CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
GERARD HOGAN
presentate il 16 settembre 2021 (1)
Causa C‑251/20
Gtflix Tv
contro
DR
[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Cour de cassation (Corte di cassazione, Francia)]
«Rinvio pregiudiziale – Cooperazione giudiziaria in materia civile – Regolamento n. 1215/2012 – Pubblicazione su Internet di commenti denigratori nei confronti di una persona giuridica – Azioni per la rettifica di dati, la rimozione di contenuti e il risarcimento del danno subito – Competenza a conoscere delle azioni di risarcimento del danno subito – Azioni in giudizio strategiche tese a bloccare la partecipazione pubblica (cosiddette “azioni bavaglio”)»
I. Introduzione
1. Fin dall’entrata in vigore della convenzione di Bruxelles del 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni (2) e dalla sua successiva sostituzione da parte delle varie versioni del regolamento di Bruxelles (3), questo intero corpus di diritto internazionale privato «europeizzato» ha inteso promuovere la prevedibilità e la certezza della ripartizione delle competenze giurisdizionali in materia civile fra i giudici dei singoli Stati membri. Il sistema di Bruxelles ha cercato anche, per quanto possibile, di concentrare i fori aventi competenza giurisdizionale per una determinata causa nel minor numero possibile di ordinamenti giuridici, segnatamente quelli che presentano il collegamento più stretto con l’azione.
2. Tuttavia, tali obiettivi sono stati messi alla prova da una serie di cause risalenti, perlomeno, alla decisione della Corte nella sentenza Shevill (4), nel 1995. Il problema è più acuto quando un attore chiede un risarcimento per responsabilità extracontrattuale relativamente a pubblicazioni diffamatorie e altre pubblicazioni analoghe, qualora si affermi che l’atto illecito ha causato danni in vari ordinamenti giuridici. In tali circostanze, non sembra possibile individuare una regola che, da un lato, risponda in modo soddisfacente a tali obiettivi, potenzialmente contrastanti, di certezza, prevedibilità e prossimità, e, dall’altro, al contempo, consenta di evitare una molteplicità di possibili fori aventi competenza giurisdizionale. Tali difficoltà sono accentuate dai progressi tecnologici del mondo contemporaneo, allorché le affermazioni asseritamente diffamatorie o altrimenti illecite sono state oggetto di pubblicazione su Internet.
3. È questo il contesto normativo generale delle complesse questioni giurisdizionali sollevate dal rinvio pregiudiziale in esame, che verte sull’interpretazione dell’articolo 7, punto 2, del regolamento n. 1215/2012.
4. La domanda di pronuncia pregiudiziale è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Gtflix Tv, società di intrattenimento per adulti con sede nella Repubblica ceca, e DR, regista, produttore e distributore di film pornografici domiciliato in Ungheria, riguardo al risarcimento per affermazioni asseritamente denigratorie diffuse da DR in diversi siti Internet e forum. Prima di esaminare i fatti e le questioni giuridiche sostanziali, occorre anzitutto esporre il contesto normativo pertinente.
II. Contesto normativo
A. Diritto internazionale
5. La convenzione di Parigi per la protezione della proprietà industriale, firmata il 20 marzo 1883, riveduta a Stoccolma il 14 luglio 1967 e modificata il 28 settembre 1979 (United Nations Treaty Series, vol. 828, n. 11851, pag. 305) ha ad oggetto la proprietà industriale nell’accezione più ampia e concerne brevetti, marchi, disegni industriali, modelli di utilità, marchi di servizi, nomi commerciali, indicazioni geografiche, nonché la repressione della concorrenza sleale.
6. L’articolo 10 bis di tale strumento prevede quanto segue:
«1) I Paesi dell’Unione sono tenuti ad assicurare ai cittadini dei Paesi dell’Unione una protezione effettiva contro la concorrenza sleale.
2) Costituisce un atto di concorrenza sleale ogni atto di concorrenza contrario agli usi onesti in materia industriale o commerciale.
3) Dovranno particolarmente essere vietati:
1. tutti i fatti di natura tale da ingenerare confusione, qualunque ne sia il mezzo, con lo stabilimento, i prodotti o l’attività industriale o commerciale di un concorrente;
2. le asserzioni false, nell’esercizio del commercio, tali da discreditare lo stabilimento, i prodotti o l’attività industriale o commerciale di un concorrente;
3. le indicazioni o asserzioni il cui uso, nell’esercizio del commercio, possa trarre in errore il pubblico sulla natura, il modo di fabbricazione, le caratteristiche, l’attitudine all’uso o la quantità delle merci».
B. Diritto dell’Unione
1. Regolamento n. 1215/2012
7. I considerando da 13 a 16 e 21 del regolamento n. 1215/2012 così recitano:
«(13) Occorre un collegamento tra i procedimenti cui si applica il presente regolamento e il territorio degli Stati membri. Di conseguenza, quando il convenuto è domiciliato in uno Stato membro dovrebbero applicarsi in linea di principio le norme comuni in materia di competenza giurisdizionale.
(14) Il convenuto non domiciliato nel territorio di uno Stato membro dovrebbe in generale essere soggetto alle norme nazionali in materia di competenza giurisdizionale applicabili nel territorio dello Stato membro dell’autorità giurisdizionale adita.
Al fine di provvedere alla protezione dei consumatori e dei lavoratori dipendenti nonché di salvaguardare la competenza giurisdizionale delle autorità giurisdizionali degli Stati membri in circostanze in cui esse hanno competenza esclusiva e di rispettare l’autonomia delle parti, dovrebbe essere possibile applicare talune norme riguardanti la competenza giurisdizionale nel presente regolamento indipendentemente dal domicilio del convenuto.
(15) È opportuno che le norme sulla competenza presentino un alto grado di prevedibilità e si basino sul principio generale della competenza dell’autorità giurisdizionale del domicilio del convenuto. Tale principio dovrebbe valere in ogni ipotesi, salvo in alcuni casi rigorosamente determinati, nei quali la materia del contendere o l’autonomia delle parti giustifichi un diverso criterio di collegamento. Per le persone giuridiche il domicilio deve essere definito autonomamente, in modo da aumentare la trasparenza delle norme comuni ed evitare i conflitti di competenza.
(16) Il criterio del foro del domicilio del convenuto dovrebbe essere completato attraverso la previsione di fori alternativi, basati sul collegamento stretto tra l’autorità giurisdizionale e la controversia, ovvero al fine di agevolare la buona amministrazione della giustizia. L’esistenza di un collegamento stretto dovrebbe garantire la certezza del diritto ed evitare la possibilità che il convenuto sia citato davanti a un’autorità giurisdizionale di uno Stato membro che non sia per questi ragionevolmente prevedibile. Tale aspetto è importante soprattutto nelle controversie in materia di obbligazioni extracontrattuali derivanti da violazioni della privacy e dei diritti della personalità, compresa la diffamazione.
(…)
(21) Il funzionamento armonioso della giustizia presuppone che si riduca al minimo la possibilità di pendenza di procedimenti paralleli e che non vengano emesse, in due diversi Stati membri, decisioni tra loro incompatibili. Dovrebbe essere stabilito un meccanismo chiaro ed efficace per risolvere i casi di litispendenza e di connessione e, viste le differenze nazionali esistenti in materia, è opportuno definire il momento in cui una causa si considera pendente. Ai fini del presente regolamento tale momento dovrebbe essere definito in modo autonomo».
8. Le norme sulla competenza sono contenute nel capo II di detto regolamento, che comprende gli articoli da 4 a 34.
9. L’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 1215/2012, contenuto nella sezione 1 del capo II, rubricata «Disposizioni generali», così recita:
«A norma del presente regolamento, le persone domiciliate nel territorio di un determinato Stato membro sono convenute, a prescindere dalla loro cittadinanza, davanti alle autorità giurisdizionali di tale Stato membro».
10. L’articolo 5, paragrafo 1, di tale regolamento, che figura nella sezione 1, così dispone:
«Le persone domiciliate nel territorio di uno Stato membro possono essere convenute davanti alle autorità giurisdizionali di un altro Stato membro solo ai sensi delle norme di cui alle sezioni da 2 a 7 del presente capo».
11. La formulazione dell’articolo 7, punto 2, del regolamento n. 1215/2012 è identica a quella dell’articolo 5, punto 3, del regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (GU 2001, L 12, pag. 1), abrogato dal regolamento n. 1215/2012, e corrisponde alla formulazione dell’articolo 5, punto 3, della convenzione di Bruxelles. Tale disposizione, che fa parte della sezione 2 del capo II del regolamento n. 1215/2012, rubricata «Competenze speciali», prevede quanto segue:
«Una persona domiciliata in uno Stato membro può essere convenuta in un altro Stato membro:
(…)
2) in materia di illeciti civili dolosi o colposi, davanti all’autorità giurisdizionale del luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire».
12. L’articolo 30 del regolamento n. 1215/2012 è formulato come segue:
«1. Ove più cause connesse siano pendenti davanti ad autorità giurisdizionali di Stati membri differenti, l’autorità giurisdizionale successivamente adita può sospendere il procedimento.
2. Se la causa davanti all’autorità giurisdizionale adita per prima è pendente in primo grado, qualunque altra autorità giurisdizionale può inoltre dichiarare la propria incompetenza su richiesta di una delle parti, a condizione che l’autorità giurisdizionale precedentemente adita sia competente a conoscere delle domande proposte e la legge a essa applicabile ne consenta la riunione.
