Language of document : ECLI:EU:C:2024:367

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NICHOLAS EMILIOU

presentate il 25 aprile 2024 (1)

Causa C646/22

Compass Banca SpA

contro

Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato,

con l’intervento di:

Metlife Europe Dac,

Metlife Europe Insurance Dac,

Europ Assistance Italia SpA

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Consiglio di Stato (Italia)]

«Rinvio pregiudiziale – Tutela dei consumatori – Direttiva 2005/29/CE – Articolo 2, lettere d), e) e j), e articoli 5, 6, 8 e 9 – Pratiche sleali tra imprese e consumatori – Divieto – Nozione di “pratica commerciale aggressiva” – Vendita abbinata di prodotti di finanziamento e prodotti assicurativi non connessi – Mancanza di uno spazio temporale tra la firma dei due contratti – Valutazione caso per caso del carattere “aggressivo” della pratica – Nozione di “consumatore medio” – Significato di “normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto” – Direttiva (UE) 2016/97 – Articolo 24 – Decisione dell’autorità amministrativa di imporre un intervallo di sette giorni tra le firme dei due contratti – Assenza di un qualsivoglia contrasto con detta disposizione»






I.      Introduzione

1.        «Secondo la pura logica liberale le persone sono libere, uguali e adulte quanto basta per potersi accordare senza che lo Stato se ne impicci. (...) La legge però tiene conto della realtà, e del fatto che nella realtà le parti [di un contratto di mutuo] non sono davvero libere e uguali come nella teoria liberale» (2).

2.        Molti dei testi di legge adottati dal legislatore UE nell’ambito della tutela dei consumatori traggono origine dalla medesima, semplice osservazione: non vi è, di norma, parità delle armi tra le parti di un contratto stipulato con i consumatori, in particolare tra le parti di un rapporto debitore-creditore. Per tale ragione si rende necessario un «livello elevato» di protezione dei consumatori.

3.        La direttiva 2005/29/CE (3), il cui scopo consiste nel tutelare i consumatori dalle conseguenze delle pratiche commerciali «sleali», che sono quelle «il cui intento diretto è quello di influenzare le [loro] decisioni di natura commerciale (...) relative a prodotti» (4), non fa eccezione a detto principio generale. Essa mira, infatti, a conseguire «un elevato livello comune di tutela dei consumatori» (5) vietando tali pratiche commerciali «sleali», in particolare quando sono «ingannevoli» o «aggressive» (6).

4.        La controversia oggetto del procedimento principale verte su una pratica commerciale attuata dalla Compass Banca SpA (in prosieguo: la «Compass Banca»), parte ricorrente in detto procedimento. Tale pratica consiste nella vendita di una polizza assicurativa ai clienti che sono già in fase di trattativa con detta società per la concessione di un prestito personale. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Italia; in prosieguo: l’«AGCM»), resistente nel procedimento principale, ritiene che i clienti siano sostanzialmente «indotti a stipulare» la polizza assicurativa. A tal riguardo, essa rileva che il prodotto creditizio e la polizza assicurativa sono proposti contemporaneamente e i contratti relativi a detti rispettivi prodotti sono sottoscritti dai clienti nello stesso momento. Inoltre, la polizza assicurativa fornisce una copertura per eventi personali che, benché scollegati dal contratto di finanziamento in sé, potrebbero (qualora si concretizzassero) ledere la capacità dei clienti di rimborsare il prestito – eventualità, questa, che influirebbe sulla loro decisione di acquistare la polizza assicurativa.

5.        La presente causa offre alla Corte l’occasione di chiarire a quali condizioni una siffatta pratica commerciale di vendita abbinata possa essere considerata «aggressiva» e, quindi, «sleale» ai sensi della direttiva 2005/29. Essa invita altresì la Corte a sviluppare più ampie riflessioni sulla nozione di «consumatore medio», che gli Stati membri e i rispettivi giudici o autorità competenti sono tenuti, in base a detta direttiva, a utilizzare come parametro di riferimento.

II.    Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione europea

6.        L’articolo 2 della direttiva 2005/29, rubricato «Definizioni», così dispone:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

(…)

e)      “falsare in misura rilevante il comportamento economico dei consumatori”: l’impiego di una pratica commerciale idonea ad alterare sensibilmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole, inducendolo pertanto ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso;

(…)

j)      “indebito condizionamento”: lo sfruttamento di una posizione di potere rispetto al consumatore per esercitare una pressione, anche senza il ricorso alla forza fisica o la minaccia di tale ricorso, in modo da limitare notevolmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole;

(…)».

7.        L’articolo 5 di detta direttiva, recante il titolo «Divieto delle pratiche commerciali sleali», è così formulato:

«1.      Le pratiche commerciali sleali sono vietate.

2.      Una pratica commerciale è sleale se:

a)      è contraria alle norme di diligenza professionale,

e

b)      falsa o è idonea a falsare in misura rilevante il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori.

(…)».

8.        L’articolo 8 della direttiva 2005/29, dal titolo «Pratiche commerciali aggressive», dispone quanto segue:

«È considerata aggressiva una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, o indebito condizionamento, limiti o sia idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induca o sia idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso».

9.        L’articolo 9 della medesima direttiva, rubricato «Ricorso a molestie, coercizione o indebito condizionamento», è formulato come segue:

«Nel determinare se una pratica commerciale comporti molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, o indebito condizionamento, sono presi in considerazione i seguenti elementi:

a)      i tempi, il luogo, la natura o la persistenza;

b)      il ricorso alla minaccia fisica o verbale;

c)      lo sfruttamento da parte del professionista di qualsivoglia evento tragico o circostanza specifica di gravità tale da alterare la capacità di valutazione del consumatore, al fine di influenzarne la decisione relativa al prodotto;

(…)».

B.      Diritto nazionale

10.      L’articolo 20 del decreto legislativo del 6 settembre 2005, n. 206, Codice del consumo, è intitolato «Divieto delle pratiche commerciali scorrette». Esso prevede quanto segue:

«Una pratica commerciale è scorretta se è contraria alla diligenza professionale, ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori».

11.      L’articolo 24 di detto decreto concerne le «Pratiche commerciali aggressive» e recepisce le prescrizioni di cui all’articolo 8 della direttiva 2005/29.

III. Fatti, procedimento nazionale e questioni pregiudiziali

12.      Tra il gennaio 2015 e il luglio 2018 la Compass Banca ha offerto in vendita ai propri clienti, in aggiunta a varie tipologie di finanziamenti personali, polizze assicurative che fornivano una copertura per determinati eventi personali scollegati dal finanziamento. La sottoscrizione di una polizza assicurativa non era una precondizione per la concessione del finanziamento, ma veniva offerta in abbinamento con detto prodotto. Inoltre, i contratti per i due prodotti venivano sottoscritti contemporaneamente.

13.      Il 13 settembre 2018 l’AGCM avviava un procedimento volto a stabilire se detta pratica commerciale fosse «sleale» ai sensi della direttiva 2005/29.

14.      Nel corso del procedimento, al fine di evitare l’irrogazione di una sanzione, la Compass Banca accettava alcune delle misure proposte dall’AGCM. Tali misure comprendevano l’estensione alla totalità dei clienti della facoltà di recesso dal contratto di assicurazione, incondizionata e priva di un qualsivoglia effetto sul contratto di finanziamento, con conseguente cessazione della polizza e restituzione del rateo di premio non goduto.

15.      Allo stesso tempo, la Compass Banca respingeva la richiesta di AGCM di separare la firma dei due contratti con un intervallo di sette giorni, ritenendo tale misura sproporzionata. Tuttavia, essa proponeva di contattare i propri clienti sette giorni dopo la sottoscrizione del contratto di assicurazione affinché confermassero di aver ancora interesse al suo mantenimento, aggiungendo che la Compass Banca si sarebbe fatta carico del premio assicurativo per il periodo corrispondente a detti sette giorni.

16.      L’AGCM reputava detti impegni insufficienti. Con decisione del 2 aprile 2019, essa dichiarava che la Compass Banca aveva adottato una pratica commerciale «aggressiva», e quindi «sleale», ai sensi della direttiva 2005/29, consistente nell’«abbinamento forzoso, al momento della stipula di contratti di finanziamento personale, di prodotti assicurativi non collegati al credito, di cui la stessa finanziaria è intermediaria». Essa vietava la continuazione di detta pratica e irrogava alla Compass Banca una sanzione pecuniaria pari a EUR 4 700 000.

17.      La Compass Banca agiva dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Italia) impugnando la decisione dell’AGCM. Detto giudice respingeva l’azione.

18.      La Compass Banca ha quindi proposto appello dinanzi al Consiglio di Stato (Italia), giudice del rinvio.

19.      La Compass Banca eccepisce che l’AGCM avrebbe valutato la sua pratica commerciale come «aggressiva» e, quindi, «sleale» ai sensi della direttiva 2005/29, per il solo fatto che essa consiste nella vendita abbinata di finanziamenti personali e polizze assicurative, senza fornire la prova effettiva di tale carattere «aggressivo» alla luce delle caratteristiche specifiche di detta pratica o delle circostanze rilevanti.

20.      La Compass Banca aggiunge che, a causa dell’approccio adottato dall’AGCM, le verrebbe addossato l’onere di provare che la sua pratica commerciale non sia in realtà «aggressiva». Tale inversione dell’onere della prova sarebbe, a parere della Compass Banca, ingiustificato e inaccettabile.

