Language of document : ECLI:EU:C:2016:146

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

presentate l’8 marzo 2016 1(1)

Causa C‑695/15 PPU

Shiraz Baig Mirza

contro

Bevándorlási és Állampolgársági Hivatal

[Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Ungheria)]

«Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Frontiere, asilo e immigrazione – Regolamento n. 604/2013 (Dublino III) – Esame di una domanda di protezione internazionale – Condizioni per l’esercizio del diritto degli Stati membri di inviare un richiedente in un paese terzo sicuro – Obblighi dello Stato membro competente per l’esame della domanda in caso di ripresa in carico del richiedente»





I –    Introduzione

1.      La presente causa si colloca nel contesto dell’arrivo in massa, nell’Unione europea, di cittadini di paesi terzi desiderosi di attraversare l’Ungheria per entrare nel territorio di un altro Stato membro, nella specie l’Austria.

2.      Nel caso in esame, il cittadino di cui trattasi, pakistano, è entrato nel territorio ungherese dalla Serbia. Egli ha presentato in un primo momento una domanda di protezione internazionale presso le autorità ungheresi e si è poi recato senza autorizzazione nella Repubblica ceca, prima di essere alla fine ripreso in carico dalle autorità ungheresi. Poiché la domanda di protezione internazionale è stata dichiarata irricevibile, le autorità ungheresi prevedono di inviare il cittadino pakistano in Serbia, da esse considerato un paese terzo sicuro.

3.      Investito del ricorso proposto dal richiedente avverso le misure adottate dalle autorità ungheresi, il giudice del rinvio interpella la Corte sulle condizioni alle quali uno Stato membro può prevedere di inviare un richiedente protezione internazionale «in un paese terzo sicuro», in conformità all’articolo 3, paragrafo 3, del regolamento (UE) n. 604/2013 (2) (in prosieguo: il «regolamento Dublino III»), senza procedere ad un’analisi nel merito della sua domanda.

4.      Sottolineo anzitutto che la facoltà di allontanamento non sembra porre problemi di principio. Tutt’altro, essa è prevista dai testi normativi. Ne consegue che un richiedente onesto, il quale non lascia lo Stato membro in cui ha presentato la propria domanda, rischia di vedersi inviare in un paese terzo sicuro, senza che la sua domanda formi l’oggetto di un esame nel merito.

5.      Si pone allora la questione di cosa succeda al richiedente che lascia lo Stato membro nel quale ha presentato la propria domanda per recarsi, illegalmente, in un altro Stato membro; quale sia il procedimento da seguire allorché la persona di cui trattasi sia poi ripresa in carico dal primo Stato membro; se l’articolo 18, paragrafo 2, del regolamento Dublino III, in forza del quale «l’esame della domanda [deve essere] portato a termine», osti allora alla dichiarazione di irricevibilità della domanda di protezione internazionale e all’allontanamento immediato dell’interessato verso un paese terzo sicuro.

6.      Sono queste le questioni fondamentali al centro della discussione nella presente causa. A quest’ultima è stato applicato il procedimento pregiudiziale d’urgenza, dal momento che il richiedente protezione internazionale è trattenuto in Ungheria.

II – Contesto normativo

A –    Diritto dell’Unione

1.      Il regolamento Dublino III

7.      Ai sensi dell’articolo 2, lettera d), di detto regolamento, si intende per «(…) “esame di una domanda di protezione internazionale”: l’insieme delle misure d’esame, le decisioni o le sentenze pronunciate dalle autorità competenti su una domanda di protezione internazionale conformemente alla direttiva 2013/32/UE [(3)] e alla direttiva 2011/95/UE [(4)] ad eccezione delle procedure volte a determinare quale sia lo Stato competente in applicazione del presente regolamento».

8.      Ai sensi dell’articolo 2, lettera e), di detto regolamento, si intende per «(…) “ritiro di una domanda di protezione internazionale”: l’azione con la quale il richiedente mette termine, esplicitamente o tacitamente, alle procedure avviate con la presentazione della sua domanda di protezione internazionale, conformemente alla direttiva 2013/32/UE».

9.      L’articolo 3 del regolamento Dublino III, intitolato «Accesso alla procedura di esame di una domanda di protezione internazionale», così recita:

«1.      Gli Stati membri esaminano qualsiasi domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un paese terzo (…). Una domanda d’asilo è esaminata da un solo Stato membro, che è quello individuato come Stato competente in base ai criteri enunciati al capo III.

2.      Quando lo Stato membro competente non può essere designato sulla base dei criteri enumerati nel presente regolamento, è competente il primo Stato membro nel quale la domanda è stata presentata.

Qualora sia impossibile trasferire un richiedente verso lo Stato membro inizialmente designato come competente in quanto si hanno fondati motivi di ritenere che sussistono carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti in tale Stato membro, che implichino il rischio di un trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, lo Stato membro che ha avviato la procedura di determinazione dello Stato membro competente prosegue l’esame dei criteri di cui al capo III per verificare se un altro Stato membro possa essere designato come competente.

Qualora non sia possibile eseguire il trasferimento a norma del presente paragrafo verso un altro Stato membro designato in base ai criteri di cui al capo III o verso il primo Stato membro in cui la domanda è stata presentata, lo Stato membro che ha avviato la procedura di determinazione diventa lo Stato membro competente.