3. Ai fini del presente articolo si considerano connesse le cause aventi tra di loro un collegamento così stretto da rendere opportuna un’unica trattazione e decisione per evitare il rischio di giungere a decisioni incompatibili derivante da una trattazione separata».
2. Regolamento (CE) n. 864/2007
13. Il considerando 7 del regolamento (CE) n. 864/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 luglio 2007, sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali («Roma II») (5), enuncia quanto segue:
«(7) Il campo d’applicazione materiale e le disposizioni del presente regolamento dovrebbero essere coerenti con il regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (6) («Bruxelles I»), e con gli strumenti relativi alla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali».
14. L’articolo 4 di tale regolamento, rubricato «Norma generale», così dispone:
«1. Salvo se diversamente previsto nel presente regolamento, la legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali che derivano da un fatto illecito è quella del paese in cui il danno si verifica, indipendentemente dal paese nel quale è avvenuto il fatto che ha dato origine al danno e a prescindere dal paese o dai paesi in cui si verificano le conseguenze indirette di tale fatto.
2. Tuttavia, qualora il presunto responsabile e la parte lesa risiedano abitualmente nello stesso paese nel momento in cui il danno si verifica, si applica la legge di tale paese.
3. Se dal complesso delle circostanze del caso risulta chiaramente che il fatto illecito presenta collegamenti manifestamente più stretti con un paese diverso da quello di cui ai paragrafi 1 o 2, si applica la legge di quest’altro paese. Un collegamento manifestamente più stretto con un altro paese potrebbe fondarsi segnatamente su una relazione preesistente tra le parti, quale un contratto, che presenti uno stretto collegamento con il fatto illecito in questione».
15. L’articolo 6, paragrafi 1 e 2, del medesimo regolamento, rubricato «Concorrenza sleale e atti limitativi della libera concorrenza», prevede quanto segue:
«1. La legge applicabile all’obbligazione extracontrattuale che deriva da un atto di concorrenza sleale è quella del paese sul cui territorio sono pregiudicati, o rischiano di esserlo, i rapporti di concorrenza o gli interessi collettivi dei consumatori.
2. Qualora un atto di concorrenza sleale leda esclusivamente gli interessi di un dato concorrente, si applica l’articolo 4».
C. Diritto francese
16. Nel diritto francese, per concorrenza sleale s’intende qualsiasi atto consistente in un uso eccessivo della libertà d’impresa, mediante il ricorso a procedure contrarie alle norme e agli usi, e che causa un pregiudizio. Tra le forme di concorrenza sleale riconosciute figura l’atto denigratorio, che, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione francese, consiste nella divulgazione di informazioni idonee a screditare un concorrente (7). Tale illecito civile, che si distingue dalla diffamazione, è disciplinato dalle norme francesi in materia di responsabilità civile.
III. Fatti della causa principale e rinvio pregiudiziale
17. La Gtflix Tv è una società con sede nella Repubblica ceca che produce e distribuisce programmi televisivi talora eufemisticamente descritti come programmi televisivi per adulti. DR è regista, produttore e distributore di film pornografici, domiciliato in Ungheria. I suoi film sono commercializzati su siti Internet ospitati in Ungheria e dei quali è proprietario.
18. Si sostiene che DR abbia regolarmente diffuso affermazioni denigratorie nei confronti della Gtflix Tv su diversi siti Internet e forum. La Gtflix Tv ha formalmente diffidato DR a ritirare tali affermazioni. Poiché DR non ha provveduto in tal senso, la Gtflix Tv ha avviato nei suoi confronti un procedimento sommario dinanzi al presidente del Tribunal de grande instance de Lyon (Tribunale di primo grado di Lione, Francia). Nell’ambito di tale procedimento, la Gtflix Tv ha chiesto la condanna di DR:
– a cessare, pena una sanzione pecuniaria, ogni atto denigratorio nei confronti della Gtflix Tv e del suo sito Internet e a pubblicare un comunicato giudiziario in francese e in inglese su ciascuno dei forum interessati;
– a consentire alla Gtflix Tv di pubblicare un commento sui forum gestiti da DR;
– a versare alla Gtflix Tv la somma simbolica di EUR 1 a titolo di risarcimento del danno economico e di una somma di pari importo quale risarcimento del danno morale.
19. Il convenuto ha risposto contestando la competenza del giudice francese. Il Tribunal de grande instance de Lyon (Tribunale di primo grado di Lione) ha accolto la posizione del convenuto al riguardo.
20. La Gtflix Tv ha impugnato tale ordinanza presso la Cour d’appel de Lyon (Corte di appello di Lione, Francia), aumentando a EUR 10 000 l’importo della provvisionale richiesta a titolo di risarcimento dei danni materiali e morali subiti in Francia. Con sentenza del 24 luglio 2018, anche il giudice d’appello ha dichiarato l’incompetenza dei giudici francesi.
21. La ricorrente ha quindi proposto ricorso dinanzi alla Cour de cassation (Corte di cassazione, Francia). Dinanzi a tale giudice, la Gtflix Tv contesta la sentenza della Corte d’appello del 24 luglio 2018, che dichiara l’incompetenza dei giudici francesi a favore dei giudici cechi, dal momento che, a suo avviso, i giudici di uno Stato membro sono effettivamente competenti a conoscere di cause vertenti su danni causati nel territorio di tale Stato membro da contenuti in rete, non appena questi ultimi sono ivi accessibili. Nell’escludere la competenza dei giudici francesi con la motivazione che non sarebbe sufficiente che le frasi giudicate denigratorie postate su Internet siano accessibili nell’ambito territoriale del giudice adito, ma che tali contenuti dovrebbero altresì presentare un qualsivoglia interesse per i residenti in tale Stato membro, la Cour d’appel de Lyon (Corte d’appello di Lione) avrebbe violato l’articolo 7, punto 2, del regolamento n. 1215/2012.
22. Il giudice del rinvio sembra ritenere che la decisione della Cour d’appel de Lyon (Corte d’appello di Lione) sia effettivamente viziata da un errore di diritto, ma che l’incompetenza dei giudici francesi a conoscere della domanda di rettifica o di rimozione di tali affermazioni sia nondimeno giustificata. Infatti, dalla sentenza del 17 ottobre 2017, Bolagsupplysningen e Ilsjan (C‑194/16, EU:C:2017:766), risulta che una domanda diretta alla rettifica o alla rimozione di dati non può essere presentata dinanzi ai giudici di uno Stato membro per il solo fatto che tali dati sono accessibili in tale Stato. Tale motivazione è contenuta, beninteso, in una sentenza pronunciata nell’ambito di un procedimento per diffamazione. Tuttavia, nella misura in cui si fonda sulla natura ubiquitaria dei dati di cui trattasi, detta motivazione sarebbe applicabile, per analogia, alle domande di rimozione o di rettifica di affermazioni idonee a costituire (asseritamente) atti denigratori.
23. Tuttavia, il giudice del rinvio si chiede se, per quanto riguarda le domande di risarcimento connesse all’esistenza di siffatti atti di concorrenza sleale, l’attore possa adire i giudici di ciascuno Stato membro nel cui territorio sia o sia stato accessibile un contenuto messo in rete, qualora agisca contemporaneamente ai fini della rettifica dei dati, della rimozione dei contenuti e del risarcimento del danno morale ed economico, o se debba presentare la domanda di risarcimento dinanzi al giudice competente a ordinare la rettifica dei dati e la rimozione delle frasi denigratorie.
24. In tali circostanze, la Cour de cassation (Corte di cassazione) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se le disposizioni dell’articolo 7, punto 2, del regolamento (UE) n. 1215/2012 debbano essere interpretate nel senso che la persona che, ritenendo lesi i propri diritti a causa della diffusione di frasi denigratorie su Internet, agisca contemporaneamente sia ai fini della rettifica dei dati e della rimozione dei contenuti sia ai fini di risarcimento dei danni morali ed economici che ne derivano può chiedere, dinanzi ai giudici di ciascuno Stato membro nel cui territorio il contenuto messo in rete è o è stato accessibile, il risarcimento dei danni cagionati nel territorio di tale Stato membro, conformemente alla sentenza eDate Advertising [sentenza della Corte del 25 ottobre 2011, cause riunite C‑509/09 e C‑161/10, EU:C:2011:685, punti 51 e 52], o se, in applicazione della sentenza Bolagsupplysningen e Ilsjan [sentenza della Corte del 17 ottobre 2017, causa C‑194/16, EU:C:2017:766, punto 48], essa debba presentare tale domanda di risarcimento dinanzi al giudice competente a ordinare la rettifica dei dati e la rimozione dei commenti denigratori».
IV. Analisi
25. Occorre fin da subito sottolineare che la mera circostanza che diversi tipi di domande siano proposti congiuntamente in un’unica azione non incide sulle norme in materia di competenza applicabili a ciascuna di tali domande, dato che queste ultime possono essere scisse, ove necessario (8). Occorre, inoltre, sottolineare che sebbene la ricorrente abbia presentato, nel procedimento principale, diversi tipi di domande, la questione proposta dal giudice del rinvio riguarda unicamente la determinazione dei giudici da considerare competenti a conoscere dell’azione di risarcimento danni derivanti da atti denigratori.