21.      L’AGCM sostiene che, con la vendita abbinata di finanziamenti personali e polizze assicurative, la Compass Banca avrebbe significativamente influenzato e limitato la libertà di scelta dei suoi clienti con riferimento ai suoi prodotti assicurativi. A suo avviso, la Compass Banca avrebbe omesso, in particolare, di fornire informazioni ai propri clienti in merito al carattere opzionale della polizza assicurativa. Secondo l’AGCM, la pratica attuata dalla Compass Banca non sarebbe stata «aggressiva» se la data di sottoscrizione dei due contratti fosse stata separata da un intervallo di sette giorni.

22.      Il giudice del rinvio osserva che la direttiva 2005/29 impone di servirsi del «consumatore medio» quale parametro di riferimento nel valutare il carattere potenzialmente «sleale» di una pratica commerciale.

23.      A tal riguardo esso si chiede se tale nozione attribuisca un peso sufficiente alle teorie che dimostrano la necessità di riconoscere una maggiore tutela ai consumatori, segnatamente alla teoria della «razionalità limitata». Secondo tale teoria, le persone agiscono spesso senza ottenere tutte le informazioni necessarie, adottano decisioni irragionevoli (se parametrate a quelle che sarebbero prese da un soggetto ipoteticamente «normalmente informato, attento ed avveduto») e modificano le proprie preferenze secondo le diverse modalità con cui le informazioni rilevanti o le alternative rispetto a una determinata condotta o prodotto vengono presentate loro dal professionista (7) (il cosiddetto «framing effect – effetto incorniciamento»).

24.      Alla luce di tali elementi esso osserva che, benché gli eventi personali coperti dalla polizza assicurativa venduta dalla Compass Banca (ad esempio, problemi di salute) non siano collegati con il finanziamento personale, venduto anch’esso dalla società, le offerte combinate per questi due prodotti sono «incorniciate» dalla Compass Banca in maniera tale da far sì che i consumatori potrebbero essere indotti a credere che non sia possibile stipulare il contratto di finanziamento senza sottoscrivere una polizza assicurativa. Esso si chiede se la pratica debba pertanto essere considerata «aggressiva», e quindi «sleale», ai sensi della direttiva 2005/29.

25.      Esso si domanda, infine, se il fatto che la pratica commerciale posta in essere dalla Compass Banca consiste nella vendita abbinata di un prodotto assicurativo (la polizza assicurativa) con un altro prodotto (il finanziamento personale) incida in qualche modo sulla definizione della controversia oggetto del procedimento principale. A tal proposito esso osserva che l’articolo 24, paragrafo 7, della direttiva 2016/97 (8) (che riguarda, specificamente, la «distribuzione» di prodotti assicurativi) contiene norme in materia di vendita abbinata di prodotti assicurativi con altri prodotti e si chiede se tale disposizione impedisca all’AGCM di vietare la pratica commerciale della Compass Banca in applicazione della direttiva 2005/29.

26.      In tali circostanze, il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se la nozione di consumatore medio di cui alla direttiva 2005/29/CE inteso come consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto – per la sua elasticità ed indeterminatezza – non debba essere formulata con riferimento alla miglior scienza ed esperienza e di conseguenza rimandi non solo alla nozione classica dell’homo oeconomicus ma anche alle acquisizioni delle (...) teorie sulla razionalità limitata che hanno dimostrato come le persone agiscono spesso riducendo le informazioni necessarie con decisioni “irragionevoli” se parametrate a quelle che sarebbero prese da un soggetto ipoteticamente attento ed avveduto[,] acquisizioni che impongono una esigenza protettiva maggiore dei consumatori nel caso – sempre più ricorrente nelle moderne dinamiche di mercato – di pericolo di condizionamenti cognitivi.

2)      Se possa essere considerata di per sé aggressiva una pratica commerciale nella quale, a causa dell’incorniciamento delle informazioni (framing)[,] una scelta possa apparire come obbligata e senza alternative tenendo conto dell’articolo 6, paragrafo 1, [di detta direttiva] che considera ingannevole una pratica commerciale che in qualsiasi modo inganni o possa ingannare il consumatore medio “anche nella sua presentazione complessiva”.

3)      Se la [direttiva 2005/29] giustifichi il potere dell’[AGCM] (una volta rilevato il pericolo di condizionamento psicologico legato: 1) allo stato di bisogno in cui normalmente versa chi chiede un finanziamento, 2) alla complessità dei contratti sottoposti alla firma del consumatore, 3) alla contestualità dell’offerta presentata in abbinamento, 4) alla brevità dei tempi concessi per la sottoscrizione dell’offerta), di prevedere una deroga al principio della possibilità di abbinamento tra vendita di prodotti assicurativi e vendita di prodotti finanziari non connessi imponendo uno spazio temporale di 7 giorni tra le firme dei due contratti.

4)      Se (…) la direttiva (UE) 2016/97, ed in specie l’articolo 24 paragrafo 3 della stessa, osti all’adozione di un provvedimento dell’[AGCM] (…) sulla base degli articoli 2, lettere d) e j), 4, 8 e 9 della direttiva 2005/29/CE e della normativa nazionale di recepimento (...) a seguito del rifiuto di una società di servizi di investimento, nel caso di vendita abbinata di un prodotto finanziario ed un prodotto assicurativo non connesso al primo – ed in presenza di un pericolo di condizionamento del consumatore legato alle circostanze del caso concreto desumibili anche dalla complessità della documentazione da esaminare – di concedere al consumatore uno spatium deliberandi di 7 giorni fra la formulazione della proposta abbinata e la sottoscrizione del contratto assicurativo.

5)      Se il considerare pratica aggressiva il mero abbinamento di due prodotti finanziari e assicurativi potrebbe finire per risolversi in un atto di regolazione non consentito e non finirebbe per addossare sul professionista (e non sull’AGCM, come dovrebbe essere) l’onere (difficile da assolvere) di dimostrare che non si tratta di pratica aggressiva in violazione della direttiva 2005/29/CE (tanto più che la direttiva citata non consente agli Stati membri di adottare misure più restrittive di quelle da essa definite, neppure al fine di assicurare un livello superiore di tutela dei consumatori) o se invece tale inversione dell’onere della prova non sussista purché, sulla base di elementi oggettivi, sia ritenuto il concreto pericolo di un condizionamento del consumatore bisognoso di ottenere un finanziamento a fronte di una offerta abbinata complessa».

27.      La domanda di pronuncia pregiudiziale, datata 10 ottobre 2022, è stata iscritta a ruolo il 13 ottobre 2022. La Compass Banca, la Europe Assistance Italia SpA (in prosieguo: la «Europe Assistance Italia»), il governo italiano e la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte. Non si è tenuta alcuna udienza di discussione.

IV.    Analisi

28.      Le cinque questioni sollevate dal giudice del rinvio si riferiscono tutte all’interpretazione della direttiva 2005/29 che, come ho illustrato nell’introduzione che precede, vieta le pratiche commerciali «sleali». Come indica l’articolo 5, paragrafo 2, di tale atto, una pratica commerciale è «sleale» se è «contraria alle norme di diligenza professionale» (primo requisito) e «falsa o è idonea a falsare in misura rilevante il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che raggiunge o al quale è diretta» (secondo requisito) (9).

29.      Da tale definizione e dal considerando 18 di detta direttiva si evince che il carattere «sleale» di una pratica commerciale deve essere valutato utilizzando come parametro di riferimento il «consumatore medio» che è «normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto, tenendo conto di fattori sociali, culturali e linguistici» (10).

30.      In un siffatto contesto, la prima questione del giudice del rinvio concerne l’interpretazione della nozione di «consumatore medio» (A). Le restanti quattro questioni sono incentrate sul punto se una pratica di vendita abbinata come quella attuata dalla Compass Banca sia «aggressiva» e, quindi, «sleale» ai sensi della direttiva 2005/29 e quali misure possano essere disposte dalla competente autorità nazionale in una siffatta situazione. Tratterò la seconda (B) e la quinta questione (C), prima di rispondere alla terza (D) e alla quarta (E).

A.      Sulla nozione di «consumatore medio» (prima questione)

31.      Con la prima questione il giudice del rinvio si chiede, essenzialmente se la nozione di «consumatore medio», che la direttiva 2005/29 impone agli organi giurisdizionali e alle autorità nazionali di utilizzare come parametro di riferimento nel valutare il carattere «sleale» di una pratica commerciale in applicazione di detta direttiva, debba essere intesa rifacendosi alla sola «nozione classica» di «homo oeconomicus» o se possano essere prese in considerazione anche altre teorie, in particolare la teoria della «razionalità limitata», che dimostrano la necessità di riconoscere una maggiore tutela ai consumatori.

32.      Per comprendere il significato preciso di detta questione inizierò spiegando cosa intenda tale giudice con la «nozione classica» di «homo oeconomicus» e con la teoria della «razionalità limitata».

33.      Il termine «homo oeconomicus» non è mai stato impiegato dalla Corte né compare in alcuna parte della direttiva 2005/29. L’espressione è stata coniata da taluni economisti neoclassici (11) che hanno ipotizzato l’esistenza di un consumatore che si comporti in maniera razionale nell’ottica di massimizzare il proprio «profitto» (12) o «utilità personale» (13). Secondo il modello dell’«homo oeconomicus», il «consumatore medio» è un attore razionale che è sicuro e si attiva per raccogliere ed elaborare le informazioni prima di adottare decisioni di natura commerciale (14) e che ha il pieno controllo delle conseguenze delle sue scelte.

