Language of document : ECLI:EU:T:2022:119

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quarta Sezione)

9 marzo 2022 (*)

«FEAGA e FEASR – Spese escluse dal finanziamento – Regime di aiuti per superficie – Rettifiche finanziarie – Articolo 52, paragrafo 2, del regolamento (UE) n. 1306/2013 – Articolo 12, paragrafi 2 e 6, del regolamento delegato (UE) n. 907/2014 – Nozione di “prati permanenti” – Articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento (UE) n. 1307/2013 – Organizzazione di produttori e programmi operativi – Articoli 26, 27, 31, 104 e 106 del regolamento di esecuzione (UE) n. 543/2011 – Articolo 155 del regolamento (UE) n. 1308/2013 – Regolamento delegato (UE) n. 499/2014 – Procedura di aggiudicazione di appalti pubblici – Articolo 24, paragrafo 2, lettera c), e articolo 26, paragrafo 1, lettera d), del regolamento (UE) n. 65/2011 – Articolo 48, paragrafo 2, e articolo 51, paragrafo 1, del regolamento di esecuzione (UE) n. 809/2014 – Rischio di danno finanziario»

Nella causa T‑10/20,

Repubblica italiana, rappresentata da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da C. Gerardis, G. Rocchitta ed E. Feola, avvocati dello Stato,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata da P. Rossi, J. Aquilina e F. Moro, in qualità di agenti,

convenuta,

avente ad oggetto una domanda fondata sull’articolo 263 TFUE e diretta all’annullamento della decisione di esecuzione (UE) 2019/1835 della Commissione, del 30 ottobre 2019, recante esclusione dal finanziamento dell’Unione europea di alcune spese sostenute dagli Stati membri nell’ambito del Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA) e del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) (GU 2019, L 279, pag. 98), nella parte riguardante alcune spese effettuate dalla Repubblica italiana,

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione),

composto da S. Gervasoni, presidente, L. Madise e J. Martín y Pérez de Nanclares (relatore), giudici,

cancelliere: E. Coulon

ha pronunciato la seguente

Sentenza

I.      Fatti all’origine della controversia

1        Il 30 ottobre 2019, la Commissione europea ha adottato la decisione di esecuzione (UE) 2019/1835, recante esclusione dal finanziamento dell’Unione europea di alcune spese sostenute dagli Stati membri nell’ambito del Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA) e del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) (GU 2019, L 279, pag. 98; in prosieguo: la «decisione impugnata»). Tale decisione è stata notificata alla Repubblica italiana con il numero C(2019) 7815.

2        Mediante la decisione impugnata, la Commissione ha applicato, sulla base dell’articolo 52 del regolamento (UE) n. 1306/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, sul finanziamento, sulla gestione e sul monitoraggio della politica agricola comune e che abroga i regolamenti del Consiglio (CEE) n. 352/78, (CE) n. 165/94, (CE) n. 2799/98, (CE) n. 814/2000, (CE) n. 1290/2005 e (CE) n. 485/2008 (GU 2013, L 347, pag. 549), alcune rettifiche forfettarie e analitiche a seguito di tre serie di indagini distinte che essa ha condotto al fine di verificare la conformità di alcune spese effettuate in regime di gestione condivisa dalla Repubblica italiana e poste a carico del Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA) e del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR). Tali rettifiche finanziarie sono le seguenti:

–        per le indagini AA/2016/003/IT, AA/2016/012/IT e AA/2016/015/IT, una rettifica finanziaria forfettaria pari ad un importo netto di EUR 143 924 279,14, riferita agli aiuti per superfice erogati in Italia per gli anni di domanda 2015 e 2016;

–        per l’indagine FV/2016/002/IT, una rettifica finanziaria forfettaria pari ad un importo lordo di EUR 11 050 070,04, riferita alle organizzazioni di produttori (in prosieguo: le «OP») e ai programmi operativi (in prosieguo: i «PO»), comprese le revoche, per gli esercizi finanziari 2014, 2015, 2016 e 2017;

–        per l’indagine RD1/2016/803/IT, una rettifica finanziaria forfettaria pari ad un importo lordo di EUR 857 498,36, riferita ad appalti pubblici nell’ambito delle misure di sviluppo rurale 125, 313, 321, 322 e 323 per gli esercizi finanziari 2014, 2015 e 2016.

A.      Rettifica finanziaria di EUR 143 924 279,14 stabilita a seguito delle indagini AA/2016/003/IT, AA/2016/012/IT e AA/2016/015/IT

3        Dal 13 al 17 giugno, dal 25 al 29 luglio e dal 29 agosto al 2 settembre 2016, la Commissione ha proceduto alle indagini AA/2016/003/IT, AA/2016/012/IT e AA/2016/015/IT in Italia, riguardanti gli anni di domanda 2015 e 2016.

4        Con lettera Ares(2016) 5348606, del 15 settembre 2016, la Direzione generale dell’Agricoltura e dello sviluppo rurale della Commissione (in prosieguo: la «DG AGRI») ha comunicato alle autorità italiane i risultati dell’indagine AA/2016/003/IT relativa alla Toscana e dell’indagine AA/2016/015/IT relativa all’Emilia-Romagna. Con lettera Ares(2016) 7022228, del 16 dicembre 2016, la DG AGRI ha comunicato alle autorità italiane i risultati delle proprie constatazioni a seguito dell’indagine AA/2016/012/IT, ha chiesto delle informazioni e dei chiarimenti supplementari ed ha invitato le autorità italiane a partecipare ad una riunione bilaterale.

5        Con lettere del 15 novembre 2016 e del 17 febbraio 2017, le autorità italiane hanno fornito delle informazioni e dei chiarimenti in merito alle indagini svolte dalla DG AGRI.

6        Con lettere Ares(2017) 2116905, del 25 aprile 2017, e Ares(2017) 24871, del 16 maggio 2017, la DG AGRI ha invitato le autorità italiane a partecipare ad una riunione bilaterale che ha avuto luogo l’11 maggio 2017 ed è proseguita il 17 maggio 2017.

7        Con lettera Ares(2017) 3211224, del 27 giugno 2017, la DG AGRI ha trasmesso alle autorità italiane il verbale della riunione bilaterale.

8        Con lettere in data 18 luglio e 28 settembre 2017, le autorità italiane hanno fornito alla DG AGRI informazioni e dati supplementari che erano stati loro richiesti.

9        Con lettera Ares(2019) 1677069, del 27 marzo 2018, la DG AGRI ha trasmesso alle autorità italiane una lettera di conciliazione (in prosieguo: la «lettera di conciliazione del 27 marzo 2018»), la quale ha concluso che il sistema nazionale di pagamenti diretti per superficie a carico del FEAGA, realizzato durante gli anni di domanda 2015 e 2016, presentava molteplici carenze di funzionamento, per quanto riguardava:

–        l’esecuzione di verifiche incrociate finalizzate a determinare l’ammissibilità delle parcelle agricole dichiarate ai fini dei pagamenti diretti;

–        l’esecuzione di un numero sufficiente di controlli in loco;

–        l’esecuzione di controlli in loco di qualità sufficiente;

–        il calcolo corretto dell’aiuto, comprese le riduzioni e le sanzioni amministrative;

–        i controlli amministrativi sui diritti all’aiuto all’atto dell’istituzione del regime di pagamento di base.

10      Nella lettera di conciliazione del 27 marzo 2018, la Commissione ha riunito i cinque tipi di carenze, citati al punto 9 supra, in sei gruppi di distinte inadempienze al fine di valutarne l’incidenza finanziaria. Essa ha indicato che l’importo complessivo che intendeva escludere dal finanziamento ammontava a EUR 360 000 199,08.

11      Un primo gruppo di inadempienze aventi un’incidenza sulla determinazione delle superfici ammissibili a titolo dei prati permanenti (in prosieguo: i «PP») riguardava, in primo luogo, i casi in cui, secondo la Commissione, gli organismi pagatori avevano trattato in maniera differente particelle di pascolo ricoperte dagli stessi tipi di alberi e arbusti e occupanti la medesima superficie, in violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento (UE) n. 1307/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, recante norme sui pagamenti diretti agli agricoltori nell’ambito dei regimi di sostegno previsti dalla politica agricola comune e che abroga il regolamento (CE) n. 637/2008 del Consiglio e il regolamento (CE) n. 73/2009 del Consiglio (GU 2013, L 347, pag. 608). In secondo luogo, questo primo gruppo di inadempienze includeva quelle risultanti dall’applicazione erronea del sistema proporzionale, contemplato dall’articolo 10 del regolamento delegato (UE) n. 640/2014 della Commissione, dell’11 marzo 2014, che integra il regolamento n. 1306/2013 per quanto riguarda il sistema integrato di gestione e di controllo e le condizioni per il rifiuto o la revoca di pagamenti nonché le sanzioni amministrative applicabili ai pagamenti diretti, al sostegno allo sviluppo rurale e alla condizionalità (GU 2014, L 181, pag. 48). Il sistema proporzionale permetteva di detrarre gli elementi non ammissibili delle superfici dei PP da dichiarare ai fini dell’aiuto, utilizzando un coefficiente fisso. In terzo luogo, il primo gruppo di inadempienze riguardava altresì il mancato rispetto dell’obbligo di «mantenimento», contemplato dall’articolo 4, paragrafo 1, lettera c), ii), del regolamento n. 1307/2013, ossia l’obbligo per gli agricoltori di conservare la superficie agricola in uno stato che la renda idonea al pascolo o alla coltivazione. In quarto luogo, il primo gruppo di inadempienze in questione includeva il caso di mancata applicazione, in violazione dell’articolo 19 del regolamento delegato n. 640/2014, delle riduzioni sui pagamenti dovuti e il loro recupero per il caso in cui, in occasione dei controlli, le autorità italiane avessero ridotto le superfici massime ammissibili (in prosieguo: le «SMA»). In conclusione, secondo la Commissione, questo primo gruppo di inadempienze aveva avuto un’incidenza sulla stima delle SMA che era stata dunque effettuata in maniera sistematicamente inesatta in violazione dell’articolo 5 del regolamento delegato n. 640/2014. Inoltre, il suddetto gruppo di inadempienze avrebbe avuto un’incidenza sul corretto funzionamento dei controlli incrociati in violazione degli articoli 28 e 29 del regolamento di esecuzione (UE) n. 809/2014 della Commissione, del 17 luglio 2014, recante modalità di applicazione del regolamento n. 1306/2013 per quanto riguarda il sistema integrato di gestione e di controllo, le misure di sviluppo rurale e la condizionalità (GU 2014, L 227, pag. 69). Infine, il suddetto primo gruppo di inadempienze avrebbe avuto un impatto sull’attribuzione dei diritti all’aiuto in quanto avrebbe influenzato l’accertamento del valore unitario iniziale dei diritti al pagamento per tutti gli agricoltori, compresi quelli che non avevano dichiarato dei PP. Di conseguenza, secondo la Commissione, anche l’applicazione dell’articolo 24, paragrafo 2, del regolamento n. 1307/2013 era problematica.  

12      Un secondo gruppo di inadempienze riguardava il mancato rispetto del numero e della qualità dei controlli in loco effettuati dalle autorità italiane in violazione degli articoli da 30 a 41 del regolamento di esecuzione n. 809/2014.

13      Un terzo gruppo di inadempienze riguardava la mancata esclusione dal computo delle aree considerate inammissibili per non rispetto dei criteri dovuti agli elementi caratteristici del paesaggio e delle aree di interesse ecologico in violazione dell’articolo 46 del regolamento n. 1307/2013 e dell’articolo 26 del regolamento delegato n. 640/2014.

14      Un quarto gruppo di inadempienze riguardava il calcolo non corretto degli ammontari dovuti di aiuto per non effettuazione delle riduzioni applicabili a titolo di sanzioni amministrative in violazione degli articoli 18 e 19 del regolamento delegato n. 640/2014.

15      Un quinto gruppo di inadempienze concerneva la presentazione di domande di aiuto non tutte basate su strumenti geospaziali in violazione dell’articolo 17 del regolamento di esecuzione n. 809/2014, implicante ripercussioni anche sulla corretta applicazione dei controlli incrociati previsti dagli articoli 28 e 29 del medesimo regolamento nonché contemplati dall’articolo 29, paragrafo 1, di detto regolamento.

16      Un sesto gruppo di inadempienze concerneva il carattere non corretto delle verifiche incrociate effettuate dalle autorità italiane con l’aiuto del Sistema di Identificazione delle Particelle Agricole (in prosieguo: il «SIPA»), in violazione dell’articolo 5 del regolamento delegato n. 640/2014 e avente delle ripercussioni sul rispetto degli articoli 28 e 29 del regolamento di esecuzione n. 809/2014.

17      Con lettera in data 8 maggio 2018, il Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali italiano, pur manifestando il proprio disaccordo con le osservazioni contenute nella lettera di conciliazione del 27 marzo 2018, ha presentato una domanda di avvio della procedura di conciliazione.

18      Nella sua relazione del 17 settembre 2018, l’organo di conciliazione ha osservato che la conciliazione non era possibile, segnatamente in quanto vi erano delle divergenze di interpretazione tra le parti riguardo alle nozioni di PP e di «superfici pascolabili che rientrano nell’ambito delle pratiche locali tradizionali, anche quando nelle superfici di pascolo non siano tradizionalmente predominanti e/o siano assenti erba e altre piante erbacee da foraggio» (in prosieguo: le «PLT»). Detto organo ha rilevato che tali divergenze interpretative impedivano di giungere ad una definizione comune di questi termini. Senza escludere la possibilità di una conciliazione in merito ad altre inadempienze, l’organo di conciliazione ha concluso che le eventuali future discussioni non impedivano l’applicazione della rettifica preventivata dalla Commissione fintantoché le succitate divergenze interpretative fossero perdurate tra le parti. Per quanto riguarda in particolare la questione dell’esistenza di una disparità di trattamento tra gli agricoltori, l’organo di conciliazione ha precisato che, in alcune regioni, gli agricoltori che disponevano di animali e di PLT non erano necessariamente trattati in maniera discriminatoria dal sistema istituito dalle autorità italiane. Secondo l’organo di conciliazione, gli agricoltori senza animali o quelli che non presentavano una domanda di aiuto non dovevano essere paragonati agli agricoltori in possesso di animali.

19      Con lettera Ares(2019) 1685027, del 14 marzo 2019, la Commissione ha inviato una prima lettera finale alle autorità italiane. Facendo riferimento alle osservazioni formulate nella relazione dell’organo di conciliazione e ricordando l’incidenza dei gruppi di inadempienze sul calcolo della rettifica finanziaria applicabile (v. punti da 11 a 16 supra), la Commissione ha fatto presente che non era il disaccordo in merito alle nozioni di PP e di PLT che le impediva di accettare il calcolo della rettifica proposta dalla Repubblica italiana, in luogo delle rettifiche forfettarie comunicate alle autorità italiane. La ragione principale che impediva l’accettazione della quantificazione del rischio per il Fondo proposta dalle autorità italiane era la mancata ultimazione di un piano d’azione che doveva, segnatamente, prevedere la determinazione della SMA per le PLT. In tale lettera, la Commissione ha inoltre informato le autorità italiane che essa aveva riesaminato, in modo autonomo, il calcolo dell’incidenza del mancato rispetto della definizione di PP indicando che questa riguardava tutti i pagamenti agli agricoltori interessati dalla «convergenza», ad eccezione dei pagamenti connessi alla superficie concessi nell’ambito del sostegno accoppiato facoltativo e dei pagamenti a titolo di sostegno accoppiato facoltativo per piccoli agricoltori. Pertanto, da un lato, la Commissione ha chiarito che l’inadempienza connessa al mancato rispetto della definizione di PP concerneva, in linea di principio, tutti gli agricoltori che beneficiavano di pagamenti diretti, in quanto essi avevano dichiarato superfici ammissibili a titolo di prati permanenti PP e di PLT. Dall’altro lato, essa ha precisato che i pagamenti effettuati nell’ambito del sostegno accoppiato facoltativo erano esclusi dall’inadempienza e che, a causa della sovrapposizione tra le incidenze finanziarie dei sei gruppi di inadempienze che essa aveva identificato, essa proponeva le due seguenti rettifiche forfettarie che assorbivano le altre:

–        rettifica forfettaria del 5% sui pagamenti per superfice (ad eccezione dei pagamenti connessi alla superficie concessi nell’ambito del sostegno accoppiato facoltativo e dei pagamenti a titolo di sostegno accoppiato facoltativo per piccoli agricoltori) a titolo del regime di pagamenti a favore dei piccoli agricoltori, del regime di pagamenti di base, del regime di pagamenti a favore dell’inverdimento e del regime di pagamenti per i giovani agricoltori, rettifica proposta per l’inadempienza «Prati permanenti» identificata nella lettera di conciliazione del 27 marzo 2018 (v. punto 9 supra), connessa alle inadempienze «Esecuzione di verifiche incrociate» per accertare l’ammissibilità di una particella agricola dichiarata, «Esecuzione di controlli in loco di qualità sufficiente» e «Controlli amministrativi sui diritti all’aiuto all’atto dell’istituzione del regime di pagamento di base»;

–        rettifica forfettaria del 2% sui pagamenti per superficie a titolo del sostegno accoppiato facoltativo, identificato nella lettera di conciliazione del 27 marzo 2018 (v. punto 9 supra) quale inadempienza «Verifiche incrociate SIPA», connessa alle inadempienze «Esecuzione di verifiche incrociate finalizzate a determinare l’ammissibilità delle particelle dichiarate» e «Esecuzione di controlli in loco di qualità sufficiente».

20      A conclusione della sua prima lettera finale, la Commissione ha fissato l’importo complessivo di cui essa intendeva disporre l’esclusione in tale fase del procedimento a EUR 352 270 909,31.

21      Con lettera del 22 marzo 2019, le autorità italiane hanno sostenuto che il rischio finanziario ammontava a EUR 43 473 973,67 e hanno così proposto di ridurre di conseguenza l’importo della rettifica finanziaria.

22      Dal 20 al 24 maggio 2019, la Commissione ha effettuato delle missioni di audit in Italia ed ha invitato le autorità italiane a fornire dei chiarimenti supplementari tali da permettere di correggere il calcolo del rischio di danno finanziario.

23      Con lettere del 5 e 7 giugno 2019, le autorità italiane hanno proposto una nuova quantificazione del rischio finanziario per il Fondo pari a EUR 59 942 482,32 e hanno fornito i dati che esse reputavano pertinenti al fine di dimostrare la coerenza delle informazioni già trasmesse in precedenza.

24      Con lettera Ares(2019) 4412028, del 10 luglio 2019, la Commissione ha comunicato nuove osservazioni alle autorità italiane invitandole a fornire una risposta entro il 15 luglio 2019. La Commissione ha segnatamente fatto presente che:

–        «vi [erano] differenze aritmetiche tra le quantificazioni a livello dei singoli organismi pagatori e l’importo totale a rischio calcolato;

–        i dati soggiacenti non [erano] coerenti tra tutti gli organismi pagatori per quanto riguarda[va] forma e qualità; si [riscontravano] ad esempio differenze tra le informazioni fornite, valori diversi per i rapporti di inverdimento che, in linea di principio, [erano] stabiliti a livello nazionale o ancora differenti disposizioni utilizzate per calcolare le sanzioni amministrative per lo stesso anno di domanda;

–        determinate informazioni [erano] incomplete o errate, ad esempio [mancavano] i calcoli delle sanzioni amministrative per alcuni regimi o tali calcoli [erano] errati.

–        gli algoritmi non [erano stati] correttamente calcolati, ad esempio utilizzando la superficie determinata (anziché la sovradichiarazione) per calcolare le sanzioni amministrative».

25      Con lettera del 15 luglio 2019, ricevuta dalla Commissione il 17 luglio 2019, le autorità italiane, a seguito di riesame, hanno proposto una nuova ed ultima quantificazione del rischio pari a EUR 64 860 193,65, accompagnata da un documento che conteneva chiarimenti riguardo alle modifiche apportate e vari fascicoli riassunti in una tabella riepilogativa.

26      Con lettera Ares(2019) 5860631, del 19 settembre 2019, la Commissione ha inviato una seconda lettera finale alle autorità italiane nella quale essa si è espressa in merito al calcolo che queste ultime proponevano, nella loro lettera del 22 marzo 2019, e che consisteva nel valutare il rischio per il Fondo in EUR 43 473 973,67 invece di EUR 352 270 909,31. Inoltre, la Commissione ha ricordato che essa aveva svolto una missione supplementare di audit in Italia dal 20 al 24 maggio 2019 e che da questa era emerso che la quantificazione del rischio effettuata dalle autorità italiane non soddisfaceva i requisiti stabiliti all’articolo 12, paragrafo 4, lettere a), c) e d), del regolamento delegato (UE) n. 907/2014 della Commissione, dell’11 marzo 2014, che integra il regolamento n. 1306/2013 per quanto riguarda gli organismi pagatori e altri organismi, la gestione finanziaria, la liquidazione dei conti, le cauzioni e l’uso dell’euro (GU 2014, L 255, pag. 18). Inoltre, essa ha chiarito che i calcoli sottesi all’ultima quantificazione del rischio finanziario presentata dalle autorità italiane per alcune inadempienze rappresentavano una valutazione migliore rispetto alla rettifica forfettaria, vale a dire le inadempienze concernenti la domanda di aiuto sulla base di strumenti geospaziali, i controlli in loco in numero sufficiente e l’analisi del rischio in quanto carenza connessa ai controlli in loco di qualità sufficiente. Per contro, per le restanti inadempienze, la Commissione ha considerato che la logica applicata per l’insieme dei dati fosse differente a seconda dei diversi organismi pagatori. Oltre a ciò, secondo la Commissione, se i dati erano stati confermati e rivisti, da un lato, la motivazione sottesa era costituita da semplici dichiarazioni generiche e, dall’altro, per alcuni organismi pagatori, le autorità italiane non avevano riscontrato alcun rischio per il Fondo. In questa lettera, la Commissione ha precisato che, in ragione dello stato assai avanzato della procedura, essa non era in grado di verificare le dichiarazioni delle autorità italiane. Inoltre, la quantificazione fornita dalle autorità italiane non le sembrava tener conto di tutti gli elementi pertinenti. Così, la Commissione ha affermato che non era in grado di convalidare o di verificare in maniera soddisfacente l’esattezza della quantificazione fornita dalle autorità italiane e che, alla luce delle numerose quantificazioni fornite, nonché del fatto che i relativi dati non erano stati presentati in maniera trasparente e uniforme per ciascun organismo pagatore durante e dopo la missione di audit, essa non poteva identificare, con uno «sforzo proporzionato», il rischio finanziario per il Fondo. Più precisamente, l’esame dei dati forniti dalle autorità italiane non avrebbe permesso di valutare fino a che punto la quantificazione del rischio, pari a EUR 37 988 001,86 per l’anno di domanda 2015 e a EUR 26 872 191,79 per l’anno di domanda 2016, corrispondesse ad una migliore valutazione del rischio per il Fondo rispetto alla rettifica forfettaria.

27      Nella sua lettera, la Commissione ha concluso che, ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 2, del regolamento n. 1306/2013 e dei «pertinenti orientamenti», le autorità italiane non erano riuscite a fornire gli elementi necessari per limitare la quantificazione del rischio finanziario per il Fondo che derivava dalle inadempienze constatate in occasione delle indagini in questione, in quanto gli elementi forniti non soddisfacevano i «requisiti di qualità di cui rispettivamente all’articolo 12, paragrafo 2, e all’articolo 12, paragrafi 3, 4 e 5 del regolamento [delegato] n. 907/2014», salvo richiedere uno «sforzo sproporzionato». Tuttavia, per tenere conto dei risultati della quantificazione effettuata dalle autorità italiane allorché queste ultime hanno fornito una migliore valutazione del limite massimo del rischio finanziario per il Fondo (v. punto 25 supra), la Commissione ha considerato che occorreva ricalcolare come segue l’importo di cui si chiedeva l’esclusione dal finanziamento:

–        rettifica forfettaria del 2% sui pagamenti per superficie a titolo del regime di pagamento a favore dei piccoli agricoltori, del regime di pagamento di base, del regime di pagamento a favore dell’inverdimento e del regime di pagamento per i giovani agricoltori. La Commissione ha precisato che, dato che le carenze sotto il profilo della corretta registrazione dei PP nel SIPA e le carenze nell’esecuzione dei controlli amministrativi avrebbero riguardato tutta l’Italia, la rettifica forfettaria del 2% era applicabile a qualsiasi organismo pagatore italiano;

–        rettifica forfettaria del 2% sui pagamenti per superficie a titolo del sostegno accoppiato facoltativo.

28      Le rettifiche forfettarie summenzionate determinavano l’esclusione dal finanziamento a carico del FEAGA di un importo complessivo netto di EUR 145 709 238,24, corrispondenti ad un importo lordo di EUR 145 881 422,45.

29      Con lettera Ares(2019) 6510059, del 22 ottobre 2019, ossia la terza lettera finale, le cui conclusioni definitive sono state trasposte nella decisione impugnata, la Commissione ha ritenuto, alla luce delle precisazioni fornite dalle autorità italiane con lettera del 18 ottobre 2019, che le rettifiche forfettarie menzionate al punto 27 supra determinassero l’esclusione dal finanziamento a carico del FEAGA di un importo complessivo netto di EUR 143 924 279,14 (corrispondente ad un importo lordo di EUR 144 096 463,35), risultante dalle indagini AA/2016/003/IT, AA/2016/012/IT e AA/2016/015/IT per quanto riguardava gli anni di domanda 2015 e 2016.  

30      Le ragioni delle rettifiche finanziarie effettuate dalla Commissione sono state riassunte nella relazione di sintesi che fa riferimento ai risultati dei controlli svolti dalla Commissione nell’ambito della liquidazione finanziaria di conformità, sulla base dell’articolo 52 del regolamento n. 1306/2013 (in prosieguo: la «relazione di sintesi»).

B.      Rettifica di EUR 11 050 070,04 disposta a seguito dell’indagine FV/2016/002/IT

31      Dal 7 all’11 marzo 2016, la Commissione ha realizzato l’indagine FV/2016/002/IT in Italia, avente ad oggetto l’analisi amministrativa che le autorità italiane hanno svolto in merito ai PO a partire dall’anno 2013.

32      Con lettera Ares(2016) 3277253, dell’8 luglio 2016, la DG AGRI (in prosieguo: la «notifica delle conclusioni dell’8 luglio 2016») ha comunicato alle autorità italiane le proprie conclusioni in merito alle indagini in questione, ha assegnato loro un termine di due mesi per rispondere e le ha invitate ad una riunione bilaterale per il giorno 18 gennaio 2017.

33      Con lettera del 10 ottobre 2016, le autorità italiane hanno fornito delle informazioni e dei chiarimenti in merito all’indagine svolta dalla DG AGRI.

34      Il 18 gennaio 2017 si è svolta una riunione bilaterale tra le parti. Con lettera Ares(2017) 1011558, del 24 febbraio 2017,  il verbale della riunione è stato trasmesso alle autorità italiane, le quali hanno risposto con una lettera del 26 aprile  2017.

35      Con lettera Ares(2017) 1793515, del 23 novembre 2017 (in prosieguo: la «lettera di conciliazione del 23 novembre 2017»), la Commissione ha comunicato alle autorità italiane le proprie conclusioni preliminari in ordine alla non conformità dell’attuazione del regime dei prodotti ortofrutticoli alla normativa dell’Unione, per quanto riguardava il riconoscimento delle OP e dei PO di tali organizzazioni, nelle regioni in cui l’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura (AGEA, Italia) era responsabile dell’attuazione di tale regime. In particolare, la Commissione ha osservato che il sistema italiano dei controlli relativi alle OP e ai PO per gli esercizi dal 2013 al 2016 presentava delle carenze nell’esecuzione di due controlli essenziali:

«i)      controllo per stabilire l’accesso all’aiuto richiesto, sotto il profilo del controllo di ammissibilità del [PO] riguardo alla fondatezza delle stime dei prezzi e sotto il profilo del controllo del riconoscimento dello status riguardo all’esternalizzazione dell’attività principale dell’[OP] (controllo essenziale n. 1) e

ii)      esecuzione dei controlli in loco sulle domande di aiuto in numero sufficiente, sotto il profilo del controllo sui criteri di riconoscimento della rendicontazione democratica e dell’esternalizzazione dell’attività principale dell’[OP] (controllo essenziale n. 3)».

36      Nella lettera di conciliazione del 23 novembre 2017 (v. punto 35 supra), la Commissione ha fatto valere che le carenze constatate nell’esecuzione dei controlli essenziali avevano generato un rischio per il Fondo e che, poiché non era stato possibile determinare la perdita effettiva, si proponeva una rettifica forfettaria del 5% corrispondente ad un importo di EUR 20 285 576,37, ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 6, del regolamento delegato n. 907/2014 e degli Orientamenti relativi al calcolo delle rettifiche finanziarie nel quadro delle procedure di verifica di conformità e di liquidazione finanziaria dei conti, contenuti nella comunicazione della Commissione C(2015) 3675 final, dell’8 giugno 2015.

37      Con lettera del 15 gennaio 2018, le autorità italiane hanno presentato una domanda di avvio della procedura di conciliazione esprimendo il loro disaccordo. L’organo di conciliazione ha trasmesso la propria relazione il 19 giugno 2018 ed ha invitato le autorità italiane a trasmettere ai servizi della Commissione un nuovo calcolo del rischio fondato su una popolazione ristretta.

38      Con lettere del 22 giugno 2018, nonché del 28 gennaio e del 6 maggio 2019, le autorità italiane hanno fornito delle informazioni supplementari nonché il calcolo del rischio fondato su una popolazione ristretta come ammontante a EUR 10 542 512,30.

