Language of document : ECLI:EU:C:2023:937

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

ATHANASIOS RANTOS

presentate il 30 novembre 2023 (1)

Causa C540/22

SN e a.

contro

Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal rechtbank Den Haag, zittingsplaats Middelburg (Tribunale dell’Aia, sede di Middelburg, Paesi Bassi)]

«Rinvio pregiudiziale – Libera prestazione dei servizi – Articoli 56 e 57 TFUE – Distacco di lavoratori – Distacco di cittadini ucraini da parte di un’impresa stabilita in Slovacchia per svolgere attività lavorative nei Paesi Bassi – Durata superiore a 90 giorni su un periodo di 180 giorni – Obbligo per i lavoratori distaccati di essere titolari di un permesso di soggiorno nei Paesi Bassi – Limitazione del periodo di validità del permesso di soggiorno – Importo dei diritti relativi alla domanda di permesso di soggiorno – Restrizione alla libera prestazione dei servizi – Motivi imperativi di interesse generale – Proporzionalità»






I.      Introduzione

1.        Alcuni lavoratori ucraini sono stati distaccati da un prestatore di servizi slovacco per svolgere attività nei Paesi Bassi. La durata di tali attività è stata prolungata oltre i 90 giorni su un periodo di 180 giorni. In una situazione del genere, la normativa dei Paesi Bassi prevede che i cittadini di paesi terzi debbano essere titolari di un permesso di soggiorno, che comporta condizioni relative alla durata di validità di tale permesso e un costo per il suo ottenimento.

2.        Una siffatta normativa è conforme agli articoli 56 e 57 TFUE? È questa, in sostanza, la questione sollevata dal rechtbank Den Haag, zittingsplaats Middelburg (Tribunale dell’Aia, sede di Middelburg, Paesi Bassi).

3.        Tale questione condurrà la Corte a precisare la sua giurisprudenza relativa al regime applicabile ai cittadini di Stati terzi distaccati nell’Unione europea. Sebbene l’obbligo di essere in possesso di un permesso di soggiorno costituisca indubbiamente una restrizione alla libera prestazione dei servizi, occorrerà esaminare in quale misura tale restrizione possa rispondere a un motivo imperativo di interesse generale ed essere proporzionata.

II.    Contesto normativo

4.        L’articolo 2, paragrafo 1, della Wet arbeid vreemdelingen (legge sui lavoratori stranieri) (2), del 21 dicembre 1994, così recita:

«A un datore di lavoro è fatto divieto di far svolgere un’attività lavorativa a un cittadino straniero nei Paesi Bassi senza un permesso di lavoro o senza che il cittadino straniero sia titolare di un permesso unico per lavorare per tale datore di lavoro».

5.        L’articolo 1 del Besluit uitvoering Wet arbeid vreemdelingen (decreto attuativo della legge sui lavoratori stranieri), nella versione applicabile all’epoca dei fatti nel procedimento principale, stabilisce quanto segue:

«Il divieto di cui all’articolo 2, paragrafo 1, della legge sui lavoratori stranieri non si applica al cittadino straniero che, nel contesto di una prestazione transfrontaliera di servizi, svolga temporaneamente un’attività lavorativa nei Paesi Bassi al servizio di un datore di lavoro stabilito al di fuori dei Paesi Bassi, in un altro Stato membro dell’Unione europea, in un altro Stato parte dell’accordo sullo Spazio economico europeo o in Svizzera, purché:

a.      il cittadino straniero soddisfi tutte le condizioni relative al soggiorno, al permesso di lavoro e alla previdenza sociale per svolgere un’attività lavorativa in qualità di lavoratore subordinato del datore di lavoro nel paese in cui quest’ultimo è stabilito;

b.      il cittadino straniero svolga un’attività lavorativa analoga a quella per la quale è autorizzato nel paese nel quale è stabilito il datore di lavoro;

c.      il cittadino straniero sia solo un sostituto di un altro cittadino straniero che ha svolto un’attività lavorativa analoga e la durata totale della prestazione di servizi concordata non venga superata; e

d.      il datore di lavoro eserciti effettivamente attività sostanziali ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3, lettera a), della Wet arbeidsvoorwaarden gedetacheerde werknemers in de Europese Unie (legge sulle condizioni di lavoro dei lavoratori distaccati nell’Unione europea) [(3)]».

6.        L’articolo 14 della wet tot algehele herziening van de Vreemdelingenwet (legge recante revisione generale della legge sugli stranieri) (4), del 23 novembre 2000 (in prosieguo: la «legge sugli stranieri del 2000»), al suo paragrafo 1 dispone quanto segue:

«Il Ministro ha la facoltà di:

a.      approvare, respingere oppure non prendere in considerazione la domanda di permesso di soggiorno a tempo determinato;

(…)

3.      Il rilascio di un permesso di soggiorno a tempo determinato comporta restrizioni relative allo scopo per il quale il soggiorno è autorizzato. Il permesso può essere assoggettato anche ad altre condizioni. (…)».

7.        L’articolo 3.31a, paragrafo 1, del Besluit tot uitvoering van de Vreemdelingenwet 2000 (Vreemdelingenbesluit 2000) (decreto sugli stranieri del 2000) (5), del 23 novembre 2000, è così formulato:

«Il permesso di soggiorno regolare a tempo determinato può essere rilasciato, corredato da una restrizione relativa all’attività svolta nell’ambito della prestazione transfrontaliera di servizi di cui all’articolo 4.6 del decreto attuativo della legge sui lavoratori stranieri del 2022, se la notifica di cui all’articolo 8 [del Besluit arbeidsvoorwaarden gedetacheerde werknemers in de Europese Unie (decreto sulle condizioni di lavoro dei lavoratori distaccati nell’Unione europea)] è stata effettuata, fornendo le informazioni prescritte in tale articolo e all’articolo 11, paragrafo 3, [del decreto sulle condizioni di lavoro dei lavoratori distaccati nell’Unione europea]».

8.        Ai sensi dell’articolo 3.4, paragrafo 1, lettera i), del decreto sugli stranieri del 2000:

«Le restrizioni previste all’articolo 14, paragrafo 3, della [legge sugli stranieri del 2000] riguardano:

(…)

i.      la prestazione transfrontaliera di servizi».

9.        L’articolo 8, paragrafi da 1 a 3, della legge sulle condizioni di lavoro dei lavoratori distaccati nell’Unione europea enuncia quanto segue:

«1.      Il prestatore di servizi che distacca un lavoratore nei Paesi Bassi è tenuto a darne notifica per iscritto o per via telematica al Ministro prima dell’inizio dell’attività. La notifica del prestatore di servizi include:

a.      la sua identità;

b.      l’identità del destinatario dei servizi e quella del lavoratore distaccato;

c.      la persona di contatto di cui all’articolo 7;

d.      l’identità della persona fisica o giuridica responsabile del pagamento delle retribuzioni;

e.      la natura e la durata prevista dell’attività;

f.      l’indirizzo del luogo di lavoro; e

g.      i contributi ai regimi di sicurezza sociale applicabili.

2.      Se il prestatore di servizi che distacca un lavoratore nei Paesi Bassi, prima dell’inizio dell’attività, fornisce al destinatario dei servizi una copia scritta o elettronica della notifica di cui al paragrafo 1, quest’ultima deve contenere almeno le informazioni relative alla sua identità e a quella del lavoratore distaccato, all’indirizzo del luogo di lavoro nonché alla natura e alla durata dell’attività.

3.      Il destinatario della prestazione verifica se la copia della notifica di cui al paragrafo 2 contenga le informazioni menzionate a tale paragrafo 2 e notifica al Ministro, per iscritto o per via telematica, eventuali inesattezze o la mancata ricezione della copia entro e non oltre cinque giorni lavorativi dall’inizio dell’attività».

10.      L’articolo 3, paragrafo 2, del decreto sulle condizioni di lavoro dei lavoratori distaccati nell’Unione europea stabilisce quanto segue:

«Il Ministro è autorizzato e tenuto, su richiesta, a fornire gratuitamente al Servizio Immigrazione e Naturalizzazione i dati relativi ai prestatori di servizi, ai destinatari dei servizi, alle persone di contatto, alle persone responsabili del pagamento delle retribuzioni e ai lavoratori distaccati, che sono stati trattati in relazione all’articolo 8 della legge, compreso il numero di identificazione nazionale, nei limiti in cui tali dati siano necessari ai fini dei compiti connessi all’esecuzione della legge sugli stranieri del 2000».

