Language of document : ECLI:EU:C:2007:127




CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PAOLO Mengozzi

presentate il 1° marzo 2007 (1)

Causa C-443/05 P

Common Market Fertilizers SA

contro

Commissione delle Comunità europee

«Impugnazione avverso una sentenza del Tribunale di primo grado – Sgravio di dazi all’importazione – Modalità di adozione delle decisioni sulle domande di sgravio – Nozione di “gruppo di esperti” ai sensi dell’art. 907 del regolamento (CEE) n. 2454/93 – ‘Manifesta negligenza’ ai sensi dell’art. 239 del regolamento (CEE) n. 2913/92»





1.        Nel presente giudizio di impugnazione la Common Market Fertilizers SA (in prosieguo: la «ricorrente» o «CMF») chiede l’annullamento della sentenza del Tribunale di primo grado (in prosieguo: il «Tribunale») del 27 settembre 2005 (in prosieguo: la «sentenza impugnata») (2), con la quale sono stati rigettati i ricorsi di annullamento proposti dalla medesima società avverso talune decisioni della Commissione del 20 dicembre 2002 (3) che constatavano che, in un caso particolare, lo sgravio dei dazi all’importazione non era giustificato.

 Contesto normativo

2.        L’art. 1, nn. 3 e 4, del regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 1994, n. 3319, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di soluzioni di urea e nitrato di ammonio originarie della Bulgaria e della Polonia, esportate da imprese non esentate dal dazio, e che decide la riscossione definitiva del dazio provvisorio (4), prevede quanto segue:

«3. Per le importazioni originarie della Polonia l’importo del dazio antidumping è pari alla differenza tra il prezzo all’importazione minimo, pari a 89 ECU per tonnellata di prodotto, e il prezzo cif franco frontiera comunitaria, più il dazio TDC pagabile per tonnellata di prodotto quando il prezzo cif franco frontiera comunitaria più il dazio TDC pagabile per tonnellata di prodotto è inferiore al prezzo all’importazione minimo e quando le importazioni immesse in libera pratica sono direttamente fatturate agli importatori indipendenti dai seguenti esportatori o produttori con sede in Polonia:

(…).

Per le importazioni immesse in libera pratica che non sono direttamente fatturate agli importatori indipendenti da uno dei summenzionati esportatori o produttori con sede in Polonia, si applica il seguente dazio specifico:

per il prodotto originario della Polonia: 22 ECU per tonnellata di prodotto (…), ad eccezione del prodotto fabbricato dalla Zaklady Azotowe Pulawy, per il quale il dazio specifico è di 19 ECU per tonnellata di prodotto (…).

4. Salvo diversa indicazione, si applicano le disposizioni in vigore in materia di dazi doganali».

3.        L’art. 239 del regolamento (CEE) del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913, che istituisce un codice doganale comunitario (5), quale modificato dal regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 16 novembre 2000, n. 2700 (6) (in prosieguo: il «codice doganale»), prevede quanto segue:

«1. Si può procedere al rimborso o allo sgravio dei dazi all’importazione o dei dazi all’esportazione in situazioni diverse da quelle di cui agli articoli 236, 237 e 238:

–        da determinarsi secondo la procedura del comitato;

–        dovute a circostanze che non implicano frode o manifesta negligenza da parte dell’interessato. Le situazioni in cui si applica la presente disposizione e le modalità procedurali da osservare sono definite secondo la procedura del comitato. Il rimborso e lo sgravio possono essere subordinati a condizioni particolari.

(…)».

4.        L’art. 4, punto 24, del codice doganale precisa che, ai fini dello stesso codice, per «procedura del comitato» s’intende «la procedura di cui agli articoli 247 e 247 bis o agli articoli 248 e 248 bis».

5.        L’art. 247 del codice doganale prevede che «[l]e misure necessarie per l’attuazione [dello stesso] codice (…) sono adottate secondo la procedura di regolamentazione di cui al paragrafo 2 dell’articolo 247 bis (…)».

6.        L’art. 247 bis del codice doganale dispone quanto segue:

«1. La Commissione è assistita dal comitato del codice doganale, in seguito denominato “comitato”.

2. Nei casi in cui è fatto riferimento al presente paragrafo, si applicano gli articoli 5 e 7 della decisione 1999/468/CE (…).

3. Il comitato adotta il proprio regolamento interno».

7.        L’art. 4 del regolamento interno del comitato del codice doganale così recita:

«1. La convocazione, l’ordine del giorno, i progetti di misure sui quali è richiesto il parere del comitato, nonché ogni altro documento di lavoro, sono trasmessi dal presidente alle rappresentanze permanenti e ai membri del comitato, conformemente all’articolo 14, paragrafo 2, di regola al più tardi quattordici giorni di calendario prima della data della riunione.

2. In caso di urgenza e qualora le misure da adottare debbano essere applicate immediatamente, il presidente può, su richiesta di un membro del comitato o di sua iniziativa, ridurre il termine di trasmissione di cui al paragrafo precedente fino a cinque giorni di calendario prima della data della riunione.

3. In caso di estrema urgenza, il presidente può discostarsi dai termini fissati ai paragrafi 1 e 2. Qualora si proponga di iscrivere una questione all’ordine del giorno di una riunione nel corso della stessa, è necessaria l’approvazione da parte della maggioranza semplice dei membri del comitato».

8.        L’art. 2 della decisione del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/468/CE, recante modalità per l’esercizio delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione (7) (in prosieguo: la «decisione comitatologia»), così dispone:

«La scelta delle modalità procedurali per l’adozione delle misure di esecuzione è improntata ai seguenti criteri:

a)       Le misure di gestione, come quelle relative all’applicazione della politica agricola comune e della politica comune della pesca, o quelle relative all’attuazione di programmi che hanno rilevanti implicazioni di bilancio, dovrebbero essere adottate secondo la procedura di gestione.

b)       Le misure di portata generale intese a dare applicazione alle disposizioni essenziali di un atto di base, ivi comprese le misure concernenti la salute o la sicurezza delle persone, degli animali o delle piante, dovrebbero essere adottate secondo la procedura di regolamentazione.

Quando un atto di base prevede che talune disposizioni non essenziali di tale atto possono essere adeguate o aggiornate tramite procedure di esecuzione, dette misure dovrebbero essere adottate secondo la procedura di regolamentazione.

c)       Fatta salva l’applicazione delle lettere a) e b), la procedura consultiva è applicata ogniqualvolta si ritenga che sia la più appropriata».

9.        L’art. 5 della decisione comitatologia prevede quanto segue:

«Procedura di regolamentazione

1. La Commissione è assistita da un comitato di regolamentazione composto dei rappresentanti degli Stati membri e presieduto dal rappresentante della Commissione.

2. Il rappresentante della Commissione sottopone al comitato un progetto delle misure da adottare. Il comitato esprime il suo parere sul progetto entro un termine che il presidente può fissare in funzione dell’urgenza della questione in esame. Il parere è formulato alla maggioranza prevista dall’articolo 205, paragrafo 2, [CE] per l’adozione delle decisioni che il Consiglio deve prendere su proposta della Commissione. Nelle votazioni del comitato, ai voti dei rappresentanti degli Stati membri è attribuita la ponderazione definita all’articolo precitato. Il presidente non partecipa al voto.

3. La Commissione adotta, fatto salvo l’articolo 8, le misure previste qualora siano conformi al parere del comitato.

4. Se le misure previste non sono conformi al parere del comitato, o in assenza di parere, la Commissione sottopone senza indugio al Consiglio una proposta in merito alle misure da prendere e ne informa il Parlamento europeo (…)».

10.      L’art. 905, n. 1, del regolamento (CEE) della Commissione 2 luglio 1993, n. 2454, che fissa talune disposizioni d’applicazione del codice doganale (8), come modificato dal regolamento (CE) della Commissione 29 luglio 1998, n. 1677 (9) (in prosieguo: il «regolamento di applicazione»), prevede quanto segue:

«Quando l’autorità doganale di decisione, alla quale è stata presentata la domanda di rimborso o di sgravio in virtù dell’articolo 239, paragrafo 2, del codice, non sia in grado di decidere, sulla base dell’articolo 899, e la domanda sia corredata di giustificazioni tali da costituire una situazione particolare risultante da circostanze che non implicano alcuna manovra fraudolenta o negligenza manifesta da parte dell’interessato, lo Stato membro da cui dipende tale autorità trasmette il caso alla Commissione affinché sia evaso conformemente alla procedura di cui agli articoli da 906 a 909.

