Language of document : ECLI:EU:T:2005:332

Causa T‑315/01

Yassin Abdullah Kadi

contro

Consiglio dell’Unione europea e Commissione delle Comunità europee

«Politica estera e di sicurezza comune — Misure restrittive nei confronti di persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai talibani — Competenza della Comunità — Congelamento dei capitali — Diritti fondamentali — Ius cogens — Sindacato giurisdizionale — Ricorso di annullamento»

Massime della sentenza

1.      Procedura — Regolamento che sostituisce nel corso del giudizio il regolamento impugnato — Elemento nuovo — Estensione delle conclusioni e dei motivi iniziali

2.      Atti delle istituzioni — Scelta del fondamento normativo — Regolamento che istituisce sanzioni nei confronti di determinate persone ed entità che non presentano alcun legame con un paese terzo — Artt. 60 CE, 301 CE e 308 CE, in combinato disposto — Ammissibilità

[Artt. 60 CE, 301 CE e 308 CE; art. 3 UE; regolamento (CE) del Consiglio n. 881/2002]

3.      Libera circolazione dei capitali e libertà dei pagamenti — Restrizioni — Misure nazionali intese a lottare contro il terrorismo internazionale che impongono a tal fine sanzioni economiche e finanziarie nei confronti di singoli che non presentano alcun legame con un paese terzo — Ammissibilità — Presupposti

(Art. 58 CE)

4.      Diritto internazionale pubblico — Carta delle Nazioni Unite — Decisioni del Consiglio di Sicurezza — Obblighi che ne risultano per gli Stati membri — Preminenza sul diritto nazionale e sul diritto comunitario — Obblighi risultanti da tale Carta — Carattere vincolante per la Comunità

5.      Comunità europee — Sindacato giurisdizionale della legittimità degli atti delle istituzioni — Atto che dà esecuzione a risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite — Controllo incidentale della legittimità delle decisioni del Consiglio di Sicurezza — Controllo effettuato alla luce del diritto comunitario — Esclusione — Controllo effettuato alla luce dello ius cogens — Ammissibilità

(Artt. 5 CE, 10 CE, 230 CE, 297 CE, 307, primo comma, CE; art. 5 UE; regolamento del Consiglio n. 881/2002)

6.      Comunità europee — Sindacato giurisdizionale della legittimità degli atti delle istituzioni — Atto che dà esecuzione a risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite — Regolamento n. 881/2002 — Specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai talibani — Diritti fondamentali degli interessati — Congelamento dei capitali — Controllo effettuato alla luce dello ius cogens — Diritto di proprietà dell’interessato — Principio di proporzionalità — Inosservanza — Insussistenza

[Regolamento del Consiglio n. 881/2002, come modificato dal regolamento (CE) del Consiglio n. 561/2003]

7.      Comunità europee — Sindacato giurisdizionale della legittimità degli atti delle istituzioni — Atto che dà esecuzione a risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite — Regolamento n. 881/2002 — Specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai talibani — Diritto dell’interessato ad essere sentito — Inosservanza — Insussistenza

(Regolamento del Consiglio n. 881/2002)

8.      Ricorso di annullamento — Atto comunitario che dà esecuzione a risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite — Regolamento n. 881/2002 — Specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai talibani — Sindacato giurisdizionale — Limiti — Lacuna nella tutela giurisdizionale del ricorrente — Controllo effettuato alla luce dello ius cogens — Diritto ad un rimedio giurisdizionale efficace — Inosservanza — Insussistenza

(Art. 226 CE; regolamento del Consiglio n. 881/2002)

1.      Nell’ambito di un ricorso di annullamento, allorché un regolamento che riguarda direttamente e individualmente un privato è sostituito, in corso di giudizio, da un regolamento che ha il medesimo oggetto, quest’ultimo va considerato un elemento nuovo che consente al ricorrente di adeguare le sue conclusioni e i suoi motivi. Sarebbe, infatti, in contrasto col principio di sana amministrazione della giustizia e con quello dell’economia processuale costringere il ricorrente a proporre un nuovo ricorso. Sarebbe inoltre ingiusto che l’istituzione in questione, per far fronte alle critiche contenute in un ricorso presentato al giudice comunitario contro un regolamento, possa adeguare il regolamento impugnato o sostituirgliene un altro e valersi, in corso di causa, di tale modifica o di tale sostituzione per privare la controparte della possibilità di estendere le sue conclusioni e le sue difese iniziali all’ulteriore regolamento o di presentare ulteriori conclusioni o difese contro di esso.