11.      L’articolo 11, paragrafo 3, di tale decreto così dispone:

«Il prestatore di servizi che distacca un cittadino straniero ai sensi dell’articolo 1 del decreto attuativo della legge sui lavoratori stranieri fornisce, oltre ai dati di cui all’articolo 8, paragrafo 1, di tale legge, la data della fine del periodo di lavoro regolare menzionata nel documento in base al quale detto cittadino straniero è autorizzato a svolgere un’attività lavorativa in qualità di lavoratore subordinato nello Stato membro di rilascio».

12.      In forza dell’articolo 3.58, paragrafo 1, lettera i), del decreto sugli stranieri del 2000 e della parte B5/3.1 della Vreemdelingencirculaire 2000 (circolare del 2000 sugli stranieri) (6), del 2 marzo 2001, nella versione applicabile all’epoca dei fatti nel procedimento principale, l’Immigratie- en Naturalisatiedienst (Servizio Immigrazione e Naturalizzazione, Paesi Bassi; in prosieguo: l’«IND») rilascia il permesso di soggiorno relativo a una prestazione transfrontaliera di servizi per un periodo di validità pari alla durata dell’attività di cui all’articolo 1, paragrafo 2, del decreto attuativo della legge sui lavoratori stranieri.

13.      L’articolo 3.34 del Voorschrift Vreemdelingen 2000 (regolamento del 2000 sugli stranieri) (7), del 18 dicembre 2000, stabilisce che il cittadino straniero che non è titolare di un permesso di soggiorno provvisorio valido per lo scopo indicato nella domanda di soggiorno è tenuto al pagamento di diritti a titolo di trattamento di una domanda di rilascio, di modifica o di rinnovo di un permesso di soggiorno per la prestazione transfrontaliera di servizi.

III. Procedimento principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

14.      I ricorrenti, cittadini ucraini, sono titolari di un permesso di soggiorno temporaneo slovacco per motivi di lavoro. Essi lavorano per la società slovacca ROBI spol s. r. o., che li ha distaccati presso un committente olandese, la società Ivens NV, per svolgere attività metallurgiche nel porto di Rotterdam (Paesi Bassi). La ROBI ha previamente comunicato all’Uitvoeringsinstituut werknemersverzekeringen (Istituto di gestione delle assicurazioni per i lavoratori subordinati, Paesi Bassi) le attività che dovevano svolgere i ricorrenti e il periodo durante il quale essi dovevano eseguirle (8). Successivamente, la ROBI ha notificato alle autorità dei Paesi Bassi che dette attività si sarebbero protratte per un periodo più lungo rispetto a quello previsto dall’articolo 21, paragrafo 1, della Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen (9), ai sensi del quale «[g]li stranieri in possesso di un titolo di soggiorno rilasciato da uno degli Stati membri possono, in forza di tale titolo e di un documento di viaggio, purché tali documenti siano in corso di validità, circolare liberamente per un periodo non superiore a 90 giorni su un periodo di 180 giorni nel territorio degli altri Stati membri, sempreché soddisfino le condizioni di ingresso di cui all’articolo 5, paragrafo 1, lettere a), c) ed e), del regolamento (CE) n. 562/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006, che istituisce un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen) [(10)] e non figurino nell’elenco nazionale delle persone segnalate dello Stato membro interessato».

15.      In tale contesto, la ROBI ha presentato presso l’IND, per ciascuno dei ricorrenti, domande di rilascio di un permesso di soggiorno per detta prestazione transfrontaliera di servizi, per il trattamento delle quali sono stati riscossi diritti. L’IND, a nome dello Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Segretario di Stato alla Giustizia e alla Sicurezza, Paesi Bassi) (in prosieguo: il «Segretario di Stato»), ha deciso di rilasciare ai ricorrenti permessi di soggiorno regolari a tempo determinato, corredati dalla restrizione relativa alla prestazione transfrontaliera di servizi, precisando che il lavoro inerente a tali domande non era subordinato all’ottenimento di un permesso di lavoro. Inoltre, la durata di validità di tali permessi di soggiorno è stata limitata alla durata di validità dei permessi di soggiorno temporanei slovacchi per motivi di lavoro, con la conseguenza che essa era inferiore alla durata delle attività per le quali i ricorrenti erano stati distaccati.

16.      I ricorrenti hanno presentato reclami avverso siffatte decisioni presso l’IND, che li ha esaminati a nome del Segretario di Stato. I reclami dei ricorrenti vertevano sull’obbligo in sé di richiedere un permesso di soggiorno per la prestazione transfrontaliera di servizi, sulla durata di validità dei permessi di soggiorno rilasciati e sui diritti dovuti per il trattamento delle domande di tali permessi. Il 16 marzo 2021 detti reclami sono stati esaminati dal comitato amministrativo per le audizioni dell’IND. Il 7 aprile 2021, con 44 decisioni distinte, il Segretario di Stato ha dichiarato infondati i reclami dei ricorrenti.

17.      Questi ultimi hanno proposto ricorso avverso tali decisioni dinanzi al rechtbank Den Haag, zittingsplaats Middelburg (Tribunale dell’Aia, sede di Middelburg, Paesi Bassi), giudice del rinvio. Dinanzi a tale giudice, i ricorrenti e il Segretario di Stato hanno discusso l’obbligo, per i lavoratori cittadini di Stati terzi alle dipendenze di un prestatore di servizi stabilito in uno Stato membro, di essere in possesso, oltre che di un permesso di soggiorno in tale Stato membro, di un permesso di soggiorno per soggiornare in un altro Stato membro nell’ambito di una prestazione transfrontaliera di servizi successivamente alla scadenza del periodo di 90 giorni di cui all’articolo 21, paragrafo 1 della CAAS. Essi hanno inoltre discusso della circostanza che la durata dei permessi di soggiorno rilasciati dai Paesi Bassi sia limitata alla durata di validità dei permessi di soggiorno slovacchi, che peraltro non può superare i due anni, e dell’importo dei diritti da corrispondere per il trattamento delle domande di permesso di soggiorno nei Paesi Bassi.

18.      Il giudice del rinvio rileva che, nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 21 settembre 2006, Commissione/Austria (C‑168/04, EU:C:2006:595, punti 31 e 32), la Commissione europea ha fatto valere che, nel contesto della libera prestazione dei servizi, ogni prestatore di servizi trasmette ai propri lavoratori dipendenti il «diritto derivato» di ricevere un permesso di soggiorno per la durata necessaria alla prestazione e che la decisione relativa al diritto di soggiorno (vale a dire, in tale causa, il rilascio di un visto) avrebbe carattere puramente formale e dovrebbe essere riconosciuta automaticamente.

19.      Tale giudice si chiede se il diritto alla libera prestazione dei servizi, quale previsto agli articoli 56 e 57 TFUE, non conferisca anche un diritto di soggiorno derivato ai lavoratori distaccati nel contesto di una prestazione transfrontaliera di servizi. Dal punto 59 della citata sentenza risulterebbe che ciò non avviene, in quanto la materia relativa all’ingresso e al soggiorno dei cittadini di Stati terzi nel territorio di uno Stato membro, nel contesto di un distacco effettuato da un’impresa che fornisce servizi stabilita in un altro Stato membro, non è armonizzata a livello dell’Unione. Ciononostante, secondo detto giudice, sulla base dell’obbligo di rimuovere ogni ostacolo alla libera prestazione dei servizi derivante dall’articolo 56 TFUE, si potrebbe sostenere che l’impiego in uno Stato membro di lavoratori cittadini di Stati terzi dipendenti di un prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro, autorizzato nell’ambito della libera circolazione dei servizi, non può essere subordinato al possesso di un permesso di soggiorno individuale, giacché un siffatto obbligo renderebbe inutilmente complicata la prestazione di servizi mediante il distacco di lavoratori cittadini di Stati terzi.

