Language of document : ECLI:EU:T:2003:112

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

10 aprile 2003 (1)

«Atto del Parlamento - Decadenza del mandato di membro del Parlamento europeo - Applicazione della legge nazionale - Ricorso di annullamento - Atto impugnabile - Irricevibilità»

Nella causa T-353/00,

Jean-Marie Le Pen, residente a Saint-Cloud (Francia), rappresentato dall'avv. F. Wagner,

ricorrente,

contro

Parlamento europeo, rappresentato dai sigg. H. Krück e C. Karamarcos, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuto,

sostenuto da

Repubblica francese, rappresentata dai sigg. R. Abraham, G. de Bergues, D. Colas e dalla sig.ra L. Bernheim, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

interveniente,

avente ad oggetto la domanda di annullamento della decisione, emanata sotto forma di dichiarazione della Presidente del Parlamento europeo in data 23 ottobre 2000, relativa alla decadenza del mandato di membro del Parlamento europeo del ricorrente,

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO

DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Quinta Sezione),

composto dai sigg. J.D. Cooke, presidente, R. García-Valdecasas e dalla sig.ra P. Lindh, giudici,

cancelliere: sig. J. Palacio González, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 25 giugno 2002,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Contesto normativo

La normativa comunitaria

1.
    L'art. 5 UE così recita:

«Il Parlamento europeo, il Consiglio, la Commissione, la Corte di giustizia e la Corte dei conti esercitano le loro attribuzioni alle condizioni e ai fini previsti, da un lato, dalle disposizioni dei trattati che istituiscono le Comunità europee, nonché dalle disposizioni dei successivi trattati e atti recanti modifiche o integrazioni delle stesse e, dall'altro, dalle altre disposizioni del presente trattato».

2.
    Ai sensi dell'art. 189, primo comma, CE, dell'art. 20 CA e dell'art. 107 EA, il Parlamento europeo è «composto di rappresentanti dei popoli degli Stati riuniti nella Comunità».

3.
    L'art. 190, n. 4, CE, l'art. 21, n. 3, CA e l'art. 108, n. 3, EA prevedono che il Parlamento elabori un progetto volto a permettere l'elezione dei propri membri a suffragio universale diretto, secondo una procedura uniforme in tutti gli Stati membri, o secondo principi comuni a tutti gli Stati medesimi, e che il Consiglio, con deliberazione unanime, stabilisca le disposizioni di cui raccomanderà l'adozione da parte degli Stati stessi.

4.
    L'art. 7, n. 1, dell'atto relativo all'elezione dei rappresentanti nell'Assembela a suffragio universale diretto, allegato alla decisione del Consiglio del 20 settembre 1976 (GU L 278, pag. 5; nel testo originario, in prosieguo: l'«atto del 1976»), precisa che l'elaborazione del progetto di procedura elettorale uniforme rientra nelle responsabilità del Parlamento. All'epoca dei fatti di causa, nessun sistema uniforme era stato emanato, malgrado le proposte fatte in tal senso dal Parlamento.

5.
    Ai termini dell'art. 3, n. 1, dell'atto del 1976, i membri del Parlamento europeo «sono eletti per un periodo di cinque anni».

6.
    L'art. 6 dell'atto del 1976 elenca, al n. 1, le cariche incompatibili con lo status di membro del Parlamento europeo e dispone, al successivo n. 2, che ogni Stato membro può «fissare le incompatibilità applicabili sul piano nazionale, alle condizioni di cui all'articolo 7, paragrafo 2».

7.
    Il n. 3 dello stesso art. 6 così recita:

«I [membri del Parlamento europeo] ai quali, nel corso del periodo quinquennale di cui all'articolo 3, sono applicabili i paragrafi 1 e 2, sono sostituiti conformemente all'articolo 12».

8.
    Ai termini dell'art. 7, n. 2, dell'atto del 1976:

«Fino all'entrata in vigore di una procedura elettorale uniforme e con riserva delle altre disposizioni del presente atto, la procedura elettorale è disciplinata in ciascuno Stato membro dalle disposizioni nazionali».

9.
    Ai sensi dell'art. 11 dell'atto del 1976:

«Fino all'entrata in vigore della procedura uniforme prevista all'articolo 7, paragrafo 1, [il Parlamento] verifica i poteri dei rappresentanti. A tal fine, ess[o] prende atto dei risultati proclamati ufficialmente dagli Stati membri e decide sulle contestazioni che potrebbero essere eventualmente presentate in base alle disposizioni del presente atto, fatta eccezione delle disposizioni nazionali cui tale atto rinvia».

10.
    L'art. 12 dell'atto del 1976 dispone quanto segue:

«1. Fino all'entrata in vigore della procedura uniforme prevista all'articolo 7, paragrafo 1, e con riserva delle altre disposizioni del presente atto, ciascuno Stato membro stabilisce le opportune procedure per coprire i seggi, resisi vacanti durante il periodo quinquennale di cui all'articolo 3, per la restante durata di detto periodo.

2. Quando la vacanza risulta dall'applicazione delle disposizioni nazionali in vigore in uno Stato membro, quest'ultimo ne informa [il Parlamento] che ne prende atto.

In tutti gli altri casi, [il Parlamento] constata la vacanza e ne informa lo Stato membro».

11.
    L'art. 7 del regolamento del Parlamento europeo (GU 1999, L 202, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento») è intitolato «Verifica dei poteri». Ai termini del n. 4 di tale articolo:

«La commissione competente vigila a che qualsiasi informazione suscettibile di interessare l'esercizio del mandato di un deputato al Parlamento europeo o la graduatoria dei sostituti sia comunicata immediatamente al Parlamento dalle autorità degli Stati membri o dell'Unione, con l'indicazione della data di decorrenza qualora si tratti di una nomina.

Nel caso in cui le autorità competenti degli Stati membri avviino una procedura suscettibile di portare a una dichiarazione di decadenza del mandato di un deputato, il Presidente chiede loro di essere regolarmente informato sullo stato della procedura. Egli deferisce tale questione alla commissione competente, su proposta della quale il Parlamento può pronunciarsi».