26. A tal riguardo, occorre ricordare che, in deroga all’articolo 4 del regolamento n. 1215/2012, che attribuisce la competenza a statuire nel merito di una controversia ai giudici dello Stato membro nel cui territorio il convenuto è domiciliato, l’articolo 7, punto 2, di tale regolamento prevede che, in materia di illeciti civili dolosi o colposi, una persona domiciliata nel territorio di uno Stato membro può essere convenuta in un altro Stato membro, dinanzi al giudice del luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire (9).
27. Nei limiti in cui l’articolo 7, punto 2, del regolamento n. 1215/2012 riproduce la formulazione e gli obiettivi dell’articolo 5, punto 3, del regolamento n. 44/2001, nonché, ancor prima, quelli dell’articolo 5, punto 3, della convenzione di Bruxelles, si deve ritenere che l’interpretazione di queste due disposizioni fornita dalla Corte si applichi anche all’articolo 7, punto 2 (10).
28. Secondo un’analisi costante della Corte, la regola di competenza speciale enunciata all’articolo 5, punto 3, della convenzione di Bruxelles e all’articolo 5, punto 3, del regolamento n. 44/2001 trova il suo fondamento nell’esistenza di un collegamento particolarmente stretto tra una data controversia e il giudice del luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire, che giustifica un’attribuzione di competenza a quest’ultimo giudice ai fini della buona amministrazione della giustizia e dell’economia processuale (11). Infatti, in materia di illecito civile doloso o colposo, il giudice del luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire è generalmente il più idoneo a pronunciarsi, in particolare per ragioni di prossimità alla controversia e di facilità di assunzione delle prove (12).
29. Tuttavia, poiché tale disposizione deroga al principio fondamentale attualmente enunciato all’articolo 4 del regolamento n. 1215/2012, che attribuisce la competenza ai giudici del domicilio del convenuto, l’articolo 7, punto 2 deve essere interpretato restrittivamente e non consente un’interpretazione che vada al di là delle ipotesi espressamente contemplate da detto regolamento (13).
30. Nondimeno, secondo una giurisprudenza parimenti costante della Corte, la nozione di «luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire» (14) deve essere intesa nel senso che contempla due luoghi distinti, ossia quello in cui il danno si è concretizzato e quello in cui si è verificato l’evento generatore dello stesso (denominato anche luogo del fatto generatore), ciascuno dei quali può, a seconda delle circostanze, fornire un’indicazione particolarmente utile per quanto concerne il profilo probatorio e l’organizzazione del procedimento (15). Pertanto, nel caso in cui il luogo in cui si situano tali criteri di collegamento sia diverso, il convenuto può essere citato, a scelta dell’attore, dinanzi ai giudici dell’uno o dell’altro di tali due luoghi (16).
31. Nel caso di specie, la questione sollevata verte unicamente sulla determinazione del luogo si è prodotto il danno.
32. A tal riguardo, la Corte ha precisato che tale fattore di collegamento è costituito dal luogo in cui il fatto generatore del danno esplica i suoi effetti dannosi, vale a dire quello in cui il danno cagionato dal prodotto difettoso si manifesta concretamente (17). Tuttavia, tale luogo può variare in funzione della natura del diritto asseritamente violato (18).
33. Ad esempio, la Corte ha statuito, in sostanza, che in caso di frode concernente il valore di certificati finanziari che, in quanto beni dematerializzati, sono necessariamente depositati in un conto bancario specifico, denominato conto titoli, il giudice competente sulla base del luogo in cui si è concretizzato il danno è quello del domicilio dell’attore, qualora detto conto bancario sia detenuto presso una banca avente sede nell’ambito di competenza territoriale di detto giudice (19). Tuttavia, la Corte ha ritenuto non applicabile detta soluzione quando l’attore lamenta un danno economico risultante da decisioni d’investimento adottate a seguito di informazioni inesatte, incomplete o fuorvianti, facilmente accessibili a livello mondiale, se la società che ha emesso lo strumento di cui trattasi non era sottoposta a obblighi legali di divulgazione di informazioni nello Stato membro ove è stabilita la banca o la società d’investimento sul cui registro è iscritto il conto (20).
34. Per quanto riguarda l’asserito danno morale causato da un articolo di stampa diffuso in più Stati membri, la Corte ha dichiarato, nella sentenza Shevill, che la vittima può esperire nei confronti dell’editore un’azione di risarcimento danni sia dinanzi ai giudici dello Stato del luogo in cui è stabilito l’editore della pubblicazione diffamatoria, i quali sono competenti a pronunciarsi sul risarcimento dei danni derivanti dalla diffamazione nella loro integralità, sia dinanzi ai giudici di ciascuno Stato in cui la pubblicazione è stata diffusa e in cui la vittima assume aver subito una lesione della sua reputazione, i quali sono competenti a conoscere dei soli danni cagionati nello Stato del giudice adito (21). Quest’ultima regola di competenza è stata talvolta descritta – in particolare dai suoi critici – come una regola che stabilisce un principio di ripartizione delle competenze che, per comodità, può essere qualificato come l’«approccio a mosaico» alla competenza (22).
35. In seguito, nella causa eDate, la Corte è stata chiamata ad affrontare la questione dei contenuti diffamatori transnazionali in rete. A tal riguardo, essa ha dichiarato che tali situazioni si distinguono dalle situazioni in cui i contenuti non sono in rete a causa, da un lato, della potenziale ubiquità dei contenuti in rete e, dall’altro, della difficoltà di quantificarne la diffusione con certezza ed attendibilità e, di conseguenza, di valutare il danno causato esclusivamente in uno Stato membro (23). La Corte ha quindi statuito che, qualora il sito internet che ospita i contenuti in questione non abbia adottato alcuna misura restrittiva, i giudici del luogo in cui l’asserita vittima possiede il centro dei suoi interessi sono competenti a conoscere del merito di una domanda di risarcimento per la totalità del danno subito, a motivo del fatto che si tratta del luogo in cui l’impatto di contenuti in rete sui diritti della personalità di un soggetto può essere meglio valutato (24). Per la Corte, tale luogo corrisponde, in via generale, ma non necessariamente, alla residenza abituale. Tuttavia, una persona può avere il proprio centro di interessi anche in uno Stato membro in cui non risiede abitualmente, ove altri indizi, quali l’esercizio di un’attività professionale, possano dimostrare l’esistenza di un collegamento particolarmente stretto con tale Stato (25).
36. Oltre a tale criterio di collegamento, la Corte ha statuito, al punto 51 della sentenza eDate, che l’attore può altresì adire i giudici di ciascuno Stato membro nel cui territorio un’informazione messa in rete sia accessibile oppure lo sia stata. Essi sono competenti a conoscere del solo danno causato nel territorio dello Stato membro del giudice adito. (26).
37. Pertanto, per effetto di tale sentenza, una persona che si consideri vittima di una lesione dei diritti della personalità a causa di un atto di diffamazione commesso su Internet ha il diritto di agire in tre fori, nei quali i giudici nazionali interessati saranno competenti a pronunciarsi sulla totalità del danno, vale a dire il luogo del domicilio del convenuto, il luogo dell’evento generatore – che è quello in cui è stata adottata, in forma espressa o tacita, la decisione di diffondere il messaggio in questione (27) – e il luogo del centro degli interessi dell’attore. Tale persona ha anche la possibilità di agire in diversi altri fori, vale a dire nei vari Stati membri nei quali la pubblicazione di cui trattasi è o è stata accessibile, ma nei quali i giudici nazionali interessati disporranno della sola competenza a conoscere del danno verificatosi nel territorio dello Stato membro interessato.
38. In una serie di tre cause successive, la facoltà di adire i giudici di ciascuno Stato membro nel cui territorio è o è stato accessibile un contenuto messo in rete è stata ribadita e applicata alle violazioni dei diritti d’autore su Internet, a motivo del fatto che i giudici in questione si trovano nella posizione migliore per accertare, da un lato, il diritto violato e, dall’altro, la natura del danno: trattasi delle cause Pinckney (28), Hejduk (29) e Hi Hotel HCF (30). In particolare, nella sentenza Hejduk, la Corte ha confermato tale analisi pur non avendo accolto, in ultima istanza, le conclusioni dell’avvocato generale Cruz Villalón, il quale era dell’avviso che tale principio avrebbe contribuito a creare incertezza giuridica per le parti (31). In ciascuna di tali cause la Corte ha giustificato la propria posizione sulla base del rilievo che la tutela del diritto d’autore è generalmente soggetta a un principio di territorialità, vale a dire che, di fatto, il diritto degli Stati sanziona soltanto le violazioni dei diritti d’autore commesse sul loro territorio (32).
39. Infine, nella causa Bolagsupplysningen e Ilsjan, alla Corte è stato chiesto, nell’ambito di una prima questione, di stabilire se l’analisi contenuta nella sentenza eDate fosse applicabile a una persona giuridica che intendeva ottenere la rettifica di dati asseritamente inesatti pubblicati su un sito Internet, la rimozione dei commenti ad essi relativi in un forum di discussione su tale sito e il risarcimento del danno asseritamente subito.