39      Con lettera Ares(2019) 4333600, dell’8 luglio 2019, la Commissione ha adottato una posizione finale che confermava, in gran parte, le ragioni sottese alla rettifica comunicata mediante la lettera di conciliazione del 23 novembre 2017. Essa ha calcolato la rettifica finanziaria forfettaria del 5% fondandosi sui dati relativi alla popolazione a rischio comunicati dalle autorità italiane. Essa ha considerato tali dati sufficientemente precisi ed è giunta a proporre un importo di EUR 11 050 070,04 (relazione di sintesi, sezione 4.3.5) da escludere dal finanziamento dell’Unione.

40      Mediante la decisione impugnata, l’importo di EUR 11 050 070,04 è stato dunque escluso dal finanziamento del FEAGA, sulla base dell’articolo 52 del regolamento n. 1306/2013.

C.      Rettifica finanziaria di EUR 857 498,36 stabilita a seguito dell’indagine RD 1/2016/803/IT

41      Dal 7 giugno al 25 agosto 2016, la Commissione ha proceduto all’indagine RDI/2016/803/IT in Italia, riguardante gli esercizi finanziari 2014, 2015 e 2016.

42      Con lettera Ares(2016) 7166443, del 23 dicembre 2016, la DG AGRI ha comunicato alle autorità italiane le proprie osservazioni in merito all’indagine in questione.

43      Con lettera del 23 febbraio 2017, le autorità italiane hanno fornito delle informazioni e dei chiarimenti in merito all’indagine condotta dalla DG AGRI.

44      Con lettera Ares(2017) 1591265, del 24 marzo 2017, le autorità italiane sono state invitate a partecipare ad una riunione bilaterale.

45      L’11 aprile 2017 si è svolta una riunione bilaterale tra le parti. In occasione di tale riunione, le autorità italiane sono state invitate a fornire informazioni supplementari. Essi hanno risposto a tale invito con nota del 24 aprile 2017.

46      Con lettera Ares(2017) 2505519, del 17 maggio 2017, la DG AGRI ha comunicato alle autorità italiane il verbale della riunione bilaterale. Le autorità italiane hanno risposto con lettera del 18 luglio 2017.

47      Con lettera Ares(2017) 4033287, del 14 agosto 2017, la DG AGRI ha chiesto informazioni supplementari che sono state fornite dalle autorità italiane il 25 ottobre 2017.

48      Sulla base delle carenze constatate e tenuto conto dei chiarimenti forniti dalle autorità italiane, la Commissione ha formulato, con lettera Ares(2018) 2318504, del 2 maggio 2018 (in prosieguo: la «lettera di conciliazione del 2 maggio 2018»),  delle conclusioni preliminari, secondo le quali l’attuazione delle misure di investimento dei programmi di sviluppo rurale a carico del FEASR – i cui beneficiari sono, principalmente, organismi pubblici – non era stata conforme alla normativa dell’Unione. La Commissione ha constatato, in particolare, delle carenze nell’applicazione di un controllo essenziale per quanto riguardava diverse misure, e più precisamente la misura 125 «Infrastruttura connessa allo sviluppo e all’adeguamento dell’agricoltura e della silvicoltura» e la misura 322 «Sviluppo e rinnovamento dei villaggi».

49      Con lettera del 7 giugno 2018, le autorità italiane hanno presentato una domanda di avvio della procedura di conciliazione. L’organo di conciliazione ha trasmesso la propria relazione il 17 settembre 2018.

50      Con lettera Ares(2019) 1488491, del 5 marzo 2019, la Commissione ha adottato una posizione finale che confermava, in gran parte, le motivazioni sottese alla rettifica comunicata mediante la lettera di conciliazione del 2 maggio 2018. Il controllo essenziale nell’ambito del quale sono state osservate delle carenze riguarda la «verifica della conformità delle procedure di appalto pubblico alle disposizioni applicabili» e la «qualità sufficiente dei controlli in loco per le misure di sviluppo rurale non connesse alla superficie né agli animali». Al fine di stabilire il grado di non conformità alle disposizioni in materia di appalti pubblici, dalle spese relative alle misure in questione è stato estratto un campione di 30 pagamenti effettuati tra il 16 ottobre 2014 e il 31 dicembre 2015.

51      Nel campione riguardante 43 procedure di aggiudicazione di appalti pubblici sono stati constatati i seguenti errori:

–        Campione/pagamento n. 3 – Comune di Bernalda (Basilicata) – Misura 125: a causa di una calamità naturale, un comune ha dovuto far riparare con urgenza sei tratti di strada situati in sei luoghi diversi del suo territorio. Sebbene il valore complessivo stimato dei lavori fosse superiore alla soglia oltre la quale si impone una procedura di gara aperta, l’amministrazione aggiudicatrice ha avviato sei procedure negoziate separate, invece di una sola gara aperta, eventualmente con sei lotti. In seguito alle informazioni e ai chiarimenti forniti dalle autorità italiane, la Commissione ha ritenuto che queste ultime non fossero riuscite a dimostrare che vi erano motivi obiettivi e sufficienti per suddividere il progetto relativo alla misura 125 in sei procedure separate, ribadendo così la constatazione secondo cui la suddivisione non era in linea con le soglie per le gare di appalto fissate dalla pertinente normativa italiana. A questo errore, incluso nella categoria 2 «Suddivisione artificiosa di contratti di lavoro/servizi/beni» secondo la classificazione prevista dalla decisione C(2013) 9527 della Commissione, del 19 dicembre 2013, relativa alla fissazione e all’approvazione degli orientamenti per la determinazione delle rettifiche finanziarie che la Commissione deve applicare alle spese finanziate dall’Unione nell’ambito della gestione concorrente in caso di mancato rispetto delle norme in materia di appalti pubblici, è stata applicata una correzione finanziaria del 100%. Tale correzione ha permesso di quantificare l’errore per un importo di EUR 761 989,30.

–        Campione/pagamento n. 8 – Comune di Campoli Monte Taburno (Campania) – Misura 322: la procedura di aggiudicazione applicata dall’amministrazione aggiudicatrice è stata considerata carente vista l’assenza di dettagli riguardo sia al punteggio attribuito dalla commissione di gara a ciascuna offerta, sia alla metodologia utilizzata per attribuire i punteggi. Dal verbale di gara risulterebbero infatti soltanto il totale dei punteggi tecnici, una griglia di valutazione e i risultati finali. Esso invece non offrirebbe spiegazioni in merito alle modalità con cui la commissione di gara ha assegnato i punteggi e ha dunque aggiudicato la gara. Nell’analisi della procedura di gara è stato altresì notato che la differenza di punteggio tecnico tra il vincitore e gli altri tre offerenti è risultata elevata e che l’offerta più costosa ha vinto la gara. A seguito delle spiegazioni dettagliate e dei documenti forniti dalle autorità nazionali durante la procedura in contraddittorio, è stato possibile riscontrare gli elementi che giustificavano la decisione di aggiudicazione dell’appalto. Tuttavia, è stato osservato che i suddetti elementi non erano contenuti nel verbale di gara e che essi erano stati forniti solo dopo la gara, con un documento a parte. La Commissione ha dunque ritenuto che, in assenza di elementi giustificativi nel verbale di gara, il processo di assegnazione del punteggio alle singole offerte fosse stato poco trasparente. Di conseguenza, la Commissione ha ritenuto che le autorità nazionali fossero incorse nell’errore n. 16 relativo alla «Mancanza di trasparenza e/o di parità di trattamento nel corso della valutazione», per il quale, a norma della decisione della Commissione C(2013) 9527, è prevista una correzione finanziaria del 25% dell’importo netto fatturato per i lavori. In considerazione delle informazioni fornite, la Commissione ha tuttavia ritenuto appropriato applicare una correzione del 10% quantificando l’errore per un importo pari a EUR 72 704,23 EUR.

52      La Commissione ha ritenuto che gli errori menzionati al punto 51 supra costituissero violazioni dell’articolo 24, paragrafo 2, lettera c), del suo regolamento (UE) n. 65/2011, del 27 gennaio 2011, che stabilisce modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 1698/2005 del Consiglio per quanto riguarda l’attuazione delle procedure di controllo e della condizionalità per le misure di sostegno dello sviluppo rurale (GU 2011, L 25, pag. 8), e dell’articolo 48, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione n. 809/2014, in virtù dei quali i controlli effettuati dagli Stati membri comportano, eventualmente, una verifica della conformità alla normativa in materia di appalti pubblici. Secondo la Commissione, tali errori corrispondevano, inoltre, ad una violazione dell’articolo 26, paragrafo 1, lettera d), del regolamento n. 65/2011 e dell’articolo 51, paragrafo 1, del regolamento di esecuzione n. 809/2014, i quali prevedono che tale verifica debba essere effettuata anche mediante controlli in loco.

53      Per il campione sottoposto a verifica, il tasso medio di errore è stato stabilito in misura pari al 2,44%. I servizi della Commissione hanno ritenuto che tale tasso rappresentasse una stima più precisa del rischio finanziario per il Fondo, rispetto all’applicazione della rettifica forfettaria del 5% che, tenuto conto della gravità delle carenze, sarebbe derivata dagli Orientamenti relativi al calcolo delle rettifiche finanziarie nel quadro delle procedure di verifica di conformità e di liquidazione finanziaria dei conti. Tuttavia, a seguito della conciliazione, i servizi della Commissione hanno ritenuto che il rischio finanziario complessivo per il Fondo fosse inferiore al tasso di errore medio del 2,44% e che fosse limitato alla somma degli importi del FEASR identificati come errori finanziari nel campione sottoposto all’audit. I servizi della Commissione hanno dunque escluso dal finanziamento dell’Unione un importo di EUR 857 498,36.

II.    Procedimento e conclusioni delle parti

54      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale l’8 gennaio 2020, la Repubblica italiana ha proposto il presente ricorso.

55      La Commissione ha depositato il controricorso in data 7 aprile 2020.

56      Le parti hanno depositato rispettivamente la replica e la controreplica il 24 giugno e il 17 settembre 2020.

57      Il 10 giugno 2021, su proposta del giudice relatore, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste dall’articolo 89 del regolamento di procedura del Tribunale, le parti sono state invitate a rispondere a dei quesiti scritti. Esse hanno ottemperato a tale richiesta entro il termine assegnato.

58      In assenza di una domanda in tal senso formulata dalle parti entro un termine di tre settimane a partire dalla notifica della chiusura della fase scritta del procedimento, il Tribunale ha deciso, in applicazione dell’articolo 106, paragrafo 3, del regolamento di procedura, di statuire senza aprire la fase orale del procedimento.

59      La Repubblica italiana conclude che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata nella parte in cui applica, a carico di detto Stato membro, rettifiche finanziarie relative alle indagini di audit AA/2016/003/IT, AA/2016/012/IT, AA/2016/015/IT, FV/2016/002/IT e RD 1/2016/803/IT;

–        in subordine, annullare la medesima decisione nella parte in cui applica a detto Stato membro una rettifica forfettaria per un importo complessivo EUR 143 924 279,14, relativa agli anni di domanda 2015 e 2016 (indagini AA/2016/003/IT, AA/2016/012/IT e AA/2016/015/IT), anziché una rettifica puntuale ammontante, secondo i calcoli di AGEA, a EUR 64 860 193,65;

–        condannare la Commissione alle spese.

60      La Commissione conclude che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la Repubblica italiana alle spese.

III. In diritto

61      La Repubblica italiana contesta la decisione impugnata là dove quest’ultima, sulla base della relazione di sintesi della Commissione,  le ordina di pagare le somme corrispondenti alle rettifiche finanziarie indicate al punto 2 supra.

62      A sostegno del suo ricorso, la Repubblica italiana deduce sei motivi. I primi tre motivi sono diretti contro la rettifica finanziaria di EUR 143 924 279,14, stabilita a seguito delle indagini AA/2016/003/IT, AA/2016/012/IT e AA/2016/015/IT. Il quarto e il quinto motivo sono diretti contro la rettifica finanziaria di EUR 11 050 070,04, stabilita a seguito dell’indagine FV/2016/002/IT. Il sesto motivo si rivolge contro la rettifica finanziaria di EUR 857 498,36, stabilita a seguito dell’indagine RD 1/2016/803/IT.

63      In via preliminare, occorre ricordare che i Fondi finanziano unicamente gli interventi effettuati in conformità delle disposizioni del diritto dell’Unione nel quadro dell’organizzazione comune dei mercati agricoli (v. sentenza del 4 settembre 2015, Regno Unito/Commissione, T‑503/12, EU:T:2015:597, punto 52 e la giurisprudenza ivi citata).

64      A questo proposito, secondo la giurisprudenza, se certo spetta alla Commissione provare l’esistenza di una violazione delle norme dell’Unione, una volta che tale violazione sia accertata incombe allo Stato membro dimostrare, eventualmente, che la Commissione ha commesso un errore quanto alle conseguenze finanziarie che occorre trarne (v. sentenza del 4 settembre 2015, Regno Unito/Commissione, T‑503/12, EU:T:2015:597, punto 53 e la giurisprudenza ivi citata).

65      Infatti, la gestione del finanziamento dei Fondi si basa principalmente sulle amministrazioni nazionali incaricate di vigilare sul rispetto rigoroso delle norme dell’Unione ed è fondata sulla fiducia tra le autorità nazionali e le autorità dell’Unione. Soltanto lo Stato membro è in grado di conoscere e di stabilire con precisione i dati necessari per l’elaborazione dei conti dei Fondi, dato che la Commissione non gode della vicinanza necessaria per ottenere dagli attori economici le informazioni di cui essa ha bisogno (v. sentenza del 4 settembre 2015, Regno Unito/Commissione, T‑503/12, EU:T:2015:597, punto 54 e la giurisprudenza ivi citata; v. anche, in tal senso, sentenza dell’11 gennaio 2001, Grecia/Commissione, C‑247/98, EU:C:2001:4, punti da 7 a 9 e la giurisprudenza ivi citata).

66      Così, secondo la giurisprudenza, gli Stati membri sono tenuti ad organizzare un insieme di controlli amministrativi e di controlli in loco che permettano di garantire che i presupposti sostanziali e formali per la concessione degli aiuti sono regolarmente rispettati (sentenza del 27 febbraio 2013, Polonia/Commissione, T‑241/10, non pubblicata, EU:T:2013:96, punto 21).

67      Qualora l’organizzazione di un siffatto insieme di controlli risulti mancante o quella messa in atto da uno Stato membro sia carente a tal punto da lasciar sussistere dei dubbi riguardo all’osservanza dei presupposti suddetti, la Commissione è legittimata a non riconoscere determinate spese (sentenza del 27 febbraio 2013, Polonia/Commissione, T‑241/10, non pubblicata, EU:T:2013:96, punto 21).

68      Quanto all’onere della prova, occorre ricordare che la politica di sviluppo rurale in seno all’Unione viene attuata nell’ambito di una gestione condivisa (v., in tal senso, sentenza del 3 aprile 2017, Germania/Commissione, T‑28/16, EU:T:2017:242, punto 34), in cui le informazioni necessarie per garantire il controllo dell’ammissibilità delle spese sono accessibili, unicamente, agli Stati membri, mentre la Commissione, sprovvista di un accesso diretto a questi dati, deve limitarsi a vigilare sul controllo così effettuato dalle autorità nazionali (v., in tal senso, sentenza del 1° febbraio 2018, Francia/Commissione, T‑518/15, EU:T:2018:54, punto 30).

69      Dato che gli Stati membri si trovano nella posizione migliore per raccogliere e verificare i dati, spetta ad essi fornire la prova quanto più dettagliata e completa possibile dell’effettività dei loro controlli (v., in tal senso, sentenza del 1° febbraio 2018, Francia/Commissione, T‑518/15, EU:T:2018:54, punto 29).

70      Quanto alla Commissione, essa non è tenuta a dimostrare in maniera esaustiva l’insufficienza dei controlli effettuati dalle autorità nazionali o l’irregolarità dei dati trasmessi, bensì soltanto a presentare un elemento di prova del dubbio serio e ragionevole che essa nutre riguardo a tali controlli o a tali dati (v., in tal senso, sentenza del 3 aprile 2017, Germania/Commissione, T‑28/16, EU:T:2017:242, punto 32).

71      Qualora uno Stato membro intenda smentire le constatazioni della Commissione, esso deve supportare le proprie allegazioni con elementi che dimostrino l’esistenza di un sistema di controllo affidabile e funzionante. Qualora detto Stato membro non riesca a dimostrare che le constatazioni della Commissione sono inesatte, queste ultime costituiscono elementi idonei a far sorgere dubbi seri riguardo alla realizzazione di un sistema adeguato ed efficace di misure di vigilanza e di controllo (v., in tal senso, sentenza del 1° febbraio 2018, Francia/Commissione, T‑518/15, EU:T:2018:54, punto 29).

72      Per quanto riguarda il tipo di rettifica applicata, occorre ricordare che, alla luce degli Orientamenti relativi al calcolo delle rettifiche finanziarie nel quadro delle procedure di verifica di conformità e di liquidazione finanziaria dei conti, qualora non sia possibile valutare con precisione le perdite subite dall’Unione, la Commissione può prendere in considerazione l’applicazione di una rettifica forfettaria. La comunicazione in questione contiene, come indica il suo titolo, gli orientamenti riguardanti il calcolo delle conseguenze finanziarie in sede di preparazione della decisione di liquidazione dei conti dei Fondi.

73      È alla luce dei richiami e delle precisazioni menzionati ai punti da 63 a 72 supra che occorre esaminare i diversi motivi di ricorso invocati a sostegno della domanda di annullamento della decisione impugnata. Inoltre, nella misura in cui i motivi in questione sono formulati in maniera distinta per ciascuna delle rettifiche finanziarie menzionate al punto 2 supra, occorre esaminarli congiuntamente a seconda delle rettifiche finanziarie alle quali essi si riferiscono.

A.      Sul primo, sul secondo e sul terzo motivo di ricorso, attinenti alla rettifica finanziaria di EUR 143 924 279,14 stabilita a seguito delle indagini AA/2016/003/IT, AA/2016/012/IT e AA/2016/015/IT

74      Il primo motivo di ricorso verte sul fatto che la Commissione avrebbe interpretato erroneamente le nozioni, di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013, di PP e di PLT, che sono alla base della prima rettifica finanziaria menzionata al punto 2 supra.

75      Nell’ambito del suo primo motivo, la Repubblica italiana fa valere, in sostanza, che la prima rettifica finanziaria menzionata al punto 2 supra è stata applicata in violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013. Infatti, la Commissione avrebbe a torto ritenuto che la Repubblica italiana, avendo applicato in maniera erronea la disposizione di cui sopra, avesse proceduto alla registrazione inesatta delle superfici PP nel SIPA. Allo stesso modo, la Commissione avrebbe concluso, ingiustamente, che la registrazione delle parcelle agricole nel SIPA comportasse delle carenze nell’esecuzione dei controlli amministrativi sui diritti al pagamento in occasione dell’introduzione del regime di pagamento di base. Al contrario, la Repubblica italiana ritiene di aver applicato la definizione di PP in conformità delle pertinenti disposizioni del diritto dell’Unione e in modo coerente con la propria normativa nazionale.

76      Il secondo motivo di ricorso riguarda il fatto che la Commissione avrebbe violato l’articolo 52, paragrafo 2, del regolamento n. 1306/2013 e l’articolo 12, paragrafi 2 e 6, del regolamento delegato n. 907/2014. Infatti, la prima rettifica finanziaria menzionata al punto 2 supra, corrispondente al 2% delle spese, sarebbe manifestamente sproporzionata in rapporto al rischio effettivo per il Fondo, e la Repubblica italiana avrebbe quantificato tale rischio in maniera puntuale come ammontante a EUR 64 860 193,65.

77      Il terzo motivo di ricorso si riferisce al fatto che, per quanto riguarda la prima rettifica finanziaria menzionata al punto 2 supra, la Commissione non avrebbe rispettato l’articolo 296 TFUE e l’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in quanto essa, da un lato, non avrebbe motivato l’applicazione della clausola generale dello «sforzo sproporzionato» addotta a giustificazione delle rettifiche forfettarie proposte e, dall’altro, avrebbe prematuramente rifiutato di accettare i calcoli proposti dalle autorità italiane per ragioni di tempo.

78      La Commissione replica che il primo motivo è inoperante e, in ogni caso, infondato. Essa fa altresì valere che il secondo e il terzo motivo devono essere respinti.

79      Occorre esaminare il carattere operante del primo motivo di ricorso e poi, eventualmente, la sua fondatezza.

1.      Sul carattere operante del primo motivo di ricorso, relativo alla violazione dellarticolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013

80      La Commissione sostiene che il primo motivo, relativo all’interpretazione erronea delle nozioni di PP e di PLT è inoperante nella misura in cui esso non consente, di per sé, di concludere per l’illegittimità della rettifica finanziaria di EUR 143 924 279,14, relativa agli aiuti per superficie concessi in Italia per gli anni di domanda 2015 e 2016. Infatti, indipendentemente dal carattere fondato o meno del primo motivo di ricorso, la rettifica finanziaria in questione sarebbe, in ogni caso, giustificata dall’incidenza degli altri cinque gruppi di inadempienze, in aggiunta a quello connesso alla definizione erronea di PP e di PLT (v. punto 10 supra).

81      Più precisamente, la Commissione ricorda che, ai fini del calcolo della rettifica forfettaria da applicare per coprire il rischio di perdita per il Fondo, essa ha raggruppato le incidenze delle carenze constatate in base ai tipi di spese considerate non conformi. Il fatto che l’incidenza degli altri cinque gruppi di inadempienze sia indipendente da quella del primo gruppo riguardante i PP sarebbe desumibile dalle spiegazioni fornite nella relazione di sintesi e, al tempo stesso, in maniera grafica, dalla tabella contenuta nel controricorso. Ne conseguirebbe che, anche se quest’ultima rettifica venisse soppressa, la rettifica forfettaria del 2% di queste stesse spese rimarrebbe applicabile, in ragione delle inadempienze attinenti alle verifiche incrociate con l’aiuto del SIPA.  Di conseguenza, a meno che la Repubblica italiana non riesca non soltanto a giustificare la fondatezza del proprio primo motivo di ricorso, ma anche a calcolare con precisione il rischio massimo di perdita risultante dagli altri cinque gruppi di inadempienze che sono menzionati al punto 10 supra e di cui essa non contesterebbe l’esistenza, la rettifica del 2% prevista dall’articolo 12, paragrafo 8, del regolamento delegato n. 907/2014 rimarrebbe valida.

82      Nella controreplica, in primo luogo, la Commissione fa valere che il fatto che le altre carenze in materia di esecuzione di controlli, le quali hanno dato luogo a rettifiche forfettarie del 2% per ciascuna inadempienza, fossero state assorbite da quella relativa alla definizione della nozione di PP e di PLT, non significa che quest’ultima rettifica, la cui incidenza è stata parimenti stimata al 2%, abbia sostituito le altre cinque. Secondo la Commissione, questo significa unicamente che le rettifiche in questione non erano cumulabili, e ciò in ragione della natura estimativa e non analitica delle rettifiche che costituiscono l’oggetto della rettifica forfettaria del 2% in questione e dunque dell’impossibilità di attribuire un peso specifico a ciascuna rettifica. Pertanto, la Commissione sostiene che, anche se una delle rettifiche tra le quali esiste una sovrapposizione venisse soppressa, ciò non influirebbe sull’importo complessivo della rettifica.

83      In secondo luogo, secondo la Commissione, la Repubblica italiana non può sostenere che, se il primo motivo di ricorso fosse fondato, la rettifica relativa al primo gruppo di inadempienze dovrebbe essere deducibile dalle altre. Infatti, la quantificazione effettuata dalla Repubblica italiana non sarebbe affidabile, in quanto le autorità italiane non sarebbero state capaci di determinare le superfici massime ammissibili al beneficio dell’aiuto nel SIPA, per gli anni di domanda 2015 e 2016, non essendo le autorità suddette riuscite ad aggiornare la cartografia dei terreni.

84      Nella replica, la Repubblica italiana contesta gli argomenti della Commissione.

85      In via preliminare, per quanto riguarda la prima rettifica finanziaria menzionata al punto 2 supra, occorre ricordare che la Commissione, ritenendo che fosse impossibile determinare le spese effettuate in maniera «incorretta» dalla Repubblica italiana ovvero verificare tutte le spese che potevano essere state effettuate in maniera irregolare da quest’ultima durante gli anni di domanda corrispondenti agli anni 2015 e 2016, si è orientata verso una rettifica di tipo forfettario ed ha applicato un tasso di correzione pari al 2% dell’importo degli aiuti per superficie concessi alla Repubblica italiana nel corso degli anni in questione. Tale rettifica forfettaria dovrebbe coprire il rischio di perdita finanziaria per il Fondo risultante dalle carenze o dalle insufficienze rivelate dalle indagini condotte dalla Commissione per quanto riguarda cinque controlli essenziali. A tale titolo, risulta dalla relazione di sintesi che i cinque controlli essenziali, presentanti, ad avviso della Commissione, delle carenze, erano i seguenti (v. punto 9 supra):

–        l’esecuzione di verifiche incrociate finalizzate a determinare l’ammissibilità delle parcelle agricole dichiarate ai fini dei pagamenti diretti;

–        l’esecuzione di un numero sufficiente di controlli in loco;

–        l’esecuzione di controlli in loco di qualità sufficiente;

–        il calcolo corretto dell’aiuto, comprese le riduzioni e le sanzioni amministrative;

–        i controlli amministrativi sui diritti all’aiuto all’atto dell’istituzione del regime di pagamento di base.

86      La Commissione ha raggruppato le carenze constatate riguardo ai cinque controlli essenziali ricordati al punto 85 supra, in funzione della popolazione interessata dalle diverse carenze, in sei gruppi distinti (v. punti da 10 a 16 supra), i quali possono essere identificati come segue:

–        PP;

–        realizzazione di controlli in loco sufficienti per numero e qualità;

–        ammissibilità degli elementi caratteristici del paesaggio e delle superfici di interesse ecologico;

–        calcolo corretto dell’aiuto, ivi comprese le riduzioni e le sanzioni amministrative;

–        domande di aiuto fondate su strumenti geospaziali;

–        verifiche incrociate del SIPA.

87      Il primo gruppo comprende le inadempienze risultanti dall’attuazione erronea dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013 che concerne l’identificazione delle parcelle agricole suscettibili di beneficiare di un finanziamento in ragione della loro qualificazione come PP. Tale gruppo comprende varie carenze come, in particolare:

–        l’applicazione del sistema proporzionale in maniera non conforme all’articolo 10 del regolamento delegato n. 640/2014, vale a dire l’applicazione di un sistema che permetta di raggruppare e di detrarre gli elementi non ammissibili delle superfici PP da dichiarare ai fini dell’aiuto, utilizzando un coefficiente fisso;

–        il mancato rispetto dell’obbligo di «mantenimento», vale a dire dell’obbligo, per gli agricoltori, di conservare la superficie agricola in uno Stato che la rendesse adatta al pascolo o alla coltivazione, in violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera c), ii), del regolamento n. 1307/2013;

–        la mancata applicazione delle riduzioni sui pagamenti dovuti e sul loro recupero in tutti i casi in cui, in occasione dei controlli, le autorità italiane avevano ridotto le SMA, in violazione dell’articolo 19 del regolamento delegato n. 640/2014.

88      Occorre inoltre rilevare che, nella relazione di sintesi, che riprende il contenuto delle tre lettere finali della Commissione, quest’ultima ha precisato che le carenze in questione hanno portato ad una valutazione errata di tutte le parcelle qualificate come PP in violazione dell’articolo 5 del regolamento delegato n. 640/2014 e che ciò ha avuto un’incidenza sulle verifiche incrociate previste dagli articoli 28 e 29 del regolamento di esecuzione n. 809/2014 nonché sulla regolarità dei pagamenti, ivi compresa l’applicazione di sanzioni agli agricoltori che avevano dichiarato parcelle qualificate come PP. Nella suddetta relazione, la Commissione ha altresì indicato che, nella misura in cui la regolarità dei pagamenti aveva avuto un impatto sulla fissazione del valore iniziale unitario dei diritti al pagamento per tutti gli agricoltori, occorreva ritenere che anche gli agricoltori che non avevano dichiarato parcelle qualificate come PP dovessero essere presi in considerazione e che, pertanto, l’attuazione, da parte delle autorità italiane, dell’articolo 24, paragrafo 2, del regolamento n. 1307/2013 fosse anch’essa insufficiente. Risulta dunque dalla relazione di sintesi che, per il gruppo di inadempienze PP, la popolazione a rischio era costituita da tutti gli agricoltori e che, a causa dell’erronea trasposizione delle disposizioni sopra citate, ciò aveva portato ad un calcolo erroneo del «tasso di convergenza» sin dall’inizio e aveva avuto un’incidenza sulla regolarità dei pagamenti per l’anno di domanda 2015.

89      Fornite queste precisazioni, occorre esaminare gli argomenti della Commissione secondo cui, anche supponendo che il primo motivo di ricorso sia fondato, la rettifica forfettaria in questione continuerebbe ad essere giustificata in virtù dell’incidenza dei cinque gruppi di inadempienze diversi da quello contemplato dal primo motivo di ricorso, che è connesso alla definizione della nozione di PP.

90      La Commissione fa valere che il fatto che le altre carenze o insufficienze in materia di esecuzione di controlli, ciascuna delle quali aveva dato luogo a rettifiche forfettarie del 2%, siano assorbite dalle carenze o insufficienze del primo gruppo relativo alla definizione di PP, non significa che quest’ultima rettifica, la cui incidenza è stata parimenti stimata al 2%, sostituisca le altre cinque. In altri termini, secondo la Commissione, anche se una delle rettifiche, tra le quali esiste una sovrapposizione, fosse soppressa, l’importo complessivo della rettifica forfettaria non ne verrebbe influenzato. Infine, le rettifiche relative a ciascun gruppo di inadempienze non sarebbero cumulabili, e ciò in ragione della natura estimativa e non analitica delle rettifiche costituenti l’oggetto della correzione finanziaria del 2% in questione e dunque in ragione dell’impossibilità di attribuire un peso specifico a ciascuna rettifica.