3.      Ogni Stato membro mantiene la possibilità di inviare un richiedente in un paese terzo sicuro, nel rispetto delle norme e delle garanzie previste dalla direttiva 2013/32/UE».

10.    Secondo l’articolo 7, paragrafo 2, di detto regolamento, «[l]a determinazione dello Stato membro competente in applicazione dei criteri definiti dal presente capo [(5)] avviene sulla base della situazione esistente al momento in cui il richiedente ha presentato domanda di protezione internazionale per la prima volta in uno Stato membro».

11.    Ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, «[q]uando è accertato, sulla base degli elementi di prova e delle circostanze indiziarie (…) che il richiedente ha varcato illegalmente, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza da un paese terzo, la frontiera di uno Stato membro, lo Stato membro in questione è competente per l’esame della domanda di protezione internazionale. Detta responsabilità cessa 12 mesi dopo la data di attraversamento clandestino della frontiera».

12.    L’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, intitolato «Clausole discrezionali», dispone quanto segue:

«In deroga all’articolo 3, paragrafo 1, ciascuno Stato membro può decidere di esaminare una domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, anche se tale esame non gli compete in base ai criteri stabiliti nel presente regolamento.

Lo Stato membro che decide di esaminare una domanda di protezione internazionale ai sensi del presente paragrafo diventa lo Stato membro competente e assume gli obblighi connessi a tale competenza. (…)».

13.    Secondo l’articolo 18 di tale regolamento, intitolato «Obblighi dello Stato membro competente»:

«1.      Lo Stato membro competente in forza del presente regolamento è tenuto a:

(…)

(…)

c)      riprendere in carico, alle condizioni di cui agli articoli 23, 24, 25 e 29, un cittadino di un paese terzo o un apolide che ha ritirato la sua domanda in corso d’esame e che ha presentato una domanda in un altro Stato membro o che si trova nel territorio di un altro Stato membro senza un titolo di soggiorno;

(…)

2.      (…).

Nei casi che rientrano nell’ambito di applicazione del paragrafo 1, lettera c), qualora lo Stato membro competente abbia interrotto l’esame di una domanda in seguito al ritiro di quest’ultima da parte del richiedente, prima di una decisione sul merito di primo grado, detto Stato membro provvede affinché al richiedente sia concesso il diritto di chiedere che l’esame della domanda sia portato a termine o di presentare una nuova domanda di protezione internazionale, che non sarà trattata come domanda reiterata di cui alla direttiva 2013/32/UE. In tali casi gli Stati membri provvedono affinché l’esame della domanda sia portato a termine.

(…)».

2.      La direttiva 2013/32

14.    L’articolo 28 della direttiva 2013/32, intitolato «Procedura in caso di ritiro implicito della domanda o di rinuncia ad essa», prevede quanto segue:

«1.      (…).

Gli Stati membri possono presumere che il richiedente abbia implicitamente ritirato la domanda di protezione internazionale o rinunciato a essa, in particolare quando è accertato che:

(…)

b)      è fuggito o si è allontanato senza autorizzazione dal luogo in cui viveva o era trattenuto, senza contattare l’autorità competente in tempi ragionevoli (…).

2.      Gli Stati membri provvedono affinché un richiedente che si ripresenta all’autorità competente dopo che è stata presa la decisione di sospendere l’esame di cui al paragrafo 1 del presente articolo, abbia il diritto di chiedere la riapertura del suo caso o di presentare una nuova domanda che non sarà sottoposta alla procedura di cui agli articoli 40 e 41.

(…)

Gli Stati membri garantiscono che quella persona non sia allontanata in violazione del principio di “non-refoulement”.

Gli Stati membri possono autorizzare l’autorità accertante a riprendere l’esame della domanda dal momento in cui è stato sospeso.

3.      Il presente articolo fa salvo il regolamento [Dublino III]».

15.    L’articolo 33 della direttiva 2013/32, intitolato «Domande inammissibili», della sezione II del capo III, dispone quanto segue:

«1.      Oltre ai casi in cui una domanda non è esaminata a norma del regolamento [Dublino III], gli Stati membri non sono tenuti ad esaminare se al richiedente sia attribuibile la qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva 2011/95/UE, qualora la domanda sia giudicata inammissibile a norma del presente articolo.

2.      Gli Stati membri possono giudicare una domanda di protezione internazionale inammissibile soltanto se:

(...)

c)      un paese che non è uno Stato membro è considerato paese terzo sicuro per il richiedente a norma dell’articolo 38;

(...)».

16.    Ai sensi dell’articolo 38 della direttiva 2013/32, intitolato «Concetto di paese terzo sicuro»:

«1.      Gli Stati membri possono applicare il concetto di paese terzo sicuro solo se le autorità competenti hanno accertato che nel paese terzo in questione una persona richiedente protezione internazionale riceverà un trattamento conforme ai seguenti criteri:

a)      non sussistono minacce alla sua vita ed alla sua libertà per ragioni di razza, religione, nazionalità, opinioni politiche o appartenenza a un determinato gruppo sociale;

b)      non sussiste il rischio di danno grave definito nella direttiva 2011/95/UE;

c)      è rispettato il principio di “non-refoulement” conformemente alla convenzione di Ginevra;

d)      è osservato il divieto di allontanamento in violazione del diritto a non subire torture né trattamenti crudeli, disumani o degradanti, sancito dal diritto internazionale; e

e)      esiste la possibilità di chiedere lo status di rifugiato e, per chi è riconosciuto come rifugiato, ottenere protezione in conformità della convenzione di Ginevra.

