Language of document : ECLI:EU:T:2010:171

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Settima Sezione)

29 aprile 2010 (*)

«Marchio comunitario – Domanda di marchio comunitario denominativo BIOPIETRA – Impedimento assoluto alla registrazione – Assenza di carattere distintivo – Art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento (CE) n. 40/94 [divenuto art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento (CE) n. 207/2009]»

Nella causa T‑586/08,

Kerma SpA, con sede in Raffa di Puegnago sul Garda, rappresentata dall’avv. A. Manzoni,

ricorrente,

contro

Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), rappresentato dal sig. O. Montalto, in qualità di agente,

convenuto,

avente ad oggetto un ricorso diretto contro la decisione della prima commissione di ricorso dell’UAMI 16 ottobre 2008 (caso R 889/2008‑1), relativa ad una domanda di registrazione del segno denominativo BIOPIETRA come marchio comunitario,

IL TRIBUNALE (Settima Sezione),

composto dai sigg. N.J. Forwood, presidente, E. Moavero Milanesi (relatore) e J. Schwarcz, giudici,

cancelliere: sig.ra K. Pocheć, amministratore

visto il ricorso depositato nella cancelleria del Tribunale il 24 dicembre 2008,

visto il controricorso depositato nella cancelleria del Tribunale il 17 marzo 2009,

in seguito all’udienza del 20 gennaio 2010,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti all’origine della controversia

1        Il 1° febbraio 2007 la ricorrente, Kerma SpA, ha presentato una domanda di registrazione di marchio comunitario dinanzi all’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), a norma del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), come modificato [sostituito dal regolamento (CE) del Consiglio 26 febbraio 2009, n. 207, sul marchio comunitario (GU L 78, pag. 1)].

2        Il marchio del quale è stata chiesta la registrazione è costituito dal segno denominativo BIOPIETRA.

3        I prodotti per i quali è stata chiesta la registrazione rientrano nella classe 19 ai sensi dell’Accordo di Nizza 15 giugno 1957, relativo alla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, come riveduto e modificato, e corrispondono alla seguente descrizione: «Materiali da costruzione non metallici; pietre; manufatti di cemento amalgamato a pietra macinata ed altri agglomerati che riproducono pavimenti e rivestimenti tipo mattoni faccia a vista, pietre a spacco, lastre, pavé, tavelle sottotetto; riproduzioni di fossili; riproduzione di marmo, di granito; monumenti trasportabili non metallici, costruzioni trasportabili non metalliche».

4        Con decisione 17 aprile 2008, l’esaminatore ha respinto la domanda di registrazione per i prodotti in questione a norma dell’art. 7, n. 1, lett. b) e c), del regolamento n. 40/94 [divenuto art. 7, n. 1, lett. b) e c), del regolamento n. 207/2009] e dell’art. 7, n. 2, del medesimo regolamento n. 40/94 [divenuto art. 7, n. 2, del regolamento n. 207/2009].

5        Il 12 giugno 2008 la ricorrente ha presentato dinanzi all’UAMI un ricorso avverso la decisione dell’esaminatore.

6        Con decisione 16 ottobre 2008 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), la prima commissione di ricorso dell’UAMI ha respinto tale ricorso. Essa ha ritenuto, in particolare, che il segno denominativo BIOPIETRA fosse privo di carattere distintivo e che occorresse quindi rifiutarne la registrazione a norma dell’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94.

7        Da un lato, la commissione di ricorso ha constatato che i prodotti in questione riguardavano l’industria edile ed erano dunque destinati ai professionisti del settore – muratori, imprenditori edili, architetti, imprese specializzate nella ristrutturazione, ecc. – e, marginalmente, ai consumatori finali che acquistano materiali per il fai da te.