Tuttavia, salvo in caso di dubbi da parte della suddetta autorità doganale di decisione, questa può decidere di procedere al rimborso o allo sgravio dei dazi qualora ritenga che siano soddisfatte le condizioni di cui all’articolo 239, paragrafo 1, del codice, e purché l’importo che riguarda un operatore in seguito a una stessa situazione particolare e riferito, all’occorrenza, a diverse operazioni d’importazione o di esportazione sia inferiore a 50 000 ECU.

Il termine “interessato” deve essere inteso nel senso di cui all’articolo 899.

In tutti gli altri casi, l’autorità doganale di decisione respinge la domanda».

11.      L’art. 906 del regolamento di applicazione così dispone:

«Entro quindici giorni dalla data di ricevimento della pratica di cui all’articolo 905, paragrafo 2, la Commissione ne trasmette copia agli Stati membri.

L’esame della pratica è iscritto, non appena possibile, all’ordine del giorno di una riunione del comitato di cui all’articolo 247 del codice».

12.      Successivamente ai fatti di causa, il secondo comma dell’art. 906 del regolamento di applicazione è stato modificato dal regolamento (CE) della Commissione 25 luglio 2003, n. 1335, recante modifica del regolamento di applicazione (10), nel modo seguente:

«L’esame della pratica è iscritto, non appena possibile, all’ordine del giorno di una riunione del gruppo di esperti di cui all’articolo 907».

13.      Ai sensi dell’art. 907, primo comma, del regolamento di applicazione:

«Previa consultazione di un gruppo di esperti, composto di rappresentanti di tutti gli Stati membri riuniti nell’ambito del comitato per esaminare il caso in oggetto, la Commissione adotta una decisione che stabilisce che la situazione particolare esaminata giustifica la concessione del rimborso o dello sgravio oppure non la giustifica».

 Fatti all’origine della controversia

14.      I fatti che hanno dato origine alla presente controversia, quali accertati dal Tribunale, risultano nei seguenti termini dai punti 14‑28 della sentenza impugnata:

«14 La ricorrente, che ha sede in Belgio, è grossista di prodotti chimici e, segnatamente, di soluzioni azotate (urea e nitrato di ammonio). Il gruppo della ricorrente comprende in particolare la Rellmann GmbH, situata ad Amburgo (Germania), controllata al 100% dalla ricorrente, e l’Agro Baltic GmbH, con sede a Rostock (Germania) e controllata al 100% dalla Rellmann. Nel 1989 la ricorrente ha acquisito la società Champagne Fertilisants, che è il suo rappresentante fiscale per tutte le sue operazioni in Francia.

15 L’esportatore, l’impresa polacca Zaklady Azotowe Pulawy (in prosieguo: la “ZAP”), vende i prodotti all’Agro Baltic. Nell’ambito del gruppo della ricorrente, il circuito commerciale è il seguente: l’Agro Baltic rivende i prodotti alla Rellmann, che, a sua volta, li rivende alla ricorrente. Vengono emesse le corrispondenti fatture.

16 Nella [vicenda che ha dato luogo alla] causa T‑134/03, l’Agro Baltic ha acquistato dalla ZAP, tra marzo e settembre 1997, tre carichi di miscuglio di urea e di nitrato di ammonio. Questi carichi hanno seguito il circuito commerciale descritto supra al punto 15.

17 La Cogema, agente doganale autorizzato, è stata incaricata di procedere all’immissione in libera pratica dei prodotti a nome dell’Agro Baltic e alla loro immissione in consumo a nome della ricorrente.

18 Le merci, quindi, in un primo tempo sono state immesse in libera pratica a nome dell’Agro Baltic, munite di dichiarazione EU0 cui erano allegate le fatture della ZAP all’Agro Baltic e i certificati EUR.1 attestanti l’origine polacca delle merci. Le merci sono state simultaneamente collocate in regime di deposito, dal quale sono uscite qualche minuto più tardi per essere immesse al consumo a nome della Champagne Fertilisants.

19 Nella [vicenda che ha dato luogo alla] causa T‑135/03, l’Agro Baltic ha acquistato presso la ZAP, nel 1995, un carico che ha poi seguito il circuito commerciale descritto supra al punto 15.

20 L’Agro Baltic ha incaricato la società SCAC di Rouen (in prosieguo: la “SCAC”), agente doganale autorizzato, di procedere all’immissione in libera pratica delle merci a nome dell’Agro Baltic e di immetterle al consumo a nome della ricorrente. Si trattava pertanto, con riferimento alla stessa merce, di depositare due dichiarazioni doganali all’importazione, presso lo stesso ufficio doganale, con menzione di due destinatari diversi, in modo da poter scindere il pagamento dei dazi doganali da quello dell’IVA.

21 La SCAC ha utilizzato una procedura di sdoganamento semplificata di immissione in libera pratica e di immissione al consumo a nome soltanto della ricorrente. A tal fine, la SCAC ha depositato una dichiarazione IM4 a nome della ricorrente, cui erano acclusi la fattura della Rellmann alla ricorrente e un certificato EUR.1 attestante l’origine polacca delle merci.

22 In un primo tempo, la competente autorità francese ha accettato le dichiarazioni attinenti alle due pratiche di cui trattasi, concedendo l’esenzione dai dazi doganali all’importazione sulla base dei certificati EUR.1, e non ha reclamato il pagamento di dazi antidumping.

23 A seguito di un controllo a posteriori, le autorità francesi competenti hanno tuttavia ritenuto che il dazio specifico di ECU 19 per tonnellata istituito dall’art. 1, n. 3, secondo comma, del regolamento n. 3319/94 avrebbe dovuto essere applicato a tutti i carichi di cui trattasi. A loro parere, infatti, il vero importatore delle merci era la ricorrente, non destinataria di una fattura diretta della ZAP, quando invece i prodotti di cui trattasi erano certificati dalla ZAP. Più precisamente, nella pratica che ha dato luogo alla causa T‑134/03 le competenti autorità francesi hanno ritenuto, in particolare, che il deposito intermedio delle merci costituisse una fictio iuris, data la sua brevissima durata, e che la ricorrente avesse già acquistato le merci, nelle tre operazioni di cui trattasi, ancor prima del deposito delle dichiarazioni di immissione in libera pratica a nome dell’Agro Baltic. Nella pratica che ha dato luogo alla causa T‑135/03 le competenti autorità francesi hanno ritenuto che fosse stata effettuata una sola dichiarazione di immissione in libera pratica e di immissione al consumo a nome della ricorrente.

24 Ciò considerato, nella pratica che ha dato luogo alla causa T‑134/03, il 4 dicembre 1998 gli agenti del Centro d’informazione, orientamento e controllo di Poitiers hanno redatto un verbale in cui si dichiarava che erano stati elusi dazi e tasse per un importo complessivo di franchi francesi (FRF) 3 911 497 (EUR 564 855). Nella pratica che ha dato luogo alla causa T‑135/03, il 13 novembre 1997 la direzione interregionale delle dogane di Rouen ha redatto un verbale da cui risulta che avrebbero dovuto essere applicati dazi e tasse per un importo complessivo di FRF 840 271 (EUR 128 098).

25 Nel novembre e dicembre 1999, la ricorrente ha presentato all’amministrazione doganale francese, ai sensi dell’art. 239 del codice doganale, domande di sgravio di dazi. Il 14 febbraio 2002 l’amministrazione doganale francese ha trasmesso le dette domande alla Commissione, che le ha registrate con i numeri di riferimento REM 02/02 (causa T‑134/03) e REM 03/02 (causa T‑135/03).

26 Con lettere del 9 e 10 settembre 2002, cui è stato risposto l’11 ottobre 2002, la Commissione ha comunicato alla ricorrente che intendeva adottare una decisione negativa nelle pratiche REM 02/02 e REM 03/02.

27 Il 12 novembre 2002 il gruppo di esperti REM/REC si è riunito nell’ambito del comitato doganale, sezione rimborsi. Come risulta dal resoconto sommario di tale riunione, redatto il 29 novembre 2002, la votazione finale cui ha proceduto il gruppo di esperti è sfociata nel seguente risultato, per quanto riguarda le pratiche REM 02/02 e REM 03/02: “sei delegazioni votano a favore della proposta della Commissione, quattro delegazioni si astengono e cinque delegazioni votano contro la proposta della Commissione”.