34.      Per contro, la teoria della «razionalità limitata» presuppone che, in generale, le persone dispongano di una capacità limitata di assimilare informazioni complesse e non sempre prendano in considerazione tutte le informazioni che vengono loro fornite o che sono loro disponibili. Tale teoria è stata introdotta da taluni economisti comportamentali che hanno sfatato il mito secondo cui i consumatori compiono da soli le scelte migliori, anche quando sono fornite loro tutte le informazioni rilevanti (15).

35.      Alla luce di tali elementi, ai miei occhi, la prima questione affonda le sue radici nell’argomento, sviluppato da taluni autori (16), secondo cui, nel contesto dell’applicazione della direttiva 2005/29, la nozione di «consumatore medio» si riferisce a un individuo razionale che si attiva per ottenere tutte le informazioni rilevanti, elabora in maniera razionale le informazioni che gli vengono fornite ed è quindi in grado di adottare decisioni consapevoli (in linea con il modello dell’«homo oeconomicus»). Quest’interpretazione è ricavata dal fatto che il considerando 18 della direttiva 2005/29 precisa che il «consumatore medio» dev’essere considerato «normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto».

36.      Inoltre, mi sembra di capire che, con detta questione, il giudice del rinvio desidera in realtà sapere in che misura il modo in cui le informazioni sono presentate (o «incorniciate») dalla Compass Banca ai suoi clienti assuma rilievo nel valutare se la pratica commerciale posta in essere da detta società sia «sleale» ai sensi della direttiva di cui trattasi. Se il «consumatore medio» è un individuo razionale che si attiva per ottenere tutte le informazioni rilevanti ed elabora razionalmente le informazioni a lui fornite (proprio come un «homo oeconomicus»), le modalità con cui tali informazioni gli vengono presentate dal professionista non saranno in grado di «falsare in misura rilevante» la sua condotta economica in misura pari a quanto accadrebbe se si trattasse di un individuo dotato di «razionalità limitata» che agisce senza ottenere tutte le informazioni rilevanti o che è incapace di elaborare in maniera razionale le informazioni che gli vengono fornite.

37.      Queste considerazioni preliminari mi consentono di respingere la domanda avanzata dalla Compass Banca, di dichiarare la prima questione irricevibile in quanto teorica. A tal proposito, ricordo che le questioni pregiudiziali proposte dai giudici nazionali godono di una presunzione di rilevanza che può essere confutata solo in casi eccezionali, ivi compreso quando il problema sollevato ha carattere teorico e la Corte non dispone degli elementi di fatto o di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte (17). Mi sembra chiaro che, alla luce della spiegazione che ho appena illustrato e dato che la prospettiva del «consumatore medio» è quella che il Consiglio di Stato deve adottare per decidere se la prassi commerciale della Compass Banca sia «aggressiva» e, pertanto, «sleale», ai sensi della direttiva 2005/29, il problema sottoposto alla Corte nella prima questione non ha carattere teorico e assume, infatti, rilevanza diretta ai fini della definizione della controversia oggetto del procedimento principale.

38.      Operati tali chiarimenti, spiegherò perché condivido la posizione, illustrata dal governo italiano e dalla Commissione, secondo cui il «consumatore medio», nel contesto dell’applicazione della direttiva 2005/29, non è necessariamente un individuo che corrisponde al modello dell’«homo oeconomicus». La nozione è sufficientemente flessibile da consentire di considerarlo, in talune situazioni, come un individuo con «razionalità limitata» che agisce senza ottenere tutte le informazioni rilevanti o è incapace di elaborare le informazioni che gli vengono fornite in maniera razionale. Diverse ragioni mi hanno condotto a questa conclusione.

39.      In primo luogo, il considerando 18 della direttiva di cui trattasi enuncia espressamente che la nozione di «consumatore medio» dipende dall’evoluzione della giurisprudenza della Corte e che la «nozione di consumatore medio non è statistica». Inoltre, gli organi giurisdizionali e le autorità nazionali devono tener conto di «fattori sociali, culturali e linguistici» quando definiscono il «consumatore medio» rispetto a una determinata pratica commerciale. Il suddetto considerando precisa inoltre che tali organi giurisdizionali e autorità devono esercitare «la loro facoltà di giudizio» per determinare la reazione tipica del «consumatore medio» di fronte a una siffatta pratica.

40.      Da tali elementi si evince che, nel contesto dell’applicazione della direttiva 2005/29, la nozione di «consumatore medio» è considerata una nozione flessibile che necessita di essere adattata alla luce delle circostanze rilevanti. Stabilire chi sia il «consumatore medio» rispetto a una determinata prassi commerciale non può essere un’attività puramente teorica. Occorre tener conto anche di considerazioni più attinenti alla realtà. Tali considerazioni possono essere collegate, ad esempio, alla complessità del settore, alla conoscenza che ci si deve attendere dal «consumatore medio» rispetto a un determinato prodotto e alla probabilità che egli sia affetto da una distorsione cognitiva. Pertanto, a mio avviso, benché in talune situazioni il «consumatore medio» possa essere considerato in grado di agire razionalmente e di adottare una decisione informata, in altre situazioni (ad esempio, quando il prodotto è uno di quelli che il «consumatore medio» tende ad acquistare in maniera compulsiva o in situazioni di stress emotivo) egli potrebbe essere ritenuto incapace di farlo.

41.      In secondo luogo, detto considerando rileva che il «consumatore medio» è il «consumatore tipico». Tuttavia, nel valutare il carattere «sleale» di una pratica commerciale, gli organi giurisdizionali e le autorità nazionali devono determinare «la reazione tipica del consumatore medio nella fattispecie». Da tali espressioni desumo che detti organi giurisdizionali e autorità non sono chiamati a stabilire quale sarebbe la condotta economica di un consumatore razionale che si attiva per ottenere le informazioni rilevanti, elabora razionalmente le informazioni a lui presentate ed è pertanto in grado di adottare decisioni consapevoli (un «homo oeconomicus»). Essi sono chiamati unicamente a considerare la «reazione tipica» di un «consumatore tipico». Questa interpretazione è altresì quella accolta dalla Commissione nei suoi Orientamenti sull’interpretazione della direttiva 2005/29, in cui essa afferma che la «nozione si basa sul principio di proporzionalità» e che «[a]i sensi [di detta] direttiva il consumatore medio in ogni caso non è una persona che ha soltanto bisogno di un basso livello di protezione perché è sempre in grado di acquisire le informazioni disponibili e di agire con saggezza al riguardo» (18).

42.      Alla luce di tali informazioni, condivido il parere della Commissione secondo cui il termine «ragionevolmente» all’interno dell’espressione «normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto», utilizzata nel considerando 18 della direttiva 2005/29, non significa «perfettamente» e nemmeno «particolarmente». A tal proposito ricordo, come dichiarato dall’avvocato generale Medina, che la «nozione di consumatore medio è una fictio juris», la cui finalità è di «ridurre a denominatore comune una realtà molto variegata» (19). Tale nozione trae origine da casi in cui la Corte era chiamata a ponderare il rischio che i consumatori fossero tratti in inganno con i requisiti in materia di libera circolazione dei beni (20). Si tratta di un parametro di riferimento oggettivo che è utilizzato non soltanto nel contesto della direttiva 2005/29, ma anche in molti altri atti del diritto dell’Unione in materia di consumatori e in altri ambiti del diritto dell’UE (21). Osservo che, con riferimento alla direttiva 93/13/CEE concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (22), la Corte ha giudicato che allo standard del «consumatore medio» non è riconducibile, segnatamente, né il consumatore meno informato o avveduto di tale consumatore medio, né il consumatore più informato o avveduto di quest’ultimo (23). Non vedo perché detto standard dovrebbe essere interpretato in maniera diversa nel contesto dell’applicazione della direttiva 2005/29.

43.      Alla luce di questo più ampio contesto ritengo che lo scopo dell’espressione «normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto», contenuta nel considerando 18 della direttiva 2005/29, non sia quello di «alzare il livello» di quanto ci si può attendere da un consumatore tipico rispetto a una determinata prassi commerciale, richiedendogli di essere, ad minima, un individuo razionale che si attiva per ottenere le informazioni rilevanti, elabora razionalmente le informazioni a lui presentate ed è pertanto in grado di adottare decisioni consapevoli (più o meno come un «homo oeconomicus»). Tali termini sono volti piuttosto a garantire che gli organi giurisdizionali e le autorità nazionali non adottino la prospettiva di un consumatore a tal punto poco informato, attento e avveduto che sia irragionevole o sproporzionato proteggerlo. A tal riguardo, osservo che, nei suoi Orientamenti sull’interpretazione della direttiva 2005/29 (24), la Commissione ha espressamente escluso dall’ambito di applicazione della protezione unicamente il «consumatore acritico, ingenuo o disattento», la cui protezione sarebbe a suo avviso «sproporzionata e creerebbe un ostacolo ingiustificato agli scambi commerciali». Si tratta di una soglia minima piuttosto bassa.

