particolare mediante la comunicazione precoce del codice sorgente o mediante l’organizzazione di seminari di perfezionamento per gli sviluppatori; in sesto luogo, gli OAF sarebbero stati introdotti prima che essa beneficiasse di una posizione dominante; in settimo luogo, gli OAF non sarebbero stati concepiti allo scopo di indurre in errore sulla loro portata le imprese che hanno concluso un AAF e, in ottavo luogo, la Commissione avrebbe omesso di fare il bilancio degli effetti anticoncorrenziali e favorevoli alla concorrenza degli OAF (punti da 1155 a 1183 della decisione impugnata).

b)      Argomenti delle parti

1)      Argomenti di Google

867    A sostegno della seconda parte del quarto motivo, Google sostiene che la decisione impugnata non tiene conto della natura favorevole alla concorrenza degli OAF, necessari per tutelare l’integrità e la qualità della piattaforma Android a fronte di rischi inerenti ad eventuali incompatibilità.

868    In primo luogo, Google sostiene che gli OAF sono necessari per tutelare la redditività e la qualità di Android contro i rischi che deriverebbero dalle incompatibilità. Gli OAF garantirebbero agli sviluppatori che le loro applicazioni siano eseguite su diversi dispositivi Android senza malfunzionamenti. Essi fornirebbero altresì agli utenti finali la garanzia che le applicazioni sviluppate per Android funzionino sulla periferica Android di loro scelta. Promuovere la compatibilità costituirebbe, pertanto, un vantaggio concorrenziale, al contempo, per gli sviluppatori di fork Android, per gli sviluppatori di applicazioni, per gli OEM e per gli utenti. La preservazione di tale interoperabilità e la tutela dell’integrità e della qualità della piattaforma Android sarebbero obiettivi legittimi e privi di carattere anticoncorrenziale.

869    In secondo luogo, Google ricorda che Android è stato introdotto con un modello di licenza aperta, che offre agli OEM e agli sviluppatori maggiore flessibilità rispetto ai modelli di licenza cosiddetti «proprietari», consentendo loro di modificare il codice sorgente e di adattarlo alle loro esigenze. La piattaforma Android, all’interno della quale coesisterebbero diversi fork, sarebbe quindi destinata a svilupparsi in maniera pluralista e diversificata. Tali particolarità renderebbero tuttavia indispensabile istituire meccanismi destinati a prevenire la frammentazione, che potrebbe condurre alla distruzione della piattaforma Android nel suo insieme. Gli OAF, che mirerebbero soltanto a rispondere a tale obiettivo, sarebbero quindi giustificati, anche supponendo che presentino un carattere anticoncorrenziale – circostanza peraltro contestata da Google nell’ambito della prima parte del presente motivo.

870    Vari elementi dimostrerebbero la necessità degli OAF. Sotto un primo profilo, le precedenti esperienze di frammentazione delle piattaforme aperte Unix, Symbian e Linux Mobile mostrerebbero le conseguenze irrimediabili della proliferazione delle incompatibilità. Sotto un secondo profilo, le testimonianze di numerosi partecipanti all’«ecosistema Android» confermerebbero la posizione di Google. Pertanto, oltre il 94% (35 su 37) dei partecipanti ad Android che hanno risposto nel merito ai quesiti della Commissione riguardanti la frammentazione (compresi gli sviluppatori di applicazioni, gli OEM, gli MNO e altre imprese) avrebbe indicato che la minaccia di incompatibilità era una fonte di preoccupazione. Sotto un terzo profilo, documenti interni di Google prodotti durante il procedimento amministrativo attesterebbero che l’unica ragion d’essere degli OAF era di garantire la compatibilità e di preservare l’integrità della piattaforma Android.

871    In terzo luogo, Google rileva che, nella decisione impugnata, la Commissione afferma che gli OAF non erano necessari, in quanto gli sviluppatori di fork eviterebbero spontaneamente le incompatibilità per garantire il buon funzionamento delle applicazioni. Secondo Google, la Commissione non potrebbe al tempo stesso, senza contraddirsi, da un lato, criticare gli OAF sulla base del rilievo che essi impedirebbero lo sviluppo di fork Android non compatibili, e, dall’altro, far valere che gli sviluppatori ridurrebbero al minimo le incompatibilità indipendentemente dall’esistenza degli OAF. Google ritiene che gli sviluppatori potrebbero assicurarsi della compatibilità dei loro fork Android solo conformandosi ai requisiti tecnici del DDC. Senza gli OAF, la compatibilità non potrebbe essere pertanto garantita. Non si potrebbe neppure affermare che gli sviluppatori di fork o gli OEM assicurerebbero essi stessi la compatibilità, dal momento che essi avrebbero interesse a beneficiare dell’interoperabilità, ma non avrebbero un incentivo sufficiente a compiere essi stessi tutti gli sforzi necessari per garantirla in mancanza di criteri di definizione e di controllo comuni, che Google era l’unica in grado di mettere in atto.

872    In quarto luogo, Google rileva che l’applicazione degli OAF, di cui la Commissione riconosce la legittimità là dove si applicano ai dispositivi sui quali è installato il pacchetto GMS, deve essere necessariamente estesa ai dispositivi sui quali tali applicazioni non sono preinstallate. In caso contrario, l’integrità e la redditività della piattaforma Android nel suo insieme non potrebbero essere tutelate dai problemi derivanti dalle incompatibilità, vale a dire il rischio della frammentazione di Android.

873    In quinto luogo, Google contesta gli argomenti della Commissione relativi alla possibilità di porre rimedio agli inconvenienti della frammentazione mediante il ricorso ad una politica di proprietà intellettuale adeguata. A tal riguardo, la Commissione lascerebbe intendere che i problemi di incompatibilità intaccherebbero soltanto la sua reputazione e potrebbero essere risolti con una strategia di marchio che limiti l’uso della denominazione «Android» ai dispositivi compatibili. L’incompatibilità e il rischio di malfunzionamento delle applicazioni Android non costituirebbero tuttavia un problema di reputazione, ma un problema tecnico che minaccia l’integrità e la redditività dell’«ecosistema Android». Tale argomento ignorerebbe anche il fatto che gli OAF si applicano solo ai dispositivi «sviluppati appositamente per funzionare su Android». Se non fossero all’altezza delle aspettative degli utenti e degli sviluppatori di applicazioni in materia di compatibilità, tali dispositivi minerebbero la fiducia riposta in Android nel suo complesso.

2)      Argomenti della Commissione

874    La Commissione fa valere che, nella decisione impugnata, gli AAF sono contestati unicamente nei limiti in cui essi esigono dagli OEM che i loro dispositivi sui quali non sono preinstallate le applicazioni di Google superino la STC. Secondo la Commissione, devono essere respinte le giustificazioni obiettive addotte riguardo alla necessità di evitare i rischi connessi alle applicazioni che non funzionano o non funzionano correttamente sui dispositivi sui quali non sono preinstallate le applicazioni di Google. Infatti, gli utenti e gli sviluppatori di applicazioni non attribuirebbero a Google eventuali carenze o disfunzioni delle applicazioni su tali dispositivi.

875    Gli OAF non avrebbero l’unico scopo di garantire la compatibilità e di preservare l’integrità della piattaforma Android, ma cercherebbero anche di contrastare le conseguenze negative per Google della concorrenza proveniente dai fork Android non compatibili. Ciò risulterebbe da documenti interni di Google e dalle risposte alle richieste di informazioni.

c)      Giudizio del Tribunale

876    Secondo la giurisprudenza richiamata in sede di esame della seconda parte del secondo motivo, un comportamento non è abusivo se è giustificato da vantaggi pro concorrenza o se soddisfa interessi legittimi. In particolare, l’impresa che occupa una posizione dominante può dimostrare, a tal fine, o che il suo comportamento è obiettivamente necessario, o che l’effetto preclusivo che ne deriva può essere controbilanciato, se non addirittura superato, da vantaggi in termini di efficienza che vanno anche a beneficio del consumatore. A tal fine, spetta all’impresa dominante di cui trattasi dimostrare che i vantaggi in termini di efficienza che possono risultare dal comportamento in questione neutralizzano l’effetto preclusivo che ne deriva, che è stato o è possibile realizzare tali vantaggi in termini di efficienza grazie a detto comportamento, che quest’ultimo è indispensabile per realizzarli e che esso non elimina una concorrenza effettiva sopprimendo la totalità o la maggior parte delle fonti esistenti di concorrenza attuale o potenziale (v., in tal senso, sentenza del 27 marzo 2012, Post Danmark, C‑209/10, EU:C:2012:172, punti da 40 a 42 e giurisprudenza ivi citata). È alla luce di tali principi che occorre valutare le giustificazioni addotte da Google.

1)      Sulla necessità di tutelare la compatibilità all’interno dell’«ecosistema Android» e di prevenire la «frammentazione»

877    Google ritiene che il comportamento controverso sia necessario al fine di garantire la compatibilità all’interno dell’«ecosistema Android», per il quale la frammentazione costituirebbe una minaccia. Si tratta tuttavia di due obiettivi diversi, che occorre valutare separatamente.

878    Da un lato, occorre ricordare che la Commissione non ha ritenuto, nella decisione impugnata, che l’istituzione di obblighi volti a garantire la compatibilità dei fork Android sui quali erano installati Play Store e Google Search costituisse una violazione dell’articolo 102 TFUE. Occorre altresì ricordare che la Commissione non contesta il diritto di Google di riservare l’installazione del pacchetto GMS ai dispositivi che funzionano con fork Android compatibili. La Commissione ha ritenuto abusivo soltanto il divieto imposto agli OEM che commercializzano dispositivi sui quali è installato il pacchetto GMS di offrire, inoltre, sbocchi commerciali ai fork Android non compatibili. Ne consegue che la prima giustificazione addotta da Google, ossia la necessità di garantire la compatibilità all’interno dell’«ecosistema Android», non ha alcun rapporto con il secondo abuso e, pertanto, è irrilevante nel caso di specie.

879    D’altro lato, Google non può giustificare la privazione di tutti gli sbocchi derivanti dagli AAF per i fork Android non compatibili con il solo motivo del rischio che la «frammentazione», vale a dire la moltiplicazione di piattaforme incompatibili tra loro, farebbe gravare sulla sopravvivenza stessa di Android. Google rinvia, su tale punto, ai fallimenti cui sono incorsi, per tale ragione, precedenti SO distribuiti, come Android, in «open source».

880    Orbene, e senza che sia necessario risolvere il dibattito tra le parti sul carattere nefasto o sui vantaggi che la frammentazione avrebbe potuto rappresentare per Google e per tutto il settore, è sufficiente constatare che Google non rimette seriamente in discussione le constatazioni effettuate nella decisione impugnata riguardo al grado preminente del potere di mercato dell’«ecosistema Android». Occorre ricordare, al riguardo, che devono essere respinti gli argomenti presentati, a sostegno del primo motivo, relativi alla posizione dominante di Google nei mercati dei portali di vendita di applicazioni e SO. Inoltre, Google non nega di occupare una posizione dominante nei mercati dei servizi di ricerca generale. Inoltre, secondo la tabella 1 riportata nella decisione impugnata, che neppure Google contesta, la quota dei dispositivi che funzionano con un SO su licenza venduti nel mondo, esclusa la Cina, da OEM vincolati da un AAF sarebbe passata dal [70‑80]% nel 2011 al [90‑100]% nel 2016 (punto 167 della decisione impugnata). Google non contesta neppure l’esattezza degli elementi riportati nel grafico 16 contenuto nella decisione impugnata, da cui risulta che il numero di applicazioni disponibili in Play Store ha raggiunto un milione nel 2013 e 2,8 milioni nel 2017 (punto 607 della decisione impugnata). Non si può certamente escludere che la situazione di Android abbia potuto essere assimilata, al momento del lancio, a quella dei SO preesistenti distribuiti in «open source», come Unix, Symbian e Linux. Tuttavia, la crescita estremamente rapida dell’«ecosistema Android» fin dall’inizio degli anni 2010 rende poco credibili le affermazioni di Google quanto al rischio ipotetico che la minaccia da essa descritta per la sopravvivenza stessa di tale «ecosistema» abbia potuto perdurare durante il periodo dell’infrazione. Ne consegue che tale giustificazione deve essere respinta.

2)      Sulla necessità di tutelare la sua reputazione

881    Google sostiene che, sebbene mirassero essenzialmente a rispondere a problematiche tecniche la cui incidenza era molto più seria, gli OAF erano altresì necessari per tutelare la sua reputazione.

882    A tal riguardo, anzitutto, occorre ricordare che la Commissione non ha considerato gli OAF abusivi allorché venivano applicati ai dispositivi sui quali era installato il pacchetto GMS, vale a dire le applicazioni di Google. Le affermazioni di Google relative alla tutela della sua reputazione devono essere quindi esaminate unicamente alla luce dell’ostacolo costituito dagli AAF per i fork Android non compatibili, sui quali l’installazione di tali applicazioni era in ogni caso esclusa da Google. Infatti, è pacifico che Google riserva il diritto di installare le sue applicazioni agli OEM che rispettino gli obblighi tecnici definiti nel DDC.

883    Google contesta poi la valutazione contenuta nella decisione impugnata secondo la quale essa potrebbe introdurre misure che consentano di eliminare qualsiasi confusione riguardo all’origine commerciale dei dispositivi che funzionano con fork Android compatibili mediante, ad esempio, la registrazione di marchi che riserverebbero loro la denominazione «Android» (punti da 1172 a 1176 della decisione impugnata). A tal riguardo, Google si limita a sostenere che siffatte misure non sarebbero sufficienti, ma non fornisce alcun elemento circostanziato a sostegno di tale affermazione. L’inefficacia della difesa, da parte di Google, dei suoi diritti di proprietà intellettuale allo scopo di tutelare la sua reputazione vietando, ad esempio, l’uso delle denominazioni «Google» e «Android» sui dispositivi che funzionano con fork Android non compatibili, estranei all’«ecosistema Android», non può essere, pertanto, dimostrata. Orbene, siffatte misure sarebbero certamente meno restrittive della concorrenza rispetto all’esclusione dei fork Android non compatibili derivante dagli AAF, la quale presenta, pertanto, un carattere sproporzionato rispetto allo scopo asserito.

884    Infine, Google, per suffragare il pregiudizio di cui trattasi, menziona essenzialmente i rischi che, a suo avviso, deriverebbero dalla «frammentazione», le eventuali disfunzioni imputabili ai fork Android non compatibili che si ripercuotono sull’intero «ecosistema». Orbene, da quanto precede risulta (v. supra, punti 879 e 880) che il rischio di propagazione a danno dell’ecosistema Android non è sufficientemente dimostrato nel caso di specie.

3)      Sulla necessità di eliminare gli effetti di guadagno inatteso

885    Google sostiene che gli OAF sono necessari per limitare gli effetti di guadagno inatteso derivanti dalla messa a disposizione di terzi della sua tecnologia. Per quanto riguarda le esternalità positive di cui beneficerebbero i fork Android non compatibili, si tratta, da un lato, secondo Google, di effetti finanziari di guadagno inatteso, derivanti dalla riduzione dei costi di sviluppo per quanto riguarda sia il SO che le applicazioni e, dall’altro, di effetti tecnici di guadagno inatteso, connessi ai trasferimenti della sua tecnologia (v., in tal senso, sentenza del 27 marzo 2012, Post Danmark, C‑209/10, EU:C:2012:172, punti 41 e 42).

886    A tal riguardo, occorre ricordare che la Commissione contesta gli AAF solo in quanto contengono obblighi diretti a privare i fork Android non compatibili di sbocchi commerciali. Orbene, il diritto di un’impresa di beneficiare delle ricadute economiche connesse ai servizi che essa sviluppa non può estendersi fino a riconoscerle il diritto di impedire a eventuali concorrenti di esistere nel mercato. Inoltre, occorre osservare, al pari della Commissione (punti da 1177 a 1181 della decisione impugnata), che la possibilità per i terzi di beneficiare della tecnologia sviluppata da Google è inerente alla scelta fatta da tale impresa di divulgare il codice sorgente di Android mediante la licenza AOSP. Pertanto, l’eventualità che concorrenti di Google possano beneficiare di effetti inerziali non può giustificare il secondo abuso.

4)      Sull’anteriorità rispetto all’acquisizione della posizione dominante e sulla mancanza di inganno

887    Da un lato, Google non rimette in discussione la pertinenza delle osservazioni contenute nella decisione impugnata, secondo le quali la circostanza che il comportamento controverso abbia avuto inizio prima che essa avesse acquisito una posizione dominante nei mercati dei portali di vendita di applicazioni Android e dei servizi di ricerca generale non è idoneo a giustificare il secondo abuso. Occorre semplicemente osservare, a tal riguardo, che la Commissione non ha inflitto sanzioni a Google per il periodo precedente l’acquisizione della sua posizione dominante.

888    D’altro lato, la Commissione non contesta a Google di aver tentato di ingannare le parti degli AAF o i terzi sulla portata degli OAF, cosicché l’argomento tratto da Google dalla mancanza di qualsiasi inganno da parte sua deve essere respinto in quanto inoperante.

5)      Sulla presa in considerazione degli effetti favorevoli alla concorrenza degli OAF

889    Google contesta alla Commissione di non aver bilanciato gli effetti favorevoli alla concorrenza degli OAF con i loro effetti anticoncorrenziali. A tal riguardo, occorre ricordare che la Commissione non contesta il fatto che le norme di compatibilità definite da Google abbiano contribuito allo sviluppo dell’«ecosistema Android». La Commissione non contesta neppure il fatto che la compatibilità abbia prodotto effetti favorevoli alla concorrenza, favorendo lo sviluppo dei partecipanti a tale ecosistema nonché la loro reciproca concorrenza. La Commissione non ritiene neppure che Google non potesse introdurre norme destinate a garantire la compatibilità all’interno di detto «ecosistema». Per contro, la Commissione ha considerato che, poiché Google non aveva obiettivamente giustificato gli ostacoli ai fork Android non compatibili derivanti dagli AAF, essa non era tenuta a tener conto degli effetti favorevoli alla concorrenza degli OAF (punto 1183 della decisione impugnata).