28 Il 20 dicembre 2002 la Commissione, ritenendo che vi fosse stata manifesta negligenza da parte della ricorrente, che non sussistesse alcuna situazione particolare e che, pertanto, non ricorressero i presupposti per applicare l’art. 239 del codice doganale, ha adottato le decisioni C (2002) 5217 def. (pratica REM 02/02) e C (2002) 5218 def. (pratica REM 03/02), in cui si constatava che lo sgravio dei dazi all’importazione non era giustificato (in prosieguo: le “decisioni controverse”). Essa ha notificato tali decisioni all’amministrazione doganale francese la quale, a sua volta, le ha trasmesse alla ricorrente il 10 febbraio 2003».

 Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

15.      Con atti introduttivi depositati presso la cancelleria del Tribunale il 18 aprile 2003, registrati con i numeri di ruolo T‑134/03 e T‑135/03, CMF ha chiesto l’annullamento delle decisioni controverse, deducendo tre motivi.

16.      Con il primo motivo, faceva valere, tra l’altro, la violazione dell’art. 7 CE e dell’art. 5 della decisione comitatologia e la violazione dell’art. 4, n. 1, del regolamento interno del comitato del codice doganale.

17.      Con il secondo motivo, faceva valere degli errori manifesti di valutazione nei quali la Commissione sarebbe incorsa allorché ha ritenuto non sussistenti i presupposti per la concessione dello sgravio ex art. 239 del codice doganale.

18.      Con il terzo motivo, sosteneva che la Commissione non aveva rispettato l’obbligo di motivazione che le incombeva in forza dell’art. 253 CE.

19.      Previa riunione delle cause T‑134/03 e T‑135/03, il Tribunale, con la sentenza impugnata, ha respinto i ricorsi e condannato la ricorrente alle spese.

20.      Per quanto riguarda la pretesa violazione dell’art. 7 CE e dell’art. 5 della decisione comitatologia, il Tribunale ha, in primo luogo, dichiarato irricevibile l’eccezione di invalidità dell’art. 907, primo comma, del regolamento di applicazione sollevata dalla ricorrente nell’ambito di detta censura (11).

21.      A tale riguardo, il Tribunale ha osservato, anzitutto, che l’eccezione era tardiva in quanto dedotta soltanto in sede di replica e non fondata su alcun elemento di diritto o di fatto emerso durante il procedimento, ai sensi dell’art. 48, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale (12).

22.      Inoltre, il Tribunale ha evidenziato che l’invalidità dell’art. 907, primo comma, del regolamento di applicazione non poteva essere esaminata d’ufficio perché non era di ordine pubblico (13). Secondo il Tribunale, se è vero che esso deve rilevare d’ufficio l’incompetenza dell’autore dell’atto impugnato, tuttavia, da un lato, nella fattispecie la Commissione aveva agito nell’ambito delle sue competenze adottando le decisioni controverse sulla base dell’art. 907, primo comma, del regolamento di applicazione, a sua volta adottato previo parere del comitato del codice doganale conformemente alla procedura sancita dagli artt. 239, 247 e 247 bis di detto codice; d’altro lato, non si evince dalla giurisprudenza che il Tribunale deve accertare d’ufficio se la Commissione, adottando l’art. 907, primo comma, del regolamento di applicazione, fondamento normativo delle decisioni controverse, abbia ecceduto i limiti della propria competenza (14).

23.      In secondo luogo, il Tribunale ha respinto la tesi della ricorrente secondo la quale il gruppo di esperti che, ai sensi dell’art. 907, primo comma, del regolamento di applicazione, si riunisce «nell’ambito del comitato [del codice doganale]» costituisce un comitato di regolamentazione ai sensi dell’art. 5 della decisione comitatologia (15).

24.      In proposito il Tribunale ha rilevato come risultasse dal ‘considerando’ 7 e dall’art. 5 della decisione comitatologia che la procedura di regolamentazione è utilizzata per le «misure di portata generale intese ad applicare le disposizioni essenziali di atti di base», mentre le decisioni controverse erano decisioni individuali, del tutto prive, pertanto, di portata generale. Secondo il Tribunale, ammettere che il comitato di regolamentazione ai sensi dell’art. 5 della decisione comitatologia sia competente ad esprimere un parere su una proposta di decisione individuale di rimborso o di sgravio di dazi doganali equivarrebbe ad assimilare le distinte nozioni di decisione e di atto di portata generale, che sono invece fondamentalmente distinte e, con ciò, a violare l’art. 249 CE, così come l’art. 7 CE e la decisione comitatologia (16).

25.      Il Tribunale ha anche aggiunto che, ove il legislatore, nella fattispecie la Commissione, avesse voluto che il comitato del codice doganale fosse consultato nell’ambito delle procedure individuali di sgravio o di rimborso, avrebbe senza dubbio utilizzato all’art. 907, primo comma, del regolamento di applicazione l’espressione «previa consultazione del comitato». L’espressione «nell’ambito del comitato» rifletterebbe il fatto che il gruppo di esperti citato all’art. 907 è manifestamente un’entità diversa, sul piano funzionale, dal comitato del codice doganale (17).

26.      Per quanto riguarda la pretesa violazione dell’art. 4, n. 1, del regolamento interno del comitato del codice doganale (in prosieguo: il «regolamento interno del CCD») – dedotta sotto il profilo del mancato rispetto del termine di quattordici giorni prima della riunione del comitato medesimo ivi prescritto per la trasmissione ai suoi membri dei documenti di lavoro – il Tribunale ha respinto la censura della ricorrente.

27.      Al riguardo, dopo aver constatato che i membri del gruppo di esperti avevano avuto a disposizione tredici giorni di calendario per prendere conoscenza della lettera con cui la ricorrente aveva risposto alle lettere della Commissione, il Tribunale ha considerato che le persone fisiche o giuridiche non possono eccepire una pretesa violazione della suddetta norma, che non è preordinata alla tutela dei singoli, ma ad assicurare il funzionamento interno del comitato nel pieno rispetto delle prerogative dei suoi membri (18).

28.      Per quanto riguarda i pretesi errori manifesti di valutazione nell’applicazione dell’art. 239 del codice doganale, il Tribunale, dopo aver sottolineato che era pacifico che la ricorrente non aveva commesso frodi, ha esaminato soltanto la parte del secondo motivo di annullamento relativa all’asserita mancanza di negligenza da parte della ricorrente, per escludere ogni errore manifesto di valutazione della Commissione sul punto, ciò che rendeva superfluo l’esame delle doglianze relative alla sussistenza di una situazione particolare (19).

29.      Preliminarmente, il Tribunale ha ricordato che, secondo la giurisprudenza, per valutare se vi sia manifesta negligenza ai sensi dell’art. 239 del codice doganale, occorre tener conto, in particolare, della complessità delle norme il cui inadempimento ha fatto sorgere l’obbligazione doganale, nonché dell’esperienza professionale e della diligenza dell’operatore (20).

30.      Sotto il profilo della complessità delle norme, il Tribunale ha rilevato, da un lato, che esso aveva già in altra occasione (21) dichiarato che l’art. 1, n. 3, secondo comma, del regolamento n. 3319/94 non presentava rilevanti difficoltà d’interpretazione e, dall’altro, che, come ritenuto dalla Commissione, la ricorrente non poteva sottrarsi alla propria responsabilità invocando l’errore, vero o presunto, dei suoi agenti doganali, avendo essa stessa elaborato lo schema d’importazione dei prodotti di cui trattasi e liberamente scelto detti agenti (22).

31.      Sotto il profilo dell’esperienza professionale della ricorrente, il Tribunale ha constatato che legittimamente la Commissione aveva ritenuto che la ricorrente disponesse dell’esperienza necessaria nell’espletamento di operazioni di importazione e di esportazione (23).

32.      Sotto il profilo, infine, della diligenza dell’operatore, il Tribunale ha giudicato che, globalmente considerato, il comportamento della ricorrente nello svolgimento delle operazioni di cui trattasi non poteva considerarsi sufficientemente diligente. Infatti, pur allegando la sua inesperienza nelle operazioni di sdoganamento dei prodotti in parola, nonché difficoltà inerenti all’applicazione del regolamento n. 3319/94, la ricorrente non soltanto non aveva sollecitato la consulenza dei suoi agenti doganali, ma aveva anzi impartito loro istruzioni molto precise. Inoltre, secondo il Tribunale, gli errori commessi dalla ricorrente nella redazione delle sue fatture militavano anch’essi in favore di una mancanza di diligenza da parte sua (24).