20.      Il giudice del rinvio rileva che, sempre nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 21 settembre 2006, Commissione/Austria (C‑168/04, EU:C:2006:595, punto 20), la Commissione ha sostenuto inoltre che l’esistenza di una duplice procedura (vale a dire, in tale causa, quella relativa al visto e quella relativa all’attestazione di distacco) costituiva, di per sé, una restrizione sproporzionata rispetto al principio della libera prestazione dei servizi. Nel caso di specie, la normativa dei Paesi Bassi sarebbe parimenti caratterizzata dall’esistenza di una duplice procedura, in quanto, da un lato, le informazioni relative ai lavoratori cittadini di Stati terzi distaccati nei Paesi Bassi da un prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro devono essere oggetto di una notifica da parte di tale prestatore, mentre, dall’altro, i lavoratori in questione devono richiedere separatamente un permesso di soggiorno nei Paesi Bassi sulla base delle stesse informazioni fornite mediante detta notifica.

21.      In aggiunta, secondo detto giudice, benché il requisito del permesso di soggiorno assuma rilievo solo dopo la scadenza di un periodo di 90 giorni, un siffatto requisito avrebbe comunque l’effetto di un’autorizzazione preventiva nel caso in cui la prestazione di servizi superasse tale periodo. Il fatto che l’IND si limiti a verificare se sia stata effettuata una notifica a norma dell’articolo 8 della legge sulle condizioni di lavoro dei lavoratori distaccati nell’Unione europea e non imponga ulteriori condizioni non significherebbe tuttavia che siffatta duplice procedura non determini, di fatto, una restrizione alla libera prestazione dei servizi. Al riguardo sarebbe ininfluente la circostanza che nella prassi la decisione sul rilascio di un permesso di soggiorno sia adottata entro un termine breve.

22.      Il giudice del rinvio aggiunge che il carattere restrittivo della procedura distinta per l’ottenimento di un permesso di soggiorno per la prestazione transfrontaliera di servizi sarebbe confermato dal fatto che il periodo di validità di tale permesso è limitato dalla normativa nazionale alla durata dell’attività, con un massimo di due anni. In caso di durata della prestazione di servizi superiore a quella originariamente prevista o al massimo stabilito, sarebbe necessario presentare una nuova domanda per il rilascio di un permesso di soggiorno o per una proroga della sua validità.

23.      Infine, per ogni domanda di permesso di soggiorno, il richiedente sarebbe tenuto a pagare diritti fissati dalla normativa nazionale, il cui importo è pari ai diritti dovuti per ottenere un permesso di soggiorno per motivi di lavoro come quello che può essere rilasciato ai cittadini di Stati terzi. Tale importo ammonterebbe invece al quintuplo dell’importo dei diritti dovuti per il rilascio di un certificato di soggiorno regolare a un cittadino dell’Unione. Gli importi dei diritti in parola verrebbero adeguati periodicamente e, nel caso dei ricorrenti, a seconda della loro situazione, sarebbero stati pari a EUR 290 o a EUR 320, mentre attualmente l’importo di detti diritti sarebbe fissato a EUR 345.

24.      In tale contesto, il rechtbank Den Haag, zittingsplaats Middelburg (Tribunale dell’Aia, sede di Middelburg) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se la libertà di prestazione dei servizi, sancita agli articoli 56 e 57 TFUE, comprenda un diritto di soggiornare in uno Stato membro, da essa derivato, per lavoratori dipendenti cittadini di paesi terzi che possono essere impiegati in detto Stato membro da un prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro.

2)      In caso di risposta negativa, se l’articolo 56 TFUE osti a che, qualora la prestazione di servizi duri più di tre mesi, si debba richiedere per ciascun dipendente un permesso di soggiorno, oltre a un mero obbligo di notifica per il prestatore di servizi.

3)      In caso di risposta negativa, se l’articolo 56 TFUE osti a:

a)      una normativa nazionale secondo la quale la durata di validità di un siffatto permesso di soggiorno, a prescindere dalla durata della prestazione dei servizi, non può essere superiore a due anni;

b)      la limitazione della durata di validità di un siffatto permesso di soggiorno alla durata di validità del permesso di soggiorno e di lavoro nello Stato membro di stabilimento del prestatore di servizi;

c)      l’imposizione di diritti per ciascuna domanda (di proroga), il cui ammontare è pari ai diritti dovuti per un permesso regolare per la prestazione di lavoro effettuata da un cittadino di un paese terzo, ma è pari al quintuplo dell’importo dei diritti dovuti per un certificato di soggiorno regolare di un cittadino dell’Unione».

25.      Hanno presentato osservazioni scritte i ricorrenti, i governi dei Paesi Bassi, belga e norvegese, nonché la Commissione. Le medesime parti, ad eccezione del governo belga, hanno altresì presentato osservazioni orali all’udienza tenutasi il 21 settembre 2023.

IV.    Analisi

26.      Con le sue tre questioni pregiudiziali, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli articoli 56 e 57 TFUE debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale secondo la quale, nel caso in cui un prestatore di servizi stabilito in uno Stato membro distacchi lavoratori cittadini di Stati terzi in un altro Stato membro per un periodo superiore a 90 giorni su un periodo di 180 giorni, tali lavoratori devono essere titolari di un permesso di soggiorno individuale in questo secondo Stato membro, la cui durata è limitata al periodo di validità del permesso di soggiorno e di lavoro rilasciato nel primo Stato membro e, in ogni caso, a due anni, e il cui rilascio è subordinato al pagamento di diritti di importo pari a quello dei diritti dovuti per un permesso regolare per la prestazione di un’attività lavorativa da parte di un cittadino di uno Stato terzo.

27.      Nel procedimento principale, lavoratori ucraini vengono distaccati da una società slovacca per svolgere attività metallurgiche nei Paesi Bassi. La normativa dei Paesi Bassi richiede che i lavoratori cittadini di Stati terzi siano titolari di un permesso di soggiorno qualora le attività si protraggano oltre la durata prevista dall’articolo 21, paragrafo 1, della CAAS, vale a dire 90 giorni su un periodo di 180 giorni. Il giudice del rinvio chiede se tale normativa e le condizioni da essa previste, relative alla durata del permesso di soggiorno e all’importo dei diritti da corrispondere, siano conformi al diritto dell’Unione.

28.      In via preliminare, rilevo che, a termini del considerando 20 della direttiva 96/71/CE (11), quest’ultima «lascia (…) impregiudicate le legislazioni nazionali relative alle condizioni di ingresso, di residenza e di occupazione per i lavoratori di paesi terzi». Ciò posto, come rilevato dal giudice del rinvio, la normativa dei Paesi Bassi di cui trattasi nel procedimento principale deve essere esaminata alla luce del Trattato FUE.

29.      Secondo una giurisprudenza costante della Corte, l’attività consistente, per un’impresa, nel fornire, contro corrispettivo, manodopera che rimane alle dipendenze dell’impresa stessa, senza che nessun contratto di lavoro sia stipulato con l’utilizzatore, costituisce un’attività professionale che possiede le caratteristiche indicate dall’articolo 57, primo comma, TFUE, e dev’essere pertanto qualificata come servizio ai sensi di detta disposizione (12). Inoltre, da una parte, siffatta prestazione di servizi tra due imprese aventi sede in due Stati membri diversi rientra nell’ambito di applicazione degli articoli 56 TFUE nonché 57 TFUE e, dall’altra, la circostanza che la messa a disposizione della manodopera di cui trattasi riguardi lavoratori cittadini di Stati terzi è irrilevante al riguardo(13).

30.      Dalla giurisprudenza della Corte risulta altresì che la libera prestazione dei servizi, di cui all’articolo 56 TFUE, esige non soltanto l’eliminazione nei confronti del prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro di qualsiasi discriminazione fondata sulla sua cittadinanza, ma anche la soppressione di qualsiasi restrizione – ancorché applicabile indistintamente ai prestatori nazionali e a quelli degli altri Stati membri – quando è idonea a vietare, a ostacolare o a rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro, ove questi fornisce legittimamente servizi analoghi(14). Peraltro, occorre ricordare che la materia relativa al distacco di lavoratori dipendenti cittadini di uno Stato terzo nell’ambito di una prestazione di servizi transfrontalieri non è attualmente armonizzata a livello dell’Unione (15). Ne deriva che, in tale materia, gli Stati membri dispongono di un margine di discrezionalità nel determinare le condizioni applicabili a un siffatto distacco. Tuttavia, secondo la giurisprudenza della Corte, il controllo esercitato da uno Stato membro con riguardo a detta materia non può rimettere in discussione la libertà di prestazione dei servizi dell’impresa che impiega tali lavoratori (16).