890    A tal riguardo, occorre, anzitutto, ricordare che la Commissione considera abusive le clausole delle AAF solo nei limiti in cui esse vietano agli OEM di offrire sbocchi commerciali ai fork Android non compatibili. Tale ostacolo deve essere considerato, pertanto, ai fini dell’applicazione dell’articolo 102 TFUE, distinto dagli obblighi diretti a garantire la compatibilità dei fork Android compatibili e l’interoperabilità all’interno dell’«ecosistema Android», i cui effetti pro concorrenza non sono contestati. Infatti, come è stato ricordato supra, l’ostacolo in questione produce i suoi effetti al di fuori dell’ecosistema Android, poiché verte su fork non compatibili sui quali non sono destinate ad essere installate le applicazioni proprietarie di Google, come il pacchetto GMS, e sulle quali non sono necessariamente ricercate la compatibilità e l’interoperabilità.

891    Infatti, l’ostacolo allo sviluppo dei fork Android non compatibili non può essere considerato di per sé indispensabile per la definizione delle norme di compatibilità destinate ad essere applicate all’interno dell’«ecosistema Android». In particolare, dal fatto che le giustificazioni di Google relative alla necessità di contrastare la «frammentazione» devono essere respinte, risulta che Google non ha dimostrato che le fosse impossibile garantire la sopravvivenza dell’«ecosistema Android» in mancanza delle condizioni controverse. Pertanto, in mancanza di qualsiasi rapporto di necessità tra l’esclusione dei fork Android non compatibili, da un lato, e la compatibilità all’interno dell’ecosistema Android, che costituisce, peraltro, l’obiettivo perseguito dagli OAF, dall’altro, Google non ha fondamento nel sostenere che la Commissione avrebbe dovuto effettuare un bilanciamento tra gli effetti pro concorrenza degli OAF all’interno dell’ecosistema Android, i quali derivano, per i partecipanti a detto ecosistema, dai vantaggi della compatibilità, da un lato, e le restrizioni della concorrenza, esercitate al di fuori di tale ecosistema, individuate come costituenti il secondo abuso, dall’altro.

4.      Conclusione relativa alla valutazione del quarto motivo

892    Da quanto precede risulta che deve essere considerato dimostrato il carattere anticoncorrenziale dell’esclusione dei fork Android non compatibili tramite gli AAF. Tale comportamento ha privato di qualsiasi sbocco concorrenti potenziali o esistenti di Google, ha rafforzato la posizione dominante di Google nei mercati dei servizi di ricerca generale e ha costituito un freno all’innovazione. Google, inoltre, non ha né dimostrato che l’esclusione dei fork Android non compatibili risultante dagli AAF rispondesse a un obiettivo legittimo né ha dimostrato che tale esclusione comportasse effetti pro concorrenza imputabili a tale impresa.

893    Da quanto precede risulta altresì che la Commissione, contrariamente a quanto affermato da Google, ha debitamente tenuto conto del contesto economico e giuridico pertinente nonché degli effetti concreti prodotti dal secondo abuso. Pertanto, avendo sufficientemente dimostrato l’esistenza delle restrizioni controverse e dei loro effetti sulla concorrenza, la Commissione non era tenuta a procedere, inoltre, contrariamente a quanto ritengono Google e gli intervenienti a suo sostegno, ad un’analisi controfattuale destinata a valutare le conseguenze ipotetiche che avrebbero potuto essere osservate, in mancanza del secondo abuso, nei mercati dei portali di vendita di applicazioni Android, dei servizi di ricerca generale, nei quali detto abuso è stato accertato, nonché in quello dei SO su licenza, nei quali Google detiene anche una posizione dominante.

894    Pertanto, il quarto motivo deve essere respinto.

F.      Sul quinto motivo, vertente sulla violazione dei diritti della difesa

895    Nel quinto motivo, suddiviso in due parti, Google fa valere che la Commissione ha violato i suoi diritti della difesa non rispettando, da un lato, il suo diritto di essere ascoltata e, dall’altro, il suo diritto di accedere al fascicolo. Tali irregolarità procedurali inficerebbero le conclusioni della decisione impugnata e giustificherebbero il suo annullamento. Occorre esaminare anzitutto la seconda parte del motivo.

1.      Sulla seconda parte del quinto motivo, riguardante la violazione del diritto di accesso al fascicolo

a)      Argomenti delle parti

896    Google fa valere che il contenuto delle note relative alle riunioni che la Commissione ha tenuto con i terzi per quanto riguarda l’oggetto dell’indagine è insufficiente e non consente di garantire i suoi diritti della difesa o, quanto meno, di rispettare il principio di buona amministrazione. Tali note sarebbero state redatte in seguito, talvolta diversi anni dopo la riunione in questione. Solo 3 delle 35 note trasmesse al riguardo potrebbero essere considerate complete. Le altre 32 sarebbero troppo brevi e sommarie con riferimento a quanto sarebbe prescritto per un’audizione con terzi dall’articolo 19, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003, alla luce, in particolare, della sentenza del 6 settembre 2017, Intel/Commissione (C‑413/14 P, EU:C:2017:632).

897    In particolare, Google critica l’insufficienza delle informazioni trasmesse per quanto riguarda le riunioni con il membro della Commissione incaricato delle questioni in materia di concorrenza o con un membro del suo ufficio nonché l’anonimizzazione di taluni dati nominativi.

898    A causa della brevità delle note trasmesse, Google non potrebbe determinare il contenuto delle discussioni avvenute tra la Commissione e i terzi ascoltati nonché la natura delle informazioni fornite in tale ambito. Tale violazione dei diritti della difesa sarebbe sostanziale, in particolare, per quanto riguarda i colloqui con gli sviluppatori di applicazioni, in cui sarebbe plausibile che questi ultimi abbiano reso dichiarazioni a discarico che non sarebbero riportate nelle note trasmesse dalla Commissione.

899    La Commissione contesta la fondatezza di tale argomento.

900    In via preliminare, essa sostiene di essere tenuta a redigere un resoconto completo di una riunione con terzi solo se quest’ultima è un’«audizione» ai sensi dell’articolo 19 del regolamento n. 1/2003, vale a dire una riunione il cui scopo è quello di raccogliere informazioni relative all’indagine. Per le altre riunioni, la Commissione sarebbe tenuta soltanto a prendere appunti sintetici per quanto riguarda, da un lato, qualsiasi elemento di prova fornito nel corso della riunione di cui trattasi che essa prevede di utilizzare nella decisione e, dall’altro, qualsiasi elemento di prova potenzialmente favorevole fornito nella stessa occasione sul quale l’impresa oggetto dell’indagine avrebbe potuto basarsi per contrastare le conclusioni della Commissione.

901    In tale contesto, la Commissione sostiene che le riunioni con il membro della Commissione incaricato delle questioni in materia di concorrenza e con un membro del suo ufficio non avevano lo scopo di raccogliere informazioni relative all’oggetto dell’indagine.

902    Quanto alle note relative alle altre riunioni, la Commissione sostiene di aver fornito sufficienti informazioni sul momento e sul modo in cui aveva redatto tali note, in particolare per quanto riguarda le ragioni per le quali taluni dati nominativi erano omessi.

b)      Giudizio del Tribunale

903    Con la seconda parte del quinto motivo, Google contesta in sostanza alla Commissione di averle trasmesso note relative alle riunioni con i terzi che non le consentono di comprendere il contenuto delle discussioni svoltesi nonché la natura delle informazioni fornite sugli argomenti affrontati durante tali riunioni e, pertanto, di far valere correttamente i suoi diritti della difesa al riguardo.

904    Dalla decisione impugnata risulta effettivamente che, il 15 settembre 2017, a seguito della sentenza del 6 settembre 2017, Intel/Commissione (C‑413/14 P, EU:C:2017:632), Google ha chiesto di ottenere tutti i documenti pertinenti relativi alle riunioni che la Commissione aveva potuto tenere con i terzi (v. punto 30 della decisione impugnata). La Commissione ha risposto a tale richiesta il 28 febbraio 2018 (v. punti 33 e 63 della decisione impugnata).

905    Dalla decisione impugnata risulta altresì che, a partire dalla trasmissione di tali documenti, la Commissione ha affermato di non detenere altri documenti relativi a tali riunioni, indipendentemente dal fatto che si fossero svolte in presenza o per telefono (v. punto 64 della decisione impugnata). Tale affermazione non è rimessa in discussione per nessuno degli atti contenuti nel fascicolo della presente causa.

906    Anzitutto, va ricordato che i diritti della difesa sono diritti fondamentali che costituiscono parte integrante dei principi generali di diritto di cui il Tribunale e la Corte garantiscono il rispetto (v., in tal senso, sentenza del 25 ottobre 2011, Solvay/Commissione, C‑109/10 P, EU:C:2011:686, punto 52).

907    È altresì compito della Commissione, in applicazione del principio di buona amministrazione, garantire che le sue regole interne rispettino i diritti della difesa.

908    Nel contesto del diritto della concorrenza, il rispetto dei diritti della difesa implica che qualsiasi destinatario di una decisione che constata che questi ha commesso un’infrazione delle regole di concorrenza deve essere posto in grado, nel corso del procedimento amministrativo, di far conoscere in modo efficace il proprio punto di vista sulla realtà e sulla rilevanza dei fatti e delle circostanze addebitatigli, nonché sui documenti di cui la Commissione ha tenuto conto per suffragare l’affermazione dell’esistenza di una simile infrazione (sentenze del 25 ottobre 2011, Solvay/Commissione, C‑109/10 P, EU:C:2011:686, punto 53, e del 25 marzo 2021, Deutsche Telekom/Commissione, C‑152/19 P, EU:C:2021:238, punto 106).

909    Corollario del principio del rispetto dei diritti della difesa, il diritto di accesso al fascicolo implica che la Commissione debba dare all’impresa interessata la possibilità di procedere ad un esame di tutti i documenti presenti nel fascicolo istruttorio che potrebbero essere rilevanti per la sua difesa. Questi ultimi comprendono tanto i documenti a carico quanto quelli a discarico, fatti salvi i segreti aziendali di altre imprese, i documenti interni della Commissione e altre informazioni riservate (sentenze del 7 gennaio 2004, Aalborg Portland e a./Commissione, C‑204/00 P, C‑205/00 P, C‑211/00 P, C‑213/00 P, C‑217/00 P e C‑219/00 P, EU:C:2004:6, punto 68, e del 12 luglio 2011, Toshiba/Commissione, T‑113/07, EU:T:2011:343, punto 41).

910    Inoltre, si deve altresì ricordare che l’articolo 19, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003, menzionato da Google, costituisce una base giuridica che permette alla Commissione di procedere a un’audizione con una persona fisica o giuridica nel corso di un’indagine (sentenza del 6 settembre 2017, Intel/Commissione, C‑413/14 P, EU:C:2017:632, punto 86).

911    Dalla formulazione stessa dell’articolo 19, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003 risulta che quest’ultimo è inteso applicarsi a qualunque audizione diretta alla raccolta di informazioni relative all’oggetto di un’indagine. Infatti, nessun elemento ricavato dalla formulazione di tale disposizione o dalla finalità da quest’ultima perseguita consente di desumere che il legislatore abbia inteso escludere dall’ambito di applicazione della suddetta disposizione taluni tipi di esse (sentenza del 6 settembre 2017, Intel/Commissione, C‑413/14 P, EU:C:2017:632, punti 84 e 87).

912    Orbene, quando tiene un’audizione, ai sensi dell’articolo 19 del regolamento n. 1/2003, al fine di raccogliere informazioni relative all’oggetto di un’indagine, la Commissione ha l’obbligo di registrare, nella forma di sua scelta, un’audizione di tal genere. A tal fine, non è sufficiente che la Commissione proceda a un breve riassunto degli argomenti affrontati nel corso dell’audizione. Essa deve essere in grado di fornire indicazioni riguardo al tenore delle discussioni che si sono svolte nel corso di tale audizione, in particolare riguardo alla natura delle informazioni fornite durante l’audizione sugli argomenti affrontati (v., in tal senso, sentenza del 6 settembre 2017, Intel/Commissione, C‑413/14 P, EU:C:2017:632, punti 91 e 92).

913    Infine, va rilevato che, secondo una giurisprudenza consolidata, sussiste violazione dei diritti della difesa qualora sia ipotizzabile che, a causa di un’irregolarità procedurale da parte della Commissione, il procedimento amministrativo da quest’ultima instaurato avrebbe potuto giungere ad un risultato differente. Un’impresa ricorrente fornisce la prova del verificarsi di tale violazione quando dimostri in modo sufficiente non già che la decisione della Commissione avrebbe avuto un contenuto differente, bensì che essa avrebbe potuto difendersi più efficacemente in mancanza dell’irregolarità procedurale (sentenze del 2 ottobre 2003, Thyssen Stahl/Commissione, C‑194/99 P, EU:C:2003:527, punto 31, e del 13 dicembre 2018, Deutsche Telekom/Commissione, T‑827/14, EU:T:2018:930, punto 129). La valutazione del rispetto, da parte della Commissione, dei diritti della difesa deve essere effettuata in funzione delle circostanze di fatto e di diritto specifiche di ciascun caso di specie (v., in tal senso, sentenza del 18 giugno 2020, Commissione/RQ, C‑831/18 P, EU:C:2020:481, punto 107).

914    È alla luce di tali principi che si devono esaminare gli argomenti delle parti relativi alla seconda parte del quinto motivo.

915    In primo luogo, per quanto riguarda la questione se tutte le note relative alle riunioni con terzi riguardino audizioni ai sensi dell’articolo 19 del regolamento n. 1/2003, occorre rilevare che, in risposta a un quesito posto dal Tribunale all’udienza di discussione, la Commissione ha riconosciuto, circostanza di cui si è preso nota nel verbale, che 33 delle 35 note trasmesse a Google riguardavano audizioni ai sensi di tale disposizione.

916    Pertanto, la Commissione contesta la qualificazione di audizione ai sensi dell’articolo 19 del regolamento n. 1/2003 solo per due delle 35 riunioni oggetto delle note trasmesse a Google, ossia le due riunioni in presenza del membro della Commissione incaricato delle questioni in materia di concorrenza o di un membro del suo ufficio. Tale obiezione viene mossa per il motivo che lo scopo di tali riunioni non era di raccogliere informazioni relative all’oggetto dell’indagine.

917    Tuttavia, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, anche queste due riunioni devono essere considerate, nel caso di specie, quali audizioni ai sensi dell’articolo 19 del regolamento n. 1/2003. Infatti, alla lettura delle note trasmesse dalla Commissione a proposito di tali riunioni, risulta effettivamente che queste ultime corrispondono ad audizioni riguardanti la raccolta di informazioni relative all’oggetto dell’indagine.

918    Così, dalla prima di tali note risulta che, nel corso di un’audizione svoltasi il 2 luglio 2015, un’impresa del settore ha potuto presentare alla Commissione le sue opinioni sulle piattaforme mobili, compreso Android, nonché sull’ambiente concorrenziale nel quale evolvevano le sue applicazioni e i suoi servizi.

919    Analogamente, dalla seconda di tali note risulta che, nel corso di un’audizione svoltasi il 27 settembre 2017, l’ADA ha potuto presentare alla Commissione le sue opinioni sull’indagine che ha dato luogo alla decisione impugnata, in particolare per quanto riguarda gli AAF nonché le soluzioni considerate per porre rimedio ai problemi di concorrenza individuati. Detta nota indica altresì che l’ADA ha confermato alla Commissione che tutte le dichiarazioni rese dall’ADA nel corso di tale audizione le erano già state esposte in documenti ad essa trasmessi.

920    Pertanto, la circostanza che le audizioni tenute dalla Commissione con terzi abbiano potuto assumere la forma di riunioni con il membro della Commissione incaricato delle questioni in materia di concorrenza o con un membro del suo ufficio non è atta ad escluderle dall’ambito di applicazione dell’articolo 19 del regolamento n. 1/2003, poiché tali riunioni mirano a raccogliere informazioni relative all’oggetto di un’indagine.

921    In secondo luogo, per quanto riguarda la regolarità, alla luce dell’articolo 19 del regolamento n. 1/2003, delle note relative alle audizioni che la Commissione ha tenuto con terzi, riguardanti la raccolta di informazioni relative all’oggetto dell’indagine, occorre rilevare che Google fa valere in sostanza che tali note sono al contempo tardive e incomplete.

922    Quanto alla tardività, va osservato che, sulle 35 note trasmesse al Tribunale in allegato all’atto introduttivo del ricorso, solo tre riguardano audizioni avvenute dopo la pronuncia della sentenza del 6 settembre 2017, Intel/Commissione (C‑413/14 P, EU:C:2017:632). Si tratta di due audizioni con l’ADA avvenute il 18 e il 27 settembre 2017 e di un’audizione con il BEUC avvenuta il 20 dicembre 2017. Le altre 32 audizioni si sono svolte fra il 30 maggio 2013 e il 26 luglio 2017 e, tra queste, in particolare, 21 audizioni tra il 2013 e il 2015.

923    Il ritardo nella trasmissione di alcune di tali note, in particolare quelle che sono state completate diversi anni dopo l’audizione in questione, si spiega, nel caso di specie, con le particolari circostanze della causa in esame.

924    Infatti, dal fascicolo risulta innanzitutto che, il 2 settembre 2016, Google aveva chiesto alla Commissione di comunicarle note che riportassero interamente il contenuto di tutte le discussioni avvenute tra la Commissione e terzi per quanto riguarda l’oggetto dell’indagine. Nella sua risposta del 22 settembre 2016 la Commissione aveva dichiarato che respingeva siffatta richiesta facendo valere, a tal riguardo, la giurisprudenza del Tribunale precedente alla sentenza della Corte del 6 settembre 2017, Intel/Commissione (C‑413/14 P, EU:C:2017:632), tra cui, in particolare, la sentenza del 12 giugno 2014, Intel/Commissione (T‑286/09, EU:T:2014:547, punto 619 e giurisprudenza ivi citata).