 Procedimento dinanzi alla Corte e conclusioni delle parti

33.      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria della Corte il 14 dicembre 2005 la ricorrente ha proposto impugnazione avverso la predetta sentenza.

34.      I rappresentanti delle parti sono stati sentiti all’udienza svoltasi il 5 ottobre 2006.

35.      La ricorrente conclude che la Corte voglia:

–        annullare in toto la sentenza impugnata;

–        accogliere le conclusioni formulate dalla ricorrente nel giudizio di primo grado;

–        condannare la Commissione alle spese tanto del giudizio di impugnazione quanto del giudizio di primo grado.

36.      La Commissione conclude che la Corte voglia:

–        respingere l’impugnazione;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 Analisi giuridica

 Considerazioni preliminari sui motivi di impugnazione dedotti

37.      A sostegno dell’impugnazione la ricorrente formula quattro motivi. Con i primi due rimprovera al Tribunale, rispettivamente, una «presentazione incompleta del contesto normativo» e una «presentazione incompleta del contesto fattuale». Con il terzo motivo fa valere una serie di errori di diritto che il Tribunale avrebbe commesso nell’esaminare la sussistenza della violazione di forme sostanziali dedotta con il primo motivo dei ricorsi di annullamento. Il quarto motivo è relativo ad un’erronea applicazione dell’art. 239 del codice doganale da parte del Tribunale.

38.      Il primo motivo di impugnazione è manifestamente privo di autonomia rispetto agli altri. Invocando una «presentazione incompleta del contesto normativo» la ricorrente critica il Tribunale per aver omesso di menzionare, nella presentazione del contesto normativo rilevante effettuata ai punti 1‑13 della sentenza impugnata, da un lato, il ‘considerando’ 39 del regolamento n. 3319/94 e, dall’altro, l’art. 2 della decisione comitatologia.

39.      Mi pare del tutto ovvio che la mancata menzione, nella parte della sentenza che contiene una mera presentazione del contesto normativo, di una o più disposizioni che si dovessero ritenere rilevanti ai fini della causa non può costituire in sé un vizio invalidante la sentenza stessa. La censura deve quindi essere intesa come volta a far valere piuttosto l’omessa presa in considerazione da parte del Tribunale del ‘considerando’ e della disposizione invocati e gli errori di diritto che ne sarebbero conseguiti sul piano della valutazione giuridica.

40.      In effetti, emerge dalla trattazione del primo motivo contenuta nell’atto di impugnazione che, per effetto delle dedotte omissioni, secondo la ricorrente, il Tribunale avrebbe proceduto, per un verso, ad un’erronea interpretazione dell’art. 1, n. 3, secondo comma, del regolamento n. 3319/94 nel ritenere che l’assenza, nella fattispecie, di elusione delle misure antidumping da parte della ricorrente non ostasse all’imposizione del dazio antidumping specifico, e, per altro verso, all’erronea valutazione secondo la quale la procedura di regolamentazione di cui alla decisione comitatologia deve essere seguita soltanto per l’adozione di misure di portata generale.

41.      Si tratta tuttavia di censure che sono sollevate più specificamente nell’ambito, rispettivamente, del quarto e del terzo motivo di impugnazione (25). È dunque opportuno esaminarle nell’ambito dell’analisi di tali motivi.

42.      In ordine alla pretesa «presentazione incompleta del contesto fattuale», dedotta con il secondo motivo di impugnazione, rilevo che la ricorrente rimprovera al Tribunale di aver proceduto, ai punti 14‑28 della sentenza impugnata, ad una presentazione dei fatti «incompleta ed erronea» che si tradurrebbe in uno snaturamento degli stessi e quindi in un errore di diritto (26). Per effetto di tale snaturamento, il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto esservi nella specie una situazione di fatturazione indiretta che giustificava l’applicazione del dazio specifico previsto dall’art. 1, n. 3, secondo comma, del regolamento n. 3319/94.

43.      La ricorrente sostiene invece che nella specie, contrariamente a quanto hanno ritenuto le autorità doganali francesi e la Commissione, non è riscontrabile una situazione di fatturazione indiretta. Per dimostrarlo, tuttavia, essa avanza una serie di argomenti di carattere giuridico, senza mettere in evidenza il benché minimo errore commesso dalle suddette autorità, dalla Commissione e tanto meno dal Tribunale nell’accertamento dei fatti.

44.      Non vi è peraltro alcun bisogno, ai fini del presente giudizio, di soffermarsi su tali argomenti.

45.      Da un lato, rilevo che il Tribunale, nella sentenza impugnata, non ha affatto esaminato la questione relativa alla sussistenza nella specie di una situazione di fatturazione indiretta, e ciò era perfettamente logico e legittimo da parte del Tribunale, in quanto non emerge dal fascicolo relativo alla causa di primo grado che la ricorrente avesse fatto valere dinanzi al Tribunale stesso la violazione, da parte della Commissione, dell’art. 1, n. 3, secondo comma, del regolamento n. 3319/94. Detta questione non può dunque essere proposta per la prima volta nell’ambito del giudizio di impugnazione, in cui la competenza della Corte è limitata alla valutazione della soluzione giuridica che è stata fornita a fronte dei motivi discussi dinanzi al giudice di primo grado (27).

46.      D’altro lato, eccependo l’insussistenza dell’obbligazione doganale, la ricorrente si pone in una prospettiva logica non solo nuova, ma del tutto incompatibile con l’oggetto dei ricorsi di annullamento proposti dinanzi al Tribunale.

47.      A tale riguardo, occorre tenere presente che con le decisioni controverse la Commissione si è pronunciata su domande della ricorrente volte ad ottenere lo sgravio di dazi sul fondamento dell’art. 239 del codice doganale e dell’art. 905 del regolamento di applicazione.

48.      Orbene, come correttamente evidenziato dalla Commissione, tali disposizioni, che perseguono una finalità equitativa (28), hanno come unico obiettivo di consentire, quando ricorrono talune situazioni particolari e in mancanza di negligenza manifesta o di frode, l’esonero di determinati operatori economici dal pagamento dei diritti da essi dovuti, e non di contestare il principio stesso dell’esigibilità dell’obbligazione doganale (29). Ne consegue che la ricorrente poteva far valere utilmente nei confronti delle decisioni controverse solo motivi miranti a dimostrare, nella fattispecie, l’esistenza di una situazione particolare, nonché la mancanza di negligenza manifesta o di frode da parte sua, e non motivi miranti a dimostrare l’illegittimità delle decisioni delle competenti autorità nazionali che l’avevano assoggettata al pagamento dei dazi in questione (30).

49.      In altri termini, le domande inoltrate alla Commissione a norma del combinato disposto degli artt. 239 del codice doganale e 905 del regolamento di applicazione non attengono alla questione se le disposizioni di diritto sostanziale doganale siano state correttamente applicate dalle autorità doganali nazionali. Invero, siffatta questione rientra nella competenza delle autorità doganali nazionali, in forza dell’art. 236 del codice doganale, le cui decisioni possono essere impugnate dinanzi ai giudici nazionali, ferma restando per questi ultimi la possibilità di rivolgersi alla Corte a norma dell’art. 234 CE (31).

50.      Poiché l’introduzione di siffatte domande presso la Commissione presuppone l’esistenza dell’obbligazione doganale (32), che la ricorrente non è abilitata a contestare nell’ambito di un ricorso di annullamento diretto contro le decisioni controverse, gli argomenti in punto di diritto sollevati nell’ambito del secondo motivo di impugnazione devono essere respinti anche per questa ragione (33).