31.      Nel caso di specie, poiché il procedimento principale riguarda lavoratori ucraini distaccati, mi sembra utile esaminare previamente il loro diritto di ingresso e di soggiorno nell’Unione allo stato attuale. A tal riguardo, rilevo che, ai sensi dell’articolo 2 della decisione di esecuzione (UE) 2022/382 (17), quest’ultima si applica alle «persone che sono sfollate dall’Ucraina a partire dal 24 febbraio 2022 incluso a seguito dell’invasione militare delle forze armate russe che ha avuto inizio in tale data», tra le quali figurano i cittadini ucraini residenti in Ucraina prima del 24 febbraio 2022, che possono beneficiare della protezione temporanea. Tuttavia, occorre osservare che, da un lato, alla luce della data dei fatti di cui al procedimento principale, i ricorrenti sono entrati nell’Unione prima del 24 febbraio 2022 e, dall’altro, e in ogni caso, che costoro non chiedono una protezione temporanea.

32.      Peraltro, dall’allegato II del regolamento (UE) 2018/1806 (18) risulta che l’Ucraina è inclusa nell’elenco dei paesi terzi i cui cittadini sono esenti dall’obbligo del visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri per soggiorni non superiori a 90 giorni su un periodo di 180 giorni. Orbene, il procedimento principale verte sull’obbligo di essere titolari di un permesso di soggiorno nei Paesi Bassi dopo tale periodo di 90 giorni. Di conseguenza, si deve constatare che tali strumenti giuridici non sono idonei ad attribuire una situazione specifica ai ricorrenti alla luce di detto obbligo di essere in possesso di un siffatto permesso di soggiorno.

33.      Al fine di rispondere ai quesiti del giudice del rinvio, esaminerò prima la questione dell’esistenza di un «diritto di soggiorno derivato» per i lavoratori cittadini di Stati terzi distaccati in uno Stato membro, poi quella della conformità all’articolo 56 TFUE della normativa di uno Stato membro che richiede che i lavoratori cittadini di Stati terzi distaccati siano titolari di un permesso di soggiorno qualora la prestazione di servizi superi un periodo di 90 giorni su 180, alle condizioni stabilite da tale normativa.

A.      Sull’esistenza di un «diritto di soggiorno derivato» per i lavoratori cittadini di Stati terzi distaccati in uno Stato membro

34.      Il giudice del rinvio chiede se la libera prestazione dei servizi garantita dagli articoli 56 e 57 TFUE comprenda il conferimento di un «diritto di soggiorno derivato» ai lavoratori cittadini di Stati terzi quando lavorano in uno Stato membro alle dipendenze di un prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro.

35.      A tal riguardo, occorre ricordare che la Corte ha riconosciuto, in alcuni casi, che cittadini di Stati terzi, familiari di un cittadino dell’Unione, che non potevano beneficiare, sulla base delle disposizioni della direttiva 2004/38/CE (19), di un diritto di soggiorno derivato nello Stato membro di cui tale cittadino avesse la cittadinanza, potevano tuttavia vedersi riconosciuto tale diritto sulla base dell’articolo 21, paragrafo 1, TFUE, ai sensi del quale ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai Trattati e dalle disposizioni adottate in applicazione degli stessi (20). Tale considerazione si ricava da una giurisprudenza costante, secondo la quale, in sostanza, in mancanza di un siffatto diritto di soggiorno derivato a favore di detto cittadino di uno Stato terzo, il cittadino dell’Unione potrebbe essere dissuaso dal lasciare lo Stato membro di cui ha la cittadinanza al fine di avvalersi del suo diritto di soggiorno, ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 1, TFUE, in un altro Stato membro, per il fatto di non avere la certezza di poter proseguire nello Stato membro di origine una vita familiare sviluppata o consolidata, nel corso di un soggiorno effettivo nello Stato membro ospitante, con il suddetto cittadino di un paese terzo(21).

36.      Tale giurisprudenza non può essere applicata per analogia nel settore della libera prestazione dei servizi. Infatti, anzitutto, il diritto di soggiorno derivato conferito ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 1, TFUE si fonda sul diritto di una persona fisica, cittadina dell’Unione, di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. Orbene, nel caso di specie, il prestatore di servizi è una persona giuridica che non è titolare di un diritto di soggiorno in un altro Stato membro dal quale deriverebbe il diritto di soggiorno dei lavoratori cittadini di Stati terzi da esso impiegati.

37.      Inoltre, il diritto di soggiorno derivante dal diritto di soggiorno di un cittadino dell’Unione riguarda persone ben determinate, vale a dire i familiari di quest’ultimo, con i quali egli intrattiene un rapporto personale e unico. Per contro, un prestatore di servizi, persona giuridica, non è legato a specifiche persone per effettuare la prestazione di servizi. Tale prestatore può infatti assumere lavoratori cittadini di Stati terzi per iniziare l’esecuzione della prestazione di servizi, e successivamente altri lavoratori di siffatti Stati per completarla, lavoratori che ritornano tutti nel loro paese d’origine o di residenza dopo aver svolto i loro compiti (22).

38.      Infine, come rilevato dal giudice del rinvio (23), la Commissione ha già fatto valere l’esistenza di un «diritto di soggiorno derivato» per i cittadini di Stati terzi distaccati in uno Stato membro nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 21 settembre 2006, Commissione/Austria (C‑168/04, EU:C:2006:595). Tuttavia, un approccio del genere non è stato adottato in tale sentenza. Infatti, il ragionamento della Corte è consistito nell’esaminare se la normativa nazionale in questione fosse conforme all’articolo 56 TFUE alla luce della propria giurisprudenza costante in materia di restrizioni alla libera prestazione dei servizi (24), senza fare riferimento all’esistenza di un diritto di soggiorno derivato.

39.      Di conseguenza, ritengo che la libera prestazione dei servizi garantita dagli articoli 56 e 57 TFUE non includa il conferimento di un «diritto di soggiorno derivato» ai lavoratori cittadini di Stati terzi quando sono impiegati in uno Stato membro da un prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro. Tuttavia, il fatto che tali lavoratori non siano titolari di un siffatto diritto di soggiorno derivato non esclude la possibilità che, su una diversa base giuridica, essi possano essere titolari di un permesso di soggiorno nel contesto di una prestazione transfrontaliera di servizi.

B.      Sulla conformità all’articolo 56 TFUE della normativa di uno Stato membro che richiede che i lavoratori cittadini di Stati terzi distaccati siano titolari di un permesso di soggiorno qualora la prestazione di servizi superi un periodo di 90 giorni su 180 giorni, alle condizioni previste da tale normativa

40.      Il giudice del rinvio rileva che la normativa dei Paesi Bassi di cui trattasi nel procedimento principale è caratterizzata dall’esistenza di una duplice procedura, in quanto, da un lato, le informazioni relative ai lavoratori cittadini di Stati terzi distaccati nei Paesi Bassi da un prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro devono essere oggetto di una notifica da parte di tale prestatore, mentre, dall’altro, i lavoratori in questione devono richiedere separatamente un permesso di soggiorno nei Paesi Bassi sulla base delle stesse informazioni fornite mediante detta notifica. Il giudice del rinvio esprime dubbi circa la conformità con il diritto dell’Unione di siffatta duplice procedura alla luce della sentenza del 21 settembre 2006, Commissione/Austria (C‑168/04, EU:C:2006:595). A tal riguardo, occorre distinguere, da una parte, l’obbligo di notifica da parte del prestatore di servizi e, dall’altra, l’obbligo per i lavoratori cittadini di Stati terzi di essere in possesso di un permesso di soggiorno nello Stato membro di distacco.

1.      Sullobbligo di notifica da parte del prestatore di servizi

41.      Per quanto attiene all’obbligo di notifica da parte del prestatore di servizi, la Corte ha già avuto modo di dichiarare che, nel caso del distacco di lavoratori di uno Stato terzo da parte di un’impresa prestatrice di servizi stabilita in uno Stato membro dell’Unione, una normativa nazionale che subordini al rilascio di un’autorizzazione amministrativa la fornitura di prestazioni di servizi sul territorio nazionale da parte di un’impresa avente sede in un altro Stato membro costituisce una restrizione alla libera prestazione di servizi ai sensi dell’articolo 56 TFUE (25).