925    Risulta altresì dal fascicolo che, il 15 settembre 2017, Google ha reiterato la sua richiesta facendo valere, in tale occasione, la pronuncia della sentenza del 6 settembre 2017, Intel/Commissione (C‑413/14 P, EU:C:2017:632), e alcune precisazioni fornite da tale sentenza sulla nozione di audizione riguardante la raccolta di informazioni relative all’oggetto di un’indagine.

926    Per rispondere a tale richiesta, la Commissione ha dichiarato, il 28 febbraio 2018, di aver contattato tutti i terzi con i quali aveva tenuto riunioni al fine di ottenere il loro consenso sul contenuto delle discussioni riportato nelle note che li riguardavano. Dette note sono state quindi effettivamente completate, per le 32 note riguardanti le audizioni avvenute prima della pronuncia della sentenza del 6 settembre 2017, Intel/Commissione (C‑413/14 P, EU:C:2017:632), a seguito della richiesta di Google presentata il 15 settembre 2017.

927    In mancanza di registrazioni realizzate al momento opportuno delle dichiarazioni rese dai terzi nel corso delle audizioni, la Commissione si è quindi sforzata, come esposto dal consigliere‑auditore, nella sua lettera del 30 aprile 2018 in risposta a una richiesta di Google circa il trattamento delle sue domande di accesso al fascicolo, di redigere note più dettagliate, che menzionassero, ove possibile, i documenti pertinenti del fascicolo che erano già stati comunicati a Google, o che riportassero nel miglior modo possibile i ricordi delle persone presenti quando tali documenti non erano individuabili.

928    Resta comunque il fatto, come sostiene Google, che alcune delle note che le sono state trasmesse sono state redatte non già immediatamente o subito dopo, bensì talvolta diversi anni dopo la riunione in questione. È per questo che si deve ritenere che la trasmissione di gran parte delle note relative alle riunioni con i terzi è stata tardiva.

929    Quanto all’incompletezza, occorre rilevare che Google ritiene che solo 3 delle 35 note trasmesse dalla Commissione soddisfino quanto prescritto dall’articolo 19, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003 per un’audizione riguardante la raccolta di informazioni relative all’oggetto di un’indagine. Si tratta delle note relative all’audizione del 26 gennaio 2015 con un’impresa del settore, all’audizione del 28 maggio 2015 con un’impresa la cui denominazione non è stata comunicata a Google e all’audizione del 18 settembre 2017 con l’ADA.

930    Per quanto riguarda le altre 32 note, si deve ritenere, come sostenuto da Google, che esse restino troppo sommarie per costituire una registrazione di un’audizione riguardante la raccolta di informazioni relative all’oggetto di un’indagine conformemente a quanto prescritto dall’articolo 19, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003. In particolare, per quanto tali note consentano di individuare il tenore generale delle discussioni tenutesi nel corso di tali audizioni, esse restano ancora, di per sé, troppo vaghe o insufficientemente dettagliate riguardo al contenuto preciso di tali discussioni e alla natura delle informazioni che detti terzi hanno fornito durante tali audizioni.

931    Pertanto, tenuto conto della tardività già rilevata in precedenza, si deve ritenere, come sostiene Google, che le 32 note trasmesse nel febbraio 2018, da essa contestate, siano troppo sommarie. La ricostruzione a posteriori del contenuto delle audizioni tenute dalla Commissione con i terzi, riguardanti la raccolta di informazioni relative all’oggetto dell’indagine, o i riferimenti fatti in seguito ai documenti precedenti o successivi contenuti nel fascicolo istruttorio per quanto riguarda tali audizioni, non possono essere quindi sufficienti per ovviare alla mancanza di una registrazione nella debita forma.

932    Da quanto precede risulta che gran parte delle note trasmesse dalla Commissione il 28 febbraio 2018 sono troppo tardive e troppo sommarie per poter costituire la registrazione di un’audizione nel senso prescritto dall’articolo 19, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003.

933    In futuro, sarebbe utile e appropriato che la registrazione di ogni audizione della Commissione con terzi, al fine di raccogliere informazioni relative all’oggetto di un’indagine, sia effettuata o confermata durante lo svolgimento di tale audizione o subito dopo per inserirla nel fascicolo il più rapidamente possibile per consentire all’accusato, al momento opportuno, di prenderne conoscenza ai fini dell’esercizio dei diritti della difesa.

934    In terzo luogo, per quanto riguarda le conseguenze che occorre trarre dalle irregolarità procedurali riguardanti la registrazione delle audizioni con terzi nel senso prescritto dall’articolo 19, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003, si deve stabilire se, tenuto conto delle circostanze di fatto e di diritto specifiche della causa in esame, Google abbia sufficientemente dimostrato che avrebbe potuto difendersi più efficacemente in mancanza di tali irregolarità. Infatti, in mancanza di tale dimostrazione, non può essere constatata alcuna violazione dei suoi diritti della difesa.

935    Una dimostrazione del genere sarebbe effettuata quando il contenuto degli elementi di prova non divulgati non può essere né determinato né essere determinabile. In tale ipotesi, non si può richiedere all’impresa la prova insuperabile del contenuto del documento, in particolare l’esistenza di elementi di prova a carico o a discarico non divulgati. L’impresa può quindi limitarsi a menzionare la semplice possibilità che le informazioni non divulgate avrebbero potuto essere utili alla sua difesa (v., in tal senso, sentenza del 25 ottobre 2011, Solvay/Commissione, C‑110/10 P, EU:C:2011:687, punti da 59 a 62).

936    Per contro, qualora il contenuto degli elementi di prova ai quali l’accesso è stato limitato sia determinato o sia determinabile a posteriori, l’impresa non può essere dispensata dal fornire la prova che essa non ha avuto accesso ad elementi di prova a carico o a discarico nonché dall’indicare le conseguenze che se ne devono trarre tenuto conto dell’esercizio dei suoi diritti della difesa. Lo stesso dicasi quando l’impresa dispone per lo meno di informazioni chiare e complete sugli autori, nonché sulla natura e sul contenuto dei documenti ad essa non comunicati (v., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Solvay/Commissione, C‑110/10 P, EU:C:2011:257, paragrafo 37).

937    In presenza di elementi di prova a carico non divulgati, occorre che l’impresa interessata dimostri che il procedimento avrebbe potuto portare a un risultato diverso supponendo che tali elementi di prova a carico fossero stati divulgati (v., in tal senso, sentenza del 7 gennaio 2004, Aalborg Portland e a./Commissione, C‑204/00 P, C‑205/00 P, C‑211/00 P, C‑213/00 P, C‑217/00 P e C‑219/00 P, EU:C:2004:6, punti 71 e 73, e del 12 luglio 2011, Toshiba/Commissione, T‑113/07, EU:T:2011:343, punto 46).

938    Per quanto riguarda gli elementi di prova a discarico, l’impresa interessata deve dimostrare che essa avrebbe potuto utilizzare tali elementi per la propria difesa, nel senso che, se avesse potuto avvalersene durante il procedimento amministrativo, avrebbe potuto invocare elementi non concordanti con le deduzioni operate in tale fase dalla Commissione e avrebbe potuto, pertanto, influenzare, in qualche modo, le valutazioni effettuate da quest’ultima nella sua decisione. Ne consegue che l’impresa interessata deve dimostrare, da un lato, che essa non ha avuto accesso a taluni elementi di prova a discarico e, d’altro lato, che avrebbe potuto utilizzarli per la propria difesa (sentenza del 6 settembre 2017, Intel/Commissione, C‑413/14 P, EU:C:2017:632, punti 97 e 98).

939    Orbene, nel caso di specie, si deve necessariamente constatare che Google non ha dimostrato che, in mancanza delle irregolarità procedurali rilevate in precedenza per quanto riguarda la tardività e l’incompletezza delle note trasmesse che essa contesta, avrebbe potuto difendersi più efficacemente.

940    A tal riguardo, Google si limita ad affermare genericamente che una trascrizione fedele del contenuto degli scambi intercorsi con i terzi ascoltati le avrebbe fornito spiegazioni ed elementi del contesto per quanto riguardava i documenti contenuti nel fascicolo dell’indagine e sui quali la Commissione si sarebbe basata.

941    Orbene, in primo luogo, quanto alla possibilità di stabilire a posteriori se elementi di prova non siano stati divulgati, va ricordato che, in mancanza di registrazioni delle audizioni, la Commissione ha comunque tentato di ricostruirne il contenuto al fine di consentire a Google di esercitare i suoi diritti della difesa.

942    Occorre quindi rilevare che, tra le osservazioni formulate il 28 febbraio 2018 in risposta alla richiesta di Google, la Commissione indicava, da un lato, di non aver utilizzato la benché minima nota tra quelle trasmesse quale prova a carico, né nella comunicazione degli addebiti né nella prima lettera di esposizione dei fatti e, dall’altro, di aver fornito a Google tutte le prove potenzialmente a discarico fornite nel corso di ciascuna riunione affinché potessero esserle utili alla difesa.

943    Dall’esame della decisione impugnata e dal fascicolo di cui dispone il Tribunale nell’ambito del presente procedimento non risulta che elementi di detto fascicolo siano tali da rimettere in discussione le assicurazioni fornite al riguardo dalla Commissione.  

944    In secondo luogo, si deve constatare che, per 26 delle 32 note di cui Google contesta la completezza, si afferma che il contenuto delle discussioni avvenute nel corso di tali audizioni è interamente rinvenibile in documenti specifici contenuti nel fascicolo istruttorio, ai quali Google, in risposta a un quesito del Tribunale, ha riconosciuto di aver avuto accesso. In 24 di tali 26 note si afferma che la Commissione ha ottenuto dal terzo ascoltato la conferma del contenuto della nota, il che conferma la pertinenza e l’esaustività dei riferimenti fatti ai documenti contenuti nel fascicolo. Per quanto riguarda le due note il cui contenuto non ha potuto essere confermato dal terzo ascoltato, la spiegazione è ivi indicata: il primo di detti terzi non esisteva più e il secondo non ha risposto alle ripetute richieste di approvazione presentate dalla Commissione.

945    In tali circostanze, si deve ritenere che, nonostante le irregolarità procedurali riguardanti le registrazioni delle audizioni, Google ha potuto ottenere dalla Commissione indicazioni sul contenuto delle discussioni avvenute nel corso di tali audizioni, in particolare per quanto riguarda la natura delle informazioni fornite in tali occasioni sugli argomenti ivi affrontati.

946    Orbene, tenuto conto delle indicazioni fornite dalla Commissione e di ciò che era possibile dedurne per valutare il contenuto delle audizioni, Google non formula alcun argomento circostanziato che consenta di comprendere a quale titolo essa avrebbe potuto difendersi più efficacemente, anche per quanto riguarda le audizioni tenutesi con i due terzi per i quali non è stato possibile ottenere la conferma del contenuto delle note corrispondenti.

947    In terzo luogo, per quanto riguarda le sei note restanti, le quali riproducono in maniera sommaria il contenuto degli scambi e non rinviano ad alcun documento del fascicolo dell’indagine che consenta di completarne il contenuto, occorre rilevare quanto segue.

948    La prima nota in ordine cronologico riguarda un’audizione avvenuta il 2 luglio 2015 con un’impresa del settore. In tale occasione, detta impresa ha potuto presentare alla Commissione le sue opinioni sulle piattaforme mobili, compreso Android, nonché sull’ambiente concorrenziale nel quale evolvevano le sue applicazioni e i suoi servizi.

949    Sebbene in tale nota non sia fatto riferimento ad alcun documento, è stato tuttavia possibile per Google metterla in relazione con le informazioni trasmesse per quanto riguarda altre due audizioni tenutesi con la stessa impresa il 10 dicembre 2014 e il 12 gennaio 2016 sullo stesso argomento. Orbene, le note trasmesse a Google per quanto riguarda tali audizioni, le quali sono state confermate dall’impresa in questione, menzionano documenti contenuti nel fascicolo dell’indagine che riportano il contenuto delle discussioni avvenute in tali occasioni, vale a dire sia prima che dopo l’audizione citata. La posizione di tale impresa nell’ambito dell’indagine era quindi nota a Google.

950    In tali circostanze, Google non presenta tuttavia alcun argomento circostanziato che consenta di comprendere a quale titolo essa avrebbe potuto difendersi più efficacemente nella causa in esame.

951    La seconda nota riguarda un’audizione avvenuta il 15 luglio 2015 con un fornitore di servizi di sicurezza il cui nome non è stato comunicato a Google. Tale audizione è stata l’occasione, come precisato dalla Commissione nella sua nota, confermata dall’impresa in questione, per discutere delle dinamiche del mercato per quanto riguarda il SO Android. Come risulta tuttavia dal contenuto di tale nota, le preoccupazioni espresse nel corso di tale audizione riguardavano in sostanza le soluzioni relative alla sicurezza, ossia un aspetto del fascicolo che non è stato affrontato nella decisione impugnata, e non le restrizioni controverse esaminate nell’ambito dei diversi abusi considerati dalla Commissione.

952    Analogamente, la terza nota riguarda un’audizione avvenuta il 28 ottobre 2015 con un fornitore di servizi di pagamento. In tale occasione, detto fornitore ha potuto presentare alla Commissione le sue opinioni sulle dinamiche del mercato relative ai dispositivi mobili e alle loro applicazioni per quanto riguarda i sistemi di pagamento mobili. Si tratta, anche in questo caso, di un aspetto del fascicolo che non viene considerato nella decisione impugnata.

953    In ogni caso, al di là della mancanza di prove del nesso tra tali audizioni e gli abusi contestati nella decisione impugnata, si deve necessariamente rilevare che Google non presenta alcun argomento circostanziato che consenta di comprendere a quale titolo essa avrebbe potuto difendersi più efficacemente nella causa in esame in mancanza delle irregolarità procedurali riguardanti la registrazione delle due suddette riunioni ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003.

954    La quarta e la quinta nota riguardano due audizioni con il BEUC datate 1° febbraio e 20 dicembre 2017. La finalità di tali riunioni era, per il BEUC, quella di ottenere dalla Commissione informazioni in merito all’avanzamento dell’indagine. Lo scopo stesso di tali riunioni e la loro sintesi, confermata dal BEUC, consente quindi di escludere l’ipotesi di trattenimento, da parte della Commissione, di elementi di prova.

955    La sesta e ultima nota riguarda dichiarazioni rese dall’ADA, un’entità intervenuta a sostegno di Google durante il procedimento amministrativo, nel corso di un’audizione che si è tenuta il 27 dicembre 2017. Pur essendo redatta in termini generali, da tale nota risulta chiaramente che l’ADA non ravvisava alcun motivo per esigere che Google modificasse il proprio comportamento. Inoltre, il rappresentante dell’ADA ha confermato, in detta nota, che la discussione aveva ad oggetto informazioni che l’ADA aveva già trasmesso alla Commissione. Occorre al riguardo rilevare che Google non afferma di non aver avuto accesso a tutti i documenti del fascicolo istruttorio trasmessi dall’ADA durante il procedimento amministrativo. Tali circostanze, al pari della presenza dell’ADA che interviene a sostegno di Google nell’ambito del presente ricorso e della mancanza di commenti da parte sua a tal riguardo, consentono al Tribunale di escludere l’ipotesi di trattenimento, da parte della Commissione, di elementi di prova.

956    A tal riguardo, non convince l’argomento di Google, presentato nell’atto introduttivo del ricorso, secondo cui sarebbe plausibile che, nel corso delle varie audizioni tenute dalla Commissione con gli sviluppatori di applicazioni, questi ultimi abbiano reso dichiarazioni a discarico che non sarebbero riportate nelle note trasmesse. Infatti, visto l’intervento dell’ADA a sostegno di Google nell’ambito del presente ricorso e le numerose opportunità offerte a tale parte come a Google di precisare quali avrebbero potuto essere le dichiarazioni che non sarebbero state riportate dalla Commissione, si deve ritenere che siffatta ipotesi non è dimostrata.

957    Da quanto precede risulta che, tenuto conto degli elementi considerati nella decisione impugnata nonché delle indicazioni fornite dalla Commissione a Google nel corso del procedimento amministrativo, non si deve ritenere che la redazione sommaria e di sovente tardiva delle note relative alle audizioni con terzi abbia privato Google dell’accesso ad elementi di prova, a carico o a discarico, che avrebbero potuto consentirle di difendersi più efficacemente.

958    Pertanto, le irregolarità procedurali consistenti nella mancata trascrizione fedele delle audizioni tenute dalla Commissione con terzi, nelle particolari circostanze del caso di specie, non possono aver comportato la violazione dei diritti della difesa di Google.

959    Tale conclusione non è peraltro rimessa in discussione dall’anonimato concesso dalla Commissione a taluni terzi. Occorre infatti ricordare che, in applicazione dell’articolo 27 del regolamento n. 1/2003, il diritto di accesso al fascicolo non si estende alle informazioni riservate, tra le quali possono rientrare, secondo le circostanze del caso di specie, dati personali dei rappresentanti delle società ascoltate e la denominazione delle società stesse al fine di prevenire eventuali rappresaglie. Nel caso di specie, dagli atti di causa non risulta che l’anonimato concesso dalla Commissione e discusso dinanzi al consigliere‑auditore non sia il risultato di un corretto bilanciamento di due interessi contrapposti, quello dell’impresa (e/o dei suoi rappresentanti) ascoltata di comparire in modo anonimo e quello di Google di ottenere informazioni sufficienti sugli scambi intercorsi.