51.      L’attenzione della Corte deve pertanto focalizzarsi sul terzo e sul quarto motivo di impugnazione.

 Sui pretesi errori di diritto nell’esame della sussistenza di una violazione di forme sostanziali

 Sugli errori di diritto che il Tribunale avrebbe commesso nell’escludere la violazione dell’art. 7 CE e dell’art. 5 della decisione comitatologia

–       Le censure della ricorrente

52.      Con le due prime parti del presente motivo di impugnazione, relative, da un lato, alla «violazione dell’art. 7 CE e alla questione dell’invalidità dell’art. 907, primo comma, del regolamento [di applicazione]» e, dall’altro, alla «natura giuridica del comitato consultato dalla Commissione», la ricorrente lamenta una serie di errori di diritto che il Tribunale avrebbe commesso nel respingere la parte del primo motivo di annullamento relativa alla pretesa violazione dell’art. 7 CE e dell’art. 5 della decisione comitatologia. Esse meritano, a mio avviso, un esame congiunto, riproponendo entrambe, in sostanza, la questione della procedura che doveva essere seguita dalla Commissione ai fini dell’evasione delle domande di sgravio della ricorrente e dunque la questione della competenza della Commissione.

53.      Emerge dal fascicolo che la censura di incompetenza della Commissione, formulata dalla ricorrente dinanzi al Tribunale, si fondava, in sostanza, sull’assunto secondo cui il comitato riunitosi il 12 novembre 2002 (v. paragrafo 26 supra) è da considerare, a norma degli artt. 247 e 247 bis del codice doganale, come un comitato di regolamentazione ai sensi dell’art. 5 della decisione comitatologia. Dovendosi applicare quindi la procedura di regolamentazione disciplinata da quest’ultimo articolo, il voto espresso dai rappresentanti degli Stati membri nella riunione del comitato del 12 novembre 2002, secondo la ricorrente, equivaleva, in forza del medesimo articolo, ad un’assenza di parere che non consentiva alla Commissione di decidere da sola sulle domande di sgravio della ricorrente, ma le imponeva di sottoporre senza indugio al Consiglio la propria proposta di misure, informandone il Parlamento europeo.

54.      La Commissione rilevava però nei suoi controricorsi che l’art. 907, primo comma, del regolamento di applicazione l’abilitava a prendere essa stessa la decisione sulle domande di sgravio, previa consultazione non di un comitato di regolamentazione, ma di un gruppo di esperti dal quale aveva liberamente optato, in sede di adozione del regolamento di applicazione, di farsi affiancare ai fini dell’adozione delle decisioni sul rimborso o sullo sgravio dei dazi.

55.      La ricorrente obiettava, in sede di replica, che l’interpretazione dell’art. 907, primo comma, del regolamento di applicazione proposta dalla Commissione non poteva essere accolta in quanto comportava l’invalidità di detta disposizione. Infatti, la Commissione, adottando il citato art. 907 così come essa lo interpreta, non avrebbe varato una misura di applicazione del codice doganale, ma si sarebbe indebitamente conferita una competenza in spregio all’art. 7 CE. In via subordinata, per l’ipotesi in cui l’art. 907, primo comma, del regolamento di applicazione andasse interpretato nel senso che il gruppo di esperti che vi è menzionato non è un comitato di regolamentazione, la ricorrente eccepiva, ai sensi dell’art. 241 CE, l’invalidità della stessa disposizione per contrarietà all’art. 7 CE.

56.      Il Tribunale, nella sentenza impugnata, ha respinto sia l’argomentazione principale della ricorrente, in quanto infondata, sia l’eccezione di invalidità, in quanto irricevibile, per i motivi che ho riassunto ai paragrafi 20‑25 supra.

57.      Le censure sollevate dalla ricorrente con le prime due parti del presente motivo possono riassumersi come segue.

58.      In primo luogo, il Tribunale, ritenendo che l’art. 907, primo comma, del regolamento di applicazione permettesse alla Commissione di decidere da sola – senza cioè seguire la procedura del comitato di regolamentazione – sulle domande di sgravio, avrebbe erroneamente interpretato detta disposizione e, di conseguenza, erroneamente escluso che le decisioni controverse fossero viziate da incompetenza del loro autore. Simile interpretazione della suddetta disposizione non sarebbe corretta in quanto renderebbe quest’ultima contraria al regolamento di base costituito dal codice doganale e all’art. 7 CE per mancanza di fondamento normativo.

59.      In secondo luogo, la ricorrente rimprovera al Tribunale di non aver esaminato nel merito – una volta interpretato l’art. 907, primo comma, del regolamento di applicazione nel senso che esso autorizzava la Commissione a decidere sulle domande di sgravio senza seguire la procedura del comitato di regolamentazione – l’eccezione di invalidità di tale disposizione per contrasto con il regolamento di base e con l’art. 7 CE.

60.      A tale riguardo, per un verso, la ricorrente contesta che questa eccezione sia stata sollevata solo nelle memorie di replica e sostiene comunque che la sua invocazione in fase di replica era giustificata da un elemento di diritto rivelatosi in corso di causa ai sensi dell’art. 48, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale, ovverosia l’interpretazione dell’art. 907, primo comma, del regolamento di applicazione esposta dalla Commissione nei controricorsi.

61.      Per altro verso, la ricorrente lamenta che il Tribunale abbia considerato a torto che la questione dell’invalidità dell’art. 907, primo comma, del regolamento di applicazione non fosse di ordine pubblico e, pertanto, rilevabile d’ufficio. La distinzione, quanto alla rilevabilità d’ufficio, tra l’incompetenza dell’autore dell’atto impugnato e l’incompetenza dell’autore dell’atto che costituisce il fondamento normativo dell’atto impugnato sarebbe artificiale ed erronea e la sentenza citata dal Tribunale a sostegno di tale distinzione (34) non solo sarebbe ormai assai datata e comunque non pertinente, riguardando il Trattato CECA e non il Trattato CE, ma dimostrerebbe semmai il contrario di quanto desunto dal Tribunale.

62.      In terzo luogo, la ricorrente addebita al Tribunale di avere a torto escluso, sull’assunto della portata individuale delle decisioni controverse e alla luce dei criteri esposti nella decisione comitatologia quanto alla scelta delle procedure da seguirsi nell’esercizio delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione, che si potesse ricorrere nella specie alla procedura di regolamentazione.

63.      Al riguardo la ricorrente sostiene, da un lato, che il Tribunale ha interpretato in modo errato i suddetti criteri, avendo omesso di prendere in considerazione l’art. 2 della decisione comitatologia, dal quale si evincerebbe che il ricorso alla procedura di regolamentazione non è limitato alla sola ipotesi dell’adozione di misure di portata generale, ma è possibile anche per l’adozione di misure volte ad adeguare o aggiornare disposizioni non essenziali di un atto di base, cioè misure che, secondo la ricorrente, non hanno per definizione portata generale. La ricorrente sottolinea inoltre che, conformemente alla giurisprudenza della Corte (35), i criteri di scelta delle procedure esposti all’art. 2 della decisione comitatologia non sono vincolanti.

64.      D’altro lato, la ricorrente contesta che le decisioni controverse siano decisioni individuali prive di portata generale. Dette decisioni non sarebbero puramente individuali, ma avrebbero anche una portata generale, dato che riguardano un’obbligazione doganale e incidono pertanto direttamente sulle risorse proprie della Comunità.

65.      In quarto luogo, la ricorrente sostiene che l’art. 239 del codice doganale, che il Tribunale avrebbe indebitamente ignorato nell’esaminare la natura giuridica del comitato in questione, lascia trasparire in modo chiaro che l’intenzione del legislatore comunitario, più specificamente il Consiglio, era di prescrivere l’osservanza di una procedura di regolamentazione per l’adozione di una decisione in materia di rimborso o sgravio di dazi.

66.      Deporrebbero in tal senso il duplice riferimento, nel n. 1 del suddetto articolo, alla «procedura del comitato» e l’impiego, rispettivamente nel primo e nel secondo trattino di tale disposizione, delle diverse espressioni «da determinarsi» e «sono definite» in relazione alle situazioni che possono dare luogo a rimborso o sgravio. Solo interpretando il primo trattino nel senso che esso si riferisce alla presa di decisione in quanto tale e l’assoggetta alla procedura del comitato si riuscirebbe a dare un senso a quel duplice riferimento, che sarebbe altrimenti frutto di un’inutile ripetizione da parte del legislatore.

67.      In quinto luogo, la ricorrente censura la sentenza impugnata in quanto il Tribunale non si sarebbe pronunciato sulla questione, che essa aveva sollevato nel corso dell’udienza, del funzionamento del comitato in questione al di fuori di qualsiasi linea di bilancio e quindi del contrasto delle decisioni controverse con le regole relative al bilancio comunitario. Essa ricorda al riguardo che, conformemente alla giurisprudenza della Corte (36), nel sistema del Trattato l’esecuzione di una spesa da parte della Commissione presuppone l’iscrizione nel bilancio del relativo stanziamento e un atto di diritto derivato da cui tale spesa discende.