2.      L’applicazione del concetto di paese terzo sicuro è subordinata alle norme stabilite dal diritto nazionale, comprese:

a)      norme che richiedono un legame tra il richiedente e il paese terzo in questione, secondo le quali sarebbe ragionevole per detta persona recarsi in tale paese;

b)      norme sul metodo mediante il quale le autorità competenti accertano che il concetto di paese terzo sicuro può essere applicato a un determinato paese o a un determinato richiedente. Tale metodo comprende l’esame caso per caso della sicurezza del paese per un determinato richiedente e/o la designazione nazionale dei paesi che possono essere considerati generalmente sicuri;

c)      norme conformi al diritto internazionale per accertare, con un esame individuale, se il paese terzo interessato sia sicuro per un determinato richiedente e che consentano almeno al richiedente di impugnare l’applicazione del concetto di paese terzo sicuro a motivo del fatto che quel paese terzo non è sicuro nel suo caso specifico. Al richiedente è altresì data la possibilità di contestare l’esistenza di un legame con il paese terzo ai sensi della lettera a).

3.      Quando applicano una decisione basata esclusivamente sul presente articolo gli Stati membri:

a)      ne informano il richiedente; e

b)      gli forniscono un documento con il quale informano le autorità del paese terzo, nella lingua di quest’ultimo, che la domanda non è stata esaminata nel merito.

(…)

5.      Gli Stati membri comunicano periodicamente alla Commissione a quali paesi è applicato il concetto in questione a norma del presente articolo».

17.    L’articolo 39 della direttiva, intitolato «Concetto di paese terzo europeo sicuro», dispone quanto segue:

«1.      Gli Stati membri possono prevedere che l’esame della domanda di protezione internazionale e della sicurezza del richiedente stesso nel suo caso specifico, secondo quanto prescritto al capo II, non abbia luogo o non sia condotto esaurientemente nei casi in cui un’autorità competente abbia stabilito, in base agli elementi disponibili, che il richiedente sta cercando di entrare o è entrato illegalmente nel suo territorio da un paese terzo sicuro a norma del paragrafo 2.

2.       Un paese terzo può essere considerato paese terzo sicuro ai fini del paragrafo 1, se:

a)      ha ratificato e osserva la convenzione di Ginevra senza limitazioni geografiche;

b)      dispone di una procedura di asilo prescritta per legge; e

c)      ha ratificato la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e ne rispetta le disposizioni, comprese le norme riguardanti i ricorsi effettivi.

3.      Il richiedente è autorizzato a impugnare l’applicazione del concetto di paese terzo europeo sicuro a motivo del fatto che il paese terzo interessato non è sicuro relativamente alle sue condizioni specifiche.

4.      Gli Stati membri interessati stabiliscono nel diritto interno le modalità di applicazione delle disposizioni del paragrafo 1 e le conseguenze di decisioni adottate a norma delle disposizioni stesse, in conformità del principio di “non-refoulement”, prevedendo altresì le eccezioni all’applicazione del presente articolo per motivi umanitari o politici o di diritto internazionale».

B –    La normativa nazionale

1.      La legge ungherese sul diritto d’asilo

18.    Ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 2, lettera e), della legge n. LXXX del 2007 sul diritto di asilo (a menedékjogról szóló 2007. évi LXXX. törvény; in prosieguo: la «legge sul diritto di asilo»), «[la] domanda [di asilo] è irricevibile se esiste, per quanto riguarda il richiedente, un paese terzo che possa per lui essere considerato un paese terzo sicuro».

19.    Ai sensi del paragrafo 4 del medesimo articolo, «[l]a domanda può essere dichiarata irricevibile a norma del succitato paragrafo 2, lettera e), soltanto se il richiedente

a      ha soggiornato in un paese terzo sicuro e avrebbe avuto la possibilità di richiedere, in tale paese, una protezione efficace (…);

b      ha transitato sul territorio di tale paese e avrebbe avuto la possibilità di richiedere, nel paese in questione, una protezione efficace (…)».

20.    Secondo l’articolo 53 di tale legge, «[l]’autorità competente in materia di asilo respinge la domanda mediante ordinanza qualora giunga alla conclusione che sussiste uno dei presupposti di cui all’articolo 51, paragrafo 2».

2.      Il decreto governativo del 21 luglio 2015

21.    Ai sensi dell’articolo 2 del decreto governativo 191/2015 (VII.21.) relativo alla determinazione, a livello nazionale, dei paesi di origine qualificati come sicuri e dei paesi terzi sicuri [191/2015. (VII.21.) Kormányrendelet a nemzeti szinten biztonságosnak nyilvánított származási országok és biztonságos harmadik országok meghatározásáról; in prosieguo: il «decreto governativo del 21 luglio 2015»]:

«Sono considerati paesi terzi sicuri (…) gli Stati membri dell’Unione europea e gli Stati candidati all’adesione all’Unione europea, eccezion fatta per la Turchia, gli Stati membri dello Spazio economico europeo e gli Stati degli Stati Uniti d’America che non applicano la pena di morte, nonché:

1.      la Svizzera,

2.      la Bosnia-Erzegovina,

3.      il Kosovo,

4.      il Canada,

5.      l’Australia,

6.      la Nuova Zelanda».