12.
    L'art. 8, n. 6, del regolamento così recita:

«Va considerata come data di cessazione del mandato e di inizio di una vacanza:

-    in caso di dimissioni: la data in cui il Parlamento ha constatato la vacanza, in base al verbale delle dimissioni;

-    in caso di nomina a funzioni incompatibili con il mandato di deputato al Parlamento europeo ai sensi della legge elettorale nazionale o ai sensi dell'articolo 6 dell'[atto del 1976]: la data comunicata dalle autorità competenti degli Stati membri o dell'Unione».

13.
    L'art. 8, n. 9, del regolamento dispone quanto segue:

«Nel caso in cui l'accettazione del mandato o la rinuncia allo stesso appaiano inficiate da inesattezze materiali o da vizi di consenso, il Parlamento si riserva di dichiarare non valido il mandato esaminato ovvero di rifiutare la constatazione della vacanza».

La normativa francese

14.
    Ai termini dell'art. 5 della legge 7 luglio 1977, 77-729, relativa all'elezione dei rappresentanti dell'Assemblea delle Comunità europee, come successivamente modificata (JORF 8 luglio 1977, pag. 3579; in prosieguo: la «legge del 1977»):

«All'elezione dei [membri del Parlamento europeo] si applicano gli artt. da LO 127 a LO 130-1 del codice elettorale. (...)

L'ineleggibilità, qualora si verifichi nel corso del mandato, pone fine al medesimo. L'accertamento dell'ineleggibilità è effettuato mediante decreto».

15.
    L'art. 25 della legge del 1977 dispone quanto segue:

«L'elezione dei [membri del Parlamento europeo] può essere contestata, entro i dieci giorni successivi alla proclamazione dei risultati dello scrutinio e per tutto ciò che attiene all'applicazione della presente legge, da ogni elettore dinanzi al Conseil d'État in sede contenziosa. La decisione è pronunciata in assemblea plenaria.

Il ricorso non ha effetti sospensivi».

Fatti all'origine del ricorso e procedimento

16.
    Il ricorrente veniva eletto membro del Parlamento europeo il 13 giugno 1999.

17.
    Con sentenza 23 novembre 1999 la Cour de cassation (sezione penale) francese respingeva il ricorso proposto dal ricorrente avverso la sentenza 17 novembre 1998 della Cour d'appel di Versailles, con cui era stata dichiarata, segnatamente, la sua colpevolezza per violenza nei confronti di un pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni, laddove lo status della vittima era evidente o noto all'autore, reato previsto e punito dall'art. 222-13, primo comma, n. 4, del codice penale francese. Per tale reato, il ricorrente veniva condannato a tre mesi di reclusione con sospensione condizionale della pena ed a franchi francesi (FRF) 5 000 di ammenda. A titolo di pena complementare, veniva disposta l'interdizione dai diritti di cui all'art. 131-26, n. 2, del codice penale, limitata all'eleggibilità, per la durata di un anno.

18.
    A fronte di tale condanna penale e ai termini dell'art. 5, secondo comma, della legge del 1977, il Primo Ministro francese accertava, con decreto 31 marzo 2000, che «l'ineleggibilità [del ricorrente poneva] fine al suo mandato di rappresentante presso il Parlamento europeo».

19.
    Il detto decreto veniva notificato al ricorrente con lettera 5 aprile 2000 del segretario generale del Ministero degli Affari esteri francese. In tale lettera si precisava che il ricorrente poteva esperire ricorso avverso il decreto medesimo dinanzi al Conseil d'État francese entro il termine di due mesi a decorrere dalla data della sua notificazione.

20.
    Con lettera non datata l'onorevole Fontaine, Presidente del Parlamento, significava al ricorrente che le autorità francesi le avevano ufficialmente trasmesso la pratica relativa alla decadenza del ricorrente medesimo dal mandato di deputato presso il Parlamento. L'onorevole Fontaine faceva presente al ricorrente che avrebbe proceduto «[alla comunicazione della pratica] nella seduta plenaria del 3 maggio [2000]», e che, ai sensi dell'art. 7, n. 4, secondo comma, del regolamento, «sarebbe stata adita la commissione competente».

21.
    Il resoconto della seduta plenaria del 3 maggio 2000, nella parte riguardante la voce intitolata «Decadenza del mandato [del ricorrente]», così recita:

«La Presidente comunica di aver ricevuto dalle autorità francesi, il 26 aprile 2000, una lettera datata 20 aprile 2000 del Ministro per gli Affari esteri, Hubert Védrine, e del Ministro delegato incaricato delle questioni europee, Pierre Moscovici, avente in allegato un dossier sulla decadenza del mandato [del ricorrente]. Conformemente all'art. 7, paragrafo 4, secondo comma, del regolamento, la Presidente comunica che deferirà la questione alla commissione giuridica e per i diritti dei cittadini. (...)».

22.
    La commissione giuridica e per il mercato interno (in prosieguo: la «commissione giuridica») procedeva alla verifica dei poteri del ricorrente in occasione delle riunioni svoltesi il 4, 15 e 16 maggio 2000 a porte chiuse.

23.
    Dal verbale della riunione del 4 maggio 2000 si desume che la commissione giuridica rinviava ad una successiva riunione l'esame degli elementi del fascicolo che le avrebbero eventualmente consentito di adottare una decisione. Dal verbale della riunione 15 maggio 2000 emerge che la presidente della commissione medesima, onorevole Palacio, proponeva che la decisione del Parlamento si limitasse «alla formalità di prenderne o non prenderne atto». Tuttavia, tale «proposta di raccomandazione alla Presidente del Parlamento» veniva «respinta con 15 voti a favore e 13 contrari». La discussione veniva ripresa il giorno seguente e nel verbale della riunione del 16 maggio 2000 si legge unicamente che la commissione «conferma la decisione del giorno precedente».