40. A tal riguardo, la Corte ha dichiarato che, per quanto riguarda le domande di rettifica e di rimozione, la regola in materia di competenza a pronunciarsi sulla totalità del danno subito, attribuita nella causa eDate ai giudici dello Stato membro in cui si trova il centro degli interessi della vittima, si applica anche alle persone giuridiche, indipendentemente dalla questione se il contenuto di cui trattasi sia tale da comportare un danno materiale o immateriale (33). Secondo la Corte, in tale ipotesi, il centro degli interessi di un’impresa deve rispecchiare il luogo in cui la sua reputazione commerciale è la più solida e deve, quindi, essere determinato in funzione del luogo in cui essa esercita la parte essenziale della sua attività economica. In tale contesto, sebbene il centro degli interessi di una persona giuridica possa coincidere con il luogo della sua sede statutaria quando essa esercita, nello Stato membro in cui si trova tale sede, l’insieme o la parte essenziale delle sue attività e la reputazione di cui essa ivi gode è, di conseguenza, maggiore che in qualsiasi altro Stato membro, l’ubicazione di detta sede non è tuttavia, di per sé, un criterio decisivo nell’ambito di una siffatta (34).
41. In risposta a una seconda questione concernente l’individuazione dei giudici competenti a statuire su una domanda di rettifica o di rimozione di commenti in rete, la Corte ha dichiarato che detta domanda non poteva essere proposta dinanzi ai giudici di ciascuno Stato membro poiché, tenuto conto «dell’ubiquità dei dati e dei contenuti messi in rete su un sito Internet e del fatto che la portata della loro diffusione è in linea di principio universale (...), una domanda diretta alla rettifica dei primi e alla rimozione dei secondi è una e indivisibile» (35). Secondo la Corte, siffatta domanda può essere proposta soltanto dinanzi agli stessi giudici ai quali è riconosciuta la competenza a conoscere nel merito della totalità di una domanda di risarcimento.
42. È in tale contesto che il giudice del rinvio si chiede se, tenuto conto delle ragioni addotte dalla Corte per giustificare la competenza esclusiva di taluni giudici per quanto concerne la rimozione o rettifica di contenuti controversi, non sarebbe opportuno riconoscere anche la competenza esclusiva di questi stessi giudici in materia di risarcimento. Ciò solleva implicitamente la questione se, nella sentenza del 17 ottobre 2017, Bolagsupplysningen e Ilsjan (C‑194/16, EU:C:2017:766), anziché limitarsi a distinguere in tal modo la giurisprudenza precedente, la Corte abbia inteso ribaltare interamente tale giurisprudenza e abbandonare l’approccio a mosaico anche per quanto concerne le domande di risarcimento dei danni (36).
43. Anzitutto, desidero chiarire che, a mio avviso, la formulazione dell’articolo 7, punto 2, del regolamento n. 1215/2012 non osta all’abbandono dell’approccio a mosaico, e neppure ne richiede il mantenimento. Come chiarito supra, infatti, tale disposizione si limita a sancire il principio della competenza dei giudici del luogo in cui il danno si è concretizzato, senza ulteriori precisazioni.
44. In secondo luogo, mi sembra difficile trarre una conclusione in merito all’approccio a mosaico dalla sentenza Bolagsupplysningen e Ilsjan. Sebbene l’avvocato generale Bobek avesse esplicitamente invitato la Corte a riconsiderare la sua giurisprudenza, la Corte ha deciso – per quanto riguarda la prima questione, ossia quella in cui avrebbe potuto decidere se mantenere il mosaico di competenze in relazione alle domande di risarcimento – di formulare una risposta relativamente concisa, concernente soltanto i giudici nazionali competenti a conoscere delle azioni in materia di rettifica o rimozione di commenti (37). Nella misura in cui, al fine di giustificare la competenza esclusiva di determinati giudici a statuire su domande di rettifica o rimozione di contenuti in rete, la Corte si è basata sul carattere unico e indivisibile di questo tipo di domande, tale risposta non implica necessariamente l’abbandono dell’approccio a mosaico per quanto concerne le domande di risarcimento.
45. Ad esempio, il fatto che un giudice decida, in forza del diritto applicabile nel proprio Stato membro e tenuto conto, in particolare, della natura e dell’accessibilità del contenuto di cui trattasi e della reputazione dell’interessato in tale Stato membro, che non occorre risarcire il danno subito dall’interessato nel territorio di detto Stato, non esclude la possibilità che un giudice di un altro Stato membro decida, sulla base di altre norme e di altre considerazioni, che il danno debba essere risarcito. È del tutto possibile immaginare una situazione in cui l’attore risulti soccombente nello Stato membro A, sulla base del rilievo che era molto probabile che, in tale Stato, la pubblicazione fosse stata consultata da un numero assai ridotto di persone o poiché l’attore non aveva una reale reputazione da difendere in tale Stato, e risulti invece vittorioso nello Stato membro B, in cui più persone potrebbero aver letto la pubblicazione di cui trattasi o in cui l’attore godeva di una reputazione più solida che, di fatto, è risultata per questo lesa o pregiudicata.
46. Dato che la normativa in materia di diffamazione ricade nella competenza degli Stati membri e che non è stata oggetto di armonizzazione, è altresì possibile immaginare una situazione in cui talune affermazioni possono essere considerate diffamatorie nello Stato membro C, ma non nello Stato membro D. Di converso, nel caso di domande di rettifica o rimozione dei medesimi contenuti in rete, qualora vari giudici nazionali pronuncino decisioni contrastanti, le persone che gestiscono il sito Internet su cui sono pubblicati e accessibili i contenuti in questione non sarebbero in grado di uniformarsi simultaneamente a dette decisioni.
47. È vero che, al punto 31 della sentenza nella causa Bolagsupplysningen e Ilsjan, in cui la Corte fa riferimento all’approccio a mosaico, essa menziona, in qualità di precedente, soltanto la sentenza Shevill. Tuttavia, non mi sembra che ciò sia significativo, dato che la Corte non cita sempre tutta la sua giurisprudenza anteriore (38).
48. In tale contesto, è più probabile che, nella sentenza Bolagsupplysningen e Ilsjan, la Corte abbia deliberatamente evitato di prendere posizione sulla questione se mantenere o meno l’approccio a mosaico adottato in materia di risarcimento (39). Ciò non significa, tuttavia, che la questione dell’adeguatezza di tale soluzione non meriti di essere valutata.
49. Nelle sue conclusioni nella causa Bolagsupplysningen e Ilsjan, l’avvocato generale Bobek ha ritenuto che tale approccio non rispondesse né agli interessi delle parti né all’interesse generale. A sostegno di tale tesi, egli ha dedotto vari argomenti a favore del suo abbandono, tre dei quali possono essere pertinenti per quanto attiene alle domande di risarcimento danni.
50. In primo luogo, la Corte non avrebbe tenuto conto, allorché ha esteso la soluzione di cui alla sentenza Shevill ai contenuti online, della specificità di Internet, vale a dire del fatto che essa conferisce a qualsiasi contenuto messo in rete una natura ubiquitaria (40). In un contesto siffatto, l’applicazione dell’approccio a mosaico condurrebbe a una moltiplicazione dei fori competenti, il che renderebbe difficile, per l’autore di un contenuto, prevedere quale giudice sarà competente in caso di lite giudiziale (41).
51. In secondo luogo, il principio della competenza a mosaico comporterebbe un rischio di frammentazione delle domande fra le autorità giurisdizionali degli Stati membri competenti soltanto per i danni causati nel rispettivo territorio nazionale. In pratica, sarebbe difficile coordinare le varie domande le une con le altre (42).
52. In terzo luogo, la moltiplicazione di criteri speciali di competenza non servirebbe a tutelare colui che subisce una diffamazione, poiché questi ha diritto, in ogni caso, di citare gli autori del contenuto diffamatorio dinanzi ai giudici del luogo in cui si colloca il centro dei suoi interessi, soluzione per lui più agevole. In tale contesto, siffatta proliferazione potrebbe servire soltanto a incentivare strategie di uso della giustizia a scopo vessatorio (43).
53. Riconosco che tali argomenti hanno un peso considerevole, in particolare alla luce degli obiettivi perseguiti dal regolamento n. 1215/2012. In primo luogo, il considerando 21 di tale regolamento precisa che esso mira a ridurre al minimo la possibilità di pendenza di procedimenti paralleli e ad evitare che in diversi Stati membri siano emesse decisioni tra loro incompatibili. In secondo luogo, dal considerando 15 di tale regolamento risulta che le norme sulla competenza dovrebbero garantire la certezza del diritto. In terzo luogo, ai sensi del considerando 16, se sono previsti fori alternativi a quello del domicilio del convenuto ciò avviene perché tali fori presentano un collegamento più stretto con la controversia oppure al fine di agevolare la buona amministrazione della giustizia.
54. In tale contesto, per giustificare l’abbandono dell’approccio a mosaico si può essere tentati di trarre un argomento dal fatto che le soluzioni elaborate nelle sentenze Shevill ed eDate riguardavano l’interpretazione del regolamento n. 44/2001, e non del regolamento n. 1215/2012. Infatti, il considerando 16 di quest’ultimo, formulato in modo diverso rispetto al considerando 12 del primo, sottolinea, ora, l’importanza del principio della certezza del diritto nelle controversie in materia di obbligazioni extracontrattuali derivanti da violazioni della privacy e dei diritti della personalità, compresa la diffamazione, un’aggiunta che potrebbe indurre a ritenere che il legislatore dell’Unione mirasse ad un ribaltamento di taluni aspetti della precedente giurisprudenza della Corte.
55. Tuttavia, tale interpretazione mi sembra eccessiva. Per quanto mi riguarda, ritengo che questa aggiunta possa essere più correttamente intesa come un semplice chiarimento dell’obiettivo perseguito dall’articolo 7 del regolamento n. 1215/2012. Non ne consegue che l’adozione di tale regolamento possa essere intesa nel senso che l’approccio a mosaico non corrisponde più allo stato del diritto. Qualsiasi abbandono di tale approccio corrisponderebbe, quindi, a un ribaltamento della giurisprudenza esistente.