91      A questo proposito, in primo luogo, occorre rilevare come dalla relazione dell’organo di conciliazione (v. punto 18 supra) risulti che sono state le divergenze di interpretazione tra le parti in merito alle nozioni di PP e di PLT ad ostacolare una fruttuosa conclusione della procedura di conciliazione e, dunque, l’applicazione di una rettifica finanziaria differente dalla rettifica forfettaria proposta dalla Commissione. Peraltro, risulta sia dalla relazione di sintesi sia dalle tre lettere finali inviate alla Repubblica italiana che, come giustamente evidenziato da quest’ultima, l’interpretazione della nozione di PP ha inciso sulle valutazioni della Commissione e l’ha portata a concludere che, alla luce di tutte le irregolarità constatate (comprese quelle attinenti alla suddetta nozione), detta istituzione non era in grado di calcolare l’importo esatto del rischio finanziario per il Fondo e pertanto non poteva applicare una rettifica puntuale in luogo di una rettifica forfettaria. D’altronde, nei suoi scritti difensivi dinanzi al Tribunale, la Commissione chiarisce, in sostanza, che l’attualizzazione del SIPA doveva essere «conseguente» all’adozione di una nozione coerente di PP. La Commissione suggerisce dunque che l’adozione di una nozione coerente di PP era la condizione preliminare per una valutazione accettabile del rischio sopportato dal Fondo nel corso degli anni 2015 e 2016.

92      In secondo luogo, contrariamente a quanto afferma la Commissione, risulta dalla giurisprudenza che l’applicazione di un tasso di correzione giudicato illegittimo può determinare l’annullamento della rettifica nella sua interezza anche nel caso in cui tale rettifica avesse assorbito le rettifiche attinenti ad altre distinte inadempienze [v., in tal senso e per analogia, sentenza del 13 febbraio 2020, Grecia/Commissione (Pascoli permanenti), C‑252/18 P, EU:C:2020:95, punti 94 e 95]. Il fatto che la giurisprudenza in questione riguardi dei tassi di rettifica del 25 o del 10%, mentre, nel caso di specie, il tasso della rettifica finanziaria è il più basso possibile, non esclude che, come riconosciuto dalla stessa Commissione nella controreplica, l’applicazione di questo tasso implichi l’applicazione di una rettifica finanziaria più elevata di quella calcolata in maniera puntuale dalle autorità italiane. Infatti, la Commissione non esclude che in ipotesi la Repubblica italiana riesca a calcolare un rischio massimo per il Fondo inferiore al 2%.

93      In terzo luogo, da un lato, occorre osservare come sia pacifico che il primo gruppo di inadempienze, identificato sotto il titolo PP, costituente l’oggetto degli argomenti addotti nell’ambito del primo motivo di ricorso, riguardava la popolazione più ampia e pertanto assorbiva tutte le altre rettifiche applicabili a vario titolo.

94      Dall’altro lato, come risulta dalla tabella e dai chiarimenti forniti dalla stessa Commissione, è giocoforza constatare che l’unico altro gruppo di inadempienze che potrebbe giustificare l’applicazione della rettifica forfettaria in questione, per il fatto che esso riguarda, come nel caso del primo gruppo, la totalità della popolazione, è il sesto gruppo di inadempienze. Orbene, tale gruppo, identificato con il nome di «verifiche incrociate del [SIPA]», si riferisce alle inadempienze configuranti una violazione dell’articolo 5 del regolamento delegato n. 640/2014 nonché degli articoli 28 e 29 del regolamento di esecuzione n. 809/2014. Pertanto, come risulta dalla relazione di sintesi, questo sesto gruppo di inadempienze, in quanto concernente l’esattezza della registrazione nel SIPA della superficie massima ammissibile, è strettamente legato alla corretta determinazione dei PP. Infatti, nella relazione di sintesi, la Commissione ha chiaramente indicato che la valutazione erronea delle parcelle PP implicava una violazione dell’articolo 5 del regolamento delegato n. 640/2014 ed aveva avuto un’incidenza sulle verifiche incrociate previste dagli articoli 28 e 29 del regolamento di esecuzione n. 809/2014 nonché sulla regolarità dei pagamenti, ivi compresa l’applicazione di sanzioni agli agricoltori che avevano dichiarato parcelle qualificate come PP (v. punto 88 supra).

95      In quarto luogo, non risulta dal fascicolo che l’aggiunta delle rettifiche che potrebbero derivare dalle inadempienze identificate dalla Commissione, diverse da quelle attinenti alla definizione di PP e alle «verifiche incrociate», condurrebbe necessariamente ad una rettifica finanziaria superiore o uguale alla rettifica forfettaria che corrisponde all’inadempienza correlata ai PP. Al contrario, risulta dalla relazione di sintesi che la popolazione interessata da ciascuno di questi altri gruppi di inadempienze non è costituita dalla totalità della popolazione. Inoltre, nella relazione di sintesi, la Commissione ha ammesso che potrebbe accettare i calcoli forniti dalle autorità italiane per le popolazioni interessate da alcune inadempienze e, in particolare, i calcoli concernenti le carenze nell’applicazione del sistema di dati geospaziali (GSAA), il livello di controllo in loco e l’analisi del rischio.

96      In quinto luogo, come risulta dalla tabella trasmessa alla Commissione con lettera del 15 luglio 2019 (v. punto 25 supra) e ripresa nella replica, la Repubblica italiana ha quantificato il rischio massimo per il Fondo per quanto riguarda tutte le insufficienze che le sono state addebitate. Essa ha in particolare indicato, per quanto riguarda le inadempienze diverse da quella correlata alla definizione di superfici ammissibili al pagamento a titolo di PP, che il rischio finanziario per il Fondo ammontava a EUR 36 283 926,96.

97      In sesto luogo, risulta dalla relazione di sintesi che la Commissione ha respinto i calcoli del rischio per il Fondo effettuati dalla Repubblica italiana, a motivo del fatto che l’esame dei dati forniti da quest’ultima avrebbe richiesto uno sforzo sproporzionato da parte sua in una fase avanzata del procedimento. Orbene, risulta dal fascicolo che è proprio il disaccordo tra la Commissione e la Repubblica italiana in merito alla nozione di PP e di PLT che ha portato tale Stato membro a fornire, a più riprese, nuovi dati. Ne consegue che, qualora il primo motivo di ricorso fosse accolto, il rigetto della quantificazione del rischio per il Fondo proposta dalle autorità italiane sarebbe privo di giustificazioni.

98      In concreto, indubbiamente, come sostenuto dalla Commissione, il primo motivo di ricorso non è diretto contro tutti i gruppi di inadempienze. Tuttavia, è giocoforza constatare che, se il primo motivo, vertente sulla definizione delle superfici ammissibili a titolo dei PP, dovesse trovare accoglimento e se la decisione impugnata dovesse essere annullata per tale ragione, la Commissione dovrebbe procedere, se del caso, al riesame della decisione suddetta e ricalcolare l’importo delle spese irregolari riducendo, se necessario, l’importo della rettifica finanziaria.

99      Alla luce dell’insieme delle considerazioni sopra esposte, occorre concludere per il carattere operante del primo motivo di ricorso.

2.      Sulla fondatezza del primo motivo di ricorso, relativo alla violazione dellarticolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013

100    Secondo la Repubblica italiana, risulta dall’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013 che uno Stato membro ha la «facoltà» e non l’«obbligo» di includere, tra le superfici PP, intese come particelle agricole in cui il manto erboso è predominante, altre specie quali arbusti e/o alberi. Inoltre, uno Stato membro avrebbe sempre la possibilità di includere, tra le superfici PP, le PLT‑PG/ELP.

101    Le autorità italiane avrebbero unicamente fatto uso della seconda facoltà, vale a dire quella di includere, tra le superfici «ammissibili», i pascoli PLT, per le regioni in cui le pratiche di pascolo di tali superfici avevano carattere tradizionale ed erano comunemente applicate o in cui, in ogni caso, tali pratiche erano decisive per la conservazione degli habitat elencati nell’allegato I della direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche (GU 1992, L 206, pag. 7), nonché dei biotopi e degli habitat previsti dalla direttiva 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2009, concernente la conservazione degli uccelli selvatici (GU 2010, L 20, pag. 7).

102    La Repubblica italiana sottolinea di aver applicato, al fine di stabilire la superficie ammissibile dei PP che contengono elementi sparsi non ammissibili, un sistema proporzionale, conformemente alla normativa dell’Unione e alla legislazione nazionale. Essa precisa che, nelle notifiche del sistema di informazione dei mercati agricoli (ISAMM), relative alle superfici PLT-PG/ELP, figurano due tipi di superfici:

–        i pascoli con cespugli e alberi tipo macchia mediterranea, presenti in numerose regioni italiane e presentanti una superficie foraggiera del 50% (la quale include gli arbusti tradizionalmente adatti al pascolo, secondo gli usi di queste regioni);

–        gli altri pascoli, vale a dire i pascoli tradizionali in cui la copertura di erba e altre piante erbacee da foraggio, unitamente alle piante foraggere non pascolate, non supera il 50%.

103    Secondo la Repubblica italiana, la definizione che essa applica quanto alle nozioni di PP e di PLT è perfettamente conforme alle disposizioni del diritto dell’Unione. Ciò risulterebbe, segnatamente, da una nota del 2014 della Commissione in risposta ad un quesito della Repubblica federale di Germania, nonché da una serie di studi che dimostrerebbero che l’utilizzazione della superficie arbustiva e pertanto l’ammissibilità di superfici con arbusti, del tipo contemplato al punto 102, primo trattino, supra, dipenderebbe dal tipo di bestiame ivi allevato.

104    In conclusione, la Commissione non avrebbe dovuto considerare non conforme e fonte di rischio per il Fondo il metodo di determinazione delle SMA al beneficio dei pagamenti diretti per gli anni di domanda 2015 e 2016, a titolo di PP e di PLT, applicato dalle autorità italiane. Infatti, non vi sarebbe alcun obbligo, per gli Stati membri, di includere le superfici arbustive e arboree utilizzate come pascoli nelle SMA in quanto PP. Al contrario, l’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013 offrirebbe allo Stato membro la facoltà di decidere, in sede di calcolo della SMA, di non includere i cespugli nei prati permanenti quando le piante erbacee da foraggio restino predominanti, e ciò indipendentemente dalla scelta operata per i terreni in cui l’erba e le altre piante erbacee da foraggio non sono predominanti. Dalla correttezza della scelta operata dalle autorità italiane a livello nazionale deriverebbe che, nell’assegnazione dei diritti all’aiuto, non può esservi stato alcun rischio per il Fondo e, quindi, che la relativa rettifica finanziaria forfettaria applicata dalla Commissione sarebbe evidentemente illegittima, per violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013.

105    La Commissione sostiene che il primo motivo di ricorso è infondato.

106    Infatti, in primo luogo, detto motivo sarebbe contraddittorio in rapporto al secondo e al terzo motivo, i quali tendono a far valere il carattere sproporzionato della rettifica forfettaria del 2%, senza tuttavia negare la fondatezza di tale rettifica, e in rapporto alla posizione adottata dalle autorità italiane nel corso della procedura di audit. Se le autorità italiane, all’esito delle missioni di audit in loco, i cui risultati erano stati comunicati con la lettera di conciliazione del 27 marzo 2018, ritenevano che la definizione delle superfici PLT/PG‑ELP applicata negli anni 2015 e 2016 fosse corretta, non vi erano ragioni, per tali autorità, di impegnarsi a redigere un piano d’azione inteso all’aggiornamento del SIPA, né di proporre calcoli successivi per tentare di ridefinire il rischio massimo per il Fondo. La Commissione si chiede per quale motivo le autorità italiane, se ritenevano che la loro definizione di PLT, applicata nel 2015 e nel 2016, fosse corretta, dovessero procedere all’aggiornamento del SIPA, abbiano proposto calcoli successivi per tentare di definire il rischio massimo per il Fondo e, infine, non abbiano ultimato il piano d’azione, nonostante che esse sapessero che il SIPA non era affidabile a causa, ad esempio, del fenomeno dell’abbandono dei terreni.

107    In secondo luogo, la Commissione sostiene, da un lato, che il criterio adottato dalla Repubblica italiana le ha permesso di considerare ammissibili anche delle superfici inaccessibili e che non sono dunque tradizionalmente utilizzate a scopo di pascolo e, dall’altro, che i controlli di ammissibilità realizzati dalle autorità italiane sulle PLT non sono stati efficaci. Secondo la Commissione, la Repubblica italiana tenta di sottrarsi agli obblighi di definizione comune e uniforme delle nozioni di PP e di PLT, arrecando così pregiudizio agli obiettivi stessi del regime di sostegno diretto, compreso quello di un pagamento di base per gli agricoltori e altri regimi di aiuti, quali quelli contemplati dal regolamento n. 1307/2013. Poi, la Commissione insiste sul fatto che la definizione della nozione di PP, che la Repubblica italiana continua ad invocare, è quella che comprende delle superfici che non includono alcun prato, bensì unicamente dei cespugli inaccessibili e che quindi non possono essere state utilizzate a pascolo, né tradizionalmente né occasionalmente perché appunto inaccessibili. L’insistenza della Repubblica italiana nel ritenersi libera dal riscontro effettivo di tale uso ai fini della qualificazione di un’area come PP ed anche a prescindere da ogni giudizio sull’effettiva utilizzabilità dell’area a scopo di pascolo, sarebbe sospetta. Inoltre, il Tribunale avrebbe recentemente respinto la tesi secondo cui la nuova definizione di PP darebbe luogo ad una completa ridefinizione delle condizioni di ammissibilità delle parcelle all’aiuto per superfice pascolabile negli anni 2015 e 2016, per la quale non sarebbe più necessario determinarne l’estensione (sentenza del 9 settembre 2020, Grecia/Commissione, T‑46/19, non pubblicata, EU:T:2020:396, punti da 56 a 59). Pertanto, il fatto che la Repubblica italiana citi le numerose disposizioni generali che essa ha emanato per trasporre, nel proprio ordinamento nazionale, i criteri di ammissibilità delle aree non garantirebbe certo che il rispetto concreto di tali criteri sia stato effettivamente controllato dalle autorità competenti negli anni di spesa 2015 e 2016.

108    In terzo luogo, la Commissione ricorda che, in virtù dei principi contemplati all’articolo 2 del regolamento delegato (UE) n. 639/2014 della Commissione, dell’11 marzo 2014, che integra il regolamento n. 1307/2013 e che modifica l’allegato X di tale regolamento (GU 2014, L 181, pag. 1), non è consentito ad uno Stato membro disattendere le definizioni comuni fissate dal diritto dell’Unione, in quanto una simile inosservanza permetterebbe a tale Stato di accordare pagamenti ai propri agricoltori in maniera discriminatoria rispetto a quello che è consentito in altri Stati membri. La nozione di PP applicata dalle autorità italiane sarebbe manifestamente inesatta e non risponderebbe neppure a quello che le autorità italiane avrebbero tentato di attuare, seppure in maniera sinora incompleta, col loro Piano d’azione.

109    Occorre sottolineare come dalla relazione di sintesi, che riprende i risultati delle indagini condotte dalla Commissione, di cui la Repubblica italiana è stata informata mediante la lettera di conciliazione del 27 marzo 2018 (v. punti 9 e 10 supra), nonché dal contenuto delle tre lettere finali della Commissione datate rispettivamente 14 marzo, 19 settembre e 22 ottobre 2019 menzionate ai punti 19, 26 e 29 supra, risulti che, secondo la Commissione, l’«ampliamento» della definizione di PP ai fini della determinazione delle parcelle ammissibili all’aiuto diretto, contemplate all’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013, non è stato correttamente attuato dalle autorità italiane, in quanto esse non hanno incluso, nei PP, gli arbusti e gli alberi foraggeri. La relazione di sintesi espone, inoltre, la risposta fornita dalla Commissione alle osservazioni delle autorità italiane, le quali facevano valere che, secondo gli stessi servizi della Commissione, che rispondevano ad un quesito della Repubblica federale di Germania, spettava agli Stati membri stabilire se alcune specie arbustive e/o arboree presenti sulla superficie apportassero un valore foraggero al prato permanente, in relazione anche alle specie animali effettivamente al pascolo. A tale titolo, la relazione di sintesi indica che, indubbiamente, spetta agli Stati membri decidere se occorra includere alcune specie arbustive o arboree presenti sulle superfici in questione nelle parcelle ammesse al beneficio dei pagamenti diretti. Tuttavia, una volta che sia stata scelta questa opzione, lo Stato membro è tenuto ad applicarla in modo identico a tutte le parcelle di una data regione e, al fine di concedere dei pagamenti ai propri agricoltori, è altresì tenuto a informarli del modo in cui le parcelle devono essere dichiarate al fine di determinare la SMA.

110    Nel caso di specie, occorre verificare se l’interpretazione e l’attuazione, da parte delle autorità italiane, dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013 abbiano dato luogo, come sostiene la Commissione, all’erronea registrazione dei PP nel SIPA con conseguente erronea identificazione della superficie massima ammissibile e delle carenze nei controlli amministrativi sui diritti al pagamento, all’atto dell’introduzione del regime di pagamento di base. Infatti, la Commissione contesta l’applicazione «coerente e uniforme» della disposizione sopra citata e sostiene, più precisamente, che il criterio di identificazione delle superfici PLT, che è stato scelto dalle autorità italiane, ha permesso loro di considerare ammissibili anche superfici inaccessibili e che non possono dunque essere considerate come tradizionalmente utilizzate a scopo di pascolo. Ciò dimostrerebbe che i controlli di ammissibilità realizzati dalle autorità italiane sulle superfici PLT non sono stati efficaci.  

111    In via preliminare, occorre precisare che il regolamento n. 1307/2013 ha definito le regole applicabili ai pagamenti diretti destinati ad aiutare gli agricoltori nell’ambito della politica agricola comune (in prosieguo: la «PAC») dell’Unione. Tali pagamenti vengono versati a condizione che gli agricoltori osservino regole rigorose (la condizionalità) in materia di salute e di benessere delle persone e degli animali, e di protezione dei vegetali e dell’ambiente. I pagamenti diretti a favore degli agricoltori sono versati a titolo dei regimi nazionali di sostegno in ciascuno Stato membro che deve a questo punto concedere una certa percentuale del proprio finanziamento a titolo della PAC ai seguenti regimi di sostegno obbligatori:

–        pagamenti standard per ettaro: al fine di ripartire più equamente questo aiuto, tutti i paesi dell’Unione hanno dovuto adottare un sistema di pagamento uniformato per ettaro a partire dal 2015 (regime di pagamento di base);

–        pagamenti verdi per ettaro, concessi agli agricoltori che istituiscono pratiche a favore del clima e dell’ambiente (30% dello stanziamento per il finanziamento nazionale);

–        pagamenti a favore dei giovani agricoltori per ettaro: per gli agricoltori di meno di 40 anni, che si insediano per la prima volta a capo della loro azienda nel corso dei cinque anni precedenti la domanda. Questo pagamento è concesso per una durata massima di cinque anni.

112    Esistono anche regimi di sostegno facoltativi, in virtù dei quali gli Stati membri possono scegliere:

–        di sostenere le piccole aziende versando loro un aiuto di importo più elevato a titolo dei primi ettari (pagamento ridistributivo);

–        di concedere pagamenti supplementari per le zone soggette a vincoli naturali;

–        di concedere aiuti limitati a titolo della produzione («sostegno accoppiato», pagamenti connessi a colture o allevamenti particolari) al fine di sostenere la produzione nei settori in difficoltà in seno ai propri territori;

–        di proporre un regime semplificato ai piccoli agricoltori, che si traduce in un pagamento annuale per un importo massimo di EUR 1 250.

113    Più precisamente, l’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 1307/2013 recante norme sui pagamenti diretti agli agricoltori nell’ambito dei regimi di sostegno previsti dalla PAC, in vigore al momento della decisione impugnata, era redatto come segue:

«1.      Ai fini del presente regolamento si intende per:

(…)

c)      “attività agricola”:

i)      la produzione, l’allevamento o la coltivazione di prodotti agricoli, compresi la raccolta, la mungitura, l’allevamento e la custodia degli animali per fini agricoli,

ii)      il mantenimento di una superficie agricola in uno stato che la rende idonea al pascolo o alla coltivazione senza interventi preparatori che vadano oltre il ricorso ai metodi e ai macchinari agricoli ordinari, in base a criteri definiti dagli Stati membri in virtù di un quadro stabilito dalla Commissione, o

iii) lo svolgimento di un’attività minima, definita dagli Stati membri, sulle superfici agricole mantenute naturalmente in uno stato idoneo al pascolo o alla coltivazione;

(…)

h)      “prato permanente e pascolo permanente” (congiuntamente denominati “prato permanente”): terreno utilizzato per la coltivazione di erba o di altre piante erbacee da foraggio, naturali (spontanee) o coltivate (seminate), e non compreso nell’avvicendamento delle colture dell’azienda da cinque anni o più; può comprendere altre specie, segnatamente arbustive e/o arboree, che possono essere utilizzate per il pascolo purché l’erba e le altre piante erbacee da foraggio restino predominanti, nonché, ove gli Stati membri decidano in tal senso, terreno pascolabile che rientra nell’ambito delle prassi locali consolidate, qualora nelle superfici di pascolo non siano tradizionalmente predominanti erba e altre piante erbacee da foraggio (…)».

114    Ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 1307/2013, gli Stati membri:

«a)      stabiliscono i criteri che gli agricoltori devono soddisfare perché sia rispettato l’obbligo di mantenere una superficie agricola in uno stato idoneo al pascolo o alla coltivazione ai sensi del paragrafo 1, lettera c), punto ii);

b)      se applicabile in uno Stato membro, definiscono le attività minime da svolgere sulle superfici agricole mantenute naturalmente in uno stato che le rende idonee al pascolo o alla coltivazione ai sensi del paragrafo 1, lettera c), punto iii);

(…)

Gli Stati membri possono decidere che debbano essere considerate prato permanente ai sensi del paragrafo 1, lettera h), i terreni pascolabili che rientrano nell’ambito delle pratiche locali tradizionali, qualora nelle superfici di pascolo non siano tradizionalmente predominanti erba e altre piante erbacee da foraggio».

115    L’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1307/2013 precisa che, per assicurare la certezza del diritto, «alla Commissione è conferito il potere di adottare atti delegati conformemente all’articolo 70 che stabiliscano:

a)      il quadro all’interno del quale gli Stati membri devono stabilire i criteri che gli agricoltori sono tenuti a soddisfare al fine di rispettare l’obbligo di mantenere una superficie agricola in uno stato idoneo al pascolo o alla coltivazione ai sensi del paragrafo 1, lettera c), punto ii);

b)      il quadro all’interno del quale gli Stati membri definiscono le attività minime da svolgere sulle superfici agricole mantenute naturalmente in uno stato idoneo al pascolo o alla coltivazione ai sensi del paragrafo 1, lettera c), punto iii);

c)      i criteri per determinare la predominanza dell’erba e delle altre piante erbacee da foraggio e i criteri per determinare le pratiche locali consolidate di cui al paragrafo 1, lettera h)».

116    Secondo il considerando 7 del regolamento delegato n. 639/2014, per ragioni ambientali, la definizione di PP di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013 comprende anche specie non erbacee, segnatamente arbustive e/o arboree, che possono essere utilizzate per il pascolo, purché l’erba e le altre piante erbacee da foraggio restino predominanti sulla superficie in oggetto. Secondo detto considerando, è pertanto necessario definire un criterio per stabilire in quali casi l’erba e le altre piante erbacee da foraggio restano predominanti ai sensi della disposizione in questione. Nel considerando 8 del regolamento delegato n. 639/2014, è indicato che la definizione dei PP, contenuta nell’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013, permette agli Stati membri di considerare prati permanenti anche le superfici PLT. Detto considerando si conclude precisando che è necessario stabilire i criteri in base ai quali possono essere definite tali pratiche locali tradizionali. Ai sensi del considerando 9 del regolamento delegato n. 639/2014, in conformità dell’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 1307/2013, gli Stati membri possono considerare prati permanenti le superfici PLT. A questo titolo viene precisato che a tali PP si può applicare un coefficiente di riduzione a norma dell’articolo 32, paragrafo 5, del regolamento n. 1307/2013 e che, al fine di garantire l’applicazione proporzionata di tale disposizione, è opportuno prevedere la possibilità di distinguere tra le diverse categorie di superfici in modo da potervi applicare coefficienti di riduzione diversi.

117    La sezione 2 del capo 1 del regolamento delegato n. 639/2014 contiene disposizioni concernenti le definizioni utilizzate nel regolamento n. 1307/2013. Più precisamente, l’articolo 4 del regolamento delegato n. 639/2014 definisce i criteri relativi al mantenimento della superficie agricola in uno stato idoneo al pascolo o alla coltivazione. L’articolo 5 di detto regolamento definisce le attività minime esercitate sulle superfici agricole mantenute naturalmente in uno stato idoneo al pascolo o alla coltivazione. L’articolo 6 del medesimo regolamento precisa che, ai fini dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013, «si considera che l’erba e le altre piante erbacee da foraggio restano predominanti se coprono più del 50% della superficie ammissibile a livello della parcella agricola ai sensi dell’articolo 67, paragrafo 4, lettera a), del regolamento (…) n. 1306/2013».

118    Ai sensi dell’articolo 7 del regolamento delegato n. 639/2014, ai fini dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013, le pratiche locali tradizionali sono le seguenti o qualsiasi combinazione delle stesse:

«a)      pratiche per superfici destinate al pascolo, che hanno carattere tradizionale e sono comunemente applicate in tali superfici;

b)      pratiche importanti per la conservazione degli habitat elencati nell’allegato I della direttiva 92/43/CEE del Consiglio e dei biotopi e habitat di cui alla direttiva 2009/147 (…)».

119    Infine, l’articolo 8 del regolamento delegato n. 639/2014 precisa che, quando applicano l’articolo 32, paragrafo 5, del regolamento n. 1307/2013 alle superfici PLT, gli Stati membri possono distinguere tra diverse categorie di superfici in modo da applicare coefficienti di riduzione diversi secondo le categorie.

120    Nella sentenza del 9 settembre 2020, Grecia/Commissione (T‑46/19, non pubblicata, EU:T:2020:396, punto 51), il Tribunale ha statuito che risultava dal tenore letterale dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013, in vigore al momento dell’adozione della decisione impugnata (v. punto 113 supra), che tre categorie di terreni potevano, ai fini delle misure di aiuto connesse alla superficie, essere qualificate come PP:

–        i terreni dedicati alla produzione di erba o di altre piante erbacee da foraggio;

–        i terreni in cui sono presenti altre specie idonee al pascolo, segnatamente arbustive e/o arboree, purché l’erba e le altre piante erbacee da foraggio restino predominanti;

–        ove gli Stati membri decidano in tal senso, i terreni PLT.

121    In questa medesima sentenza del 9 settembre 2020, Grecia/Commissione (T‑46/19, non pubblicata, EU:T:2020:396), il Tribunale ha precisato che la terza ipotesi prevista dall’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013 sanciva, a fianco del criterio fondato sul tipo di vegetazione e corrispondentemente alla valutazione compiuta dalla Corte nella causa decisa dalla sentenza del 15 maggio 2019, Grecia/Commissione (C‑341/17 P, EU:C:2019:409), il criterio dell’utilizzazione effettiva della superficie ai fini della sua qualificazione come PP, purché questa fosse effettivamente idonea al pascolo e rientrasse nell’ambito delle pratiche locali tradizionali, nelle quali non siano tradizionalmente predominanti l’erba o le altre piante erbacee da foraggio (sentenza del 9 settembre 2020, Grecia/Commissione, T‑46/19, non pubblicata, EU:T:2020:396, punto 55).  

122    In applicazione del regolamento n. 1307/2013, la Repubblica italiana ha adottato il decreto ministeriale n. 6513, del 18 novembre 2014 (GURI n. 295, del 20 dicembre 2014), il quale prevede, segnatamente, quanto segue:

«1.      Ai sensi dell’articolo 4, paragrafi 1 e 2, del regolamento (…) n. 1307/2013 e fatte salve le altre definizioni stabilite nei regolamenti dell’Unione europea richiamati in premessa, si intende per: (…)

d)      [PP]: le superfici di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento (…) n. 1307/2013, comprese le superfici sulle quali sono svolte le pratiche locali tradizionali di cui all’articolo 7 del regolamento (…) n. 639/2014 che sono individuate, dall’organismo di coordinamento di cui all’articolo 7, paragrafo 4, del regolamento (…) n. 1306/2013, nel [SIPA], su indicazione, da parte della Regione o Provincia autonoma competente, dei relativi estremi catastali (…)».

123    Nei suoi scritti difensivi, la Repubblica italiana fa valere che essa ha dunque scelto di includere, tra le superfici PP, i terreni PLT. Per contro, essa non si è avvalsa della possibilità prevista dall’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013 di includere, tra le superfici PP, altre specie segnatamente arbustive e/o arboree quando la copertura erbosa è predominante.

124    Nel caso di specie, occorre constatare che sia il tenore letterale dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013 (v. punto 113 supra), sia la normativa dell’Unione menzionata ai punti da 116 a 119 supra e la giurisprudenza citata ai punti 120 e 121 supra riconoscono agli Stati membri la facoltà, e non l’obbligo, di considerare PP, oltre al «terreno utilizzato per la coltivazione di erba o di altre piante erbacee da foraggio, naturali (spontanee) o coltivate (seminate), e non compreso nell’avvicendamento delle colture dell’azienda da cinque anni o più», da un lato, le superfici contenenti altre specie, segnatamente arbustive e/o arboree, idonee al pascolo, precisando che tale facoltà è riconosciuta «purché l’erba e le altre piante erbacee da foraggio restino predominanti», vale a dire coprano più del 50% della superficie, e, dall’altro lato, le superfici PLT.

