Language of document : ECLI:EU:T:2019:482

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Ottava Sezione)

4 luglio 2019 (*)

«FEAGA e FEASR – Spese escluse dal finanziamento – Spese sostenute dall’Italia – Ritardi e negligenze imputabili agli organismi dello Stato membro – Imputazione allo Stato membro delle conseguenze finanziarie del mancato recupero – Rettifiche finanziarie – Articoli 31 e 32 del regolamento (CE) n. 1290/2005 – Articolo 12 del regolamento delegato (UE) n. 907/2014 – Termine ragionevole»

Nella causa T‑598/17,

Repubblica italiana, rappresentata da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita inizialmente da P. Pucciariello, successivamente da F. Varrone, avvocati dello Stato,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata da D. Triantafyllou e D. Bianchi, in qualità di agenti,

convenuta,

avente ad oggetto la domanda fondata sull’articolo 263 TFUE e diretta all’annullamento parziale della decisione di esecuzione (UE) 2017/1144 della Commissione, del 26 giugno 2017, recante esclusione dal finanziamento dell’Unione europea di alcune spese sostenute dagli Stati membri nell’ambito del Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA) e del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) (GU 2017, L 165, pag. 37), nella parte in cui riguarda la Repubblica italiana,

IL TRIBUNALE (Ottava Sezione),

composto da A.M. Collins (relatore), presidente, R. Barents e J. Passer, giudici,

cancelliere: E. Coulon

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Contesto normativo

1        L’articolo 7, paragrafo 4, del regolamento (CE) n. 1258/1999 del Consiglio, del 17 maggio 1999, relativo al finanziamento della politica agricola comune (GU 1999, L 160, pag. 103), così disponeva:

«La Commissione decide in merito alle spese non ammesse al finanziamento comunitario di cui agli articoli 2 e 3 qualora constati che alcune spese non sono state eseguite in conformità alle norme comunitarie.

Prima che sia adottata una decisione di rifiuto del finanziamento, i risultati delle verifiche della Commissione e le risposte dello Stato membro interessato costituiscono oggetto di comunicazioni scritte, in base alle quali le due parti cercano di raggiungere un accordo circa la soluzione da individuare.

In assenza di accordo, lo Stato membro può chiedere che sia avviata una procedura volta a conciliare le rispettive posizioni nel termine di quattro mesi e il cui esito costituisce oggetto di una relazione alla Commissione, che la esamina prima di una decisione di rifiuto del finanziamento.

La Commissione valuta gli importi da rifiutare tenendo conto, in particolare, della gravità dell’inosservanza constatata. La Commissione tiene conto a tal fine del tipo e della gravità dell’inosservanza nonché del danno finanziario causato alla Comunità.

Il rifiuto del finanziamento non può riguardare:

a)      le spese di cui all’articolo 2 eseguite anteriormente ai ventiquattro mesi che precedono la comunicazione scritta, da parte della Commissione allo Stato membro interessato, dei risultati delle verifiche;

b)      le spese per misure o azioni di cui all’articolo 3 il cui pagamento definitivo sia stato effettuato anteriormente ai ventiquattro mesi che precedono la comunicazione scritta, da parte della Commissione allo Stato membro interessato dei risultati delle verifiche.

La norma di cui al quinto comma non si applica, tuttavia, alle conseguenze finanziarie derivanti:

a)      dai casi di irregolarità di cui all’articolo 8, paragrafo 2;

b)      da aiuti nazionali o infrazioni per i quali sono state avviate le procedure di cui agli articoli 88 e 226 del trattato».

2        L’articolo 8 del regolamento n. 1258/1999 così disponeva:

«1.      Gli Stati membri adottano, in conformità delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative nazionali, le misure necessarie per:

a)      accertare se le operazioni del Fondo siano reali e regolari,

b)      prevenire e perseguire le irregolarità,

c)      recuperare le somme perse a seguito di irregolarità o di negligenze.

Gli Stati membri informano la Commissione delle misure adottate a tal fine e in particolare dello stato dei procedimenti amministrativi e giudiziari.

2.      In mancanza di recupero totale, le conseguenze finanziarie delle irregolarità o negligenze sono sopportate dalla Comunità, salvo quelle risultanti da irregolarità o negligenze imputabili alle amministrazioni o agli organismi degli Stati membri.

Le somme recuperate sono versate agli organismi pagatori riconosciuti e da questi detratte dalle spese finanziate dal Fondo. Gli interessi relativi alle somme recuperate o pagate in ritardo sono versati al Fondo.

(...)».

3        Il regolamento n. 1258/1999 è stato abrogato dal regolamento (CE) n. 1290/2005 del Consiglio, del 21 giugno 2005, relativo al finanziamento della politica agricola comune (GU 2005, L 209, pag. 1), entrato in vigore, in base al suo articolo 49, il settimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, ossia il 18 agosto 2005.

4        Tuttavia, l’articolo 47, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 1290/2005 precisava che «il regolamento (…) n. 1258/1999 resta[va] di applicazione fino al 15 ottobre 2006 per le spese sostenute dagli Stati membri e fino al 31 dicembre 2006 per quelle sostenute dalla Commissione».

5        L’articolo 31 del regolamento n. 1290/2005, intitolato «Verifica di conformità», conteneva, in sostanza, le medesime disposizioni dell’articolo 7, paragrafo 4, del regolamento n. 1258/1999.

6        L’articolo 32 del regolamento n. 1290/2005, intitolato «Disposizioni specifiche per il FEAGA», così disponeva:

«1.      Gli importi recuperati in seguito a irregolarità o negligenze, con i relativi interessi, sono versati agli organismi pagatori che li contabilizzano tra le entrate del FEAGA del mese dell’incasso effettivo.

2.      All’atto del versamento nel bilancio comunitario degli importi recuperati di cui al paragrafo 1, lo Stato membro può trattenerne il 20% a titolo di rimborso forfettario delle spese di recupero, salvo per gli importi relativi a irregolarità o negligenze imputabili alle amministrazioni o altri organismi dello stesso Stato membro.

3.      All’atto della trasmissione dei conti annuali, a norma dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera c), punto iii), gli Stati membri comunicano alla Commissione una tabella riepilogativa dei procedimenti di recupero avviati in seguito ad irregolarità, contenente una ripartizione degli importi non ancora recuperati, per procedimento amministrativo e/o giudiziario e per anno corrispondente al primo verbale, amministrativo o giudiziario, che accerta l’irregolarità.

Gli Stati membri tengono a disposizione della Commissione la situazione dettagliata dei singoli procedimenti di recupero e dei singoli importi non ancora recuperati.

4.      Dopo aver dato corso alla procedura di cui all’articolo 31, paragrafo 3, la Commissione può decidere di imputare allo Stato membro gli importi da recuperare nei seguenti casi:

a)      qualora lo Stato membro non abbia avviato tutti i procedimenti amministrativi o giudiziari previsti dal diritto nazionale e comunitario per procedere al recupero nel corso dell’anno successivo al primo verbale amministrativo o giudiziario;

b)      qualora il primo verbale amministrativo o giudiziario non sia stato stilato o lo sia stato con un ritardo tale da compromettere il recupero, oppure qualora l’irregolarità non sia stata registrata nella tabella riepilogativa, di cui al paragrafo 3, primo comma, del presente articolo, nell’anno del primo verbale amministrativo o giudiziario.

5.      Qualora il recupero non abbia avuto luogo nel termine di quattro anni dalla data del primo verbale amministrativo o giudiziario, oppure nel termine di otto anni in caso di procedimento giudiziario dinanzi ai tribunali nazionali, le conseguenze finanziarie del mancato recupero sono per il 50% a carico dello Stato membro e per il 50% a carico del bilancio comunitario.

Nella tabella riepilogativa di cui al paragrafo 3, primo comma, lo Stato membro indica separatamente gli importi per i quali il recupero non è stato realizzato nei termini previsti al primo comma del presente paragrafo.

La ripartizione dell’onere finanziario connesso al mancato recupero, a norma del primo comma, lascia impregiudicato l’obbligo per lo Stato membro interessato di dare corso ai procedimenti di recupero, in applicazione dell’articolo 9, paragrafo 1, del presente regolamento. Gli importi così recuperati sono imputati al FEAGA nella misura del 50%, previa applicazione della trattenuta di cui al paragrafo 2 del presente articolo.

Qualora, nell’ambito del procedimento di recupero, un verbale amministrativo o giudiziario avente carattere definitivo constati l’assenza di irregolarità, lo Stato membro interessato dichiara al FEAGA, come spesa, l’onere finanziario di cui si è fatto carico in applicazione del primo comma.

Tuttavia, qualora per ragioni non imputabili allo Stato membro interessato il recupero non abbia potuto aver luogo nel termine di cui al primo comma e l’importo da recuperare superi 1 milione di [euro] la Commissione può, su richiesta dello Stato membro, prorogare il termine per un periodo massimo pari al 50% del termine iniziale.

6.      In casi debitamente giustificati, gli Stati membri possono decidere di non portare avanti il procedimento di recupero. Tale decisione può essere adottata solo nei casi seguenti:

a)      se i costi già sostenuti e i costi prevedibili del recupero sono globalmente superiori all’importo da recuperare;

b)      se il recupero si riveli impossibile per insolvenza del debitore o delle persone giuridicamente responsabili dell’irregolarità, constatata e riconosciuta in virtù del diritto nazionale dello Stato membro interessato.

Lo Stato membro interessato indica separatamente, nella tabella riepilogativa di cui al paragrafo 3, primo comma, gli importi per i quali ha deciso di non portare avanti i procedimenti di recupero, giustificando la propria decisione.

7.      (...)

8.      Dopo aver dato corso alla procedura di cui all’articolo 31, paragrafo 3, la Commissione può decidere di escludere dal finanziamento comunitario gli importi posti a carico del bilancio comunitario nei seguenti casi:

a)      in applicazione dei paragrafi 5 e 6 del presente articolo, qualora constati che le irregolarità o il mancato recupero sono imputabili a irregolarità o negligenze dell’amministrazione o di un servizio od organismo di uno Stato membro;

b)      in applicazione del paragrafo 6 del presente articolo, qualora ritenga che la giustificazione addotta dallo Stato membro non è sufficiente per giustificare la decisione di porre fine al procedimento di recupero».