22.    Ricordo a tal riguardo che, il 19 dicembre 2009, la Repubblica di Serbia ha presentato una domanda formale di adesione all’Unione europea. La Commissione ha emesso un parere positivo il 12 ottobre 2011 e ha raccomandato la concessione alla Serbia dello status di paese candidato. Nel febbraio 2012 il Consiglio è stato quindi invitato a prendere una decisione sulla concessione alla Serbia dello status di candidato, decisione che è stata confermata dal Consiglio europeo nel marzo 2012 (6).

23.    L’articolo 3, paragrafo 2, del decreto governativo del 21 luglio 2015 dispone quanto segue:

«Qualora un richiedente asilo abbia soggiornato sul territorio di uno dei paesi terzi qualificati come sicuri ai sensi dell’elenco dei paesi terzi sicuri redatto dall’Unione europea o dell’articolo 2 della presente legge, o abbia transitato sul territorio di uno di tali paesi, egli può dimostrare, nel quadro della procedura di asilo prevista dalla legge sul diritto di asilo, che, nel suo caso specifico, egli non aveva la possibilità di accedere in tale paese a una protezione efficace ai sensi dell’articolo 2, lettera i), della legge sul diritto di asilo».

III – Fatti e questioni pregiudiziali

24.    Il 7 agosto 2015 il ricorrente nel procedimento principale, un cittadino pakistano, ha presentato una domanda di protezione internazionale in Ungheria dopo essere entrato irregolarmente nel territorio ungherese dalla Serbia nell’agosto 2015.

25.    Nella pendenza del procedimento nazionale, egli è partito verso una destinazione sconosciuta. L’autorità nazionale responsabile della sua pratica, senza avere prima dichiarato la sua domanda irricevibile, ha pertanto chiuso l’esame della domanda con decisione del 9 ottobre 2015.

26.    Successivamente, il ricorrente nel procedimento principale è stato ritrovato nella Repubblica ceca mentre era in procinto di recarsi in Austria. Le autorità ceche hanno chiesto all’Ungheria di riprendere in carico l’interessato, richiesta che l’Ungheria ha accolto, in conformità all’articolo 18, paragrafo 1, lettera c), del regolamento Dublino III.

27.    Secondo il giudice del rinvio, dagli atti del procedimento non emerge che le autorità ceche siano state informate del fatto che in Ungheria l’esame della domanda di protezione internazionale poteva sfociare, tenuto conto dell’elenco dei paesi terzi sicuri adottato con decreto, nell’invio dell’interessato in Serbia, e ciò senza esame nel merito della sua domanda.

28.    A seguito della sua ripresa in carico da parte dell’Ungheria, il ricorrente nel procedimento principale ha presentato, il 2 novembre 2015, una seconda domanda di protezione internazionale in Ungheria. Tale domanda ha formato l’oggetto di un secondo procedimento, durante il quale l’interessato è stato trattenuto.

29.    Il 2 novembre 2015 il ricorrente nel procedimento principale è stato sentito nell’ambito di questo secondo procedimento. Nel corso di tale audizione, egli è stato informato del fatto che la sua domanda di protezione internazionale poteva essere dichiarata irricevibile, a meno che egli non dimostrasse che, tenuto conto della sua situazione specifica, per lui la Serbia non costituiva un paese terzo sicuro. Benché l’interessato avesse dichiarato, nella sua risposta, di non essere al sicuro in Serbia, le autorità ungheresi, non essendo persuase dalle prove fornite a tal riguardo, hanno dichiarato la sua domanda irricevibile. Esse hanno parimenti disposto, nella loro decisione, misure di rimpatrio e di allontanamento dell’interessato.

30.    Il ricorrente nel procedimento principale ha proposto un ricorso avverso detta decisione dinanzi al giudice del rinvio, facendo valere che egli non desiderava essere trasferito in Serbia, dove non sarebbe stato al sicuro.

31.    Ciò premesso, il giudice del rinvio ha deciso di chiedere l’applicazione del procedimento pregiudiziale d’urgenza e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’articolo 3, paragrafo 3, del regolamento [Dublino III] debba essere interpretato nel senso che

a)      gli Stati membri possono esercitare il diritto di inviare un richiedente in un paese terzo sicuro solo prima della determinazione dello Stato membro competente, oppure che essi possono esercitarlo anche dopo tale determinazione.

b)      se la risposta alla questione che precede sia diversa qualora lo Stato membro constati di essere lo Stato competente non nel momento in cui la domanda viene presentata per la prima volta alle proprie autorità, a norma dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento Dublino III e del capo III di detto regolamento, ma nel momento in cui esso accoglie il richiedente proveniente da un altro Stato membro in seguito a una richiesta di trasferimento o di ripresa in carico, a norma dei capi V e VI del regolamento Dublino III.