960    Analogamente, gli argomenti relativi all’inosservanza, da parte della Commissione, del principio di buona amministrazione, del suo manuale di procedura interna nonché della sua comunicazione del 20 ottobre 2011 devono essere respinti in quanto inoperanti. Infatti, poiché il Tribunale ha concluso supra che l’irregolarità procedurale connessa al contenuto delle note in questione non costituiva, nel caso di specie, una violazione dei diritti della difesa di Google, la constatazione di un vizio procedurale supplementare, foss’anche accertato, per quanto riguarda la redazione di dette note e la loro comunicazione a Google, permarrebbe irrilevante ai fini della questione se, in mancanza di detta irregolarità procedurale, Google sarebbe stata in grado di difendersi più efficacemente.

961    Pertanto, la seconda parte deve essere respinta in quanto infondata.

2.      Sulla prima parte del quinto motivo, riguardante il rifiuto di unaudizione sul test AEC 

a)      Argomenti delle parti

962    Google sostiene che, invece di inviarle lettere di esposizione dei fatti, la Commissione avrebbe dovuto adottare una o più comunicazioni degli addebiti complementari e concederle quindi nuovamente il diritto a un’audizione. Tale audizione avrebbe dovuto vertere su aspetti essenziali del caso per quanto riguardava gli ARR per portafoglio e il test AEC. A tal riguardo, non si potrebbe ritenere che Google abbia rinunciato a un’audizione sin dalla fase della comunicazione degli addebiti o che le lettere di esposizione dei fatti abbiano solo affinato la valutazione provvisoria contenuta nella comunicazione degli addebiti.

963    La Commissione fa valere che Google ha rinunciato al suo diritto a un’audizione in esito alla comunicazione degli addebiti e che, poiché le lettere di esposizione dei fatti non contengono un nuovo addebito, essa non era tenuta a trasmettere comunicazioni degli addebiti complementari. Le lettere di esposizione dei fatti riguarderebbero un comportamento rispetto al quale Google aveva già avuto la possibilità di presentare le proprie osservazioni. Pertanto, la Commissione non era tenuta a concedere nuovamente a Google il diritto a un’audizione.

b)      Giudizio del Tribunale

964    In via preliminare, occorre rilevare che, in risposta ad un quesito posto dal Tribunale all’udienza di discussione, Google ha espressamente riconosciuto, circostanza di cui si è preso nota nel verbale d’udienza, che qualsiasi constatazione di violazione dei suoi diritti della difesa riguardo alla prima parte del quinto motivo potrebbe comportare solo l’annullamento della parte della decisione impugnata relativa all’abuso derivante dagli ARR per portafoglio.

965    La prima parte del quinto motivo costituisce, infatti, l’aspetto procedurale del terzo motivo di ricorso, con cui Google contesta la fondatezza della motivazione della decisione impugnata relativa alla natura abusiva degli ARR per portafoglio. Google sostiene quindi che la Commissione, durante il procedimento amministrativo, ha violato i suoi diritti della difesa non avendole dato la possibilità di esprimersi oralmente in tempo utile su elementi essenziali dell’analisi concorrenziale degli ARR per portafoglio, in particolare il test AEC.

966    Occorre ricordare che il rispetto dei diritti della difesa costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, il quale trova applicazione ogniqualvolta l’amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto che gli arreca pregiudizio (sentenza del 16 gennaio 2019, Commissione/United Parcel Service, C‑265/17 P, EU:C:2019:23, punto 28).

967    Tale principio è in particolare trasposto all’articolo 10 del regolamento (CE) n. 773/2004 della Commissione, del 7 aprile 2004, relativo ai procedimenti svolti dalla Commissione a norma degli articoli [101] e [102 TFUE] (GU 2004, L 123, pagg. da 18 a 24). Tale articolo impone alla Commissione, da un lato, di informare per iscritto l’impresa interessata sugli addebiti mossi nei suoi confronti e, dall’altro, di dare a tale impresa la possibilità di informarla per iscritto sul suo punto di vista in merito a tali addebiti.

968    L’articolo 12 del regolamento n. 773/2004 precisa altresì che, nelle sue osservazioni scritte, un’impresa destinataria di una comunicazione degli addebiti può chiedere alla Commissione lo svolgimento di un’audizione al fine di poter sviluppare i propri argomenti oralmente.

969    Orbene, nel caso di specie, nella sua risposta alla comunicazione degli addebiti, datata 23 dicembre 2016, Google ha dichiarato di rinunciare al suo diritto a un’audizione («We therefore declined our right to such a hearing»). In tale risposta Google dichiarava, in sostanza, di non aver tempo per preparare utilmente un’audizione presso gli uffici della Commissione, e ciò in tempi stretti.

970    Più precisamente, Google ha sottolineato che, a causa della ricezione, meno di tre settimane prima della data limite per l’invio delle sue osservazioni in risposta alla comunicazione degli addebiti fissata per il 23 dicembre 2016, di quasi 60 documenti del fascicolo di indagine e, un giorno prima della data limite, di due documenti, uno dei quali particolarmente importante relativo alla preinstallazione di un servizio di ricerca generale concorrente su dispositivi Android, essa non era stata in grado di discutere, in tempo utile, dell’opportunità di ricorrere ad un’audizione. La rinuncia, secondo Google, al suo diritto a un’audizione sarebbe stata tanto più necessaria in quanto il consigliere‑uditore le aveva comunicato che essa si sarebbe svolta a fine gennaio 2017, lasciando a Google e ai suoi consulenti solo un mese per preparare l’audizione, per di più durante un periodo di intensa attività.

971    Pertanto, indipendentemente dalle difficoltà menzionate da Google per decidere, in tale peculiare contesto e in tale fase dell’indagine, riguardo all’utilità dello svolgimento di un’audizione, Google non può contestare alla Commissione di non aver organizzato un’audizione dopo la comunicazione degli addebiti.

972    Si pone pertanto la questione se, dopo aver rinunciato al suo diritto a un’audizione il 23 dicembre 2016 nella risposta alla comunicazione degli addebiti, Google fosse in grado di far valere la necessità di rispettare i suoi diritti della difesa per poter ottenere dalla Commissione nel maggio 2018, ossia sedici mesi dopo, lo svolgimento di un’audizione.

973    Allo stato delle disposizioni sostanziali relative all’esercizio dei diritti della difesa, risulta infatti che un’impresa può, in base all’articolo 12 del regolamento n. 773/2004, ottenere il diritto a una nuova audizione nel caso in cui la Commissione adotti una comunicazione degli addebiti complementare.

974    Dall’articolo 11 del regolamento n. 773/2004 risulta effettivamente che, nelle sue decisioni, la Commissione può prendere in considerazione solo gli addebiti sui quali l’impresa interessata ha avuto modo di presentare osservazioni. Un nuovo addebito impone quindi di concedere nuovamente all’impresa interessata la possibilità di comunicare le sue osservazioni scritte e di chiedere lo svolgimento di un’audizione per poter sviluppare i suoi argomenti.

975    Nel caso di specie, tuttavia, tra la risposta alla comunicazione degli addebiti del 23 dicembre 2016 e la decisione impugnata del 18 luglio 2018, la Commissione non ha adottato alcuna comunicazione degli addebiti complementare. Oltre alle diverse misure adottate dalla Commissione a seguito della risposta alla comunicazione degli addebiti per consentire a Google di accedere al fascicolo, e in particolare agli elementi di prova ottenuti in seguito, la Commissione ha scelto di inviare lettere di esposizione dei fatti a Google.

976    Così, la Commissione ha inviato due lettere di esposizione dei fatti a Google, una il 31 agosto 2017, l’altra l’11 aprile 2018, sulle quali Google ha avuto la possibilità di presentare le proprie osservazioni scritte, rispettivamente il 23 ottobre 2017 e il 7 maggio 2018. Tale procedura escludeva, secondo la Commissione, qualsiasi diritto per Google all’organizzazione di una nuova audizione e giustificava il rigetto, da parte del consigliere‑auditore, il 18 maggio 2018, della domanda presentata in tal senso da Google, il 7 maggio 2018.

977    A tal riguardo, occorre ricordare che la comunicazione degli addebiti costituisce un atto di procedura preparatorio rispetto alla decisione che costituisce lo sbocco ultimo del procedimento amministrativo. Di conseguenza, finché non ha adottato una decisione finale, la Commissione può, in considerazione, in particolare, delle osservazioni scritte o orali delle parti, rinunciare ad alcuni o anche a tutti gli addebiti inizialmente formulati nei loro confronti e modificare così la sua posizione in loro favore, ma anche, al contrario, decidere di aggiungere nuovi addebiti a condizione di concedere alle imprese interessate l’occasione di manifestare su di essi il proprio punto di vista (sentenza del 27 giugno 2012, Microsoft/Commissione, T‑167/08, EU:T:2012:323, punto 184).

978    La comunicazione di un’integrazione degli addebiti agli interessati è necessaria solo qualora il risultato degli accertamenti induca la Commissione a porre atti nuovi a carico dell’impresa interessata o ad assumere fatti notevolmente diversi come prova delle infrazioni contestate e non allorché la Commissione agisca conformemente al suo dovere di rinunciare agli addebiti che, alla luce delle risposte alla comunicazione degli addebiti, si siano rivelati infondati (v. sentenza del 27 giugno 2012, Microsoft/Commissione, T‑167/08, EU:T:2012:323, punto 191 e giurisprudenza ivi citata).

979    Per contro, sulla scia del punto 111 della comunicazione della Commissione, del 20 ottobre 2011, sulle migliori pratiche relative ai procedimenti previsti dagli articoli 101 e 102 del TFUE (GU 2011, C 308, pag. 6), opponibile alla Commissione, l’adozione di una semplice lettera di esposizione dei fatti è giustificata solo nell’ipotesi in cui la Commissione intenda basarsi su nuovi elementi di prova che corroborino gli addebiti già suffragati nella comunicazione degli addebiti. Al fine di rispettare il principio del contraddittorio, la Commissione porta a conoscenza dell’impresa le cui pratiche sono oggetto dell’indagine tali nuovi elementi e raccoglie, entro un termine da essa fissato, le sue osservazioni scritte. Il punto 111 di detta comunicazione della Commissione non fa alcun accenno alla possibilità di far valere anche osservazioni orali.

980    È importante quindi che il Tribunale verifichi che la scelta, da parte della Commissione, di utilizzare lettere di esposizione dei fatti e la successiva decisione del consigliere‑auditore di negare a Google lo svolgimento di un’audizione per consentirle di sviluppare oralmente le sue osservazioni sui nuovi elementi di prova menzionati dalla Commissione non costituisca una violazione dei diritti della difesa di tale impresa nell’ambito di un procedimento repressivo diretto a sanzionare un abuso di posizione dominante.

981    Orbene, nel caso di specie, se è vero che le lettere di esposizione dei fatti non aggiungono formalmente alcuna censura a quelle contenute nella comunicazione degli addebiti, in quanto si continua a considerare le pratiche abusive individuate dalla Commissione in quest’ultima, si deve tuttavia constatare che, in realtà, le lettere di esposizione dei fatti completano in modo sostanziale il contenuto e la portata della censura relativa alla natura abusiva degli ARR per portafoglio, la quale non era sufficientemente suffragata nell’ambito della comunicazione degli addebiti e modificano quindi notevolmente gli elementi di prova delle infrazioni contestate.

982    Ciò riguarda, in particolare, il test AEC, che, nel caso di specie, ha rivestito un’importanza reale nella valutazione, da parte della Commissione, della capacità degli ARR per portafoglio di produrre un effetto di esclusione dal mercato di concorrenti altrettanto efficienti (v., in tal senso, sentenza del 6 settembre 2017, Intel/Commissione, C‑413/14 P, EU:C:2017:632, punto 143).

983    Infatti, mentre i punti da 718 a 722 della comunicazione degli addebiti contenevano solo un’analisi sommaria della capacità di un concorrente di eguagliare i pagamenti effettuati da Google nell’ambito degli ARR per portafoglio, è solo a partire dalle lettere di esposizione dei fatti, l’ultima delle quali è stata trasmessa tre mesi prima dell’adozione della decisione impugnata, che Google ha potuto prendere piena conoscenza del test e del ragionamento privilegiato, nel caso di specie, dalla Commissione. L’analisi quantitativa della capacità di concorrenti di eguagliare i pagamenti di Google nell’ambito degli ARR per portafoglio, contenuta nella comunicazione degli addebiti, poteva essere compresa solo alla luce di una lettura combinata della prima e della seconda lettera di esposizione dei fatti.

984    Adottata otto mesi dopo la comunicazione degli addebiti, la prima lettera di esposizione dei fatti suffraga l’analisi quantitativa modificando approfonditamente l’approccio provvisoriamente adottato nella comunicazione degli addebiti.

985    In quest’ultima, la Commissione articolava l’intera sua analisi intorno a due elementi, vale a dire l’impossibilità per un concorrente di riservarsi più del 5% delle quote di richieste di ricerca su dispositivi mobili, tenuto conto della percentuale di richieste di ricerca ricevute, nel periodo compreso tra il 2012 e il 2015, da Google e il presunto obbligo, ai sensi degli ADAM, di non impostare come predefinito un motore di ricerca concorrente su un browser terzo.

986    Orbene, nella prima lettera di esposizione dei fatti la Commissione ha relativizzato l’obbligo, ai sensi degli ADAM, di impostare come predefiniti i servizi di ricerca di Google sui browser terzi. La Commissione ha altresì formulato per la prima volta l’ipotesi, ripresa al punto 1234 della decisione impugnata, secondo cui un concorrente almeno altrettanto efficiente quanto Google non potrebbe contendere sui dispositivi mobili più del 12% delle richieste di ricerca generale. Muovendo da tale nuova premessa, la Commissione ha considerato che un’applicazione concorrente di Google Search potrebbe ricevere, al massimo, solo lo [0‑10]% delle richieste di ricerca effettuate dagli utenti attraverso Google Search.

987    La prima lettera di esposizione dei fatti modifica ancor più in profondità l’approccio adottato provvisoriamente nella comunicazione degli addebiti, in quanto la Commissione giunge, riguardo alla capacità di un concorrente di eguagliare i pagamenti di Google, nell’ambito degli ARR per portafoglio, a un risultato manifestamente più attenuato di quello che essa prevedeva inizialmente.

988    Mentre al termine della comunicazione degli addebiti la Commissione sottolineava che un concorrente doveva, in ogni caso, ripartire la totalità dei suoi introiti pubblicitari per eguagliare, non per superare, i pagamenti di Google, la Commissione ha dichiarato, nella prima lettera di esposizione dei fatti, che un concorrente, se impostato come predefinito su un browser terzo, avrebbe potuto eguagliare o addirittura superare i pagamenti più diffusi di Google senza dover ripartire la totalità dei suoi introiti.

989    Adottata otto mesi dopo la prima lettera di esposizione dei fatti e tre mesi prima della decisione impugnata, la seconda lettera di esposizione dei fatti ha apportato anch’essa rettifiche importanti all’analisi contenuta nella prima lettera di esposizione dei fatti e, a maggior ragione, nella comunicazione degli addebiti.

990    In primo luogo, dopo aver ottenuto informazioni da Google, riguardo ad aspetti contemporanei alla comunicazione degli addebiti, la Commissione ha escluso che un concorrente possa voler ripartire introiti pubblicitari ricavati da richieste di ricerca effettuate a partire dalla pagina iniziale del motore di ricerca, in quanto Google stessa non ripartiva detti redditi.

991    In secondo luogo, la Commissione ha inserito due nuove variabili nel test AEC, vale a dire l’impossibilità per un concorrente di ottenere la preinstallazione della sua applicazione di ricerca generale su tutti i dispositivi mobili del portafoglio di un OEM o di un MNO e l’obbligo per un concorrente di compensare la perdita subita dagli OEM e dagli MNO di cui trattasi tenuto conto dei ricavi associati ai dispositivi mobili già in circolazione e coperti dagli ARR per portafoglio. Questi due punti appaiono determinanti, in quanto consentono alla Commissione di relativizzare la capacità di un concorrente di eguagliare i pagamenti di Google nel caso in cui i servizi di ricerca concorrenti fossero parimenti impostati come predefiniti su un browser terzo.

992    In terzo luogo, la Commissione ha proceduto all’aggiunta di taluni dati finanziari relativi a Google, acquisiti non da quest’ultima, bensì da un OEM. Lo stesso vale per i costi cosiddetti «operativi», quantificati in misura pari al [10‑20]%, che la Commissione menziona per la prima volta nella seconda lettera di esposizione dei fatti ed estrapola nei confronti di un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente quanto Google. Tale dato continua tuttavia ad essere discusso da Google dinanzi al Tribunale sia per quanto riguarda il suo importo sia per la categoria dei costi pertinenti applicabile al test AEC.

993    La Commissione non può sostenere a tal riguardo che Google, nelle sue osservazioni in risposta alla prima lettera di esposizione dei fatti, abbia acconsentito alla presa in considerazione di tali dati. Google afferma soltanto, per quanto riguarda il ragionamento della Commissione relativo agli ARR per dispositivi, non per portafoglio, che le percentuali di ricavi ripartiti sono espresse solo in termini lordi, percentuali che si riducono in misura pari al [10‑20]%, senza tuttavia precisare la natura di tale riduzione. In ogni caso, la Commissione, su cui grava l’onere della prova degli effetti preclusivi contestati, non ha affatto cercato di confrontare detti dati con quelli che avrebbero potuto essere trasmessi direttamente da Google.

994    Allo stesso modo, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione nel controricorso, le dichiarazioni di un OEM nonché i dati contenuti in documenti trasmessi da quest’ultimo non sono stati utilizzati soltanto nell’ambito dell’analisi degli ARR per dispositivi. Tali dati sono infatti serviti a completare l’analisi della Commissione nell’ambito degli ARR per portafoglio, circostanza che una semplice lettura della seconda lettera di esposizione dei fatti consente di illustrare.

995    Da quanto precede risulta che, comunicando soltanto nella fase della seconda lettera di esposizione dei fatti i dati che intendeva prendere in considerazione per effettuare il test AEC, si deve ritenere che la Commissione abbia in tal modo modificato sostanzialmente il tenore della censura relativa agli ARR per portafoglio.