68.      In sesto luogo, la ricorrente lamenta che il Tribunale sia incorso in un altro errore di diritto omettendo di pronunciarsi sull’esatta natura giuridica del comitato in questione e, pertanto, sul fondamento normativo che ne avrebbe consentito la creazione.

–       Esame

69.      Così individuate le varie censure formulate nell’ambito delle prime due parti del presente motivo di impugnazione, che la Commissione ritiene tutte infondate, passo ora ad esaminarle nel loro insieme lasciando per ultima quella relativa all’omesso esame nel merito della questione dell’invalidità dell’art. 907, primo comma, del regolamento di applicazione.

70.      Il capitolo 3 del regolamento di applicazione reca «[d]isposizioni specifiche relative all’applicazione dell’articolo 239 del codice [doganale]». Non è controverso che nella fattispecie si verte su un caso rientrante nel campo di applicazione della sezione 2 di detto capitolo, dedicata alle «[d]ecisioni spettanti alla Commissione», e non della sezione 1 relativa alle «[d]ecisioni spettanti alle autorità doganali degli Stati membri».

71.      La decisione sulle domande di sgravio presentate dalla ricorrente doveva perciò essere adottata, a norma dell’art. 905, n. 1, del regolamento di applicazione, «conformemente alla procedura di cui agli articoli da 906 a 909 [dello stesso regolamento]».

72.      L’art. 906, secondo comma, nella versione in vigore almeno fino all’adozione delle decisioni controverse, stabilisce, in particolare, che «[l]’esame della pratica è iscritto, non appena possibile, all’ordine del giorno di una riunione del comitato di cui all’articolo 247 del codice [doganale]». L’art. 907 prevede poi che la Commissione adotti la decisione sulla domanda di rimborso o di sgravio «previa consultazione di un gruppo di esperti, composto di rappresentanti di tutti gli Stati membri riuniti nell’ambito del comitato per esaminare il caso in oggetto».

73.      La tesi della ricorrente è che l’organo che la Commissione è tenuta a consultare nell’ambito della procedura di cui agli artt. 906-909 del regolamento di applicazione è il comitato di cui all’art. 247 del codice doganale e che questo è un comitato di regolamentazione ai sensi dell’art. 5 della decisione comitatologia.

74.      Al riguardo osservo, in primo luogo, come ha fatto il Tribunale, che il tenore testuale dell’art. 907, in particolare l’espressione «nell’ambito del comitato», depone già nel senso che il gruppo di esperti citato in tale articolo non è il comitato del codice doganale in quanto tale, ma un’entità distinta dal medesimo almeno sul piano funzionale (37).

75.      L’obbligo, invocato dalla ricorrente, di interpretare l’art. 907 in modo che sia conforme al regolamento di base costituito dal codice doganale non conduce, a mio avviso, a diversa conclusione.

76.      Infatti, per quanto riguarda l’art. 239 del codice doganale, nessun elemento che vi figura permette di avvalorare la tesi della ricorrente secondo cui esso prescrive, ai fini dell’adozione delle decisioni sulle domande di rimborso o di sgravio in casi concreti, la procedura di regolamentazione. Pur essendo detto articolo redatto in termini poco chiari, è tuttavia manifesto, a mio avviso, che i riferimenti ivi contenuti alla «procedura del comitato» riguardano in ogni caso la «determinazione» o «definizione» delle «situazioni» in cui può procedersi al rimborso o allo sgravio, ovverosia la previsione in via astratta dei casi in cui il rimborso o lo sgravio è ammesso. L’art. 239 dunque, quando si riferisce alla «procedura del comitato», allude, come per la definizione delle «modalità procedurali da osservare», ad un esercizio di natura normativa, non decisionale.

77.      Neanche dagli artt. 247 e 247 bis del codice doganale, correttamente interpretati, è possibile trarre elementi a favore della tesi della ricorrente. È ben vero che l’art. 247 indica che devono essere adottate secondo la procedura di regolamentazione di cui al n. 2 dell’art. 247 bis, ovverosia la procedura di cui all’art. 5 della decisione comitatologia, le «misure necessarie per l’attuazione [del suddetto] codice». È anche vero che quest’ultima espressione, intesa in senso ampio, potrebbe ricomprendere, in particolare, l’adozione di decisioni su casi individuali. Tuttavia, è chiaro dal contesto regolamentare che detta espressione deve essere intesa in un senso più stretto, ossia nel senso di norme di dettaglio volte a integrare la disciplina introdotta dal codice stesso.

78.      Rilevo, al riguardo, che il testo degli artt. 247 e 247 bis del codice doganale che viene in rilievo ai fini della presente causa, ossia quello in vigore all’epoca dello svolgimento della procedura amministrativa, risulta dalle modifiche apportate al codice doganale dal regolamento n. 2700/2000, il cui ‘considerando’ 14 indica che «[o]ccorre adottare le misure necessarie per l’attuazione del [codice doganale] secondo la decisione [comitatologia]».

79.      È dunque alla luce della decisione comitatologia che deve essere determinata la portata degli artt. 247 e 247 bis.

80.      Osservo, inoltre, che la decisione comitatologia è stata adottata sul fondamento dell’art. 202, terzo trattino, CE, dal quale si ricava, in particolare, che il Consiglio può sottoporre l’esercizio delle competenze di esecuzione delle norme che stabilisce a determinate modalità e che queste modalità devono rispondere ai principi e alle norme che esso stabilisce in via preliminare (cosa che ha appunto fatto con la decisione comitatologia). Tali principi e norme, come rilevato dalla Corte, possono anche vertere sulle modalità di scelta fra le diverse procedure cui può essere subordinato l’esercizio da parte della Commissione delle competenze di esecuzione che le sono conferite (38).

81.      Orbene, è vero che, secondo la Corte, la nozione di esecuzione ai sensi dell’art. 202, terzo trattino, CE comprende, al tempo stesso, l’elaborazione delle norme di attuazione e l’applicazione di norme a fattispecie particolari per mezzo di atti di portata individuale. La Corte ha in proposito rilevato che, poiché il Trattato parla di «esecuzione» senza restringerne l’accezione con ulteriori precisazioni, questo termine non può essere interpretato nel senso che escluda gli atti di portata individuale (39).

82.      È anche vero che, come sottolineato dalla ricorrente, la Corte ha chiarito che i criteri di scelta delle procedure enunciati all’art. 2 della decisione comitatologia non hanno carattere vincolante, anche se il legislatore comunitario, quando se ne discosta nella scelta di una procedura di comitato, è tenuto a motivare la propria scelta (40).

83.      Tuttavia, è la Corte stessa ad avere altresì precisato che le misure di portata individuale possono rientrare unicamente nell’art. 2, lett. a), della decisione comitatologia, che prevede il ricorso alla procedura di gestione, mentre le misure di portata generale sono idonee a rientrare nell’ambito di applicazione di ciascuna delle due parti [lett. a) e b)] di detto articolo ed essere quindi adottate, secondo i casi, in base alla procedura di gestione o alla procedura di regolamentazione (41).

84.      Si dimostra pertanto infondato l’assunto della ricorrente secondo cui il ricorso alla procedura di regolamentazione non è limitato dall’art. 2 della decisione comitatologia alla sola ipotesi dell’adozione di misure di portata generale.

85.      Un’interpretazione dell’art. 247 del codice doganale che sia conforme alla decisione comitatologia richiede dunque che l’espressione «misure necessarie per l’attuazione del [codice doganale]» che figura in detto articolo vada intesa come facente riferimento esclusivamente a misure di portata generale.

86.      Appare poi manifestamente infondato l’ulteriore assunto della ricorrente secondo cui le decisioni controverse non sarebbero delle misure di portata individuale. È del tutto evidente, come rilevato dalla Commissione, che dette decisioni vertono sulla sussistenza, in un caso concreto relativo alla ricorrente, delle condizioni per lo sgravio di dazi previste all’art. 239 del codice doganale e non sono invece atti applicabili a situazioni obiettivamente definite e nei confronti di categorie di persone determinate in modo generale e astratto (42). Il fatto, evidenziato dalla ricorrente, che le decisioni controverse hanno un’incidenza sulle risorse proprie della Comunità è manifestamente privo di rilevanza e non conferisce a dette decisioni una portata generale.