2)      Qualora, secondo l’interpretazione fornita dalla Corte in risposta alla prima questione, il diritto di inviare un richiedente in un paese terzo sicuro possa essere ugualmente esercitato dopo un trasferimento effettuato in applicazione della procedura di Dublino:

se l’articolo 3, paragrafo 3, del regolamento Dublino III possa essere interpretato nel senso che gli Stati membri possono esercitare tale diritto anche nel caso in cui lo Stato membro che effettua il trasferimento, nel corso della procedura di Dublino, non sia stato informato in merito alla specifica normativa nazionale relativa all’esercizio di tale diritto, o alla prassi applicata dalle autorità nazionali.

3)      Se l’articolo 18, paragrafo 2, del regolamento Dublino III possa essere interpretato nel senso che, nel caso di un richiedente ripreso in carico a norma dell’articolo 18[, paragrafo 1], lettera c), di detto regolamento, la procedura debba proseguire dalla fase in cui è stata interrotta quella precedente».

32.    Per quanto attiene all’urgenza, il giudice del rinvio rileva che, alla luce della durata abituale di un procedimento pregiudiziale ordinario, esiste un rischio reale, nel caso di un siffatto procedimento, che esso non possa portare a termine il procedimento nazionale, tanto più che, una volta rimesso in libertà, il ricorrente nel procedimento principale potrebbe nuovamente partire verso una destinazione sconosciuta.

33.    A seguito della riunione amministrativa dell’11 gennaio 2016, la Sesta Sezione della Corte di giustizia ha deciso di sottoporre la presente causa al procedimento pregiudiziale d’urgenza previsto all’articolo 107 del regolamento di procedura.

IV – Analisi delle questioni pregiudiziali

A –    Sulla prima questione

34.    La prima questione pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 3, paragrafo 3, del regolamento Dublino III.

35.    Il giudice del rinvio si chiede, in sostanza, se il fatto che uno Stato membro sia stato designato quale Stato competente ad esaminare una domanda di protezione internazionale (sottoquestione a), o addirittura che esso abbia riconosciuto la propria competenza nell’ambito dell’articolo 18 ed abbia ripreso in carico il richiedente (sottoquestione b), osti a che tale Stato membro invii successivamente il richiedente in un paese terzo sicuro, in conformità all’articolo 3, paragrafo 3, del regolamento Dublino III.

36.    In via preliminare, ricordo che la competenza dell’Ungheria nei confronti del richiedente discende da un riconoscimento di competenza in occasione della ripresa in carico dell’interessato, ma che tale competenza avrebbe potuto essere ritenuta sussistente, anche in assenza di riconoscimento espresso, o in applicazione dell’articolo 13 di detto regolamento, dal momento che il richiedente ha varcato illegalmente la frontiera ungherese in provenienza dalla Serbia, oppure in conformità all’articolo 3, paragrafo 2, del summenzionato regolamento, dal momento che l’Ungheria è il primo Stato membro presso il quale la domanda di protezione internazionale è stata presentata.

37.    Fatta questa osservazione preliminare, la risposta alla prima parte della questione sollevata discende dal testo stesso dell’articolo 3, paragrafo 3, del regolamento Dublino III. Ai sensi di tale disposizione, «[o]gni Stato membro mantiene la possibilità di inviare un richiedente in un paese terzo sicuro, nel rispetto delle norme e delle garanzie previste dalla direttiva 2013/32/UE».

38.    Come giustamente sottolineato dal governo tedesco in udienza, tale disposizione sancisce il principio del mantenimento del diritto di allontanamento, senza prevedere alcun limite temporale. Nulla consente pertanto di ritenere che il diritto di procedere all’allontanamento dell’interessato debba cessare a seguito della determinazione dello Stato membro competente.

39.    Per di più, se «ogni Stato membro», compreso dunque uno Stato che non si ritiene sia lo Stato membro competente ai sensi del regolamento Dublino III (7), si vede investito del diritto «di inviare un richiedente in un paese terzo sicuro», sarebbe quantomeno strano privare di tale facoltà proprio quello, fra gli Stati membri, che è effettivamente competente ad esaminare la pratica.

40.    Neanche l’articolo 33, paragrafo 1, della direttiva 2013/32 osta a tale lettura dell’articolo 3, paragrafo 3, del regolamento Dublino III. A tal riguardo, occorre segnalare che l’articolo 33 della direttiva 2013/32 non prevede una limitazione dell’ambito di applicazione dei diritti risultanti dal regolamento Dublino III.

41.    Tutt’al più, si potrebbe sollevare la questione se uno Stato membro possa essere privato della facoltà prevista all’articolo 3, paragrafo 3, del regolamento Dublino III se, invece di avvalersene al momento della presentazione della domanda iniziale di protezione internazionale, esso procedesse ad un esame nel merito della domanda e invocasse la possibilità di allontanamento solo in una fase successiva del procedimento. Taluni autori sembrano infatti ipotizzare, in siffatte circostanze, la decadenza dalla facoltà prevista all’articolo 3, facendo valere il legittimo affidamento sorto in capo al richiedente a seguito dell’esame della sua domanda nel merito (8).