996    La comunicazione degli addebiti non può infatti essere percepita come sufficientemente suffragata su tale punto cruciale dell’analisi concorrenziale degli ARR per portafoglio perché un’audizione, che avrebbe dovuto essere organizzata all’inizio del 2017, potesse essere utile a Google. È solo a partire dalla seconda lettera di esposizione dei fatti, trasmessa nell’aprile 2018, ossia tre mesi prima dell’adozione della decisione impugnata, che la comunicazione degli addebiti ha potuto essere sufficientemente suffragata e consentire così a Google di conoscere gli aspetti principali e determinanti del test AEC prospettato dalla Commissione. Pertanto, in tale particolare contesto, la Commissione, che non era soggetta ad alcuna pressione temporale, avrebbe dovuto adottare una comunicazione degli addebiti complementare.

997    Avendo trasmesso, in luogo di una comunicazione degli addebiti complementare, due lettere di esposizione dei fatti, e non concedendo lo svolgimento di un’audizione sulle osservazioni presentate in risposta a queste due lettere di esposizione dei fatti, la Commissione ha quindi aggirato il diritto di Google di poter sviluppare i propri argomenti oralmente su tali osservazioni e ha violato i diritti della difesa di tale impresa.

998    Infatti, alla luce dell’importanza, nell’ambito di un procedimento repressivo diretto a sanzionare un abuso di posizione dominante, dello svolgimento di un’audizione, l’omissione di una siffatta audizione ha necessariamente viziato tale procedimento, indipendentemente dalla dimostrazione, da parte di Google, che tale omissione ha potuto influenzare, a suo svantaggio, lo svolgimento del procedimento e il contenuto della decisione impugnata (v. in tal senso, sentenza del 21 settembre 2017, Feralpi/Commissione, C‑85/15 P, EU:C:2017:709, punti da 45 a 47).

999    Inoltre, in ogni caso, si deve necessariamente constatare che, tenuto conto della natura del test AEC nonché dell’importanza attribuita a detto test dalla Commissione al fine di valutare la capacità degli ARR per portafoglio di produrre un effetto preclusivo di concorrenti altrettanto efficienti, Google avrebbe potuto sviluppare più agevolmente in forma orale le sue osservazioni sulla concezione di tale test, di cui essa fornisce, in allegato al ricorso, una versione alternativa elaborata successivamente alla decisione impugnata da uno studio di economisti e che porta ad un risultato differente.

1000 Tale constatazione non può essere rimessa in discussione dal fatto che la Commissione ha consentito a Google di presentare, per iscritto, le proprie osservazioni sulla prima e sulla seconda lettera di esposizione dei fatti. Pur se il contraddittorio è stato soddisfatto per iscritto, la Commissione non ha in alcun modo cercato di consentire a Google di sviluppare le sue osservazioni oralmente, come sarebbe stato richiesto in caso di adozione di una comunicazione degli addebiti complementare.

1001 L’interesse di una siffatta discussione orale può essere illustrato, ad esempio, dalla questione dei costi da prendere in considerazione ai fini dell’elaborazione del test AEC. Su tale punto, infatti, i costi imputati dalla Commissione a Google sono stati estratti da documenti trasmessi da un OEM, non corroborati da una richiesta di informazioni destinata alla principale interessata. La Commissione si è discostata, in sostanza, dai suoi orientamenti sugli abusi preclusivi, ai sensi dei quali «[o]ve [siano] disponibili [dati affidabili], la Commissione utilizzerà informazioni sui costi dell’impresa dominante stessa».

1002 Un’audizione avrebbe così permesso a Google di fornire alla Commissione precisazioni che consentissero di rimuovere, in una fase più precoce, talune ambiguità relative all’elaborazione del test AEC e di discuterne direttamente con quest’ultima. Infatti, lo svolgimento di un’audizione avrebbe condotto la Commissione a discutere pienamente con Google al fine di circoscrivere utilmente i punti controversi, in fatto e in diritto. L’interesse di un’audizione risulta tanto più dalla presente causa, in quanto le obiezioni formulate da Google nel presente ricorso inducono il Tribunale, a causa della loro fondatezza, ad accogliere il terzo motivo di ricorso.

1003 Pertanto, tenuto conto delle difficoltà inerenti all’elaborazione di un test AEC, in presenza di un’audizione, Google avrebbe potuto avere la possibilità di difendersi più efficacemente e di convincere la Commissione della necessità di riesaminare diversi punti della sua analisi.

1004 Per di più, consentire a Google di sviluppare oralmente i suoi argomenti sulle modifiche sostanziali apportate dalla Commissione agli elementi di prova utilizzati per dimostrare la natura abusiva degli ARR per portafoglio avrebbe potuto consentire alla Commissione di affinare la sua analisi.

1005 Di conseguenza, occorre accogliere la prima parte del quinto motivo di ricorso e annullare, anche su tale fondamento, la decisione impugnata nella parte in cui qualifica come abusivi gli ARR per portafoglio.

G.      Sulle conseguenze dell’esame dei primi cinque motivi e sul sesto motivo

1006 Google osserva che la decisione impugnata irroga l’ammenda più elevata mai inflitta in Europa da un’autorità garante della concorrenza, ossia EUR 4 342 865 000.

1007 A prescindere da tale importo, la finalità repressiva e dissuasiva delle ammende inflitte dalla Commissione per sanzionare una violazione dell’articolo 102 TFUE obbliga il Tribunale a vigilare, in quanto giudice imparziale e indipendente, sull’effettività del diritto a un ricorso effettivo sancito dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali quando si pronuncia su un ricorso proposto contro una sanzione inflitta da un’autorità amministrativa che svolge anche funzioni di indagine.

1008 Nell’ambito del presente ricorso, Google chiede, da un lato, l’annullamento della decisione impugnata e, dall’altro, in subordine, la soppressione o la riduzione dell’ammenda nell’esercizio della competenza estesa al merito di cui il Tribunale è investito.

1009 In esito all’esame dei primi cinque motivi, occorre valutare le conseguenze sulla decisione impugnata delle conclusioni precedentemente esposte. Nei limiti in cui tali conseguenze incidono sull’ammenda, occorre altresì precisare in che misura la valutazione del Tribunale al riguardo, nell’esercizio della sua competenza estesa al merito, terrà conto dell’argomento esposto nell’ambito del sesto motivo, vertente sui diversi elementi presi in considerazione per il calcolo dell’ammenda.

1.      Rapporto tra i primi cinque motivi e il sesto motivo, vertente sullillegittimità dellammenda

1010 Nel sesto motivo, suddiviso in tre parti, Google osserva che, anche se, contrariamente agli argomenti dedotti nei primi cinque motivi, il Tribunale conferma le valutazioni della decisione impugnata relative all’esistenza di una violazione dell’articolo 102 TFUE, tre errori richiedono tuttavia la soppressione o la riduzione sostanziale dell’ammenda. Pertanto, a causa di tali errori, l’ammenda dovrebbe essere soppressa o, in subordine, il Tribunale dovrebbe esercitare la sua competenza estesa al merito per ridurne sostanzialmente l’importo.

1011 In tale contesto, Google sostiene, in primo luogo, di non aver commesso l’infrazione né intenzionalmente né per negligenza; in secondo luogo, che la decisione impugnata viola il principio di proporzionalità e, in terzo luogo, che essa contiene gravi errori di calcolo alla luce dell’attuazione dei suoi orientamenti da parte della Commissione. A tal riguardo, Google sostiene che la Commissione ha erroneamente calcolato il valore pertinente delle vendite, ha applicato un coefficiente moltiplicatore di gravità non corretto, ha aggiunto un importo supplementare ingiustificato e non ha tenuto conto di diverse circostanze attenuanti, tra cui la durata limitata di taluni comportamenti.

1012 La Commissione contesta tali argomenti. La decisione impugnata fisserebbe l’importo dell’ammenda conformemente agli orientamenti e tale importo corrisponderebbe alla gravità e alla durata dell’infrazione unica e continuata.

1013 Da quanto precede risulta che, pur se l’argomento sviluppato nell’ambito del sesto motivo si fonda sulla premessa secondo cui il Tribunale convalida l’analisi della Commissione contestata nell’ambito dei primi cinque motivi, tale argomento contiene tuttavia un certo numero di censure che possono essere esaminate, nel caso di specie, dal Tribunale quando esercita, in modo autonomo, la sua competenza estesa al merito.

1014 Per tale ragione, nella misura in cui ciò risulti pertinente e appropriato ai fini di tale esercizio, si risponderà a tali censure nell’esame che segue.

2.      Conclusioni relative allinfrazione in esito allesame dei primi cinque motivi

1015 Dall’esame dei motivi primo, secondo e quarto, per gli aspetti sostanziali, nonché della seconda parte del quinto motivo di ricorso, per gli aspetti procedurali, risulta che la Commissione ha dimostrato il carattere abusivo degli aspetti primo e secondo dell’infrazione unica e continuata, qualificati, dal primo al terzo, come abusi distinti nella decisione impugnata. Per contro, dall’esame del terzo motivo e dalla prima parte del quinto motivo di ricorso risulta che, nei limiti in cui ha ritenuto che il terzo aspetto di tale infrazione, qualificato come quarto abuso distinto nella decisione impugnata, costituisse un abuso di posizione dominante ai sensi dell’articolo 102 TFUE, la Commissione ha violato i diritti della difesa e ha viziato la decisione impugnata con diversi errori di valutazione.

1016 Ne consegue che gli articoli 1, 3 e 4 della decisione impugnata devono essere annullati, solo nella parte in cui in essi è constatato, all’articolo 1, che Google ha commesso un’infrazione unica e continuata all’articolo 102 TFUE costituita da quattro abusi distinti, di cui il quarto consiste nell’aver subordinato, nell’ambito di taluni ARR, una ripartizione di ricavi con OEM e MNO alla preinstallazione esclusiva di Google Search su un portafoglio predefinito di dispositivi e nella parte in cui in questo stesso quarto abuso è contemplato agli articoli 3 e 4. Ne consegue altresì che si deve riformare l’articolo 2 della decisione impugnata, nei limiti in cui in esso è inflitta un’ammenda che sanziona la partecipazione delle società Google e Alphabet a un’infrazione unica e continuata all’articolo 102 TFUE comprendente il quarto abuso.  

1017 Nel caso di specie, infatti, la Commissione non ha adempiuto il proprio obbligo di analizzare la capacità preclusiva nei confronti di concorrenti almeno altrettanto efficienti inerente al quarto abuso, quello relativo agli ARR per portafoglio (terzo aspetto dell’infrazione unica e continuata). Il Tribunale non può quindi liberarsi da un dubbio circa la capacità dei pagamenti di cui trattasi di restringere la concorrenza e, in particolare, di produrre gli effetti preclusivi contestati.

1018 Tuttavia, e ciò indipendentemente dalla fondatezza della loro qualificazione alla luce dell’articolo 102 TFUE, occorre ricordare che gli ARR per portafoglio – come del resto gli ARR per dispositivi – sono stati presi giustamente in considerazione nella decisione impugnata, come elementi del contesto di fatto, per valutare gli effetti preclusivi derivanti dal primo e dal secondo aspetto dell’infrazione unica e continuata (qualificati come abusi distinti primo, secondo e terzo nella decisione impugnata), il cui carattere abusivo è stato confermato in sede di esame del secondo e del quarto motivo.

1019 In particolare, occorre ricordare che, indipendentemente dalla qualificazione degli ARR alla luce del diritto della concorrenza, gli effetti combinati delle pratiche attuate da Google le hanno consentito di beneficiare, per quanto riguardava Google Search, di una preinstallazione esclusiva che comprendeva, almeno fino al 2016, più della metà dei dispositivi commercializzati nel SEE che funzionavano con un SO derivato da Android (punto 822 e nota a piè di pagina n. 908 della decisione impugnata).

1020 Inoltre, occorre ricordare che gli ADAM prevedevano che i dispositivi GMS dovessero soddisfare le norme tecniche di compatibilità contenute nel DDC, le quali erano peraltro applicabili agli OEM, per tutti i loro dispositivi il cui SO era una versione derivata di Android, in forza degli AAF, la cui conclusione era imposta come un prerequisito alla conclusione degli ADAM. Tale collegamento tra il DDC e gli ADAM ha facilitato l’attuazione della strategia complessiva voluta da Google. La Commissione ha quindi preso giustamente in considerazione il DDC per valutare gli effetti degli ADAM sui mercati dei servizi di ricerca generale.

1021 Tali elementi, circostanze di fatto rilevanti ai fini della valutazione del carattere abusivo dei comportamenti contestati a Google, dimostrano quindi l’esistenza di un nesso tra il primo aspetto dell’infrazione unica e continuata e gli ARR che sono stati conclusi da Google per tutto il periodo dell’infrazione, da un lato, e tra il primo e il secondo aspetto dell’infrazione unica e continuata, dall’altro.

1022 L’esame dei motivi di ricorso primo, secondo e quarto dimostra, inoltre, che le restrizioni controverse prima e seconda si inserivano in una strategia complessiva. Sulla base di tale constatazione, la Commissione poteva legittimamente ritenere che il comportamento delle ricorrenti, consistente nel subordinare a condizioni particolari l’uso del SO Android, da un lato, nonché di talune applicazioni e di taluni servizi, dall’altro, dovesse essere qualificato come infrazione unica e continuata all’articolo 102 TFUE (punto 2 e articolo 1 della decisione impugnata).

1023 Infatti, gli abusi constatati si inserivano nell’ambito di una strategia complessiva volta ad anticipare lo sviluppo di Internet sui dispositivi mobili, preservando al contempo il modello commerciale proprio di Google, il quale si basa sui redditi che essa ricava essenzialmente dall’utilizzo del suo servizio di ricerca generale.

1024 Occorre ricordare, al riguardo, che Google non contraddice le valutazioni contenute nella decisione impugnata secondo cui il suo modello commerciale si basa sull’interazione tra, da un lato, prodotti e servizi collegati a Internet, proposti più frequentemente senza spese agli utenti e, dall’altro, servizi di pubblicità online, da cui trae la maggior parte dei suoi introiti. Pertanto, i redditi di Google sono essenzialmente collegati al pubblico dei suoi servizi di ricerca generale online, i quali le consentono di vendere i servizi pubblicitari online da cui trae la sua remunerazione (punto 153 della decisione impugnata).

1025 Nell’ambito di tale strategia complessiva perseguita da Google, la preservazione della posizione dominante da essa detenuta, per tutto il periodo dell’infrazione, sui mercati nazionali dei servizi di ricerca generale rivestiva quindi un’importanza determinante, alla quale hanno contribuito le restrizioni controverse prima e seconda. Infatti, come risulta dall’esame del quarto motivo, l’esclusione di SO concorrenti che potevano consentire a servizi di ricerca generale concorrenti di Google Search di essere preinstallati, o addirittura di beneficiare di un’esclusiva di installazione, concorrerebbe del pari a questo stesso obiettivo.

1026 Infine, si deve tener conto del fatto che gli effetti determinati dall’attuazione di tale strategia complessiva si sono inseriti in una situazione di fatto in cui Google Search beneficiava de facto, in forza degli ARR conclusi da Goggle, indipendentemente dalla loro qualificazione alla luce del diritto della concorrenza, di una preinstallazione esclusiva che copriva, almeno fino al 2016, più della metà dei dispositivi commercializzati nel SEE che funzionavano con un SO derivato da Android (punto 822 e nota a piè di pagina n. 908 della decisione impugnata).

1027 Più in generale, si deve anche fare riferimento, quale elemento di fatto da prendere in considerazione nella valutazione di tutte le circostanze pertinenti, al fatto che, durante tutto il periodo dell’infrazione, Google disponeva di un accordo con Apple che le consentiva di avere il suo motore di ricerca impostato come predefinito su tutti gli iPhone di tale OEM (v. punti 118 e 119 della decisione impugnata). La presenza dell’ecosistema Apple, che coesisteva con l’ecosistema Android, nel mercato globale dei dispositivi mobili intelligenti non costituiva quindi una minaccia concorrenziale significativa per Google per quanto riguardava gli introiti generati dalla pubblicità relativa ai servizi di ricerca generale (v., ad esempio, punto 515 della decisione impugnata).

1028 Inoltre, le pratiche abusive di Google hanno avuto l’effetto, in particolare, di privare i concorrenti della possibilità di offrire senza ostacoli agli utenti che lo desideravano soluzioni alternative al servizio di ricerca generale Google Search (punti 862 e 1213 della decisione impugnata). Pertanto, in generale, tali pratiche hanno leso l’interesse dei consumatori a disporre di più di una fonte per ottenere informazioni in Internet. Inoltre, più concretamente, tali pratiche hanno anche limitato lo sviluppo di servizi di ricerca diretti verso i segmenti di consumatori che attribuiscono un’importanza particolare, segnatamente, alla tutela della vita privata o alle particolarità linguistiche all’interno del SEE. Siffatti interessi erano non solo conformi alla concorrenza basata sui meriti in quanto incoraggiavano l’innovazione a beneficio dei consumatori, ma erano anche necessari per garantire la pluralità in una società democratica.

1029 Da quanto precede risulta che, sebbene gli articoli 1, 3 e 4 della decisione impugnata debbano essere in parte annullati e l’articolo 2 della decisione impugnata riformato, in quanto la Commissione non ha dimostrato il carattere abusivo degli ARR per portafoglio, la constatazione di un’infrazione unica e continuata, che rientra in una strategia globale, alla quale hanno contribuito il primo e il secondo aspetto dell’infrazione unica e continuata, non è per contro viziata da alcuna illegittimità. Di conseguenza, spetta al Tribunale stesso fissare, tenuto conto di quanto precede e di tutte le circostanze rilevanti del caso di specie, l’importo adeguato dell’ammenda nell’esercizio della sua competenza estesa al merito, come richiesto da Google nell’ambito della sua domanda di riforma.