(v. punti 53-54)

2.      Gli artt. 60 CE e 301 CE non costituiscono, da soli, un fondamento normativo sufficiente per adottare un regolamento comunitario volto alla lotta contro il terrorismo internazionale e all’imposizione, a tal fine, di sanzioni economiche e finanziarie, quali il congelamento dei capitali, nei confronti di singoli senza che sussista un qualche legame tra tali singoli e un paese terzo.

Del pari, l’art. 308 CE non costituisce, da solo, un fondamento normativo sufficiente per consentire l’adozione di un regolamento siffatto. Se è vero che nessuna disposizione del Trattato attribuisce alle istituzioni comunitarie la competenza necessaria per l’imposizione di sanzioni riguardanti individui o entità che non presentano alcun legame con un paese terzo, la lotta contro il terrorismo internazionale e, in particolare, l’imposizione di sanzioni economiche e finanziarie nei confronti di individui ed entità sospettati di contribuire al suo finanziamento non può essere ricollegata ad alcun obiettivo esplicitamente assegnato alla Comunità dagli artt. 2 CE e 3 CE. Inoltre, dal preambolo del Trattato CE non emerge affatto che quest’ultimo persegua un obiettivo più vasto di difesa della pace e della sicurezza internazionale. Esso attiene esclusivamente agli obiettivi del Trattato UE. Se certamente si può affermare che tale obiettivo dell’Unione deve ispirare l’azione della Comunità nel settore delle sue competenze, ciò non basta, invece, a fondare l’adozione di misure ai sensi dell’art. 308 CE. Infine, non si può interpretare l’art. 308 CE nel senso che esso autorizza in modo generale le istituzioni a fondarsi su tale articolo per realizzare un obiettivo del Trattato UE.

Alla luce di quanto precede il Consiglio era competente, sul fondamento costituito dal combinato disposto degli artt. 60 CE, 301 CE e 308 CE, ad adottare il regolamento impugnato n. 881/2002, che impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai talibani, il quale attua nella Comunità le sanzioni economiche e finanziarie previste dalla posizione comune 2002/402, in assenza di qualsiasi legame tra il territorio o il regime dirigente di un paese terzo.

In tale contesto, infatti, occorre tener conto del collegamento specificamente creato, in occasione della revisione risultante dal Trattato di Maastricht, tra le azioni della Comunità che comportano sanzioni economiche ai sensi degli artt. 60 CE e 301 CE e gli obiettivi del Trattato UE in materia di relazioni esterne. Al riguardo, gli artt. 60 CE e 301 CE sono disposizioni assolutamente particolari del Trattato CE poiché prevedono espressamente che un’azione della Comunità possa risultare necessaria per realizzare non uno degli obiettivi della Comunità, determinati dal Trattato CE, ma uno degli obiettivi specificamente assegnati all’Unione dall’art. 2 UE, ossia l’attuazione di una politica estera e di sicurezza comune. Così, quando i poteri in materia di sanzioni economiche e finanziarie previsti dagli artt. 60 CE e 301 CE, ossia l’interruzione o la riduzione delle relazioni economiche con uno o più paesi terzi, in particolare per quanto attiene ai movimenti di capitali e ai pagamenti, si rivelano insufficienti per consentire alle istituzioni di raggiungere l’obiettivo della PESC, il ricorso al fondamento normativo supplementare costituito dall’art. 308 CE si giustifica, nel particolare contesto considerato da tali due articoli, in nome dell’esigenza di coerenza di cui all’art. 3 UE. Il ricorso al cumulo dei fondamenti normativi costituito dagli artt. 60 CE, 301 CE e 308 CE consente così di realizzare, in materia di sanzioni economiche e finanziarie, l’obiettivo perseguito nell’ambito della PESC dall’Unione e dai suoi Stati membri, espresso in una posizione comune o in un’azione comune, nonostante manchi un’espressa attribuzione alla Comunità dei poteri di imporre sanzioni economiche e finanziarie nei confronti di individui o entità che non hanno legami sufficienti con un paese terzo determinato.