56. Sebbene la Corte non aderisca ad una concezione rigorosa del precedente, qualsiasi discostamento significativo rispetto a una giurisprudenza consolidata dovrebbe avere, e ha, carattere eccezionale. Ciò non toglie che la Corte, in passato, abbia modificato parte della sua giurisprudenza. Ciò si è verificato, come ha rilevato ad esempio il professor F. Picod (44), quando è emerso che l’interpretazione data a una disposizione aveva condotto, in concreto, a una regola poco efficace (45), che tale interpretazione aveva incontrato la ferma opposizione dei giudici nazionali incaricati della sua applicazione (46), o che essa era ormai divenuta obsoleta a causa di taluni sviluppi sociali, politici o tecnologici (47).
57. Tuttavia, poiché i principi di proporzionalità e di certezza del diritto si applicano anche alla Corte, non dovrebbe aversi un’inversione rispetto alla giurisprudenza pregressa in assenza di un valido motivo in tal senso ed essa dovrebbe essere limitata a quanto necessario. Peraltro, anche in presenza di un motivo siffatto, un’inversione giurisprudenziale di questo tipo dovrebbe tentare di limitarne qualsiasi effetto retroattivo rispettando, al contempo, il principio dell’autorità di cosa giudicata.
58. Nella presente causa, la questione consiste, dunque, nello stabilire se le caratteristiche (effettivamente) problematiche dell’approccio a mosaico siano a tal punto essenziali da giustificare l’abbandono di tale principio e, ammesso che così sia, se in alternativa a questo approccio, potenzialmente di vasta portata, ne esistano altri che la Corte potrebbe adottare. Pur riconoscendo pienamente il valore degli argomenti presentati dall’avvocato generale Bobek nelle sue conclusioni nella causa Bolagsupplysningen e Ilsjan, non sono tuttavia convinto che la giurisprudenza post-Shevill debba subire un’inversione di rotta del genere. Sono di questa opinione per le ragioni esposte qui di seguito.
59. In primo luogo, la natura ubiquitaria di qualsiasi contenuto messo in rete non rappresenta una novità (48). È vero che dalla pronuncia nella causa eDate, nel 2011, le reti sociali si sono sviluppate notevolmente, ma anche allora Facebook disponeva già di più di 500 milioni di utenti, la metà dei quali lo utilizzava quotidianamente (49).
60. In secondo luogo, i problemi sollevati dalla possibilità di adire più giudici dovrebbero essere relativizzati. Infatti, da un punto di vista strettamente giuridico, il principio del mosaico non pone alcun problema di coordinamento in caso di procedimento paralleli. Poiché ciascun giudice nazionale è competente a pronunciarsi soltanto sui danni verificatisi nel territorio dello Stato membro al quale appartiene, in assenza di armonizzazione delle norme relative alla diffamazione, ciascuno di essi applicherà, logicamente, una legge diversa, vale a dire quella applicabile in ciascuno di tali territori, sicché tali procedimenti non avranno il medesimo petitum, che corrisponde alle domande dell’interessato, né la stessa causa petendi, che, nel diritto dell’Unione, si riferisce alle basi giuridiche e di fatto di tali domande (50).
61. Da un punto di vista pratico, l’applicazione dell’approccio a mosaico conduce ad attribuire competenza non a tutti i giudici degli Stati membri, ma soltanto a quelli degli Stati membri nei quali il contenuto controverso è accessibile (51). A seconda di come è intesa la nozione di accessibilità – la quale permane poco chiara nella giurisprudenza della Corte – non tutti i giudici di tutti gli Stati membri saranno competenti. Peraltro, anche qualora vari giudici siano competenti, ciò non significa necessariamente che sarà accertato che si è verificato un danno nel territorio di ciascuno degli Stati membri interessati. Come ho già osservato, il grado di notorietà della persona fisica o giuridica asseritamente diffamata (52), la lingua utilizzata per la redazione della pubblicazione di cui trattasi, la presentazione (53), il contesto, i riferimenti utilizzati per formulare il messaggio, nonché il numero di visitatori che a partire dagli Stati membri di cui trattasi hanno consultato tale pubblicazione (54) sono tutti gli elementi che possono condurre i giudici a constatare che l’interessato non ha subito alcun danno nel territorio nel quale essi sono geograficamente competenti.
62. In tale contesto, il problema posto dal principio del mosaico risulta, in realtà, principalmente legato all’esistenza di un rischio di uso della giustizia a scopo vessatorio. La moltiplicazione dei fori competenti crea un terreno fertile per strategie di uso della giustizia a scopo vessatorio e, in particolare, per azioni legali strategiche tese a bloccare la partecipazione pubblica [le cosiddette «azioni bavaglio», note come «strategic lawsuits against public participation (SLAPP)» in lingua inglese, o «recours bâillon» in lingua francese] (55). Infatti, poiché ogni azione giudiziaria obbliga il convenuto a dedicare ad essa energia e risorse, indipendentemente dalla fondatezza della domanda, mediante la moltiplicazione delle azioni giudiziarie, o semplicemente la minaccia di proporle, una persona può cagionare a un’altra danni (o, nel caso di una società, uno svantaggio concorrenziale, per la perdita di tempo per la gestione e di risorse).
63. Tuttavia, se tali strategie possono essere proficuamente attuate da taluni attori senza scrupoli, ciò avviene, in parte, perché spesso le norme esistenti negli Stati membri in materia di rifusione delle spese giudiziarie non sono sufficientemente severe per quanto attiene all’obbligo della parte soccombente di risarcire la parte vittoriosa del danno causato, a seconda del caso, dall’azione o dal fatto di aver resistito abusivamente alle pretese dell’attore. Invero, tali norme non tengono sempre sufficientemente conto dei costi indiretti generati dalla gestione di un procedimento (in particolare, i costi dei disagi causati dal contenzioso), pur se in realtà tali costi possono essere notevoli, tanto sul piano economico quanto sul piano morale (56). Se tali costi fossero compensati sistematicamente e meglio, in particolare in caso di abuso di procedura, gli attori sarebbero dissuasi dall’abusare del principio del mosaico, poiché ciò li esporrebbe al rischio, nell’ipotesi in cui risultassero soccombenti, di dover corrispondere al convenuto ingenti somme a titolo di risarcimento.
64. Inoltre, i convenuti possono proporre talune azioni per tutelarsi contro questo tipo di rischio. In funzione del contesto, potrebbero, ad esempio, proporre un’azione di accertamento negativo dinanzi a un giudice dotato di pieni poteri giurisdizionali (57). Poiché tale giudice sarà competente a pronunciarsi sulla totalità del danno subito nell’intero territorio dell’Unione, l’applicazione delle norme in materia di riconoscimento reciproco delle decisioni previste dal regolamento n. 1215/2012 avrà l’effetto di privare qualsiasi altro giudice della sua competenza a statuire sul danno verificatosi nel territorio di un singolo Stato membro. Più in generale, le parti hanno anche la facoltà, in forza dell’articolo 30 del regolamento n. 1215/2012, di chiedere al giudice di sospendere il procedimento o, addirittura, di respingere la domanda nel caso di cause connesse, segnatamente di cause aventi tra di loro un collegamento così stretto da rendere opportuna un’unica trattazione e decisione, per evitare il rischio di giungere, per effetto di una trattazione separata, a pronunce incompatibili (58). Così, in particolare, l’autore dell’asserito contenuto diffamatorio non dovrà sopportare il disagio di dover gestire contemporaneamente più procedimenti.
65. Soprattutto, poiché le risorse dei potenziali attori non sono illimitate, l’attuazione di un contenzioso strategico, basato sulla moltiplicazione delle azioni, raramente sarà favorevole per loro. Pertanto, strategie di questo tipo sono principalmente attuate da operatori economici che dispongono di notevoli risorse. Tuttavia, la scomparsa del principio del mosaico non impedirà a tali operatori di attuare questo tipo di strategia. Infatti, ad esempio, secondo la giurisprudenza della Corte il criterio del centro degli interessi deve essere valutato a livello di ciascun soggetto di diritto (59). Di conseguenza, nel caso di una società organizzata sotto forma di gruppo di società con denominazioni simili, l’applicazione del criterio del centro degli interessi implica, di fatto, che ogni entità giuridica di tale gruppo (che potrebbe non essere detenuta al 100% da una società madre) avrà diritto di agire nei confronti dell’autore del messaggio per il risarcimento del danno subito dinanzi ai giudici dello Stato in cui ciascuna di esse ha il centro dei suoi interessi (60).
66. In terzo luogo, non è chiaro se l’approccio a mosaico contrasti effettivamente con gli obiettivi perseguiti dal regolamento n. 1215/2012. Infatti, come sottolineato nella sentenza Bolagsupplysningen e Ilsjan, la norma sulla competenza speciale in materia di illeciti civili dolosi o colposi enunciata all’articolo 7, punto 2, del regolamento n. 1215/2012 non è intesa ad offrire una tutela rafforzata alla parte più debole (61). Pertanto, in linea di principio, è irrilevante il fatto che l’applicazione dell’approccio a mosaico possa potenzialmente sfavorire una delle parti.