1030 Le conseguenze da trarre da un annullamento parziale della decisione impugnata per quanto riguarda la determinazione dell’importo dell’ammenda sono state specificamente menzionate e ampiamente discusse con le parti in udienza.

1031 Il Tribunale ritiene opportuno ricordare in via preliminare che, poiché, nell’esercizio della sua competenza estesa al merito, esso procede a una valutazione autonoma dei criteri rilevanti ai fini della determinazione dell’importo dell’ammenda, non vanno tratte conseguenze automatiche da tale annullamento parziale riguardante la definizione dell’infrazione unica e delle sue componenti sull’importo dell’ammenda. Per contro, il Tribunale terrà conto di tutti gli elementi di fatto accertati e delle valutazioni legittimamente effettuate nella decisione impugnata atte ad incidere sull’adeguatezza dell’importo dell’ammenda.

3.      Sulla riforma dellammenda 

1032 Tenuto conto di quanto precede e conformemente alla domanda presentata in tal senso, occorre statuire, in applicazione della competenza estesa al merito riconosciuta al Tribunale dall’articolo 261 TFUE e dall’articolo 31 del regolamento n. 1/2003, sull’importo dell’ammenda.

1033 La competenza estesa al merito legittima il Tribunale, al di là del semplice controllo di legittimità della sanzione, che consente soltanto di respingere il ricorso di annullamento o di annullare l’atto impugnato, a sostituire la sua valutazione a quella della Commissione e, di conseguenza, a riformare l’atto impugnato, anche in assenza di annullamento, tenuto conto di tutte le circostanze di fatto, al fine, ad esempio, di modificare l’importo dell’ammenda, sia per ridurre tale importo che per aumentarlo (v., in tal senso, sentenze dell’8 febbraio 2007, Groupe Danone/Commissione, C‑3/06 P, EU:C:2007:88, punti 61 e 62, e del 3 settembre 2009, Prym e Prym Consumer/Commissione, C‑534/07 P, EU:C:2009:505, punto 86). In tali circostanze, il Tribunale può, se del caso, effettuare valutazioni diverse da quelle adottate dalla Commissione nella decisione impugnata per quanto riguarda la sanzione inflitta a Google.

1034 Tale esercizio non richiede che il Tribunale applichi gli orientamenti della Commissione per il calcolo delle ammende (v., in tal senso, sentenza del 14 settembre 2016, Trafilerie Meridionali/Commissione, C‑519/15 P, EU:C:2016:682, punti da 52 a 55), anche se tali regole indicative possono eventualmente guidarlo (v., in tal senso, sentenza del 21 gennaio 2016, Galp Energía España e a./Commissione, C‑603/13 P, EU:C:2016:38, punto 90 e giurisprudenza ivi citata).

1035 Nell’ambito del suo obbligo di motivazione, spetta altresì al Tribunale esporre in modo dettagliato i fattori di cui esso tiene conto nel fissare l’importo dell’ammenda (v., in tal senso, sentenza del 14 settembre 2016, Trafilerie Meridionali/Commissione, C‑519/15 P, EU:C:2016:682, punto 52).

1036 Nel caso di specie, per determinare l’importo dell’ammenda destinata a sanzionare la partecipazione di Google all’infrazione unica e continuata, quale risulta dall’annullamento parziale dell’articolo 1 della decisione impugnata in esito all’esame dei primi cinque motivi di ricorso, il Tribunale deve tener conto delle seguenti circostanze.

a)      Infrazione commessa intenzionalmente o per negligenza 

1037 Occorre stabilire se l’infrazione sia stata commessa intenzionalmente o per negligenza. Tale distinzione, prevista dall’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, può infatti incidere sull’importo dell’ammenda.

1038 Le parti si pronunciano su tale punto nell’ambito della prima parte del sesto motivo.

1039 A tal riguardo, Google sostiene che l’ammenda non tiene conto della mancanza di intenzionalità o di negligenza da parte sua. Infatti, la decisione impugnata non fornirebbe alcuna prova relativa all’intenzione, in quanto le pratiche contestate hanno avuto luogo prima che Google avesse asseritamente acquisito una posizione dominante. Analogamente, Google non potrebbe, in particolare allo stato della prassi anteriore e concomitante alla decisione impugnata, essere stata «consapevole» della natura anticoncorrenziale del suo modello commerciale aperto, gratuito e intrinsecamente pro concorrenza. Nulla consentirebbe di sapere quando la Commissione ha modificato la sua valutazione.

1040 Da parte sua, la Commissione sostiene di non dover dimostrare un’intenzione di esclusione per concludere che l’infrazione è stata commessa intenzionalmente. Sarebbe sufficiente che Google non abbia potuto «ignorare la natura anticoncorrenziale del suo comportamento». Nel caso di specie, l’infrazione era effettivamente «destinata a rafforzare» la posizione dominante di Google nei mercati dei servizi di ricerca generale (punti da 858 a 860, da 972 a 977 et 1140 della decisione impugnata). Inoltre, l’infrazione sarebbe stata commessa quantomeno per negligenza, in quanto Google conosceva i «fatti essenziali» che giustificavano le conclusioni della decisione impugnata riguardanti la posizione dominante e gli abusi.

1041 Occorre rammentare che, ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1/2003, la Commissione può, mediante decisione, infliggere un’ammenda quando, intenzionalmente o per negligenza, un’impresa commette un’infrazione alle disposizioni dell’articolo 102 TFUE.

1042 Per quanto riguarda la condizione relativa alla commissione di un’infrazione intenzionalmente o per negligenza, dalla giurisprudenza risulta che la prima ipotesi è soddisfatta quando l’impresa in questione approva una pratica e la attua con piena cognizione dei suoi effetti anticoncorrenziali sul mercato, senza che si debba dimostrare che essa sia o meno consapevole, così facendo, di violare le regole di concorrenza (v., in tal senso, sentenza dell’8 novembre 1983, IAZ International Belgium e a./Commissione, da 96/82 a 102/82, 104/82, 105/82, 108/82 e 110/82, EU:C:1983:310, punto 45).

1043 Orbene, in primo luogo, non vi è alcun dubbio che Google, come giustamente sottolineato dalla Commissione, abbia attuato le pratiche in questione intenzionalmente, vale a dire con piena cognizione degli effetti che tali pratiche avrebbero prodotto sui mercati rilevanti.

1044 Infatti, Google non poteva ragionevolmente ignorare di detenere una posizione dominante o un forte potere sui mercati dei portali di vendita Android e dei servizi di ricerca generale. Google non contesta del resto, nell’ambito del presente ricorso, di aver occupato, durante il periodo dell’infrazione, nei mercati dei servizi di ricerca generale una posizione dominante.

1045 Al di là della sua posizione nei mercati rilevanti, Google perseguiva consapevolmente una strategia «del bastone e la carota», secondo i termini stessi impiegati in una presentazione interna di Google e riportata dalla Commissione nella decisione impugnata (punto 1343). La finalità dichiarata era, grazie agli ADAM, agli AAF e agli ARR – indipendentemente dall’insufficiente dimostrazione, nella decisione impugnata, del carattere abusivo degli ARR per portafoglio – di prevenire l’utilizzo di versioni alternative non approvate di Android e di promuovere l’uso dei soli servizi di Google, e ciò nel chiaro l’obiettivo di tutelare e di rafforzare la posizione di Google nei mercati dei servizi di ricerca generale (punti 1343, 1350 e 1351). Gli effetti che hanno giustificato l’intervento della Commissione e l’adozione della decisione impugnata erano tanto più cercati in quanto risultavano da clausole contrattuali contenute negli accordi in questione ideati ed elaborati da Google. Le dichiarazioni dei rappresentanti di Google riportate nella decisione impugnata corroborano tale lettura, e uno di essi precisa in modo chiaro che l’obiettivo era quello di prevenire le versioni di Android che includessero servizi di ricerca concorrenti di Google (punti 1344 e 1347 della decisione impugnata).

1046 Più in particolare, come risulta dall’esame del quarto motivo del presente ricorso, è incontestabile l’intenzione di Google di ostacolare qualsiasi sviluppo del codice sorgente di Android privando gli sviluppatori di fork Android alternativi di sbocchi commerciali. La volontà di ostacolare lo sviluppo dei fork Android alternativi è compresa nei diversi obiettivi perseguiti dagli AAF, e ciò nonostante Google sostenga che vi era costretta per garantire la sopravvivenza di Android. Dai messaggi interni citati nella decisione impugnata risulta peraltro che tale strategia diretta ad ostacolare lo sviluppo dei fork Android alternativi è stata deliberatamente attuata sin dall’inizio, per impedire ai partner e ai concorrenti di Google di sviluppare versioni di Android autonome (punti 159 e 160 della decisione impugnata).

1047 In secondo luogo, Google non può sostenere di aver ignorato gli effetti anticoncorrenziali degli accordi in questione per il solo motivo che questi ultimi sono stati attuati prima che Google acquisisse una qualsivoglia posizione dominante. Infatti, sotto un primo profilo, a prescindere dalla sua posizione nei mercati rilevanti, si deve necessariamente rilevare che Google ha scientemente ricercato gli effetti degli accordi in questione. Sotto un secondo profilo, essa non poteva nemmeno ignorare la loro natura anticoncorrenziale nel momento in cui il suo potere di mercato è aumentato in modo sostanziale. Pertanto, proprio a decorrere dal momento in cui è divenuta dominante, come ha fatto la Commissione nella decisione impugnata, Google poteva essere sanzionata per aver commesso intenzionalmente una violazione dell’articolo 102 TFUE.

1048 Analogamente, la semplice constatazione che Google intendeva, a suo avviso, perseguire altri obiettivi asseritamente pro concorrenza, relativi allo sviluppo e alla protezione della piattaforma Android, non può rimettere in discussione il fatto che essa, mediante gli accordi in questione, ha anche perseguito una strategia «del bastone e la carota», per preservare e rafforzare la sua posizione, in particolare nei mercati dei servizi di ricerca generale, e limitare la presenza dei suoi concorrenti in tali mercati, o addirittura prevenire lo sviluppo di qualsiasi concorrenza.

1049 Pertanto, Google non può sostenere di aver attuato le pratiche in questione né in altro modo se non intenzionale né senza aver ricercato gli effetti che queste ultime erano idonee ad avere e che hanno giustificato l’adozione, da parte della Commissione, della decisione impugnata.

1050 Tale constatazione non può essere rimessa in discussione dagli argomenti di Google relativi all’incertezza circa la qualificazione delle pratiche in questione come abusive alla luce delle prassi giurisprudenziale e decisionale precedenti alla decisione impugnata. Svolgere tale analisi equivarrebbe infatti a verificare se Google potesse essere consapevole del fatto che il suo comportamento determinava la violazione dell’articolo 102 TFUE, il che, come risulta dalla giurisprudenza della Corte, è irrilevante. Ad avere rilevanza, nel caso di un’infrazione commessa intenzionalmente, è solo la prova dell’attuazione di una pratica con piena cognizione degli effetti anticoncorrenziali che ne deriverebbero nel mercato.

1051 Pertanto, come ha del resto ritenuto correttamente la Commissione, Google ha commesso l’infrazione intenzionalmente. Il Tribunale terrà conto di tale circostanza ai fini della determinazione dell’importo dell’ammenda.

b)      Presa in considerazione della gravità e della durata dellinfrazione 

1052 Nell’esercizio della sua competenza estesa al merito spetta al Tribunale determinare l’importo dell’ammenda tenendo conto di tutte le circostanze del caso di specie. Tale esercizio presuppone, in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 3, del regolamento n. 1/2003, che siano prese in considerazione la gravità dell’infrazione commessa nonché la sua durata, nel rispetto dei principi, in particolare, di proporzionalità e di personalità delle sanzioni (sentenza del 21 gennaio 2016, Galp Energía España e a./Commissione, C‑603/13 P, EU:C:2016:38, punto 90 e giurisprudenza ivi citata).

1)      Presa in considerazione del valore delle vendite quale dato iniziale

1053 In via preliminare, per quanto riguarda il valore delle vendite realizzate da Google in relazione all’infrazione, il quale consente alla Commissione di determinare l’importo di base dell’ammenda da infliggere in applicazione dei suoi orientamenti, il Tribunale tiene a rilevare che, sebbene sia per esso giurisprudenza costante che la fissazione di un’ammenda non è un esercizio aritmetico preciso (sentenze del 5 ottobre 2011, Romana Tabacchi/Commissione, T‑11/06, EU:T:2011:560, punto 266, e del 15 luglio 2015, SLM e Ori Martin/Commissione, T‑389/10 e T‑419/10, EU:T:2015:513, punto 436), l’uso di tale valore può fornire, nel caso di specie, una base di partenza adeguata per determinare l’importo dell’ammenda.

1054 Risulta effettivamente opportuno, per definire l’importo dell’ammenda, utilizzare un metodo che, come quello applicato dalla Commissione, individua, in un primo tempo, un importo di base che può, in un secondo tempo, essere adeguato in considerazione delle circostanze specifiche del caso. A tal riguardo, il valore delle vendite in relazione con l’infrazione riflette, nel caso di specie, l’impatto economico dell’infrazione nonché l’importanza dell’impresa che vi ha partecipato.

1055 È in tale contesto che il Tribunale esaminerà gli argomenti presentati riguardo all’importo preso in considerazione dalla Commissione nell’ambito della terza parte del sesto motivo.

1056 In primo luogo, Google contesta alla Commissione di aver preso in considerazione il valore delle vendite realizzato nel 2017, ultimo anno intero di partecipazione all’infrazione, mentre essa avrebbe dovuto, piuttosto, prendere in considerazione il valore medio delle vendite realizzate in tutto il periodo dell’infrazione. Siffatta presa in considerazione sarebbe giustificata dall’aumento esponenziale dei redditi di Google tra il 2011 e il 2017 dovuta al passaggio dai telefoni digitali agli smartphone e al correlativo aumento di Internet sui dispositivi mobili.

1057 La Commissione sottolinea, al contrario, che spettava a Google dimostrare che le vendite realizzate nel 2017 non riflettevano la realtà economica dell’infrazione nonché le sue dimensioni e il suo potere di mercato. La semplice constatazione dell’aumento dei suoi redditi tra il 2011 e il 2017 non sarebbe sufficiente a tal fine.

1058 Occorre ricordare che la presa in considerazione del valore delle vendite nel calcolo dell’importo di base dell’ammenda mira a riflettere la realtà e la portata economica dell’infrazione sanzionata. Non deve tuttavia essere preso sempre in considerazione l’ultimo anno di partecipazione all’infrazione come periodo di riferimento per il calcolo del valore delle vendite, in particolare quando le vendite realizzate dall’impresa nell’ultimo anno di partecipazione all’infrazione non consentono di riflettere la portata economica dell’infrazione (v., in tal senso, sentenza dell’11 luglio 2014, Esso e a./Commissione, T‑540/08, EU:T:2014:630, punto 95).

1059 Nondimeno, la semplice constatazione del notevole aumento dei redditi di Google tra il 2011 e il 2017 non è sufficiente per dimostrare che gli introiti da essa generati nel 2017 non riflettano la realtà economica, la portata dell’infrazione, le dimensioni di tale impresa e il suo potere di mercato. Al contrario, la natura unilaterale delle pratiche sanzionate dalla Commissione, che hanno consentito a Google tra il 2011 e il 2017 di rafforzare la sua posizione dominante e il suo potere di mercato e di frenare l’espansione dei suoi concorrenti, o addirittura di escluderli dal mercato o di ostacolare concorrenti potenziali, giustifica la presa in considerazione dei redditi generati nel 2017, anno durante il quale Google ha potuto raccogliere economicamente tutti i frutti delle sue pratiche attuate dal 2011.

1060 Pertanto, il Tribunale ritiene appropriato, nell’esercizio della sua competenza estesa al merito, tener conto del valore delle vendite realizzate da Google nell’ultimo anno della sua partecipazione completa all’infrazione.

1061 In secondo luogo, Google contesta alla Commissione di aver contabilizzato nel valore pertinente delle vendite redditi che non presentano alcun nesso con l’infrazione. Ciò varrebbe per i redditi generati da Google in occasione dei clic effettuati dagli utenti sui link pubblicitari a seguito di richieste di ricerca generale effettuate, non attraverso le applicazioni Google preinstallate, bensì attraverso la pagina iniziale di Google. Tali redditi non sarebbero stati interessati dagli ARR per portafoglio e Google era in grado di isolare tali redditi da quelli generati mediante richieste effettuate attraverso le sue applicazioni.

1062 La Commissione sottolinea, al contrario, l’importanza di tener conto di tali redditi, in quanto essi riguardano l’infrazione.

1063 A tal proposito, si deve ritenere che il valore delle vendite preso in considerazione nel calcolo dell’importo di base dell’ammenda deve presentare un nesso diretto o, quantomeno, indiretto con l’infrazione sanzionata, salvo snaturare la realtà e la portata economica di tale infrazione nella fase di determinazione della sua sanzione.

1064 Orbene, nel caso di specie, i redditi generati da Google in occasione dei clic effettuati dagli utenti sui link pubblicitari a seguito di richieste di ricerca effettuate, non attraverso le applicazioni Google preinstallate, bensì attraverso la pagina iniziale di Google, presentano un nesso, quantomeno indiretto, con l’infrazione. Infatti, come risulta correttamente dalla decisione impugnata, le pratiche sanzionate dalla Commissione hanno consentito a Google di mantenere e di rafforzare la sua posizione dominante e il suo potere di mercato in tutti i mercati nazionali dei servizi di ricerca generale, indipendentemente dal fatto che tali ricerche fossero effettuate mediante un’applicazione preinstallata o attraverso la pagina iniziale di Google (punto 1439 della decisione impugnata).

1065 Rendendo più difficili l’uso e l’accesso ai servizi di ricerca concorrenti e captando gli utenti di tali servizi, le pratiche attuate da Google le hanno indirettamente consentito di beneficiare di redditi significativi anche attraverso la sua pagina iniziale. Il fatto che gli ARR per portafoglio non tengano conto di tali redditi è al riguardo irrilevante.