7        L’articolo 35 del regolamento n. 1290/2005 prevedeva che «il primo verbale amministrativo o giudiziario [era] la prima valutazione scritta stilata da un’autorità competente, amministrativa o giudiziaria, che in base a fatti concreti accert[ava] l’esistenza di un’irregolarità, ferma restando la possibilità di rivedere o revocare tale accertamento alla luce degli sviluppi del procedimento amministrativo o giudiziario».

8        L’articolo 49 del regolamento n. 1290/2005 così disponeva:

«Il presente regolamento entra in vigore il settimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.

Esso è applicabile a decorrere dal 1° gennaio 2007, ad eccezione dell’articolo 18, paragrafi 4 e 5, che si applica a decorrere dalla sua entrata in vigore, fatte salve le disposizioni dell’articolo 47.

Tuttavia, le seguenti disposizioni sono applicabili a decorrere dal 16 ottobre 2006:

–        gli articoli 30 e 31, per le spese sostenute a partire dal 16 ottobre 2006,

–        l’articolo 32, per i casi comunicati a norma dell’articolo 3 del regolamento (CEE) n. 595/91 e per i quali non si è ancora conseguito il recupero totale alla data del 16 ottobre 2006,

(...)».

9        Il regolamento n. 1290/2005 è stato abrogato, a partire dal 1° gennaio 2014, dal regolamento (UE) n. 1306/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, sul finanziamento, sulla gestione e sul monitoraggio della politica agricola comune e che abroga i regolamenti del Consiglio (CEE) n. 352/78, (CE) n. 165/94, (CE) n. 2799/98, (CE) n. 814/2000, (CE) n. 1290/2005 e (CE) n. 485/2008 (GU 2013, L 347, pag. 549). In forza dell’articolo 119, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 1306/2013, l’articolo 31 del regolamento n. 1290/2005 e le pertinenti modalità di applicazione sono tuttavia rimasti applicabili fino al 31 dicembre 2014.

10      L’articolo 52 del regolamento n. 1306/2013 prevede una procedura di verifica di conformità corrispondente, in sostanza, a quella prevista dall’articolo 31 del regolamento n. 1290/2005. In forza dell’articolo 121, paragrafo 2, lettera c), del regolamento n. 1306/2013, detto articolo 52 è applicabile dal 1º gennaio 2015.

11      L’articolo 54, paragrafo 5, lettera b), del regolamento n. 1306/2013 corrisponde, in sostanza, all’articolo 32, paragrafo 8, lettera b), del regolamento n. 1290/2005. L’articolo 54, paragrafo 5, lettera c), del primo regolamento corrisponde, in sostanza, all’articolo 32, paragrafo 8, lettera a), del secondo.

12      L’articolo 12 del regolamento delegato (UE) n. 907/2014 della Commissione, dell’11 marzo 2014, che integra il regolamento n. 1306/2013 per quanto riguarda gli organismi pagatori e altri organismi, la gestione finanziaria, la liquidazione dei conti, le cauzioni e l’uso dell’euro (GU 2014, L 255, pag. 18), intitolato «Criteri e metodologia per applicare le rettifiche nel quadro della verifica di conformità», prevede quanto segue:

«1.      Ai fini dell’adozione della decisione in virtù dell’articolo 52, paragrafo 1, del regolamento (…) n. 1306/2013 che fissa gli importi da escludere dal finanziamento unionale, la Commissione distingue tra tali importi o parti degli importi identificati come importi indebitamente spesi e quelli determinati applicando rettifiche estrapolate o forfettarie.

Per determinare gli importi che è possibile escludere dal finanziamento unionale, qualora constati che le spese non sono state sostenute conformemente al diritto dell’Unione e, per quanto riguarda il FEASR, conformemente al diritto nazionale e unionale applicabile, la Commissione utilizza le proprie risultanze e tiene conto delle informazioni trasmesse dagli Stati membri durante la procedura di verifica di conformità messa in atto a norma dell’articolo 52 del regolamento (...) n. 1306/2013.

2.      La Commissione basa l’esclusione sull’individuazione degli importi indebitamente spesi soltanto se questi possono essere identificati con uno sforzo proporzionato. Qualora la Commissione non riesca a identificare con uno sforzo proporzionato gli importi indebitamente spesi, entro i termini da essa stabiliti durante la procedura di verifica di conformità gli Stati membri possono trasmettere i dati relativi alla verifica di tali importi sulla base dell’esame di tutti i casi potenzialmente interessati dalla non conformità. Tale verifica interessa la totalità delle spese sostenute in violazione della normativa applicabile e imputate al bilancio dell’Unione. I dati forniti comprendono tutti i singoli importi che sono inammissibili a causa della non conformità constatata.

3.      Ove non sia possibile individuare gli importi indebitamente spesi a norma del paragrafo 2, la Commissione può determinare gli importi da escludere applicando rettifiche estrapolate. Per consentire alla Commissione di determinare gli importi pertinenti, entro i termini da essa stabiliti durante la procedura di verifica di conformità gli Stati membri possono presentare un calcolo dell’importo da escludere dal finanziamento unionale estrapolando, mediante strumenti statistici, i risultati dei controlli effettuati su un campione rappresentativo di tali casi. Il campione è estratto dalla popolazione per la quale è ragionevole presumere che si verifichi la non conformità constatata.

(...)

6.      Ove non siano rispettate le condizioni per determinare gli importi da escludere dal finanziamento unionale di cui ai paragrafi 2 e 3 o la natura del caso sia tale che gli importi da escludere non possano essere determinati a norma dei medesimi paragrafi, la Commissione applica le opportune rettifiche forfettarie, tenendo conto della natura e della gravità dell’infrazione e della propria stima del rischio di danno finanziario causato all’Unione.

Il livello della rettifica forfettaria è stabilito tenendo conto, in particolare, della tipologia di non conformità constatata. A tal fine le carenze dei controlli sono ripartite fra quelle relative a controlli essenziali e quelle relative a controlli complementari, laddove:

a)      i controlli essenziali sono i controlli amministrativi e in loco necessari per determinare l’ammissibilità dell’aiuto e l’applicazione pertinente delle riduzioni e delle sanzioni;

b)      i controlli complementari sono le operazioni amministrative necessarie per trattare correttamente le domande.

Se, nell’ambito della medesima procedura di verifica di conformità, sono accertate diverse tipologie di non conformità che, singolarmente, darebbero luogo a rettifiche forfettarie differenti, si applica soltanto la rettifica forfettaria più elevata.

7.      Nello stabilire il livello delle rettifiche forfettarie, la Commissione tiene specificamente conto delle seguenti circostanze, che dimostrano una maggiore gravità delle carenze e quindi un rischio più elevato di perdite per il bilancio dell’Unione:

a)      uno o più controlli essenziali non vengono effettuati o vengono effettuati in maniera tanto carente o sporadica da essere considerati inefficaci al fine di stabilire l’ammissibilità della domanda o di prevenire le irregolarità; oppure

b)      vengono individuate tre o più carenze riguardanti lo stesso sistema di controllo; oppure

c)      l’applicazione di un sistema di controllo da parte dello Stato membro è ritenuta mancante o gravemente carente e vi sono prove di irregolarità diffuse e di negligenza nella prevenzione delle pratiche irregolari o fraudolente; oppure

d)      è stata già applicata una rettifica allo Stato membro in questione per carenze analoghe nello stesso settore, tenendo comunque conto delle misure correttive o compensative già adottate dallo Stato membro.

8.      Ove uno Stato membro presenti determinati elementi oggettivi che non soddisfano le condizioni di cui ai paragrafi 2 e 3 del presente articolo, ma che dimostrano che la perdita massima per i fondi è limitata a un importo inferiore a quello che risulterebbe dall’applicazione del tasso forfettario proposto, la Commissione utilizza il tasso forfettario inferiore per decidere in merito agli importi da escludere dal finanziamento unionale a norma dell’articolo 52 del regolamento (…) n. 1306/2013.

9.      Dall’importo che la Commissione decide di escludere dal finanziamento unionale a norma dell’articolo 52 del regolamento (…) n. 1306/2013 sono detratti gli importi effettivamente recuperati presso i beneficiari e accreditati ai fondi prima della pertinente data stabilita dalla Commissione nel corso della procedura di verifica di conformità».

 Fatti

13      Il presente ricorso ha ad oggetto la domanda di annullamento parziale della decisione di esecuzione (UE) 2017/1144 della Commissione, del 26 giugno 2017, recante esclusione dal finanziamento dell’Unione europea di alcune spese sostenute dagli Stati membri nell’ambito del Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA) e del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) (GU 2017, L 165, pag. 37; in prosieguo: la «decisione impugnata»), nella parte in cui riguarda la Repubblica italiana.

14      La Repubblica italiana chiede l’annullamento della decisione impugnata nella parte in cui, con la medesima, la Commissione europea, in seguito a indagini condotte ai sensi dell’articolo 31 del regolamento n. 1290/2005 e, a decorrere dal 1º gennaio 2015, dell’articolo 52 del regolamento n. 1306/2013, applica talune rettifiche finanziarie a determinate spese da essa dichiarate per gli esercizi finanziari dal 2007 al 2013.

15      Pertanto, in primo luogo, la Repubblica italiana contesta, almeno in parte (v. successivo punto 45), le rettifiche finanziarie per un importo complessivo di EUR 88 972 401,64, adottate dalla Commissione in seguito alle indagini protocollate come IR/2010/002/IT, IR/2011/010/IT, IR/2011/013/IT, IR/2012/013/IT e IR/2013/009/IT, effettuate presso gli organismi pagatori italiani Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA) e Servizio autonomo interventi nel settore agricolo (SAISA). Secondo la relazione di sintesi del 16 maggio 2017, relativa ai risultati dei controlli da essa effettuati nell’ambito della procedura di verifica di conformità (in prosieguo: la «relazione di sintesi»), la Commissione si è sostanzialmente basata sulle disposizioni di cui all’articolo 32, paragrafi 4 e 8, e all’articolo 35 del regolamento n. 1290/2005, nonché all’articolo 54, paragrafo 5, lettere b) e c), del regolamento n. 1306/2013 per applicare tali rettifiche finanziarie.