44.      Per queste ragioni, non condivido la posizione della Compass Banca secondo cui, per il fatto che la direttiva 2005/29 contiene una disposizione specifica sulla protezione di gruppi di consumatori «particolarmente vulnerabili» (segnatamente, il suo articolo 5, paragrafo 3), il «consumatore medio», cui si riferisce l’articolo 5, paragrafo 2, di tale atto sarebbe, a sua volta, un individuo in grado di agire sempre in modo razionale. A mio parere, il fatto che il legislatore dell’Unione abbia inteso riconoscere una protezione accresciuta a «gruppi particolarmente vulnerabili» di consumatori non significa che non intendesse fornire un elevato livello di protezione a consumatori non rientranti in detti gruppi, o che li abbia considerati quali individui invulnerabili, sempre perfettamente razionali.

45.      In terzo luogo, l’obiettivo della direttiva 2005/29, che consiste nel fornire «un livello elevato di tutela dei consumatori», conferma, a mio parere, tale interpretazione. Infatti, tale funzione protettiva – che, come ho osservato nell’introduzione, rappresenta la struttura portante non soltanto della direttiva di cui trattasi, ma di molti dei testi di legge adottati dal legislatore dell’Unione nel settore della tutela dei consumatori – non sarebbe necessaria se il «consumatore medio» dovesse essere sempre considerato rispondente al modello dell’«homo economicus». A costo di dire un’ovvietà, non credo che il legislatore dell’Unione avrebbe adottato la direttiva 2005/29 (il cui obiettivo è di proteggere i consumatori da pratiche che possono «falsare in misura rilevante il [loro] comportamento economico»), se avesse ritenuto che i consumatori siano sempre in grado di agire in maniera razionale.

46.      A tal proposito osservo che la Corte ha già espressamente riconosciuto che il comportamento economico dei consumatori può essere alterato da pratiche commerciali che sfruttano le loro distorsioni cognitive (25). Inoltre, la direttiva 2005/29 contiene vari termini ed espressioni che sottintendono che il consumatore può essere manipolato e soffrire di tali distorsioni [ad esempio, le espressioni «esercitare una pressione» all’articolo 2, lettera j), «falsare in misura rilevante» all’articolo 2, lettera e), e all’articolo 5, paragrafo 2, «inganni» all’articolo 6 o «condizionamento» agli articoli 8 e 9].

47.      In quarto luogo, è vero che, nella sentenza Deroo-Blanquart (26) (una causa che riguardava una prassi commerciale consistente nella vendita di un computer provvisto di programmi informatici preinstallati), la Corte ha dichiarato che l’obbligo di lealtà posto dalla direttiva 2005/29 può essere considerato soddisfatto «in particolar modo mediante un’informazione corretta del consumatore». Tuttavia, non credo che tale affermazione si fondasse sull’idea che i consumatori agirebbero necessariamente in maniera razionale se fossero effettivamente fornite loro (o se avessero accesso a) tutte le informazioni rilevanti (in linea con il modello dell’«homo economicus»). In tale sentenza, la Corte si è limitata a identificare l’avvenuta corretta informazione del consumatore come una delle circostanze che potevano consentire di constatare il soddisfacimento dell’obbligo dettato dalle prassi di mercato oneste e dal principio generale della buona fede (27).

48.      Infine, concordo sul fatto che uno dei principali obiettivi della direttiva 2005/29 sia quello di proteggere la capacità dei consumatori di adottare decisioni consapevoli. Tale obiettivo è illustrato, ad esempio, dall’articolo 2, lettera e), della direttiva di cui trattasi, che fa riferimento a una pratica commerciale impiegata per «alterare sensibilmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole, inducendolo pertanto ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso» (28). Anche l’articolo 2, lettera j), di detta direttiva, che definisce la nozione di «indebito condizionamento», si riferisce alla «capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole». Inoltre, l’articolo 7 della direttiva 2005/29 (dal titolo «Omissioni ingannevoli») si fonda sulla considerazione che quante più informazioni sono fornite ai consumatori, tanto più è improbabile che vengano indotti in errore. Tuttavia, non intendo tali disposizioni nel senso che il «consumatore medio» sia un individuo che, salvo che il suo comportamento economico sia falsato in misura rilevante a causa della pratica commerciale «sleale», adotta necessariamente una siffatta decisione informata (come farebbe un «homo economicus»). Infatti, l’articolo 2, lettere e) e j), della direttiva 2005/29 rileva soltanto che una pratica è «sleale» se altera sensibilmente la capacità (anche potenziale) di prendere una decisione consapevole.

49.      Alla luce dei suddetti elementi, ritengo che il «consumatore medio» che la direttiva 2005/29 richiede agli organi giurisdizionali e alle autorità nazionali di usare come «parametro di riferimento» non sia necessariamente un individuo razionale che si attiva per ottenere le informazioni rilevanti, elabora razionalmente le informazioni a lui presentate ed è pertanto in grado di adottare decisioni consapevoli. Benché, in talune situazioni, il «consumatore medio» possa essere un individuo siffatto, la nozione è sufficientemente flessibile da consentire di considerarlo, in altre situazioni, come una persona dotata di «razionalità limitata», che agisce senza ottenere tutte le informazioni rilevanti o che è incapace di elaborare le informazioni che le vengono fornite in maniera razionale (comprese le informazioni che le vengono presentate dal professionista).

50.      Nella prossima sezione esaminerò, tra l’altro, l’importanza di quest’ultimo elemento (le modalità con cui l’informazione viene presentata al consumatore dal professionista) nello specifico contesto degli articoli 8 e 9 della direttiva 2005/29.

B.      Sulla valutazione del carattere «aggressivo» di una pratica commerciale con cui il professionista non solo vende due prodotti in abbinamento, ma presenta le informazioni ai suoi clienti in modo tale da indurli a credere che debbano necessariamente acquistare i due prodotti insieme (seconda questione)

51.      Con la seconda questione ci si chiede se una pratica commerciale con cui il professionista non solo vende due prodotti in abbinamento, ma presenta le informazioni ai suoi clienti in modo tale da indurli a credere che debbano necessariamente acquistare i due prodotti insieme, sia di per sé «aggressiva» ai sensi della direttiva 2005/29.

52.      In primo luogo, osservo che il giudice del rinvio, pur interrogandosi in merito al carattere «aggressivo» di una siffatta pratica, fa riferimento a una singola disposizione, vale a dire l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2005/29, che elenca le condizioni in cui una pratica commerciale può essere considerata «ingannevole» (non «aggressiva»). L’articolo 5, paragrafo 4, di detta direttiva chiarisce che le pratiche commerciali «ingannevoli» e «aggressive» sono due tipologie distinte di pratiche commerciali «sleali» (29). Come sottolineato da tutte le parti del procedimento principale e dalle parti interessate nelle loro osservazioni, le pratiche commerciali «aggressive» non ricadono nell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2005/29 (30), bensì negli articoli 8 e 9 di quest’ultima. Propongo quindi alla Corte di riformulare la seconda questione in modo da includere un rimando unicamente a dette disposizioni.

53.      In secondo luogo, ricordo che la Corte ha già dichiarato che le offerte congiunte, che si basano sull’abbinamento di almeno due prodotti o servizi diversi in una sola offerta, costituiscono atti commerciali che si iscrivono chiaramente nel contesto della strategia commerciale di un operatore e mirano direttamente alla promozione e all’incremento delle sue vendite. Ne deriva che esse costituiscono effettivamente «pratiche commerciali» ai sensi dell’articolo 2, lettera d), della direttiva 2005/29 e ricadono, conseguentemente, nell’ambito di applicazione di tale atto (31). Lo stesso vale, a rigor di logica, per le prassi commerciali che consistono nella vendita abbinata di due prodotti (quando non solo si tratta di due prodotti offerti dal professionista al cliente contemporaneamente, ma le vendite relative ai due detti prodotti sono concluse in uno stesso momento). Infatti, la Corte non opera una netta distinzione tra queste due prassi commerciali (32).

54.      Inoltre, la Corte ha già dichiarato che la direttiva 2005/29 deve essere interpretata nel senso che essa osta al divieto generale e preventivo di offerte congiunte, indipendentemente da qualsivoglia verifica del loro carattere sleale alla luce dei criteri posti dagli articoli da 5 a 9 di detta direttiva (33). A mio parere, il medesimo ragionamento può anche essere applicato, senza difficoltà, a una prassi commerciale consistente nella vendita abbinata di due prodotti. Una prassi siffatta non può essere generalmente proibita e non può essere considerata di per sé «sleale».

55.      Formulati tali chiarimenti osservo che, con la seconda questione, il giudice del rinvio si chiede se una pratica commerciale con cui il professionista non solo vende due prodotti in abbinamento, ma presenta inoltre le informazioni ai suoi clienti in modo tale da indurli a credere di poter soltanto acquistare i due prodotti insieme, sia di per sé «aggressiva» ai sensi della direttiva 2005/29. Ritengo che, con l’espressione «di per sé» il giudice del rinvio intenda «in tutti i casi», a prescindere dalle ulteriori caratteristiche della pratica commerciale e del contesto rilevante.