1066 Pertanto, il Tribunale ritiene appropriato non escludere dal valore delle vendite preso in considerazione nel calcolo dell’importo di base dell’ammenda i redditi generati dalle richieste di ricerca generale effettuate sulla pagina iniziale di Google.

1067 In terzo luogo, Google contesta alla Commissione di aver preso in considerazione, nell’ambito del valore delle vendite, redditi generati non da Google, bensì da terzi. Lo stesso varrebbe per i costi di acquisizione di traffico, vale a dire pagamenti effettuati da Google per far apparire i suoi link pubblicitari su siti Internet terzi.

1068 La Commissione sostiene, al contrario, che i costi di acquisizione del traffico sono parte integrante degli introiti di Google derivanti dalle pubblicità contestuali di cui rappresenterebbero una componente del prezzo fatturato agli inserzionisti per i servizi di Google.

1069 A tal riguardo, occorre ricordare che l’articolo 23, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 1/2003 fa riferimento, nella sua formulazione, al fatturato totale dell’impresa interessata, senza alcuna deduzione (sentenza del 12 dicembre 2012, Almamet/Commissione, T‑410/09, non pubblicata, EU:T:2012:676, punto 225).

1070 Orbene, nel caso di specie, come correttamente sottolineato dalla Commissione nella decisione impugnata, se è vero che i costi di acquisizione del traffico sono effettivamente costi sostenuti da Google, in quanto costituiscono spese volontarie di Google per far apparire i suoi link su siti Internet terzi, detti costi sono, in sostanza, fatturati agli inserzionisti, sicché costituiscono una componente dei redditi di Google (punto 1442 della decisione impugnata).

1071 Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto da Google, i costi di acquisizione del traffico non possono essere eliminati dal valore delle vendite. Infatti, tali costi non incidono sull’importo lordo dei redditi percepiti da Google e riflettono adeguatamente la realtà e la portata economica dell’infrazione sanzionata.

1072 Pertanto, il Tribunale decide di prendere in considerazione per la determinazione dell’importo dell’ammenda lo stesso valore delle vendite considerato dalla Commissione nella decisione impugnata.

2)      Presa in considerazione della gravità

1073 Quanto alla valutazione della gravità dell’infrazione, è stato dichiarato, in particolare, che essa deve essere oggetto di una valutazione individuale e che si deve tener conto di tutti gli elementi che possono rientrare in tale valutazione, quali, ad esempio, il numero e l’intensità dei comportamenti anticoncorrenziali (v., in tal senso, sentenza del 26 settembre 2018, Infineon Technologies/Commissione, C‑99/17 P, EU:C:2018:773, punti 196 e 197 e giurisprudenza ivi citata).

1074 Nel caso di specie, nell’esercizio della sua competenza estesa al merito, il Tribunale ritiene anzitutto appropriato prendere in considerazione i seguenti elementi, che sono menzionati anche dalla Commissione nei suoi orientamenti, vale a dire la natura dell’infrazione, la situazione di Google nei mercati rilevanti, l’estensione geografica di tale infrazione, e l’attuazione o meno dell’infrazione.

1075 Per quanto riguarda la natura dell’infrazione, dall’analisi che precede risulta che la Commissione ha sufficientemente qualificato diverse pratiche come esclusioni abusive da parte di Google, le quali ostacolavano il gioco della concorrenza escludendo i suoi concorrenti a danno dei consumatori. Tali pratiche sono legate alle condizioni di preinstallazione dell’ADAM e agli effetti preclusivi derivanti dall’AAF e sono analizzate alla luce del contesto fattuale rilevante per la durata dell’infrazione.

1076 Per quanto riguarda la situazione di Google nei mercati rilevanti e l’estensione geografica dell’infrazione, è pacifico che, per tutta la durata dell’infrazione, Google ha detenuto una posizione dominante nei mercati nazionali dei servizi di ricerca generale all’interno del SEE. Tali mercati erano quelli oggetto della strategia globale di Google, la quale intendeva conservare il potere di mercato da essa detenuto sulle richieste di servizi di ricerca generale effettuate a partire da un PC e sulle richieste di servizi di ricerca generale effettuate a partire da un dispositivo mobile intelligente. Tale constatazione non è rimessa in discussione se si tiene conto non solo delle richieste di servizi di ricerca generale effettuate a partire da un dispositivo Android, ma anche delle richieste di servizi di ricerca generale effettuate a partire da un iPhone.

1077 Per quanto riguarda l’attuazione o meno dell’infrazione, il Tribunale ritiene particolarmente necessario al riguardo, per soddisfare i principi di proporzionalità e di personalità delle sanzioni, valutare il numero e l’intensità dei comportamenti anticoncorrenziali di Google.

1078 Siffatto esercizio è facilitato dall’attento esame degli effetti concreti che è stato effettuato dalla Commissione nella presente causa al fine di valutare l’impatto sulla concorrenza basata sui meriti della strategia complessiva di Google e dei diversi mezzi utilizzati per attuarla.

1079 Il Tribunale osserva al riguardo che sebbene, nella decisione impugnata, la Commissione si sia inizialmente limitata a ritenere che «i mercati rilevanti per l’infrazione [avessero] un’importanza economica significativa», il che significava che «qualsiasi comportamento anticoncorrenziale in tali mercati [poteva] avere un notevole impatto» (punto 1449), essa ha avuto tuttavia cura di precisare successivamente che tale valutazione si basava sulle conclusioni che essa traeva dall’analisi degli effetti restrittivi della concorrenza effettuata nella decisione impugnata per quanto riguardava ogni comportamento in questione (punto 1455).

1080 La valutazione effettuata dal Tribunale al riguardo deriva dall’analisi sopra esposta nell’ambito dei motivi corrispondenti riguardanti le restrizioni controverse prima e seconda. Tale analisi tiene conto non solo degli effetti preclusivi constatati dalla Commissione nella decisione impugnata, ma anche dei diversi argomenti menzionati dalle parti per quanto riguarda l’importanza dello sviluppo e della manutenzione del SO Android e del suo «ecosistema», la quale deve essere considerata dimostrata, come risulta in particolare dai precedenti punti 889 e 890.

1081 A tal riguardo, a seguito della presa in considerazione di tutti questi elementi, il Tribunale ritiene appropriato dichiarare che esso considera che l’applicazione di un coefficiente di gravità fisso dell’11% del valore delle vendite determinato dalla Commissione (punto 1447 della decisione impugnata) non riflette sufficientemente la realtà dell’attuazione dell’infrazione e, in particolare, la sua intensità nel corso del periodo considerato, per quanto riguarda in particolare, come sarà esaminato in seguito, comportamenti anticoncorrenziali di Google nel corso degli anni dal 2012 al 2014.

3)      Presa in considerazione della durata

1082 Quanto alla valutazione della durata dell’infrazione, occorre tener conto delle seguenti circostanze, che non sono del resto contestate da Google nell’ambito del presente ricorso.

1083 Da un lato, Google LLC ha partecipato ininterrottamente, dal 1° gennaio 2011 al 18 luglio 2018, data di adozione della decisione impugnata, ai due seguenti aspetti dell’infrazione unica e continuata: quello relativo al pacchetto dell’applicazione Google Search con Play Store e quello relativo alla subordinazione della concessione di una licenza per Play Store e per l’applicazione Google Search alla condizione di concludere un AAF.

1084 D’altro lato, Google LLC ha partecipato ininterrottamente, dal 1º agosto 2012 al 18 luglio 2018, data di adozione della decisione impugnata, a un altro aspetto dell’infrazione unica e continuata, ossia il pacchetto di Google Chrome con Play Store e l’applicazione Google Search.

1085 A differenza tuttavia della Commissione, che ha utilizzato un coefficiente moltiplicatore unico e complessivo per tener conto della durata della partecipazione di Google all’infrazione (punto 1461 della decisione impugnata), cosicché il valore delle vendite preso in considerazione è moltiplicato per tale coefficiente di durata, il Tribunale considera più appropriato, nella presente causa, tener conto anche di altri parametri per meglio rappresentare talune particolarità proprie dello svolgimento nel tempo dell’infrazione in considerazione, in particolare, della sua intensità variabile.

4)      Valutazione combinata in considerazione dell’intensità

1086 Nella sua valutazione dell’importo dell’ammenda in funzione della gravità e della durata dell’infrazione, il Tribunale ritiene preferibile utilizzare una tecnica diversa da quella, aritmetica e lineare, definita dalla Commissione in applicazione della metodologia generale che essa si è data negli orientamenti. Una scelta siffatta è più idonea a garantire, conformemente ai principi di proporzionalità e di personalità delle sanzioni, che si tenga debitamente conto delle peculiarità della presente causa, senza che ciò, tuttavia, pregiudichi la necessità di raggiungere un livello dissuasivo soddisfacente.

1087 Da un lato, nel caso di specie, è appropriato prendere in considerazione la complementarità dei primi abusi. Come emerge dall’analisi effettuata al riguardo, risulta che le pratiche abusive di Google nell’ambito della sua strategia complessiva sono risultate rafforzate a partire dal momento in cui tanto l’applicazione Google Search quanto il browser Chrome erano oggetto delle condizioni di preinstallazione dell’ADAM. Così facendo, Google si assicurava un vantaggio concorrenziale significativo sui due principali punti di accesso per effettuare una ricerca in Internet, vantaggio concorrenziale che era assai difficile compensare per i concorrenti di Google.

1088 D’altro lato, risulta altresì necessario che il Tribunale tenga particolarmente conto dell’intensità dei comportamenti anticoncorrenziali nel corso del tempo nonché degli altri elementi fattuali di contorno a tali comportamenti menzionati nella decisione impugnata, come gli ARR. Al riguardo possono essere distinti più periodi:

–        un primo periodo esplorativo compreso tra il 1º gennaio 2011 e il 1º agosto 2012, caratterizzato dalla diffusione della strategia complessiva voluta da Google per garantire la transizione verso Internet sui dispositivi mobili;

–        un secondo periodo compreso tra il 1º agosto 2012 e la cessazione degli ARR per portafoglio, il 31 marzo 2014, durante il quale l’intensità dell’infrazione è stata massima in quanto i suoi effetti combinavano gli aspetti restrittivi dell’ADAM (per i due pacchetti) e dell’AAF, in un contesto in cui l’esclusiva conferita dagli ARR per portafoglio riduceva maggiormente le possibilità teoriche di una preinstallazione congiunta sui dispositivi GMS;

–        un terzo periodo compreso tra il 31 marzo 2014 e la data di adozione della decisione impugnata, in cui si può ritenere che i concorrenti beneficiassero di un margine di libertà maggiore con gli ARR per dispositivi di quanta ne avessero durante la vigenza degli ARR per portafoglio, ma in cui, parallelamente, occorre tener conto anche dello sviluppo degli IPA che aggravavano gli effetti preclusivi degli AAF.

1089 Tale segmentazione porta il Tribunale a tener conto, nella determinazione dell’importo dell’ammenda, delle seguenti circostanze.

1090 Anzitutto, è vero, come sostenuto da Google nell’ambito della seconda parte del sesto motivo, che si deve tener conto del fatto che essa ha spontaneamente posto fine agli ARR per portafoglio, a decorrere dal 31 marzo 2014, per sostituirli con gli ARR per dispositivi e che ciò ha necessariamente avuto l’effetto di ridurre la chiusura determinata dalla preinstallazione esclusiva dell’applicazione Google Search e di Chrome su taluni dispositivi GMS commercializzati all’interno del SEE.

1091 Orbene, l’utilizzo di due coefficienti moltiplicatori fissi e complessivi – uno per la gravità e l’altro per la durata – non consente di tener conto di tale circostanza, come del resto non consente di tener conto del fatto che le condizioni di preinstallazione dell’ADAM hanno previsto Chrome solo a partire dal 1º agosto 2012.

1092 Inoltre, si deve altresì rilevare che gli effetti delle pratiche di cui trattasi nell’ambito del secondo periodo sono stati particolarmente significativi, circostanza di cui si deve altresì tener conto specificamente, dal momento che tali effetti si sono verificati in un momento critico sia per Google che per i suoi concorrenti, quello dello sviluppo di Internet sui dispositivi mobili.

1093 A tale epoca, cruciale per lo sviluppo dei servizi di ricerca in linea effettuati a partire da un dispositivo mobile intelligente, le pratiche abusive di Google sono state dannose per i suoi concorrenti, per i quali era particolarmente importante essere presenti, fosse pure su numero limitato di dispositivi. Tale punto di vista è stato esposto in udienza in modo convincente dai diversi concorrenti di Google intervenuti nel procedimento.

1094 Ai fini della determinazione dell’importo dell’ammenda, il Tribunale terrà quindi conto tanto della rispettiva durata dei diversi aspetti dell’infrazione unica e continuata quanto delle differenze esistenti tra i diversi periodi, come constatato supra, per valutare l’intensità variabile degli effetti di tale infrazione.

c)      Circostanze attenuanti o aggravanti 

1095 Il Tribunale considera che il contesto fattuale della presente causa non giustifica il riconoscimento a Google del beneficio di circostanze attenuanti o, al contrario, la presa in considerazione di circostanze aggravanti.

1096 Per quanto riguarda gli argomenti dedotti a tal proposito nell’ambito della terza parte del sesto motivo, occorre sottolineare, anzitutto, che Google non può aspirare a beneficiare di una riduzione dell’ammenda per il fatto che avrebbe commesso l’infrazione per negligenza. Come correttamente dimostrato dalla Commissione nella decisione impugnata, e come risulta dai punti precedenti, Google ha commesso l’infrazione intenzionalmente, avendo scientemente cercato gli effetti che gli accordi in questione erano atti ad avere.

1097 Parimenti, Google non può pretendere una riduzione dell’importo dell’ammenda quale contropartita della sua asserita collaborazione attiva durante il procedimento amministrativo. È vero che Google ha spontaneamente proposto impegni per rispondere alle preoccupazioni della Commissione in materia di concorrenza. Tuttavia, una proposta siffatta non può, di per sé, andare al di là degli obblighi giuridici gravanti su Google di cooperare durante il procedimento amministrativo e non può, per questo solo motivo, giustificare una riduzione dell’ammenda a titolo della sua cooperazione attiva.

1098 Inoltre, il Tribunale non considera necessario esaminare altre circostanze di fatto idonee ad influenzare al ribasso o al rialzo l’importo dell’ammenda.

d)      Importo dellammenda e solidarietà della Alphabet 

1099 Sulla base delle considerazioni che precedono, in particolare l’attuazione intenzionale, durante un periodo significativo, di una strategia complessiva la cui esistenza non è rimessa in discussione dagli errori in cui è incorsa la Commissione riguardo al terzo tipo di comportamenti esaminato nella decisione impugnata e che ha avuto effetti di intensità variabile durante il periodo dell’infrazione, il Tribunale reputa che sia operata un’equa valutazione della gravità dell’infrazione e della sua durata, alla luce, in particolare, del principio di personalità della sanzione, fissando l’importo dell’ammenda inflitta a Google LLC in EUR 4 125 000 000 anziché in EUR 4 342 865 000.

1100 Inoltre, la Alphabet Inc. deve essere considerata responsabile in solido in quanto società madre del comportamento illecito di Google LLC dal 2 ottobre 2015 al 18 luglio 2018 per le ragioni esposte nella decisione impugnata e non contestate nell’ambito del presente ricorso (punti 1388 e 1389 della decisione impugnata). Nel caso di specie, poiché la Alphabet Inc. ha controllato Google LLC per 1013 giorni su 2748 giorni dell’infrazione unica e continuata, viene condannata in solido a pagare EUR 1 520 605 895.

e)      Adeguatezza della sanzione 

1101 Il Tribunale considera che un’ammenda pari a EUR 4 125 000 000 sia adeguata alla luce della rilevanza dell’infrazione. Per quanto riguarda gli argomenti invocati a tal proposito da Google nell’ambito della seconda parte del sesto motivo, occorre, in primo luogo, rilevare che, contrariamente a quanto sostiene Google, la Commissione non era tenuta, nell’esercizio del suo potere sanzionatorio, a dar prova di moderazione per tener conto dell’asserita novità delle pratiche in questione. Lo stesso dicasi per il Tribunale nell’esercizio della competenza estesa al merito.

1102 È vero che la Commissione svolge per la prima volta un’analisi concorrenziale della piattaforma Android. Tuttavia, le valutazioni relative ai mercati, alla posizione dominante detenuta da Google in questi ultimi e gli abusi individuati dalla Commissione nella decisione impugnata si fondano su analisi ben definite nel diritto della concorrenza. Nella decisione impugnata la Commissione sottolinea correttamente che essa sanziona vari accordi, la cui analisi rivela situazioni classiche di vendite abbinate o di vendite esclusive tra operatori (punto 1432 della decisione impugnata).

1103 Pertanto, contrariamente a quanto sostiene Google, la presente causa non può essere assimilata a quella che ha dato luogo alla sentenza del 3 luglio 1991, AKZO/Commissione (C‑62/86, EU:C:1991:286), nella quale la Corte ha tenuto conto della sanzione inedita di prezzi predatori per ridurre l’importo dell’ammenda senza che tale aspetto sia del resto l’unico considerato a tal fine.

1104 Un’interpretazione identica si impone riguardo alla decisione 93/82/CEE della Commissione, del 23 dicembre 1992, relativa ad un procedimento in forza degli articoli [101 TFUE] (IV/32.448 e IV/32.450: Cewal, Cowac, Ukwal) e [102 TFUE] (IV/32.448 e IV/32.450: Cewal) (GU 1993, L 34, pag. 20) e sulla quale si basa Google. È vero che, al punto 116 di tale decisione, la Commissione ha tenuto conto del fatto che la circostanza secondo cui le imprese in questione potevano non essere a conoscenza degli obblighi loro derivanti dal diritto della concorrenza o potevano aver sottovalutato la gravità dell’infrazione sanzionata abbia potuto avere conseguenze sulla determinazione dell’importo dell’ammenda.