67. Passando ora, più specificamente, ai tre obiettivi perseguiti dalle disposizioni del regolamento n. 1215/2012 relative alla competenza, si può rilevare, per quanto riguarda l’obiettivo della certezza del diritto di cui al considerando 15 del regolamento n. 1215/2012, che la Corte lo reputa soddisfatto qualora il convenuto sia in grado di determinare, in funzione del criterio utilizzato, il giudice dinanzi al quale può essere convenuto. In tale prospettiva, si può rilevare, come sottolineato dalla High Court of Australia (Alta Corte, Australia) nella sua storica decisione nella causa Dow Jones e Company Inc c. Gutnick, che quando una persona decide di pubblicare su Internet un contenuto «accessibile» in tutti gli Stati membri, tale persona deve attendersi di poter essere convenuta in ciascuno di tali Stati (62).
68. È tuttavia vero che, nella sua sentenza del 12 maggio 2021, Vereniging van Effectenbezitters (C‑709/19, EU:C:2021:377, punti 34 e segg.), la Corte sembra aver conferito una certa priorità all’obiettivo della certezza del diritto rispetto a qualsiasi altra considerazione, compresa quella relativa alla formulazione dell’articolo 7, punto 2, del regolamento n. 1215/2012. Infatti, in tale sentenza, che verteva su azioni di risarcimento dei danni subiti da azionisti a causa dell’assenza di informazioni, la Corte ha respinto l’argomento secondo cui una società può attendersi di essere convenuta nel luogo in cui sono ubicati i conti titoli dei suoi azionisti sulla base del solo rilievo che i criteri relativi al domicilio e all’ubicazione dei conti degli azionisti non consentono alla società emittente di prevedere la competenza internazionale dei giudici dinanzi ai quali potrebbe essere convenuta, in quanto che ciò sarebbe contrario all’obiettivo, menzionato al considerando 16 del regolamento n. 1215/2012, consistente nell’evitare, al fine di garantire il principio della certezza del diritto, la possibilità che il convenuto sia citato dinanzi a un’autorità giurisdizionale di uno Stato membro che non sia per questi ragionevolmente prevedibile. Per la Corte, l’obiettivo della prevedibilità esige che, nel caso di una società quotata in borsa, come quella di cui a tale procedimento principale, solo i giudici degli Stati membri nei quali la suddetta società ha adempiuto gli obblighi legali di pubblicità ai fini della sua quotazione in borsa possono essere riconosciuti competenti sulla base del criterio del luogo in cui è avvenuto il danno. Di conseguenza, è solo in tali Stati membri che una società siffatta può ragionevolmente prevedere l’esistenza di un mercato d’investimento e il sorgere della propria responsabilità.
69. Tuttavia, tale soluzione non mi sembra tale da rimettere indirettamente in discussione l’approccio a mosaico. Se, da un lato, è possibile considerare, anche se solo approssimativamente (63), che il mercato degli investimenti di una società quotata in borsa sia situato nel luogo in cui essa è quotata, il «mercato» geografico di un’opinione sarà determinato sulla base dell’accessibilità di tale opinione. Dall’altro lato, si può osservare che la soluzione accolta nella sentenza Vereniging van Effectenbezitters, combinata con la competenza dei giudici del luogo di emissione delle azioni, che deriva dalla competenza dei giudici del luogo del domicilio del convenuto prevista all’articolo 4 del regolamento n. 1215/2012, conduce ad attribuire la competenza ai giudici degli Stati membri il cui diritto sarà, in linea di principio, quello applicabile alla controversia. In tal senso, detta soluzione è conforme all’obiettivo di buona amministrazione enunciato al considerando 16 del regolamento n. 1215/2012. Di converso, tuttavia, in materia di diffamazione, il diritto applicabile è verosimilmente quello dei vari Stati membri nei quali il messaggio è accessibile. Si tratta, a mio avviso, di una differenza decisiva, poiché in caso di abbandono dell’approccio a mosaico in materia di diffamazione, l’attore può essere privato della possibilità di adire i giudici degli Stati membri nei quali il messaggio in questione è stato accessibile e, quindi, di adire i giudici che si trovano nella posizione migliore per valutare e applicare le varie norme pertinenti e compiere tutti gli accertamenti in fatto necessari.
70. In ogni caso, l’approccio a mosaico non sembra idoneo a condurre a un risultato meno prevedibile di quello derivante, ad esempio, dall’applicazione del criterio del centro degli interessi della vittima (64). È vero che, per quanto riguarda gli operatori non economici, un criterio siffatto potrebbe sembrare agevole da applicare, dato che corrisponde più o meno al luogo in cui si trova il centro della vita e delle attività sociali della vittima. Tuttavia, l’applicazione di tale criterio sembra molto più complessa nel caso degli operatori economici, poiché esistono concezioni diverse in merito a che cosa si debba intendere per «interessi» di una società (65), come dimostra la differenza di approccio tra le teorie del primato degli azionisti e quelle dei portatori di interessi (66).
71. Per superare tale questione, la logica imporrebbe che la nozione di «centro degli interessi» di una persona giuridica corrisponda al luogo di costituzione, dato che, in particolare, da un lato, la diffamazione è una lesione dell’onore, della dignità e della reputazione di una persona (e non dei suoi prodotti) e, dall’altro, è nei suoi conti finanziari che si concretizzeranno gli effetti di un’eventuale lesione della sua reputazione (67). Siffatta regola consentirebbe quindi, conformemente al principio della certezza del diritto, all’autore di una pubblicazione riguardante tale persona giuridica di prevedere il risultato dell’applicazione di tale fattore di collegamento, poiché l’indicazione del luogo in cui ha sede un operatore economico è facilmente reperibile, essendo la sua menzione obbligatoria ai sensi di vari strumenti del diritto dell’Unione.
72. Tuttavia, la Corte ha ritenuto, invece, che «[s]ebbene il centro degli interessi di una persona giuridica possa coincidere con il luogo della sua sede statutaria quando essa esercita, nello Stato membro in cui si trova tale sede, l’insieme o la parte essenziale delle sue attività e la reputazione di cui essa ivi gode è, di conseguenza, maggiore che in qualsiasi altro Stato membro, l’ubicazione di detta sede non è tuttavia, di per sé, un criterio decisivo nell’ambito di una siffatta analisi» (68). Ciò che è rilevante è il luogo cui è riconducibile una «preponderanza dell’attività economica della persona giuridica interessata in uno Stato membro» (69).
73. Indubbiamente, la nozione di attività economica in riferimento a una società è, in un certo senso, ambigua. Essa può essere intesa almeno in due modi, vale a dire, in una prospettiva commerciale, nel senso che indica il luogo in cui un operatore economico realizza la maggior parte delle sue vendite (senza entrare nel dibattito concernente la questione se l’indicatore pertinente, al riguardo, sia il profitto o il fatturato, poiché, in particolare per società che gestiscono grandi progetti a livello mondiale, tale indicatore potrebbe mutare regolarmente) (70) o, in una prospettiva più industriale, nel senso che indica il luogo in cui le risorse finanziarie, umane e tecniche necessarie per lo svolgimento dell’attività della società sono combinate e impiegate per la produzione dei beni e dei servizi venduti (71). Infatti, è probabile che la reputazione incida sui rapporti che un operatore economico può intrattenere non soltanto con i suoi clienti, ma con tutti i portatori di interessi (azionisti, creditori, fornitori, dipendenti, ecc.). Ad esempio, la reputazione può avere un impatto diretto sulla capacità della società di raccogliere capitali sui mercati finanziari (72) o di ottenere forniture.
74. L’applicazione di un criterio siffatto si scontra necessariamente con altre difficoltà pratiche. Infatti, indipendentemente dal modo in cui debba essere intesa la nozione di attività economica, è assai probabile che le informazioni di cui il convenuto necessita per determinare il giudice competente sulla base di tale criterio rientrino, nel caso delle persone fisiche, nell’ambito del regolamento 2016/679 (73) e, nel caso delle società, in una certa misura, nella riservatezza commerciale (74). In pratica, quindi, ci si potrebbe chiedere se, per il convenuto, individuare il foro competente sulla base del criterio del centro degli interessi non sia almeno altrettanto difficile quanto individuarlo sulla base del principio del mosaico.
75. Passando ora all’obiettivo di ridurre al minimo la possibilità di procedimenti paralleli (al fine di garantire un collegamento stretto tra i giudici e la controversia o al fine di agevolare la buona amministrazione della giustizia), sembra che, sino ad oggi, la Corte si sia attestata sulla posizione secondo cui l’applicazione di un criterio che può condurre a una pluralità di giudici in vari Stati membri competenti in questo tipo di cause non rappresenta un problema, fino a che il criterio utilizzato attribuisce competenza a giudici che, probabilmente, si trovano in una posizione migliore per valutare il danno verificatosi. Infatti, siffatta impostazione risponde all’obiettivo di una buona amministrazione della giustizia, menzionato al considerando 16 del regolamento n. 1215/2012 come obiettivo che giustifica una deroga alla competenza dei giudici del domicilio del convenuto (75).
76. Si può osservare, ad esempio, che, al punto 43 della sentenza del 3 ottobre 2013, Pinckney (C‑170/12, EU:C:2013:635), dopo aver ricordato l’obiettivo della buona amministrazione della giustizia, la Corte ha dichiarato che i giudici dei vari Stati membri nei quali il danno lamentato può essersi concretizzato o può concretizzarsi sono competenti a conoscere delle azioni per il risarcimento del danno derivante dell’asserita violazione di un diritto patrimoniale d’autore, a condizione che lo Stato membro in cui si trova tale giudice tuteli i contenuti protetti dal diritto d’autore invocato dal ricorrente (76).