8        Dall’altro, secondo la detta commissione, agli occhi del consumatore di lingua italiana il segno denominativo in questione si scomponeva in due vocaboli, vale a dire «bio» e «pietra». Orbene, il primo sarebbe un prefisso correntemente utilizzato per fare riferimento all’ambiente e, in senso lato, all’ecologia, come dimostrerebbero ad esempio le parole «bioagricoltura», «biocarburante» o «bioenergia». Quanto al secondo, esso corrisponderebbe ad un materiale largamente usato nell’edilizia. Pertanto, secondo la commissione di ricorso, anche se il termine «biopietra» non esiste, verrà percepito da un consumatore interessato ai materiali per l’edilizia come facente riferimento ad una caratteristica dei prodotti – ad esempio, il fatto che la pietra viene estratta nel rispetto dell’ambiente – e non come un marchio esclusivo di un fabbricante.

 Conclusioni delle parti

9        La ricorrente conclude che il Tribunale voglia:

–        dichiarare che il marchio BIOPIETRA è conforme all’art. 4 del regolamento n. 40/94 [divenuto art. 4 del regolamento n. 207/2009] e che non è privo di carattere distintivo ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. b), del medesimo regolamento;

–        condannare l’UAMI alle spese.

10      L’UAMI conclude che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

11      All’udienza, rispondendo ad un quesito del Tribunale che rammentava la giurisprudenza comunitaria riguardante le sentenze dichiarative [v. sentenza del Tribunale 10 giugno 2008, causa T‑85/07, Gabel Industria Tessile/UAMI – Creaciones Garel (GABEL), Racc. pag. II‑823, punto 17 e la giurisprudenza ivi citata], la ricorrente ha fatto presente che, sebbene il primo capo delle sue conclusioni sia inteso ad ottenere che il Tribunale dichiari che il segno BIOPIETRA è conforme all’art. 4 del regolamento n. 40/94 e possiede carattere distintivo ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. b), del medesimo regolamento, il presente ricorso mirava in realtà ad ottenere l’annullamento della decisione impugnata. Di tale circostanza si è preso atto nel verbale di udienza. L’UAMI non ha formulato obiezioni al riguardo.

12      Pertanto, occorre considerare che la ricorrente, con il primo capo delle sue conclusioni, chiede l’annullamento della decisione impugnata.

 In diritto

13      La ricorrente deduce, in sostanza, un motivo unico, riguardante la violazione dell’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94. In particolare, la ricorrente fa valere che la commissione di ricorso, da un lato, ha erroneamente interpretato il termine «bio» e, dall’altro, ha erroneamente valutato il segno BIOPIETRA nel suo insieme.

14      A questo proposito occorre ricordare che, a norma dell’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, sono esclusi dalla registrazione «i marchi privi di carattere distintivo». Inoltre, l’art. 7, n. 2, del detto regolamento stabilisce che «[i]l paragrafo 1 si applica anche se le cause d’impedimento esistono soltanto per una parte della Comunità».

15      Secondo la giurisprudenza della Corte, un impedimento assoluto alla registrazione deve essere interpretato alla luce dell’interesse generale ad esso sotteso. Quanto all’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, la nozione di interesse generale si confonde, come è evidente, con la funzione essenziale del marchio, che consiste nel garantire al consumatore l’identità di origine del prodotto o del servizio contrassegnato dal marchio, consentendogli di distinguere senza possibilità di confusione questo prodotto o questo servizio da quelli di provenienza diversa (v. sentenza della Corte 8 maggio 2008, causa C‑304/06 P, Eurohypo/UAMI, Racc. pag. I‑3297, punti 55 e 56 nonché la giurisprudenza ivi citata).

16      Di conseguenza, dire che un marchio ha carattere distintivo nel senso di cui all’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94 equivale a dire che tale marchio permette di identificare il prodotto per il quale è chiesta la registrazione come proveniente da un’impresa determinata e, dunque, di distinguere tale prodotto da quelli di altre imprese (v. sentenza della Corte 29 aprile 2004, cause riunite C‑456/01 P e C‑457/01 P, Henkel/UAMI, Racc. pag. I‑5089, punto 34 e la giurisprudenza ivi citata).