42.      La Corte ha precisato che l’obbligo imposto a un’impresa prestatrice di servizi di fornire alle autorità dello Stato membro di distacco le indicazioni che attestino la regolarità della situazione dei lavoratori interessati, segnatamente in termini di residenza, di permesso di lavoro e di copertura assicurativa, nello Stato membro in cui essi lavorano per l’impresa stessa, offrirebbe alle autorità medesime, in maniera meno restrittiva e parimenti efficace rispetto al requisito relativo al permesso di lavoro, garanzie relative alla regolarità della situazione di quei lavoratori e al fatto che essi esercitino la loro attività principale nello Stato membro in cui ha sede l’impresa prestatrice di servizi (26). A tal riguardo, è certamente nell’interesse sia dello Stato membro ospitante sia dell’impresa prestatrice avere, prima del distacco, la garanzia che i lavoratori cittadini di uno Stato terzo sono distaccati in condizioni legali (27).

43.      Secondo la Corte, l’obbligo di fornire siffatte indicazioni potrebbe consistere in una mera previa dichiarazione che consentirebbe alle autorità dello Stato membro di distacco di controllare i dati forniti e di adottare le misure necessarie in caso di irregolarità della situazione dei lavoratori interessati. Tale obbligo potrebbe inoltre assumere la forma di una succinta trasmissione dei documenti richiesti, in particolare qualora la durata del distacco non consentisse di esercitare il controllo in modo efficace (28). Parimenti, l’obbligo imposto a un’impresa prestatrice di servizi di segnalare preventivamente alle autorità dello Stato membro di distacco la presenza di uno o più lavoratori dipendenti distaccati, la durata prevista di tale presenza e la o le prestazioni di servizi che giustifichino il distacco costituirebbe una misura altrettanto efficace e meno restrittiva rispetto al requisito del permesso di lavoro oggetto del procedimento principale. Essa sarebbe tale da consentire alle autorità medesime di controllare il rispetto della normativa previdenziale di tale Stato membro durante il periodo del distacco, tenendo conto degli obblighi ai quali tale impresa è già soggetta per effetto delle norme di diritto del lavoro vigenti nello Stato membro di origine. Un obbligo del genere consentirebbe alle autorità stesse di adottare, eventualmente, le misure necessarie al termine del periodo di distacco(29).

44.      Nel caso di specie, è pacifico che l’obbligo di notifica previsto dalla normativa dei Paesi Bassi soddisfa le condizioni stabilite dalla giurisprudenza citata ai precedenti paragrafi 42 e 43 delle presenti conclusioni. In tal senso, dalla decisione di rinvio risulta che la ROBI ha preventivamente notificato alle autorità dei Paesi Bassi le attività che i ricorrenti dovevano svolgere e il periodo durante il quale essi dovevano eseguirle. Il giudice del rinvio ha altresì precisato che l’IND si limita a verificare se sia stata effettuata una notifica ai sensi dell’articolo 8 della legge sulle condizioni di lavoro dei lavoratori distaccati nell’Unione europea, senza imporre ulteriori condizioni (30). Di conseguenza, fatte salve le verifiche che spettano al giudice del rinvio, l’obbligo di notifica da parte del prestatore di servizi non sembra essere in contrasto con l’articolo 56 TFUE.

2.      Sullobbligo per i lavoratori cittadini di Stati terzi di essere titolari di un permesso di soggiorno nello Stato membro di distacco

45.      Per quanto riguarda l’obbligo, per i lavoratori cittadini di Stati terzi, di essere titolari di un permesso di soggiorno nello Stato membro di distacco, occorre rilevare che, nel caso di specie, alla data della notifica effettuata dal prestatore di servizi, era previsto che la durata delle attività nei Paesi Bassi fosse inferiore a quella di cui all’articolo 21, paragrafo 1 della CAAS. Conformemente a tale disposizione, essendo in possesso di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro rilasciato dalla Repubblica slovacca, tali lavoratori potevano circolare liberamente per un periodo non superiore a 90 giorni su un periodo di 180 giorni nel territorio degli altri Stati membri, segnatamente nei Paesi Bassi (31).

46.      Tuttavia, il prestatore di servizi ha successivamente informato le autorità dei Paesi Bassi del fatto che la durata di dette attività era stata prolungata, superando così i 90 giorni, e ha chiesto il rilascio di un permesso di soggiorno per ciascuno dei richiedenti nei Paesi Bassi. Dalla decisione di rinvio risulta che il segretario di Stato ha accolto tali domande, limitando la durata di validità dei permessi di soggiorno alla durata di validità dei permessi di soggiorno slovacchi, ossia a una durata inferiore a quella delle attività per le quali i richiedenti erano stati distaccati, e riscuotendo diritti per ciascuna delle domande di permesso di soggiorno. I ricorrenti hanno contestato, alla luce del diritto dell’Unione, sia il principio secondo il quale essi avevano l’obbligo di richiedere un permesso di soggiorno, sia la durata di validità di siffatti permessi nonché l’importo dei diritti da corrispondere.

47.      A tal riguardo, come riconosciuto dal governo dei Paesi Bassi nelle sue osservazioni scritte, una normativa nazionale che subordini lo svolgimento di prestazioni di servizi sul territorio nazionale, da parte di un’impresa avente sede in un altro Stato membro, al rilascio di permessi di soggiorno per cittadini di Stati terzi costituisce una restrizione a tale libertà ai sensi dell’articolo 56 TFUE. Tuttavia, secondo una giurisprudenza costante della Corte, una normativa nazionale che rientri in un settore non armonizzato a livello dell’Unione e che si applichi indistintamente a tutte le persone o imprese esercenti un’attività nel territorio dello Stato membro interessato, può essere giustificata, nonostante i suoi effetti restrittivi sulla libera prestazione dei servizi, qualora risponda a ragioni imperative d’interesse generale, qualora tale interesse non sia già tutelato da norme cui il prestatore sia soggetto nello Stato membro in cui risiede, purché sia idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non vada oltre quanto necessario per il suo raggiungimento (32).

48.      La Corte ha precisato che, benché lo scopo di evitare turbative del mercato del lavoro costituisca senza dubbio un motivo imperativo di interesse generale, i lavoratori alle dipendenze di un’impresa stabilita in uno Stato membro e che vengono distaccati in un altro Stato membro per effettuarvi una prestazione di servizi non intendono tuttavia accedere al mercato del lavoro di questo secondo Stato, poiché tornano nel loro paese d’origine o di residenza dopo aver svolto il loro compito. Tuttavia, uno Stato membro può accertare che l’impresa stabilita in un altro Stato membro, che distacchi sul proprio territorio lavoratori di uno Stato terzo, non si avvalga della libera prestazione dei servizi per uno scopo diverso dall’adempimento della prestazione di cui si tratta. Controlli del genere devono però rispettare i limiti posti dal diritto dell’Unione, in particolare quelli derivanti dalla libera prestazione dei servizi, che non può essere vanificata e il cui esercizio non può essere sottoposto alla discrezionalità dell’amministrazione (33).

49.      Conseguentemente, se è pur vero che a uno Stato membro deve riconoscersi sia la facoltà di verificare che un’impresa stabilita in un altro Stato membro, che fornisce a un’impresa utilizzatrice stabilita nel primo Stato membro un servizio consistente nella messa a disposizione di lavoratori cittadini di Stati terzi, non fa uso della libertà di prestazione di servizi a fini diversi dalla fornitura del servizio interessato, sia la possibilità di adottare le misure di controllo necessarie a tal fine, l’esercizio di tale facoltà non può tuttavia consentire a tale Stato membro di imporre requisiti sproporzionati (34). Peraltro, come risulta dalla giurisprudenza citata al precedente paragrafo 43, le autorità nazionali dello Stato membro di distacco hanno il diritto di controllare il rispetto della normativa previdenziale durante il periodo di distacco, tenendo conto degli obblighi ai quali tale impresa è già soggetta in forza delle norme di diritto del lavoro vigenti nello Stato membro d’origine.