56.      Passando agli articoli 8 e 9 della direttiva 2005/29, osservo che la prima di queste disposizioni chiarisce che nel valutare se una pratica commerciale sia «aggressiva» ai sensi di dette disposizioni occorre fondarsi sulla «fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso». Le autorità nazionali competenti devono analizzare, alla luce di questi diversi elementi, se la pratica commerciale di cui trattasi «limiti o sia idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induca o sia idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso». A tal proposito, la Corte ha già confermato che l’articolo 8 della direttiva 2005/29 concretizza un obbligo di prendere in considerazione tutte le caratteristiche del comportamento del professionista in un dato contesto fattuale (34).

57.      Inoltre, la pratica deve comportare il ricorso a «molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, e indebito condizionamento», ai sensi dell’articolo 9 di detta direttiva (35). La disposizione di cui trattasi contiene un elenco di elementi (quali tempi, luogo, natura o persistenza della pratica) che acquisiscono rilievo nel verificare il soddisfacimento di quest’ultimo requisito.

58.      A mio avviso, la formulazione degli articoli 8 e 9 della direttiva 2005/29 indica già che il carattere «aggressivo» di una pratica commerciale dipende, di norma, da una valutazione contestuale. Ovviamente non si può escludere, alla luce di tali disposizioni, che talune pratiche commerciali possano essere di per sé «aggressive» e, quindi, «sleali», ai sensi della direttiva di cui trattasi. Tuttavia, mi sembra chiaro che, qualora esistano, tali pratiche costituirebbero l’eccezione e non la regola.

59.      Questa interpretazione è confermata poi dall’allegato I alla direttiva 2005/29, che contiene una sorta di «lista nera» di talune pratiche da considerare «sleali» in ogni caso. Essa elenca, da un lato, nei punti da 1 a 24, le pratiche commerciali che possono essere considerate «ingannevoli» in ogni caso e, dall’altro, nei suoi punti da 24 a 31, le pratiche che possono essere considerate «aggressive» (anche qui, in ogni caso). Nessuna tra le pratiche commerciali elencate in detti punti e relative a tale seconda categoria si riferisce o include una pratica consistente nel fatto che il professionista non solo venda due prodotti in abbinamento, ma presenti le informazioni ai suoi clienti in modo tale da indurli a credere di dovere inoltre necessariamente acquistare i due prodotti insieme.

60.      A tal riguardo l’articolo 5, paragrafo 5, della direttiva 2005/29 dispone che «l’allegato I riporta l’elenco di quelle pratiche commerciali che sono considerate in ogni caso sleali» e «[d]etto elenco si applica in tutti gli Stati membri e può essere modificato solo mediante revisione della [suddetta] direttiva». Inoltre, il considerando 17 di tale atto prevede che il suo allegato I «riporta (...) l’elenco completo di tali pratiche» e che «si tratta delle uniche pratiche commerciali che si possono considerare sleali senza una valutazione caso per caso in deroga alle disposizioni degli articoli da 5 a 9». Alla luce di questi elementi, ritengo che l’elenco delle pratiche commerciali fornito in tale allegato sia tassativo (36).

61.      Aggiungo che la Corte ha dichiarato che la direttiva 2005/29 «realizza un’armonizzazione completa delle norme relative alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori, e che gli Stati membri non possono quindi adottare, come previsto espressamente dall’articolo 4 di quest’ultima, misure più restrittive di quelle definite da detta direttiva, neppure al fine di assicurare un livello superiore di tutela dei consumatori» (37).

62.      Alla luce dei suddetti elementi, mi sembra chiaro che una pratica commerciale con cui il professionista non solo vende due prodotti in abbinamento, ma presenta inoltre le informazioni ai suoi clienti in modo tale da indurli a credere che debbano necessariamente acquistare i due prodotti insieme non può essere considerata di per sé «aggressiva», ai sensi degli articoli 8 e 9 della direttiva 2005/29. Infatti, tale pratica non è elencata nell’allegato I a detta direttiva. Pertanto, gli organi giurisdizionali e le autorità nazionali devono analizzare il carattere «aggressivo» di una siffatta pratica alla luce dei requisiti definiti in tali articoli – dal che consegue, inter alia, che la pratica commerciale deve essere esaminata «nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso».

63.      Tutte le parti e la parti interessate della presente causa concordano con tale conclusione.

64.      Desidero formulare un’osservazione aggiuntiva.

65.      Dalla domanda di pronuncia pregiudiziale desumo che la ragione per cui il giudice del rinvio menziona, nella seconda questione, l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2005/29, invece degli articoli 8 e 9 della medesima, è che detto articolo 6, paragrafo 1, si riferisce esplicitamente alla «presentazione complessiva» delle informazioni fornite ai consumatori come rilevanti per stabilire se una pratica commerciale sia «ingannevole». Come ho già osservato nel precedente paragrafo 50, mi sembra che detto giudice si chieda se le modalità con cui le informazioni sono presentate (o «incorniciate») dal professionista siano anch’esse rilevanti nel contesto dell’applicazione degli articoli 8 e 9 della direttiva 2005/29.

66.      A mio avviso, la risposta a tale questione di fondo può essere agevolmente dedotta dagli elementi che ho elencato nei precedenti paragrafi da 52 a 62.

67.      Infatti, l’articolo 8 della direttiva 2005/29 richiede, come ho appena spiegato, che, nel valutare il carattere «aggressivo» di una pratica commerciale, le autorità nazionali competenti tengano conto, inter alia, delle «caratteristiche» di tale pratica. Ritengo, in linea con il governo italiano, che il modo in cui le informazioni sono presentate o «incorniciate» dal professionista ai suoi clienti rientri tra tali «caratteristiche» rilevanti.

68.      A tal proposito aggiungo che l’«indebito condizionamento» è definito, all’articolo 2, lettera j), della direttiva 2005/29, come l’atto di «sfrutta[re] una posizione di potere rispetto al consumatore per esercitare una pressione, anche senza il ricorso alla forza fisica o la minaccia di tale ricorso, in modo da limitare notevolmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole». Ne consegue, a mio avviso, che l’«indebito condizionamento» può essere esercitato mediante diversi strumenti, comprese le modalità con cui un’offerta è presentata (o «incorniciata») dal professionista nei confronti del consumatore.

69.      Inoltre nella sua giurisprudenza, in particolare nella sentenza Orange Polska (38), la Corte ha già sottolineato l’importanza, nel contesto dell’applicazione degli articoli 8 e 9 della direttiva 2005/29, delle modalità con cui le informazioni sono presentate al consumatore. In tale sentenza, la Corte ha confermato che pratiche aggiuntive collegate alle modalità con cui le informazioni sono presentate dal professionista al consumatore nell’ambito del processo di stipulazione o di modifica di un contratto (ad esempio, una pratica con cui il professionista o il suo corriere insistono sulla necessità di sottoscrivere il contratto affermando che qualsiasi ritardo nella sua sottoscrizione comporti l’applicazione di condizioni meno favorevoli) possono portare alla conclusione che una pratica commerciale, che non è di per sé «aggressiva», sia considerata tale in una siffatta situazione (39).

70.      Alla luce degli elementi che precedono, mi sembra chiaro che la modalità con cui le informazioni sono presentate (o «incorniciate») al consumatore dal professionista rappresenta una «caratteristica» di una prassi commerciale che deve essere presa in considerazione nel valutare se una pratica sia «aggressiva» e, quindi, «sleale» ai sensi della direttiva 2005/29.

71.      Ne consegue che, nel compiere tale valutazione rispetto a una prassi commerciale con cui il professionista non solo vende due prodotti in abbinamento, ma presenta le informazioni ai suoi clienti in modo tale da indurli a credere di dover necessariamente acquistare i due prodotti insieme, le autorità nazionali competenti devono tener conto di tale circostanza. Tracciando un collegamento con gli elementi da me evidenziati nella precedente sezione, ritengo che a tale circostanza debba essere riconosciuta particolare importanza quando il «consumatore medio» (per ragioni connesse, ad esempio, alla complessità della materia riguardante il prodotto o alla pressione economica alla quale è esposto all’atto dell’acquisto dei prodotti) deve essere considerato un individuo dotato di «razionalità limitata», che agisce senza ottenere tutte le informazioni rilevanti o che è incapace di elaborare le informazioni che gli vengono fornite in maniera razionale (comprese le informazioni che gli vengono presentate dal professionista).

C.      Sui dubbi del giudice del rinvio in merito all’onere della prova (quinta questione)

72.      Con la quinta questione il giudice del rinvio si chiede, essenzialmente, come si debba rispondere all’argomento addotto dalla Compass Banca secondo cui la qualificazione, da parte dell’AGCM, della pratica commerciale da essa posta in essere come «aggressiva», per il solo fatto che consiste nella vendita in abbinamento di due prodotti, comporterebbe un’ingiustificata e inaccettabile inversione dell’onere della prova gravante sull’AGCM, a danno della Compass Banca.

73.      A mio parere non è difficile rispondere alla quinta questione. Infatti, nel rispondere alla seconda questione ho già spiegato che una prassi commerciale non può essere considerata di per sé «aggressiva» ai sensi della direttiva 2005/29, ed essere vietata, per il semplice motivo che essa consiste nella vendita abbinata di due prodotti. L’autorità nazionale competente deve, invece, analizzare il carattere «aggressivo» di una siffatta pratica alla luce dei requisiti definiti negli articoli 8 e 9 della direttiva di cui trattasi (vale a dire «pratica per pratica», esaminando ciascuna pratica «nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso»).