24.
    In occasione della seduta plenaria del 18 maggio 2000, la Presidente del Parlamento, dopo aver rammentato di aver chiesto il parere della commissione giuridica in merito alla comunicazione effettuata dalle autorità francesi in ordine alla decadenza del mandato del ricorrente, dava lettura della lettera ricevuta, in data 17 maggio 2000, dall'onorevole Palacio, redatta nei termini seguenti:

«Signora Presidente,

nel corso della riunione del 16 maggio 2000, la [commissione giuridica] ha ripreso l'esame della situazione [del ricorrente]. La commissione è consapevole che il decreto del Primo ministro della Repubblica francese, che è stato notificato [al ricorrente] in data 5 aprile 2000 e pubblicato sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica francese in data 22 aprile 2000, è divenuto esecutivo. Tuttavia, la commissione ha evidenziato che, come del resto menzionato nella lettera di notifica inviata all'interessato, costui medesimo ha la facoltà di presentare presso il Consiglio di Stato un ricorso che può essere accompagnato da una domanda di sospensione dell'effetto esecutivo del decreto.

Tenuto conto della decisione presa il giorno precedente di non raccomandare fin d'ora che il Parlamento prenda formalmente atto del decreto che interessa [il ricorrente], la commissione ha esaminato le varie possibilità per dar seguito alla questione. A sostegno di tale decisione, come precedente da seguire è stato evocato il caso dell'onorevole Tapie, il che comporta che il Parlamento europeo prenderà formalmente atto del decreto di cessazione di mandato soltanto al momento della decorrenza prevista per il ricorso presso il Consiglio di Stato, oppure, eventualmente, in seguito a una decisione di quest'ultimo».

25.
    La Presidente del Parlamento dichiarava, poi, che era sua intenzione seguire «il parere della commissione giuridica».

26.
    In occasione del dibattito tra vari membri del Parlamento che faceva seguito a tale dichiarazione, la Presidente del Parlamento faceva presente, in particolare, «che [era] il Parlamento a prendere atto, non la sua Presidente».

27.
    Come emerge dal verbale di tale seduta plenaria, la Presidente del Parlamento riteneva, in esito al dibattito, che l'onorevole Barón Crespo - il quale aveva chiesto che il Parlamento si pronunciasse sul parere della commissione giuridica - si associasse, in conclusione, alla posizione espressa dall'onorevole Hänsch, secondo cui non si sarebbe dovuto procedere ad alcuna votazione in assenza, in particolare, di una proposta formale della detta commissione. La Presidente del Parlamento concludeva nel senso che, in assenza di «una vera proposta della commissione giuridica», tale posizione costituisse la «migliore soluzione per tutti».

28.
    Il 5 giugno 2000 il ricorrente chiedeva, con ricorso al Conseil d'État francese, l'annullamento del decreto 31 marzo 2000.

29.
    Con lettera 9 giugno 2000 indirizzata ai sigg. Védrine e Moscovici, la Presidente del Parlamento dichiarava quanto segue:

«In esito al parere della nostra [commissione giuridica], mi sembra opportuno, in considerazione del carattere irreversibile della decadenza del mandato, che il Parlamento europeo prenda formalmente atto del decreto [del 31 marzo 2000] solamente alla scadenza dei termini di ricorso [dinanzi al] Consiglio di Stato ovvero, eventualmente, a seguito di una decisione di quest'ultimo».

30.
    Con lettera 13 giugno 2000 il sig. Moscovici informava la Presidente del Parlamento che il governo francese contestava formalmente la posizione del Parlamento, dal medesimo espressa in occasione della seduta del 18 maggio precedente, di non prendere atto della decadenza del mandato del ricorrente pronunciata con il decreto 31 marzo 2000. Il sig. Moscovici rilevava che, con tale posizione, il Parlamento violava l'art. 12, n. 2, dell'atto del 1976 e che il motivo dedotto non poteva giustificare tale violazione. Il Parlamento veniva quindi invitato a prendere atto della decadenza «entro il più breve termine possibile».

31.
    La Presidente del Parlamento rispondeva, con lettera 16 giugno 2000, che il Parlamento «avrebbe preso atto della [decadenza] del mandato [del ricorrente] una volta che [il decreto 31 marzo 2000] fosse divenuto definitivo», cosa non ancora avvenuta, essendo stato proposto ricorso di annullamento dinanzi al Conseil d'État francese. La Presidente giustificava tale posizione richiamandosi al precedente dell'onorevole Tapie nonché all'esigenza della certezza del diritto.

32.
    Con decreto 6 ottobre 2000 il Conseil d'État francese respingeva il ricorso del ricorrente.

33.
    Il 17 ottobre 2000 una lettera dei sigg. Védrine e Moscovici, datata 12 ottobre 2000, veniva trasmessa alla Presidente del Parlamento dalla rappresentanza permanente della Repubblica francese presso l'Unione europea. I due Ministri insistevano sul fatto che il governo francese aveva sempre «fermamente contestato» la posizione del Parlamento di voler attendere la decisione del Conseil d'État francese in merito al ricorso proposto dal ricorrente avverso il decreto 31 marzo 2000, posizione che il governo francese aveva considerato quale violazione della «lettera e dello spirito dell'atto del 1976». I due Ministri dichiaravano, inoltre:

«Ci attendiamo che il Parlamento si conformi al diritto comunitario prendendo atto, con il suo voto, della decadenza [del ricorrente] entro il più breve tempo possibile. In caso contrario, ci riserviamo il diritto di trarne tutte le relative conseguenze sul piano giuridico».

34.
    Con lettera 20 ottobre 2000 la Presidente del Parlamento informava il ricorrente di aver ricevuto, il giorno precedente, la «comunicazione ufficiale delle autorità competenti della Repubblica francese» della sentenza del Conseil d'État francese 6 ottobre 2000 e che, conformemente al regolamento e all'atto del 1976, «[essa] avrebbe preso atto del decreto [31 marzo 2000] in occasione della ripresa della seduta plenaria, il 23 ottobre» seguente.

35.
    Con lettera 23 ottobre 2000 il ricorrente comunicava alla Presidente del Parlamento che la detta sentenza del Conseil d'État francese era stata pronunciata solamente da due sottosezioni riunite mentre, trattandosi del mandato di un deputato del Parlamento europeo, l'art. 25 della legge del 1977 esigeva che tale decisione fosse presa dal plenum e che egli avrebbe quindi nuovamente adito il Conseil d'État francese. Il ricorrente faceva parimenti presente che erano stati proposti una domanda di grazia al Presidente della Repubblica francese nonché un ricorso dinanzi alla Corte europea per i diritti dell'uomo. Conseguentemente, chiedeva che venisse convocata una nuova riunione della commissione giuridica e che venisse consentita l'audizione del medesimo e dei suoi difensori.