16      Dalla tabella allegata alla decisione impugnata e dalla relazione di sintesi risulta che tali rettifiche finanziarie si presentano, e sono giustificate, come segue:

AGEA

88 429 673,60 euro

Rettifiche finanziarie forfettarie

37 925 444,68 euro

IR/2010/002/IT, IR/2011/010/IT, IR/2011/013/IT, IR/2012/013/IT e IR/2013/009/IT – Casi rettificati o dichiarati irrecuperabili tra l’esercizio finanziario 2010 e l’esercizio finanziario 2013: rettifica in base a negligenze nei procedimenti di recupero accertate nella gestione dei singoli fascicoli

37 925 444,68 euro

Rettifiche finanziarie una tantum

50 504 228,92 euro

IR/2010/002/IT – Casi 3099, 3133, 8002 e 8522: ritardi nei procedimenti di recupero e negligenze imputabili allo Stato membro – Casi 11353, 11354, 11355 e 14982: negligenze nei procedimenti di recupero imputabili allo Stato membro

14 163 090,98 euro

IR/2010/002/IT e IR/2011/013/IT – Caso 3690: ritardi nei procedimenti di recupero e negligenze imputabili allo Stato membro

1 378 239,16 euro

IR/2010/002/IT e IR/2013/009/IT – Casi 9117, 8433, 8434 e 8435: ritardi nei procedimenti di recupero

8 907 121,28 euro

IR/2011/010/IT – Caso 9298: ritardi nei procedimenti di recupero e negligenze imputabili allo Stato membro

152 704,50 euro

IR/2011/010/IT e IR/2013/009/IT – Casi 3108 e 3109: ritardi nei procedimenti di recupero

1 541 365,89 euro

IR/2012/013/IT – Caso OLAF OF/2007/0889: irregolarità dovuta alla negligenza delle autorità dello Stato membro

13 189 041,35 euro

IR/2013/009/IT – Casi 8194 e 8558: negligenze imputabili allo Stato membro nei procedimenti di recupero – Caso 8802: ritardi nei procedimenti di recupero – Caso 9172: ritardi nei procedimenti di recupero e negligenze imputabili allo Stato membro – Caso OLAF OF/2010/0942: negligenze nei procedimenti di recupero imputabili allo Stato membro – Casi 8155, 8187, 8316 e 8859: ritardi nei procedimenti di recupero e negligenze imputabili allo Stato membro

11 172 665,76 euro

SAISA – IR/2010/002/IT

542 728,04 euro

Caso 2008000093: ritardi nei procedimenti di recupero e negligenze imputabili allo Stato membro

541 621,44 euro

Classificazione errata di caso gravato da procedimento giudiziario in corso, per cui all’importo non è stata applicata la regola 50/50

1 106,60 euro

Totale complessivo

88 972 401,64 euro


17      Le rettifiche finanziarie di cui al precedente punto 16 sono state adottate dalla Commissione a seguito dell’apertura, nel settembre del 2010, dell’indagine protocollata come IR/2010/002/IT, alla quale sono state riunite, nell’aprile del 2015, le indagini protocollate come IR/2011/010/IT, IR/2011/013/IT, IR/2012/013/IT e IR/2013/009/IT. Con lettere del 25 febbraio e del 18 aprile 2011, del 23 gennaio e del 19 novembre 2012 e del 20 dicembre 2013, la Commissione ha comunicato alle autorità italiane i suoi accertamenti nelle indagini protocollate, rispettivamente, come IR/2011/010/IT, IR/2010/002/IT, IR/2011/013/IT, IR/2012/013/IT e IR/2013/009/IT. Con lettere del 22 aprile e del 20 giugno 2011, del 9 febbraio 2012, del 21 gennaio 2013 e del 6 marzo 2014, tali autorità hanno presentato le loro osservazioni su tali constatazioni nelle indagini protocollate, rispettivamente, come IR/2011/010/IT, IR/2010/002/IT, IR/2011/013/IT, IR/2012/013/IT e IR/2013/009/IT. Il 27 maggio 2015 si è tenuta una riunione bilaterale tra le stesse parti, a seguito di un invito inviato il 22 aprile 2015. Il 27 luglio 2015, la Commissione ha inviato il verbale di tale riunione alle autorità italiane, le quali hanno risposto con lettera del 29 settembre 2015. Il 19 gennaio 2016 la Commissione ha inviato una lettera di conciliazione alle autorità italiane, nella quale proponeva di escludere dal finanziamento dell’Unione europea un importo complessivo netto di EUR 98 035 897,86. Poiché le parti non hanno raggiunto un accordo, è stato adito l’organo di conciliazione, il quale ha emesso la sua relazione finale il 28 luglio 2016. A seguito di tale procedimento, il 16 dicembre 2016, la Commissione ha comunicato alle autorità italiane la sua posizione definitiva, in cui ha proposto di escludere dal finanziamento dell’Unione la somma complessiva di EUR 88 972 401,64. Tale posizione è stata confermata nella decisione impugnata.

18      In secondo luogo, la Repubblica italiana contesta rettifiche finanziarie forfettarie per un importo complessivo di EUR 158 738 428,33, adottate dalla Commissione a seguito di indagini effettuate presso l’AGEA e intitolate «CEB/2014/113/IT, IR/2014/002/IT – Seguito dato alla liquidazione dei conti OP AGEA». Secondo la relazione di sintesi della Commissione, quest’ultima si è basata, in sostanza, sulle disposizioni dell’articolo 12 del regolamento n. 907/2014 nonché sulla metodologia esposta nella comunicazione C (2015) 3675 final, recante orientamenti relativi al calcolo dell’importo delle rettifiche finanziarie nel quadro delle procedure di verifica di conformità e di liquidazione dei conti, per applicare tali rettifiche finanziarie.

19      Dalla tabella allegata alla decisione impugnata e dalla relazione di sintesi risulta che tali rettifiche finanziarie forfettarie si presentano, e sono giustificate, come segue:

Esercizio finanziario 2007

4 508 415,01 euro

Debiti dell’Unione europea registrati come debiti nazionali

17 196,50 euro

Negligenza nella gestione dei recuperi e di altri crediti

4 491 218,51 euro

Esercizio finanziario 2008

95 689 136,79 euro

Debiti dell’Unione europea registrati come debiti nazionali

364 988,16 euro

Negligenza nella gestione dei recuperi e di altri crediti

95 324 148,63 euro

Esercizio finanziario 2009

8 266 540,53 euro

Debiti dell’Unione europea registrati come debiti nazionali

31 531,16 euro

Negligenza nella gestione dei recuperi e di altri crediti

8 235 009,37 euro

Esercizio finanziario 2010

26 155 456,81 euro

Debiti dell’Unione europea registrati come debiti nazionali

99 765,05 euro

Negligenza nella gestione dei recuperi e di altri crediti

26 055 691,76 euro

Esercizio finanziario 2011

24 118 879,19 euro

Debiti dell’Unione europea registrati come debiti nazionali

91 996,91 euro

Negligenza nella gestione dei recuperi e di altri crediti

24 026 882,28 euro

Totale complessivo

158 738 428,33 euro


20      Le inchieste di cui trattasi sono iniziate nel 2014. Con lettera del 25 marzo 2015 la Commissione ha comunicato alle autorità italiane i propri accertamenti. Con lettera del 26 maggio 2015, tali autorità hanno presentato le loro osservazioni su tali accertamenti. Il 7 luglio 2015 si è tenuta tra le stesse parti una riunione bilaterale. Il 27 agosto 2015, la Commissione ha inviato il verbale di tale riunione alle autorità italiane, le quali hanno risposto con lettera del 9 novembre 2015. Il 24 febbraio 2016, la Commissione ha inviato alle autorità italiane una lettera di conciliazione. Poiché le parti non hanno raggiunto un accordo, è stato adito l’organo di conciliazione, il quale ha emesso la sua relazione finale il 29 settembre 2016. A seguito di tale procedimento, il 7 marzo 2017, la Commissione ha comunicato alle autorità italiane la sua posizione definitiva, in cui ha proposto di escludere dal finanziamento dell’Unione la somma complessiva di EUR 158 738 428,33. Tale posizione è stata confermata nella decisione impugnata.

 Procedimento e conclusioni delle parti

21      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 5 settembre 2017, la Repubblica italiana ha proposto il presente ricorso.

22      Il 21 gennaio 2019, su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Ottava Sezione), a titolo di misura di organizzazione del procedimento di cui all’articolo 89 del suo regolamento di procedura, ha invitato la Commissione a rispondere a taluni quesiti, cosa che essa ha fatto nel termine impartito.

23      Il Tribunale (Ottava Sezione) ha deciso, in applicazione dell’articolo 106, paragrafo 3, del regolamento di procedura, di statuire senza aprire la fase orale del procedimento.

24      La Repubblica italiana chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata nella parte che la riguarda;

–        condannare la Commissione alle spese.

25      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la Repubblica italiana alle spese.

 In diritto

 Osservazioni preliminari

26      A sostegno del ricorso, la Repubblica italiana deduce un motivo unico, vertente sulla violazione dell’articolo 7, paragrafo 4, del regolamento n. 1258/1999 e dell’articolo 31 del regolamento n. 1290/2005. A sostegno di tale motivo unico, essa deduce tuttavia anche vari argomenti vertenti sulla violazione di altre norme o principi del diritto dell’Unione.

27      Per quanto riguarda l’asserita violazione dell’articolo 7, paragrafo 4, del regolamento n. 1258/1999, occorre ricordare che tale disposizione è stata ripresa in termini analoghi dall’articolo 31 del regolamento n. 1290/2005 (v. punti 3 e 4 supra) e che quest’ultima disposizione è stata a sua volta sostituita dall’articolo 52 del regolamento n. 1306/2013 (v. punti 9 e 10 supra).