17      Inoltre, per costante giurisprudenza, tale carattere distintivo del marchio dev’essere valutato, da un lato, in rapporto ai prodotti o ai servizi per i quali è chiesta la registrazione e, dall’altro, con riguardo alla percezione che di esso ha il pubblico interessato, costituito dai consumatori medi dei detti prodotti o servizi (sentenze della Corte 29 aprile 2004, cause riunite C‑473/01 P e C‑474/01 P, Procter & Gamble/UAMI, Racc. pag. I‑5173, punto 33, e 22 giugno 2006, causa C‑25/05 P, Storck/UAMI, Racc. pag. I‑5719, punto 25). Il livello di attenzione del consumatore medio, che si presume essere normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, può variare in funzione della categoria di prodotti o di servizi di cui trattasi [sentenze della Corte 22 giugno 1999, causa C‑342/97, Lloyd Schuhfabrik Meyer, Racc. pag. I‑3819, punto 26, e del Tribunale 10 ottobre 2007, causa T‑460/05, Bang & Olufsen/UAMI (Forma di un altoparlante), Racc. pag. II‑4207, punto 32].

18      È alla luce di tali considerazioni che occorre appurare se il segno denominativo BIOPIETRA sia privo di carattere distintivo, ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94.

19      In primo luogo, per quanto riguarda il pubblico interessato, occorre constatare che i prodotti in questione, indicati sopra al punto 3, sono utilizzati nel settore della costruzione e/o della ristrutturazione di beni immobili. Come giustamente rilevato dalla commissione di ricorso al punto 9 della decisione impugnata, tali prodotti sono dunque destinati, in particolare, ai professionisti del settore, vale a dire i muratori, gli imprenditori edili specializzati in costruzioni e ristrutturazioni, gli architetti, ecc.

20      Tuttavia, i prodotti di cui trattasi non sono destinati unicamente a questi professionisti del settore, ma anche, come indicato dalla ricorrente all’udienza, ai consumatori finali intenzionati ad acquistare materiali per costruzioni e/o ristrutturazioni per il tramite di uno dei detti professionisti o, eventualmente, di un distributore dei prodotti in questione. Tali consumatori finali non possono essere considerati quali soggetti interessati in via marginale, così come invece affermato dalla commissione di ricorso al punto 9 della decisione impugnata, né sono necessariamente i proprietari dei beni immobili sui quali i prodotti in questione potranno essere applicati, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente nel suo ricorso.

21      Per valutare il carattere distintivo del segno denominativo BIOPIETRA, occorre dunque tener conto della percezione del pubblico di professionisti nel settore delle costruzioni e/o delle ristrutturazioni di beni immobili, nonché di quella del grande pubblico interessato all’acquisto di materiali per costruzioni e/o ristrutturazioni. Per giunta, poiché il segno denominativo in questione è composto di termini appartenenti alla lingua italiana, la valutazione di cui sopra deve essere condotta facendo riferimento al pubblico in possesso di una sufficiente conoscenza di tale lingua, così come risulta dai punti 10 e 17 della decisione impugnata.

22      In secondo luogo, si tratta di verificare se il marchio BIOPIETRA consenta al consumatore di identificare l’origine dei prodotti da esso designati, consentendogli di distinguere, senza possibilità di confusione, tali prodotti da quelli di diversa provenienza. Infatti, allorché, nel settore interessato dal marchio, il pubblico interessato percepisce un segno nel senso che fornisce informazioni sulla natura dei prodotti o dei servizi da esso designati e non nel senso che indica l’origine dei prodotti o dei servizi in questione, il marchio non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94 [v., in tal senso, sentenza Eurohypo/UAMI, cit., punto 69, e sentenza del Tribunale 10 dicembre 2008, causa T‑365/06, Bateaux mouches/UAMI – Castanet (BATEAUX MOUCHES), non pubblicata nella Raccolta, punto 19].

23      A questo proposito, è pacifico che il segno BIOPIETRA può essere facilmente scomposto ed è formato dalla giustapposizione degli elementi verbali «bio» e «pietra».

24      Vero è che, nel senso stretto del termine, derivante dal greco, l’elemento denominativo «bio» significa «vita» o «vivente». È altresì vero che il termine «bio» costituisce l’abbreviazione dell’aggettivo «biologico», del quale il termine «organico» è sinonimo.