125    Pertanto, il regolamento n. 1307/2013 permette di distinguere due grandi categorie di superfici ammissibili come prati permanenti, ossia quelle in cui la copertura erbosa è predominante e quelle tradizionalmente idonee al pascolo, in cui la copertura erbosa non è predominante.

126    Come fondatamente sottolineato dalla Repubblica italiana, e come ricordato nella relazione di sintesi (allegato A 2, pagina 176), il progetto «Omnibus Regulation» concernente il regolamento (UE) 2017/2393 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2017, che modifica i regolamenti (UE) n. 1305/2013 sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del [FEASR], (UE) n. 1306/2013, (UE) n. 1307/2013, (UE) n. 1308/2013 recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli e (UE) n. 652/2014 che fissa le disposizioni per la gestione delle spese relative alla filiera alimentare, alla salute e al benessere degli animali, alla sanità delle piante e al materiale riproduttivo vegetale (GU 2017, L 350, pag. 15), conferma che l’approccio seguito dalle autorità italiane per quanto riguarda la definizione della nozione di «prati permanenti» era corretto. Infatti, in virtù del regolamento sopra citato, l’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013 è stato modificato come segue:

«h)      [PP], terreno utilizzato per la coltivazione di erba o di altre piante erbacee da foraggio, naturali (spontanee) o coltivate (seminate), e non compreso nell’avvicendamento delle colture dell’azienda da cinque anni o più, nonché, ove gli Stati membri decidano in tal senso, non arato da cinque anni o più; può comprendere altre specie, segnatamente arbustive e/o arboree, che possono essere utilizzate per il pascolo, e, ove gli Stati membri decidano in tal senso, altre specie, segnatamente arbustive e/o arboree, che producono foraggi, purché l’erba e le altre piante erbacee da foraggio restino predominanti. Gli Stati membri possono anche decidere di considerare [PP]:

i)      [le superfici PLT]; e/o

ii)      il terreno pascolabile, qualora nelle superfici di pascolo non siano predominanti o siano assenti erba e altre piante erbacee da foraggio;».

127    La distinzione tra due grandi categorie di superfici ammissibili come PP (v. punto 125 supra) è coerente, inoltre, con gli studi presentati dalla Repubblica italiana, che non sono stati contestati, né contraddetti, dalla Commissione e che indicano che il valore foraggero delle specie arbustive e arboree idonee al pascolo varia in funzione della presenza predominante o meno dell’erba nei PP, nonché delle specie (o razze) di animali che effettivamente vi pascolano. Più precisamente, risulta dai suddetti studi che, quando l’erba resta predominante, il valore foraggero fornito dagli arbusti ad una superficie di PP è trascurabile, prediligendo gli animali cibarsi di erba.  Per contro, come  chiarito dalla Repubblica italiana, le superfici PLT si differenziano profondamente dai prati‑pascoli «normali» (ed anche dai pascoli con arbusti e cespugli in cui l’erba e le altre piante erbacee da foraggio restano predominanti), per il fatto che essi sono costituiti principalmente da formazioni vegetali naturali o semi‑naturali che, per determinate situazioni regionali e/o locali, rappresentano, storicamente e tradizionalmente, la principale risorsa dell’alimentazione di una tipologia di bestiame adatto a particolari sistemi di allevamento estensivi o bradi.

128    Inoltre, risulta dalla normativa dell’Unione, menzionata al punto 119 supra, che gli Stati membri possono stabilire una distinzione tra le diverse categorie di superfici al fine di applicare diversi coefficienti di riduzione alle categorie interessate. Ne consegue che la possibilità di trattare in maniera differente delle superfici presentanti caratteristiche differenti non si pone in contrasto con la normativa dell’Unione. Infatti, il diritto dell’Unione autorizza gli Stati membri a tener conto delle specificità locali e a considerare che, in alcune regioni, in cui le pratiche di pascolo delle superfici hanno carattere tradizionale e sono comunemente applicate o, comunque, tali pratiche sono essenziali per la conservazione degli habitat elencati nell’allegato I della direttiva 92/43, nonché dei biotopi e habitat previsti dalla direttiva 2009/147, le superfici PLT sono incluse, a titolo dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013, tra le superfici ammissibili quali PP.

129    Per giunta, come è stato sottolineato dalle autorità italiane, gli stessi servizi della Commissione, interpellati da uno Stato membro (la Repubblica federale di Germania) in merito ai criteri da seguire per determinare le specie arbustive e arboree foraggere da includere nella definizione di prati permanenti ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013, hanno precisato, nella nota Ares (2014) 2030308, che spettava agli Stati membri stabilire se alcune specie di arbusti e/o alberi presenti sulle superfici fornissero un valore foraggero al prato permanente, tenendo conto anche delle specie animali effettivamente al pascolo.

130    A tale titolo, le autorità italiane hanno chiarito che, in sette regioni (Puglia, Sicilia, Sardegna, Abruzzo, Friuli-Venezia Giulia, Campania e Basilicata), le specie arbustive e arboree pascolabili erano considerate ammissibili quando viene effettuata la fotointerpretazione e si valutano le percentuali di riduzione proporzionale con visite speditive in campo e controlli in loco fisici.

131    Oltre a ciò, contrariamente a quanto sostiene la Commissione, la definizione della nozione di PP applicata dalle autorità italiane non ha come effetto di includere tra le superfici rientranti nell’ambito di tale nozione le rocce, gli specchi d’acqua e gli ostacoli che impediscono l’accesso ad una zona erbosa, o addirittura cespugliosa, che può in teoria essere dedicata al pascolo. In altri termini, la definizione della nozione di PP applicata dalle autorità italiane non è idonea a rendere ammissibili delle superfici inaccessibili. Infatti, risulta dall’articolo 10 del regolamento delegato n. 640/2014 che gli Stati membri possono applicare un sistema proporzionale che permetta loro di detrarre gli elementi non ammissibili delle superfici dei PP da dichiarare ai fini dell’aiuto, utilizzando un coefficiente fisso. Pertanto, l’esistenza, su alcune superfici, di elementi inammissibili non è esclusa dalla normativa dell’Unione e non può, nel caso di specie, dimostrare che la Repubblica italiana abbia applicato in maniera erronea la definizione della nozione di PP includendo, in quest’ultima, le superfici PLT.

132    Nella misura in cui spetta agli Stati membri scegliere se includere o no, tra le superfici PP contemplate all’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013, le parcelle agricole comprendenti altre specie quali arbusti e/o alberi purché l’erba e le altre piante erbacee da foraggio restino predominanti, oppure le superfici PLT, la Commissione non può sostenere che, avendo scelto la seconda opzione, le autorità italiane abbiano violato l’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013 o abbiano reso ammissibili superfici in origine inammissibili.

133    Al contrario, occorre riconoscere che la normativa dell’Unione permette alle autorità italiane di non tener conto degli arbusti e degli alberi qualora l’erba resti predominante. Infatti, non è contestato che, qualora l’erba resti predominante, gli animali preferiscono nutrirsi di erba e dunque che, in questo tipo di configurazione, il valore foraggero fornito dagli arbusti ad una superficie di PP è trascurabile. Diverso è invece il caso delle superfici PLT in cui pascolano tradizionalmente ed effettivamente specie di bestiame adatte alle pratiche consolidate di pascolo di specie foraggere non erbacee. In tali circostanze, dato che le specie di arbusti e/o di alberi costituiscono, per tali superfici, una importante risorsa per l’alimentazione del bestiame e che, in certe stagioni, si tratta dell’unica risorsa foraggera disponibile, le autorità italiane hanno legittimamente potuto includere le suddette superfici PLT nella definizione della nozione di PP senza per questo dar luogo a discriminazioni. Come affermato anche dall’organo di conciliazione, non si può riconoscere che le autorità italiane applichino un regime discriminatorio. Infatti, gli agricoltori che non avevano dichiarato che degli animali pascolavano tradizionalmente sulle loro parcelle non si trovavano nella medesima situazione degli agricoltori che avevano dichiarato che degli animali pascolavano sulle loro parcelle sulle quali le regioni hanno riconosciuto che il pascolo risultava dalla pratica locale tradizionale (v. punto 130 supra).

134    Ne consegue che la definizione della nozione di PP applicata dalle autorità italiane non crea discriminazioni ingiustificate tra gli agricoltori, in quanto le autorità italiane si sono limitate a tener conto della specificità della superficie idonea al pascolo alla luce delle pratiche di allevamento tradizionalmente adottate in Italia. Tale approccio ha così portato a trattare in maniera simile situazioni simili e in maniera differente situazioni differenti.

135    Di conseguenza, la Commissione ha indebitamente concluso che la Repubblica italiana aveva applicato in modo erroneo la definizione della nozione di PP e di PLT a motivo del fatto che la definizione applicata dalle autorità italiane includeva superfici non comprendenti alcun prato, bensì unicamente degli arbusti inaccessibili, e che tali superfici, in ragione della loro inaccessibilità, non erano utilizzate tradizionalmente, e neppure occasionalmente, per far pascolare gli animali. Contrariamente a quanto afferma la Commissione, la Repubblica italiana ha adottato una normativa nazionale che fissa criteri di ammissibilità delle superfici, connessi segnatamente all’accessibilità di queste ultime e al loro carattere pascolabile, conformi ai requisiti imposti dalla normativa dell’Unione.

136    La decisione delle autorità italiane di includere le specie di arbusti e/o di alberi tra le PLT non obbligava dette autorità a estendere questa scelta anche ai terreni in cui l’erba e le altre piante erbacee da foraggio sono predominanti. Pertanto, la Repubblica italiana ha potuto, senza violare le disposizioni dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013, identificare, in applicazione dell’articolo 7, paragrafo 9, del decreto ministeriale n. 6513, del 18 novembre 2014, due tipi di superfici ammissibili nelle notificazioni del sistema di informazione dei mercati agricoli (ISAMM), vale a dire:

–        pascolo cespugliato e arborato tipo macchia mediterranea, ossia delle superfici comprendenti alberi e cespugli (in cui la vegetazione lignea copre la parte prevalente della superficie), che unitamente all’erba costituiscono una copertura foraggera superiore al 50%;

–        gli altri pascoli, ossia i pascoli tradizionali in cui la copertura di erba e altre piante erbacee da foraggio, unitamente alle piante foraggere non utilizzate per il pascolo, non supera il 50%.

137    La conclusione che figura ai punti 135 e 136 supra non è rimessa in discussione dagli altri argomenti fatti valere dalla Commissione.

138    Contrariamente a quanto sostiene la Commissione, il primo motivo di ricorso non è in contraddizione con quanto le autorità italiane hanno sostenuto sia durante il procedimento amministrativo sia nell’ambito del secondo e del terzo motivo di ricorso.

139    Infatti, come risulta dal fascicolo, e come sostenuto dalla Repubblica italiana, lo scopo delle attività di quantificazione del rischio su una base puntuale nel corso del procedimento amministrativo era di evitare l’applicazione della rettifica forfettaria, ed è unicamente allo scopo di seguire le indicazioni della Commissione che le autorità italiane, pur precisando di non condividerle, hanno incluso, nel calcolo del rischio finanziario, le altre inadempienze relative ai PP insistendo sul fatto che la Commissione adottava una definizione erronea di questi ultimi e delle superfici PLT. Più precisamente, senza essere contraddette dalla Commissione su tale punto, le autorità italiane hanno segnatamente fatto valere che la quantificazione iniziale di EUR 875 552,94, trasmessa prima della procedura di conciliazione e risultante esclusivamente da alcune sfasature tra le parcelle registrate e la parcella di riferimento, che in Italia è la parcella catastale, è passata ad EUR 12 848 370,50 nella lettera del 15 luglio 2019 (v. punto 25 supra), precisamente in ragione, da un lato, dell’estensione delle superfici PLT alle parcelle limitrofe appartenenti ad agricoltori senza bestiame al fine di evitare una presunta discriminazione e, dall’altro, della diminuzione della metà, nei prati permanenti vicini alle superfici idonee al pascolo secondo le pratiche locali tradizionali in cui l’erba è predominante, dei coefficienti del sistema proporzionale del 50% e del 20%.

140    Per quanto riguarda l’allegazione della Commissione secondo cui la Repubblica italiana non poteva, da un lato, sostenere che la definizione della nozione di PLT fosse corretta e, dall’altro, impegnarsi a mettere in campo un piano di azione inteso all’attualizzazione del SIPA, risulta dall’allegato C1 che l’obiettivo del piano di azione era di abbandonare l’uso della particella catastale come parcella di riferimento per il SIPA e di procedere ad una ridefinizione globale dei metodi di verifica delle condizioni di ammissibilità del suolo. La ragione per cui le autorità italiane hanno previsto una nuova forma di rappresentazione delle superfici, più conforme al carattere oggettivo del suolo, attiene all’applicazione di nuovi metodi di rappresentazione del suolo fattasi strada nel corso del tempo. Il piano suddetto non è destinato a influire sull’interpretazione e sull’applicazione corretta delle nozioni di PP e di PLT. Pertanto, non può condividersi l’argomentazione della Commissione là dove suggerisce che la messa in campo di un piano di azione da parte delle autorità italiane e l’efficacia di tale piano avevano un’incidenza sull’interpretazione della nozione di PP. Al contrario, è la questione dell’interpretazione della nozione di PP che aveva un’incidenza sulla messa in campo e sull’efficacia del piano di azione. Infatti, è giocoforza constatare che una divergenza di interpretazione per quanto riguarda la suddetta nozione costituiva un ostacolo all’introduzione, da parte delle autorità italiane, di un piano di azione idoneo ad essere accettato dalla Commissione.

141    Per quanto riguarda la contraddizione che secondo la Commissione esisterebbe tra il primo e il secondo motivo di ricorso, occorre constatare che quest’ultimo motivo è stato sollevato «in ogni caso», vale a dire in via subordinata, per l’eventualità in cui il primo motivo non potesse trovare accoglimento. Inoltre, il suddetto motivo verte sulla quantificazione del rischio connesso all’insieme delle inadempienze identificate dalla Commissione, compresa quella connessa alla definizione della nozione di PP. Pertanto, non sussiste alcuna contraddizione tra i motivi in questione. L’assenza di contraddizione tra il primo e il secondo motivo implica altresì l’assenza di contraddizione tra il primo e il terzo motivo, che si limita a far valere la violazione dell’obbligo di motivazione e la violazione dei diritti della difesa risultante dalla mancanza di chiarimenti riguardo al carattere «sproporzionato» dello sforzo che, secondo la Commissione, avrebbe dovuto essere impiegato per verificare i calcoli forniti dalle autorità italiane.

142    Alla luce di quanto sopra esposto, e come risulta dalle considerazioni sviluppate in ordine al carattere operante del primo motivo di ricorso, l’errore commesso dalla Commissione ha un’incidenza sull’importo della rettifica finanziaria decisa da quest’ultima. Date tali circostanze, la decisione impugnata deve essere annullata là dove prevede una rettifica finanziaria di EUR 143 924 279,14, stabilita a seguito delle indagini AA/2016/003/IT, AA/2016/012/IT e AA/2016/015/IT, senza che sia necessario esaminare il secondo e il terzo motivo di ricorso.

B.      Sul quarto e sul quinto motivo di ricorso, afferenti alla rettifica di EUR 11 050 070,04 stabilita a seguito dell’indagine FV/2016/002/IT

143    Con il quarto motivo di ricorso si lamenta che la decisione impugnata, là dove prevede la rettifica finanziaria menzionata al punto 2, secondo trattino, supra, viola gli articoli 26, 27 e 106 del regolamento di esecuzione (UE) n. 543/2011 della Commissione, del 7 giugno 2011, recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 1234/2007 nei settori degli ortofrutticoli freschi e degli ortofrutticoli trasformati (GU 2011, L 157, pag. 1), nonché l’articolo 155 del regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli e che abroga i regolamenti (CEE) n. 922/72, (CEE) n. 234/79, (CE) n. 1037/2001 e (CE) n. 1234/2007 del Consiglio (GU 2013, L 347, pag. 671), per quanto riguarda il controllo essenziale n. 1 relativo ai controlli per stabilire l’accesso all’aiuto richiesto.

144    Il quinto motivo di ricorso verte sul fatto che la decisione impugnata, là dove prevede la rettifica finanziaria menzionata al punto 2, secondo trattino, supra, viola gli articoli 31 e 106 del regolamento di esecuzione n. 543/2011, nonché il regolamento delegato (UE) n. 499/2014 della Commissione, dell’11 marzo 2014, che integra i regolamenti n. 1308/2013 e n. 1306/2013 attraverso la modifica del regolamento di esecuzione n. 543/2011 per quanto riguarda i settori degli ortofrutticoli freschi e degli ortofrutticoli trasformati (GU 2014, L 145, pag. 5), a motivo del fatto che, riguardo al controllo essenziale n. 3, la decisione suddetta considera che esista un’insufficienza nel controllo del rispetto del «principio democratico» delle organizzazioni di produttori (OP).

1.      Sul quarto motivo di ricorso, relativo alla violazione degli articoli 26, 27 e 106 del regolamento di esecuzione n. 543/2011 e dellarticolo 155 del regolamento n. 1308/2013

145    Con la prima parte del quarto motivo, relativa alla violazione dell’articolo 106 del regolamento di esecuzione n. 543/2011, la Repubblica italiana contesta le carenze constatate dalla Commissione per quanto riguarda il controllo dell’ammissibilità del PO delle OP prima della sua approvazione, sotto il profilo della verifica della fondatezza delle stime dei prezzi per l’acquisto dei beni e dei servizi.

146    Con la seconda parte del quarto motivo, relativa alla violazione dell’articolo 155 del regolamento n. 1308/2013 e degli articoli 26 e 27 del regolamento di esecuzione n. 543/2011, per quanto riguarda il controllo essenziale n. 1, relativo ai controlli intesi a stabilire l’accesso all’aiuto, la Repubblica italiana contesta le carenze constatate dalla Commissione per quanto riguarda il controllo relativo alla concessione del riconoscimento dello status delle OP sotto il profilo dell’esternalizzazione della loro attività principale.

a)      Sulla prima parte del quarto motivo, riguardante il controllo dellammissibilità del PO delle OP prima della sua approvazione sotto il profilo della verifica della fondatezza delle stime dei prezzi per lacquisto dei beni e dei servizi 

147    Nell’ambito della prima parte del quarto motivo, la Repubblica italiana fa valere che la Commissione ha considerato, erroneamente, che il controllo dell’ammissibilità dei PO delle OP sotto il profilo della verifica della fondatezza delle stime dei prezzi per l’acquisto dei beni e dei servizi, effettuato nell’ambito degli esercizi finanziari dal 2014 al 2017, fosse insufficiente. Secondo la Repubblica italiana, la decisione impugnata è viziata da una violazione dell’articolo 106 del regolamento di esecuzione n. 543/2011, il quale prevede i controlli in loco relativi alle domande d’aiuto a favore dei PO.

148    In primo luogo, anzitutto, la Repubblica italiana osserva che la Commissione ha fondato le proprie conclusioni su un unico caso, quello dell’organizzazione di produttori Kiwi Sole, nel quale, per una spesa superiore a EUR 50 000, non vi era stata un’indagine di mercato fondata sull’acquisizione di almeno tre preventivi. Tuttavia, da un lato, questo caso isolato riguarderebbe una spesa che non è mai stata dichiarata e che è dunque inidonea ad arrecare pregiudizio al bilancio dell’Unione. Dall’altro, il caso suddetto sarebbe inidoneo a fondare l’esistenza di una carenza sistemica del controllo essenziale relativo all’ammissibilità dei PO delle OP.

149    Poi, nella replica, la Repubblica italiana contesta la mancanza di chiarezza del richiamo, effettuato dalla Commissione nel controricorso, degli elementi essenziali dell’indagine FV/2016/002/IT, a motivo del fatto che detta istituzione utilizza espressioni vaghe come «non sempre», «generalmente», «liste di controllo (…) non chiare». La Repubblica italiana fa valere che, se la Commissione avesse ritenuto che degli elementi forniti dalle autorità italiane non fossero chiari, sarebbe stata tenuta a richiedere informazioni supplementari. La Repubblica italiana sostiene che, nel corso del procedimento amministrativo, la Commissione non ha fatto alcun preciso riferimento alle presunte irregolarità dell’attività di controllo realizzata dalle autorità italiane. Quanto al documento allegato alla notifica delle conclusioni dell’8 luglio 2016 (menzionata al punto 32 supra), esso conterrebbe unicamente un elenco di OP sottoposte ad un controllo documentale. Tale elenco non indicherebbe in maniera concreta le lacune in materia di esecuzione dei controlli relativi alla fondatezza delle stime dei prezzi specificamente constatate riguardo alle OP contenute nell’elenco. Inoltre, le censure sollevate dalla Commissione in occasione dell’indagine sarebbero assai generiche e avrebbero impedito alle autorità italiane di comprenderne la portata al fine di esercitare pienamente i loro diritti della difesa. Oltre a ciò, tali censure non sarebbero supportate da alcun elemento. Infatti, secondo la Repubblica italiana, la Commissione utilizza i casi di diverse OP per giustificare il carattere sistemico della carenza di controlli della fondatezza delle stime dei prezzi. Tuttavia, la Commissione non preciserebbe da quali documenti essa ricavi tali conclusioni (check-list, fascicoli istruttori, verbali di controllo, etc.).

150    Infine, risulterebbe dalla normativa italiana che per gli investimenti superiori a EUR 50 000 devono essere presentati vari preventivi. Inoltre, tre preventivi verrebbero acquisiti e controllati sia in fase di approvazione delle spese per la verifica dell’affidabilità delle stime, sia in fase di verifica della rendicontazione al fine di controllare la coerenza tra le spese programmate ed approvate e la realizzazione delle stesse.

151    In secondo luogo, la Commissione non avrebbe preso in considerazione, erroneamente, l’elenco più completo dei controlli effettuati, il quale dimostra che, per gli investimenti di valore superiore a EUR 50 000, le regioni italiane avevano autorizzato gli acquisti unicamente dopo la presentazione di tre preventivi, come previsto dalla normativa nazionale. Infatti, le autorità italiane avrebbero fornito alla Commissione, mediante nota dell’AGEA del 21 aprile 2017, un elenco di casi di investimenti che dimostrerebbe che gli acquisti per un importo superiore a EUR 50 000 sarebbero sempre stati autorizzati dalle regioni dopo la presentazione sistematica e ricorrente di tre preventivi.

152    In terzo luogo, per quanto riguarda gli investimenti di valore inferiore a EUR 50 000, la normativa nazionale e dell’Unione non avrebbe previsto l’obbligo di previa acquisizione di tre preventivi. La Repubblica italiana aggiunge che gli importi globalmente concessi per investimenti inferiori alla soglia di EUR 50 000 rappresentavano appena una percentuale compresa tra l’1,97 e l’1,98% dell’importo complessivo del finanziamento. Pertanto, le spese inferiori a EUR 50 000 rappresenterebbero una quota trascurabile. Dunque, la rettifica finanziaria applicata in rapporto al rischio sopportato dal Fondo si rivelerebbe sproporzionata. Infine, malgrado l’assenza di un obbligo in tal senso, la Regione Lazio avrebbe, con decisione del 19 luglio 2016, rafforzato le procedure di stima relative al controllo dell’ammissibilità dei PO, prevedendo l’acquisizione di tre preventivi anche per le spese inferiori alla soglia di EUR 50 000. La nuova regolamentazione della Regione Lazio sarebbe stata applicata a partire dall’anno 2016 e avrebbe riguardato l’aggiornamento dei PO della maggior parte delle OP della Regione suddetta già nel corso dell’anno 2016. Pertanto, la rettifica finanziaria non sarebbe giustificata.

153    La Commissione contesta le allegazioni della Repubblica italiana.

154    In via preliminare, occorre ricordare che il regolamento (CE) n. 1234/2007, del 22 ottobre 2007, recante organizzazione comune dei mercati agricoli e disposizioni specifiche per taluni prodotti agricoli (regolamento unico OCM) (GU 2007, L 299, pag. 1), stabilisce segnatamente le regole riguardanti il riconoscimento e il funzionamento delle OP. Queste ultime devono tra l’altro permettere di elaborare una programmazione comune della produzione dei loro associati e di adattarla alla domanda.

155    L’articolo 100 del regolamento di esecuzione n. 543/2011, intitolato «Procedura di presentazione delle domande», così dispone:

«Fatte salve eventuali disposizioni specifiche del presente regolamento, gli Stati membri stabiliscono procedure appropriate per la presentazione delle domande di aiuto, delle richieste di riconoscimento o di approvazione del programma operativo, nonché delle domande di pagamento».

156    L’articolo 101 del medesimo regolamento, intitolato «Campionamento», recita:

«Ove è opportuno eseguire controlli a campione, gli Stati membri assicurano, sulla base di un’analisi dei rischi, che i controlli siano adeguati, per natura e frequenza, alla misura interessata».

157    L’articolo 104, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione n. 543/2011 è redatto nei seguenti termini:

«2.      Prima di approvare un programma operativo ai sensi dell’articolo 64, l’autorità competente dello Stato membro verifica con tutti i mezzi appropriati, compresi i controlli in loco, il programma operativo presentato per approvazione e le eventuali domande di modifica. Detti controlli riguardano in particolare:

(…)

d)      la coerenza e la qualità tecnica dei programmi, la fondatezza delle stime e del piano di aiuti, nonché la programmazione della relativa esecuzione. I controlli verificano inoltre se sono stati stabiliti obiettivi misurabili, in modo che se ne possa sorvegliare la realizzazione, e se gli obiettivi fissati possono essere raggiunti attuando le misure proposte e

e)      la conformità degli interventi oggetto della domanda di aiuto con la pertinente normativa dello Stato membro e dell’Unione, in particolare in materia di appalti pubblici, aiuti di Stato e altri requisiti obbligatori prescritti dalla normativa nazionale o stabiliti dalla disciplina nazionale o dalla strategia nazionale».

158    L’articolo 106 del regolamento di esecuzione n. 543/2011 prevede quanto segue:

«1.      Nell’ambito della verifica delle domande di aiuto di cui all’articolo 69, paragrafo 1, gli Stati membri eseguono controlli in loco presso le organizzazioni di produttori per accertare l’osservanza delle condizioni prescritte per la concessione dell’aiuto o del relativo saldo per l’anno considerato.

Detti controlli riguardano in particolare:

a)      il rispetto dei criteri di riconoscimento per l’anno considerato;

b)      l’utilizzo del fondo di esercizio nell’anno considerato, comprese le spese dichiarate nelle domande di anticipi o di pagamenti parziali, il valore della produzione commercializzata, i contributi al fondo di esercizio e la giustificazione delle spese dichiarate mediante documenti contabili o di altra natura;

(…)

2.      I controlli di cui al paragrafo 1 riguardano ogni anno un campione significativo di domande. Il campione rappresenta almeno il 30% dell’importo totale dell’aiuto richiesto negli Stati membri con più di 10 organizzazioni di produttori riconosciute. Negli altri casi, ciascuna organizzazione di produttori è oggetto di una visita almeno una volta ogni tre anni.

Prima del versamento dell’aiuto o del saldo relativo all’ultimo anno del programma operativo, ogni organizzazione di produttori è sottoposta ad almeno un controllo.

3.      I risultati dei controlli in loco sono valutati per determinare se gli eventuali problemi riscontrati abbiano carattere sistematico e comportino quindi un fattore di rischio per altre azioni analoghe, altri beneficiari o altri organismi. La valutazione individua altresì le cause di tali situazioni e indica ogni ulteriore esame ritenuto necessario e le opportune misure preventive e correttive.

Se dai controlli emergono irregolarità di rilievo in una regione o parte di essa o presso una determinata organizzazione di produttori, lo Stato membro effettua controlli supplementari nel corso dell’anno e aumenta la percentuale delle domande da controllare l’anno successivo.

4.      Lo Stato membro determina le organizzazioni di produttori da controllare sulla base di un’analisi dei rischi.

L’analisi dei rischi tiene conto in particolare dei seguenti elementi:

a)      l’importo dell’aiuto;

b)      le risultanze dei controlli degli anni precedenti;

c)      un elemento casuale e

d)      altri parametri fissati dagli Stati membri».

159    Occorre verificare se la Repubblica italiana abbia presentato la prova dell’inesattezza delle constatazioni della Commissione, in conformità della giurisprudenza menzionata ai punti da 68 a 71 supra.

160    Nel caso di specie, come giustamente affermato dalla Commissione, e senza che ciò venisse del resto contestato dalla Repubblica italiana nella replica, la disposizione pertinente è l’articolo 104, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione n. 543/2011, il quale definisce i controlli, compresi i controlli in loco, che l’autorità competente dello Stato membro deve effettuare prima di approvare il PO presentato per approvazione e, eventualmente, le domande di modifica. Questi controlli hanno ad oggetto segnatamente «la coerenza e la qualità tecnica dei programmi, la fondatezza delle stime e del piano di aiuti, nonché la programmazione della relativa esecuzione» (v. punto 157 supra).

161    A questo proposito, è importante ricordare come dalla relazione di sintesi risulti che, secondo la Commissione, i controlli dell’ammissibilità del PO che dovevano essere effettuati dalle autorità nazionali prima dell’approvazione e della modifica di tale programma non erano conformi agli articoli 100 e 104 del regolamento di esecuzione n. 543/2011, dato che essi non offrivano garanzie sufficienti quanto alla fondatezza delle stime dei prezzi. Nella suddetta relazione di sintesi, viene indicato che l’insufficienza che aveva generato il rischio che degli investimenti sovrastimati fossero approvati e che dunque venissero effettuati pagamenti eccessivi, costituiva il motivo giustificativo dell’esclusione delle spese dal finanziamento del FEAGA. La relazione di sintesi fa altresì riferimento alle osservazioni delle autorità italiane secondo cui il regime nazionale prevede l’obbligo, per le OP, di presentare tre offerte unicamente quando il valore degli investimenti eccede EUR 50 000. A questo proposito, la relazione di sintesi precisa che, secondo la Commissione, le prove raccolte nel corso degli audit dimostravano che, in generale, le autorità italiane approvavano investimenti superiori a EUR 50 000 sulla base di un’unica offerta. Per contro, la Commissione riteneva che la presentazione di un’offerta unica per le attrezzature di valore inferiore a EUR 50 000 dimostrasse l’assenza di un raffronto adeguato e non garantisse che le stime di costo fossero sufficientemente affidabili per quanto riguarda i programmi operativi dal 2013 al 2016.