28      Peraltro, si deve constatare che, come ha rilevato giustamente la Commissione, la presentazione del ricorso, nonché l’esposizione dei fatti e degli argomenti, difettano di chiarezza e precisione, impedendo la comprensione di gran parte degli argomenti della Repubblica italiana. Inoltre, numerosi argomenti fatti valere da quest’ultima non sono suffragati da elementi di fatto o di diritto, il che non consente al Tribunale di valutarne la fondatezza.

29      A tale riguardo, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 21, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, applicabile al procedimento dinanzi al Tribunale conformemente all’articolo 53, primo comma, dello stesso Statuto, e dell’articolo 76, lettera d), del regolamento di procedura, il ricorso deve contenere, in particolare, l’oggetto della controversia e un’esposizione sommaria dei motivi dedotti. Dalla giurisprudenza risulta che tale esposizione deve essere sufficientemente chiara e precisa per consentire al convenuto di preparare la sua difesa e al Tribunale di esercitare il suo controllo. Da ciò discende che gli elementi essenziali di fatto e di diritto sui quali un ricorso si basa devono emergere in modo coerente e comprensibile dal testo del ricorso stesso [sentenze del 12 maggio 2016, Italia/Commissione, T‑384/14, EU:T:2016:298, punto 38 (non pubblicato), e del 15 giugno 2017, Bay/Parlamento, T‑302/16, non pubblicata, EU:T:2017:390, punto 25]. Secondo una costante giurisprudenza, qualsiasi motivo che non sia sufficientemente articolato nell’atto introduttivo del giudizio deve essere considerato irricevibile. Requisiti analoghi valgono per le censure formulate a sostegno di un motivo. Questo motivo di irricevibilità di ordine pubblico deve essere rilevato d’ufficio dal giudice dell’Unione [v. sentenza del 12 maggio 2016, Italia/Commissione, T‑384/14, EU:T:2016:298, punto 38 (non pubblicato) e giurisprudenza ivi citata].

30      Occorre inoltre ricordare che, sebbene il testo del ricorso possa essere suffragato e integrato, in alcuni punti specifici, mediante rinvii ad estratti di documentazione allegati, un rinvio complessivo ad altri scritti, benché allegati all’atto introduttivo, non può supplire all’assenza degli elementi essenziali nel ricorso. Non spetta al Tribunale ricercare ed individuare, negli allegati, i motivi ed argomenti sui quali, a suo parere, il ricorso dovrebbe essere fondato, atteso che gli allegati assolvono ad una funzione meramente probatoria e strumentale (v. ordinanza del 19 maggio 2008, TF1/Commissione, T‑144/04, EU:T:2008:155, punto 29 e giurisprudenza ivi citata; sentenza del 25 ottobre 2012, Arbos/Commissione, T‑161/06, non pubblicata, EU:T:2012:573, punto 23).

31      Di conseguenza, nelle considerazioni che seguono, le censure e gli argomenti dedotti dalla Repubblica italiana saranno esaminati solo nella misura in cui siano sufficientemente sviluppati nel corpo delle memorie di quest’ultima. In caso contrario, essi saranno respinti in quanto irricevibili.

 Sulle rettifiche finanziarie determinate a seguito delle indagini protocollate come IR/2010/002/IT, IR/2011/010/IT, IR/2011/013/IT, IR/2012/013/IT e IR/2013/0009/IT

 Sulle indagini relative all’AGEA

32      La Repubblica italiana rimette in discussione le rettifiche finanziarie forfettarie determinate a seguito delle indagini relative all’AGEA protocollate come IR/2010/002/IT, IR/2011/010/IT, IR/2011/013/IT, IR/2012/013/IT e IR/2013/009/IT.

33      A tale riguardo, in primo luogo, la Repubblica italiana rileva che, nella sua lettera di conciliazione del 19 gennaio 2016, la Commissione aveva proposto di escludere dal finanziamento dell’Unione un importo complessivo di EUR 98 035 897,86 – ridotto successivamente ad un importo complessivo di EUR 88 972 401,64 – con la motivazione che l’attuazione, da parte delle autorità italiane, del sistema di gestione delle irregolarità e dei debiti non era conforme al diritto dell’Unione.

34      La Repubblica italiana contesta tale conclusione facendo valere che il sistema istituito dall’articolo 7, paragrafo 4, del regolamento n. 1258/1999 e successivamente dall’articolo 31 del regolamento n. 1290/2005, come esplicitato nel documento VI/5330/97, intitolato «Orientamenti per il calcolo delle conseguenze finanziarie nell’ambito della preparazione della decisione sulla liquidazione dei conti della sezione garanzia del FEOAG», adottato dalla Commissione il 23 dicembre 1997 (in prosieguo: gli «orientamenti»), ha il solo scopo di porre a carico del bilancio dello Stato membro interessato le conseguenze finanziarie delle irregolarità ad esso imputabili.

35      Dalla sezione 3 degli orientamenti risulterebbe che, nei casi specifici di frodi o irregolarità, sono gli importi indebitamente versati ad essere posti a carico del bilancio dello Stato membro interessato. Per contro, in caso di carenze nel sistema di controllo o di gestione di uno Stato membro e quando l’importo effettivo delle perdite finanziarie subite dal bilancio dell’Unione non può essere determinato oggettivamente, la Commissione applicherebbe una rettifica forfettaria pari a una determinata percentuale delle spese dichiarate, stabilita in funzione dell’entità del rischio al quale è esposto il fondo interessato a causa di dette carenze. Tale rettifica forfettaria dovrebbe essere proporzionale a tale rischio e non potrebbe costituire una sanzione nei confronti dello Stato membro interessato.

36      La Repubblica italiana sostiene che l’applicazione di rettifiche forfettarie non è giustificata quando si accerti che il rischio non si è concretizzato e che, pertanto, il fondo in questione non ha subito alcun danno. Ciò si verificherebbe nel caso di specie, «in virtù del fatto che i controlli di cui la Commissione contesta l’omissione erano surrogati da procedure che comunque escludevano il prodursi di un danno, che in effetti non si è prodotto».

37      In secondo luogo, la Repubblica italiana sostiene che la Commissione ha adottato un «comportamento amministrativo» negligente «in termini di tempestività dell’azione amministrativa». Poiché la Commissione ha interrotto il procedimento per poi riprenderlo improvvisamente dopo un periodo di quiescenza di diversi anni, la Repubblica italiana non sarebbe stata in grado di esercitare il proprio diritto al contraddittorio. A sostegno di tale censura, quest’ultima sostiene, più in particolare, che, nell’indagine protocollata come IR/2010/002/IT, sono trascorsi circa quattro anni tra il momento in cui le autorità italiane hanno risposto alla lettera con cui la Commissione ha comunicato loro le sue constatazioni, il 20 giugno 2011, e l’invito alla riunione bilaterale, il 22 aprile 2015.

38      In terzo luogo, la Repubblica italiana contesta nel merito le rettifiche forfettarie di cui trattasi.

39      A tale riguardo, anzitutto, la Repubblica italiana sostiene che le rettifiche forfettarie non sono giustificate dal momento che «è già stata applicata una rettifica puntuale sui casi di presunta negligenza».

40      La Repubblica italiana sostiene poi che l’importo delle rettifiche forfettarie non è stato correttamente calcolato. Dopo aver rilevato che l’allegato 2 degli orientamenti enuncia in particolare che «qualora si traggano conseguenze dalla verifica della spesa relativa ad un numero elevato di pratiche, ogniqualvolta è possibile, l’importo [dell’Unione] per il quale viene rifiutato il finanziamento è calcolato in base all’estrapolazione dei dati emersi dall’esame di un campione rappresentativo di pratiche», essa sostiene che «[t]ale rappresentatività (...) non sembra essere assolta, in ogni caso da 13 casi su una popolazione di 2 326».

41      La Repubblica italiana aggiunge che «i casi di negligenza oggetto di dichiarazione di irrecuperabilità o rettificati a zero dell’Organismo pagatore sono inferiori a quelli riscontrati (12 su 13) dai Servizi comunitari, pertanto non si concorda con l’elevata frequenza che giustificherebbe una rettifica finanziaria forfettaria, oltre quella puntuale».

42      Infine, la Repubblica italiana sostiene che il tasso forfettario applicato nel caso di specie, vale a dire il 50%, è eccessivo e che esso avrebbe dovuto essere fissato al 25%. Inoltre, la decisione di applicare tale tasso non sarebbe adeguatamente motivata.

43      La Commissione contesta gli argomenti della Repubblica italiana.

44      In via preliminare, occorre formulare due osservazioni.

45      Da un lato, occorre constatare che, come giustamente rilevato dalla Commissione, la Repubblica italiana deduce argomenti solo nei confronti delle rettifiche finanziarie forfettarie imposte all’AGEA per un importo pari a EUR 37 925 444,68. Le rettifiche finanziarie puntuali imposte a tale organismo per un importo pari a EUR 50 504 228,92 devono quindi essere considerate non contestate nell’ambito del presente ricorso.

46      Dall’altro lato, occorre rilevare che il documento che la Repubblica italiana ha prodotto all’allegato A 3 al ricorso, presentandolo come il testo degli orientamenti, è in realtà un documento diverso, irrilevante ai fini della presente controversia, intitolato «Guidelines for determining financial corrections to be made to expenditure financed by the Union under shared management, for non-compliance with the rules on public procurement» (Orientamenti per determinare le rettifiche finanziarie da applicare alle spese finanziate dall’Unione nell’ambito della gestione condivisa, per inosservanza delle norme in materia di appalti pubblici).

47      In primo luogo, per quanto riguarda l’argomentazione della Repubblica italiana riportata ai precedenti punti da 33 a 36, essa deve essere intesa nel senso che mira a sostenere che le rettifiche finanziarie forfettarie di cui trattasi rappresentano una sanzione, e sono quindi ingiustificate dal momento che non si è concretizzato il rischio di dover sopportare spese indebite al quale il fondo in questione sarebbe stato esposto nel caso di specie e che, pertanto, quest’ultimo non ha subito alcun danno.