74.      Mi sembra chiaro che, in una siffatta situazione, il professionista non sopporta un inaccettabile onere della prova (né l’inversione di tale onere). L’onere della prova non viene, infatti, trasferito in alcun modo a suo carico, posto che spetta alle autorità nazionali competenti stabilire il carattere «aggressivo», e quindi «sleale», della prassi commerciale di cui trattasi. Osservo che sia la Europe Assistance Italia, sia la Commissione e il governo italiano condividono questa posizione.

D.      Sulla possibilità per le autorità nazionali competenti di imporre un intervallo di sette giorni tra la sottoscrizione dei contratti per i prodotti che sono venduti in abbinamento (terza questione)

75.      Nelle sezioni che precedono ho stabilito che una pratica commerciale consistente nella vendita abbinata di due prodotti non può essere considerata di per sé «aggressiva», ai sensi degli articoli 8 e 9 della direttiva 2005/29, e che lo stesso vale per una pratica commerciale con cui il professionista non solo vende due prodotti in abbinamento, ma presenta inoltre le informazioni ai suoi clienti con modalità tali da indurli a credere che debbano necessariamente acquistare i due prodotti insieme.

76.      Tuttavia, ciò non significa che tali pratiche non possano mai essere considerate «aggressive» ai sensi delle suddette disposizioni. Dipende tutto dalla questione se, «nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso», la pratica commerciale di cui trattasi sia tra quelle che impiegano «molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, o indebito condizionamento» e «limiti o sia idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induca o sia idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso».

77.      La terza questione muove dalla premessa che la prassi commerciale posta in essere dalla Compass Banca – consistente nella vendita abbinata di due prodotti – sia «aggressiva» alla luce dei seguenti elementi: (i) il fatto che chi chiede un finanziamento lo fa perché si trova in stato di bisogno; (ii) la complessità dei contratti sottoposti dalla Compass Banca alla firma dei suoi clienti; (iii) la contestualità delle offerte contrattuali per il prestito personale e la polizza assicurativa, e (iv) la brevità dei tempi concessi per la sottoscrizione di tali offerte.

78.      Concordo con il giudice del rinvio sul fatto che questi diversi elementi (unitamente alla circostanza che, da quanto mi è dato capire, la Compass Banca presenta o «incornicia» le informazioni per i suoi clienti con modalità tali da indurli a credere di dover sottoscrivere la polizza assicurativa insieme al contratto di finanziamento) siano rilevanti per dimostrare un «indebito condizionamento» ai sensi dell’articolo 9 della direttiva 2005/29.

79.      Infatti gli elementi elencati in tale disposizione comprendono «i tempi, il luogo, la natura o la persistenza» della pratica e «lo sfruttamento da parte del professionista di qualsivoglia evento tragico (...) del consumatore, al fine di influenzarne la decisione relativa al prodotto». A mio parere, in circostanze quali quelle di cui al procedimento principale quest’ultimo elemento potrebbe includere, ad esempio, il fatto che il professionista menzioni al consumatore eventi personali (concernenti, ad esempio, alla sua salute) che – qualora si concretizzassero – potrebbero pregiudicare la sua capacità di rimborsare il finanziamento contratto con il professionista.

80.      Per quanto attiene alla questione se tali elementi siano sufficienti per stabilire che la pratica attuata dalla Compass Banca non solo esercita un «indebito condizionamento», ai sensi dell’articolo 9 della direttiva 2005/29, ma altresì «limiti o sia idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto», inducendolo così ad assumere una decisione di natura commerciale che «non avrebbe altrimenti preso» (in conformità ai requisiti fissati all’articolo 8 della direttiva 2005/29), ritengo che la risposta a detta questione dipenda dal fatto che la pratica di cui trattasi presenti o meno altre caratteristiche e sussistano altre circostanze rilevanti che attenuino o, al contrario, aggravino l’impatto di tali fattori sulla libertà di scelta o di comportamento del «consumatore medio». Spetta al giudice del rinvio effettuare tale accertamento.

81.      Posto un tale contesto ritengo che la terza questione riguardi, essenzialmente, le misure che un’autorità nazionale, quale l’AGCM, può adottare quando conclude che una prassi commerciale come quella posta in essere dalla Compass Banca soddisfa tali requisiti. Si tratta di stabilire se, in tali circostanze, un’autorità siffatta possa imporre un intervallo di sette giorni tra la sottoscrizione dei contratti per i due prodotti.

82.      A mio avviso la risposta a tale questione è, ancora una volta, evidente alla luce di tutti gli elementi da me evidenziati nelle precedenti sezioni.

83.      Infatti, l’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2005/29 stabilisce, in termini inequivocabili, che «[l]e pratiche commerciali sleali sono vietate». Non vedo alcuna ragione per cui – se una pratica consistente nella vendita abbinata di due prodotti è, alla luce di tutte le sue caratteristiche e delle circostanze rilevanti, «aggressiva» e quindi «sleale» ai sensi di detta direttiva – tale divieto non debba poter essere attuato, imponendo che la firma dei due contratti sia separata da un intervallo di sette giorni per garantire che le due vendite avvengano effettivamente in date diverse, ragionevolmente distanziate l’una dall’altra.

E.      Sulla conseguenza del fatto che i prodotti sono prodotti finanziari e assicurativi (quarta questione)

84.      La quarta questione si ricollega al fatto che i prodotti venduti in abbinamento dalla Compass Banca nel procedimento principale consistono, in parte, in prodotti assicurativi. Il giudice del rinvio chiede chiarimenti in merito alla questione se, vista la natura di tali prodotti, sia ancora possibile per l’AGCM imporre un intervallo di sette giorni tra la firma del contratto di finanziamento e la sottoscrizione della polizza assicurativa proposti da detta società, in applicazione della direttiva 2005/29. Esso osserva che l’articolo 24 della direttiva 2016/97 assoggetta i «distributori» (40) di prodotti assicurativi che sono venduti in abbinamento con altri prodotti a taluni specifici obblighi (41). Il giudice si chiede essenzialmente se esista un conflitto tra tale disposizione e la direttiva 2005/29.

85.      Osservo che nella quarta questione e nella domanda di pronuncia pregiudiziale il giudice del rinvio menziona soltanto l’articolo 24, paragrafi 3 e 7, della direttiva 2016/97. Tuttavia nella mia analisi di tale questione prenderò in considerazione l’articolo 24 nella sua interezza.

86.      Per quanto attiene alla sussistenza o meno di un conflitto tra la direttiva 2005/29 e tale disposizione osservo, anzitutto, che l’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2005/29 dispone che, «[i]n caso di contrasto tra le disposizioni della presente direttiva e altre norme comunitarie che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, prevalgono queste ultime e si applicano a tali aspetti specifici» (42).

87.      In secondo luogo, ricordo che la Corte ha già spiegato che la nozione di «contrasto» nella suddetta disposizione denota «un rapporto tra le disposizioni cui si riferisce che va oltre la mera difformità o la semplice differenza, mostrando una divergenza che non può essere superata mediante una formula inclusiva che permetta la coesistenza di entrambe le realtà, senza che sia necessario snaturarle». Essa ha affermato che «un contrasto come quello contemplato dall’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2005/29 sussiste unicamente quando disposizioni estranee a quest’ultima, disciplinanti aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, impongono ai professionisti, senza alcun margine di manovra, obblighi incompatibili con quelli stabiliti dalla direttiva 2005/29» (43).

88.      In terzo luogo, ritengo, in linea con la Compass Banca, che l’articolo 24 della direttiva 2016/97 imponga obblighi ai «distributori di prodotti assicurativi» in due situazioni. La prima situazione è quando un «prodotto assicurativo» è proposto «insieme a un prodotto o servizio accessorio diverso da un’assicurazione, come parte di un pacchetto o dello stesso accordo» (44). In tal caso si applicano le seguenti disposizioni pertinenti:

–        il distributore di prodotti assicurativi informa il cliente dell’eventuale possibilità di acquistare separatamente i diversi componenti e, in caso affermativo, fornisce una descrizione adeguata dei diversi componenti dell’accordo o del pacchetto come pure i giustificativi separati dei costi e degli oneri di ciascun componente (articolo 24, paragrafo 1);

–        il distributore di prodotti assicurativi deve specificare le richieste e le esigenze del cliente in relazione ai prodotti assicurativi che sono parte del pacchetto complessivo o dello stesso accordo (articolo 24, paragrafo 6); e

–        gli Stati membri possono mantenere o adottare disposizioni supplementari più rigorose o intervenire in casi specifici per vietare la vendita di un’assicurazione assieme a un servizio o prodotto accessorio diverso da un’assicurazione, come parte di un pacchetto o dello stesso accordo, quando possono dimostrare che tali pratiche sono dannose per i consumatori (articolo 24, paragrafo 7).

89.      Delle tre disposizioni che ho appena menzionato, solo l’ultima (articolo 24, paragrafo 7) mi sembra potenzialmente incompatibile con le disposizioni della direttiva 2005/29. Infatti, come ho spiegato nella precedente sezione, tale direttiva deve essere interpretata nel senso che una pratica commerciale non espressamente elencata nel suo allegato I non può essere vietata in quanto di per sé «sleale» (vale a dire «sleale» in ogni caso).

90.      Ciò posto ritengo che l’articolo 24, paragrafo 7, non imponga agli Stati membri di introdurre un siffatto divieto generale e nemmeno li autorizzi a farlo. Infatti, detta disposizione prevede unicamente che la vendita abbinata di prodotti assicurativi e prodotti accessori «può» essere vietata «in casi specifici» dagli Stati membri, quando possono dimostrare che tali pratiche sono dannose per i consumatori.