162    Nella relazione di sintesi viene inoltre indicato che, secondo la Commissione, la popolazione a rischio non doveva essere limitata a quella relativa agli investimenti inferiori a EUR 50 000, rappresentanti unicamente il 2% dell’importo totale versato, ma doveva includere anche quella relativa agli investimenti superiori a EUR 50 000. Se la Commissione ha preso in considerazione il fatto che le autorità italiane avevano fornito un calcolo più preciso del danno finanziario per il Fondo, a seguito del parere dell’organo di conciliazione, essa ha comunque considerato che la «popolazione» a rischio da prendere in considerazione era la più ampia, la quale assorbiva le altre «popolazioni» di spese interessate da questa carenza di controlli. Di conseguenza, è su questa «popolazione» a rischio più ampia, ossia quella relativa sia agli investimenti superiori a EUR 50 000 che a quelli inferiori a tale soglia, che la Commissione ha applicato una rettifica forfettaria del 5%. Infine, la relazione di sintesi precisa che, secondo la Commissione, l’accettazione della proposta delle autorità italiane di applicare la rettifica su una «popolazione» di spese limitata non ha rimesso in discussione la pertinenza della censura formulata nella lettera di conciliazione riguardo all’insufficienza dei controlli.

163    In primo luogo, dall’allegato alla notifica delle conclusioni dell’8 luglio 2016 (menzionato al punto 32 supra) risulta che la Commissione, per concludere per l’esistenza di un’insufficienza di natura sistemica dei controlli preventivi dei PO in conformità delle disposizioni dell’articolo 104, paragrafo 2, lettera d), del regolamento di esecuzione n. 543/2011, si è fondata sull’esame dei fascicoli di nove OP ed ha proceduto a dei controlli in loco per quattro delle suddette OP. In detto allegato, la Commissione ha comunicato alle autorità italiane l’elenco delle OP che erano state oggetto di verifiche.

164    Inoltre, nella lettera di conciliazione del 23 novembre 2017, la Commissione ha precisato che, in occasione della riunione bilaterale del 18 gennaio 2017 (v. punto 34 supra), le autorità italiane avevano riconosciuto che le lacune osservate non riguardavano una sola OP e avevano di conseguenza chiesto maggiori informazioni. Tale lettera contiene, nel suo allegato 3, l’elenco di cinque OP nelle quali erano state constatate delle carenze in materia di esecuzione dei controlli relativi alla fondatezza delle stime dei prezzi.

165    Risulta dalle lettere menzionate ai punti 163 e 164 supra che, contrariamente a quanto asserito dalla Repubblica italiana, la Commissione non si è limitata a fornire un elenco di OP senza indicare in maniera concreta le carenze in materia di esecuzione dei controlli relativi alla fondatezza delle stime dei prezzi specificamente constatate in relazione alle OP figuranti sull’elenco. Infatti, nelle lettere in questione, viene precisato che l’esame dei fascicoli ha permesso alla Commissione di constatare che, per alcuni aspetti del PO, quali le attrezzature delle OP per il raccolto oppure i servizi degli organizzatori di eventi, non erano state riscontrate prove evidenti che le autorità di controllo avessero adeguatamente verificato l’affidabilità delle stime di prezzo e la ragionevolezza del livello dei costi degli investimenti prima dell’approvazione dei suddetti programmi e delle relative modifiche. È sulla scorta di queste considerazioni che la Commissione ha concluso che i fascicoli sottoposti a verifica si fondavano, in genere, su un’unica offerta o non contenevano studi di mercato, un elenco comparativo dei prezzi o i criteri dettagliati utilizzati per il calcolo dei costi, e che le autorità italiane non avevano proceduto a controlli incrociati con i prezzi del mercato. Infine, la Commissione ha considerato che l’elenco dei controlli fornito dalle autorità italiane non era chiaro per quanto riguardava l’esecuzione effettiva delle verifiche delle stime dei prezzi.

166    Quanto alla contestazione del carattere generico e impreciso delle censure della Commissione intese a far valere l’insufficienza dei controlli della fondatezza delle stime dei prezzi per quanto riguarda le organizzazioni di produttori diverse dalla Kiwi Sole, il quale avrebbe impedito l’esercizio dei diritti della difesa della Repubblica italiana, occorre notare come risulti dai documenti ufficiali, quali direttive esecutive o decisioni di gestione, mediante le quali gli anni dei PO o le loro modifiche sono stati individualmente approvati nel corso di un determinato anno, che le autorità italiane non hanno effettuato i controlli richiesti dall’articolo 104, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione n. 543/2011.

167    Più precisamente, dalla lettura della determinazione dirigenziale della Regione Abruzzo, adottata in data 10 gennaio 2014 relativamente all’approvazione dell’annualità 2014 del PO presentato dall’OP Meteora Società agricola a.r.l, non emerge alcun riferimento al fatto che sia stato effettuato un controllo specifico e dettagliato della fondatezza delle stime dei costi delle misure previste e approvate per l’anno 2014. Oltre a ciò, l’approvazione regionale del PO non contiene elementi che permettano di valutare se il controllo della fondatezza delle stime dei prezzi abbia avuto luogo. Tale approvazione si limita a osservare che, sulla base delle verifiche contenute nell’elenco dei controlli allegato, il PO è conforme alla normativa dell’Unione e, in particolare, al regolamento di esecuzione n. 543/2011. Tale elenco allegato non mostra che sia stato effettuato un controllo della fondatezza delle stime dei prezzi. La medesima conclusione, vale a dire l’assenza di una dimostrazione della verifica della fondatezza delle stime dei prezzi, può essere formulata per quanto riguarda le OP Associazione Ortofrutticola Molisana (in prosieguo: la «AOM») della regione del Molise, la CO.VAL.PA. della regione dell’Abruzzo e la Funghidea della regione del Lazio.

168    Pertanto, alla luce di quanto sopra esposto, occorre constatare che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Repubblica italiana, la Commissione non si è limitata a comunicare un elenco di OP. Essa ha anche chiarito le ragioni che l’hanno indotta a ritenere che, relativamente a tali OP, la verifica della fondatezza delle stime dei prezzi da parte delle autorità italiane fosse insufficiente. La Repubblica italiana non può dunque sostenere che i suoi diritti della difesa siano stati violati.

169    Per quanto concerne l’OP Kiwi Sole della regione del Lazio, nella notifica delle conclusioni dell’8 luglio 2016 (v. punto 32 supra) viene indicato che l’audit aveva messo in luce che tale OP aveva presentato una sola offerta di valore superiore a EUR 50 000, al fine di investire in macchinari per il raccolto, e che le autorità italiane avevano prontamente accettato la spiegazione fornita dalla OP, ossia che si trattava di un tipo unico di attrezzatura per il raccolto, concepito proprio per rispondere alle esigenze dell’organizzazione suddetta. Tuttavia, la Commissione, sottoponendo gli eventuali fornitori di questo tipo di attrezzatura per il raccolto ad un doppio controllo, aveva identificato attrezzature simili presso altri due fornitori in Italia. È così che nella notifica delle conclusioni dell’8 luglio 2016 la Commissione ha concluso che gli investimenti erano stati realizzati senza che la validità delle stime dei prezzi fosse adeguatamente controllata, come richiesto dall’articolo 104, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione n. 543/2011 ed ha ritenuto che il costo approvato potesse essere stato sovrastimato, determinando così un pagamento eccessivo.

170    Vero è che, come afferma la Repubblica italiana, l’investimento per acquistare una nuova macchina ad un prezzo superiore a EUR 50 000 proponendo una modifica dell’OP Kiwi Sole non è stato riportato nella dichiarazione delle spese. Tuttavia, è giocoforza constatare che, come evidenziato dalla Commissione, questa OP ha presentato una domanda di modifica del proprio programma, al fine di acquistare un’altra macchina ad un prezzo inferiore a EUR 50 000 e presentante caratteristiche tecniche diverse da quella inizialmente approvata nel quadro del PO, senza addurre una giustificazione e senza nuovamente fornire vari preventivi. Inoltre, la risposta della Repubblica italiana, fondata sul fatto che, in virtù della normativa italiana, la suddetta OP non era tenuta a presentare varie offerte in quanto l’investimento era in definitiva inferiore a EUR 50 000, non fa che confermare la costatazione generale della Commissione secondo cui vi è un’insufficienza di natura sistemica nel controllo della verifica della fondatezza delle stime dei prezzi indipendentemente dall’importo dell’investimento da effettuare. Infatti, la circostanza che la legislazione non imponesse di acquisire previamente tre preventivi per gli investimenti inferiori a EUR 50 000 non può giustificare, come sostenuto dalla Commissione, che questo tipo di investimenti fosse effettuato senza un adeguato controllo della fondatezza delle stime dei prezzi, come richiesto dall’articolo 104, paragrafo 2, lettera d), del regolamento di esecuzione n. 543/2011.

171    In secondo luogo, per quel che riguarda la mancata presa in considerazione, da parte della Commissione, dell’elenco delle OP fornito dalle autorità italiane per mostrare diversi casi nei quali l’obbligo di presentare tre offerte per gli investimenti superiori EUR 50 000 era stato rispettato, occorre rilevare che, indubbiamente, ai sensi dell’articolo 101 del regolamento di esecuzione n. 543/2011, spetta agli Stati membri assicurarsi, sulla base di un’analisi dei rischi, che la natura e la frequenza dei controlli siano adeguati alla misura in questione. Tuttavia, deve essere possibile verificare che il campione sia stato scelto sulla base di un’analisi dei rischi o in maniera aleatoria. Nel caso di specie, le autorità italiane non hanno fornito alcuna spiegazione riguardo al metodo utilizzato per effettuare la selezione dei casi menzionati nell’elenco. La Commissione ha dunque giustamente ritenuto di non poter prendere in considerazione l’elenco fornito dalle suddette autorità al fine di escludere l’esistenza di una carenza di natura sistemica in relazione alla verifica della fondatezza delle stime dei prezzi prima dell’approvazione del PO o prima della sua modifica. Inoltre, è vero che, per quanto riguarda l’OP Consorzio Jonico ortofrutticoltori – soc.coop., la Repubblica italiana ha fornito la dimostrazione che vi erano stati tre preventivi relativi all’acquisto di insacchettatrici e di altri prodotti. Tuttavia, come evidenziato dalla Commissione, manca la prova che questi preventivi siano stati presentati prima dell’approvazione del PO o prima della sua modifica. Infatti, come sottolineato dalla Commissione, la presentazione di fatture alle autorità competenti allo stesso tempo delle offerte corrispondenti non dimostra che i controlli siano stati effettuati prima dell’approvazione del PO o nella fase della dichiarazione delle spese. Al contrario, ciò dimostra piuttosto che il campione selezionato dalle autorità italiane non è idoneo a comprovare che la verifica della fondatezza delle stime dei prezzi sia stata effettuata in conformità della normativa dell’Unione, vale a dire prima dell’approvazione o prima della modifica del PO.

172    Ne consegue, inoltre, che la Repubblica italiana non ha dimostrato che la Commissione si sia fondata su un unico caso, vale a dire quello dell’OP Kiwi Sole, allorché essa ha concluso per l’esistenza di una carenza di natura «sistemica» nella verifica della fondatezza delle stime dei prezzi.

173    In terzo luogo, occorre respingere gli argomenti della Repubblica italiana secondo cui la rettifica finanziaria applicata si rivelerebbe sproporzionata in quanto, da un lato, il rischio per il Fondo, risultante dagli investimenti inferiori a EUR 50 000 che hanno costituito l’oggetto di dichiarazione delle spese per gli anni 2013 e 2014 per le OP pagate dall’AGEA, corrisponderebbe ad un importo assai esiguo e, dall’altro, la Regione Lazio avrebbe adottato e applicato, a partire dall’anno 2016, una nuova normativa che garantiva la verifica della fondatezza delle stime dei prezzi relativamente ai PO della maggioranza delle OP della regione suddetta.

174    A questo proposito, occorre rilevare come risulti dalla lettera Ares del 24 febbraio 2017 (v. punto 34 supra) che la Commissione ha preso atto del progetto di modifica della normativa italiana adottata e applicata dalla Regione Lazio a partire dall’anno 2016. Tuttavia, essa ha considerato che tale modifica non rimetteva in discussione la costatazione di una carenza sistematica dei controlli preliminari dei PO in riferimento all’articolo 104, paragrafo 2, lettera d), del regolamento di esecuzione n. 543/2011.

175    Inoltre, da un lato, occorre osservare che la normativa in questione è stata adottata in una data successiva a quella dell’audit che è stato effettuato nel marzo 2016. Pertanto, tale normativa ha avuto un’incidenza sul procedimento che si è svolto dal settembre al dicembre 2016 e che riguarda l’approvazione dei PO per l’esercizio 2017. Per contro, essa non ha avuto alcun impatto sui programmi operativi relativi agli esercizi da 2013 a 2016. Dall’altro lato, anche supponendo che, come sostiene la Repubblica italiana, la normativa in questione, prevedendo la presentazione di tre offerte per gli investimenti inferiori a EUR 50 000, si sia applicata a partire dall’anno 2016 per le modifiche dei PO richieste dopo il luglio 2016, occorre considerare, al pari della Commissione, che l’incidenza della diminuzione della popolazione interessata da tale normativa non risulterebbe significativa. Infatti, essa coprirebbe soltanto gli investimenti inclusi nei PO delle OP della regione del Lazio che costituiscono l’oggetto di una domanda di modifica nel secondo semestre dell’attuazione dei suddetti programmi.

176    Alla luce dell’insieme delle considerazioni sopra esposte, occorre constatare che la Repubblica italiana non ha dimostrato l’inesattezza delle constatazioni della Commissione. Inoltre, come giustamente sostenuto dalla Commissione, la Repubblica italiana fa riferimento in modo erroneo all’articolo 106 del regolamento di esecuzione n. 543/2011. Infatti, come risulta dalla notifica delle conclusioni dell’8 luglio 2016, dalla lettera Ares(2017) 1011558, del 24 febbraio 2017, e dalla relazione di sintesi, il controllo essenziale il cui mancato rispetto viene addebitato alle autorità italiane è contemplato dall’articolo 104 del regolamento di esecuzione n. 543/2011.

177    Occorre dunque respingere la prima parte del quarto motivo di ricorso.

b)      Sulla seconda parte del quarto motivo di ricorso, relativa alla violazione dellarticolo 155 del regolamento n. 1308/2013 e degli articoli 26 e 27 del regolamento di esecuzione n. 543/2011, per quanto riguarda il controllo del riconoscimento dello status delle OP sotto il profilo dellesternalizzazione della loro attività principale 

178    La Repubblica italiana fa valere che la decisione impugnata è illegittima per violazione o per erronea applicazione dell’articolo 155 del regolamento n. 1308/2013 nonché degli articoli 26 e 27 del regolamento di esecuzione n. 543/2011. Infatti, la Commissione avrebbe a torto ritenuto che le OP fossero state indebitamente riconosciute senza verifica delle attività principali esternalizzate e che pertanto potessero essersi verificati pagamenti a OP che non vi avevano diritto.

179    Più precisamente, la Repubblica italiana ritiene che la censura della Commissione relativa all’esistenza di una carenza nei controlli dell’esternalizzazione delle attività delle OP si basi su un’interpretazione erronea, da un lato, dell’articolo 125 quinquies del regolamento n. 1234/2007 e, dall’altro, dell’articolo 155 del regolamento n. 1308/2013 il quale sarebbe applicabile ratione temporis. Secondo la Repubblica italiana, queste due disposizioni prevedono la possibilità, per lo Stato membro, di autorizzare le OP già riconosciute ad esternalizzare alcune attività. Le suddette disposizioni non prevedrebbero l’obbligo di effettuare prima della fase di riconoscimento verifiche dell’intenzione di esternalizzare alcune attività. Le autorità italiane avrebbero dunque debitamente effettuato il controllo dell’esternalizzazione in occasione della fase successiva a quella del riconoscimento. D’altronde, nessuna OP avrebbe proceduto alla benché minima esternalizzazione nel corso dei periodi di riferimento. L’osservazione formulata dai servizi della Commissione relativa alla mancanza di prova di tale allegazione negativa sarebbe contraria alla logica, nella misura in cui non potrebbe essere richiesta la prova di fatti negativi.

180    Per quanto riguarda l’OP Funghidea, la verifica dell’esternalizzazione, effettuata nella fase del mantenimento del riconoscimento già concesso, avrebbe mostrato che l’esternalizzazione delle attività di assistenza tecnica in materia di coltivazione di funghi riguardava un’attività accessoria rispetto all’attività principale dell’OP di commercializzazione di prodotti agricoli.

181    Per quanto riguarda l’OP Consorzio Valli Trentine, la Commissione avrebbe rilevato, a torto, un’insufficienza dei controlli da parte delle autorità italiane per quanto riguardava l’esternalizzazione, da parte di questa OP, della sua attività principale. Infatti, i controlli sarebbero stati effettuati in maniera corretta, in quanto avrebbero portato alla revoca, nel 2015, del riconoscimento concesso nel 2014, per effetto della constatazione del mancato rispetto dei requisiti richiesti, e all’esclusione dell’OP in questione dal beneficio degli aiuti.

182    La Commissione contesta gli argomenti della Repubblica italiana.

183    La seconda parte del quarto motivo di ricorso verte, in sostanza, sulla conclusione della Commissione secondo cui i controlli effettuati dalle autorità italiane riguardo ai requisiti imposti dal diritto dell’Unione affinché gli Stati membri possano riconoscere dei raggruppamenti di produttori di prodotti ortofrutticoli quali OP erano insufficienti. Più precisamente, la Commissione ha contestato alla Repubblica italiana una carenza nel controllo del criterio dell’esternalizzazione delle attività delle OP sia nella fase della concessione del riconoscimento che nella fase della verifica del rispetto dei requisiti per il mantenimento di tale riconoscimento.

184    In via preliminare, occorre sottolineare che il legislatore dell’Unione conferisce alle OP un ruolo importante nel quadro della PAC di cui esse assicurano, al loro livello, il funzionamento decentralizzato. Per poter svolgere questo ruolo, le OP, segnatamente nel settore dei prodotti ortofrutticoli, si vedono concedere alcuni poteri e hanno accesso ad un notevole finanziamento pur avendo la possibilità, a determinate condizioni, di esternalizzare qualsivoglia loro attività (v., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Wahl nella causa Fruition Po, C‑500/11, EU:C:2013:259, paragrafi da 24 a 31).

185    Quanto agli obiettivi delle OP nel settore dei prodotti ortofrutticoli, l’articolo 122, primo comma, del regolamento n. 1234/2007 dispone quanto segue:

«Gli Stati membri riconoscono le organizzazioni di produttori che:

(…)

c)      perseguono una finalità specifica, che in particolare può includere o, nel caso del settore ortofrutticolo, include uno o più tra gli obiettivi seguenti:

i)      assicurare che la produzione sia pianificata e adeguata in funzione della domanda, in particolare in termini [di] qualità e quantità;

ii)      concentrare l’offerta ed immettere sul mercato la produzione dei propri aderenti;

iii)      ottimizzare i costi di produzione e stabilizzare i prezzi alla produzione».

186    Del pari, l’articolo 152 del regolamento n. 1308/2013 recita:

«Gli Stati membri possono riconoscere, su richiesta, le organizzazioni di produttori che:

a)      sono costituite e controllate a norma dell’articolo 153, paragrafo 2, lettera c), da produttori di un settore specifico elencato all’articolo 1, paragrafo 2;

b)      sono costituite su iniziativa dei produttori;

c)      perseguono una finalità specifica, che può includere almeno uno dei seguenti obiettivi:

i)      assicurare che la produzione sia pianificata e adeguata alla domanda, in particolare in termini di qualità e quantità;

ii)      concentrare l’offerta ed immettere sul mercato la produzione dei propri aderenti, anche attraverso la commercializzazione diretta;

iii)      ottimizzare i costi di produzione e la redditività dell’investimento in risposta alle norme applicabili in campo ambientale e di benessere degli animali e stabilizzare i prezzi alla produzione;

(…)».

187    Inoltre, l’articolo 125 ter, paragrafo 1, del regolamento n. 1234/2007 prevede quanto segue:

«Gli Stati membri riconoscono come organizzazione di produttori nel settore ortofrutticolo qualsiasi persona giuridica o una sua parte chiaramente definita che ne faccia richiesta, a condizione che:

(…)

c)      offra sufficienti garanzie circa la realizzazione, la durata e l’efficienza delle proprie attività, nonché la concentrazione dell’offerta (…)».

188    In modo simile, l’articolo 154, paragrafo 1, del regolamento n. 1308/2013 enuncia quanto segue:

«[Perché] uno Stato [membro] riconosca un’organizzazione di produttori, l’organizzazione di produttori che chiede tale riconoscimento deve essere [un’entità] giuridica o una sua parte chiaramente definita, che:

(…)

c)      offra sufficienti garanzie circa il corretto svolgimento della propria attività, sia in termini di durata che di efficienza, di fornitura di assistenza ai propri aderenti mediante risorse umane, materiali e tecniche e, se del caso, di concentrazione dell’offerta;

(…)».

189    Il regolamento di esecuzione n. 543/2011 prevede, all’articolo 23, quanto segue:

«Gli Stati membri si accertano che le organizzazioni di produttori dispongano del personale, dell’infrastruttura e dell’attrezzatura necessari all’adempimento dei requisiti enunciati all’articolo 122[, primo comma, lettera c),] e all’articolo 125 ter, paragrafo 1, lettera e), del regolamento (CE) n. 1234/2007 e all’espletamento delle loro funzioni essenziali, ossia:

a)      la conoscenza della produzione dei loro soci,

b)      la raccolta, la cernita, il magazzinaggio e il condizionamento della produzione dei loro soci,

c)      la gestione commerciale e finanziaria e

d)      la contabilità centralizzata e un sistema di fatturazione».

190    Inoltre, l’articolo 26, paragrafo 1, del regolamento di esecuzione n. 543/2011 prevede:

«L’attività principale di un’organizzazione di produttori consiste nella concentrazione dell’offerta e nella commercializzazione dei prodotti dei soci per i quali è riconosciuta».

191    Riguardo all’esternalizzazione di attività, l’articolo 26, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento di esecuzione n. 543/2011, risultante dalla modificazione apportata dal regolamento delegato n. 499/2014, applicabile a far data dal 1° gennaio 2015, così dispone:

«La commercializzazione è effettuata dall’organizzazione di produttori, o sotto il suo controllo in caso di esternalizzazione di cui all’articolo 27. Essa comprende la decisione sul prodotto da vendere, la scelta del canale di distribuzione e, salvo vendita mediante asta, la negoziazione della quantità e del prezzo.

L’organizzazione di produttori tiene una documentazione, anche contabile, per almeno 5 anni, a dimostrazione del fatto che ha concentrato l’offerta e commercializzato i prodotti dei soci per i quali è riconosciuta».

192    Peraltro, l’articolo 27, paragrafi 1 e 2, del regolamento di esecuzione n. 543/2011, prima della sua modifica ad opera del regolamento delegato (UE) n. 499/2014, disciplinava l’esternalizzazione come segue:

«1.      Le attività la cui esternalizzazione può essere autorizzata da uno Stato membro in applicazione dell’articolo 125 quinquies del regolamento (CE) n. 1234/2007 possono includere, tra l’altro, la raccolta, il magazzinaggio, il condizionamento e la commercializzazione dei prodotti dei soci dell’organizzazione di produttori.

2.      Per esternalizzazione di un’attività di un’organizzazione produttori si intende un accordo commerciale concluso dalla medesima organizzazione di produttori con un altro soggetto, che può essere costituito anche da uno o più dei suoi soci o da una sua filiale, per l’esecuzione dell’attività prevista. L’organizzazione di produttori rimane tuttavia responsabile dell’esecuzione dell’attività e della gestione, del controllo e della supervisione complessivi dell’accordo commerciale finalizzato all’esecuzione di tale attività».

193    Il regolamento delegato n. 499/2014 ha modificato i paragrafi 1 e 2 dell’articolo 27 del regolamento n. 543/2011, i quali, nella loro nuova formulazione, applicabile a far data dal 1° gennaio 2015, così dispongono:

«1.      Le attività di cui uno Stato membro può consentire l’esternalizzazione a norma dell’articolo 155 del regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio riguardano gli obiettivi delle organizzazioni di produttori di cui all’articolo 152, paragrafo 1, lettera c), di detto regolamento e possono includere, tra l’altro, la raccolta, il magazzinaggio, il condizionamento e la commercializzazione dei prodotti dei soci dell’organizzazione di produttori.

2.      L’organizzazione di produttori che esternalizza un’attività conclude un accordo commerciale con contratto scritto con un altro soggetto, che può essere uno o più dei suoi soci o una sua filiale, ai fini dell’esecuzione dell’attività prevista. L’organizzazione di produttori rimane responsabile dell’esecuzione dell’attività esternalizzata e della gestione, del controllo e della supervisione complessivi dell’accordo commerciale per l’esecuzione di tale attività».

194    L’articolo 125 quinquies, del regolamento n. 1234/2007 enuncia quanto segue:

«Gli Stati membri possono autorizzare un’organizzazione di produttori riconosciuta o un’associazione di organizzazioni di produttori riconosciuta del settore ortofrutticolo ad esternalizzare una parte delle sue attività, anche a filiali, purché fornisca allo Stato membro sufficienti garanzie che si tratta di una soluzione adeguata per conseguire gli obiettivi dell’organizzazione di produttori o associazione di organizzazioni di produttori interessata».

195    Allo stesso modo, l’articolo 155 del regolamento n. 1308/2013 stabilisce:

«Gli Stati membri possono consentire a un’organizzazione di produttori riconosciuta o a un’associazione di organizzazioni di produttori riconosciuta, nei settori specificati dalla Commissione conformemente all’articolo 173, paragrafo 1, lettera f), di esternalizzare una qualsiasi delle proprie attività, eccezion fatta per la produzione, anche alle filiali, purché l’organizzazione di produttori o l’associazione di organizzazioni di produttori rimanga responsabile dell’esecuzione dell’attività esternalizzata e della gestione, del controllo e della supervisione complessivi dell’accordo commerciale finalizzato allo svolgimento di tale attività».

196    L’articolo 104, paragrafo 1, del regolamento di esecuzione n. 543/2011, collocato nel capo V di detto regolamento, intitolato «Disposizioni generali», e più precisamente nella sezione 2 di tale capo, relativa ai controlli, ha il seguente tenore:

«1.      Prima di riconoscere un’organizzazione di produttori ai sensi dell’articolo 125 ter, paragrafo 2, lettera a), del regolamento (CE) n. 1234/2007, gli Stati membri effettuano un sopralluogo presso l’organizzazione stessa per verificare il rispetto delle condizioni previste per il riconoscimento.

(…)».

197    L’articolo 106, paragrafo 1, del regolamento di esecuzione n. 543/2011 recita:

«1.      Nell’ambito della verifica delle domande di aiuto di cui all’articolo 69, paragrafo 1, gli Stati membri eseguono controlli in loco presso le organizzazioni di produttori per accertare l’osservanza delle condizioni prescritte per la concessione dell’aiuto o del relativo saldo per l’anno considerato.

Detti controlli riguardano in particolare:

a)      il rispetto dei criteri di riconoscimento per l’anno considerato;

(…)».

198    Anteposte queste precisazioni, occorre ricordare che risulta dalla relazione di sintesi che, secondo la Commissione, il sistema italiano dei controlli relativi alle OP e ai PO per gli esercizi da 2013 a 2016 presentava delle carenze nell’esecuzione di due controlli essenziali:

–        il controllo inteso a stabilire l’accesso all’aiuto richiesto, sotto il profilo, segnatamente, del controllo del riconoscimento dello status riguardo all’esternalizzazione dell’attività principale dell’OP (controllo essenziale n. 1);

–        l’esecuzione di un numero sufficiente di controlli in loco relativi alle domande di aiuto, sotto il profilo del controllo dei criteri di riconoscimento dell’esternalizzazione dell’attività principale dell’OP (controllo essenziale n. 3).

199    La relazione di sintesi indica che, in occasione dell’audit, la Commissione ha rilevato che le autorità italiane non avevano affrontato il problema della verifica del rispetto dei criteri stabiliti per l’eventuale esternalizzazione delle attività principali delle OP (controllo essenziale n. 1). A questo proposito, essa ha constatato che l’esame degli elenchi di controllo per la concessione del riconoscimento non permetteva di confermare chiaramente che il controllo incrociato dei criteri di riconoscimento fosse stato realmente effettuato nell’ambito del controllo in loco. La suddetta relazione di sintesi precisa, inoltre, che la Commissione ha altresì rilevato alcune carenze in materia di verifiche delle attività principali esternalizzate delle OP, in occasione della fase di controllo del mantenimento del riconoscimento (controllo essenziale n. 3). Più precisamente,  la Commissione ha identificato delle carenze per quanto riguardava l’esecuzione di un numero sufficiente di controlli in loco intesi ad accertare il rispetto dei criteri di riconoscimento delle OP, in riferimento, segnatamente, all’esternalizzazione dell’attività principale delle OP (lettera di conciliazione del 23 novembre 2017, sezione 1.2.3). Le carenze relative al controllo del rispetto della condizione per l’esternalizzazione vertevano sui PO per gli anni dal 2013 al 2015.