48      Tale argomentazione non può essere accolta.

49      A tal riguardo, è giocoforza constatare che detta argomentazione è imprecisa, si basa su semplici supposizioni e speculazioni e non è corroborata da alcun elemento di prova. Ciò vale, in particolare, per l’affermazione della Repubblica italiana secondo la quale «i controlli di cui la Commissione contesta l’omissione erano surrogati da procedure che comunque escludevano il prodursi di un danno, che in effetti non si è prodotto». Infatti, da un lato, la Repubblica italiana non individua gli inadempimenti constatati dalla Commissione di cui essa rimette in discussione la fondatezza, limitandosi a riprodurre il titolo di alcuni casi menzionati nella lettera di conciliazione della Commissione del 19 gennaio 2016. Dall’altro, essa non corrobora in alcun modo la sua affermazione secondo la quale le autorità italiane avrebbero avviato «procedure» che avrebbero consentito di porre rimedio a tali inadempimenti, limitandosi a formulare alcune indicazioni vaghe e confuse al riguardo.

50      Nulla consente quindi di ritenere, per quanto riguarda le rettifiche finanziarie forfettarie in questione, che la Commissione non abbia applicato correttamente le pertinenti disposizioni del diritto dell’Unione e gli orientamenti.

51      Anche supponendo che, più in generale, la Repubblica italiana contesti altresì, con il suo argomento, la possibilità per la Commissione di ricorrere ad una rettifica finanziaria forfettaria, occorre aggiungere che una siffatta possibilità deriva dall’ampio potere discrezionale attribuito alla Commissione in forza del combinato disposto dei paragrafi 1 e 2 dell’articolo 31 del regolamento n. 1290/2005. Questi ultimi riconoscono alla Commissione la facoltà di decidere gli importi da escludere dal finanziamento dell’Unione qualora constati che alcune spese, di cui all’articolo 3, paragrafo 1, e all’articolo 4, non sono state eseguite in conformità alle norme dell’Unione e la autorizzano a valutare gli importi da rifiutare alla luce, in particolare, della gravità dell’inosservanza constatata, tenendo conto a tal fine del tipo e della gravità dell’inosservanza, nonché del danno finanziario causato all’Unione (v. sentenza del 25 ottobre 2017, Grecia/Commissione, T‑26/16, EU:T:2017:752, punto 27 e giurisprudenza ivi citata, confermata in seguito a impugnazione con sentenza del 31 gennaio 2019, Grecia/Commissione, C‑6/18 P, non pubblicata, EU:C:2019:83).

52      Occorre altresì ricordare che il procedimento di rettifica forfettaria e i criteri di cui agli orientamenti sono stati riconosciuti conformi al diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenze del 9 settembre 2004, Grecia/Commissione, C‑332/01, EU:C:2004:496, punto 70; del 7 ottobre 2004, Spagna/Commissione, C‑153/01, EU:C:2004:589, punto 73, e del 17 maggio 2013, Grecia/Commissione, T‑294/11, non pubblicata, EU:T:2013:261, punto 155), poiché una rettifica disposta dalla Commissione conformemente agli orientamenti tende a evitare l’imputazione a carico del Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA) e del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) di importi che non siano serviti al finanziamento di un obiettivo perseguito dalla normativa dell’Unione di cui trattasi e non costituisce una sanzione (sentenze del 31 marzo 2011, Grecia/Commissione, T‑214/07, non pubblicata, EU:T:2011:130, punto 136, e del 17 maggio 2013, Grecia/Commissione, T‑294/11, non pubblicata, EU:T:2013:261, punto 175). Secondo la giurisprudenza, i tassi forfettari fissati negli orientamenti consentono, al contempo, il rispetto del diritto dell’Unione e la buona gestione delle risorse dell’Unione nonché di evitare che la Commissione eserciti il proprio potere discrezionale imponendo agli Stati membri rettifiche eccessive e sproporzionate (sentenze del 10 settembre 2008, Italia/Commissione, T‑181/06, non pubblicata, EU:T:2008:331, punto 234, e del 17 maggio 2013, Grecia/Commissione, T‑294/11, non pubblicata, EU:T:2013:261, punto 175).

53      Infine, occorre rilevare che è stato dichiarato che l’articolo 31, paragrafo 2, del regolamento n. 1290/2005 poteva fornire una base giuridica che autorizza la Commissione a ricorrere a una rettifica finanziaria forfettaria in caso di constatazione di irregolarità ai sensi degli articoli 32 e 33 di tale regolamento (v., in tal senso, sentenza del 25 ottobre 2017, Grecia/Commissione, T‑26/16, EU:T:2017:752, punti da 29 a 42, confermata in seguito a impugnazione con sentenza del 31 gennaio 2019, Grecia/Commissione, C‑6/18 P, non pubblicata, EU:C:2019:83). È stato altresì dichiarato che il medesimo ragionamento poteva essere applicato all’articolo 52 del regolamento n. 1306/2013, tanto più che l’articolo 52, paragrafo 2, di tale regolamento prevede espressamente la possibilità di ricorrere a rettifiche finanziarie forfettarie «quando, date le caratteristiche del caso o perché lo Stato membro non ha fornito alla Commissione le informazioni necessarie, non sia possibile mediante uno sforzo proporzionato identificare con maggiore precisione il danno finanziario causato all’Unione» (sentenza del 25 ottobre 2017, Grecia/Commissione, T‑26/16, EU:T:2017:752, punto 42, confermata in seguito a impugnazione con sentenza del 31 gennaio 2019, Grecia/Commissione, C‑6/18 P, non pubblicata, EU:C:2019:83).

54      In secondo luogo, per quanto riguarda la censura della Repubblica italiana vertente sul fatto che la Commissione non avrebbe rispettato un termine ragionevole nel caso di specie, in particolare lasciando trascorrere, nell’indagine protocollata come IR/2010/002/IT, quattro anni tra la risposta delle autorità italiane alla sua lettera di accertamenti e il suo invito alla riunione bilaterale, essa non può essere accolta.

55      A tale riguardo, occorre rilevare che, come giustamente sostenuto dalla Commissione, nessuna disposizione del diritto dell’Unione fissa il termine massimo che può, nell’ambito di una procedura di verifica di conformità, separare l’avvio dell’indagine dalla convocazione alla riunione bilaterale. Più in generale, la normativa dell’Unione applicabile nel caso di specie non prevedeva un termine entro il quale la Commissione dovesse adottare una decisione a conclusione della procedura di liquidazione dei conti.

56      Occorre tuttavia ricordare che, in forza di un principio generale del diritto dell’Unione, la Commissione è tenuta a rispettare un termine ragionevole nell’ambito dei suoi procedimenti amministrativi (v., in tal senso, sentenze del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582, punto 179, e del 30 settembre 2003, Aristoteleio Panepistimio Thessalonikis/Commissione, T‑196/01, EU:T:2003:249, punto 229).

57      L’obbligo di osservare un termine ragionevole nello svolgimento dei procedimenti amministrativi costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, il cui rispetto è assicurato dal giudice dell’Unione e che è ripreso come elemento costitutivo del diritto ad una buona amministrazione dall’articolo 41, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (sentenze dell’11 aprile 2006, Angeletti/Commissione, T‑394/03, EU:T:2006:111, punto 162, e del 7 giugno 2013, Italia/Commissione, T‑267/07, EU:T:2013:305, punto 61).

58      Secondo costante giurisprudenza, la durata ragionevole del procedimento amministrativo si valuta sulla scorta delle circostanze specifiche di ciascuna pratica e, in particolare, del contesto della stessa, delle varie fasi procedurali espletate, della complessità della pratica, nonché degli interessi delle parti nella contesa (sentenze del 16 settembre 1999, Partex/Commissione, T‑182/96, EU:T:1999:171, punto 177, e del 30 settembre 2003, Aristoteleio Panepistimio Thessalonikis/Commissione, T‑196/01, EU:T:2003:249, punto 230).

59      Nel caso di specie è giocoforza constatare che, come peraltro riconosciuto dalla stessa Commissione, in particolare nella relazione di sintesi, la procedura di verifica di conformità relativa alle indagini in questione è stata relativamente lunga. Così, per quanto riguarda le indagini protocollate come IR/2010/002/IT e IR/2011/010/IT, la Commissione ha effettuato le indagini in loco durante l’ultimo trimestre del 2010 e ha inviato la sua lettera di conciliazione il 18 aprile 2011, nel primo caso, e il 25 febbraio 2011, nel secondo, ma ha inviato la sua convocazione alla riunione bilaterale solo il 22 aprile 2015, prima di adottare la decisione impugnata il 26 giugno 2017.

60      Taluni elementi inducono tuttavia a relativizzare tale constatazione. Si deve infatti tener conto del fatto che le rettifiche finanziarie forfettarie in questione sono state adottate al termine di cinque indagini successive, condotte in parallelo e relative a casi complessi. Si deve parimenti rilevare che, come risulta dal fascicolo, le autorità italiane hanno esse stesse contribuito al ritardo lamentato dalla Repubblica italiana e non hanno cooperato alle indagini pienamente o con tutta la diligenza richiesta. Ad esempio, in taluni casi rientranti nell’indagine protocollata come IR/2010/002/IT, la Commissione aveva chiesto informazioni supplementari alle autorità italiane nell’aprile del 2011. Nel giugno del 2011, queste ultime hanno prodotto una breve risposta, limitandosi a formulare alcune dichiarazioni non suffragate da alcun documento. Solo nel maggio del 2015 esse hanno infine fornito alcuni documenti alla Commissione, i quali sono stati tuttavia ritenuti irrilevanti da quest’ultima.

61      In ogni caso, il superamento di un termine ragionevole, anche ammesso che sia dimostrato, non giustificherebbe necessariamente l’annullamento della decisione impugnata. Durante il procedimento contraddittorio, infatti, lo Stato membro deve disporre di tutte le garanzie richieste per esporre le proprie ragioni. Il superamento del termine ragionevole può costituire un motivo di annullamento di una decisione di rettifica finanziaria unicamente nell’ipotesi in cui sia stato dimostrato che le menzionate garanzie sono state violate. Al di fuori di tale specifica ipotesi, l’inosservanza dell’obbligo di adottare una decisione entro un termine ragionevole non incide sulla validità del procedimento contraddittorio (v. sentenza dell’11 novembre 2015, Grecia/Commissione, T‑550/13, non pubblicata, EU:T:2015:835, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).