36.
    In occasione della seduta plenaria del Parlamento del 23 ottobre 2000, il ricorrente e altri deputati del suo partito politico si richiamavano a pretese irregolarità commesse dalle autorità francesi nel corso del procedimento da cui era scaturita la sentenza del Conseil d'État francese 6 ottobre 2000. Essi chiedevano che il Parlamento non prendesse atto della decadenza di cui trattasi, quanto meno non prima che la questione venisse nuovamente sottoposta alla commissione giuridica.

37.
    Come risulta dal verbale dei dibattiti della detta seduta del 23 ottobre 2000, la Presidente del Parlamento procedeva, nell'ambito del punto dell'ordine del giorno intitolato «Comunicazione della Presidente», alla seguente dichiarazione:

«Onorevoli colleghi, vi comunico di aver ricevuto, giovedì 19 ottobre 2000, dalle autorità competenti della Repubblica francese, la notifica ufficiale di una sentenza, in data 6 ottobre 2000, con la quale il Consiglio di Stato respinge il ricorso presentato [dal ricorrente] contro il decreto del Primo ministro francese del 31 marzo 2000 inteso a porre fine al suo mandato di rappresentante al Parlamento europeo.

Vi informo che [successivamente] ho ricevuto copia della richiesta di grazia a favore [del ricorrente] presentata al Presidente della Repubblica Jacques Chirac dagli onorevoli Charles de Gaulle, Carl Lang, Jean-Claude Martinez e Bruno Gollnisch».

38.
    La Presidente dava poi la parola alla presidente della commissione giuridica, che dichiarava quanto segue:

«Signora Presidente, a seguito della deliberazione del 15-16 maggio, la commissione giuridica e per il mercato interno ha stabilito di raccomandare la sospensione dell'annuncio in Plenaria della constatazione dell'avvenut[o] decad[enza] del mandato [del ricorrente]. Lo ribadisco, la nostra commissione ha raccomandato la sospensione di tale annuncio sino allo scadere dei termini a disposizione [del ricorrente] per la presentazione di un ricorso presso il Consiglio di Stato francese o per la deliberazione di questo organo. E sto citando testualmente la lettera in data 17 maggio di cui lei, signora Presidente, ha dato lettura in Plenaria.

Il Consiglio di Stato, come lei ha detto, ha respinto il ricorso e detta reiezione ci è stata comunicata nelle forme dovute. In questo modo, non sussiste più alcuna ragione che giustifichi una posticipazione di tale annuncio in Plenaria, atto dovuto ai sensi del diritto primario e segnatamente ai sensi dell'articolo 12, paragrafo 2, dell'[atto del 1976].

La richiesta di grazia che lei menziona, signora Presidente, non modifica questo stato di cose dal momento che non si tratta di un ricorso giurisdizionale. Come il suo stesso nome sta a indicare, la grazia è un atto del Capo dello Stato, atto privo di effetti sulla decisione del governo francese, che ai sensi della raccomandazione emessa dalla commissione giuridica va annunciata in Plenaria».

39.
    La Presidente del Parlamento dichiarava quindi:

«Pertanto, conformemente all'articolo 12, paragrafo 2, dell'[atto del 1976], il Parlamento europeo prende atto della notifica del governo francese constatando la decadenza del mandato [del ricorrente]».

40.
    La Presidente invitava, quindi, il ricorrente a lasciare l'aula e sospendeva la seduta per facilitarne l'uscita.

41.
    Con nota 23 ottobre 2000 il direttore generale della Direzione generale dell'amministrazione del Parlamento chiedeva all'onorevole Ratti, segretario generale del Gruppo tecnico dei deputati indipendenti, di adottare i provvedimenti necessari affinché dagli uffici occupati dal ricorrente, a Strasburgo ed a Bruxelles, venissero rimossi gli oggetti personali del medesimo entro, rispettivamente, il 27 ottobre e il 31 novembre 2000.

42.
    Con lettera 27 ottobre 2000 la Presidente del Parlamento si rivolgeva al sig. Védrine per informarlo che il Parlamento aveva preso atto del decreto 31 marzo 2000 e chiedeva al medesimo di «comunicare, ai sensi dell'art. 12, n. 1, dell'[atto del 1976], il nome della persona chiamata a occupare il seggio vacante [del ricorrente]».

43.
    Il sig. Védrine rispondeva con lettera 13 novembre 2000, dichiarando che «l'onorevole Marie-France Stirbois [dovrebbe] succedere [al ricorrente] a nome della lista del Fronte nazionale per le elezioni europee».

44.
    Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 21 novembre 2000, il ricorrente proponeva il presente ricorso diretto all'annullamento della decisione contenuta nella dichiarazione della Presidente del Parlamento del 23 ottobre 2000 (in prosieguo: l'«atto impugnato»).

45.
    Con separato atto, depositato in pari data presso la cancelleria del Tribunale, il ricorrente proponeva domanda di provvedimenti urgenti, diretta ad ottenere la sospensione dell'esecuzione dell'atto impugnato.

46.
    In risposta ad una richiesta presentata dal giudice del procedimento sommario al Parlamento in occasione dell'audizione delle parti svoltasi il 15 dicembre 2000, il direttore generale della Direzione generale delle finanze e del controllo finanziario del Parlamento certificava, segnatamente, con attestazione del 18 dicembre 2000, che il ricorrente aveva «beneficiato delle indennità di viaggio, di soggiorno, e di tutte le altre indennità previste (...) sino al termine del proprio mandato».

47.
    Con lettera 5 gennaio 2001 le autorità francesi confermavano, anche in questo caso in risposta ad una richiesta del giudice del procedimento sommario, di aver continuato a versare la retribuzione del ricorrente sino al 24 ottobre 2000.

48.
    Con ordinanza 26 gennaio 2001, causa T-353/00 R, Le Pen/Parlamento (Racc. pag. II-125), il presidente del Tribunale disponeva la sospensione dell'esecuzione della «decisione emanata sotto forma di dichiarazione della Presidente del Parlamento europeo in data 23 ottobre 2000, nella parte in cui costituisce una decisione del Parlamento europeo con cui il medesimo ha preso atto della decadenza del mandato di membro del Parlamento europeo del ricorrente», riservando la decisione sulle spese.