200    In primo luogo, occorre verificare se l’interpretazione propugnata dalla Repubblica italiana, secondo cui né la normativa nazionale né quella dell’Unione prevedono che, al momento della concessione del riconoscimento, venga verificata l’intenzione futura ed eventuale dell’OP di procedere all’esternalizzazione delle proprie attività. Più precisamente, si tratta di valutare se, come sostenuto dalla Repubblica italiana, il controllo del rispetto del criterio dell’esternalizzazione debba essere effettuato unicamente nella fase di verifica dei presupposti per il mantenimento del riconoscimento già concesso. La Repubblica italiana procede ad un’interpretazione siffatta fondandosi sulla lettura dell’articolo 125 quinquies del regolamento n. 1234/2007 e dell’articolo 155 del regolamento n. 1308/2013, nella versione applicabile ratione temporis. Essa fa segnatamente valere che la normativa dell’Unione applicabile ai controlli delle esternalizzazioni esclude chiaramente l’obbligo di effettuare dei controlli prima della fase di riconoscimento.

201    A questo proposito, occorre rilevare che, a mente del considerando 21 del regolamento di esecuzione n. 543/2011, «le attività principali ed essenziali di un’organizzazione di produttori devono avere per oggetto la concentrazione dell’offerta e la commercializzazione». Inoltre, risulta dalle disposizioni menzionate ai punti da 185 a 190 supra che gli Stati membri riconoscono come OP entità giuridiche che offrano garanzie sufficienti di poter realizzare convenientemente le loro attività sia nella durata che in termini di efficacia e di concentrazione dell’offerta. In altri termini, le organizzazioni in questione, per essere riconosciute, devono assicurare la corretta esecuzione delle loro attività sia sotto il profilo della durata, sia dal punto di vista dell’efficacia, della messa a disposizione effettiva di mezzi di assistenza umani, materiali e tecnici ai loro membri, e, se occorre, della concentrazione dell’offerta.

202    Il regolamento di esecuzione n. 543/2011, all’interno del suo titolo III «Organizzazioni di produttori», e più precisamente nel capo I, intitolato «Requisiti e riconoscimento», contiene, nella sezione II di tale capo, relativa ai «Requisiti applicabili alle organizzazioni di produttori», una disposizione, l’articolo 26, la quale ricorda che l’attività principale di una OP consiste nella concentrazione dell’offerta e nella commercializzazione dei prodotti dei membri dell’organizzazione per i quali è riconosciuta. Tale disposizione enuncia altresì che la commercializzazione viene effettuata dall’OP stessa, o sotto il controllo di quest’ultima in caso di esternalizzazione. L’esternalizzazione viene trattata più in dettaglio all’articolo 27 del regolamento di esecuzione n. 543/2011. Tale disposizione precisa, segnatamente, che l’esternalizzazione di un’attività di un’OP implica che quest’ultima rimane responsabile dell’esecuzione dell’attività esternalizzata nonché del controllo della gestione globale e della supervisione complessiva dell’accordo commerciale per l’esecuzione di tale attività.

203    Risulta dunque da quanto precede che, ai fini del riconoscimento quale OP, l’entità giuridica deve perseguire la propria attività principale consistente nella concentrazione dell’offerta e nella commercializzazione dei prodotti dei suoi membri direttamente o, in caso di esternalizzazione, rimanendo responsabile per l’esercizio di tale attività. Gli Stati membri sono tenuti ad effettuare dei controlli per assicurarsi che questo avvenga. Orbene, i controlli in questione vengono menzionati all’articolo 104 del regolamento di esecuzione n. 543/2011, intitolato «Concessione del riconoscimento e approvazione dei programmi operativi» e ai sensi del quale, «prima di riconoscere un’organizzazione di produttori», gli Stati membri effettuano un sopralluogo presso l’organizzazione stessa e verificano il rispetto delle condizioni previste per il riconoscimento. Tali condizioni, come si è appena chiarito, vengono enunciate segnatamente negli articoli 26 e 27 del regolamento di esecuzione n. 543/2011.

204    Alla luce di quanto sopra esposto, da un lato, la Commissione sostiene, giustamente, che, nell’ambito delle verifiche che occorre effettuare in vista della concessione del riconoscimento dello status di OP, occorre tener conto dei requisiti stabiliti dagli articoli 26 e 27 del regolamento di esecuzione n. 543/2011, ossia la valutazione delle attività principali esercitate dalle OP nonché di quelle che è permesso esternalizzare. Dall’altro lato, detta istituzione sostiene del pari giustamente che l’articolo 155 del regolamento n. 1308/2013 non è che un richiamo dell’articolo 27 del regolamento di esecuzione n. 543/2011, nella misura in cui tale disposizione stabilisce che gli Stati membri autorizzano le OP ad esternalizzare attività principali, fatte salve alcune eccezioni.

205    L’interpretazione di cui sopra risulta anche dalla giurisprudenza secondo cui l’esternalizzazione di attività non può in alcun caso permettere alle OP di sottrarsi alle condizioni cui esse sono assoggettate per essere riconosciute come tali, ivi compresa la condizione che impone a dette organizzazioni di offrire una garanzia sufficiente quanto alla realizzazione, alla durata e all’efficacia della loro azione (v. sentenza del 10 dicembre 2015, Belgio/Commissione, T‑563/13, non pubblicata, EU:T:2015:951, punto 54 e la giurisprudenza ivi citata). Inoltre, secondo la suddetta giurisprudenza, se un’OP potesse affidare a terzi l’esercizio, in piena autonomia e senza controlli, delle proprie attività essenziali, essa non sarebbe più in grado di vigilare continuativamente sul rispetto delle condizioni per il riconoscimento, ivi compresa quella che esige di garantire sempre un’esecuzione efficace delle suddette attività (v. sentenza del 10 dicembre 2015, Belgio/Commissione, T‑563/13, non pubblicata, EU:T:2015:951, punto 55 e la giurisprudenza ivi citata).

206    Pertanto, occorre respingere l’argomento della Repubblica italiana, relativo al fatto che la verifica del rispetto dei criteri stabiliti per l’esternalizzazione eventuale delle attività principali delle OP non deve essere effettuata al momento della concessione del riconoscimento, bensì unicamente nella fase del mantenimento del riconoscimento.

207    In secondo luogo, per quanto riguarda l’allegazione della Repubblica italiana secondo cui, in ogni caso, nessuna OP aveva proceduto all’esternalizzazione della propria attività principale nel corso del periodo di riferimento e secondo cui era dunque impossibile fornire le «prove» di un evento che non si era verificato, occorre osservare quanto segue.

208    In primis, nella misura in cui la Commissione ha concluso nel senso di un’insufficienza nel controllo della concessione del riconoscimento delle OP sotto il profilo del rispetto del criterio dell’esternalizzazione sulla base della propria analisi dell’elenco dei controlli effettuati per quanto riguarda le regioni pagate dall’AGEA a partire dal programma operativo PO del 2013, le autorità italiane non possono sostenere che esse dovevano fornire la prova «impossibile» di casi di OP che non avevano esternalizzato la propria attività. Infatti, le autorità italiane erano semplicemente tenute a fornire la prova «possibile» del fatto che dei controlli erano stati effettuati e che tali controlli vertevano segnatamente sulla verifica che l’OP esercitasse direttamente l’attività principale di concentrazione dell’offerta e di commercializzazione dei prodotti dei propri associati, oppure che essa la esternalizzava pur restandone responsabile.

209    In secundis, dato che una carenza inficiante il controllo del rispetto del criterio dell’esternalizzazione era stata constatata per gli anni dal 2013 al 2015 non soltanto per quanto riguardava la fase della concessione del riconoscimento, ma anche relativamente alla decisione di mantenimento del riconoscimento, a motivo del fatto che il manuale di controllo per il settore dei prodotti ortofrutticoli, utilizzato dalle autorità italiane, non prevedeva sufficienti dettagli in merito allo svolgimento di un controllo siffatto, la Repubblica italiana non può infirmare tale constatazione limitandosi a indicare che il caso dell’organizzazione di produttori Funghidea non era rappresentativo in quanto tale OP non aveva esternalizzato la propria attività principale. Infatti, anche volendo ammettere che l’OP in questione non avesse esternalizzato la propria attività principale, resta il fatto che un’osservazione siffatta non permette di confutare la costatazione della Commissione secondo cui il sistema di controllo istituito dalle autorità italiane, quale risultante segnatamente dal manuale di controllo per il settore dei prodotti ortofrutticoli, era insufficiente per quanto riguardava la verifica del rispetto delle condizioni per procedere ad una esternalizzazione in occasione della verifica del rispetto delle condizioni per il mantenimento del riconoscimento dello status di OP. Inoltre, per quanto riguarda l’argomento della Repubblica italiana secondo cui il manuale in questione doveva essere letto congiuntamente con la pertinente normativa nazionale e dell’Unione, occorre osservare che l’esistenza delle suddette normative non è sufficiente per dimostrare che dei controlli siano stati realmente effettuati conformemente a detta normativa.

210    Tale conclusione non è rimessa in discussione dall’argomento della Repubblica italiana secondo cui i controlli sarebbero stati puntualmente eseguiti nella fase di mantenimento del riconoscimento, per quanto riguarda l’esternalizzazione delle attività principali dell’OP.

211    Infatti, occorre osservare che la Commissione non ha ritenuto che i suddetti controlli fossero assenti. Come risulta dalla lettera di conciliazione del 23 novembre 2017 (sezione 1.1.2.2), la Commissione li ha considerati insufficienti, nel senso che essi non erano stati effettuati in maniera adeguata ed esaustiva. È a causa di detta insufficienza, osservata in relazione a tutte le OP esaminate in occasione dell’audit (v. lettera di conciliazione del 23 novembre 2017, sezione 1.2.3.2) ed il cui elenco era stato allegato alla notifica delle conclusioni dell’8 luglio 2016, che la Commissione ha ritenuto che le autorità italiane non avessero rispettato l’articolo 106 del regolamento di esecuzione n. 543/2011 riguardo alle verifiche dei requisiti previsti dagli articoli 26 e 27 di detto regolamento.

212    A questo proposito, da un lato, occorre notare, così come ha fatto la Commissione, che il caso dell’OP Consorzio Valli Trentine dimostra che, contrariamente a quanto affermato dalle autorità italiane, un caso di OP che aveva esternalizzato la propria attività principale esisteva. Infatti, risulta dal processo verbale di controllo del rispetto delle condizioni previste per il riconoscimento che l’attività di coordinamento commerciale era stata esternalizzata e che l’organo esecutivo provinciale aveva concesso il riconoscimento all’OP, mediante la decisione n. 2478, del 29 novembre 2013, a condizione che venissero effettuate ulteriori verifiche sull’esistenza dei requisiti per il riconoscimento. Dall’altro lato, questo caso dimostra anche che nessuna verifica riguardante il criterio dell’esternalizzazione è stata effettuata in occasione del riconoscimento definitivo, malgrado il fatto che tale verifica fosse indicata come necessaria nel verbale di controllo del rispetto delle condizioni per il riconoscimento.

213    Inoltre, le ragioni che avevano giustificato la revoca del riconoscimento disposto mediante la decisione n. 2362 dell’organo esecutivo provinciale del 18 dicembre 2015 non risiedevano nell’esito del controllo sul criterio dell’esternalizzazione, bensì nella scoperta di una frode connessa al requisito del volume della produzione commercializzata.

214    Dunque, il caso dell’OP Consorzio Valli Trentine non dimostra soltanto l’erroneità dell’allegazione secondo cui non vi sarebbero mai stati casi di esternalizzazione nel corso degli anni di riferimento, ma anche che vi è stata una carenza specifica nei controlli destinati a verificare il criterio dell’esternalizzazione nel caso in questione. Tale verifica si è svolta, per l’appunto, in maniera non adeguata, nel senso che essa si è limitata ad indicare semplicemente la presenza di un’attività esternalizzata nel processo verbale di controllo del rispetto delle condizioni per il riconoscimento. Alla luce di tale circostanza, il fatto che l’OP non abbia ricevuto alcun aiuto è privo di qualsiasi rilevanza al fine di confutare la censura relativa all’esistenza di una carenza di natura sistemica nei controlli sui criteri dell’esternalizzazione, nel quadro delle verifiche dei requisiti per il riconoscimento dello status di OP.

215    Alla luce dell’insieme delle considerazioni sopra esposte, l’allegazione secondo cui nessuna OP aveva proceduto ad una esternalizzazione, da un lato, non permette di confutare l’insufficienza dei controlli realizzati dalle autorità italiane dal punto di vista del rispetto del criterio dell’esternalizzazione e, dall’altro, non permette di escludere il rischio che alcune OP possano essere state indebitamente riconosciute e che dunque, pur non essendo legittimate, possano aver ricevuto degli aiuti. Pertanto, occorre riconoscere che la costatazione della mancanza di informazioni dettagliate nel manuale di controllo, non smentita dalle autorità italiane mediante la prova dell’esecuzione di un controllo effettivo delle OP sul piano dell’esternalizzazione, ha giustamente dato luogo ad un serio dubbio riguardo all’esistenza di una carenza sistemica nel controllo del rispetto dei requisiti per il riconoscimento e per il mantenimento di tale riconoscimento in capo ad una organizzazione di produttori sotto il profilo del criterio dell’esternalizzazione.

216    Pertanto, occorre constatare che la Commissione ha presentato degli elementi di prova idonei a giustificare un dubbio serio e ragionevole che essa nutriva riguardo al rispetto delle condizioni per il riconoscimento delle OP in riferimento al criterio dell’esternalizzazione, mentre la Repubblica italiana non ha, per parte sua, infirmato le constatazioni della Commissione mediante elementi di prova che dimostrassero l’esistenza di controlli sufficienti ai sensi della normativa dell’Unione ricordata ai punti da 185 a 197 supra.

217    Anche la seconda parte del quarto motivo di ricorso deve dunque essere respinta, come pure il quarto motivo nella sua interezza.

2.      Sul quinto motivo di ricorso, relativo alla violazione degli articoli 31 e 106 del regolamento di esecuzione n. 543/2011, nonché alla violazione del regolamento delegato n. 499/2014 per quanto riguarda il controllo essenziale n. 3

218    La Repubblica italiana fa valere, in sostanza, che la rettifica finanziaria menzionata al punto 2, secondo trattino, supra è stata applicata in violazione degli articoli 31 e 106 del regolamento di esecuzione n. 543/2011 e in violazione del regolamento delegato n. 499/2014.

219    Più precisamente, la Repubblica italiana contesta la fondatezza della censura della Commissione relativa all’insufficienza dei controlli riguardanti il rispetto del criterio della «democraticità» delle OP ispezionate durante l’audit e concernenti le regioni del Lazio e del Molise. Secondo la Repubblica italiana, la Commissione sostiene erroneamente che l’insufficienza di cui sopra derivava dal fatto che le autorità italiane si limitavano alla sola verifica dell’esistenza del processo verbale delle assemblee generali nonché di specifiche disposizioni statutarie. A tale titolo, la Repubblica italiana fa valere che, nel caso dell’OP Funghidea, la presenza di tutti i membri in occasione dell’assemblea generale risultava dal verbale di quest’ultima in data 2 gennaio 2014. Essa ne ha dedotto che ciò rendeva inutile la formazione di un elenco dettagliato dei partecipanti. In tale processo verbale, le quote che spettavano a ciascun membro sarebbero state indicate e nessun membro avrebbe disposto di una percentuale superiore al 35% dei diritti di voto e al 49% delle quote sociali. Al fine di dimostrare che nessun membro si trovava in una posizione dominante al momento del riconoscimento dell’OP Funghidea e che erano stati effettuati dei controlli in loco, le autorità italiane avrebbero fornito alla Commissione, in primo luogo, il verbale del 15 aprile 2015 formato dalle società di audit incaricate dei controlli, in secondo luogo, alcuni estratti del registro di commercio, in terzo luogo, l’aggiornamento delle quote sociali e dei diritti di voto e, in quarto luogo, alcuni regolamenti interni.

220    Inoltre, la Repubblica italiana ritiene che, al momento del riconoscimento dell’OP Funghidea, l’11 dicembre 2013, la normativa sul controllo delle partecipazioni non fosse ancora entrata in vigore.

221    Oltre a ciò, i fatti dimostrerebbero il carattere adeguato dei controlli effettuati dalle autorità italiane sotto il profilo del rispetto del criterio democratico in seno alle OP. Infatti, a seguito dell’entrata in vigore dell’articolo 31 del regolamento di esecuzione n. 543/2011, la Regione Lazio, di fronte alla domanda dell’OP Funghidea di modifica del proprio PO per l’anno 2016 per effetto di un aumento di capitale, le avrebbe inviato una lettera in cui contestava il superamento della percentuale delle quote sociali previste dalla normativa summenzionata. A seguito di tale comunicazione, l’OP in questione avrebbe prontamente reagito modificando le quote sociali.

222    Infine, per quanto riguarda l’OP Kiwi Sole, la Repubblica italiana sottolinea che questa organizzazione è una società cooperativa che, per la sua natura, non solleva alcun problema per quanto riguarda il rispetto del criterio democratico. Infatti, la normativa nazionale (articolo 2538 del codice civile italiano) prevedrebbe, per questo tipo di società, che ciascun membro disponga di un voto.

223    La Commissione contesta gli argomenti della Repubblica italiana.

224    Il considerando 27 del regolamento di esecuzione n. 543/2011 enuncia che, «[p]er garantire che le organizzazioni di produttori rappresentino realmente un numero minimo di produttori, è necessario che gli Stati membri prendano misure per evitare che una minoranza di soci, che eventualmente detengano la maggior quota del volume di produzione dell’organizzazione di produttori, eserciti un predominio abusivo sulla gestione e sul funzionamento dell’organizzazione».

225    L’articolo 31 del regolamento di esecuzione n. 543/2011, relativo al controllo democratico, nella sua versione precedente all’entrata in vigore del regolamento delegato n. 499/2014, così disponeva:

«1.      Gli Stati membri prendono le misure necessarie per evitare ogni abuso di potere o di influenza da parte di uno o più soci in relazione alla gestione e al funzionamento dell’organizzazione [di] produttori; tali misure riguardano tra l’altro i diritti di voto.

2.      Gli Stati membri possono adottare misure per limitare o vietare i poteri di una persona giuridica di modificare, approvare o respingere le decisioni di un’organizzazione di produttori che sia una parte chiaramente definita di tale persona giuridica».

226    L’articolo 53, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione n. 543/2011 ha il seguente tenore:

«Tutti i produttori hanno la possibilità di beneficiare del fondo di esercizio e di partecipare democraticamente alle decisioni sull’uso del fondo di esercizio dell’organizzazione di produttori e dei contributi finanziari al fondo di esercizio».

227    L’articolo 106, paragrafo 1, del regolamento di esecuzione n. 543/2011 è redatto nei seguenti termini:

«1.      Nell’ambito della verifica delle domande di aiuto di cui all’articolo 69, paragrafo 1, gli Stati membri eseguono controlli in loco presso le organizzazioni di produttori per accertare l’osservanza delle condizioni prescritte per la concessione dell’aiuto o del relativo saldo per l’anno considerato.

Detti controlli riguardano in particolare:

a)      il rispetto dei criteri di riconoscimento per l’anno considerato;

(…)».

228    La giurisprudenza ha statuito che la normativa dell’Unione, ricordata ai punti da 224 a 227 supra, mirava a garantire il funzionamento democratico delle organizzazioni di produttori OP (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 6 marzo 2012, Spagna/Commissione, T‑230/10, EU:T:2012:105, punto 47). Inoltre, risulta dalla normativa suddetta che il funzionamento democratico è un criterio per il riconoscimento di un’OP.

229    Nel caso di specie si tratta di verificare se la Commissione abbia, a ragione, ritenuto che vi fossero delle carenze nell’applicazione, da parte delle autorità italiane, del controllo essenziale n. 3, relativo all’esecuzione di un numero sufficiente di controlli in loco delle domande di aiuto a favore delle PO, in riferimento al rispetto, quale criterio di riconoscimento, del controllo democratico, e che ciò determinasse un rischio per il Fondo, il quale giustificava l’applicazione di una rettifica forfettaria.

230    A questo proposito, risulta dalla relazione di sintesi che, a seguito dell’audit, la Commissione ha, nella notifica delle conclusioni dell’8 luglio 2016, chiarito alle autorità italiane che il sistema da esse istituito non garantiva il rispetto del criterio del controllo democratico delle OP. La relazione di sintesi precisa che, secondo la Commissione, i controlli effettuati dalle autorità italiane si limitavano alla verifica dell’esistenza di verbali delle assemblee generali o dell’esistenza di un articolo negli statuti delle OP. Tali controlli non avrebbero riguardato l’identità delle persone che avevano realmente assistito alle riunioni al fine di constatare l’equilibrio tra i diritti di voto e il rispetto del criterio del controllo democratico.

231    La relazione di sintesi menziona due casi nei quali la Commissione ha constatato e comunicato, mediante lettera di conciliazione del 23 novembre 2017, delle carenze nei controlli del rispetto del criterio democratico. Il primo esempio riguarda l’OP Funghidea nella regione del Lazio, riguardo alla quale la Commissione ha constatato un rischio elevato di «abuso di posizione» e una situazione potenzialmente costruita in modo artificioso. Il secondo esempio riguarda l’OP AOM nella regione del Molise. La relazione di sintesi indica che, in questi casi, secondo la Commissione, i controlli erano limitati all’esistenza di un articolo nello statuto delle OP in questione.

232    La relazione di sintesi fa altresì riferimento al fatto che le autorità italiane hanno sostenuto che la voluminosa documentazione fornita per le due OP in questione mostrava che la verifica del rispetto del criterio del controllo democratico era stata correttamente effettuata, anche per quanto riguardava i diritti di voto effettivi con riguardo alle quote in entità giuridiche associate alle OP, in conformità delle prescrizioni dell’articolo 31, paragrafo 3, del regolamento di esecuzione n. 543/2011, nel testo entrato in vigore il 1° gennaio 2015. A tale titolo, in primo luogo, per quanto riguarda l’OP Funghidea nella regione del Lazio, da un lato, le autorità italiane hanno sottolineato che esse avevano prodotto delle dichiarazioni sostitutive di atto notorio dei membri della suddetta organizzazione secondo le quali questi ultimi avevano partecipato all’assemblea generale. Dall’altro lato, le autorità italiane hanno affermato di aver fornito la documentazione che attestava che esse avevano verificato che nessuna persona fisica disponeva di più del 35% dei diritti di voto. In secondo luogo, per quanto riguarda l’OP AOM nella regione del Molise, le autorità italiane hanno chiarito che, tenuto conto delle dimensioni della società cooperativa, i suoi membri non potevano disporre del 35% dei diritti di voto. Le autorità italiane hanno precisato che, nel 2013, nessun membro, considerato individualmente, disponeva di più dello 0,24% dei diritti di voto e che qualsiasi entità membro dell’organizzazione disponeva al massimo dell’1,24% dei diritti di voto.

233    La relazione di sintesi chiarisce, infine, che, prima del procedimento dinanzi all’organo di conciliazione, la Commissione ha lasciato cadere le proprie conclusioni in merito all’OP AOM della regione del Molise ed ha ribadito la propria posizione, esposta in occasione della riunione bilaterale, per quanto riguardava l’OP Funghidea per varie ragioni. In primo luogo, le carenze constatate nel processo verbale dell’assemblea generale di questa organizzazione non permettevano di ottenere la ragionevole certezza che le riunioni avessero effettivamente avuto luogo e che i membri fossero effettivamente presenti. In secondo luogo, le prove prodotte dalle autorità italiane nel corso del procedimento amministrativo, nelle quali tutti i membri dell’OP dichiaravano di aver partecipato alle assemblee generali dell’organizzazione in questione, erano state sottoscritte soltanto il 9 gennaio 2017, ossia dopo l’audit, e non erano dunque state esaminate, né erano disponibili, al momento dei controlli sul mantenimento del riconoscimento. In terzo luogo, le prove suddette erano costituite esclusivamente da semplici dichiarazioni sostitutive di atto notorio dei membri dell’OP. In quarto luogo, in occasione della verifica, da parte delle autorità italiane, del mantenimento del riconoscimento concesso all’OP Funghidea, il potere di voto reale di ciascuno dei membri fisici della suddetta organizzazione non era stato controllato al fine di verificare se uno di essi avesse superato la soglia del 35% dei diritti di voto prevista dalla normativa italiana. Simili analisi e verifiche erano state presentate dalle autorità italiane soltanto dopo la missione di audit.

234    Secondo la relazione di sintesi, a seguito del procedimento dinanzi all’organo di conciliazione la Commissione ha mantenuto la proposta di applicare una rettifica forfettaria del 5% fondandosi sulla popolazione a rischio più ampia, che era quella interessata dai controlli dei criteri per riconoscere l’accesso all’aiuto.

235    Ciò premesso, occorre ricordare che, in occasione del controllo, da parte degli Stati membri, del funzionamento democratico di un’OP, non si può prescindere dall’identità delle persone fisiche o giuridiche che detengono il capitale dei membri dell’OP. Infatti, in assenza di una verifica siffatta, una stessa persona fisica o giuridica, che detenga una grande maggioranza o, addirittura, la totalità del capitale di vari membri di un’OP, sì da esercitare su questi ultimi un potere di controllo, segnatamente sul loro processo decisionale, potrebbe celarsi dietro i membri suddetti (v., per analogia, sentenza del 6 marzo 2012, Spagna/Commissione, T‑230/10, EU:T:2012:105, punto 50).

236    Nel caso di specie, occorre respingere l’argomento della Repubblica italiana secondo cui il controllo delle quote sociali non era obbligatorio per l’OP Funghidea, riconosciuta l’11 dicembre 2013 (v. punto 220 supra), dal momento che, da un lato, la normativa sul controllo delle partecipazioni è stata introdotta dal decreto ministeriale n. 12705/2013 (GURI n. 286, del 6 dicembre 2013), entrato in vigore soltanto il 21 dicembre 2013, e, dall’altro, la normativa in questione è stata completata dal controllo sulle partecipazioni indirette, introdotto dal regolamento delegato n. 499/2014 che ha modificato, soltanto a far data dal 1° gennaio 2015, l’articolo 31 del regolamento di esecuzione n. 543/2011.

237    Infatti, occorre rilevare che l’articolo 31 del regolamento di esecuzione n. 543/2011 sul controllo democratico è stato certo modificato a partire dal 2015. Tuttavia, anche nella sua versione antecedente applicabile al caso di specie, detta disposizione era già chiara quanto all’obbligo di risultato consistente nell’evitare qualsiasi abuso di potere o qualsiasi situazione di influenza dominante in seno alle OP. Tale obbligo presupponeva necessariamente la verifica delle quote sociali detenute da ciascuna persona fisica socia di una società membro di un’OP, come risulta dalla giurisprudenza citata al punto 235 supra. Pertanto, l’argomento della Repubblica italiana secondo cui il controllo delle quote sociali non era obbligatorio prima del 2015 è un indizio del fatto che tale controllo non è stato effettuato prima della data in questione.

238    Inoltre, quanto alla censura della Commissione secondo cui le carenze constatate nel verbale dell’assemblea generale dell’OP Funghidea non permettevano di ottenere la ragionevole certezza che le riunioni avessero effettivamente avuto luogo e che i membri fossero effettivamente presenti, occorre rilevare che il fatto che una carenza sia stata constatata dalla Commissione per quanto riguarda il processo di riconoscimento di tale organizzazione costituisce un elemento di prova del dubbio serio e ragionevole, ai sensi della giurisprudenza citata al punto 70 supra, che la Commissione nutriva riguardo al carattere sufficiente dei controlli effettuati dalle autorità italiane (v., in tal senso, sentenza del 2 aprile 2020, Commissione/Spagna, C‑406/19 P, non pubblicata, EU:C:2020:276, punto 58).

239    Risulta dalla giurisprudenza citata al punto 71 supra che, in una situazione siffatta, incombeva alla Repubblica italiana presentare la prova quanto più dettagliata e completa della verità dei propri controlli o delle proprie cifre e, eventualmente, dell’inesattezza delle affermazioni della Commissione. Non essendo stata presentata una prova siffatta, le constatazioni della Commissione non possono essere invalidate e devono essere considerate esatte (sentenza del 2 aprile 2020, Commissione/Spagna, C‑406/19 P, non pubblicata, EU:C:2020:276, punto 59).

240    Orbene, anzitutto, risulta dall’esame del verbale dell’assemblea ordinaria dell’OP Funghidea del 2 gennaio 2014, prodotto dalla Repubblica italiana, che tale documento è successivo alla data del riconoscimento dell’OP in questione. Pertanto, il suddetto documento non può dimostrare che il rispetto del criterio democratico sia stato valutato al momento del riconoscimento dell’OP summenzionata. Poi, anche supponendo che il suddetto processo verbale possa attestare il funzionamento democratico di tale OP, è giocoforza constatare come esso indichi semplicemente che era assicurata la presenza de «i soci rappresentanti in proprio o per delega il 100% del capitale sociale». Tale processo verbale non contiene dunque un elenco di presenza degli aderenti. Esso non indica neppure le quote detenute da ciascun membro. Dalla giurisprudenza citata supra al punto 235 si può dedurre che un verbale di un’assemblea generale di un’OP non può limitarsi ad utilizzare la formula standard relativa alla presenza de «i soci rappresentanti in proprio o per delega il 100% del capitale sociale». Un verbale siffatto deve altresì contenere l’elenco degli aderenti e le loro quote sociali. In mancanza di ciò, il suddetto verbale è comunque insufficiente per permettere allo Stato membro di verificare l’identità delle persone fisiche o giuridiche che detengono il capitale dei membri dell’organizzazione di produttori e di concludere per il rispetto del criterio democratico da parte di tale organizzazione. Pertanto, l’argomento della Repubblica italiana, secondo cui era inutile fare un elenco delle persone presenti, deve essere respinto.