50.      Secondo il giudice del rinvio, la normativa dei Paesi Bassi in questione sarebbe caratterizzata da una duplice procedura, vale a dire l’obbligo di notifica, da un lato, e l’obbligo di essere titolare di un permesso di soggiorno, dall’altro. Non condivido tale considerazione, in quanto la notifica e la titolarità di un permesso di soggiorno costituiscono obblighi che intervengono in fasi diverse del distacco e perseguono obiettivi distinti. Infatti, se la durata delle attività è inferiore a 90 giorni su un periodo di 180 giorni, è necessaria soltanto una notifica preventiva da parte del prestatore di servizi, che consiste nel fornire alle autorità dello Stato membro di distacco indicazioni che attestino la regolarità della situazione dei lavoratori interessati, segnatamente in termini di residenza, di permesso di lavoro e di copertura assicurativa, nello Stato membro in cui essi lavorano per tale impresa(35). L’obbligo per ciascun lavoratore cittadino di uno Stato terzo di essere in possesso di un permesso di soggiorno è correlato unicamente al superamento di detto periodo di 90 giorni. In tal senso, l’obbligo di ottenere un siffatto permesso di soggiorno non può essere considerato equivalente a un obbligo di autorizzazione preventiva e non può essere fonte di ritardi dannosi per i prestatori di servizi (36).

51.      Nelle sue osservazioni scritte, il governo dei Paesi Bassi ha fatto valere che l’obbligo di notifica da parte del prestatore di servizi consente alle autorità dei Paesi Bassi di verificare che non si faccia uso della libera prestazione dei servizi per fini diversi dalla fornitura del servizio di cui trattasi e che la normativa previdenziale nazionale sia rispettata durante il distacco. Tuttavia, tale obbligo di notifica non disciplinerebbe il diritto di soggiorno dei lavoratori cittadini di Stati terzi.

52.      Rilevo che, in assenza di un «diritto di soggiorno derivato» conferito ai lavoratori cittadini di Stati terzi distaccati e nel caso di un soggiorno di durata superiore a 90 giorni su un periodo di 180 giorni, tali lavoratori non sono più titolari di un diritto di soggiorno nei Paesi Bassi sulla base dell’articolo 21, paragrafo 1, della CAAS. Secondo il governo dei Paesi Bassi, l’obbligo di ottenere un permesso di soggiorno nei Paesi Bassi dopo un periodo superiore a 90 giorni su un periodo di 180 giorni mira ad evitare che detti lavoratori soggiornino illegalmente in tale Stato membro. A tal riguardo, il considerando 6 del regolamento (UE) 2016/399 (37) enuncia che «[i]l controllo di frontiera è nell’interesse non solo dello Stato membro alle cui frontiere esterne viene effettuato, ma di tutti gli Stati membri che hanno abolito il controllo di frontiera interno. Il controllo di frontiera dovrebbe contribuire alla lotta contro l’immigrazione clandestina e la tratta degli esseri umani nonché alla prevenzione di qualunque minaccia per la sicurezza interna, l’ordine pubblico, la salute pubblica e le relazioni internazionali degli Stati membri» (38). Inoltre, come si evince dall’articolo 6, paragrafo 1, di tale regolamento, i cittadini di paesi terzi possono unicamente soggiornare nel territorio dello spazio Schengen per una durata massima di 90 giorni su un periodo di 180 giorni (39).

53.      Peraltro, nel contesto dell’applicazione della decisione n. 1/80 (40), la Corte ha già statuito che l’obiettivo di prevenire l’ingresso e il soggiorno illegali costituisce un motivo imperativo di interesse generale (41). Ritengo che tale giurisprudenza possa applicarsi per analogia alla materia relativa al distacco di lavoratori cittadini di uno Stato terzo nell’ambito di una prestazione transfrontaliera di servizi, che non è attualmente armonizzata a livello dell’Unione (42).

54.      Secondo la Commissione, la concessione di un permesso di soggiorno ai lavoratori cittadini di Stati terzi distaccati in uno Stato membro dovrebbe essere un atto ricognitivo e non un atto costitutivo. Tuttavia, ritengo che, poiché spetta agli Stati membri disciplinare il diritto di soggiorno di tali lavoratori, lo Stato membro interessato possa effettuare controlli prima di concedere un permesso di soggiorno individuale a detti lavoratori.

55.      Dalla decisione di rinvio risulta che, secondo il Segretario di Stato, la procedura per ottenere un permesso di soggiorno è semplice, nel senso che il prestatore di servizi dispone già dei documenti necessari e che il controllo consiste nel verificare se sia stata effettuata una notifica e se nell’altro Stato membro esistano un permesso di lavoro, un permesso di soggiorno e un contratto di lavoro. Nelle sue osservazioni scritte, il governo dei Paesi Bassi fa valere che, inoltre, l’identità del lavoratore cittadino di uno Stato terzo viene verificata al fine di determinare se il lavoratore menzionato nel contratto di lavoro sia la stessa persona del richiedente il permesso di soggiorno. Le autorità nazionali verificherebbero altresì se tale lavoratore costituisca una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza nazionale.

56.      Spetta al giudice del rinvio esaminare se siffatti controlli rispettino i limiti posti dal diritto dell’Unione, in particolare, quelli derivanti dalla libera prestazione dei servizi, che non può essere vanificata e il cui esercizio non può essere sottoposto alla discrezionalità dell’amministrazione (43). In particolare, secondo una giurisprudenza costante della Corte, i motivi di ordine pubblico possono essere invocati solo in caso di minaccia effettiva e abbastanza grave per uno degli interessi fondamentali della collettività e non possono inoltre essere utilizzati a fini puramente economici (44).

57.      Nell’ipotesi che siffatte condizioni siano soddisfatte, ossia che i controlli effettuati dallo Stato membro di distacco rispettino il principio di proporzionalità, ritengo che gli articoli 56 e 57 TFUE non ostino a che sia richiesto un permesso di soggiorno individuale per ciascun lavoratore cittadino di uno Stato terzo distaccato nel contesto di una prestazione transfrontaliera di servizi qualora tale prestazione superi un periodo di 90 giorni su un periodo di 180 giorni e il prestatore di servizi abbia adempiuto al suo obbligo di notifica.

3.      Sulla durata di validità del permesso di soggiorno

58.      Dalla decisione di rinvio risulta che, secondo la normativa dei Paesi Bassi di cui trattasi, la durata di validità di un permesso di soggiorno rilasciato a un lavoratore cittadino di uno Stato terzo distaccato nei Paesi Bassi è limitata alla durata di validità del permesso di lavoro e di soggiorno rilasciato nello Stato membro nel quale è stabilito il prestatore di servizi e che, in ogni caso, la durata di validità di un siffatto permesso di soggiorno non può superare i due anni, a prescindere dalla durata della prestazione di servizi.

59.      La Commissione sostiene che la durata massima di validità di due anni che, come confermato dal governo dei Paesi Bassi nelle sue osservazioni scritte, si basa sul fatto che un lavoratore distaccato rimane soggetto alla normativa in materia di sicurezza sociale del suo Stato membro d’origine, è sproporzionata e che una misura meno restrittiva e altrettanto efficace sarebbe quella di far corrispondere la durata del permesso di soggiorno alla durata dell’incarico, senza imporre una durata massima. La Commissione ha aggiunto che, in caso di distacco di lavoratori cittadini di Stati terzi, la validità del permesso di soggiorno potrebbe anche essere limitata al periodo di validità dei permessi di lavoro e di soggiorno di cui sono titolari detti lavoratori nello Stato membro d’origine.

60.      A tal riguardo, occorre rammentare che, secondo una giurisprudenza costante della Corte, la nozione di «servizio», ai sensi del Trattato FUE, può comprendere servizi di natura molto diversa, compresi i servizi che un operatore economico stabilito in uno Stato membro fornisce in maniera più o meno frequente o regolare, anche per un periodo prolungato, a persone stabilite in uno o più altri Stati membri. Nessuna disposizione del Trattato FUE consente di determinare, in termini astratti, la durata o la frequenza a partire dalla quale la fornitura di un servizio o di un certo tipo di servizi in un altro Stato membro non può più essere considerata prestazione di servizi ai sensi del Trattato FUE (45).