49.
    Con atto separato, depositato presso la cancelleria il 12 dicembre 2000, il Parlamento sollevava un'eccezione d'irricevibilità ai sensi dell'art. 114, n. 1, del regolamento di procedura del Tribunale. La ricorrente depositava osservazioni in ordine a tale eccezione il 29 gennaio 2001. Con ordinanza del Tribunale (Quinta Sezione) 12 febbraio 2001 l'eccezione veniva riunita al merito e le spese venivano riservate.

50.
    Con atto depositato presso la cancelleria in data 3 aprile 2001, la Repubblica francese chiedeva di intervenire nel presente procedimento a sostegno del Parlamento. Con ordinanza 14 maggio 2001 il presidente della Quinta Sezione del Tribunale accoglieva tale domanda.

51.
    Il 27 giugno 2001 la Repubblica francese depositava la sua memoria di intervento, in ordine alla quale il ricorrente presentava osservazioni il 21 settembre seguente. Il Parlamento rinunciava a presentare osservazioni in merito.

52.
    Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Quinta Sezione) decideva di passare alla fase orale. Nel contesto delle misure di organizzazione del procedimento, quest'ultimo invitava il Parlamento a rispondere a taluni quesiti scritti e a produrre taluni documenti. Il Parlamento ottemperava a tali richieste.

53.
    Le difese orali delle parti e le loro risposte ai quesiti orali del Tribunale venivano sentite all'udienza del 25 giugno 2002.

Conclusioni delle parti

54.
    Il ricorrente conclude che il Tribunale voglia:

-    dichiarare il ricorso ricevibile;

-    annullare l'atto impugnato;

-    condannare il Parlamento al pagamento di FRF 50 000 a titolo «di spese irrecuperabili»;

-    condannare il Parlamento alle spese.

55.
    Il Parlamento conclude che il Tribunale voglia:

-    dichiarare il ricorso irricevibile o, in ogni caso, respingerlo perché infondato;

-    condannare il ricorrente alle spese.

56.
    La Repubblica francese si allinea alle conclusioni formulate dal Parlamento.

Sulla ricevibilità

Argomenti delle parti

57.
    Il Parlamento contesta la ricevibilità del presente ricorso deducendo due motivi. Il primo attiene all'assenza di «competenza comunitaria con riguardo ai requisiti di incompatibilità e di ineleggibilità dei deputati europei derivanti dalla legge nazionale» e il secondo alla mancanza di un atto impugnabile ai sensi dell'art. 230 CE.

58.
    In primo luogo, il Parlamento ritiene che l'irricevibilità del ricorso derivi dall'assenza di competenza comunitaria quando la decadenza del mandato di uno dei suoi membri è conseguenza della legge nazionale.

59.
    Richiamandosi all'art. 5 UE il Parlamento afferma che, al pari delle altre istituzioni comunitarie, esso non può esercitare i propri poteri se non in presenza dei requisiti e ai fini previsti dalle disposizioni dei Trattati. Esso sottolinea che, contrariamente a quanto disposto nei nn. 4 e 5 dell'art. 190 CE, il Consiglio non ha ancora dato seguito decisivo ai progetti di procedura elettorale uniforme elaborati dal Parlamento né ha approvato lo statuto dei membri del medesimo. Ciò premesso, «l'atto del 1976 costitui[rebbe] l'unico testo normativo comunitario attualmente in vigore in materia di diritto parlamentare» e applicabile nella specie. Orbene, tale atto si richiamerebbe ampiamente alle disposizioni nazionali, particolarmente con riguardo alla vacanza dei seggi. Il Parlamento rileva che l'art. 12, n. 2, del detto atto opera una distinzione tra la vacanza del seggio risultante dall'applicazione delle disposizioni nazionali e quella dovuta a circostanze diverse, quali le dimissioni. Nel primo caso, il suo ruolo si limiterebbe a prendere atto del provvedimento adottato a livello nazionale.

60.
    Di conseguenza, nella specie, unicamente le autorità francesi sarebbero state competenti a pronunciarsi sulla decadenza del mandato del ricorrente e il Parlamento si sarebbe limitato a prendere atto dell'applicazione, da parte delle dette autorità, dell'art. 5 della legge del 1977. L'atto impugnato non sarebbe quindi produttivo di alcuna conseguenza giuridica.

61.
    Il Parlamento contesta la fondatezza dell'affermazione compiuta dal giudice del procedimento sommario nel presente procedimento secondo cui «non può escludersi che il Parlamento disponga, quanto meno, del potere di verificare il rispetto della procedura prevista dalla legge nazionale applicabile nella specie nonché, eventualmente, dei diritti fondamentali del membro del Parlamento di cui trattasi» (ordinanza 26 gennaio 2001, cit., punto 63). Il Parlamento sottolinea che il regolamento deve essere letto alla luce dei Trattati e dell'atto del 1976, affermando di non disporre di alcun potere ai fini della valutazione o della verifica di leggi, regolamenti ed altri atti emanati dalle autorità nazionali, il che risulterebbe non solo dal principio delle competenze di attribuzione, ma altresì da «un principio fondamentale del diritto delle genti». A tale riguardo, il Parlamento osserva, in particolare, che, secondo costante giurisprudenza, in materia pregiudiziale non spetta alla Corte accertare se il provvedimento con cui è stata adita sia stato adottato in modo conforme alle norme nazionali in materia di organizzazione giudiziaria e di procedura, dovendosi attenere alla decisione di rinvio (sentenza della Corte 20 ottobre 1993, causa C-10/92, Balocchi, Racc. pag. I-5105, punto 16). La Corte internazionale di giustizia e la Corte permanente di giustizia internazionale avrebbero seguito lo stesso principio per quanto riguarda la valutazione della legge nazionale.