62      Nel caso di specie, la Repubblica italiana sostiene che, a causa del superamento del termine ragionevole, sono stati pregiudicati i suoi diritti procedurali costituiti dal diritto di essere ascoltata e dal principio del contraddittorio. A sostegno di tale affermazione, la Repubblica italiana si limita ad invocare la brevità del termine trascorso tra la convocazione alla riunione bilaterale, il 22 aprile 2015, e lo svolgimento di tale riunione, il 27 maggio 2015, ossia tre settimane. A tale riguardo, occorre rilevare che la Repubblica italiana non rimette in discussione l’affermazione della Commissione secondo la quale la data del 27 maggio 2015 era stata suggerita da quest’ultima sin dal marzo del 2015 ed era stata approvata dalle autorità italiane. Quanto al resto, è sufficiente constatare che la Repubblica italiana non è riuscita a suffragare con elementi concreti la propria censura relativa alla violazione dei suoi diritti procedurali.

63      In terzo luogo, per quanto riguarda gli argomenti della Repubblica italiana menzionati ai precedenti punti da 38 a 43, con i quali quest’ultima contesta nel merito le rettifiche forfettarie in questione, anch’essi devono essere respinti.

64      Infatti, occorre anzitutto rilevare che l’affermazione della Repubblica italiana secondo la quale «è già stata applicata una rettifica puntuale sui casi di presunta negligenza» è priva di qualsiasi precisione. In particolare, quest’ultima non identifica né tale rettifica puntuale né tali casi di negligenza. In ogni caso, come ha correttamente sottolineato la Commissione nel controricorso, dalla relazione di sintesi emerge che, per quanto riguarda i singoli casi oggetto delle indagini in questione, la Commissione ha tenuto conto, nel computo finale, delle rettifiche già effettuate nell’ambito di precedenti indagini.

65      Successivamente, si deve necessariamente constatare che è parimenti priva di qualsiasi precisione l’affermazione della Repubblica italiana secondo la quale l’importo delle rettifiche forfettarie non è stato correttamente calcolato in quanto l’estrapolazione effettuata non si fonda su un campione rappresentativo di pratiche. Inoltre, con tale affermazione, la Repubblica italiana sembra riferirsi ad un metodo di calcolo che non è stato utilizzato nel caso di specie, vale a dire il metodo di estrapolazione, in quanto le rettifiche controverse sono rettifiche forfettarie, e non rettifiche estrapolate.

66      Peraltro, per quanto riguarda l’affermazione della Repubblica italiana riportata al precedente punto 41, essa è formulata in modo vago e impreciso, cosicché il Tribunale non può essere tenuto a rispondervi. Infatti, la Repubblica italiana non ha corredato la suddetta affermazione di alcuno sviluppo specifico, omettendo addirittura di identificare i casi di negligenza da essa invocati. Ebbene, come è stato constatato al precedente punto 30, risulta da costante giurisprudenza che non spetta al Tribunale ricercare, di propria iniziativa, negli allegati gli elementi di fatto pertinenti.

67      Infine, si devono respingere in quanto infondate le affermazioni della Repubblica italiana secondo le quali, da un lato, il tasso di rettifica forfettaria applicato nel caso di specie, ossia il 50%, avrebbe dovuto essere fissato al 25% e, dall’altro, la decisione di applicare tale tasso non sarebbe adeguatamente motivata. I motivi per i quali la Commissione ha ritenuto appropriato applicare un tasso del 50% risultano, infatti, in misura giuridicamente adeguata dai passaggi della relazione di sintesi ai quali essa rinvia nelle sue memorie. Viene in particolare menzionato il fatto che il sistema di controllo e di gestione attuato dalle autorità italiane presentava carenze gravi e sistematiche, le quali sono peraltro chiaramente individuate nella relazione di sintesi, il che ha esposto il bilancio dell’Unione a un rischio di perdite elevate. Tenuto conto di tali elementi, della gravità della situazione, dell’importanza degli importi in gioco e dell’elevato numero di fascicoli interessati, il tasso di rettifica forfettaria del 50% applicato dalla Commissione non può essere ritenuto eccessivo.

68      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, si deve confermare la legittimità e la fondatezza delle rettifiche finanziarie determinate dalla Commissione a seguito alle indagini relative all’AGEA protocollate come IR/2010/002/IT, IR/2011/010/IT, IR/2011/013/IT, IR/2012/013/IT e IR/2013/009/IT.

 Sulle indagini relative al SAISA

69      L’argomentazione della Repubblica italiana relativa alle rettifiche finanziarie stabilite dalla Commissione in seguito all’indagine relativa al SAISA protocollata come IR/2010/002/IT riguarda esclusivamente il caso 2008000093, che coinvolge la società italiana Conserviera SpA., in cui la Commissione, sulla base dell’articolo 32, paragrafo 4, lettere a) e b), del regolamento n. 1290/2005, ha contestato a tale organismo pagatore alcuni ritardi nel procedimento di recupero di somme non dovute e altre negligenze e ha applicato una rettifica finanziaria dell’importo di EUR 541 621,44. La rettifica finanziaria di importo pari a EUR 1 106,60, parimenti applicata a seguito di tale indagine, deve quindi essere considerata non contestata nell’ambito del presente ricorso.

70      In tale contesto, in primo luogo, la Repubblica italiana sostiene che il SAISA ha adottato tutte le misure necessarie per procedere, con diligenza, al recupero delle somme dovute «in ragione dell’acclarata irregolarità». Più in particolare, essa sostiene di aver rispettato i termini previsti per l’avvio delle azioni di recupero dalle disposizioni applicabili all’epoca dei fatti, nel caso di specie, a suo avviso, talune indicazioni del gruppo di lavoro «Recupero» (task force «Recupero»), composto da funzionari dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) e dalla direzione generale «Agricoltura», che prevedono che gli Stati membri agiscano con la diligenza necessaria per recuperare le somme indebitamente pagate a seguito di irregolarità quando avviano il procedimento di recupero, entro un termine di quattro anni a decorrere dalla prima indicazione dell’esistenza di un’irregolarità o nel termine di un anno a decorrere dalla data di conoscenza di tutti gli elementi pertinenti all’irregolarità.

71      La Repubblica italiana precisa che, nel caso di specie, il primo verbale di constatazione dell’irregolarità era stato elevato il 19 aprile 2005 dall’Agenzia delle dogane (Italia) e che le autorità italiane erano venute a conoscenza di tutti gli elementi pertinenti all’irregolarità il 16 novembre 2007, data in cui il Tribunale di Napoli (Italia) ha emesso la sua decisione nel procedimento penale avviato nei confronti dei rappresentanti legali della Conserviera. L’ingiunzione di pagamento relativa alle somme indebitamente percepite da tale società nel corso del 1998, che era stata inviata il 14 ottobre 2008, sarebbe di conseguenza intervenuta entro i termini previsti dalle indicazioni del gruppo di lavoro «Recupero».

72      I seguenti elementi possono dedursi dalla presentazione confusa dei fatti operata dalla Repubblica italiana nelle sue memorie:

–        a seguito di controlli relativi a un campione del 20% di talune merci che la Conserviera asseriva di aver esportato in Canada nel 1996, effettuati nell’ambito di una procedura di mutua assistenza tra le autorità doganali italiane e le autorità doganali canadesi, terminati nel corso del 1999, era emerso che i documenti d’importazione presentati da tale società al fine di beneficiare di restituzioni all’esportazione a titolo della sezione «Garanzia» del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (FEAOG) nel corso dell’esercizio finanziario 2007 erano stati falsificati e che le merci non erano state oggetto di importazione definitiva in Canada;

–        di conseguenza, le autorità italiane avevano redatto un verbale di accertamento dell’irregolarità il 19 ottobre 1999, avevano esteso i controlli a tutte le esportazioni delle merci in questione, asseritamente realizzate dalla Conserviera verso il Canada nel 1996 e avevano adito le autorità giudiziarie italiane, le quali avevano avviato un procedimento penale a carico dei rappresentanti legali di tale società (procedimento penale n. 13037/99);

–        nel corso del 2003, le autorità doganali canadesi avevano dichiarato che, per quanto riguardava le rimanenti esportazioni effettuate nel 1996, i documenti d’importazione erano stati anch’essi falsificati e che le merci non erano state oggetto di importazione definitiva in Canada;

–        con decisione del 9 luglio 2004, l’agenzia delle dogane aveva ordinato ai rappresentanti legali della Conserviera di rimborsare le somme in tal modo indebitamente percepite a titolo di restituzioni all’esportazione;

–        a seguito di un ricorso proposto avverso tale decisione dai rappresentanti legali della Conserviera, il procedimento di recupero di tali somme indebitamente percepite era stato sospeso dai giudici italiani il 25 gennaio 2005, in attesa dell’esito del procedimento penale;

–        successivamente, le esportazioni che la Conserviera affermava di avere effettuato verso il Canada nel corso degli anni 1997 e 1998 erano state parimenti sottoposte a controlli nell’ambito di una nuova procedura di mutua assistenza tra le autorità doganali italiane e le autorità doganali canadesi;

–        nel corso del 2003, le autorità doganali canadesi avevano dichiarato che i documenti d’importazione relativi agli anni 1997 e 1998 erano stati anch’essi falsificati;

–        le autorità doganali italiane avevano redatto, il 19 aprile 2005, verbali di accertamento di irregolarità distinti per gli anni 1997 e 1998 e, al contempo, avevano adito le autorità giudiziarie italiane, le quali avevano avviato due nuovi procedimenti penali a carico dei rappresentanti legali della Conserviera (procedimenti penali n. 19754/05 e n. 19756/05);

–        successivamente, le autorità giudiziarie italiane avevano ritenuto che il procedimento penale n. 19756/05 costituisse una duplicazione del procedimento penale n. 19754/05 e avevano riunito tali due ultimi procedimenti penali al procedimento penale n. 13037/99;

–        «l’[o]rganismo pagatore (...) ha ritenuto di non ingiungere immediatamente il contesto relativo all’anno 1998 il quale, essendo analogo al precedente, sarebbe stato oggetto di certa sospensiva»;

–        con decisione del 16 novembre 2007, il Tribunale di Napoli ha constatato che la Conserviera aveva illegalmente percepito, producendo documenti falsificati, restituzioni all’esportazione negli anni dal 1996 al 1998 per ingenti importi, il che costituiva un illecito penale;

–        i procedimenti penali erano stati tuttavia archiviati in quanto i reati contestati si erano nel frattempo prescritti;

–        non appena è stato accertato, con tale decisione del Tribunale di Napoli del 16 novembre 2007, che si trattava di «effettiva irregolarità», il SAISA aveva attivato tempestivamente il procedimento di recupero nel corso del 2008, in particolare inviando l’ingiunzione di pagamento il 14 ottobre 2008.