61.      Di conseguenza, una prestazione di servizio transfrontaliera, ai sensi del diritto dell’Unione, può durare diversi anni (46). Tuttavia, a mio avviso, occorre distinguere tra la prestazione di servizi in quanto tale e le persone che la eseguono, le quali, come risulta dalla giurisprudenza della Corte (47), non chiedono di accedere al mercato del lavoro dello Stato membro di distacco, dal momento che ritornano nel loro paese d’origine o di residenza dopo aver svolto il loro incarico. Certo, nell’ambito del buon funzionamento del mercato interno, è importante che le imprese impieghino persone competenti per l’esecuzione dei lavori, e ciò può comportare il ricorso a cittadini di Stati terzi. Tuttavia, si tratta di un «trasferimento temporaneo» di lavoratori inviati in un altro Stato membro per effettuarvi lavori nell’ambito di una prestazione di servizi da parte del loro datore di lavoro (48).

62.      In tal senso, l’articolo 12, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 883/2004 (49) stabilisce che «[l]a persona che esercita un’attività subordinata in uno Stato membro per conto di un datore di lavoro che vi esercita abitualmente le sue attività ed è da questo distaccata, per svolgervi un lavoro per suo conto, in un altro Stato membro rimane soggetta alla legislazione del primo Stato membro a condizione che la durata prevedibile di tale lavoro non superi i ventiquattro mesi e che essa non sia inviata in sostituzione di un’altra persona distaccata».

63.      Come ha dichiarato la Corte, per evitare che un’impresa con sede nel territorio di uno Stato membro sia costretta ad iscrivere i suoi dipendenti, normalmente soggetti alla normativa previdenziale di tale Stato membro, al regime previdenziale di un altro Stato membro nel quale siano inviati per svolgere lavori di durata limitata nel tempo, la suddetta disposizione del regolamento n. 883/2004 consente all’impresa di mantenere i propri dipendenti iscritti al regime di sicurezza sociale del primo Stato membro (50). Di conseguenza, il diritto dell’Unione prende come riferimento la durata di due anni, che può essere tenuta in considerazione (senza che ciò sia un obbligo) da uno Stato membro per determinare la durata massima di un permesso di soggiorno.

64.      Infatti, quando i lavoratori cittadini di Stati terzi sono assegnati a una prestazione di servizi di lunga durata nello Stato membro di distacco o sono riassegnati a un’altra prestazione di servizi in tale Stato, si deve considerare che il trasferimento di tali lavoratori non è più temporaneo e che essi accedono al mercato del lavoro di detto Stato membro. Ne deriva che, nel caso in cui la durata della prestazione di servizi sia superiore a due anni, lo Stato membro interessato ha la facoltà di imporre al prestatore di servizi di avvalersi di altri lavoratori, provenienti dall’Unione o da uno Stato terzo.

65.      Peraltro, nel contesto di un distacco transfrontaliero, spetta allo Stato membro nel quale è stabilito il prestatore di servizi determinare la durata del diritto di soggiorno in forza del quale il lavoratore cittadino di uno Stato terzo ha accesso al territorio dell’Unione. In particolare, tale Stato membro deve verificare se siano soddisfatte le condizioni di cui all’articolo 6 del regolamento 2016/399. Solo quando tale lavoratore ha il diritto di soggiornare e di lavorare in detto Stato membro può essere legalmente distaccato in un altro Stato membro. Lo Stato membro di distacco ha pertanto il diritto di limitare la durata di validità del permesso di soggiorno rilasciato a un lavoratore cittadino di uno Stato terzo distaccato alla durata di validità del permesso di lavoro e di soggiorno conferito nello Stato membro nel quale è stabilito il prestatore di servizi. Come sottolineato dal governo dei Paesi Bassi, se quest’ultima durata viene superata, lo Stato membro di distacco non può più fare affidamento sul controllo effettuato dallo Stato membro di origine e dovrebbe quindi effettuare esso stesso il controllo previsto all’articolo 6 del regolamento 2016/399, il che è incompatibile con la nozione di «distacco».

66.      Di conseguenza, l’articolo 56 TFUE non osta a che la durata di validità del permesso di soggiorno nello Stato membro della prestazione di servizi sia modellata sulla durata del permesso di soggiorno dello Stato membro di stabilimento del prestatore di servizi e, in ogni caso, limitata a due anni.

4.      Sullimporto dei diritti da corrispondere

67.      Per quanto riguarda l’importo dei diritti da corrispondere, dalla decisione di rinvio risulta che esso è pari all’ammontare dei diritti dovuti per un permesso regolare per la prestazione di lavoro effettuata da un cittadino di uno Stato terzo. Tale importo sarebbe pari al quintuplo dell’importo dei diritti dovuti per un certificato di soggiorno regolare di un cittadino dell’Unione (51).

68.      In udienza, i ricorrenti hanno sostenuto che i diritti dovuti per ottenere i permessi di soggiorno nei Paesi Bassi sono molto elevati e ostacolano l’esercizio della libera prestazione di servizi.

69.      A tal riguardo, osservo che, in generale, il diritto dell’Unione non osta a una normativa nazionale che obbliga i lavoratori cittadini di Stati terzi o il loro datore di lavoro a versare diritti per il trattamento delle loro domande di permesso di soggiorno. Tuttavia, ai sensi dell’articolo 56 TFUE, gli oneri amministrativi non devono ostacolare l’esercizio di attività di prestazione di servizi (52).

70.      Per quanto riguarda il procedimento principale, il gruppo di lavoratori cittadini di Stati terzi che svolgono un’attività lavorativa nei Paesi Bassi appare a prima vista il più facilmente comparabile a quello di lavoratori cittadini di Stati terzi distaccati. Spetta al giudice del rinvio verificare se l’importo dei diritti da corrispondere per il rilascio di un permesso di soggiorno a un lavoratore cittadino di uno Stato terzo distaccato costituisca una restrizione sproporzionata alla libera prestazione dei servizi sancita dall’articolo 56 TFUE.

71.      Alla luce di tutto quanto precede, ritengo che gli articoli 56 e 57 TFUE non ostino a una normativa nazionale in forza della quale, qualora un prestatore di servizi stabilito in uno Stato membro distacchi lavoratori cittadini di Stati terzi in un altro Stato membro per una durata superiore a 90 giorni su un periodo di 180 giorni, detti lavoratori siano tenuti a essere titolari di un permesso di soggiorno individuale in tale secondo Stato membro, la cui durata è limitata alla durata di validità del permesso di soggiorno e di lavoro rilasciato nel primo Stato membro e, in ogni caso, a due anni, e il cui rilascio è subordinato al pagamento di diritti pari a quelli dovuti per un permesso regolare ai fini dell’esercizio di un’attività lavorativa da parte di un cittadino di uno Stato terzo, purché tale normativa non imponga requisiti sproporzionati.

V.      Conclusione

72.      Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate dal rechtbank Den Haag, zittingsplaats Middelburg (Tribunale dell’Aia, sede di Middelburg, Paesi Bassi) nei seguenti termini:

Gli articoli 56 e 57 TFUE devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale in forza della quale, qualora un prestatore di servizi stabilito in uno Stato membro distacchi lavoratori cittadini di Stati terzi in un altro Stato membro per una durata superiore a 90 giorni su un periodo di 180 giorni, detti lavoratori sono tenuti a essere titolari di un permesso di soggiorno individuale in tale secondo Stato membro, la cui durata è limitata alla durata di validità del permesso di soggiorno e di lavoro rilasciato nel primo Stato membro e, in ogni caso, a due anni, e il cui rilascio è subordinato al pagamento di diritti pari a quelli dovuti per un permesso regolare ai fini dell’esercizio di un’attività lavorativa da parte di un cittadino di uno Stato terzo, purché tale normativa non imponga requisiti sproporzionati.


1      Lingua originale: il francese.


2      Stb. 1994, n. 959.


3      Stb. 2016, n. 219.


4      Stb. 2000, n. 495.


5      Stb. 2000, n. 497.


6      Stcrt. 2001, n. 64.


7      Stcrt. 2001, n. 10.


8      Nelle sue osservazioni scritte, il governo dei Paesi Bassi ha precisato che, il 4 dicembre 2019, la ROBI ha notificato alle autorità dei Paesi Bassi che tali attività sarebbero durate dal 6 dicembre 2019 al 4 marzo 2020.