77. Analogamente, ai punti 33 e 34 della sua sentenza del 29 luglio 2019, Tibor-Trans (C‑451/18, EU:C:2019:635), la Corte ha statuito che i giudici dei vari Stati membri nel cui territorio si trova il mercato interessato dalla violazione, e nel quale la vittima lamenta di aver subito il danno, devono essere considerati competenti a pronunciarsi su azioni di risarcimento del danno causato da una violazione ai sensi dell’articolo 101 TFUE. Essa ha poi aggiunto che «[t]ale soluzione risponde, infatti, agli obiettivi di prossimità e di prevedibilità delle regole di competenza, in quanto, da un lato, i giudici dello Stato membro in cui si trova il mercato interessato sono i più idonei a esaminare tali ricorsi per risarcimento danni e, dall’altro, un operatore economico che mette in atto condotte anticoncorrenziali può ragionevolmente aspettarsi di essere citato dinanzi ai giudici del luogo in cui le sue condotte hanno falsato le regole di una sana concorrenza».
78. Infine, ai punti 56 e 57 della sua sentenza del 5 settembre 2019, AMS Neve e a. (C‑172/18, EU:C:2019:674), la Corte ha anzitutto dichiarato che i giudici dei vari Stati membri nel cui territorio sono situati i consumatori o i professionisti destinatari delle pubblicità o delle offerte di vendita devono essere considerati competenti a statuire sulle azioni per contraffazione, precisando poi che detta soluzione è «corroborata» dal fatto che tali giudici sono particolarmente idonei a pronunciarsi, per ragioni di prossimità alla controversia e di facilità di assunzione delle prove.
79. In tale contesto, non soltanto non sono persuaso del fatto che l’approccio a mosaico sia contrario agli obiettivi del regolamento n. 1215/2012, ma non sono neppure convinto del fatto che l’impiego di uno degli altri elementi di collegamento che giustificano una «norma di competenza unica» (come il luogo di domicilio del convenuto, il luogo in cui si è verificato il fatto generatore del danno o il luogo del centro degli interessi) conduca alla designazione di un giudice che si trova necessariamente in una posizione migliore per valutare il carattere diffamatorio o non diffamatorio di un contenuto, nonché l’estensione del danno che ne deriva.
80. Vi saranno, certamente, molti casi in cui il carattere diffamatorio di un contenuto difficilmente sarà in dubbio. Ciò non dovrebbe tuttavia occultare il fatto che il carattere diffamatorio di un contenuto possa essere percepito in modo diverso da uno Stato membro all’altro. Prendendo ad esempio un articolo che imputi falsamente talune pratiche commerciali o fiscali abusive a una determinata società, il messaggio veicolato da tale pubblicazione potrebbe essere percepito in modo differente e potrebbe avere un impatto diverso in uno Stato membro rispetto a un altro (77).
81. In aggiunta a tale problema classico della comunicazione interculturale (che spiega, ad esempio, il motivo per cui le imprese sviluppano strategie di marketing diverse da uno Stato membro all’altro), la mancanza di armonizzazione delle normative in materia di diffamazione tende a giustificare il mantenimento del principio del mosaico. È vero che tutti gli Stati membri hanno emanato leggi antidiffamazione, ma il contenuto di tali leggi, le loro modalità di applicazione e, non da ultimo, le modalità di quantificazione del danno possono variare sensibilmente da uno Stato membro all’altro, riflettendo, sovente, profonde divergenze nella cultura giuridica applicabile (78).
82. Di conseguenza, come sottolinea la Commissione, un attore può avere un interesse legittimo ad adire un giudice diverso da quello del centro dei suoi interessi, anche se ciò limita l’importo del risarcimento che potrà ottenere. Da un lato, poiché le violazioni della vita privata e dei diritti della personalità sono escluse dall’ambito di applicazione del regolamento n. 864/2007, il diritto applicabile sarà determinato secondo le norme di diritto internazionale privato applicabili nello Stato membro di ciascun giudice competente, che possono variare in modo sostanziale (79). Dall’altro lato, un operatore economico potrebbe voler adire i giudici degli Stati membri nei quali sta tentando di sviluppare le sue attività economiche anziché quelli dello Stato membro nel quale gode già di una solida reputazione, proprio perché la sua reputazione lo protegge dagli atti di diffamazione più grossolani o perché può sperare di trarre vantaggio, su tale mercato, da una decisione giurisdizionale, sul presupposto che la pronuncia di un giudice locale riceverà una maggiore copertura mediatica complessiva in tale Stato membro rispetto a una decisione pronunciata dai giudici dello Stato membro in cui si trova il centro dei suoi interessi (80).
83. Ritenere preferibile concentrare tutte le domande di risarcimento dinanzi ad un giudice, come sembrano fare gli oppositori dell’approccio a mosaico, tende a ignorare il fatto che le leggi degli Stati membri in materia di diffamazione non sono attualmente armonizzate, e non lo sono neppure le norme sulla determinazione del diritto applicabile.
84. Infatti, in assenza di armonizzazione in tali settori, i giudici che godono di una competenza esclusiva a statuire sulla totalità del danno dovranno applicare il diritto di ciascuno degli Stati membri nei quali l’asserito danno asserito si è concretizzato per pronunciarsi su qualsiasi domanda di risarcimento. Ciò implica che essi dovranno, in linea di principio, prendere in considerazione, per ciascuno di tali Stati membri, il diritto applicabile, la reputazione di cui gode la vittima in tale territorio, nonché la percezione del messaggio da parte del pubblico di tali Stati (81).
85. In tale contesto, è realmente possibile ritenere che un solo giudice di uno Stato membro individuato (o individuabile), dotato di piena competenza, si trovi nella posizione migliore per compiere tale valutazione (82)? Non si dovrebbe, piuttosto, ritenere che l’esistenza di una pluralità di fori competenti sia la conseguenza ineluttabile del diritto di cui gode l’attore, conformemente al principio di sussidiarietà, di ottenere la risoluzione della controversia ad opera dei giudici che, per il fatto di essere i più prossimi al territorio di ciascuno degli Stati membri, sono quelli maggiormente in grado di compiere tutte le valutazioni di fatto, unitamente alla circostanza che le normative in materia di diffamazione dei vari Stati membri sono diverse e culturalmente influenzate dalle diverse tradizioni giuridiche di ciascuno di tali Stati (83)?
86. Certamente, anche l’obiettivo della prevedibilità deve essere preso in considerazione, ma, a mio avviso, è proprio dopo aver operato un bilanciamento tra tale obiettivo e quello della buona amministrazione della giustizia che la Corte ha avallato l’approccio a mosaico (84).
87. Infine, prima di abbandonare l’approccio a mosaico, occorrerebbe in ogni caso accertare che non vi siano altre soluzioni meno drastiche rispetto a un ribaltamento totale della giurisprudenza. A tal riguardo, può certamente sembrare meno radicale limitarsi a combinare l’approccio a mosaico con ciò che potrebbe essere qualificato come il cosiddetto «criterio della destinazione», così come previsto dal diritto dell’Unione in taluni settori (85).
88. Ai sensi di tale criterio, affinché i giudici di uno Stato membro siano competenti, non soltanto il contenuto di cui trattasi deve essere accessibile tramite Internet, ma la pubblicazione deve essere stata specificamente destinata al territorio dello Stato membro interessato. Se tale criterio fosse applicato, esso contribuirebbe a garantire che soltanto i giudici degli Stati membri ai quali la pubblicazione era specificamente destinata potrebbero esercitare la loro competenza sulla base dell’articolo 7, punto 2, del regolamento n. 1512/2012. Ciò renderebbe possibile, conformemente agli obiettivi perseguiti da tale disposizione, ridurre il numero dei fori competenti e garantire un certo grado di certezza del diritto, assicurando al contempo l’esistenza di un collegamento stretto fra i giudici e la controversia e, dunque, garantendo una buona amministrazione della giustizia.
89. È vero che la Corte ha respinto, in via generale, l’applicazione del criterio della destinazione per quanto concerne l’applicazione dell’articolo 7, punto 2, poiché, a differenza dall’articolo 15, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 44/2001 (attuale articolo 17, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 1215/2012), l’articolo 5, punto 3, del regolamento n. 44/2001 (attuale articolo 7, punto 2, del regolamento n. 1215/2012) non richiede che l’attività di cui trattasi sia «diretta verso» lo Stato membro del giudice adito (86).
90. Tuttavia, si può rilevare, in primo luogo, che il fatto che l’articolo 7, punto 2, del regolamento n. 1215/2012 non preveda l’applicazione di una condizione siffatta non significa che tale circostanza non possa assumere rilevanza, in talune situazioni particolari, ai fini della determinazione del luogo in cui il danno è avvenuto. Si può osservare, ad esempio, che, al punto 42 della sentenza nella causa Bolagsupplysningen e Ilsjan, la Corte si riferisce al fatto che il sito Internet in questione era essenzialmente destinato ad essere compreso da persone residenti in un determinato Stato membro, il che suggerisce, secondo la Corte, che, perlomeno in materia di diffamazione, occorre prendere in considerazione i mercati di determinati Stati membri ai fini della determinazione della competenza giurisdizionale.