73      La Repubblica italiana afferma che «[l]a conclusione dell’iter penale aveva chiaramente natura pregiudiziale per delimitare la fattispecie di reato, la tipologia dell’infrazione [del diritto dell’Unione] e per iniziare correttamente le procedure di recupero (1 anno)». Più in particolare, secondo la Repubblica italiana, era necessario che le autorità giudiziarie accertassero definitivamente l’autore della falsificazione dei documenti d’importazione in questione.

74      Peraltro, la Repubblica italiana precisa che la Conserviera è stata dichiarata fallita il 24 settembre 2008, prima di rilevare che, conformemente all’articolo 32, paragrafo 6, del regolamento n. 1290/2005, gli Stati membri possono decidere di non portare avanti il procedimento di recupero qualora quest’ultimo si riveli impossibile per insolvenza del debitore o delle persone giuridicamente responsabili dell’irregolarità, constatata e riconosciuta in virtù del diritto nazionale dello Stato membro interessato. Nel caso di specie, il SAISA avrebbe in ogni caso portato avanti l’azione di recupero al fine di tutelare gli interessi finanziari dell’Unione e, nel febbraio 2016, sarebbe riuscito a recuperare, e a versare al FEAGA, una parte delle somme dovute.

75      In secondo luogo, la Repubblica italiana sostiene che il regolamento n. 1290/2005 non era applicabile al caso 2008000093. Essa rileva che il verbale di accertamento dell’irregolarità è stato redatto il 19 aprile 2005, mentre tale regolamento era divenuto applicabile solo a partire dal 1º gennaio 2007, ad eccezione, in particolare, del suo articolo 32, che era divenuto applicabile a partire dal 16 ottobre 2006, per i casi comunicati a norma dell’articolo 3 del regolamento n. 595/91 [del Consiglio, del 4 marzo 1991, relativo alle irregolarità e al recupero delle somme indebitamente pagate nell’ambito del finanziamento della politica agricola comune nonché all’instaurazione di un sistema d’informazione in questo settore e che abroga il regolamento (CEE) n. 283/72 (GU 1991, L 67, pag. 11)], e per i quali non era stato ancora conseguito il recupero totale a tale ultima data. Essa ritiene che siffatta applicazione retroattiva del regolamento n. 1290/2005 sia contraria al principio della tutela del legittimo affidamento e che la penalizzi «poiché ha determinato un cambiamento di procedure in corso di esecuzione». Per quanto riguarda tale ultimo punto, essa precisa che, a differenza dell’articolo 32 del regolamento n. 1290/2005, l’articolo 8 del regolamento n. 1258/1999, sebbene imponga allo Stato membro il recupero delle somme erogate in modo irregolare, non prescrive tuttavia alcun termine al riguardo.

76      In terzo luogo, la Repubblica italiana contesta alla Commissione di non essersi pronunciata entro un termine ragionevole sulle comunicazioni di chiusura trasmesse dalle autorità italiane. Più in particolare, essa critica il fatto che la Commissione abbia lasciato trascorrere circa quattro anni tra la data in cui le autorità italiane hanno risposto alla lettera con cui essa aveva comunicato loro i suoi accertamenti, il 20 giugno 2011, e quella del suo invito alla riunione bilaterale, il 22 aprile 2015.

77      La Commissione contesta gli argomenti della Repubblica italiana.

78      In primo luogo, occorre respingere la censura della Repubblica italiana relativa all’inapplicabilità ratione temporis dell’articolo 32 del regolamento n. 1290/2005. Infatti, la Commissione, come sostiene nelle sue memorie, alla luce dell’articolo 49, terzo comma, secondo trattino, del regolamento n. 1290/2005, poteva legittimamente ricorrere all’articolo 32 di tale regolamento in assenza di recupero delle somme non ancora rimborsate all’Unione entro i termini fissati da quest’ultima disposizione, quand’anche le situazioni in questione fossero sorte anteriormente all’adozione di detto regolamento [sentenza del 25 ottobre 2017, Grecia/Commissione, T‑26/16, EU:T:2017:752, punti 99 e 100 (non pubblicati), confermata in seguito a impugnazione con sentenza del 31 gennaio 2019, Grecia/Commissione, C‑6/18 P, non pubblicata, EU:C:2019:83, punti da 80 a 84].

79      Inoltre, si deve rilevare che le negligenze imputate nel caso di specie alle autorità italiane (v. punti da 81 a 88 infra) erano, in ogni caso, anch’esse tali da comportare l’esclusione dal finanziamento dell’Unione in base all’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento n. 1258/1999 [v., in tal senso, sentenza del 25 ottobre 2017, Grecia/Commissione, T‑26/16, EU:T:2017:752, punto 92 (non pubblicato), confermata in seguito a impugnazione con sentenza del 31 gennaio 2019, Grecia/Commissione, C‑6/18 P, non pubblicata, EU:C:2019:83].

80      Occorre altresì aggiungere che, ai fini dell’applicazione dell’articolo 32 del regolamento n. 1290/2005 nel caso di specie, la Commissione era legittimata a tener conto delle indicazioni contenute nelle istruzioni del gruppo di lavoro «Recupero». Tale gruppo di lavoro, creato dalla Commissione nel 2003, aveva il compito di esaminare i casi di irregolarità comunicati dagli Stati membri ai sensi dell’articolo 3 del regolamento n. 595/91, anteriormente al 1° gennaio 1999, per i quali non aveva avuto luogo un recupero totale delle somme versate, e di verificare il rispetto, da parte delle autorità nazionali, degli adempimenti previsti dall’articolo 8 del regolamento (CEE) n. 729/70 del Consiglio, del 21 aprile 1970, relativo al finanziamento della politica agricola comune (GU 1970, L 94, pag. 13), o, se del caso, dall’articolo 8 del regolamento n. 1258/1999. Tali istruzioni sono ancora utilizzate dai servizi della Commissione, poiché sono compatibili con i vari regolamenti che si sono succeduti nel tempo (ossia i regolamenti nn. 729/70, 1258/1999, 1290/2005 e 1306/2013) e costituiscono uno strumento utile per valutare la diligenza dimostrata dagli Stati membri nei procedimenti di recupero.

81      In secondo luogo, per quanto riguarda la fondatezza della rettifica finanziaria di cui trattasi, dal fascicolo risulta che quest’ultima è stata applicata dalla Commissione a causa del ritardo nell’avvio del procedimento di recupero delle somme non dovute, del ritardo accumulato nella redazione del primo atto di accertamento amministrativo in grado di mettere in pericolo il recupero delle somme non dovute e della mancata registrazione di procedimenti di recupero in corso nelle tabelle pertinenti (ossia, secondo la qualificazione utilizzata dalla Commissione nella lettera di conciliazione del 19 gennaio 2016, le tabelle dell’allegato II).

82      Anzitutto, per quanto riguarda il ritardo accumulato nell’avvio del procedimento di recupero contestato al SAISA, emerge dal fascicolo, ed è pacifico tra le parti, che, da un lato, l’atto con cui l’irregolarità di cui trattasi è stata accertata dalle autorità italiane, nella fattispecie l’agenzia delle dogane, è del 19 aprile 2005 e, dall’altro, è solo il 14 ottobre 2008, ossia oltre tre anni dopo, che le stesse autorità hanno ordinato il recupero delle somme indebitamente percepite dalla Conserviera nel corso del 1998. Si deve quindi necessariamente constatare che le autorità italiane hanno dato prova di negligenza non avviando «tutti i procedimenti amministrativi o giudiziari previsti dal diritto nazionale e [dell’Unione] per procedere al recupero nel corso dell’anno successivo al primo verbale amministrativo o giudiziario», come richiesto dall’articolo 32, paragrafo 4, lettera a), del regolamento n. 1290/2005.

83      Nel corso del procedimento amministrativo nonché nell’ambito del presente procedimento, la Repubblica italiana ha giustificato il ritardo contestatole facendo valere che essa era tenuta ad attendere l’esito del procedimento penale avviato nei confronti dei rappresentanti legali della Conserviera prima di poter ordinare il recupero delle somme non dovute. A suo avviso, infatti, la conclusione del procedimento penale – infine avvenuta il 16 novembre 2007 – era necessaria per accertare «la fattispecie di reato, la tipologia dell’infrazione [del diritto dell’Unione]» e, più in particolare, per individuare definitivamente l’autore della falsificazione dei documenti d’importazione in questione.

84      Siffatti argomenti non possono essere accolti.

85      Dalle memorie della Repubblica italiana risulta che il procedimento penale da quest’ultima invocato è quello relativo ai fatti verificatisi nel 1998, iscritto a ruolo con il numero 19756/05. Ebbene, come è stato constatato dal Tribunale di Napoli nella sua decisione del 16 novembre 2007, tale ultimo procedimento penale costituiva un’«erronea duplicazione» del procedimento penale n. 19754/05, che riguardava i medesimi fatti per gli anni 1997 e 1998, i quali, a loro volta, erano «del tutto analoghi» a quelli oggetto, per l’anno 1996, del procedimento penale n. 13037/99. Per tale motivo, i tre procedimenti penali erano stati peraltro riuniti. Come rileva giustamente la Commissione nelle sue memorie, la moltiplicazione dei procedimenti giudiziari, lungi dall’apportare chiarezza e accelerare il recupero delle somme non dovute, è stata fonte di ritardi e duplicazioni, ed ha avuto come unico risultato la prescrizione dei reati in questione.