(v. punti 96-97, 100, 116, 118-121, 123-124, 127-128, 130, 135)

3.      La Comunità non ha alcuna competenza esplicita ad imporre restrizioni ai movimenti di capitali e ai pagamenti. L’art. 58 CE consente invece che gli Stati membri adottino misure aventi un tale effetto nei limiti in cui ciò sia e rimanga giustificato per raggiungere gli obiettivi di cui a tale norma e, in particolare, per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza. Dato che la nozione di sicurezza pubblica ricomprende sia la sicurezza interna sia la sicurezza esterna dello Stato, gli Stati membri sarebbero dunque legittimati in via di principio ad adottare, ai sensi dell’art. 58, n. 1, lett. b), CE, misure volte alla lotta contro il terrorismo internazionale e all’imposizione a tal fine di sanzioni economiche e finanziarie, quali il congelamento dei capitali, nei confronti di singoli, senza stabilire un qualche legame con il territorio o con il regime dirigente di un paese terzo. Purché siano conformi all’art. 58, n. 3, CE e non oltrepassino quanto necessario per raggiungere l’obiettivo prefissato, tali misure sarebbero compatibili con il regime di libera circolazione dei capitali e dei pagamenti istituito dal Trattato CE.

(v. punto 110)

4.      Dal punto di vista del diritto internazionale, gli obblighi degli Stati membri dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) ai sensi della Carta delle Nazioni Unite prevalgono incontestabilmente su qualsiasi altro obbligo di diritto interno o di diritto internazionale pattizio, ivi compreso, per quelli tra di essi che sono membri del Consiglio d’Europa, sugli obblighi derivanti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e, per quelli tra di essi che sono anche membri della Comunità, sui loro obblighi derivanti dal Trattato CE. Tale prevalenza si estende alle decisioni contenute in una risoluzione del Consiglio di Sicurezza, a norma dell’art. 25 della Carta delle Nazioni Unite, ai termini del quale i membri dell’ONU convengono di accettare e di eseguire le decisioni del Consiglio di Sicurezza.

Pur non essendo membro delle Nazioni Unite, la Comunità deve essere considerata vincolata agli obblighi derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite, alla stessa stregua dei suoi Stati membri, in base allo stesso Trattato che la istituisce. Da un lato, che essa non può violare gli obblighi incombenti ai propri Stati membri in forza della detta Carta né ostacolare la loro esecuzione. Dall’altro, essa è tenuta, a norma del suo stesso Trattato istitutivo, ad adottare, nell’esercizio delle proprie competenze, tutte le disposizioni necessarie per consentire ai propri Stati membri di conformarsi a tali obblighi.

(v. punti 181, 184, 192-193, 204)

5.      Il regolamento n. 881/2002, che impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai talibani, adottato alla luce della posizione comune 2002/402, costituisce l’attuazione, a livello comunitario, dell’obbligo che incombe agli Stati membri, in quanto membri dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), di dare esecuzione, eventualmente mediante un atto comunitario, alle sanzioni contro Osama bin Laden, la rete Al-Qaeda, i talibani e altre persone, gruppi, imprese ed entità associati, che sono state decise e poi inasprite da varie risoluzioni del Consiglio di Sicurezza adottate in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite.

In questo contesto, le istituzioni comunitarie hanno agito in base ad una competenza vincolata, sicché esse non disponevano di alcun margine di discrezionalità autonomo. In particolare, esse non potevano né modificare direttamente il contenuto delle risoluzioni di cui trattasi né prevedere un meccanismo che potesse dar luogo ad una modifica del genere. Qualsiasi controllo della legittimità interna del regolamento n. 881/2002 implicherebbe dunque la verifica da parte del Tribunale, in via incidentale, della legittimità delle dette risoluzioni.