42.    Nella specie, alla luce delle peculiarità del caso del ricorrente nel procedimento principale, tali considerazioni non sono tuttavia opportune. Da un lato, lo stesso richiedente non ha dato prova di buona fede lasciando l’Ungheria prima della conclusione del procedimento che lo riguardava. Le sue azioni mal si conciliano con il concetto del legittimo affidamento. Dall’altro, poiché la partenza anticipata in un altro Stato membro equivale al ritiro della domanda, in conformità all’articolo 28 della direttiva 2013/32, disposizione con la quale la legge nazionale è in armonia, e poiché le autorità ungheresi hanno successivamente chiuso la pratica del richiedente, la sua seconda domanda di protezione internazionale, presentata successivamente al suo ritorno in Ungheria, ha dato luogo ad una pratica distinta sul cui esame il procedimento anteriore non incide in alcun modo.

43.    Risulta da quanto precede che il fatto che uno Stato membro sia stato determinato come Stato «competente» per l’esame di una domanda di protezione internazionale non può ostare che detto Stato membro invii successivamente il richiedente in un paese terzo sicuro, in conformità all’articolo 3, paragrafo 3, del regolamento Dublino III.

44.    Tale constatazione vale in ogni caso per il richiedente onesto che non ha mai lasciato il territorio del primo Stato membro nel quale ha presentato la propria domanda.

45.    La situazione potrebbe tuttavia presentarsi sotto una luce diversa qualora il richiedente protezione internazionale, al pari del ricorrente nel procedimento principale, sia ripreso in carico, a seguito di una partenza non autorizzata, dal primo Stato membro, ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 1, del regolamento Dublino III. Tale Stato è allora tenuto, in conformità all’articolo 18, paragrafo 2, del summenzionato regolamento, a portare a termine l’esame della sua pratica. È questa la situazione contemplata dalla seconda parte della prima questione pregiudiziale.

46.    Il giudice del rinvio sembra ritenere che dall’articolo 18 possa discendere un obbligo a carico dello Stato membro competente di procedere ad un’analisi nel merito della pratica del richiedente ripreso in carico. Un siffatto obbligo osterebbe alla dichiarazione di irricevibilità della sua domanda e ad un allontanamento del richiedente senza esame nel merito della sua domanda, in conformità all’articolo 3, paragrafo 3, del regolamento Dublino III.

47.    Tale lettura combinata degli articoli 3 e 18 del regolamento Dublino III non può tuttavia essere accolta.

48.    Da un lato, l’articolo 18, paragrafo 2, secondo comma, di detto regolamento tace sul diritto di inviare un richiedente in un paese terzo. Infatti, tale disposizione si limita a sottolineare il principio secondo il quale l’esame di un procedimento instaurato nel primo Stato membro (9) deve essere «portato a termine», senza tuttavia opporsi a che l’interessato venga ricondotto in uno Stato terzo e senza esigere un esame nel merito della sua domanda di protezione internazionale. Al contrario, sembrerebbe normale ritenere che l’esame di una domanda irricevibile sia completamente «portato a termine», ai sensi dell’articolo 18 del regolamento Dublino III, allorché una siffatta domanda viene dichiarata irricevibile, senza che venga effettuata un’analisi nel merito.

49.    Dall’altro lato, le condizioni alle quali una domanda può essere respinta in quanto irricevibile sono previste non all’articolo 18 del regolamento Dublino III, bensì all’articolo 33, paragrafo 2, della direttiva 2013/32. Ai sensi di tale disposizione, lettera c), una domanda può essere dichiarata irricevibile se «un paese che non è uno Stato membro è considerato paese terzo sicuro per il richiedente a norma dell’articolo 38». Nello stesso ordine di idee, l’articolo 39 di detta direttiva consente allo Stato membro competente di non procedere a un esame della domanda di protezione internazionale «condotto esaurientemente», qualora sia stabilito che «il richiedente (…) è entrato illegalmente nel suo territorio da un paese terzo [europeo] sicuro».

50.    Di conseguenza, un esame nel merito della domanda non si impone nel caso in cui siano soddisfatte le condizioni previste all’articolo 33 della direttiva oppure le condizioni previste all’articolo 39 di questa stessa direttiva.

51.    Queste due disposizioni danno adito alle seguenti osservazioni.

52.    Anzitutto, non è né alla luce della normativa nazionale né alla luce dell’articolo 18 del regolamento Dublino III che occorre valutare se lo Stato membro competente sia tenuto a procedere ad un esame completo della domanda di protezione internazionale di cui è investito, bensì alla luce della direttiva 2013/32.

53.    Per quanto riguarda, poi, l’articolo 33, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2013/32, occorre osservare che tale disposizione può essere presa in considerazione e consentire all’Ungheria di dichiarare la domanda irricevibile solo a condizione che la Serbia possa essere considerata un «paese terzo sicuro» ai sensi dell’articolo 38 di detta direttiva. Ricordo, ad ogni buon fine, che la qualificazione della Serbia come paese terzo sicuro contenuta nella normativa nazionale non può dispensare il giudice investito della pratica dal procedere ad una valutazione autonoma, al fine di accertare «che nel paese terzo in questione [,nella specie la Serbia] una persona richiedente (…) riceverà un trattamento conforme ai (…) criteri» elencati all’articolo 38 della direttiva.