86      Peraltro, come emerge dalle considerazioni esposte al successivo punto 87, la decisione che il Tribunale di Napoli era chiamato a pronunciare nel procedimento penale di cui trattasi non era tale da fornire informazioni sulla natura e sull’esistenza dell’irregolarità commessa nella fattispecie, nonché sulla responsabilità degli autori di quest’ultima che non fossero già note alle autorità italiane. Ciò si è effettivamente verificato, dato che la decisione pronunciata da tale tribunale il 16 novembre 2007 non ha fornito alcuna precisazione supplementare riguardo ai punti invocati dalla Repubblica italiana.

87      Poi, per quanto riguarda il ritardo accumulato nella redazione del primo verbale amministrativo contestato al SAISA, risulta dal fascicolo, ed è pacifico tra le parti, che, dal 1999, le autorità italiane erano a conoscenza del fatto che la Conserviera aveva istituito un sistema di falsificazione dei documenti d’importazione e che le merci di quest’ultima non erano oggetto di importazione definitiva in Canada. Peraltro, come risulta in particolare dalla lettera di conciliazione del 19 gennaio 2016 e dai documenti allegati al verbale di accertamento di irregolarità del 19 aprile 2005, nel 2001 si erano avuti scambi, che confermavano tali fatti, tra le autorità doganali canadesi e le autorità doganali italiane. Infine, nel marzo 2003, a seguito di una richiesta di chiarimenti a loro rivolta dalle autorità doganali italiane nell’agosto del 2002, le autorità doganali canadesi hanno ancora una volta confermato detti fatti. Ebbene, soltanto il 19 aprile 2005, e quindi tardivamente, le autorità italiane hanno elevato il verbale di accertamento, per quanto riguarda le importazioni di cui trattasi. Pertanto, si deve concludere che la Commissione non ha commesso errori nell’applicazione, nel caso di specie, dell’articolo 32, paragrafo 4, lettera b), del regolamento n. 1290/2005, che prevede la possibilità di imputare allo Stato membro interessato le somme indebitamente versate qualora «il primo verbale amministrativo o giudiziario (...) sia stato stilato (...) con un ritardo tale da compromettere il recupero».

88      Infine, per quanto riguarda il terzo inadempimento contestato alle autorità italiane nel caso 2008000093 (v. punto 81 supra), si deve constatare che, nella sua lettera di conciliazione del 19 gennaio 2016, la Commissione ha rilevato che «erano ancora in corso i procedimenti giudiziari riguardanti i codebitori, ma che [tale] caso (...) non era più registrato nelle tabelle dell’allegato II». A tal riguardo, si deve condividere la posizione della Commissione secondo la quale il suddetto caso è stato dichiarato «irrecuperabile» mentre in realtà non lo era, come dimostra il fatto che, successivamente, il SAISA aveva recuperato una parte delle somme non dovute e le aveva accreditate sul conto del FEAGA, e ciò malgrado il fatto che il 24 settembre 2008 la Conserviera fosse stata dichiarata fallita.

89      In terzo luogo, per quanto riguarda la censura della Repubblica italiana vertente sul fatto che la Commissione non ha rispettato un termine ragionevole nel caso di specie, in particolare lasciando trascorrere circa quattro anni tra la data in cui le autorità italiane hanno risposto alla lettera con cui essa aveva comunicato loro le sue constatazioni, vale a dire il 20 giugno 2011, e quella del suo invito alla riunione bilaterale, ossia il 22 aprile 2015, essa non può essere accolta. Oltre a quanto già esposto ai punti da 55 a 59 e 61 supra, occorre rilevare che la Repubblica italiana non fa valere alcun argomento atto a dimostrare che il termine irragionevole che essa invoca le abbia impedito di presentare il proprio punto di vista nel corso del contraddittorio.

90      Pertanto, si deve confermare la fondatezza delle rettifiche finanziarie determinate dalla Commissione a seguito dell’indagine relativa al SAISA protocollata come IR/2010/002/IT.

91      Da tutte le considerazioni che precedono risulta che il presente ricorso deve essere respinto nella parte in cui riguarda le rettifiche finanziarie stabilite dalla Commissione a seguito delle indagini protocollate come IR/2010/002/IT, IR/2011/010/IT, IR/2011/013/IT, IR/2012/013/IT e IR/2013/0009/IT.

 Sulle rettifiche finanziarie forfettarie applicate a seguito dell’indagine intitolata «CEB/2014/113/IT, IR/2014/002/IT – Seguito dato alla liquidazione dei conti OP AGEA»

92      La Repubblica italiana contesta le rettifiche finanziarie forfettarie per un importo complessivo di EUR 158 738 428,33, effettuate dalla Commissione a seguito dell’indagine intitolata «CEB/2014/113/IT, IR/2014/002/IT – Seguito dato alla liquidazione dei conti OP AGEA».

93      A tale riguardo, la Repubblica italiana sostiene che l’imposizione di tali rettifiche finanziarie è dettata esclusivamente dal convincimento della Commissione che «[l]a gestione dei debiti è un problema di vecchia data nell’AGEA». Pertanto, essa ritiene che la procedura seguita dalla Commissione sia viziata da un «sostanziale difetto di istruttoria» in quanto quest’ultima non ha proceduto ad un esame approfondito di ciascun caso. Essa fa altresì valere un «illogico rifiuto dei Servizi della Commissione di considerare a discarico nel calcolo della rettifica gli importi recuperati e già accreditati alla contabilità comunitaria e quelli relativi a contenziosi conclusisi sfavorevolmente (e cioè quelli per i quali un giudice nazionale ha stabilito che l’aiuto relativo alla posizione debitoria oggetto di rettifica era in realtà dovuto)». Infine, essa sostiene che, «come evincibile dalla cronologia degli eventi che hanno portato la Commissione ad annunciare nel 2013 la missione relativa ai criteri di riconoscimento, a rinviarla, a cambiarne lo scopo ed a diversificarla in sede di missione di audit (visita in loco CEB/2015/097 – 30/11/2015 - 4/12/2015 – verifica Piano di azione per criteri riconoscimento – verifica importi da rettificare nell’ambito CEB/2013/113/1T) appare evidente la volontà precostituita di addebitare questi importi per chiudere i casi vecchi – alcuni risalenti agli anni 80- il cui rischio di mancato recupero per il bilancio comunitario dell’ulteriore 50% risultava elevatissimo e per questo a [suo] avviso addebitato allo Stato membro senza alcun approfondimento di merito».

94      La Repubblica italiana afferma inoltre che le rettifiche finanziarie in questione appaiono in palese contraddizione con il regolamento n. 1306/2013, «che ha previsto, in caso di non provata negligenza secondo i parametri stabiliti dalla Corte europea, proprio per evitare che il rischio del mancato recupero fosse a totale carico [dell’Unione], (…) allo scadere dei 4 anni, in caso di procedura amministrativa o degli 8 anni, in caso di procedura giudiziaria, l’addebito a carico dello Stato membro, pari al 50% degli importi non recuperati, suddividendo di fatto tale rischio».

95      La Commissione contesta gli argomenti della Repubblica italiana.

96      Occorre respingere l’affermazione della Repubblica italiana secondo cui l’imposizione delle rettifiche finanziarie forfettarie in questione è dettata esclusivamente dal convincimento della Commissione che «la gestione dei debiti è un problema di vecchia data nell’AGEA». Sebbene quest’ultima osservazione, peraltro totalmente fondata, figuri effettivamente nella relazione di sintesi, ciò non toglie che dalla medesima relazione risulta allo stesso modo che la decisione della Commissione di applicare tali rettifiche finanziarie è stata adottata sulla base dell’articolo 12 del regolamento n. 907/2014, conformemente alla metodologia esposta nella sua comunicazione C(2015) 3675 final, nel pieno rispetto delle norme di procedura applicabili e a seguito di un serio accertamento dei fatti, avendo dimostrato che l’AGEA aveva dato prova di negligenza ricorrente e persistente nella gestione del recupero di un gran numero di crediti, in particolare commettendo errori di natura procedurale, non esercitando la dovuta diligenza nel recupero dei crediti, il che aveva comportato la loro prescrizione, o non avendo esperito tutte le possibilità di ricorso.

97      L’unico elemento sufficientemente comprensibile che la Repubblica italiana deduce a sostegno della sua censura vertente sul difetto di istruttoria è che la Commissione non ha proceduto ad un esame approfondito di ciascun caso. Ebbene, è evidente che, visto l’elevato numero di crediti che erano stati registrati tardivamente e che, pertanto, non erano stati oggetto di procedimenti di recupero nel caso di specie, ossia 55 000, la Commissione non avrebbe potuto effettuare un siffatto esame senza sforzi sproporzionati, né tantomeno procedere a estrapolazioni sufficientemente rappresentative dei diversi casi. In tali circostanze, e tenuto conto della significativa negligenza dell’AGEA nella gestione dei crediti che l’indagine aveva accertato, si deve ritenere che la Commissione fosse legittimata a ricorrere a rettifiche finanziarie forfettarie. Occorre peraltro ricordare che la legittimità di un siffatto approccio è stata confermata dal giudice dell’Unione (v. punto 51 supra).

98      Per quanto riguarda le altre affermazioni della Repubblica italiana riportate al punto 93 supra, è sufficiente constatare che esse mancano totalmente di chiarezza e precisione e non sono in alcun modo suffragate. Non è neppure suffragata la censura relativa all’asserita manifesta violazione del regolamento n. 1306/2013. Tali affermazioni e tale censura devono quindi essere respinte in quanto irricevibili.

99      Pertanto, si deve confermare la fondatezza delle rettifiche finanziarie forfettarie determinate dalla Commissione a seguito dell’indagine intitolata «CEB/2014/113/IT, IR/2014/002/IT – Seguito dato alla liquidazione dei conti OP AGEA».

100    Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, il presente ricorso deve essere integralmente respinto.

 Sulle spese

101    A norma dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

102    La Repubblica italiana, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese, conformemente alla domanda della Commissione.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Ottava Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Repubblica italiana è condannata alle spese.

Collins

Barents

Passer

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 4 luglio 2019.

Il cancelliere

 

Il presidente

E. Coulon

 

A.M. Collins


*      Lingua processuale: l’italiano.