25      Tuttavia, è giocoforza constatare che, al di là del loro senso originario citato sopra al punto 24, l’aggettivo «biologico» e l’elemento denominativo «bio» hanno acquisito un significato differente nel linguaggio corrente. In particolare, nel commercio, l’utilizzazione del termine «bio» come prefisso o suffisso ha acquisito oggigiorno una portata altamente evocativa, la quale può eventualmente essere percepita in modo differente a seconda del prodotto offerto in vendita cui il detto termine si ricollega, ma che, in linea generale, rinvia all’idea di rispetto dell’ambiente, di utilizzo di materie naturali o, addirittura, di procedimenti di fabbricazione ecologici. D’altronde, la stessa ricorrente riconosce, al punto 3 del suo ricorso, che ciò che è «biologico» può, in taluni casi, essere sinonimo di «ecologico». Orbene, la parola «ecologico» significa «relativo all’ecologia», «che rispetta l’ambiente». Il significato di vari termini costruiti con il prefisso «bio» conferma del resto tale constatazione, in quanto rivela un rapporto certo con le questioni legate all’ambiente e all’ecologia. È il caso delle parole «bioarchitettura», «bioagricoltura», «biocarburante» o «biodegradabile», citate dalla commissione di ricorso al punto 12 della decisione impugnata.

26      Pertanto – e a seconda del prodotto immesso sul mercato – il termine «bio» verrà percepito nel senso che fornisce informazioni sul fatto che si tratta di un prodotto fabbricato a partire da materie naturali, in condizioni rispettose della natura e dell’ambiente, e che non sarebbe nocivo per la natura e la salute. Ciò avverrà, in particolare, nel caso dei prodotti utilizzati nell’industria, come i materiali da costruzione.

27      Di conseguenza, e tenuto conto dei possibili significati del termine «bio» evidenziati ai punti 24 e 25 di cui sopra, oggigiorno il carattere distintivo, ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, di un marchio denominativo composto dall’elemento denominativo «bio» deve, se del caso, essere valutato alla luce, in particolare, del significato di tale termine che rinvia all’ecologia e al rispetto della natura e dell’ambiente. In tale contesto, considerato l’attuale valore altamente evocativo del termine «bio», sopra evidenziato, gli altri elementi verbali del marchio del quale viene chiesta la registrazione potrebbero essere importanti per stabilire il suo carattere distintivo.

28      Quanto al termine «pietra», va rilevato come esso derivi da una parola latina e designi una sostanza minerale solida e dura, che viene utilizzata quale materiale per costruzioni e/o ristrutturazioni. Può trattarsi di pietra naturale, di pietra ricostituita, o anche di polvere o particolato di pietra utilizzati nella composizione di altri prodotti, anch’essi impiegati come materiali di costruzione e/o di ristrutturazione.

29      Ne consegue che, riguardo ai prodotti utilizzati nel settore delle costruzioni e/o delle ristrutturazioni di beni immobili, tanto il termine «bio» quanto il termine «pietra», presi separatamente, forniscono informazioni attinenti alla natura di tali prodotti. Più precisamente, il termine «pietra» dà indicazioni quanto alla natura stessa di tali prodotti, la cui materia prima è la pietra o la polvere di pietra, che sono materiali solidi. Quanto al termine «bio», esso, se messo in collegamento, in particolare, con i prodotti in questione, verrà associato alla proprietà fondamentale posseduta da un prodotto per costruzioni e/o ristrutturazioni fabbricato a partire da materie naturali ed estratto nel rispetto dell’ambiente.

30      Tuttavia, per valutare se un marchio sia o no privo di carattere distintivo, occorre prendere in considerazione l’impressione d’insieme da esso prodotta (v., in tal senso, sentenza della Corte 19 settembre 2002, causa C‑104/00 P, DKV/UAMI, Racc. pag. I‑7561, punto 24).