1105 Tuttavia, da un lato, nel caso di specie, si deve necessariamente rilevare che un’impresa delle dimensioni di Google, che detiene un significativo potere di mercato nei mercati cui si riferisce la decisione impugnata, non può ignorare i suoi obblighi di diritto della concorrenza. D’altro lato, risulta chiaramente dai documenti interni e dalle dichiarazioni di Google, su cui si basa la Commissione, che Google era pienamente consapevole degli effetti delle pratiche contestate nella decisione impugnata (punti da 1343 a 1347).

1106 Nel caso di specie, il Tribunale considera altresì che i comportamenti di cui trattasi erano stati, gli uni e gli altri, già oggetto di una prassi decisionale anteriore da parte della Commissione, che era già stata esaminata dal giudice dell’Unione, che si tratti della sentenza 17 settembre 2007, Microsoft/Commissione (T‑201/04, EU:T:2007:289), o della sentenza del 6 settembre 2017, Intel/Commissione (C‑413/14 P, EU:C:2017:632), le quali hanno entrambe fornito precisazioni sui criteri di analisi da utilizzare per valutare tali diversi comportamenti. Non si può quindi ritenere che l’ammenda inflitta sia sproporzionata in quanto non terrebbe conto dell’asserita novità delle pratiche in questione.

1107 In secondo luogo, Google sostiene che il suo comportamento era di una gravità relativa e ha prodotto effetti pro concorrenza. L’ammenda inflitta doveva quindi, secondo Google, corrispondere alla gravità del suo comportamento, ma non andare oltre.

1108 A tal riguardo, risulta che, nell’esercizio della sua competenza estesa al merito, il Tribunale ha pienamente tenuto conto, nell’ambito della determinazione della gravità dell’infrazione, di tutte le circostanze che la accompagnano, compresi gli argomenti menzionati dalle parti per quanto riguarda lo sviluppo e la manutenzione del SO Android e del suo «ecosistema», e ciò al fine di garantire la conformità dell’ammenda al principio di proporzionalità.

f)      Carattere sufficientemente dissuasivo della sanzione in considerazione delle dimensioni dellimpresa 

1109 Al pari della Commissione (punto 1479 della decisione impugnata), non occorre che il Tribunale, nella presente causa, aumenti specificamente l’ammenda al fine di conferirle un carattere dissuasivo.

1110 L’importo dell’ammenda determinato dal Tribunale tiene debitamente conto della necessità di infliggere a Google un’ammenda di importo dissuasivo.

g)      Conformità al massimale del 10% del fatturato totale

1111 L’importo dell’ammenda a cui giunge il Tribunale nell’esercizio della competenza estesa al merito conferitagli dall’articolo 31 del regolamento n. 1/2003 non supera l’importo previsto all’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), di detto regolamento, vale a dire il 10% del fatturato totale realizzato dalla Alphabet Inc. nel corso dell’esercizio sociale precedente.

1112 Ciò si verifica sia per quanto riguarda l’esercizio sociale 2017, esercizio sociale che precede l’ammenda inflitta dalla Commissione (punto 1481 della decisione impugnata) sia per quanto riguarda l’esercizio sociale 2021, ultimo esercizio disponibile, fatturato totale che è in costante aumento dal 2017.

h)      Conclusione sulla riforma 

1113 Da quanto precede risulta che l’articolo 2 della decisione impugnata deve essere riformato nel senso che l’importo dell’ammenda inflitta a Google LLC per l’infrazione unica e continuata di cui all’articolo 1 della decisione impugnata, per il cui pagamento la Alphabet Inc. è responsabile in solido per il periodo compreso tra il 2 ottobre 2015 e la data di adozione della decisione impugnata, deve essere fissato in EUR 4 125 000 000.

1114 Tenuto conto delle circostanze prese in considerazione dal Tribunale nell’esercizio della sua competenza estesa al merito, non risulta necessario pronunciarsi sulla fondatezza degli argomenti presentati da Google per quanto riguarda l’importo supplementare equivalente all’11% del valore delle vendite rilevanti effettuate nel 2017 (v. punti 1467 e 1468 della decisione impugnata), parametro che non è stato preso in considerazione dal Tribunale nell’ambito di tale esercizio.

IV.    Sulle spese

1115 A norma dell’articolo 134, paragrafo 2, del regolamento di procedura, qualora vi siano più parti soccombenti, il Tribunale decide sulla ripartizione delle spese. Nel caso di specie, occorre decidere che le parti principali sopporteranno ciascuna l’onere delle proprie spese.

1116 Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 3, del regolamento di procedura, il Tribunale può decidere che un interveniente, diverso da quelli indicati nei paragrafi 1 e 2 di tale articolo, si faccia carico delle proprie spese. Nel caso di specie, occorre decidere che l’ADA, la CCIA, la Gigaset, la HMD, l’Opera, il BEUC, la VDZ, la BDZV, la Seznam, la FairSearch e la Qwant sopporteranno le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Sesta Sezione ampliata)

dichiara e statuisce:

1)      Gli articoli 1, 3 e 4 della decisione della Commissione europea, del 18 luglio 2018, C(2018) 4761 final, relativa a un procedimento a norma dell’articolo 102 TFUE e dell’articolo 54 dell’accordo SEE (caso AT.40099 – Google Android), sono annullati nella parte in cui riguardano il quarto abuso dell’infrazione unica e continuata, consistente nell’aver subordinato la conclusione di accordi di ripartizione dei ricavi con taluni costruttori di apparecchiature originali e operatori di reti mobili alla preinstallazione esclusiva di Google Search in un portafoglio predefinito di dispositivi.

2)      L’importo dell’ammenda inflitta a Google LLC all’articolo 2 della decisione C(2018) 4761 final è fissato, per l’infrazione unica da essa commessa quale risulta dal precedente punto 1, in EUR 4 125 000 000, al cui pagamento la Alphabet, Inc. è tenuta a concorrenza dell’importo di EUR 1 520 605 895 a titolo della sua responsabilità solidale.

3)      Il ricorso è respinto quanto al resto.

4)      Google e la Alphabet sopportano le proprie spese.

5)      La Commissione sopporta le proprie spese.

6)      Application Developers Alliance, BDZV – Bundesverband Digitalpublisher und Zeitungsverleger eV, Bureau européen des unions des consommateurs (BEUC), Computer & Communications Industry Association, FairSearch AISBL, Gigaset Communications GmbH, HMD global Oy, Opera Norway AS, Qwant, Seznam.cz, a.s., e Verband Deutscher Zeitschriftenverleger eV sopportano le proprie spese.

Marcoulli

Frimodt Nielsen

Schwarcz

Iliopoulos

 

      Norkus

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 14 settembre 2022.

Firme


Indice


I. Fatti

A. Contesto fattuale

B. Procedimento dinanzi alla Commissione

C. Decisione impugnata

II. Procedimento e conclusioni delle parti

A. Istanze di intervento

B. Svolgimento del procedimento, principali domande di trattamento riservato e istruzione della causa

C. Conclusioni delle parti

III. In diritto

A. Osservazioni preliminari

1. Sul contesto commerciale delle condotte sanzionate

a) Modello commerciale incentrato sulla ricerca attraverso Google Search

b) Pratiche adottate durante il passaggio a Internet mobile

c) Infrazione unica che presenta diversi aspetti

2. Sulle modalità del controllo giurisdizionale

a) Controllo approfondito di tutti gli elementi pertinenti

b) Competenza estesa al merito per quanto riguarda l’ammenda

3. Sull’assunzione della prova e sulle diverse contestazioni presentate al riguardo

B. Sul primo motivo, vertente sull’erronea valutazione della definizione del mercato rilevante e dell’esistenza di una posizione dominante

1. Il contesto

a) Nozioni di mercato rilevante, di posizione dominante e di vincoli concorrenziali, in particolare in presenza di un «ecosistema»

b) Mercati distinti, ma interconnessi

2. Sulla prima parte, riguardante il dominio dei SO su licenza per dispositivi mobili intelligenti

a) Sulla ricevibilità della prima parte

b) Sulla fondatezza della prima parte

1) Sul vincolo concorrenziale dei SO senza licenza

i) Sulle prove di un vincolo concorrenziale di Apple

– Argomenti delle parti

– Giudizio del Tribunale

ii) Sulla presa in considerazione della sentenza del 22 ottobre 2002, Schneider Electric/Commissione (T310/01, EU:T:2002:254), e sulla coerenza con la prassi decisionale precedente

– Argomenti delle parti

– Giudizio del Tribunale

iii) Sul test SSNDQ

– Argomenti delle parti

– Giudizio del Tribunale

iv) Sulla fedeltà degli utenti per i loro SO

– Argomenti delle parti

– Giudizio del Tribunale

v) Sulla sensibilità degli utenti alla qualità del SO

– Argomenti delle parti

– Giudizio del Tribunale

vi) Sui costi del passaggio a un altro SO

– Argomenti delle parti

– Giudizio del Tribunale

vii) Sull’incidenza della politica tariffaria di Apple

– Argomenti delle parti

– Giudizio del Tribunale

viii) Sul comportamento degli sviluppatori di applicazioni

– Argomenti delle parti

– Giudizio del Tribunale

2) Sul vincolo concorrenziale della licenza AOSP

i) Argomenti delle parti

ii) Giudizio del Tribunale

3. Sulla seconda parte riguardante il dominio dei portali di vendita di applicazioni Android

a) Argomenti delle parti

b) Giudizio del Tribunale

4. Sulla terza parte riguardante la contraddizione tra il dominio dei servizi di ricerca forniti agli utenti e la teoria dell’abuso, che riguarda le licenze di applicazione di ricerca agli OEM

a) Argomenti delle parti

b) Giudizio del Tribunale

5. Sulla pertinenza relativa della concorrenza tra ecosistemi ai fini della presente causa

C. Sul secondo motivo, relativo ai primi abusi, vertente sull’erronea valutazione del carattere abusivo delle condizioni di preinstallazione dell’ADAM

1. Il contesto

a) Nozioni di pratica abusiva, di effetti preclusivi e di vendita abbinata, in particolare alla luce della sentenza del 17 settembre 2007, Microsoft/Commissione (T201/04, EU:T:2007:289)

b) Decisione impugnata

1) Sui primi tre requisiti menzionati nella sentenza del 17 settembre 2007, Microsoft/Commissione (T201/04, EU:T:2007:289)

2) Sul requisito relativo alla «restrizione della concorrenza»

i) Pacchetto Google SearchPlay Store

ii) Pacchetto ChromePlay Store e Google Search

3) Sul requisito relativo alla mancanza di giustificazioni obiettive

c) Complementarità dei primi abusi

2. Sulla prima parte, riguardante la «restrizione della concorrenza»

a) Preinstallazione e «status quo bias»

1) Decisione impugnata

2) Sintesi degli argomenti delle parti

3) Giudizio del Tribunale

i) Osservazioni preliminari

– Mancanza di interesse pratico della distinzione proposta

– Importanza quantitativa delle condizioni di preinstallazione

ii) Su talune dichiarazioni e informazioni riportate nella decisione impugnata

– Elementi di prova provenienti da Google

– Elementi di prova provenienti da imprese terze

– Analisi della Yandex

– Accordo tra Microsoft e la Verizon

iii) Su taluni confronti effettuati nella decisione impugnata

– Studio FairSearch

– Dati forniti da Microsoft e dati Netmarketshare

– Confronto dei redditi di Google ricavati dai dispositivi Android e iOS

iv) Su taluni elementi relativi a Chrome

– Confronto dei redditi di Google tramite Safari e tramite Chrome

– Sondaggio Opera

b) Possibilità per gli OEM di preinstallare o di impostare come predefiniti servizi di ricerca generale concorrenti

1) Decisione impugnata

2) Sintesi degli argomenti delle parti

3) Giudizio del Tribunale

i) Osservazioni preliminari

ii) Sulla preinstallazione di applicazioni concorrenti

– Sull’applicazione Google Search e sui suoi concorrenti

– Sul browser Chrome e sui suoi concorrenti

– Sulle altre applicazioni

iii) Sull’asserita contraddizione tra il ragionamento relativo agli ARR e l’affermazione secondo cui la preinstallazione di applicazioni concorrenti non sarebbe interessante

iv) Sull’interesse degli OEM alla preinstallazione di applicazioni concorrenti

– Sugli introiti potenziali

– Sui costi di transazione

– Sull’esperienza degli utenti

– Sullo spazio di archiviazione

– Conclusione

c) Mezzi diversi dalla preinstallazione che consentono di raggiungere gli utenti

1) Argomenti delle parti

2) Giudizio del Tribunale

i) Sul download delle applicazioni concorrenti

ii) Sull’accesso ai servizi di ricerca concorrenti attraverso il browser

iii) Sulla confusione tra vantaggio competitivo ed esclusione anticoncorrenziale

iv) Conclusione

d) Mancata dimostrazione del nesso tra le quote di utilizzo e la preinstallazione

1) Argomenti delle parti

2) Giudizio del Tribunale

e) Mancata presa in considerazione del contesto economico e giuridico

1) Argomenti delle parti

2) Giudizio del Tribunale

3. Sulla seconda parte, riguardante le giustificazioni obiettive

a) Argomenti delle parti

b) Giudizio del Tribunale

D. Sul terzo motivo, vertente sull’erronea valutazione del carattere abusivo della condizione di preinstallazione unica inclusa negli ARR per portafoglio

1. Elementi contestuali

a) Decisione impugnata

1) Sulla natura degli ARR per portafoglio

2) Sulla capacità degli ARR per portafoglio di restringere la concorrenza

3) Sull’esistenza di giustificazioni obiettive

b) Sulla distinzione tra gli ARR per portafoglio e gli ARR per dispositivi

c) Sui ricavi ripartiti nell’ambito degli ARR per portafoglio

d) Sulla prova del carattere abusivo di un pagamento di esclusiva

2. Sulla prima parte, riguardante la natura degli ARR per portafoglio

a) Argomenti delle parti

b) Giudizio del Tribunale

3. Sulla seconda parte, riguardante un difetto di motivazione

4. Sulla terza parte, riguardante la constatazione di una restrizione della concorrenza

a) Sulla copertura e sull’impatto degli ARR per portafoglio

1) Decisione impugnata

2) Argomenti delle parti

3) Giudizio del Tribunale

b) Sulla compensazione degli ARR per portafoglio

1) Decisione impugnata

2) Argomenti delle parti

3) Giudizio del Tribunale

i) Sui costi attribuibili ad un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente

ii) Sui ricavi che possono essere ripartiti da un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente

iii) Sulla quota di richieste di ricerca contendibile da parte di un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente

iv) Sulla portata della preinstallazione di un’applicazione di un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficiente

v) Sull’applicazione temporale del test AEC

vi) Conclusione sulla regolarità del test AEC

5. Conclusione sulla regolarità delle ragioni relative alla natura abusiva degli ARR per portafoglio

E. Sul quarto motivo, vertente sull’errata valutazione del carattere abusivo della subordinazione della concessione delle licenze di Play Store e di Google Search al rispetto degli OAF

1. Osservazioni preliminari relative alla portata del secondo abuso individuato nella decisione impugnata

2. Sulla prima parte, relativa alla restrizione della concorrenza

a) Decisione impugnata

b) Argomenti delle parti

1) Argomenti di Google

2) Argomenti della Commissione

c) Giudizio del Tribunale

1) Sull’esistenza della pratica

2) Sul carattere anticoncorrenziale della pratica

i) Sul carattere anticoncorrenziale degli obiettivi perseguiti

ii) Sulla restrizione della concorrenza

– Sulla minaccia potenziale esercitata dai fork non compatibili

– Sull’effettiva esclusione dei fork Android non compatibili e sugli effetti anticoncorrenziali di tale esclusione

3. Sulla seconda parte, relativa all’esistenza di giustificazioni obiettive

a) Decisione impugnata

b) Argomenti delle parti

1) Argomenti di Google

2) Argomenti della Commissione

c) Giudizio del Tribunale

1) Sulla necessità di tutelare la compatibilità all’interno dell’«ecosistema Android» e di prevenire la «frammentazione»

2) Sulla necessità di tutelare la sua reputazione

3) Sulla necessità di eliminare gli effetti di guadagno inatteso

4) Sull’anteriorità rispetto all’acquisizione della posizione dominante e sulla mancanza di inganno

5) Sulla presa in considerazione degli effetti favorevoli alla concorrenza degli OAF

4. Conclusione relativa alla valutazione del quarto motivo

F. Sul quinto motivo, vertente sulla violazione dei diritti della difesa

1. Sulla seconda parte del quinto motivo, riguardante la violazione del diritto di accesso al fascicolo

a) Argomenti delle parti

b) Giudizio del Tribunale

2. Sulla prima parte del quinto motivo, riguardante il rifiuto di un’audizione sul test AEC

a) Argomenti delle parti

b) Giudizio del Tribunale

G. Sulle conseguenze dell’esame dei primi cinque motivi e sul sesto motivo

1. Rapporto tra i primi cinque motivi e il sesto motivo, vertente sull’illegittimità dell’ammenda

2. Conclusioni relative all’infrazione in esito all’esame dei primi cinque motivi

3. Sulla riforma dell’ammenda

a) Infrazione commessa intenzionalmente o per negligenza

b) Presa in considerazione della gravità e della durata dell’infrazione

1) Presa in considerazione del valore delle vendite quale dato iniziale

2) Presa in considerazione della gravità

3) Presa in considerazione della durata

4) Valutazione combinata in considerazione dell’intensità

c) Circostanze attenuanti o aggravanti

d) Importo dell’ammenda e solidarietà della Alphabet

e) Adeguatezza della sanzione

f) Carattere sufficientemente dissuasivo della sanzione in considerazione delle dimensioni dell’impresa

g) Conformità al massimale del 10% del fatturato totale

h) Conclusione sulla riforma

IV. Sulle spese


*      Lingua processuale: l’inglese.