91. In secondo luogo, per quanto riguarda la contraffazione di marchi, l’articolo 97, paragrafo 5, del regolamento (CE) n. 207/2009 (87) – che prevede una regola derogatoria per quanto concerne la competenza in materia di contraffazione di marchi – non contiene alcun riferimento a una condizione ai sensi della quale sarebbe necessario, affinché i giudici di uno Stato membro siano competenti, che il sito Internet in questione sia inteso a dirigere le sue attività verso tale Stato membro. Tuttavia, ai fini dell’accertamento della competenza in tali casi, la Corte di giustizia ha di recente tenuto espressamente conto del fatto che i contenuti in rete in questione – pubblicità e offerte di vendita – non soltanto erano accessibili ai consumatori di taluni Stati membri, ma erano anche ad essi destinati (88).
92. In terzo luogo, per quanto riguarda la trasmissione di programmi televisivi, la Corte europea dei diritti dell’uomo, dopo aver esaminato il contenuto del regolamento n. 44/2001, ha riconosciuto una violazione dell’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo da parte della Svezia, a motivo del fatto che, in sostanza, poiché un programma televisivo, benché accessibile fuori dalla Svezia, era stato prodotto per il pubblico svedese, tale Stato avrebbe dovuto garantire alle persone che asserivano di essere state diffamate da tale programma un accesso effettivo ai propri giudici (89). Sembra quindi che, ad avviso della Corte europea dei diritti dell’uomo, gli Stati debbano garantire alle persone diffamate la possibilità di adire i loro giudici sulla base del mero presupposto che il messaggio fosse destinato ai loro residenti.
93. Alla luce di quanto precede, si può quindi ritenere che l’uso del criterio della destinazione costituisca, eventualmente, un cambiamento meno radicale della giurisprudenza della Corte rispetto al semplice accantonamento o all’abbandono dell’approccio a mosaico. Inoltre, esso presenterebbe il vantaggio di evitare l’affermazione di competenza da parte dei giudici di un altro Stato membro in cui è tenue il collegamento fra la pubblicazione su Internet in questione e il danno asseritamente subito dall’attore per effetto della stessa, o in cui l’attore tenta in modo opportunistico di trarre vantaggio dal fatto tecnico della pubblicazione su Internet al fine di garantire una sede più vantaggiosa per i suoi procedimenti. Inoltre, l’applicazione di siffatto criterio, che non è espressamente escluso dalla formulazione dell’articolo 7, punto 2, del regolamento n. 1215/2012, potrebbe ben rappresentare un migliore bilanciamento fra l’obiettivo della prossimità e quello della riduzione del numero di giudici competenti (90).
94. In definitiva, quindi, si deve riconoscere che è futile la ricerca di una soluzione perfetta in caso di diffamazione transnazionale. L’esperienza lo ha dimostrato. Sia l’approccio a mosaico, sia quello del «foro unico» sono caratterizzati da difficoltà. Tuttavia, a partire dalla sentenza nella causa Shevill, nel 1991, la Corte ha optato, nel complesso, per l’approccio a mosaico. Non ritengo si possa sostenere che tale approccio sia talmente errato o insoddisfacente da imporre un’inversione o una modifica della giurisprudenza su di esso fondata.
95. In ogni caso, ritengo che la presente causa non rappresenti l’occasione giusta, per la Corte, per prendere posizione sulla questione se l’approccio a mosaico debba essere conservato, affinato o addirittura abbandonato. Infatti, nel procedimento principale, la ricorrente non sostiene che i contenuti di cui trattasi costituiscano atti di diffamazione, bensì che essi violino le norme francesi in materia di atti di «dénigrement», vale a dire una forma di falsità dolosa (91). Peraltro, il giudice del rinvio non sembra rimettere in discussione tale qualificazione (92).
96. Nel diritto francese, l’atto denigratorio non integra una violazione dei diritti della personalità, ma rientra nelle regole in materia di concorrenza sleale (93). In particolare, nel diritto francese, la denigrazione si distingue dalla diffamazione in quanto quest’ultima esige che la critica sia di natura tale da ledere l’onore, la dignità o il buon nome di una persona fisica o giuridica, mentre la denigrazione consiste nello screditare pubblicamente i prodotti di un operatore economico, siano essi o meno prodotti concorrenti, al fine di influenzare le scelte di acquisto dei clienti (94).
97. È vero che tali peculiarità del diritto francese non incidono, di per sé, sul modo in cui deve essere interpretato l’articolo 7, punto 2, del regolamento n. 1215/2012. Tuttavia, la scelta dell’attore di avvalersi di tale figura anziché di quella della diffamazione implica, implicitamente ma necessariamente, la natura strettamente economica del danno lamentato (95).
98. Secondo la giurisprudenza della Corte, in caso di violazione di diritti patrimoniali tutelati da norme di Stati membri diversi, i giudici di tali Stati membri sono competenti a conoscere del danno causato nel territorio del loro rispettivo Stato, poiché si trovano nella posizione migliore per valutare se siano stati effettivamente lesi i diritti in questione e per determinare la natura del danno (96).
99. In particolare, ai sensi della giurisprudenza della Corte, una controversia relativa alla violazione di norme in materia di concorrenza sleale può essere sottoposta ai giudici di qualsiasi Stato membro in cui l’atto abbia causato o rischi di causare un danno nel distretto del giudice adito (97). Più precisamente, qualora il mercato interessato dalla condotta anticoncorrenziale si trovi nello Stato membro nel cui territorio si asserisce essere avvenuto il danno lamentato, occorre ritenere che il luogo in cui si è concretizzato il danno, ai fini dell’applicazione dell’articolo 7, punto 2, del regolamento n. 1215/2012, si trovi in tale Stato membro (98).
100. Poiché, nel caso di un atto denigratorio, i mercati che possono essere pregiudicati sono quelli in cui, da un lato, sono commercializzati i servizi oggetto di denigrazione e in cui, dall’altro, è stato accessibile il contenuto denigratorio, ritengo che, nel caso di cui al procedimento principale, i giudici francesi dovrebbero essere ritenuti competenti qualora la Gtflix Tv disponga effettivamente di un numero significativo di clienti residenti in Francia e i messaggi in questione siano stati redatti in lingua francese o in inglese, dato che il numero di persone che comprendono dette lingue in tale Stato membro in questione non può essere considerato irrilevante (99).
101. Tale soluzione è conforme agli obiettivi di prossimità e di buona amministrazione della giustizia perseguiti dal regolamento n. 1215/2012, menzionati al considerando 16 dello stesso. Infatti, i giudici competenti ai sensi dell’articolo 7, punto 2, del regolamento n. 1215/2012, segnatamente, nelle circostanze di cui al procedimento principale, i giudici del luogo del domicilio di ciascun cliente che può aver avuto accesso e aver compreso le pubblicazioni in questione, devono essere considerati i più idonei a valutare se un atto denigratorio abbia effettivamente prodotto l’effetto di modificare il comportamento del cliente (100). Detta soluzione risponde altresì al requisito della prevedibilità, poiché qualsiasi impresa può attendersi, per l’essersi riferita ad un concorrente in un contenuto destinato al pubblico, di poter essere convenuta dinanzi ai giudici dei vari Stati membri in cui tale contenuto è o è stato accessibile e in cui il concorrente disponga di clienti.
102. Infine, e soprattutto, tale soluzione è corroborata dal requisito di coerenza tra l’interpretazione della regola di competenza e degli strumenti in materia di diritto applicabile di cui al considerando 7 del regolamento Roma II (101). Infatti, pur se le norme sul conflitto di leggi applicabili alla diffamazione non sono armonizzate, il regolamento Roma II uniforma tuttavia le norme di conflitto in materia di concorrenza sleale (102).
103. Per quanto riguarda gli atti di concorrenza sleale che incidono sugli interessi di un determinato concorrente, come nel caso di cui al procedimento principale, l’articolo 6, paragrafo 2, del regolamento Roma II prevede l’applicazione della regola generale prevista dall’articolo 4 del regolamento (103), ossia la legge del paese in cui si verifica il danno (104).
104. Alla luce di quanto precede, ritengo che i giudici francesi siano competenti qualora sia dimostrato che la Gtflix Tv dispone in Francia di un numero apprezzabile di clienti che possano avere accesso alla pubblicazione o alle pubblicazioni di cui trattasi e siano in grado di comprenderle. La valutazione di tali fatti rientra nella competenza del giudice nazionale.
V. Conclusione
105. Poiché una domanda di rettifica di dati e di rimozione di taluni contenuti può essere proposta soltanto dinanzi ai giudici del luogo del domicilio del convenuto o a quelli del luogo dell’evento generatore, oppure dinanzi ai giudici del luogo in cui si trova il centro degli interessi dell’attore, propongo di rispondere alla questione sollevata nei seguenti termini:
L’articolo 7, punto 2, del regolamento (UE) n. 1215/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2012, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, deve essere interpretato nel senso che chi lamenta un atto di concorrenza sleale, consistente nella diffusione di frasi denigratorie su Internet, e agisce tanto ai fini della rettifica dei dati e della rimozione di taluni contenuti, quanto ai fini del risarcimento del danno morale ed economico che ne deriva, può proporre un’azione o una domanda dinanzi ai giudici di ciascuno Stato membro nel cui territorio il contenuto pubblicato in rete è o è stato accessibile, per il risarcimento del solo danno causato nel territorio di tale Stato membro. Tuttavia, affinché tali giudici godano della necessaria competenza, occorre che l’attore dimostri di disporre in detta giurisdizione di un numero apprezzabile di consumatori che possano verosimilmente aver avuto accesso al contenuto pubblicato in questione e averlo compreso.