31      Nel caso di specie, in primo luogo, da un punto di vista semantico, il termine «biopietra», preso nel suo insieme e significante letteralmente «pietra biologica», verrà compreso – tenuto conto delle considerazioni svolte sopra ai punti 24‑29 – non nel senso di «pietra organica», bensì in quello di «pietra ecologica».

32      Infatti, per il pubblico interessato, il riferimento alla natura biologica della pietra, nel senso stretto originario dell’elemento denominativo «bio», non sarà quello immediatamente percepito. Anche se il termine «biopietra» non esiste, esso evocherà nel pubblico interessato – come giustamente indicato dalla commissione di ricorso al punto 15 della decisione impugnata – l’impressione generale che, ad esempio, la pietra sia stata estratta nel rispetto dell’ambiente, o che il materiale sia compatibile con le norme della bioarchitettura, o anche che si tratti di un nuovo tipo di mattone simile alla pietra e avente spiccate caratteristiche ecologiche.

33      Ne consegue che, presi congiuntamente, i termini «bio» e «pietra» combineranno tutte le peculiarità che ciascuno di essi, separatamente preso, presenta, quali indicate sopra al punto 29.

34      A questo proposito, il segno denominativo BIOPIETRA non verrà percepito come indicazione dell’origine dei prodotti in questione, ossia del fatto che si tratta di prodotti fabbricati e commercializzati dalla ricorrente, bensì come una semplice indicazione della natura di tali prodotti, vale a dire che si tratta di pietre o di materiali a base di pietre, di tipo ecologico. Non consentendo di distinguere i prodotti in questione da quelli provenienti da altre imprese, il segno richiesto non può essere distintivo ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94. Tale conclusione, così come le considerazioni svolte sopra ai punti 23‑33, valgono per la totalità del pubblico interessato.

35      Tale conclusione non viene rimessa in discussione dagli argomenti della ricorrente secondo cui il termine «biopietra» non significherebbe necessariamente «pietra ecologica», bensì «pietra vivente» o «pietra organica», e costituirebbe a tale titolo un «neologismo formato da un ossimoro». Infatti, alla luce delle considerazioni sviluppate sopra ai punti 31‑34, il significato di «pietra ecologica» sarà quello compreso di primo acchito dal pubblico interessato. Ad ogni modo, occorre ricordare che, per vedersi opporre un diniego di registrazione, è sufficiente che un segno denominativo, in almeno uno dei suoi potenziali significati, designi una caratteristica dei prodotti o dei servizi in questione [v., in tal senso, la giurisprudenza, applicabile per analogia nel caso di specie, riguardante l’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94: sentenze della Corte 23 ottobre 2003, causa C‑191/01 P, UAMI/Wrigley, Racc. pag. I‑12447, punto 32, e 12 febbraio 2004, causa C‑265/00, Campina Melkunie, Racc. pag. I‑1699, punto 38]. Orbene, tenuto conto del suo significato di «pietra ecologica», il segno BIOPIETRA verrà percepito nel senso che fornisce informazioni sulla natura dei prodotti di cui trattasi.

36      Non può essere accolto neppure l’argomento della ricorrente secondo cui il termine «biologico» e l’elemento denominativo «bio» hanno un significato che non potrebbe essere collegato in via diretta, immediata ed esclusiva al termine «ecologico» ed al prefisso «eco», in quanto esisterebbero sostanze, quali la diossina o il percolato, le quali, pur avendo natura biologica, ovvero organica, non sono per nulla ecologiche. Infatti, anche supponendo che un’eventuale minoranza di consumatori possa effettivamente comprendere la parola «bio» nel senso di «organico» e sia in grado di sapere che tutto ciò che è organico non è necessariamente ecologico, questa stessa minoranza di consumatori, in presenza dei prodotti di cui trattasi, percepirà immediatamente e ugualmente l’altro senso di tale parola, ossia quello di «ecologico».