241    Per quanto riguarda il caso dell’OP Kiwi Sole, occorre ricordare, al pari della Commissione, che l’addebito che ha motivato la decisione di esclusione dal finanziamento dell’Unione non riguarda alcuni casi isolati di organizzazioni di produttori, bensì concerne tutte quelle sottoposte ad ispezione. Di conseguenza, il fatto che la forma di società cooperativa della suddetta organizzazione sia, di per sé stessa, meno rischiosa sotto il profilo dell’abuso di potere non toglie nulla al fatto che il carattere inadeguato dei controlli effettuati dalle autorità italiane, rilevato nel quadro delle altre OP, ha esposto il Fondo al rischio derivante dal mancato rispetto del criterio democratico. Nella misura in cui le autorità italiane non hanno identificato la «popolazione» specifica a rischio, la Commissione ha giustamente applicato una rettifica forfettaria.

242    Risulta da quanto precede che la Repubblica italiana non ha fornito la prova del fatto che la Commissione abbia errato nel ritenere che le autorità italiane non garantissero un controllo adeguato del funzionamento democratico delle OP ai fini del loro riconoscimento come tali e del mantenimento del loro status. Essa non ha neppure dimostrato che l’applicazione di una rettifica forfettaria non fosse giustificata.

243    Di conseguenza, occorre respingere il quinto motivo di ricorso.

C.      Sul sesto motivo di ricorso, relativo alla rettifica finanziaria di EUR 857 498,36 stabilita a seguito dell’indagine RD 1/2016/803/IT

244    Con il suo sesto motivo di ricorso, la Repubblica italiana contesta la legittimità della decisione impugnata, nella misura in cui essa dispone la rettifica finanziaria menzionata al punto 2, terzo trattino, supra. Tale motivo si compone di due parti. La prima riguarda il carattere erroneo della rettifica finanziaria applicata dalla Commissione al campione/pagamento n. 3 concernente il Comune di Bernalda, in ragione di presunte irregolarità nelle procedure di attribuzione di appalti. La seconda parte del motivo verte sul carattere erroneo – per la presunta assenza di irregolarità nelle procedure di attribuzione di appalti – della rettifica finanziaria applicata dalla Commissione al campione/pagamento n. 8 concernente il Comune di Campoli Monte Taburno.

245    È alla luce dei richiami e delle precisazioni menzionate ai punti da 63 a 71 supra che occorre esaminare, in primo luogo, la prima parte del sesto motivo, concernente i pagamenti effettuati dal Comune di Bernalda (campione/pagamento n. 3) e, in secondo luogo, la seconda parte del sesto motivo, concernente i pagamenti effettuati dal Comune di Campoli Monte Taburno (campione/pagamento n. 8).

1.      Sulla prima parte del sesto motivo di ricorso, relativa al carattere erroneo della rettifica finanziaria applicata dalla Commissione per quanto riguarda il campione/pagamento n. 3 – Comune di Bernalda

246    Mediante la prima parte del sesto motivo, la Repubblica italiana fa valere che la Commissione ha erroneamente ritenuto che il Comune di Bernalda, nell’organizzare una procedura di gara d’appalto per i lavori di «ripristino della viabilità rurale» finanziata coi Fondi previsti dalla misura 125 relativa alle zone colpite dalle inondazioni del 2013, avesse proceduto ad una frammentazione artificiosa di un appalto pubblico, ciò che ricadeva sotto l’errore n. 2 in base alla classificazione contenuta nell’allegato della decisione C(2013) 9527.

247    Più precisamente, la Repubblica italiana sostiene che il Comune di Bernalda ha presentato una domanda di aiuto unica prevedendo, sin dall’inizio, di organizzare più interventi differenti nelle zone colpite dalle inondazioni del 2013. A questo proposito, essa sottolinea che il bando pubblico della Regione Basilicata relativo alla misura 125 non vietava la realizzazione di più progetti tecnici con un unico finanziamento e che, al contrario, questa possibilità era giustificata. Infatti, secondo la Repubblica italiana, da un lato, trattandosi di strade rurali, il massimale ammissibile pari ad EUR 1 500 000 non poteva che riferirsi ad un programma di interventi più che ad un progetto unico. Dall’altro, il territorio interessato dai dissesti sulla viabilità rurale avrebbe richiesto interventi frammentati. Tali interventi avrebbero riguardato un reticolo viario molto fitto (circa 500 km), privo di significativa continuità fisica, con aree anche morfologicamente non omogenee, come risulterebbe dalla nota del responsabile della procedura del Comune di Bernalda. Il piano relativo alle diverse zone sottoposte ad interventi, dimesso dinanzi al Tribunale, mostrerebbe la notevole frammentazione spaziale dei lavori di ripristino della viabilità rurale del Comune interessato, il loro carattere disseminato su un’area di circa 28‑30 km2. Tale piano permetterebbe altresì di comprendere che, sul piano tecnico e su quello amministrativo, i suddetti lavori non si presterebbero ad un’unica procedura di gara d’appalto. La Repubblica italiana produce, inoltre, dinanzi al Tribunale, la mappa catastale in cui sono indicate le zone del Comune di Bernalda che non hanno subito danni, quelle sulle quali delle imprese agricole avevano subito danni legati all’evento del 2013. Il Comune di Bernalda avrebbe dunque correttamente presentato sei progetti tecnici differenti e proceduto a sei distinti affidamenti di appalto. Secondo la Repubblica italiana, ciò sarebbe stato conforme all’articolo 2, paragrafo 1 bis, del decreto legislativo n. 163/2006, recante il Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE (GURI n. 100, del 2 maggio 2006), il quale prevede che, «[n]el rispetto della disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici, al fine di favorire l’accesso delle piccole e medie imprese, le stazioni appaltanti devono, ove possibile ed economicamente conveniente, suddividere gli appalti in lotti funzionali».

248    In primo luogo, la procedura seguita per il ripristino della viabilità rurale del Comune di Bernalda avrebbe permesso, in conformità del principio di economicità, di ottenere ribassi compresi tra 12,62% ed il 40,745%, con una economia complessiva pari ad EUR 248 694,91. In secondo luogo, il principio di efficacia sarebbe stato rispettato, in quanto i diversi interventi avrebbero ottenuto i risultati richiesti nel rispetto dei termini contrattuali. In terzo luogo, sarebbe stato rispettato anche il principio di concorrenza. Infatti, l’amministrazione aggiudicatrice avrebbe invitato dieci operatori a presentare offerte in luogo dei cinque previsti dalla normativa. Inoltre, nessuno degli imprenditori operanti nel settore sarebbe stato in grado di influire sui negoziati o sarebbe stato ammesso a partecipare a più gare d’appalto allo stesso tempo. In quarto luogo, nella misura in cui l’amministrazione aggiudicatrice ha invitato in totale quaranta operatori del settore, che soddisfacevano tutti i requisiti di legge per l’esecuzione dei lavori richiesti, sarebbero stati parimenti rispettati i principi di non discriminazione, di trasparenza e di proporzionalità.

249    Inoltre, la Repubblica italiana fa valere che la decisione della Commissione di applicare una rettifica finanziaria pari al 100% dell’importo dell’appalto è manifestamente sproporzionata. Infatti, senza dubbio, il Comune di Bernalda non avrebbe fatto uso, in applicazione dell’articolo 57, paragrafo 2, lettera c), del decreto legislativo n. 163/2006, del proprio diritto di derogare alle norme ordinarie di affidamento degli appalti tramite una dichiarazione del carattere urgente dei lavori di ripristino della viabilità rurale, divenuti necessari a seguito di forti inondazioni che avevano seriamente danneggiato le reti stradali secondarie e causato seri danni alle imprese agricole del Comune. Tuttavia, la Commissione avrebbe potuto tener conto del fatto che l’amministrazione comunale di Bernalda disponeva, in teoria, di tale possibilità, dato che, dopo la concessione del finanziamento, ma prima che i lavori fossero assegnati, lo stato d’emergenza era stato dichiarato mediante una decisione del Consiglio dei Ministri del 10 gennaio 2014 (GURI del 20 gennaio 2014), e poi mediante una successiva decisione del Capo della Protezione civile dell’8 febbraio 2014, che è stata pubblicata nella GURI del 17 febbraio 2014 e che avrebbe autorizzato la deroga alle disposizioni previste dal decreto legislativo n. 163/2006 (ivi compresi gli articoli 122 e seguenti del suddetto decreto legislativo). Pertanto, nessuna intenzione fraudolenta caratterizzerebbe la scelta del Comune di Bernalda, il quale non avrebbe in alcun modo derogato alle disposizioni del decreto legislativo n. 163/2006. Inoltre, l’audit non avrebbe fatto emergere alcuna anomalia per quanto riguardava la successiva attuazione del procedimento in questione. Infine, tanto l’autorità di vigilanza quanto l’autorità di controllo non avrebbero rilevato ostacoli all’organizzazione di sei procedure negoziate.

250    La Commissione contesta gli argomenti della Repubblica italiana.

251    Occorre ricordare, anzitutto, che l’articolo 48, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione n. 809/2014 stabilisce che «i controlli amministrativi sulle domande di sostegno garantiscono la conformità dell’operazione con gli obblighi applicabili stabiliti dalla legislazione unionale o nazionale o dal programma di sviluppo rurale, compresi quelli in materia di appalti pubblici, aiuti di Stato e altre norme e requisiti obbligatori».

252    Ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, del regolamento di esecuzione n. 809/2014, «[i] controlli in loco verificano che l’operazione sia stata attuata in conformità delle norme applicabili e coprono tutti i criteri di ammissibilità, gli impegni e gli altri obblighi relativi alle condizioni per la concessione del sostegno che è possibile controllare al momento della visita e che non hanno formato oggetto di controlli amministrativi».

253    Ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 2, lettera c), del regolamento n. 65/2011, «[i] controlli amministrativi sulle domande di aiuto comprendono in particolare la verifica (…) della conformità dell’operazione per la quale è chiesto il sostegno con la normativa dell’Unione e nazionale, in particolare, ove applicabile, in materia di appalti pubblici, di aiuti di Stato e di altre norme obbligatorie previste dalla normativa nazionale o dal programma di sviluppo rurale».

254    In virtù dell’articolo 26, paragrafo 1, lettera d), del regolamento n. 65/2011, nell’effettuare i controlli in loco, gli Stati membri si impegnano a verificare se le operazioni che hanno beneficiato di un finanziamento pubblico siano state attuate in conformità, da un lato, alle norme e alle politiche dell’Unione, e in particolare alle norme sugli appalti pubblici, e, dall’altro lato, alle norme pertinenti fissate dalla normativa nazionale o nel programma di sviluppo rurale.

255    La giurisprudenza ha statuito che, in occasione di tale verifica, occorreva controllare se le gare d’appalto menzionate dai beneficiari nelle loro domande avessero effettivamente avuto luogo e, altresì, al fine di rispettare le prescrizioni dettate dal regolamento n. 65/2011, valutare se le operazioni oggetto di tali domande fossero state attuate in conformità delle norme relative alle gare di appalto pubbliche. Pertanto, i controlli in loco devono vertere tanto sulla concreta esistenza delle gare di appalto, quanto sulla legittimità della loro attuazione (sentenza del 4 settembre 2019, Lituania/Commissione, T‑603/17, non pubblicata, EU:T:2019:558, punto 184).

256    Ai sensi dell’articolo 1 della decisione C(2013) 9527, tale decisione «stabilisce nel suo allegato gli orientamenti per la determinazione delle rettifiche finanziarie da applicare alle spese finanziate dall’Unione nell’ambito della gestione concorrente per i periodi di programmazione 2007-2013 e 2014-2020 in caso di mancato rispetto delle norme in materia di appalti pubblici». Il suddetto allegato, intitolato «Principali tipi di irregolarità e tassi corrispondenti delle rettifiche finanziarie», menziona il tipo di errore che rientra nella categoria n. 2, ossia il frazionamento artificioso degli appalti di lavori, di servizi e di forniture. Per quanto riguarda questo tipo di errore, la decisione della Commissione indica, segnatamente, quale base giuridica, l’articolo 9, paragrafo 3, della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (GU 2004, L 134, pag. 114).

257    Ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 3, della direttiva 2004/18, «[n]essun progetto d’opera né alcun progetto di acquisto volto ad ottenere un certo quantitativo di forniture e/o di servizi può essere frazionato al fine di escluderlo dall’applicazione della presente direttiva». L’articolo 1, paragrafo 2, lettera b), della citata direttiva definisce il termine «opera» come «il risultato di un insieme di lavori edilizi o di genio civile che di per sé esplichi una funzione economica o tecnica».

258    L’articolo 9, paragrafo 3, della direttiva 2004/18 è stato ripreso dall’articolo 29, paragrafo 4, del decreto legislativo n. 163/2006 a termini del quale «nessun progetto d’opera né alcun progetto di acquisto volto ad ottenere un certo quantitativo di forniture o di servizi può essere frazionato al fine di escluderlo dall’osservanza delle norme che troverebbero applicazione se il frazionamento non vi fosse stato».

259    Secondo la giurisprudenza, l’esistenza di un’opera ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2004/18 deve essere valutata in rapporto alla funzione economica e tecnica del risultato dei lavori costituenti l’oggetto degli appalti pubblici di cui trattasi (v. sentenze del 5 ottobre 2000, Commissione/Francia, C‑16/98, EU:C:2000:541, punti 36, 38 e 47; del 27 ottobre 2005, Commissione/Italia, C‑187/04 e C‑188/04, non pubblicata, EU:C:2005:652, punto 27; del 18 gennaio 2007, Auroux e a., C‑220/05, EU:C:2007:31, punto 41, e del 15 marzo 2012, Commissione/Germania, C‑574/10, non pubblicata, EU:C:2012:145, punto 37).

260    Inoltre, la Corte ha precisato che, perché il risultato di lavori distinti possa essere qualificato come opera ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2004/18, era sufficiente che essi soddisfacessero o la medesima funzione economica o la medesima funzione tecnica (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 27 ottobre 2005, Commissione/Italia, C‑187/04 e C‑188/04, non pubblicata, EU:C:2005:652, punto 29). La constatazione di un’identità economica e quella di un’identità tecnica sono dunque alternative tra loro e non hanno carattere cumulativo.

261    Oltre a ciò, l’unità del quadro geografico all’interno del quale le gare di appalto vengono indette e l’esistenza di un’unica amministrazione aggiudicatrice costituiscono, segnatamente, indizi supplementari che inducono a ritenere che appalti di lavori distinti corrispondano in realtà ad un’opera unica (v., per analogia, sentenza del 5 ottobre 2000, Commissione/Francia, C‑16/98, EU:C:2000:541, punto 65).

262    Per giunta, la giurisprudenza ha deciso che, quando delle prestazioni erano connesse e dunque i loro oggetti erano assai prossimi, esse dovevano essere oggetto di un unico contratto d’appalto e che, in caso contrario, si sarebbe considerato che un appalto era stato indebitamente frazionato (v., in tal senso, sentenza del 13 settembre 2016, ENAC/INEA, T‑695/13, non pubblicata, EU:T:2016:464, punto 42).

263    Nel caso di specie, occorre verificare se la Commissione abbia constatato, a ragione, delle carenze nell’applicazione, da parte delle autorità italiane, di un controllo essenziale per quanto riguarda segnatamente la misura 125 «Infrastruttura connessa allo sviluppo e all’adeguamento dell’agricoltura e della silvicoltura», a motivo del fatto che le autorità italiane non avevano rispettato la normativa nazionale e dell’Unione in materia di appalti pubblici per quanto riguarda il campione/pagamento n. 3 (Comune di Bernalda). Più precisamente, occorre valutare se, dopo aver ricevuto dalla Regione Basilicata EUR 1 500 000 quale misura di investimento dei programmi di sviluppo rurale a carico del FEASR, il Comune di Bernalda potesse organizzare sei distinte procedure negoziate per i lavori di ripristino della viabilità rurale danneggiata da inondazioni nel 2013, oppure se ciò fosse un «artificioso frazionamento degli appalti di lavori», configurante un errore rientrante nella categoria n. 2 della decisione C(2013) 9527 della Commissione e implicante l’applicazione di una rettifica finanziaria del 100%.

264    A questo proposito, occorre ricordare che, nella relazione di sintesi, la Commissione ha ritenuto che le informazioni fornite dalle autorità italiane non permettessero di ritenere giustificato il ricorso a sei procedure negoziate. Infatti, quanto al territorio interessato dagli interventi, alcuni lotti avrebbero riguardato parcelle che non erano state danneggiate dalle inondazioni del 2013. Inoltre, poiché i danni erano concentrati in una zona relativamente limitata, ossia 26 km2, i lavori di ripristino della viabilità rurale avrebbero potuto costituire l’oggetto di un’unica procedura di gara d’appalto. Per giunta, posto che i lavori sarebbero stati eseguiti con molto ritardo, l’argomento delle autorità italiane, secondo cui il ricorso a sei procedure negoziate aveva permesso di terminare i lavori prima dell’inverno successivo, si sarebbe rivelato privo di fondamento. Peraltro, avendo le autorità italiane precisato che il ritardo nell’esecuzione era dovuto alla difficoltà di ottenere le autorizzazioni necessarie, la Commissione ha ritenuto che ciò rappresentasse una ragione supplementare per non dividere l’appalto in lotti. Infine, quanto all’argomento delle autorità italiane secondo cui, in presenza di una dichiarazione di stato di emergenza, era possibile derogare alle norme in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici, la Commissione ha sottolineato che, nella procedura di audit, le suddette autorità non avevano fatto ricorso alla deroga suddetta. La Commissione ha concluso che le autorità italiane non avevano dimostrato che esistessero ragioni oggettive e sufficienti per scindere l’appalto di lavori in questione in sei procedure negoziate e che occorreva applicare una rettifica finanziaria pari al 100% del finanziamento concesso al Comune in questione.

265    Dopo aver ricordato le osservazioni dell’organo di conciliazione, la Commissione ha indicato, nella relazione di sintesi, che essa manteneva fermo il proprio parere secondo cui la non conformità identificata indicava l’esistenza di una carenza nell’applicazione di un controllo essenziale, vale a dire «la verifica della conformità delle procedure di appalto pubblico alle disposizioni nazionali e dell’Unione e della qualità sufficiente dei controlli in loco per le misure di sviluppo rurale non connesse alla superficie né agli animali».

266    Infine, nella relazione suddetta, la Commissione ha affermato che essa poteva accettare che l’errore commesso non fosse rappresentativo della totalità della popolazione oggetto dell’audit ed ha limitato la rettifica finanziaria agli importi dei finanziamenti percepiti dal Comune di Bernalda durante gli esercizi finanziari del 2014, del 2015 e del 2016.

267    In primo luogo, occorre rilevare che la nota del responsabile del procedimento del Comune di Bernalda  segnala che l’amministrazione di tale comune ha suddiviso «il progetto» dei lavori da realizzare in sei interventi per ragioni di ordine tecnico e funzionale collegate, in sostanza, alle caratteristiche geografiche delle zone colpite dal deterioramento della viabilità rurale.

268    A questo proposito, occorre constatare che, come risulta dai piani prodotti dalle autorità italiane, il territorio interessato dai lavori di ripristino della viabilità rurale del Comune di Bernalda è in effetti caratterizzato da aree morfologicamente non omogenee e senza continuità fisica in ragione delle differenze altimetriche e planimetriche e della presenza di profondi fossati e canaloni naturali, costituenti degli ostacoli ad una circolazione facile ed agevole sulle strade rurali. Tuttavia, i lavori in questione presentano un carattere uniforme dal punto di vista della loro natura e delle loro caratteristiche tecniche, in quanto essi riguardano tutti il ripristino della viabilità rurale. Oltre a ciò, è giocoforza constatare che i suddetti lavori hanno costituito l’oggetto di un’unitaria domanda di finanziamento ed erano destinati a essere effettuati nel corso del medesimo periodo. Pertanto, occorre ritenere che, malgrado la presentazione di sei progetti differenti, il ripristino della viabilità rurale rientrasse nella definizione di opera unica ai sensi della giurisprudenza menzionata ai punti da 259 a 262 supra.

269    In secondo luogo, da un lato, occorre rilevare che la possibilità prevista dalla misura 125 pubblicata dalla Regione Basilicata, di realizzare vari progetti tecnici distinti, rientra, come giustamente osservato dalla Commissione, tra le condizioni  di ammissibilità al beneficio del finanziamento a titolo della misura summenzionata. Dall’altro lato, la possibilità in questione non osta all’organizzazione di un’unica procedura di gara d’appalto suddivisa, eventualmente, in più lotti corrispondenti ciascuno ad un progetto tecnico differente. D’altronde, la ripartizione in lotti è l’unica procedura contemplata dall’articolo 2, paragrafo 1 bis, del decreto legislativo n. 163/2006, che le autorità italiane affermano di aver applicato. Infatti, questa disposizione stabilisce che, «[n]el rispetto della disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici, al fine di favorire l’accesso delle piccole e medie imprese, le stazioni appaltanti devono, ove possibile ed economicamente conveniente, suddividere gli appalti in lotti funzionali». La Repubblica italiana non è dunque legittimata a sostenere che la possibilità di organizzare sei procedure negoziate rispettasse la disposizione suddetta, dato che tali procedure non possono essere equiparate a lotti di un’unica procedura di gara d’appalto.

270    In terzo luogo, per quanto riguarda i vantaggi che la Repubblica italiana invoca come risultanti dal ricorso alle sei procedure negoziate, in primis, è giocoforza constatare, da un lato, che l’esigenza di permettere alle piccole e medie imprese di partecipare avrebbe potuto essere rispettata suddividendo, nel quadro di un’unica procedura, l’appalto in questione in lotti. Dall’altro lato, come giustamente osservato dalla Commissione, la suddivisione in più procedure distinte attribuite in modo negoziato, con invito a presentare offerte trasmesso a candidati selezionati, restringeva inevitabilmente la partecipazione degli operatori economici a quelli direttamente invitati a presentare un’offerta, fossero questi cinque o dieci, e ledeva il principio di concorrenza. Infine, non si può escludere che una procedura aperta, suddivisa in lotti funzionali, avrebbe permesso di ottenere un livello equivalente, o anche superiore, di riduzione del valore delle offerte e avrebbe permesso di raggiungere efficacemente gli obiettivi fissati e di rispettare i termini contrattuali.

271    In quarto luogo, per quanto riguarda l’argomento della Repubblica italiana secondo cui la Commissione avrebbe dovuto tener conto del fatto che l’amministrazione del Comune di Bernalda poteva avvalersi della possibilità di derogare alle norme ordinarie di affidamento degli appalti pubblici al momento della dichiarazione dello stato di emergenza, occorre precisare che l’allegazione delle autorità italiane deve essere intesa come volta a dimostrare l’assenza di un’intenzione di eludere l’applicazione della normativa nazionale e di quella dell’Unione che prevedono il ricorso alla procedura di gara d’appalto aperta.

272    Invero, come giustamente osservato dalla Repubblica italiana, la circostanza che la dichiarazione di stato di emergenza sia intervenuta dopo la concessione del finanziamento, ma prima che i lavori fossero assegnati, non ostava a che l’amministrazione del Comune di Bernalda si valesse della dichiarazione suddetta, derogasse alla norma che prevede l’obbligo di organizzare una procedura di gara d’appalto aperta e ricorresse alle procedure negoziate. Tuttavia, risulta dal fascicolo che le autorità italiane hanno espressamente riconosciuto di non essersi avvalse della dichiarazione di stato di emergenza. Pertanto, l’organizzazione di sei procedure negoziate sarebbe stata possibile soltanto se il valore dell’appalto non avesse superato EUR 1 000 000, in conformità del disposto dell’articolo 122, paragrafo 7, del decreto legislativo n. 163/2006.

273    A questo proposito, l’analisi effettuata al punto 268 supra permette di constatare che, alla luce della natura, della funzione tecnica ed economica, nonché dell’estensione geografica limitata dei lavori di ripristino della viabilità rurale del Comune di Bernalda, bisognava ritenere che si trattasse di un’«opera» ai sensi della giurisprudenza ricordata ai punti da 259 a 262 supra. Il valore del progetto d’opera poteva unicamente corrispondere all’importo ricevuto dal Comune di Bernalda ammontante a EUR 1 500 000 e non agli importi di ciascun progetto di intervento che aveva costituito l’oggetto di una procedura negoziata. Nella misura in cui l’importo supera la soglia prevista dall’articolo 122, paragrafo 7, del decreto legislativo n. 163/2006 per ricorrere alle procedure negoziate, le autorità italiane hanno ritenuto erroneamente di aver rispettato la disposizione suddetta e di non avere bisogno di avvalersi della dichiarazione di stato di emergenza per giustificare il ricorso alle procedure negoziate. Infatti, dato che il ricorso a sei procedure negoziate non era fondato sulla dichiarazione di stato di emergenza, il Comune di Bernalda era tenuto, in virtù del valore del progetto d’opera, a dare corso ad una procedura di gara d’appalto aperta con pubblicazione di un bando in applicazione della succitata normativa nazionale.

274    In quinto luogo, per quanto riguarda l’argomento relativo al carattere manifestamente sproporzionato della decisione della Commissione di applicare una rettifica finanziaria pari al 100% dell’importo dell’appalto, derivante dal fatto che la Commissione non avrebbe tenuto conto delle ragioni di urgenza che giustificavano il ricorso alla procedura negoziata, è giocoforza constatare che, come asserito dalla Commissione senza essere contraddetta dalla Repubblica italiana, i lavori che costituivano l’oggetto dei contratti conclusi in base alle procedure negoziate non sono stati tutti effettuati nelle zone direttamente interessate dai danni dovuti alle inondazioni del 2013. Inoltre, risulta dalle informazioni fornite durante il procedimento amministrativo che i lavori sono stati eseguiti con un ritardo considerevole, a causa di problemi legati al rilascio dei corrispondenti permessi. Pertanto, non si può escludere che il ricorso ad una procedura di gara d’appalto aperta con pubblicazione di un bando che prevedesse una suddivisione in lotti avrebbe permesso di rispettare la condizione relativa all’urgenza degli interventi di ripristino della viabilità rurale del Comune di Bernalda.

275    In sesto luogo, per quanto riguarda l’argomento della Repubblica italiana, ripreso anche dall’organo di conciliazione, relativo al fatto che tanto l’autorità di vigilanza quanto l’autorità di controllo non avevano rilevato ostacoli all’organizzazione di sei procedure negoziate, occorre rispondere che la circostanza che l’applicazione erronea della normativa italiana non fosse stata scoperta dalle suddette autorità nazionali non può essere sufficiente per giustificare che l’amministrazione del Comune di Bernalda potesse disattendere le norme in materia di affidamento di appalti pubblici.

276    Lo svolgimento di sei procedure negoziate ha permesso all’amministrazione del Comune di Bernalda di sottrarsi al rispetto della soglia prevista dall’articolo 122, paragrafo 7, del decreto legislativo n. 163/2006 e dunque di derogare alle disposizioni che prevedono l’applicazione della procedura di gara d’appalto aperta. Infatti, il valore del progetto d’opera relativo al ripristino della viabilità rurale del comune in questione corrispondeva all’importo del finanziamento ricevuto da tale comune, ossia EUR 1 500 000. Poiché tale importo supera, come si è precisato al punto 273 supra, la soglia di EUR 1 000 000 fissata dall’articolo 122, paragrafo 7, del decreto legislativo n. 163/2006, al di sotto della quale era possibile ricorrere alle procedure negoziate, la Commissione ha giustamente ritenuto che le autorità italiane non avessero rispettato la normativa nazionale e quella dell’Unione in materia di appalti pubblici.

277    Risulta da quanto sopra esposto che gli argomenti addotti dalla Repubblica italiana a sostegno della prima parte del sesto motivo di ricorso non permettono di invalidare le ragioni addotte nella lettera Ares(2016) 7166443, del 23 dicembre 2016, secondo le quali la procedura di gara d’appalto indetta dal Comune di Bernalda per il progetto dei lavori di ripristino della viabilità rurale sarebbe stata organizzata in modo non corretto in ragione della suddivisione artificiosa dell’appalto di lavori in sei procedure negoziate in luogo di un’unica procedura di gara d’appalto aperta.

278    Pertanto, la Repubblica italiana non ha dimostrato che la Commissione abbia erroneamente ritenuto di essere in presenza di un artificioso frazionamento degli appalti di lavori in violazione della normativa dell’Unione e di quella nazionale in materia di affidamento di appalti pubblici, configurante l’errore rientrante nella categoria n. 2 dell’allegato della decisione C(2013) 9527 e giustificante l’applicazione di una rettifica finanziaria forfettaria del 100% applicata all’importo delle prestazioni effettivamente fatturate.

279    La prima parte del sesto motivo di ricorso deve dunque essere respinta in quanto infondata.

2.      Sulla seconda parte del sesto motivo di ricorso, relativa al carattere erroneo della rettifica finanziaria applicata dalla Commissione per quanto riguarda il campione/pagamento n. 8 – Comune di Campoli Monti Taburno (Campania)

280    Con la seconda parte del sesto motivo di ricorso, la Repubblica italiana sostiene che la procedura di affidamento dell’appalto pubblico seguita dal Comune di Campoli Monte Taburno non ha violato il principio di trasparenza. Essa ne deduce che l’applicazione di una rettifica finanziaria del 10% non è fondata.