54.    Infine, per quanto attiene all’articolo 39 della direttiva 2013/32, si deve osservare che tale testo prevede un regime semplificato per respingere le domande dei richiedenti provenienti da paesi terzi europei sicuri allorché tali richiedenti, al pari del ricorrente nel procedimento principale, sono entrati illegalmente nel territorio di uno Stato membro.

55.    Tuttavia, tale disposizione prevede tre condizioni che devono ricorrere cumulativamente affinché la Serbia possa rientrare nella categoria dei paesi terzi europei sicuri; primo, essa deve aver ratificato e deve osservare la convenzione di Ginevra senza limitazioni geografiche; secundo, essa deve disporre di una procedura di asilo prescritta per legge, e, tertio, essa deve aver ratificato la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e deve rispettarne le disposizioni, comprese le norme riguardanti i ricorsi effettivi.

56.    È solo nel caso in cui tali condizioni cumulative siano soddisfatte che l’Ungheria può, da un lato, ricorrere all’articolo 39 della direttiva per rinunciare ad un esame completo della domanda e, dall’altro, prevedere un invio del richiedente in Serbia, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 3, del regolamento Dublino III. Poiché l’articolo 2 del decreto governativo non contiene informazioni rilevanti al riguardo, incomberà al giudice investito della pratica verificare in via preliminare se le tre summenzionate condizioni siano soddisfatte nel caso della Serbia.

57.    Qualora ricorrano le condizioni dell’articolo 33, oppure dell’articolo 39 della direttiva 2013/32, l’articolo 18, paragrafo 2, del regolamento Dublino III non osta al rigetto della domanda e all’accompagnamento dell’interessato in un paese terzo sicuro ai sensi della direttiva.

58.    Qualsiasi altra interpretazione delle summenzionate disposizioni, e segnatamente quella consistente nell’erigere l’articolo 18, paragrafo 2, del regolamento Dublino III a principio assoluto di esame nel merito della domanda, non farebbe che privilegiare indebitamente il trattamento della pratica del richiedente che si è dato alla fuga e ricade nell’ambito di applicazione dell’articolo 18 del regolamento Dublino III, rispetto ad un richiedente onesto al quale l’articolo 18 è inapplicabile.

59.    Peggio ancora, se l’articolo 18 avesse effettivamente come effetto quello di garantire un trattamento favorevole al richiedente ripreso in carico, tale disposizione incoraggerebbe ogni richiedente a fuggire in un altro Stato membro, non fosse altro che al fine di evitare che la sua domanda venga dichiarata irricevibile e di sottrarsi a misure di allontanamento immediate.

60.    La prima questione deve pertanto essere risolta nel senso che il fatto che uno Stato membro sia stato determinato quale Stato «competente» per l’esame di una domanda di protezione internazionale, anche qualora esso abbia riconosciuto la propria competenza nell’ambito dell’articolo 18 del regolamento Dublino III e abbia ripreso in carico il richiedente, non può ostare a che tale Stato membro invii in seguito il richiedente in uno paese terzo sicuro, in conformità all’articolo 3, paragrafo 3, del regolamento Dublino III, qualora ricorrano le condizioni previste alla direttiva 2013/32.

B –    Sulla seconda questione

61.    Nel caso in cui uno Stato membro resti libero, in linea di principio, di esercitare il diritto di inviare un richiedente in un paese terzo sicuro successivamente alla ripresa in carico di tale richiedente a partire da un altro Stato membro, il giudice del rinvio si chiede, in sostanza, se, alla luce dell’articolo 18, paragrafo 2, del regolamento Dublino III e del diritto del richiedente ad un ricorso giurisdizionale effettivo, l’invio del richiedente in un paese terzo sicuro sia possibile benché lo Stato membro che procede al trasferimento non sia stato informato, nel corso del procedimento di ripresa in carico, della normativa nazionale applicabile all’invio dei richiedenti in paesi terzi sicuri e della prassi applicata dalle autorità competenti in materia.

62.    Tale questione impone tre osservazioni.

63.    Anzitutto, l’assenza di informazioni nello Stato membro richiedente – Stato nel quale il richiedente è fuggito – sulla successiva prassi dello Stato richiesto, nella specie l’Ungheria, non può incidere sulla legittimità dei procedimenti da attuare nello Stato richiesto.

64.    La procedura di trasferimento (avviata dallo Stato richiedente) e la procedura relativa all’esame della domanda (nello Stato richiesto) sono due procedure distinte, governate ciascuna dalle proprie regole. Se esse devono garantire all’interessato un ricorso giurisdizionale effettivo, le garanzie da attuare a favore del richiedente al momento del suo trasferimento vengono descritte agli articoli 26 e seguenti del regolamento Dublino III e non prevedono garanzie particolari quanto alla prassi dello Stato richiesto.

65.    Inoltre, sebbene l’articolo 38, paragrafo 5, della direttiva 2013/32 esige che «[g]li Stati membri comunic[hi]no periodicamente alla Commissione a quali paesi [sicuri] è applicato il concetto in questione», un obbligo simile non è previsto a favore degli Stati membri (10).