Orbene, alla luce del principio della preminenza del diritto dell’ONU sul diritto comunitario, l’affermazione di una competenza del Tribunale a controllare in via incidentale la legittimità delle decisioni del Consiglio di Sicurezza in base allo standard di tutela dei diritti fondamentali riconosciuti nell’ordinamento giuridico comunitario non può giustificarsi né sulla base del diritto internazionale né sulla base del diritto comunitario. Infatti, da un lato, una competenza del genere sarebbe incompatibile con gli impegni assunti dagli Stati membri in base alla Carta delle Nazioni Unite, in particolare ai suoi artt. 25, 48 e 103, nonché con l’art. 27 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati. Dall’altro, essa sarebbe contraria sia alle disposizioni del Trattato CE, in particolare agli artt. 5 CE, 10 CE, 297 CE e 307, primo comma, CE, sia a quelle del Trattato UE, in particolare all’art. 5 UE. Essa sarebbe, inoltre, incompatibile con il principio secondo il quale le competenze della Comunità e, pertanto, quelle del Tribunale devono venir esercitate nel rispetto del diritto internazionale.

Le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza adottate in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite si sottraggono quindi, in via di principio, al sindacato giurisdizionale del Tribunale e quest’ultimo non ha il potere di rimettere in causa, seppur in via incidentale, la loro legittimità alla luce del diritto comunitario. Al contrario, il Tribunale è tenuto, per quanto possibile, ad interpretare e applicare tale diritto in modo che sia compatibile con gli obblighi degli Stati membri derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite.

Il Tribunale ha tuttavia il potere di controllare, in via incidentale, la legittimità delle risoluzioni di cui trattasi alla luce dello ius cogens, inteso come un ordinamento pubblico internazionale che s’impone nei confronti di tutti i soggetti del diritto internazionale, compresi gli organi dell’ONU, e al quale non è possibile derogare.

(v. punti 213-215, 221-223, 225-226)

6.      Il congelamento dei capitali previsto dal regolamento n. 881/2002, che impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai talibani, come modificato dal regolamento n. 561/2003, e, indirettamente, dalle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza attuate da tali regolamenti, non viola i diritti fondamentali degli interessati, alla luce dello standard di tutela universale dei diritti fondamentali della persona umana appartenenti allo ius cogens.

In proposito, le espresse possibilità di esenzioni e di deroghe che accompagnano il congelamento dei capitali delle persone iscritte nell’elenco del comitato per le sanzioni dimostrano chiaramente che tale misura non ha né lo scopo né l’effetto di assoggettare tali persone ad un trattamento disumano o degradante.

Inoltre, nei limiti in cui il diritto alla proprietà privata debba essere considerato facente parte delle norme imperative del diritto internazionale generale, solo una privazione arbitraria di tale diritto potrebbe, in ogni caso, essere considerata contraria allo ius cogens. Orbene, tale non è il caso nella fattispecie.

Infatti, in primo luogo, il congelamento dei loro capitali è un aspetto delle sanzioni decise dal Consiglio di Sicurezza contro Osama bin Laden, la rete Al‑Qaeda, i talibani e altre persone, gruppi, imprese ed entità associati, in considerazione dell’importanza della lotta contro il terrorismo internazionale e della legittimità di una tutela delle Nazioni Unite contro gli intrighi di organizzazioni terroristiche. In secondo luogo, il congelamento dei capitali è una misura cautelare che, a differenza di una confisca, non lede la sostanza stessa del diritto di proprietà degli interessati sulle loro disponibilità finanziarie, ma soltanto il relativo utilizzo. In terzo luogo, le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza prevedono un meccanismo di riesame periodico del regime generale delle sanzioni. Infine, la normativa di cui trattasi predispone una procedura che consente agli interessati di sottoporre in qualsiasi momento il loro caso al comitato per le sanzioni ai fini di un riesame, attraverso l’intermediazione dello Stato membro di loro nazionalità o di loro residenza.

Tenuto conto di tali circostanze, il congelamento dei capitali delle persone ed entità sospettate, in base alle informazioni comunicate dagli Stati membri delle Nazioni Unite e controllate dal Consiglio di Sicurezza, di essere legate ad Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai talibani e di avere partecipato al finanziamento, alla pianificazione, alla preparazione o all’esecuzione di atti terroristici non può passare per una lesione arbitraria, inadeguata o sproporzionata dei diritti fondamentali degli interessati.

(v. punti 238, 240, 242-245, 248-251)

7.      Né il Consiglio, in relazione all’adozione del regolamento n. 881/2002, che impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai talibani, né il comitato per le sanzioni, in relazione all’iscrizione dell’interessato nell’elenco delle persone i cui capitali devono essere congelati in esecuzione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza attuate da tale regolamento, hanno violato il diritto dell’interessato ad essere sentito.