62.
    Il Parlamento contesta parimenti l'argomento del ricorrente secondo cui l'art. 12, n. 2, primo comma, dell'atto del 1976, riguarda solamente l'ipotesi di incompatibilità che sopravvenga nel corso del mandato e non quella dell'ineleggibilità. Secondo il Parlamento, tale argomento non terrebbe conto del fatto che la legge del 1977 è stata adottata a fronte dell'atto del 1976 - riguardando quindi solamente i «rappresentanti presso il Parlamento europeo» - e che essa «colloca nello stesso capitolo III sia i requisiti di ineleggibilità sia le incompatibilità». Inoltre, tale argomento «subordinerebbe l'esistenza dell'art. 12 dell'atto del 1976 alle sole ipotesi previste dall'art. 6 (incompatibilità), negando a tale articolo qualsiasi autonomia nel dispositivo dell'atto del 1976».

63.
    Il Parlamento fa valere, in secondo luogo, che l'atto impugnato presenta natura puramente dichiarativa e che la situazione giuridica del ricorrente è stata modificata non da tale atto, bensì dal decreto 31 marzo 2000. Esso afferma di aver agito «nei limiti e nello stretto rispetto delle disposizioni nazionali, come prescritto dall'atto del 1976».

64.
    Il Parlamento eccepisce, peraltro, l'irricevibilità della domanda nella parte in cui chiede la condanna dell'istituzione al pagamento di FRF 50 000 a titolo di «spese irrecuperabili».

65.
    La Repubblica francese sostiene, in sostanza, la posizione del Parlamento, precisando che, con l'atto impugnato, l'istituzione si è limitata ad accertare l'esistenza di una situazione giuridica preesistente, risultante da una decisione esecutiva delle autorità francesi, vale a dire il decreto 31 marzo 2000. Tale atto non modificherebbe quindi, sotto alcun profilo, l'«ordinamento giuridico» applicabile nella specie.

66.
    La Repubblica francese aggiunge che la circostanza che le autorità francesi abbiano versato al ricorrente la retribuzione spettantegli sino al 24 ottobre 2000 non sarebbe pertinente nella specie.

67.
    Il ricorrente sostiene la ricevibilità del proprio ricorso.

68.
    In primo luogo, egli deduce che l'atto impugnato produce effetti giuridici obbligatori. Riprendendo pressoché letteralmente quanto accertato dal giudice dell'urgenza ai punti 63 e 64 della citata ordinanza Le Pen/Parlamento, egli sostiene, da un lato, che non può escludersi che il Parlamento disponga, quanto meno, del potere di verificare il rispetto della procedura prevista dalla legge nazionale applicabile nella specie nonché, eventualmente, dei diritti fondamentali dell'interessato e, dall'altro, che, per quanto il potere dell'istituzione debba essere inteso come potere vincolato, essa resti pur sempre obbligata a pronunciarsi nel rispetto dei requisiti fissati dal regolamento.

69.
    Il ricorrente sostiene, peraltro, che l'atto impugnato è definitivo e produttivo di effetti al di là della sfera puramente interna del Parlamento. Tale atto avrebbe avuto chiaramente ad oggetto, infatti, di dare attuazione alla decadenza del mandato del ricorrente e violerebbe i diritti civili e politici del medesimo «(...) pregiudicando la rappresentanza elettorale e falsando a posteriori il risultato delle elezioni». Nella replica, riprendendo gli accertamenti compiuti dal giudice dell'urgenza ai punti 66 e 67 della menzionata ordinanza Le Pen/Parlamento, il ricorrente deduce che l'atto impugnato ha prodotto effetti giuridici specifici per il ricorrente, con riguardo tanto allo svolgimento dei suoi compiti di parlamentare quanto alla sua situazione personale. Infatti, da un lato, la decadenza del mandato sarebbe divenuta effettiva non prima dell'emanazione dell'atto impugnato. Dall'altro, egli avrebbe beneficiato sino al 23 ottobre 2000 di tutte le indennità che il Parlamento europeo corrisponde normalmente ai propri membri e la retribuzione gli sarebbe stata versata dalle autorità francesi sino al 24 ottobre 2000.

70.
    In secondo luogo, il ricorrente contesta la fondatezza del motivo relativo all'«assenza di competenza comunitaria» in materia.

71.
    In primo luogo, il ricorrente fa valere che gli Stati membri non hanno il potere di far cessare unilateralmente e anticipatamente il mandato di un membro del Parlamento europeo «per motivi puramente nazionali», segnatamente a seguito di un «provvedimento di decadenza pronunciato nell'ambito dell'ordinamento giuridico strettamente nazionale». A suo parere, l'art. 5 della legge del 1977 sarebbe quindi illegittimo sotto un duplice profilo.

72.
    Da un lato, il detto articolo sarebbe contrario all'atto del 1976 nonché all'art. 8 del regolamento, i quali contemplerebbero, quali circostanze di cessazione anticipata del mandato, unicamente il decesso, le dimissioni e la nomina a funzioni incompatibili con l'esercizio del mandato stesso. In particolare, dal combinato disposto degli artt. 6, n. 3, e 12, n. 2, primo comma, dell'atto del 1976 emergerebbe che quest'ultima disposizione non riguarderebbe l'ipotesi dell'ineleggibilità, bensì unicamente quella dell'incompatibilità sopravvenuta nel corso del mandato.

73.
    Dall'altro, l'art. 5 della legge del 1977, ove il ruolo del Parlamento europeo nell'ambito del procedimento di decadenza di uno dei propri membri venisse interpretato quale ipotesi di potere puramente vincolato, pregiudicherebbe l'indipendenza dell'istituzione e costituirebbe un'inammissibile ingerenza nel suo funzionamento.

74.
    A parere del ricorrente, da tali considerazioni emergerebbe che l'applicazione dell'art. 5 della legge del 1977 deve essere respinta e che il Parlamento non potrebbe limitarsi a prendere atto del decreto 31 marzo 2000. A sostegno di quest'ultima conclusione, il ricorrente si richiama parimenti al tenore degli artt. 7, n. 4, secondo comma, e 8, n. 9, del regolamento.

75.
    In secondo luogo, il ricorrente sostiene che esiste «un principio giuridico generale tratto dal diritto comune degli Stati membri sulla base del quale la decadenza deve essere pronunciata dall'Assemblea parlamentare interessata».

76.
    In terzo luogo, il ricorrente si richiama al principio fondamentale del primato dell'ordinamento giuridico comunitario.