66.    Infine, l’articolo 18, paragrafo 2, secondo comma, in fine, del regolamento Dublino III dispone che l’esame della domanda deve essere portato a termine nello Stato richiesto. Pur se tale principio esclude l’insorgere di qualsiasi svantaggio a scapito del richiedente, a quest’ultimo non può tuttavia essere attribuito uno status più favorevole rispetto a quello posseduto prima della sua fuga. Ciò significa, in concreto, che il richiedente non può eccepire una mancanza di informazioni delle autorità dello Stato richiedente, nel quale si è recato illegalmente, per sottrarsi all’applicazione della prassi comunemente ammessa nello Stato richiesto, che è lo Stato competente ai sensi del regolamento Dublino III.

67.    Consegue da quanto precede che l’invio del richiedente in un paese terzo sicuro è possibile benché lo Stato membro che procede al trasferimento non abbia ricevuto informazioni, nel corso del procedimento di ripresa in carico, sulla normativa nazionale applicabile all’invio dei richiedenti in paesi terzi sicuri né sulla prassi applicata dalle autorità competenti in materia.

C –    Sulla terza questione

68.    Nel caso in cui lo Stato membro competente resti libero di esercitare il diritto di inviare un richiedente in un paese terzo sicuro successivamente alla sua ripresa in carico, si pone la questione se l’articolo 18, paragrafo 2, del regolamento Dublino III possa essere interpretato nel senso che il procedimento debba proseguire dalla fase in cui è stato interrotto in occasione dell’esame della prima domanda di protezione internazionale proposta nello Stato membro competente.

69.    A tal riguardo, è sufficiente sottolineare, da un lato, che l’articolo 18, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento Dublino III, non esige dagli Stati membri che essi riprendano l’esame della domanda dalla fase in cui esso era stato interrotto. Ai sensi di tale articolo, le autorità competenti possono proseguire l’esame della domanda iniziale, che si ritiene sia stata ritirata, oppure consentire al richiedente di presentare una nuova domanda.

70.    Dall’altro lato, occorre segnalare che l’articolo 28, paragrafo 2, quarto comma, della direttiva 2013/32 prevede espressamente che gli «Stati membri possono autorizzare l’autorità [competente] a riprendere l’esame della domanda dal momento in cui è stato sospeso», lasciandoli pertanto completamente liberi di prevedere la ripresa dell’esame dalla fase in questione oppure di riavviare ex novo il procedimento.

71.    Di conseguenza, la terza questione deve essere risolta nel senso che l’articolo 18, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento Dublino III non esige dagli Stati membri che essi riprendano l’esame della domanda di protezione internazionale dalla fase in cui esso era stato interrotto.

V –    Conclusioni

72.    Alla luce di quanto precede, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali nei termini seguenti:

Il fatto che uno Stato membro sia stato determinato quale Stato «competente» per l’esame di una domanda di protezione internazionale, anche qualora esso abbia riconosciuto la propria competenza nell’ambito dell’articolo 18 del regolamento Dublino III e abbia ripreso in carico il richiedente, non può ostare a che tale Stato membro invii in seguito il richiedente in uno paese terzo sicuro, in conformità all’articolo 3, paragrafo 3, del regolamento Dublino III, qualora ricorrano le condizioni previste alla direttiva 2013/32.

L’invio del richiedente in un paese terzo sicuro è possibile benché lo Stato membro che procede al trasferimento non abbia ricevuto informazioni, nel corso del procedimento di ripresa in carico, sulla normativa nazionale applicabile all’invio dei richiedenti in paesi terzi sicuri né sulla prassi applicata dalle autorità competenti in materia.

L’articolo 18, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento Dublino III non esige dagli Stati membri che essi riprendano l’esame della domanda di protezione internazionale dalla fase in cui esso era stato interrotto.


1 –      Lingua originale: il francese.


2 –      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (rifusione) (GU L 180, pag. 31).


3 –      Direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU L 180, pag. 60).


4 –      Direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU L 337, pag. 9).


5 –      Si tratta del capo III, intitolato «Criteri per determinare lo Stato membro competente».


6 –      V., a tal riguardo, le «conclusioni del Consiglio europeo» del 1° e del 2 marzo 2012, EUCO 4/3/12, punto 39.


7 –      Ai punti da 24 a 26 delle sue osservazioni scritte, la Commissione sembra anche incline a ritenere che l’attuazione dell’articolo 3, paragrafo 3, da parte di uno Stato membro presupponga che quest’ultimo abbia riconosciuto la propria competenza ad esaminare la domanda. V. anche il punto 52 delle osservazioni scritte del ricorrente nel procedimento principale.


8 –      Filzwieser, Ch./Sprung, A., Dublin III-Verordnung, Wien/Graz 2014, pag. 103, K 24.


9 –      Ai sensi di tale disposizione, lo Stato membro di cui trattasi può proseguire l’esame della domanda iniziale, interrotto a seguito della partenza dell’interessato – equivalente ad un ritiro implicito ai sensi dell’articolo 28 della direttiva 2013/32 – oppure consentirgli di presentare una nuova domanda.


10 –      V., in tal senso, il punto 27 delle osservazioni scritte dell’Ungheria.