87.      Il Tribunale non ha dunque commesso alcun errore di diritto nel ritenere che le decisioni controverse fossero «decisioni individuali, del tutto prive, pertanto, di portata generale» e nell’escludere che, conformemente alla decisione comitatologia, esse potessero essere adottate secondo la procedura di regolamentazione di cui all’art. 5 di questa stessa decisione.

88.      Gli artt. 247 e 247 bis del codice doganale, interpretati alla luce e in conformità della decisione comitatologia, non offrono dunque sostegno alla tesi della ricorrente secondo cui un’interpretazione dell’art. 907, primo comma, del regolamento di applicazione conforme alle suddette norme di rango superiore del codice doganale richiede che si ravvisi nel gruppo di esperti menzionato in quest’ultima disposizione un comitato di regolamentazione ai sensi dell’art. 5 della decisione comitatologia.

89.      Devono poi, a mio avviso, essere respinte altresì le censure di omessa pronuncia da parte del Tribunale, da un lato, sull’esatta natura giuridica del gruppo di esperti di cui all’art. 907, primo comma, del regolamento di applicazione e quindi sul fondamento normativo della sua istituzione, nonché, dall’altro, sul preteso funzionamento del medesimo gruppo di esperti al di fuori di ogni linea di bilancio.

90.      Sotto il primo profilo, rilevo con la Commissione che, una volta correttamente escluso che detto gruppo di esperti sia un comitato di regolamentazione ai sensi dell’art. 5 della decisione comitatologia (43) e constatato che esso è «un’entità diversa, sul piano funzionale, dal comitato del codice doganale» (44), il Tribunale non era tenuto a fornire ulteriori precisazioni quanto alla natura giuridica di tale gruppo, posto che l’argomentazione della ricorrente si fondava sulla qualificazione di quest’ultimo come comitato di regolamentazione. Peraltro, emerge in modo sufficientemente chiaro dalla sentenza impugnata (45) che il fondamento normativo dell’istituzione del gruppo di esperti mediante l’art. 907, primo comma, del regolamento di applicazione è costituito dal combinato disposto degli artt. 239, 247 e 247 bis del codice doganale, dal quale si evince in sostanza che la definizione delle «modalità procedurali da osservare» ai fini del rimborso o dello sgravio previsto dall’art. 239 avviene mediante la procedura di regolamentazione di cui all’art. 5 della decisione comitatologia. Il Tribunale non ha nemmeno omesso di rilevare che l’art. 907 del regolamento di applicazione è stato effettivamente approvato conformemente alla suddetta procedura (46), circostanza che non è d’altronde stata contestata dalla ricorrente.

91.      Sotto il secondo profilo, basti rilevare con la Commissione che la questione della regolarità contabile del funzionamento del gruppo di esperti non ha la minima incidenza sulla validità delle decisioni controverse, ma può semmai riguardare la validità di decisioni di impegno di spesa, che non costituiscono oggetto dei ricorsi di annullamento della ricorrente.

92.      Vengo infine ad analizzare le censure relative all’omesso esame nel merito dell’eccezione di invalidità dell’art. 907, primo comma, del regolamento di applicazione.

93.      In via preliminare, osservo che l’infondatezza nel merito di tale eccezione discende già chiaramente dalle suesposte considerazioni, con cui ho evidenziato che l’istituzione del gruppo di esperti non difettava di fondamento normativo e non era contraria alle disposizioni del codice doganale invocate dalla ricorrente.

94.      Ho qualche dubbio, tuttavia, sul fatto che la Corte possa per tale ragione, procedendo ad una sostituzione di motivi (47), astenersi dal pronunciarsi sulla censura di omesso esame nel merito dell’eccezione di invalidità. Una sostituzione di motivi effettuata nella sentenza che definisce il giudizio di impugnazione sembrerebbe presupporre la previa constatazione di un errore di diritto commesso dal Tribunale.

95.      È dunque solo in tale prospettiva che procederò ad esaminare anche la suddetta censura, la quale suscita da parte mia i seguenti rilievi.

96.      In primo luogo, pur contestando la valutazione del Tribunale secondo cui l’eccezione di invalidità è stata sollevata solo in fase di replica, la ricorrente non avanza in realtà alcun argomento idoneo a dimostrare il contrario. Infatti, essa si limita, in sostanza, a sottolineare che la discussione sulla validità dell’art. 907, primo comma, del regolamento di applicazione è sorta in conseguenza dell’interpretazione, non condivisa dalla ricorrente, che la Commissione aveva dato di tale norma nei controricorsi e che siffatta discussione non sarebbe invece sorta se fosse stata seguita l’interpretazione data dalla ricorrente alla norma medesima negli atti introduttivi. Tali rilievi confermano dunque, sul piano fattuale, che l’eccezione di invalidità è effettivamente stata sollevata solo in fase di replica. Rilevo, inoltre, che è persino inesatto da parte della ricorrente affermare di aver avanzato una propria interpretazione dell’art. 907, primo comma, del regolamento di applicazione negli atti introduttivi. Dalla semplice lettura di questi ultimi si rileva che detta norma non vi è nemmeno citata (48).

97.      In secondo luogo, ritengo altrettanto infondato il rilievo della ricorrente secondo cui l’eccezione di invalidità dell’art. 907, primo comma, del regolamento di applicazione dovrebbe essere considerata quale motivo basato su un elemento di diritto emerso durante il procedimento, ai sensi dell’art. 48, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale. A questo riguardo, ritengo infatti che l’interpretazione dell’art. 907, primo comma, del regolamento di applicazione data dalla Commissione nei controricorsi depositati dinanzi al Tribunale non possa costituire un elemento di diritto emerso durante il procedimento, ai sensi del citato art. 48, n. 2, in quanto non è venuta a mutare la situazione di diritto esistente alla data di introduzione dei ricorsi di annullamento (49), contrariamente a quanto potrebbe dirsi, ad esempio, del sopravvenire della modifica, dell’abrogazione, dell’annullamento o della dichiarazione di invalidità di un atto che rivesta importanza ai fini della soluzione della causa.

98.      In terzo luogo, sono del parere che il Tribunale abbia invece commesso un errore di diritto considerando che l’invalidità dell’art. 907, primo comma, del regolamento di applicazione dedotta dalla ricorrente non fosse di ordine pubblico.

99.      In proposito, concordo anzitutto con la ricorrente nel ritenere che la sentenza Société des fonderies de Pont-à-Mousson/Alta Autorità (50), cui il Tribunale si è richiamato, non offra sostegno alcuno alla conclusione cui quest’ultimo è pervenuto sul punto.

100. Nel passaggio di tale sentenza cui fa riferimento il Tribunale la Corte ha osservato che la società ricorrente avrebbe potuto impugnare, con la seconda delle censure da essa avanzate, la decisione individuale adottata dall’Alta Autorità nei suoi confronti soltanto qualora avesse elevato l’eccezione di invalidità contro un determinato atto di portata generale di cui detta decisione aveva fatto applicazione. Il vizio lamentato, in effetti, sarebbe stato semmai proprio di questo atto e non della decisione individuale impugnata. La Corte ha ritenuto che, sebbene «[t]ale eccezione non [fosse] stata espressamente elevata dalla ricorrente, né [si potesse] considerarla implicitamente formulata», fosse comunque «inopportuno lasciar sussistere dubbi circa la validità [dell’atto di portata generale] per quanto [riguardava quella] controversia» e ha considerato «perciò necessario pronunziarsi sulla fondatezza della seconda censura». Non vedo pertanto come il Tribunale abbia potuto trarre da questa sentenza elementi per affermare che l’invalidità dell’art. 907, primo comma, del regolamento di applicazione non è di ordine pubblico. Aggiungo peraltro, ad ulteriore dimostrazione della irrilevanza del precedente invocato dal Tribunale, che nella causa definita con la predetta sentenza il dubbio sulla validità dell’atto di portata generale non sorgeva affatto sotto il profilo della competenza dell’autore dell’atto stesso, ma sotto altri profili, attinenti alla legittimità interna di quest’ultimo.