37      Infine, dev’essere respinto anche l’argomento della ricorrente, illustrato all’udienza, consistente nel riferimento ai marchi comunitari LIFESTONE e NEWSTONE, che – come confermato dall’UAMI – sono stati recentemente registrati, anch’essi per prodotti della classe 19. Oltre al fatto che il Tribunale non possiede alcun elemento riguardante tali marchi, va ricordata la consolidata giurisprudenza comunitaria secondo cui le decisioni relative alla registrazione di un segno come marchio comunitario, che le commissioni di ricorso sono chiamate ad adottare a norma del regolamento n. 40/94, rientrano nell’esercizio di una competenza vincolata e non in quello di un potere discrezionale. Pertanto, la registrabilità di un segno come marchio comunitario deve essere valutata unicamente sulla base della normativa comunitaria pertinente come interpretata dal giudice comunitario, e non sulla scorta di una presunta prassi decisionale di segno diverso seguita in precedenza dalle commissioni di ricorso [v., in tal senso, sentenza della Corte 15 settembre 2005, causa C‑37/03 P, BioID/UAMI, Racc. pag. I‑7975, punto 47; sentenza del Tribunale 2 luglio 2002, causa T‑323/00, SAT.1/UAMI (SAT.2), Racc. pag. II‑2839, punto 60, non invalidata sul punto dalla sentenza della Corte 16 settembre 2004, causa C‑329/02 P, SAT.1/UAMI, Racc. pag. I‑8317].

38      In secondo luogo, da un punto di vista sintattico, occorre anzitutto osservare che la giustapposizione delle due parole che compongono il termine «biopietra» non presenta una struttura talmente inusuale da costituire un termine ignoto e incomprensibile della lingua italiana per designare i prodotti in questione e, più precisamente, per fornire informazioni sulla loro natura. Il termine «biopietra» costituisce un neologismo che, di per sé, non appare contrario alle regole grammaticali italiane. D’altronde, nel vocabolario italiano, esistono numerosi sostantivi e aggettivi composti dall’elemento denominativo «bio», alcuni dei quali menzionati sopra al punto 25.

39      In terzo luogo, occorre rilevare che la presente analisi vale per la totalità dei prodotti interessati. Infatti, come confermato dalla ricorrente all’udienza in risposta ad un quesito del Tribunale a questo riguardo, tutti i prodotti in questione sono fabbricati in pietra e/o in polvere di pietra.

40      In quarto luogo, dev’essere respinto l’argomento della ricorrente secondo cui la commissione di ricorso avrebbe esaminato il segno in questione come se si trattasse del segno denominativo ECOPIETRA e avrebbe così commesso un «ultra petita». Infatti, risulta chiaramente dai punti 10‑13 della decisione impugnata che la commissione di ricorso ha fondato la propria analisi sugli elementi verbali «bio» e «pietra». Essa ha poi espressamente esaminato, ai punti 14 e 15 della decisione impugnata, il segno denominativo BIOPIETRA, e non ECOPIETRA. Ad ogni modo, riferendosi in più occasioni all’ambiente e, più in generale, all’ecologia, la commissione di ricorso ha compiuto un’esatta valutazione del segno denominativo di cui trattasi. Occorre comunque ricordare che, in sede di applicazione del regolamento n. 40/94, spetta alla commissione di ricorso stabilire se esistano impedimenti assoluti alla registrazione del segno oggetto della domanda ed esaminare, a tale scopo, tutti gli elementi utili per la decisione circa il carattere distintivo di un segno siffatto.

41      Senza che occorra esaminare la ricevibilità degli allegati A3‑A9 del ricorso introduttivo e degli allegati B1‑B5 del controricorso, sui quali il Tribunale non ha fondato la propria decisione, risulta da tutto quanto precede che la commissione di ricorso ha correttamente concluso che il segno denominativo BIOPIETRA era privo di carattere distintivo ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94.

42      Pertanto, occorre respingere il motivo unico dedotto dalla ricorrente e, di conseguenza, il ricorso nella sua interezza.

 Sulle spese

43      Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Essendo rimasta soccombente, la ricorrente deve dunque essere condannata alle spese, in conformità delle conclusioni dell’UAMI in tal senso.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Settima Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Kerma SpA è condannata alle spese.

Forwood

Moavero Milanesi

Schwarcz

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 29 aprile 2010.

Firme


* Lingua processuale: l’italiano.