91.      Aggiungo che tale interpretazione restrittiva è corroborata, a mio avviso, dal considerando 53 della direttiva 2016/97, il quale precisa che «[l]e pratiche di vendita abbinata rappresentano una strategia comune utilizzata dai distributori di prodotti assicurativi in tutta l’Unione [europea]» e riconosce che, benché tali pratiche possano «non tenere conto adeguatamente [degli] interessi [dei clienti]», esse possono anche «fornire [loro] benefici».

92.      In ogni caso, l’articolo 24, paragrafo 7, della direttiva 2016/97 si applica soltanto se: (i) il prodotto assicurativo può essere considerato il prodotto «principale» e l’altro prodotto o servizio è «accessorio» ad esso; e (ii) entrambi i prodotti sono offerti «come parte di un pacchetto o dello stesso accordo». Compete al giudice del rinvio esaminare se i prodotti offerti dalla Compass Banca soddisfino tali requisiti. Tuttavia, alla luce degli elementi versati nel fascicolo di causa, dubito che il finanziamento personale che detta società offre ai suoi clienti possa essere considerato «accessorio» alla polizza assicurativa che essa propone loro di acquistare congiuntamente. Semmai mi sembra che il contrario corrisponda di più al vero, posto che la prassi commerciale della Compass Banca consiste nella vendita di una polizza assicurativa ai clienti che sono già in fase di trattativa con detta società per la concessione di un prestito personale.

93.      La seconda serie di obblighi elencati all’articolo 24 della direttiva 2016/97 si applica quando «un prodotto assicurativo è accessorio rispetto a un bene o servizio diverso da un’assicurazione, come parte di un pacchetto o dello stesso accordo» (uno scenario che, come ho già illustrato, sembra meglio adattarsi ai fatti di cui al procedimento principale). Le disposizioni pertinenti sono le seguenti:

–        il distributore di prodotti assicurativi deve offrire al cliente la possibilità di acquistare il bene o il servizio separatamente (salvo che il prodotto o il servizio cui il prodotto assicurativo è accessorio ricada nell’ambito di applicazione di disposizioni specifiche di determinate altre direttive) (articolo 24, paragrafo 3); e

–        il distributore di prodotti assicurativi deve specificare le richieste e le esigenze del cliente in relazione ai prodotti assicurativi che sono parte del pacchetto complessivo o dello stesso accordo (articolo 24, paragrafo 6).

94.      Ancora una volta, non vedo alcuna incompatibilità tra gli obblighi contenuti in dette disposizioni e le norme di cui alla direttiva 2005/29. In particolare, ritengo che l’articolo 24, paragrafo 3, della direttiva 2016/97 non imponga alle autorità nazionali competenti di andare al di là di quanto richiesto dalla direttiva 2005/29, ad esempio, stabilendo che essi debbano vietare, in termini generali, la vendita abbinata di prodotti assicurativi accessori ad altri prodotti o servizi (compresi i prodotti finanziari). Infatti, la disposizione di cui trattasi richiede unicamente che, ove tali prodotti e/o servizi siano «venduti in abbinamento» ai clienti, questi ultimi abbiano anche la facoltà di acquistarli separatamente.

95.      La disposizione in esame non obbliga nemmeno dette autorità a fare qualcosa in meno rispetto a quello che esse sono autorizzate a fare in forza della direttiva 2005/29. Nello specifico, ritengo che l’articolo 24, paragrafo 3, della direttiva 2016/97 non impedisca a un’autorità nazionale competente, come l’AGCM, di imporre un intervallo di sette giorni tra la firma dei due contratti relativi, rispettivamente, a un finanziamento personale e a una polizza assicurativa, offerti congiuntamente dal medesimo professionista, quando è dimostrato che, «nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso», una siffatta pratica è «aggressiva» e quindi «sleale» ai sensi degli articoli 8 e 9 della direttiva 2005/29.

96.      Date le circostanze, propongo alla Corte di rispondere alla quarta questione nel senso che non sussiste alcun contrasto tra le disposizioni della direttiva 2005/29 e l’articolo 24 della direttiva 2016/97. Quest’ultima disposizione non impone alle autorità nazionali competenti di andare oltre quanto richiesto dalla direttiva 2005/29 vietando, ad esempio, in termini generali, una prassi commerciale che consista nella vendita abbinata di un finanziamento personale e di una polizza assicurativa. Essa non impedisce nemmeno a dette autorità di imporre un intervallo di sette giorni tra la firma dei due contratti concernenti tali prodotti quando è dimostrato che, «nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso», la pratica commerciale di cui trattasi è «aggressiva» e quindi «sleale» ai sensi degli articoli 8 e 9 della direttiva 2005/29.

97.      Concludo questa sezione dedicando qualche parola al fatto che i prodotti che la Compass Banca vende in abbinamento ai suoi clienti non sono solo «prodotti assicurativi», ai sensi della direttiva 2016/97, ma anche prodotti finanziari. La disposizione pertinente a tale riguardo è l’articolo 3, paragrafo 9, della direttiva 2005/29. Detta disposizione prevede che, «[i]n merito ai “servizi finanziari” definiti alla direttiva 2002/65/CE [(45)] (…), gli Stati membri possono imporre obblighi più dettagliati o vincolanti di quelli previsti dalla [direttiva 2005/29] nel settore che essa armonizza». All’articolo 2, lettera b), della direttiva 2002/65, il «servizio finanziario» è definito come «qualsiasi servizio di natura bancaria, creditizia, assicurativa, servizi pensionistici individuali, di investimento o di pagamento». Tali servizi includono la vendita sia di finanziamenti personali sia di polizze assicurative, come quelli che la Compass Banca propone ai suoi clienti.

98.      Deduco da questi elementi che, se il legislatore italiano avesse deciso, sulla base della lex specialis contenuta nell’articolo 3, paragrafo 9, di detta direttiva, di adottare una misura al fine di vietare, in generale, la vendita abbinata di un finanziamento personale e di una polizza assicurativa (elemento, questo, che spetta al giudice del rinvio verificare), una siffatta misura sarebbe stata compatibile con il suddetto atto.

99.      Osservo tuttavia che la Compass Banca e la Europe Assistance Italia sostengono che il legislatore italiano non avrebbe adottato una misura simile (46). Su tale base, l’articolo 3, paragrafo 9, della direttiva 2005/29 non pregiudica pertanto, a mio parere, le conclusioni cui sono giunto nella precedente sezione.

V.      Conclusione

100. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali proposte dal Consiglio di Stato (Italia) nei seguenti termini:

1)      La direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali»)

deve essere interpretata nel senso che il «consumatore medio» non è necessariamente un individuo razionale che si attiva per ottenere le informazioni rilevanti, elabora razionalmente le informazioni a lui presentate ed è pertanto in grado di adottare decisioni consapevoli. Benché, in taluni casi, il «consumatore medio» possa essere considerato in grado di agire razionalmente e di adottare una decisione consapevole, la nozione è sufficientemente flessibile da consentire di considerarlo, in altri casi, come una persona dotata di «razionalità limitata», che agisce senza ottenere tutte le informazioni rilevanti o che è incapace di elaborare le informazioni che le vengono fornite in maniera razionale (comprese le informazioni che le vengono presentate dal professionista).

2)      Gli articoli 8 e 9 di detta direttiva

devono essere interpretati nel senso che una pratica commerciale con cui un professionista non solo vende due prodotti in abbinamento, ma presenta le informazioni ai suoi clienti in modo tale da indurli a credere che debbano necessariamente acquistare i due prodotti insieme, non è di per sé «aggressiva», ai sensi della direttiva 2005/29. Le autorità competenti degli Stati membri devono valutare una siffatta pratica commerciale «nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso» per stabilire se essa soddisfi i requisiti previsti nelle suddette disposizioni. L’onere della prova non è trasferito a carico del professionista. Tuttavia, se al termine di tale valutazione tali autorità concludono che la pratica commerciale è «aggressiva» ai sensi delle disposizioni di cui trattasi, esse sono tenute a vietarla. A tal proposito esse possono, ad esempio, imporre che la firma dei contratti per i due prodotti sia separata da un intervallo di sette giorni. Inoltre, qualora i due prodotti si riferiscano a «servizi finanziari», gli Stati membri possono adottare norme al fine di vietare la vendita abbinata di tali prodotti, in applicazione della lex specialis di cui all’articolo 3, paragrafo 9, della medesima direttiva.

3)      L’articolo 24 della direttiva (UE) 2016/97 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 gennaio 2016, sulla distribuzione assicurativa,

deve essere interpretato nel senso che esso non impedisce alle autorità competenti degli Stati membri di imporre un intervallo di sette giorni tra la firma dei due contratti, concernenti, rispettivamente, il finanziamento personale e la polizza assicurativa, che sono offerti congiuntamente dal medesimo professionista, quando è dimostrato che, «nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso», una siffatta pratica è «aggressiva» e quindi «sleale» ai sensi della direttiva 2005/29.