Giudizio del Tribunale

77.
    Si deve ricordare che, secondo costante giurisprudenza, possono costituire oggetto di azione di annullamento ai sensi dell'art. 230 CE solamente i provvedimenti destinati a produrre effetti giuridici vincolanti idonei a incidere sugli interessi di chi li impugna, modificando in misura rilevante la situazione giuridica del medesimo (sentenza della Corte 11 novembre 1981, causa 60/81, IBM/Commissione, Racc. pag. 2639, punto 9, e sentenza del Tribunale 4 marzo 1999, causa T-87/96, Assicurazioni Generali e Unicredito/Commissione, Racc. pag. II-203, punto 37). In tal senso, possono essere impugnate con un ricorso d'annullamento tutte le disposizioni adottate dalle istituzioni, indipendentemente dalla loro natura e forma, che mirino a produrre effetti giuridici (sentenza della Corte 31 marzo 1971, causa 22/70, Commissione/Consiglio, Racc. pag. 263, punto 42).

78.
    Nella specie, l'atto impugnato è costituito dalla dichiarazione effettuata dalla Presidente del Parlamento nella seduta plenaria del 23 ottobre 2000, secondo la quale «(...) conformemente all'articolo 12, paragrafo 2, dell'[atto del 1976] il Parlamento (...) prende atto della notifica del governo francese constatando la decadenza del mandato [del ricorrente]».

79.
    Occorre quindi esaminare se tale dichiarazione abbia prodotto effetti giuridici obbligatori idonei ad incidere sugli interessi del ricorrente, modificando in misura rilevante la situazione giuridica del medesimo.

80.
    Occorre rammentare, a tale riguardo, il contesto giuridico nel quale tale dichiarazione si colloca.

81.
    E' pacifico che, all'epoca dei fatti, non era stata emanata alcuna procedura elettorale uniforme per l'elezione dei membri del Parlamento europeo.

82.
    Pertanto, ai sensi dell'art. 7, n. 2, dell'atto del 1976, la procedura elettorale relativa a tale elezione restava disciplinata, in ogni singolo Stato membro, dalla rispettiva legge nazionale.

83.
    In tal senso, emerge segnatamente dal tenore dell'art. 12, n. 2, primo comma, dell'atto del 1976 che «dall'applicazione delle disposizioni nazionali in vigore in uno Stato membro» può derivare la vacanza del seggio di un membro del Parlamento europeo.

84.
    La Francia ha dato attuazione all'atto del 1976 mediante l'emanazione, in particolare, della legge del 1977. L'art. 2 di tale legge prevede che l'elezione dei membri del Parlamento europeo è disciplinata dal «titolo I del libro I del codice elettorale e dalle disposizioni dei capitoli seguenti». L'art. 5 della legge medesima, collocata nel capitolo III, intitolato «Requisiti di eleggibilità e di ineleggibilità, incompatibilità», dispone in particolare che «all'elezione dei [membri del Parlamento europeo] si applicano gli artt. da LO 127 a LO 130-1 del codice elettorale», che «[l]'ineleggibilità, qualora si verifichi nel corso del mandato, pone fine al medesimo» e che «l'accertamento dell'inelegibilità è effettuato mediante decreto».

85.
    L'art. 12, n. 2, dell'atto del 1976 distingue due ipotesi per quanto attiene la vacanza di seggio dei membri del Parlamento europeo.

86.
    La prima ipotesi è contemplata dal primo comma della detta disposizione e riguarda i casi in cui la vacanza risulti «dall'applicazione delle disposizioni nazionali». La seconda ipotesi, di cui al successivo secondo comma, riguarda «tutti gli altri casi».

87.
    Si deve rilevare, a tale riguardo, che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la prima ipotesi non si limita affatto ai casi d'incompatibilità previsti dall'art. 6 dell'atto del 1976, bensì include parimenti i casi di ineleggibilità. Certamente, l'art. 6, n. 3, dell'atto del 1976 afferma che i membri del Parlamento europeo ai quali sono applicabili «i paragrafi 1 e 2» sono sostituiti «conformemente all'articolo 12», ma da tale rinvio non si può dedurre che quest'ultimo articolo riguardi unicamente i casi d'incompatibilità contemplati dall'art. 6, nn. 1 e 2. Si deve necessariamente rilevare, peraltro, che il detto art. 12 non fa alcun riferimento alla nozione di «incompatibilità», bensì utilizza la nozione ben più ampia di «vacanza [del seggio]».

88.
    Nella prima ipotesi prevista dall'art. 12, n. 2, dell'atto del 1976, il ruolo del Parlamento si limita a «prendere atto» della vacanza del seggio dell'interessato. Nella seconda ipotesi, che ricomprende, ad esempio, l'ipotesi di dimissioni di uno dei suoi membri, il Parlamento «constata la vacanza e ne informa lo Stato membro».

89.
    Nella specie, atteso che l'atto impugnato è stato emanato in applicazione dell'art. 12, n. 2, secondo comma, dell'atto del 1976, occorre determinare la portata dell'operazione consistente nel «prendere atto» di cui alla menzionata disposizione.

90.
    Si deve sottolineare, a tale riguardo, che l'operazione consistente nel «prendere atto» si ricollega non alla decadenza del mandato dell'interessato, bensì al semplice fatto che il seggio è divenuto vacante a seguito dell'applicazione di disposizioni nazionali. In altri termini, il ruolo del Parlamento non consiste affatto nel «dare attuazione» alla decadenza del mandato, come sostiene il ricorrente, bensì si limita a prendere atto dell'accertamento, già operato dalle autorità nazionali, della vacanza del seggio, vale a dire di una situazione giuridica preesistente e risultante esclusivamente da una decisione di tali autorità.

91.
    Il potere di verifica di cui il Parlamento dispone in tale contesto è particolarmente ristretto. Esso si riduce, sostanzialmente, a un controllo dell'esattezza materiale della vacanza del seggio dell'interessato. Non spetta, in particolare, al Parlamento, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, verificare il rispetto della procedura prevista dalla pertinente normativa nazionale o dei diritti fondamentali dell'interessato. Tale potere spetta, infatti, esclusivamente ai giudici nazionali competenti o, eventualmente, alla Corte europea per i diritti dell'uomo. Si deve d'altronde rammentare al riguardo che, nella specie, il ricorrente ha fatto valere i propri diritti sia dinanzi al Conseil d'État francese, sia dinanzi alla Corte europea per i diritti dell'uomo. Si deve parimenti sottolineare che il Parlamento stesso non ha mai preteso, né nelle proprie memorie né all'udienza, di disporre di un potere di verifica così ampio come sostenuto dal ricorrente.