9      Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen, del 14 giugno 1985, tra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, firmata a Schengen il 19 giugno 1990 ed entrata in vigore il 26 marzo 1995 (GU 2000, L 239, pag. 19), come modificata dal regolamento (UE) n. 265/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 marzo 2010, che modifica la Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen e il regolamento (CE) n. 562/2006 per quanto riguarda la circolazione del titolari di visto per soggiorni di lunga durata (GU 2010, L 85, pag. 1), nonché dal regolamento (UE) n. 610/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che modifica il regolamento (CE) n. 562/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, che istituisce un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen), la convenzione di applicazione dell’accordo Schengen, i regolamenti (CE) n. 1683/95 e (CE) n. 539/2001 del Consiglio e i regolamenti (CE) n. 767/2008 e (CE) n. 810/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio (GU 2013, L 182, pag. 1) (in prosieguo: la «CAAS»).


10      GU 2006, L 105, pag. 1.


11      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 1996 relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi (GU 1997, L 18, pag. 1).


12      Sentenza del 14 novembre 2018, Danieli & C. Officine Meccaniche e a. (C‑18/17, EU:C:2018:904, punto 40 nonché giurisprudenza ivi citata).


13      V. sentenze dell’11 settembre 2014, Essent Energie Productie (C‑91/13, EU:C:2014:2206, punto 39), e del 14 novembre 2018, Danieli & C. Officine Meccaniche e a. (C‑18/17, EU:C:2018:904, punto 43).


14      Sentenza del 26 febbraio 2020, Stanleyparma e Stanleybet Malta (C‑788/18, EU:C:2020:110, punto 17 nonché giurisprudenza ivi citata).


15      Sentenze dell’11 settembre 2014, Essent Energie Productie (C‑91/13, EU:C:2014:2206, punto 49), e del 14 novembre 2018, Danieli & C. Officine Meccaniche e a. (C‑18/17, EU:C:2018:904, punto 47). V. proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle condizioni di trasferta dei lavoratori dipendenti cittadini di un paese terzo nell’ambito di una prestazione di servizi oltrefrontiera [COM (99) 3 def.], che è stata ritirata dalla Commissione.


16      V. sentenza del 21 settembre 2006, Commissione/Austria (C‑168/04, EU:C:2006:595, punto 60 e giurisprudenza ivi citata).


17      Decisione di esecuzione del Consiglio del 4 marzo 2022 che accerta l’esistenza di un afflusso massiccio di sfollati dall’Ucraina ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 2001/55/CE e che ha come effetto l’introduzione di una protezione temporanea (GU 2022, L 71, pag. 1).


18      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 novembre 2018, che adotta l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne e l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini sono esenti da tale obbligo (GU 2018, L 303, pag. 39).


19      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 e abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77).


20      V., in particolare, sentenza del 12 luglio 2018, Banger (C‑89/17, EU:C:2018:570, punto 27 e giurisprudenza ivi citata).


21      V. sentenza del 12 luglio 2018, Banger (C‑89/17, EU:C:2018:570, punto 28 e giurisprudenza ivi citata).


22      V., in tal senso, sentenza del 14 novembre 2018, Danieli & C. Officine Meccaniche e a. (C‑18/17, EU:C:2018:904, punto 48 e giurisprudenza ivi citata).


23      V. paragrafo 18 delle presenti conclusioni.


24      V., per una sentenza meno recente, sentenza del 21 ottobre 2004, Commissione/Lussemburgo (C‑445/03, EU:C:2004:655), relativa agli obblighi imposti dallo Stato membro ospitante alle imprese che distaccano nel suo territorio lavoratori cittadini di uno Stato terzo.


25      V. sentenza del 14 novembre 2018, Danieli & C. Officine Meccaniche e a. (C‑18/17, EU:C:2018:904, punto 44 e giurisprudenza ivi citata).


26      V., in tal senso, sentenza del 14 novembre 2018, Danieli & C. Officine Meccaniche e a. (C‑18/17, EU:C:2018:904, punto 50 nonché giurisprudenza ivi citata).


27      Sentenza del 19 gennaio 2006, Commissione/Germania (C‑244/04, EU:C:2006:49, punto 49).


28      V., in tal senso, sentenza del 14 novembre 2018, Danieli & C. Officine Meccaniche e a. (C‑18/17, EU:C:2018:904, punto 51 e giurisprudenza ivi citata).


29      V., in tal senso, sentenza del 14 novembre 2018, Danieli & C. Officine Meccaniche e a. (C‑18/17, EU:C:2018:904, punto 52 nonché giurisprudenza ivi citata).


30      V. paragrafo 21 delle presenti conclusioni.


31      V. conclusioni dell’avvocato generale Léger nella causa Commissione/Austria (C‑168/04, EU:C:2006:135, paragrafo 114), secondo il quale i lavoratori cittadini di Stati terzi, distaccati in Austria per un periodo massimo di tre mesi da un’impresa fornitrice di servizi stabilita in un altro Stato membro aderente alla CAAS, non erano tenuti a ottenere, presso le autorità austriache, alcun visto o titolo di soggiorno per svolgere la loro missione nel contesto del detto distacco.


32      Sentenza del 14 novembre 2018, Danieli & C. Officine Meccaniche e a. (C‑18/17, EU:C:2018:904, punto 46 e giurisprudenza ivi citata).


33      V. sentenza dell’11 settembre 2014, Essent Energie Productie (C‑91/13, EU:C:2014:2206, punti da 51 a 53 e giurisprudenza ivi citata).


34      V. sentenza dell’11 settembre 2014, Essent Energie Productie (C‑91/13, EU:C:2014:2206, punto 55).


35      V. paragrafo 42 delle presenti conclusioni.


36      V., in tal senso, sentenza del 21 ottobre 2004, Commissione/Lussemburgo (C‑445/03, EU:C:2004:655, punto 43).


37      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, che istituisce un codice unionale relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen) (GU 2016, L 77, pag. 1).


38      Il corsivo è mio.


39      V. sentenza del 5 febbraio 2020, Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Imbarco di marittimi nel porto di Rotterdam) (C‑341/18, EU:C:2020:76, punto 58).


40      Decisione del Consiglio di associazione del 19 settembre 1980 relativa allo sviluppo dell’associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia. Il Consiglio di associazione è stato istituito dall’Accordo che crea un’associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia, firmato ad Ankara il 12 settembre 1963 dalla Repubblica di Turchia, da un lato, e dagli Stati membri della CEE e dalla Comunità, dall’altro, e concluso, approvato e confermato a nome della Comunità con decisione del Consiglio, del 23 dicembre 1963, 64/732/CEE (GU 1964, 217, pag. 3685).


41      V. sentenza del 3 ottobre 2019, A e a. (C‑70/18, EU:C:2019:823, punto 46 nonché giurisprudenza ivi citata).


42      V. paragrafo 30 delle presenti conclusioni.


43      V. sentenza dell’11 settembre 2014, Essent Energie Productie (C‑91/13, EU:C:2014:2206, punti da 51 a 53 e giurisprudenza ivi citata).


44      V., per analogia, sentenza del 2 marzo 2023, PrivatBank e a. (C‑78/21, EU:C:2023:137, punto 62).


45      Sentenza del 2 settembre 2021, Institut des Experts en Automobiles (C‑502/20, EU:C:2021:678, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).


46      In udienza, i ricorrenti hanno fornito l’esempio della costruzione di una centrale nucleare.


47      V. paragrafo 48 delle presenti conclusioni.


48      V., a tal riguardo, sentenza del 27 marzo 1990, Rush Portuguesa (C‑113/89, EU:C:1990:142, punto 15).


49      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (GU 2004, L 166, pag. 1) quale modificato dal regolamento (UE) n. 465/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 maggio 2012 (GU 2012, L 149, pag. 4).


50      V. sentenza del 3 giugno 2021, TEAM POWER EUROPE (C‑784/19, EU:C:2021:427, punto 60 e giurisprudenza ivi citata).


51      Nelle sue osservazioni scritte, il governo dei Paesi Bassi ha tuttavia spiegato che, il 1º gennaio 2019, il Regno dei Paesi Bassi ha allineato l’importo dei diritti da corrispondere per il rilascio di un permesso di soggiorno a quello dovuto per il rilascio di una carta d’identità nazionale e che, di conseguenza, la Commissione ha posto fine alla procedura di infrazione da essa avviata.


52      V., in tal senso, sentenza dell’11 settembre 2014, Essent Energie Productie (C‑91/13, EU:C:2014:2206, punto 47).