1      Lingua originale: l’inglese.


2      Carrère, E., D’autres vies que la mienne, Folio, 2010, pagg. 194 e 195 [traduzione italiana: Vite che non sono la mia (Adelphi, 2019), pag. 153]. In questo romanzo, l’autore narra la vita del giudice francese che ha presentato la domanda di pronuncia pregiudiziale che ha condotto alla sentenza del 21 novembre 2002, Cofidis (C‑473/00, EU:C:2002:705), vertente sulla questione delle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori.


3      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali») (GU 2005, L 149, pag. 22).


4      V. considerando 7 di detta direttiva.


5      V., inter alia, considerando 11, 23 e 24 della direttiva 2005/29 e articolo 1 della medesima.


6      V. articolo 5 della direttiva 2005/29.


7      A norma dell’articolo 2, lettera b), della direttiva 2005/29, si intende per «“professionista”: qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali oggetto della [suddetta] direttiva, agisca nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisca in nome o per conto di un professionista».


8      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 gennaio 2016, sulla distribuzione assicurativa (GU 2016, L 26, pag. 19).


9      Una pratica commerciale può essere considerata sleale ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2005/29 solo se è soddisfatta tale doppia condizione (v., in tal senso, sentenza del 7 settembre 2016, Deroo-Blanquart, C‑310/15, EU:C:2016:633, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).


10      Aggiungo che il termine «consumatore» è definito all’articolo 2, lettera a), della direttiva 2005/29 come «qualsiasi persona fisica che, nelle pratiche commerciali oggetto [di detta] direttiva, agisca per fini che non rientrano nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale».


11      V. Siciliani, P., Riefa, C. e Gamper H., Consumer Theories of Harm: An Economic Approach to Consumer Law Enforcement and Policy Making, 1ª ed., Hart Publishing, 2019, pag. 25.


12      Lobel, O., «A Behavioural law and economics perspective: Between methodology and ideology when behavioural sciences meet law», in van Gestel, R, Micklitz, H-W. e Rubin, EL, Rethinking Legal Scholarship: A Transatlantic Dialogue, Cambridge University Press, 2017, pag. 476.


13      V. Wheeler, G., «Bounded Rationality», in E.N. Zalta (a cura di), The Stanford Encyclopedia of Philosophy, disponibile al seguente indirizzo: https://plato.stanford.edu/archives/fall2020/entries/bounded-rationality/.


14      V. van Boom, W., e Garde, A., The European Unfair Commercial Practices Directive: Impact, Enforcement Strategies and National Legal Systems, 1ª ed., Routledge, 2014, pag. 6.


15      V. Siciliani, P., Riefa, C., e Gamper, H. (supra, nota 11), pag. 21.


16      V., ad esempio, van Boom, W., e Garde, A., The European Unfair Commercial Practices Directive: Impact, Enforcement Strategies and National Legal Systems, Routledge (supra, nota 14), pag. 6.


17      V. sentenza del 4 giugno 2020, Kancelaria Medius (C‑495/19, EU:C:2020:431, punto 22 e giurisprudenza ivi citata).


18      Comunicazione della Commissione – Orientamenti sull’interpretazione e sull’applicazione della direttiva 2005/29 (GU 2021, C 526, pag. 1).


19      V. conclusioni dell’avvocato generale Medina nella causa Caixabank e a. (Controllo di trasparenza nell’azione collettiva)  (C‑450/22, EU:C:2024:64, paragrafo 46).


20      V. sentenza del 13 gennaio 2000, Estée Lauder (C‑220/98, EU:C:2000:8, punti da 27 a 31).


21      Per fornire un esempio in certo qual modo «divertente», la Corte ha espressamente dichiarato che il parametro di riferimento del «consumatore medio» utilizzato nella direttiva 2005/29 si applica anche nel contesto della valutazione del rischio di errore o confusione cui fa riferimento l’articolo 3, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2010/30/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 maggio 2010, concernente l’indicazione del consumo di energia e di altre risorse dei prodotti connessi all’energia, mediante l’etichettatura ed informazioni uniformi relative ai prodotti (GU 2010, L 153, pag. 1) (v. sentenza del 25 luglio 2018, Dyson, C‑632/16, EU:C:2018:599, punto 56).


22      Direttiva del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU 1993, L 95, pag. 29).


23      V., a tal proposito, sentenza del 21 settembre 2023, mBank (Registro polacco delle clausole illecite) (C‑139/22, EU:C:2023:692, punto 66).


24      V. nota 18 supra.


25      La Corte ha giudicato, ad esempio, che comunicare a un consumatore la vincita di un premio sfruttava un effetto psicologico e incoraggiava il consumatore a effettuare una scelta che non era necessariamente razionale (v. sentenza del 18 ottobre 2012, Purely Creative e a., C‑428/11, EU:C:2012:651, punto 38).


26      V. sentenza del 7 settembre 2016 (C‑310/15, EU:C:2016:633, punto 36).


27      Ibidem, punto 37. Le altre circostanze menzionate dalla Corte a tal proposito comprendevano la conformità dell’offerta congiunta alle aspettative di gran parte dei consumatori, nonché la facoltà concessa al consumatore di accettare tutti gli elementi di tale offerta o di recedere dalla vendita.


28      Il corsivo è mio.


29      Aggiungo che il considerando 13 di detta direttiva precisa che le pratiche commerciali «ingannevoli» e «aggressive» sono le «due tipologie di pratiche commerciali più diffuse» (il corsivo è mio).


30      Infatti, gli articoli 6 e 7 della direttiva 2005/29 riguardano le «pratiche ingannevoli».


31      V. sentenza del 7 settembre 2016, Deroo-Blanquart (C‑310/15, EU:C:2016:633, punto 28 e giurisprudenza ivi citata).


32      Nella sentenza citata nella precedente nota, la Corte impiegava in effetti i termini «offerte congiunte» per designare una prassi commerciale consistente nella vendita di un computer provvisto di programmi informatici preinstallati senza che vi fosse la facoltà, per il consumatore, di ottenere lo stesso modello di computer sprovvisto di programmi informatici preinstallati.


33      V., a tal riguardo, ancora una volta, sentenza del 7 settembre 2016, Deroo‑Blanquart (C‑310/15, EU:C:2016:633, punto 30 e giurisprudenza ivi citata).


34      V., in tal senso, sentenza del 12 giugno 2019, Orange Polska (C‑628/17, EU:C:2019:480, punto 30).


35      V. altresì, a tal riguardo, considerando 16 della direttiva 2005/29, che stabilisce che le pratiche commerciali «aggressive» sono «pratiche che comportano il ricorso a molestie, coercizione, compreso l’uso di forza fisica, e indebito condizionamento».


36      V., a tal proposito, sentenza del 7 settembre 2016, Deroo-Blanquart (C‑310/15, EU:C:2016:633, punto 30 e giurisprudenza ivi citata). V. altresì, in tal senso, sentenze del 17 gennaio 2013, Köck (C‑206/11, EU:C:2013:14, punto 50), in cui la Corte ha concluso, sostanzialmente, che, se una pratica commerciale non rientra nell’allegato I alla direttiva 2005/29, l’amministrazione nazionale competente deve valutare essa stessa il suo carattere sleale alla luce dei criteri individuati dagli articoli da 5 a 9 della direttiva di cui trattasi e non può vietare in termini generali tale pratica, e del 12 giugno 2019, Orange Polska (C‑628/17, EU:C:2019:480, punto 25).


37      V. sentenza del 19 ottobre 2017, Europamur Alimentación (C‑295/16, EU:C:2017:782, punto 39 e giurisprudenza ivi citata).


38      Sentenza del 12 giugno 2019 (C‑628/17, EU:C:2019:480, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).


39      Ibidem, punti da 46 a 49.


40      L’espressione «distributore di prodotti assicurativi» è definita all’articolo 2, punto 8, della direttiva 2016/97 come «qualsiasi intermediario assicurativo, intermediario assicurativo a titolo accessorio o impresa di assicurazione».


41      A questo proposito osservo che la direttiva 2016/97 si applica, come precisa il suo considerando 7, a tutte le «vendite di prodotti assicurativi» (v. altresì, sul punto, sentenza del 29 settembre 2022, TC Medical Air Ambulance Agency (C‑633/20, EU:C:2022:733, punto 48). In tale contesto, l’articolo 24 di tale atto riguarda, più precisamente, la vendita abbinata di tali prodotti insieme ad altri.


42      Inoltre, il considerando 10 della direttiva 2005/29 precisa che tale atto «offre una tutela ai consumatori ove a livello comunitario non esista una specifica legislazione di settore» e «completa pertanto l’acquis comunitario applicabile alle pratiche commerciali lesive degli interessi economici dei consumatori».


43      V. sentenza del 13 settembre 2018, Wind Tre e Vodafone Italia (C‑54/17 e C‑55/17, EU:C:2018:710, punti 60 e 61).


44      Il corsivo è mio.


45      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 settembre 2002, concernente la commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori e che modifica la direttiva 90/619/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE e 98/27/CE (GU 2002, L 271, pag. 16).


46      A questo proposito, osservo che la Compass Banca e la Europe Assistance Italia sostengono che il legislatore italiano si sarebbe avvalso dell’articolo 3, paragrafo 9, della direttiva 2005/29 solo per imporre taluni obblighi a carico dei «professionisti» che ricorrono a una siffatta pratica (inter alia, imponendo che siano fornite determinate informazioni ai consumatori e a che questi ultimi sia data la scelta di acquistare tali prodotti separatamente).