92.
    Va aggiunto che, ove il potere di verifica del Parlamento nell'ambito dell'art. 12, n. 2, primo comma, dell'atto del 1976 venisse inteso in senso così ampio, ciò implicherebbe la possibilità per l'istituzione medesima di rimettere in discussione la regolarità stessa della decadenza pronunciata dalle autorità nazionali, rifiutandosi di prendere atto della vacanza di un seggio qualora ritenesse di essere in presenza di un'irregolarità. Orbene, solamente l'art. 8, n. 9, del regolamento prevede la possibilità, per il Parlamento, di negare la vacanza di un seggio, vale a dire unicamente nell'ipotesi in cui l'istituzione sia chiamata a «constatare» la vacanza e sussistano «inesattezze materiali» o «vizi del consenso». Sarebbe paradossale che il Parlamento disponesse di un margine di discrezionalità più ampio quando si tratti di prendere semplicemente atto della vacanza di un seggio accertata dalle autorità nazionali rispetto all'ipotesi in cui il Parlamento stesso accerti la vacanza di un seggio.

93.
    Tale conclusione non si pone minimamente in contrasto con il tenore dell'art. 7, n. 4, secondo comma, del regolamento. Come correttamente sottolineato dal Parlamento e dalla Repubblica francese, tale disposizione si applica «a monte della decadenza» e, quindi, della vacanza del seggio. Essa prevede, infatti, il deferimento della questione, da parte del presidente del Parlamento, alla commissione competente «nel caso in cui le autorità competenti degli Stati membri avviino una procedura suscettibile di portare a una dichiarazione di decadenza del mandato di un [membro del Parlamento europeo]». Una volta concluso tale procedimento e accertata, da parte delle autorità competenti, la vacanza del seggio dell'interessato, al Parlamento non compete altro che prendere atto della vacanza medesima, ai sensi del disposto dell'art. 12, n. 2, primo comma, dell'atto del 1976. In ogni caso, conformemente al principio della gerarchia delle norme, una disposizione del regolamento non può derogare alle disposizioni dell'atto del 1976, conferendo al Parlamento poteri più ampi di quelli attribuitigli da quest'ultimo.

94.
    Tale conclusione non può essere nemmeno rimessa in discussione dal fatto che, sino al 23 ottobre 2000, il ricorrente ha continuato ad occupare il seggio nel Parlamento nonché a beneficiare delle indennità a favore del medesimo e che, sino al 24 ottobre 2000, le autorità francesi gli hanno corrisposto la retribuzione. E' infatti pacifico, inter partes, che il decreto 31 marzo 2000 era esecutivo. La circostanza che il Parlamento non abbia preso atto di tale decreto sin dalla sua notifica da parte delle autorità francesi, ma l'abbia fatto successivamente e il fatto che ne siano derivate talune conseguenze pratiche per il ricorrente non possono incidere sugli effetti giuridici di tale decreto che, ai sensi dell'art. 12, n. 2, dell'atto del 1976, si ricollegano a tale notificazione.

95.
    Quanto agli argomenti del ricorrente secondo cui, da un lato, l'art. 5 della legge del 1977 pregiudicherebbe l'indipendenza del Parlamento e costituirebbe un'inammissibile ingerenza nel suo funzionamento e, dall'altro, esisterebbe un principio generale in base al quale «la decadenza dev'essere pronunciata dall'assemblea parlamentare interessata», entrambi risultano infondati. Infatti, come già rilevato supra al punto 83, dall'art. 12, n. 2, primo comma, dell'atto del 1976 emerge espressamente che un seggio di membro del Parlamento europeo può divenire vacante a seguito dell'«applicazione delle disposizioni nazionali in vigore in uno Stato membro». Non essendo stata adottata, all'epoca dei fatti, alcuna procedura elettorale uniforme, tale disposizione e, conseguentemente, la legge del 1977 erano pienamente applicabili. Quale che sia l'evoluzione dei poteri del Parlamento, nuovi poteri non possono implicare l'inapplicabilità di disposizioni del diritto primario, tra cui l'atto del 1976, in assenza di abrogazione espressa operata da una norma di pari rango.

96.
    Per gli stessi motivi, l'argomento del ricorrente relativo al primato del diritto comunitario è privo di qualsiasi pertinenza. Non esiste, infatti, nella specie, alcuna contraddizione né conflitto tra il diritto nazionale e il diritto comunitario.

97.
    Da tutte le suesposte considerazioni emerge che il provvedimento che, nella specie, ha prodotto effetti giuridici obbligatori idonei ad arrecare pregiudizio agli interessi del ricorrente è il decreto 31 marzo 2000. L'atto impugnato non era quindi destinato a produrre effetti giuridici propri, distinti da quelli di tale decreto.

98.
    Si deve quindi concludere che l'atto impugnato non può costituire oggetto di ricorso di annullamento ai sensi dell'art. 230 CE. Il presente ricorso dev'essere pertanto dichiarato irricevibile, senza necessità di esaminare gli altri motivi ed argomenti relativi alla ricevibilità.

Sulle spese

99.
    Ai sensi dell'art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Nella fattispecie, il ricorrente è rimasto soccombente e deve essere quindi condannato alle spese della causa, comprese quelle relative al procedimento sommario, conformemente alla domanda del Parlamento.

100.
    Ai sensi dell'art. 87, n. 4, del regolamento di procedura, la Repubblica francese sopporterà le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)    Il ricorso è dichiarato irricevibile.

2)    Il ricorrente sopporterà le proprie spese nonché quelle sostenute dal Parlamento sia nella causa principale sia nel procedimento sommario.

3)    La Repubblica francese sopporterà le proprie spese.

Cooke
García-Valdecasas
Lindh

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 10 aprile 2003.

Il cancelliere

Il presidente

H. Jung

J.D. Cooke


1: Lingua processuale: il francese.