Infatti, in primo luogo, il Consiglio non era tenuto ad ascoltare l’interessato circa il fatto che il suo nome continuava a figurare nell’elenco delle persone ed entità colpite dalle sanzioni, nel contesto dell’adozione e dell’attuazione del regolamento di cui trattasi, poiché le istituzioni comunitarie non disponevano di alcun margine di discrezionalità nel recepire nell’ordinamento giuridico comunitario risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e decisioni del comitato per le sanzioni, cosicché un’audizione dell’interessato non avrebbe potuto in nessun caso portare l’istituzione a rivedere la propria posizione.

In secondo luogo, il diritto dell’interessato di essere ascoltato dal comitato per le sanzioni in relazione alla sua iscrizione nell’elenco delle persone sospettate di contribuire al finanziamento del terrorismo internazionale i cui capitali devono essere congelati in esecuzione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza non è previsto dalle risoluzioni di cui trattasi. In particolare, in una situazione in cui si controverte di misure cautelari che limitano la disponibilità dei beni dell’interessato, il rispetto dei diritti fondamentali di quest’ultimo non esige che i fatti e gli elementi di prova ritenuti a suo carico gli siano comunicati, quando il Consiglio di Sicurezza o il suo comitato per le sanzioni ritengono che vi ostino motivi riguardanti la sicurezza e della comunità internazionale.

(v. punti 258-259, 261, 274, 276)

8.      Nell’ambito di un ricorso di annullamento proposto contro il regolamento n. 881/2002, che impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai talibani, il Tribunale esercita un controllo completo sulla legittimità del detto regolamento per quanto attiene al rispetto, da parte delle istituzioni comunitarie, delle norme di competenza nonché delle norme di legittimità esterna e delle forme sostanziali imposte al loro operato. Il Tribunale controlla parimenti la legittimità del regolamento alla luce delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che tale regolamento deve attuare, segnatamente sotto il profilo dell’adeguatezza formale e sostanziale, della coerenza interna e della proporzionalità del primo rispetto alle seconde. Inoltre, esso controlla la legittimità del detto regolamento e, indirettamente, la legittimità delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza di cui trattasi, alla luce delle norme superiori del diritto internazionale appartenenti allo ius cogens, segnatamente delle norme imperative sulla tutela universale dei diritti della persona umana.

Per contro, non spetta al Tribunale controllare indirettamente la conformità delle stesse controverse risoluzioni del Consiglio di Sicurezza ai diritti fondamentali tutelati dall’ordinamento giuridico comunitario. Al Tribunale non spetta neanche verificare l’assenza di errori di valutazione dei fatti e degli elementi di prova che il Consiglio ha considerato a sostegno delle misure adottate né, fatto salvo l’ambito limitato del controllo effettuato alla luce dello ius cogens, controllare indirettamente l’opportunità e la proporzionalità di tali misure. In tali limiti, i ricorrenti non dispongono di alcun rimedio giurisdizionale, poiché il Consiglio di Sicurezza non ha ritenuto opportuno individuare un giudice internazionale indipendente con il compito di decidere, in diritto e in fatto, dei ricorsi diretti contro le decisioni individuali adottate dal comitato per le sanzioni.

Tuttavia, tale lacuna nella tutela giurisdizionale del ricorrente non è di per sé contraria allo ius cogens. Infatti, il diritto di adire un giudice non è assoluto. La limitazione del diritto del ricorrente di adire un giudice, derivante dall’immunità di giurisdizione di cui godono, in via di principio, le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza adottate ai sensi del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, è inerente a tale diritto, garantito dallo ius cogens. L’interesse del ricorrente a ottenere che un giudice esamini nel merito la sua causa non è sufficiente a prevalere sull’interesse generale fondamentale a che la pace e la sicurezza internazionale siano mantenute a fronte di una minaccia chiaramente identificata dal Consiglio di Sicurezza, conformemente alle disposizioni della Carta delle Nazioni Unite. Non è pertanto violato il diritto del ricorrente ad un rimedio giurisdizionale effettivo.

(v. punti 279-280, 282-289, 291)