281    In primo luogo, la Repubblica italiana sostiene che le valutazioni tecniche realizzate dalla commissione di gara, in occasione delle sedute del 12 e 19 giugno 2014, si sono svolte conformemente al disciplinare di gara e al capitolato d’oneri e contenevano riferimenti specifici alle analisi e alle valutazioni che hanno condotto al giudizio finale. A titolo di prova di tale conformità, la Repubblica italiana produce, in allegato al ricorso introduttivo del giudizio, il verbale n. 2 e il verbale n. 3 del 12 e del 19 giugno 2014 relativi alla gara d’appalto, nonché i brogliacci contenenti le valutazioni. In secondo luogo, la differenza tra il punteggio tecnico assegnato all’aggiudicatario e quelli assegnati agli altri tre offerenti sarebbe la semplice conseguenza del sistema di calcolo applicato dalla commissione di gara al fine di esprimere una preferenza nella comparazione di due offerte. In terzo luogo, la gara d’appalto in questione non rientrerebbe in alcuno dei due casi di irregolarità n. 16, riguardanti la «[m]ancanza di trasparenza e/o di parità di trattamento nel corso della valutazione», previsti dalla decisione C(2013) 9527, vale a dire, da un lato, il caso in cui «la pista di controllo, in particolare per quanto riguarda il punteggio attribuito ad ogni singola offerta, è poco chiara/ingiustificata/priva di trasparenza o inesistente» e, dall’altro, il caso in cui «la relazione di valutazione non esiste o non contiene tutti gli elementi richiesti dalle disposizioni pertinenti». In quarto luogo, la Repubblica italiana fa valere il parere dell’organo di conciliazione, adito dalle parti, il quale avrebbe dichiarato che era possibile pervenire ad una conciliazione totale per quanto riguardava il caso del Comune di Campoli Monte Taburno. Pertanto, anche da questo punto di vista, la rettifica finanziaria del 10% sarebbe illegittima.

282    La Commissione replica che il motivo di esclusione relativo all’errore constatato in merito al campione/pagamento n. 8, che ha giustificato la decisione di esclusione, è fondato e che la seconda parte del sesto motivo deve dunque essere respinta.

283    In primo luogo, i verbali di gara d’appalto n. 2 e n. 3 del 12 e del 19 giugno 2014 nonché il brogliaccio relativo alla valutazione, menzionati dalla Repubblica italiana, comunicati nel corso del procedimento in contraddittorio, sarebbero stati presi in considerazione al momento della valutazione della percentuale di rettifica da applicare nel caso di specie, che sarebbe stata così ridotta dal 25 al 10%.  In secondo luogo, gli elementi che avrebbero permesso di giustificare e di motivare la decisione di affidamento non sarebbero menzionati nel verbale di attribuzione. Inoltre, i succitati documenti sarebbero stati prodotti soltanto dopo l’indagine svolta dai servizi della Commissione, nell’ambito del procedimento in contraddittorio, e non sarebbero stati accessibili a tutti gli offerenti in occasione della procedura di affidamento dell’appalto pubblico. In terzo luogo, l’errore constatato nell’ambito della categoria n. 16, relativa alla «[m]ancanza di trasparenza e/o di parità di trattamento nel corso della valutazione», risulterebbe dal fatto che è stato accertato, in occasione dell’audit, che il processo di valutazione delle offerte, quale trascritto nel processo verbale n. 3 della seduta del 19 giugno 2014, non era sufficientemente supportato da elementi, a causa delle poche informazioni dettagliate in merito ai punteggi attribuiti alle diverse offerte. Sarebbe stato soltanto a seguito dell’audit che le autorità italiane avrebbero fornito informazioni dettagliate e chiarimenti circa il modo in cui la commissione di gara aveva definito i punteggi assegnati. In quarto luogo, per quanto riguarda il riferimento al parere dell’organo di conciliazione in merito alla possibilità di una conciliazione totale riguardo all’errore relativo al campione/pagamento n. 8, la Commissione ricorda che, nella lettera del 5 marzo 2019 contenente la sua posizione definitiva a seguito della relazione dell’organo di conciliazione, essa ha, da un lato, specificamente preso in considerazione la questione della compatibilità con la normativa nazionale applicabile dei verbali di assegnazione esaminati e, dall’altro lato, considerato che la decisione del Consiglio di Stato (Italia) del 21 marzo 2018 non era applicabile nel caso di specie, nella misura in cui la censura formulata non mirava a chiedere delle informazioni sulla suddivisione dei punteggi attribuiti da ciascuno dei valutatori, bensì verteva sulla mancanza di elementi idonei a giustificare chiaramente la parte tecnica della valutazione. Tale circostanza avrebbe condotto all’applicazione dell’aliquota di rettifica del 10%, ritenuta appropriata tenuto conto del fatto che le autorità italiane avevano, in ogni caso, presentato elementi idonei a giustificare la decisione di assegnazione, anche se esse avevano fatto ciò soltanto a seguito dell’indagine.

284    A titolo preliminare, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 2 della direttiva 2004/18, intitolato «Principi di aggiudicazione degli appalti», «[l]e amministrazioni aggiudicatrici trattano gli operatori economici su un piano di parità, in modo non discriminatorio e agiscono con trasparenza».

285    L’articolo 43 della direttiva 2004/18, concernente il contenuto dei processi verbali e inserito nel capo VI di questa medesima direttiva relativo alle regole di pubblicità e di trasparenza, dispone quanto segue:

«Per ogni appalto, ogni accordo quadro e ogni istituzione di un sistema dinamico di acquisizione l’amministrazione aggiudicatrice redige un verbale contenente almeno le seguenti informazioni:

a)      il nome e l’indirizzo dell’amministrazione aggiudicatrice, l’oggetto e il valore dell’appalto, dell’accordo quadro o del sistema dinamico di acquisizione;

b)      i nomi dei candidati o degli offerenti presi in considerazione e i motivi della scelta;

c)      i nomi dei candidati o degli offerenti esclusi e i motivi dell’esclusione;

d)      i motivi del rigetto delle offerte giudicate anormalmente basse;

e)      il nome dell’aggiudicatario e la giustificazione della scelta della sua offerta nonché, se è nota, la parte dell’appalto o dell’accordo quadro che l’aggiudicatario intende subappaltare a terzi;

(…)

Il verbale o i suoi elementi principali sono comunicati alla Commissione qualora ne faccia richiesta».

286    L’articolo 53 della direttiva 2004/18, intitolato «Criteri di aggiudicazione dell’appalto», dispone segnatamente quanto segue:

«1.      Fatte salve le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative nazionali relative alla rimunerazione di servizi specifici, i criteri sui quali si basano le amministrazioni aggiudicatrici per aggiudicare gli appalti pubblici sono:

a)      o, quando l’appalto è aggiudicato all’offerta economicamente più vantaggiosa dal punto di vista dell’amministrazione aggiudicatrice, diversi criteri collegati all’oggetto dell’appalto pubblico in questione, quali, ad esempio, la qualità, il prezzo, il pregio tecnico, le caratteristiche estetiche e funzionali, le caratteristiche ambientali, il costo d’utilizzazione, la redditività, il servizio successivo alla vendita e l’assistenza tecnica, la data di consegna e il termine di consegna o di esecuzione; oppure

b)      esclusivamente il prezzo più basso.

2.      Fatte salve le disposizioni del terzo comma, nel caso previsto al paragrafo 1, lettera a), l’amministrazione aggiudicatrice precisa, nel bando di gara o nel capitolato d’oneri o, in caso di dialogo competitivo, nel documento descrittivo, la ponderazione relativa che attribuisce a ciascuno dei criteri scelti per determinare l’offerta economicamente più vantaggiosa.

Tale ponderazione può essere espressa prevedendo una forcella in cui lo scarto tra il minimo e il massimo deve essere appropriato.

(…)».

287    L’allegato della decisione C(2013) 9527 descrive, quale errore rientrante nella categoria n. 16, la «[m]ancanza di trasparenza e/o di parità di trattamento nel corso della valutazione». Tale allegato stabilisce che la base giuridica di riferimento è costituita, per quanto riguarda la direttiva 2004/18, dagli articoli 2 e 43 di quest’ultima e descrive l’errore di cui sopra come segue:

«La pista di controllo, in particolare per quanto riguarda il punteggio attribuito ad ogni singola offerta, è poco chiara/ingiustificata/priva di trasparenza o inesistente e/o

la relazione di valutazione non esiste o non contiene tutti gli elementi richiesti dalle disposizioni pertinenti».

288    Risulta da una giurisprudenza consolidata che, nel settore degli appalti pubblici, il principio di trasparenza ha essenzialmente lo scopo di garantire l’assenza di rischi di favoritismo e di arbitrarietà da parte dell’amministrazione aggiudicatrice. Esso implica che tutte le condizioni e le modalità della procedura di affidamento siano formulate in maniera chiara, precisa e univoca nel bando di gara d’appalto o nel capitolato d’oneri (sentenze del 10 ottobre 2012, Evropaïki Dynamiki/Commissione, T‑247/09, non pubblicata, EU:T:2012:533, punto 69, e del 15 settembre 2016, European Dynamics Luxembourg e Evropaïki Dynamiki/Commissione, T‑698/14, non pubblicata, EU:T:2016:476, punto 88). Tale principio mira, da un lato, a permettere a tutti gli offerenti ragionevolmente informati e normalmente diligenti di comprendere l’esatta portata delle suddette condizioni e modalità e di interpretarle nello stesso modo e, dall’altro, a mettere l’amministrazione aggiudicatrice in condizione di verificare effettivamente se le offerte dei partecipanti alla gara corrispondono ai criteri disciplinanti l’appalto in questione (v. sentenza del 13 luglio 2011, Grecia/Commissione, T‑81/09, non pubblicata, EU:T:2011:366, punto 105 e la giurisprudenza ivi citata).

289    Il principio di parità di trattamento tra gli offerenti, il quale ha come obiettivo di favorire lo sviluppo di una concorrenza sana ed effettiva tra le imprese partecipanti ad una pubblica gara d’appalto, impone che tutti i partecipanti alla gara dispongano delle medesime opportunità nella formulazione dei termini delle loro offerte e implica dunque che queste ultime siano sottoposte alle medesime condizioni per tutti i soggetti in gara (v. sentenza del 20 marzo 2013, Nexans France/Entreprise commune Fusion for Energy, T‑415/10, EU:T:2013:141, punto 102 e la giurisprudenza ivi citata). Ciò implica anche che i criteri di attribuzione devono essere formulati, nel capitolato d’oneri o nel bando di gara d’appalto, in modo da permettere a tutti gli offerenti ragionevolmente informati e normalmente diligenti di interpretarli allo stesso modo, e che, nel valutare le offerte, tali criteri devono essere applicati in maniera obiettiva e uniforme a tutti i partecipanti alla gara (sentenze del 10 ottobre 2012, Evropaïki Dynamiki/Commissione, T‑247/09, non pubblicata, EU:T:2012:533, punti 67 e 68, e del 15 settembre 2016, European Dynamics Luxembourg e Evropaïki Dynamiki/Commissione, T‑698/14, non pubblicata, EU:T:2016:476, punto 87).

290    Per quanto riguarda segnatamente i criteri di attribuzione di un appalto pubblico, la Corte ha interpretato l’articolo 53, paragrafo 2, della direttiva 2004/18, letto alla luce del principio di parità di trattamento e dell’obbligo di trasparenza che ne discende, nel senso che, nel caso di un appalto pubblico da attribuirsi secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa dal punto di vista dell’amministrazione aggiudicatrice, quest’ultima non è tenuta a portare a conoscenza dei potenziali offerenti nel bando di gara d’appalto o nel capitolato d’oneri relativi all’appalto in questione il metodo di valutazione applicato al fine di valutare e di classificare concretamente le offerte. La Corte ha, inoltre, precisato che il metodo suddetto non può avere per effetto di alterare i criteri di attribuzione e la loro ponderazione relativa (v., in tal senso, sentenza del 14 luglio 2016, TNS Dimarso, C‑6/15, EU:C:2016:555, punto 37).

291    La Corte ha peraltro precisato che un comitato di valutazione doveva poter disporre di una certa libertà nello svolgimento del proprio compito e, pertanto, che detto comitato poteva, senza modificare i criteri di attribuzione dell’appalto stabiliti nel capitolato d’oneri o nel bando di gara, strutturare il proprio lavoro di esame e di analisi delle offerte presentate (sentenza del 21 luglio 2011, Evropaïki Dynamiki/EMSA, C‑252/10 P, non pubblicata, EU:C:2011:512, punto 35). Secondo la Corte, tale libertà è giustificata da considerazioni di ordine pratico risultanti dal fatto che l’amministrazione aggiudicatrice deve poter adattare il metodo di valutazione che essa applicherà al fine di valutare e di classificare le offerte in rapporto alle circostanze del caso di specie (sentenza del 14 luglio 2016, TNS Dimarso, C‑6/15, EU:C:2016:555, punto 30).

292    Nel caso di specie, risulta dalla relazione di sintesi che, secondo la Commissione, le autorità italiane non hanno dimostrato che il rispetto della trasparenza nella valutazione delle offerte da parte della commissione di gara non è stato inficiato da un difetto di motivazione in riferimento tanto al metodo di attribuzione dei punteggi applicati quanto alla dimostrazione del fatto che tale metodo è stato correttamente eseguito. Nella relazione di sintesi, la Commissione precisa, inoltre, che gli elementi forniti dalle autorità italiane in occasione del procedimento amministrativo non hanno rimesso in discussione il fatto che, durante la procedura di aggiudicazione dell’appalto pubblico, tali elementi non erano accessibili a tutti gli offerenti. Quindi, secondo la Commissione, non potendo disporre di documenti dettagliati, gli altri offerenti avrebbero avuto molte difficoltà a presentare reclami motivati. Nella relazione di sintesi in questione, la Commissione ricorda, inoltre, che, secondo l’organo di conciliazione, una conciliazione era realizzabile per quanto riguardava il campione/pagamento n. 8 relativo al finanziamento concesso al Comune di Campoli Monti Taburno. Nonostante il parere dell’organo di conciliazione, da un lato, la Commissione ha considerato non pertinente la decisione del Consiglio di Stato del 21 maggio 2018, prodotta dalle autorità italiane e secondo la quale nelle «gare pubbliche non sussiste l’obbligo della specifica indicazione dei punteggi attribuiti dai singoli commissari, trattandosi di formalità interna relativa ai lavori della commissione esaminatrice, i cui giudizi, ai fini della verbalizzazione e della pubblicità esterna, sono sufficientemente documentati con la sola attribuzione del voto complessivo finale». Dall’altro lato, la Commissione, sottolineando che l’appalto in questione era stato attribuito all’offerente che aveva presentato l’offerta più onerosa, è rimasta del parere che il principio di trasparenza fosse stato violato e che fosse appropriato applicare una rettifica finanziaria pari al 10% delle spese.

293    Nel caso di specie, occorre valutare se la Repubblica italiana abbia dimostrato che la Commissione ha ritenuto ingiustamente che il processo di valutazione delle offerte nell’ambito della procedura di gara d’appalto in questione fosse viziato da una mancanza di trasparenza e dunque dall’errore rientrante nella categoria n. 16 secondo la classificazione contenuta nell’allegato della decisione C(2013) 9527.

294    A questo proposito, in primo luogo, quanto alla questione di sapere se la decisione di attribuzione fosse sufficientemente motivata per quanto riguarda il metodo di attribuzione dei punteggi e se essa permettesse di considerare che tale metodo era stato correttamente eseguito, è importante osservare quanto segue.

295    In primo luogo, per quanto riguarda il rispetto del principio di trasparenza, occorre osservare che il capitolato d’oneri fa riferimento ai criteri contenuti nel bando di gara e ricordati nel verbale del 19 giugno 2014. Il capitolato d’oneri descrive anche, in maniera dettagliata, il metodo di calcolo applicato nella valutazione delle offerte nel capo III, intitolato «Valutazione offerte e attribuzione punteggi».

296    In secondo luogo, è importante notare come risulti dai documenti prodotti dinanzi al Tribunale che il bando di gara d’appalto e gli atti contenuti in allegato a tale bando, ivi compreso il capitolato d’oneri, sono stati portati a conoscenza degli offerenti mediante la loro pubblicazione sul sito Internet dell’amministrazione aggiudicatrice, conformemente a quanto previsto dall’articolo 23 del decreto legislativo n. 33/2013, avente ad oggetto il «Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni».

297    In terzo luogo, nel verbale della seduta della commissione di gara del 19 giugno 2014 viene precisato che l’esame delle offerte dei partecipanti è stato realizzato applicando i criteri di valutazione tecnica stabiliti nel bando di gara, e segnatamente il criterio indicato al punto IV. 2. 1 a), ossia «Soluzioni tecniche migliorative rispetto al progetto posto a base di gara» e quello indicato al punto IV. 2. 1. b), ossia «Soluzioni progettuali/caratteristiche e qualità di prestazioni aggiuntive». Nel suddetto verbale, viene inoltre indicato che ciascun commissario ha assegnato dei punteggi applicando il metodo cosiddetto dei «confronti a coppie» contemplato dall’allegato G del decreto del Presidente della Repubblica 207/2010 recante regolamento di esecuzione e di attuazione del decreto legislativo n. 163/2006 (GURI n. 288, del 10 dicembre 2010). Più precisamente, secondo il verbale in questione, ciascun commissario ha valutato, per ciascun criterio, quale dei due elementi di ciascuna coppia fosse da preferire ed ha assegnato un punteggio da 1 (parità) a 6 (massimo di preferenza) in funzione del grado di preferenza accordato. Il verbale in questione, dopo aver chiarito come la commissione di gara ha proceduto al calcolo dei punteggi ed ha «parametrato» tutti i risultati, espone il totale dei punti della valutazione tecnica, una griglia di valutazione e i risultati finali.

298    In quarto luogo, i «brogliacci contenenti la valutazione discrezionale della commissione di gara», prodotti dalle autorità italiane nel corso del procedimento amministrativo, e depositati dalla Repubblica italiana dinanzi al Tribunale, consistenti in note manoscritte, firmati da ciascun commissario e datati 19 giugno 2014, dimostrano, da un lato, che il metodo del confronto a coppie è stato correttamente seguito e, dall’altro, che gli offerenti avevano non soltanto compreso l’esatta portata dei criteri di valutazione tecnica stabiliti nel bando di gara, ma li avevano anche interpretati nello stesso modo. Infatti, risulta dai suddetti brogliacci che, in occasione dei confronti a coppie delle offerte, alcuni elementi tecnici presentati dagli offerenti sono stati considerati equivalenti e, inoltre, che tali elementi equivalenti, oppure gli elementi ai quali è stata accordata una preferenza, si ripetono nei diversi confronti.

299    In quinto luogo, per quanto riguarda la notevole differenza, rilevata dalla Commissione, tra il punteggio tecnico attribuito all’aggiudicatario rispetto a quelli assegnati agli altri offerenti, occorre osservare che essa permette soltanto di comprendere le ragioni della scelta dell’offerta più onerosa. Infatti, è evidente che, più il livello delle prestazioni tecniche proposte è elevato, più il prezzo dell’offerta può risultare elevato. In altri termini, la suddetta differenza tra il punteggio tecnico dell’aggiudicatario e quelli degli altri offerenti, evidenziata dalla Commissione, lungi dal dimostrare un difetto di informazione per quanto riguarda la parte tecnica della valutazione delle offerte, rivela una diversità di valutazione della loro adeguatezza rispetto ai criteri della gara d’appalto. Per giunta, come risulta dalla giurisprudenza menzionata ai punti 290 e 291 supra, un comitato di valutazione, senza modificare i criteri di attribuzione dell’appalto stabiliti nel capitolato d’oneri o nel bando di gara, deve poter disporre di una certa libertà per strutturare il proprio lavoro di esame e di analisi delle offerte presentate. Pertanto, la Commissione non può dedurre dall’assenza di chiarimenti nel verbale del 19 giugno 2014 riguardo alle preferenze accordate dai commissari ai diversi elementi tecnici presentati dagli offerenti «una mancanza di una chiara giustificazione della parte tecnica della valutazione delle offerte» oppure che la trasparenza del processo di valutazione di queste ultime non è stata rispettata.

300    Risulta da quanto sopra esposto che la Commissione ha erroneamente ritenuto che la procedura di gara d’appalto in questione fosse viziata da un difetto di motivazione quanto al metodo di attribuzione dei punteggi applicato e quanto alla dimostrazione del fatto che tale metodo era stato seguito correttamente. Infatti, risulta dalle considerazioni di cui sopra che, sin dalla fase di messa in atto dell’appalto, l’amministrazione aggiudicatrice aveva precisato, nel bando di gara e nel capitolato d’oneri, i criteri prescelti per determinare l’offerta economicamente più vantaggiosa, nonché il metodo di calcolo e di attribuzione dei punteggi. Poiché tali documenti sono stati pubblicati, in conformità del principio di trasparenza, gli offerenti erano in grado di sapere che il metodo di valutazione delle offerte era il confronto a coppie e che tale metodo teneva conto dei criteri tecnici menzionati nel bando di gara e ricordati nel capitolato d’oneri. Inoltre, come risulta dall’analisi dei brogliacci, gli offerenti hanno interpretato uniformemente i criteri summenzionati ai fini della presentazione delle loro offerte.

301    In secondo luogo, occorre valutare se, come sostenuto dalla Commissione, poiché gli elementi forniti dalle autorità italiane nel corso del procedimento amministrativo (verbali delle sedute della commissione di gara e brogliacci dei commissari) non erano stati messi a disposizione degli offerenti in occasione della procedura di affidamento dell’appalto pubblico, questi ultimi avrebbero avuto molte difficoltà a presentare reclami motivati, e dunque se, come sostiene la Commissione, tale situazione fosse comparabile al caso in cui «la relazione di valutazione non esiste[sse] o non cont[enesse] tutti gli elementi richiesti dalle disposizioni [pertinenti]».

302    A questo proposito, in primis, occorre osservare come risulti dalla giurisprudenza menzionata al punto 289 supra che il principio di parità di trattamento implica che i criteri di attribuzione siano formulati, nel capitolato d’oneri o nel bando di gara, in modo da permettere a tutti gli offerenti ragionevolmente informati e normalmente diligenti di interpretarli allo stesso modo. Il principio suddetto implica inoltre che, in una valutazione delle offerte, tali criteri vengano applicati in maniera obiettiva e uniforme a tutti gli offerenti.

303    Orbene, al punto 296 supra, si è indicato che il metodo di calcolo prescelto per la valutazione delle offerte, in quanto era descritto in maniera assai dettagliata nel capo III del capitolato d’oneri, era stato portato a conoscenza degli offerenti. Infatti, il suddetto capitolato di oneri nonché il bando di gara che indicavano i criteri di valutazione tecnica delle offerte avevano costituito l’oggetto di una pubblicazione sul sito Internet istituzionale dell’amministrazione aggiudicatrice.

304    In secundis, non risulta dalla giurisprudenza che il rispetto del principio di trasparenza, corollario del principio di parità di trattamento, implichi l’obbligo di indicare, nel bando di gara o nel capitolato d’oneri, il processo di valutazione seguito dal comitato di aggiudicazione per arrivare all’attribuzione dell’appalto. Il rispetto dei principi di trasparenza e di parità di trattamento implica unicamente che il metodo di calcolo dei punteggi venga portato a conoscenza degli offerenti mediante il bando di gara e il capitolato d’oneri.

305    In tertiis, contrariamente a quanto sostiene la Commissione, la circostanza che le autorità italiane abbiano fornito a seguito dell’audit taluni documenti, quali i verbali e i brogliacci relativi alla valutazione delle offerte, non dimostra una mancanza di trasparenza o di parità di trattamento nella valutazione delle offerte. Al contrario, tali documenti, che sono stati redatti nel corso della valutazione delle offerte da parte della commissione di gara, dimostrano l’applicazione, da parte dei commissari, del metodo previsto nel bando di gara e nel capitolato d’oneri. Inoltre, gli offerenti esclusi potevano chiedere di accedere a tali documenti che erano utilizzabili al fine di contestare l’attribuzione dell’appalto all’offerente prescelto.

306    Risulta da quanto precede, da un lato, che è dimostrato che la Commissione ha erroneamente ritenuto che la procedura di attribuzione dell’appalto seguita dal Comune di Campoli Monti Taburno fosse viziata dall’errore rientrante nella categoria n. 16 dell’allegato della decisione C(2013) 9527 (v. punto 300 supra), vale a dire che la pista di controllo riguardante in particolare i punteggi attribuiti a ciascuna offerta fosse poco chiara, ingiustificata, priva di trasparenza o inesistente (v. punto 287 supra). Dall’altro lato, è altresì dimostrato che la Commissione ha erroneamente ritenuto che gli offerenti non disponessero di elementi che permettessero loro di comprendere la valutazione delle offerte e di valutare se occorresse presentare un reclamo contro la decisione di attribuzione, e che la mancanza di elementi relativi al processo di valutazione delle offerte corrispondesse all’errore n. 16 della decisione C(2013) 9527, ossia la situazione in cui «la relazione di valutazione non esiste o non contiene tutti gli elementi richiesti dalle disposizioni pertinenti».

307    Ne consegue che occorre accogliere la seconda parte del sesto motivo di ricorso e annullare parzialmente la decisione impugnata là dove questa, relativamente al campione/pagamento n. 8, applica una rettifica forfettaria pari al 10% delle spese corrispondente ad un importo di EUR 72 704,23 (v. punto 51 supra).

308    Tenuto conto dell’insieme delle considerazioni sopra esposte, occorre annullare la decisione impugnata, da un lato, là dove essa prevede una rettifica finanziaria del 2%, relativa agli aiuti per superficie concessi in Italia, per un ammontare di EUR 143 924 279,14, per gli anni di domanda 2015 e 2016, stabilita a seguito delle indagini AA/2016/003/IT, AA/2016/012/IT e AA/2019/15/IT (v. punto 142 supra), e, dall’altro, là dove essa dispone una rettifica forfettaria del 10%, per un ammontare di EUR 72 704,23, relativa al campione/pagamento n. 8 concernente il Comune di Campoli Monte Taburno, in applicazione della misura 322, facente parte delle misure a favore dello sviluppo rurale per gli anni di domanda 2014, 2015 e 2016 (v. punto 307 supra), stabilita a seguito dell’indagine RD 1/2016/803/IT.

IV.    Sulle spese

309    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 3, del regolamento di procedura, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, le spese sono compensate. Nel caso di specie, poiché il ricorso è stato parzialmente accolto, costituisce equa valutazione delle circostanze di causa la decisione di condannare ciascuna parte a sopportare le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      La decisione di esecuzione (UE) 2019/1835 della Commissione, del 30 ottobre 2019, recante esclusione dal finanziamento dell’Unione europea di alcune spese sostenute dagli Stati membri nell’ambito del Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA) e del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR), è annullata nella parte in cui impone alla Repubblica italiana una rettifica forfettaria del 2%, relativa agli aiuti per superficie concessi in Italia, per un ammontare di EUR 143 924 279,14 per gli anni di domanda 2015 e 2016, e una rettifica forfettaria del 10%, per un ammontare di EUR 72 704,23, relativa al campione/pagamento n. 8 concernente il Comune di Campoli Monte Taburno, in applicazione della misura 322, facente parte delle misure a favore dello sviluppo rurale per gli anni di domanda 2014, 2015 e 2016.

2)      Il ricorso è respinto per il resto.

3)      La Repubblica italiana e la Commissione europea sopporteranno ciascuna le proprie spese.

Gervasoni

Madise

Martín y Pérez de Nanclares

Così pronunciato in pubblica udienza a Lussemburgo, il 9 marzo 2022.

Il cancelliere

 

Il presidente

E. Coulon

 

S. Papasavvas


Indice


I. Fatti all’origine della controversia

A. Rettifica finanziaria di EUR 143 924 279,14 stabilita a seguito delle indagini AA/2016/003/IT, AA/2016/012/IT e AA/2016/015/IT

B. Rettifica di EUR 11 050 070,04 disposta a seguito dell’indagine FV/2016/002/IT

C. Rettifica finanziaria di EUR 857 498,36 stabilita a seguito dell’indagine RD 1/2016/803/IT

II. Procedimento e conclusioni delle parti

III. In diritto

A. Sul primo, sul secondo e sul terzo motivo di ricorso, attinenti alla rettifica finanziaria di EUR 143 924 279,14 stabilita a seguito delle indagini AA/2016/003/IT, AA/2016/012/IT e AA/2016/015/IT

1. Sul carattere operante del primo motivo di ricorso, relativo alla violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013

2. Sulla fondatezza del primo motivo di ricorso, relativo alla violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento n. 1307/2013

B. Sul quarto e sul quinto motivo di ricorso, afferenti alla rettifica di EUR 11 050 070,04 stabilita a seguito dell’indagine FV/2016/002/IT

1. Sul quarto motivo di ricorso, relativo alla violazione degli articoli 26, 27 e 106 del regolamento di esecuzione n. 543/2011 e dell’articolo 155 del regolamento n. 1308/2013

a) Sulla prima parte del quarto motivo, riguardante il controllo dell’ammissibilità del PO delle OP prima della sua approvazione sotto il profilo della verifica della fondatezza delle stime dei prezzi per l’acquisto dei beni e dei servizi

b) Sulla seconda parte del quarto motivo di ricorso, relativa alla violazione dell’articolo 155 del regolamento n. 1308/2013 e degli articoli 26 e 27 del regolamento di esecuzione n. 543/2011, per quanto riguarda il controllo del riconoscimento dello status delle OP sotto il profilo dell’esternalizzazione della loro attività principale

2. Sul quinto motivo di ricorso, relativo alla violazione degli articoli 31 e 106 del regolamento di esecuzione n. 543/2011, nonché alla violazione del regolamento delegato n. 499/2014 per quanto riguarda il controllo essenziale n. 3

C. Sul sesto motivo di ricorso, relativo alla rettifica finanziaria di EUR 857 498,36 stabilita a seguito dell’indagine RD 1/2016/803/IT

1. Sulla prima parte del sesto motivo di ricorso, relativa al carattere erroneo della rettifica finanziaria applicata dalla Commissione per quanto riguarda il campione/pagamento n. 3 – Comune di Bernalda

2. Sulla seconda parte del sesto motivo di ricorso, relativa al carattere erroneo della rettifica finanziaria applicata dalla Commissione per quanto riguarda il campione/pagamento n. 8 – Comune di Campoli Monti Taburno (Campania)

IV. Sulle spese


*      Lingua processuale: l’italiano.