101. Neppure il rilievo secondo cui la sentenza Laboratoires Servier/Commissione (51), invocata dalla ricorrente in primo grado, verte sull’incompetenza dell’istituzione che ha adottato l’atto impugnato e non sull’incompetenza dell’istituzione che ha adottato l’atto sulla base del quale l’atto impugnato è stato adottato (52) può rappresentare una valida motivazione del rifiuto di considerare di ordine pubblico l’eventuale invalidità, sotto il profilo dell’incompetenza della Commissione, dell’art. 907, primo comma, del regolamento di applicazione. Al Tribunale incombeva l’obbligo di indicare le ragioni per le quali, al di là della mancanza di un precedente giurisprudenziale specifico, l’incompetenza dell’istituzione che ha adottato l’atto sulla base del quale l’atto impugnato è stato adottato non può essere considerata un motivo di ordine pubblico.

102. Quanto ai criteri per stabilire se un motivo è di ordine pubblico o meno, ritengo debba farsi riferimento a quelli identificati dall’avvocato generale Jacobs ai paragrafi 141 e 142 delle sue conclusioni rese nella causa Salzgitter/Commissione (53). Occorre cioè valutare:

–        «se la norma violata sia diretta a conseguire un obiettivo fondamentale dell’ordinamento giuridico comunitario e se rivesta un ruolo significativo ai fini del suo conseguimento»

–        e «se la norma infranta sia stata stabilita nell’interesse dei terzi o in quello della collettività in generale, e non soltanto nell’interesse dei soggetti direttamente interessati» (54).

103. Come il Tribunale stesso ha giustamente rilevato nella sentenza impugnata (55), l’incompetenza dell’autore dell’atto impugnato deve, secondo la giurisprudenza, essere rilevata d’ufficio dal giudice comunitario (56). Essa costituisce un motivo di ordine pubblico (57). Detto vizio mi pare infatti soddisfare, in via di principio, i due criteri suindicati: le norme sulla competenza sono volte ad assicurare un obiettivo, o comunque un valore, fondamentale dell’ordinamento giuridico comunitario, cioè quello dell’equilibrio istituzionale, e sono generalmente stabilite nell’interesse della collettività in generale. Dico in via di principio, in quanto l’approccio più corretto sembra quello di valutare caso per caso, ossia con riferimento alla specifica norma sulla competenza che si ipotizza violata, se i suddetti criteri, quindi anche quello del ruolo significativo della norma ai fini del conseguimento dell’obiettivo o valore fondamentale che viene in considerazione, sono soddisfatti (58).

104. Non ritengo che per qualificare come di ordine pubblico un motivo fondato sulla violazione delle norme sulla competenza sia rilevante la distinzione, operata nella sentenza impugnata, tra competenza dell’autore dell’atto impugnato e competenza dell’autore dell’atto di cui l’atto impugnato costituisce applicazione.

105. Ciò che occorre chiedersi nella fattispecie è invece se le norme del codice doganale che, secondo la ricorrente, la Commissione avrebbe violato istituendo, con l’art. 907, primo comma, del regolamento di applicazione, una procedura diversa da quella che le suddette norme prescriverebbero – e che le permette di decidere da sola, in un caso come quello di specie, su una domanda di sgravio di dazi ex artt. 239 del codice doganale e 905 del regolamento di applicazione – soddisfano i criteri che ho richiamato al paragrafo 102 supra.

106. Rilevo in proposito che gli artt. 239, 247 e 247 bis del codice doganale vengono in considerazione quali norme che fissano le modalità di esercizio delle competenze di esecuzione delle disposizioni sostanziali sul rimborso e sullo sgravio di dazi stabilite dal Consiglio all’art. 239 del codice doganale. In quanto tali esse rivestono un ruolo significativo al fine di assicurare l’equilibrio istituzionale (nei rapporti fra istituzioni comunitarie e fra queste e gli Stati membri), ossia un valore fondamentale dell’ordinamento giuridico comunitario, e sono certamente stabilite nell’interesse della collettività in generale e non soltanto in quello dei soggetti direttamente interessati.

107. La questione dell’invalidità dell’art. 907, primo comma, del regolamento di applicazione, sollevata tardivamente dalla ricorrente in primo grado, è dunque a mio avviso, contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale nella sentenza impugnata e dalla Commissione nel presente procedimento, un motivo di ordine pubblico.

108. Peraltro, ciò non significa di per sé che il Tribunale fosse obbligato ad esaminare d’ufficio tale motivo. Ritengo infatti che un siffatto obbligo sorga soltanto in determinate circostanze. In particolare, l’obbligo di sollevare d’ufficio motivi di ordine pubblico può eventualmente sussistere solo in funzione degli elementi versati agli atti (59). Il carattere manifesto della violazione ipotizzata, ossia la possibilità per il giudice comunitario di individuarla e qualificarla come tale agevolmente (60), potrebbe costituire un’ulteriore condizione per far sorgere quell’obbligo. Potrebbe ancora porsi, nell’ambito dell’individuazione delle circostanze in cui sorge l’obbligo di rilevare d’ufficio un motivo di ordine pubblico riferito non all’atto impugnato ma all’atto di cui quest’ultimo fa applicazione, la questione della necessità o meno che l’autore di tali atti sia il medesimo, ossia che l’istituzione che ha adottato l’atto ‘a monte’ sia già parte del giudizio in qualità di convenuta.

109. Non occorre tuttavia esaminare il problema della sussistenza di un obbligo da parte del Tribunale, nelle circostanze del caso di specie, di sollevare d’ufficio la questione di ordine pubblico dell’eventuale invalidità, sotto il profilo dell’incompetenza, dell’art. 907, primo comma, del regolamento di applicazione. Ove, infatti, la Corte pervenga a constatare, come io suggerisco, che il Tribunale ha commesso un errore di diritto nell’escludere che detta questione fosse di ordine pubblico, essa potrebbe più semplicemente limitarsi, mediante sostituzione dei motivi, a constatare l’infondatezza nel merito di detta questione. Tale infondatezza, come ho sopra rilevato, discende dalla corretta interpretazione delle norme pertinenti del codice doganale cui occorre comunque pervenire nell’ambito dell’analisi delle altre censure che la ricorrente solleva, unitamente a quella ora in esame, con le prime due parti del presente motivo di impugnazione.

110. Considero perciò che, previa sostituzione dei motivi sul punto appena esaminato, la sentenza impugnata non meriti annullamento in base alle prime due parti del presente motivo di impugnazione.

 Sull’errore di diritto che il Tribunale avrebbe commesso nel respingere la censura relativa alla violazione dell’art. 4, n. 1, del regolamento interno del CCD

111. Con la terza parte del presente motivo di impugnazione la ricorrente sostiene che il Tribunale ha commesso un errore di diritto laddove, dopo aver constatato che i membri del gruppo di esperti avevano avuto a disposizione solo tredici giorni di calendario per prendere conoscenza della risposta della ricorrente alle lettere della Commissione, ha escluso che la ricorrente potesse utilmente invocare la conseguente violazione dell’art. 4, n. 1, del regolamento interno del CCD. La ricorrente rimprovera al Tribunale di aver ignorato, sottolineando che detta norma non è preordinata alla tutela dei singoli, l’insegnamento della sentenza della Corte Commissione/BASF e a. (61), dalla quale si evincerebbe che le regole di procedura contenute in un regolamento interno costituiscono forme sostanziali la cui inosservanza può essere fatta valere dai singoli direttamente interessati dalla decisione.

112. Per parte mia, osservo anzitutto che, rilevando, al punto 77 della sentenza impugnata, che «i membri del gruppo di esperti hanno avuto a disposizione tredici giorni di calendario (dal 6 al 18 novembre 2002) per prendere conoscenza della risposta della ricorrente», il Tribunale non chiarisce se con ciò voglia intendere che i termini di cui all’art. 4, n. 1, del regolamento interno del CCD sono stati comunque rispettati. Peraltro, non comprendo bene come possa conciliarsi tale constatazione con la data in cui, secondo la sentenza impugnata , avrebbe avuto luogo la riunione del gruppo di esperti, ovverosia il 12 novembre 2002 (62).

113. Comunque, non occorre verificare se i termini previsti dalla suddetta norma siano nella fattispecie stati rispettati (e quale sia stato eventualmente il giudizio del Tribunale a questo riguardo), dal momento che, per escludere la violazione dell’art. 4, n. 1, del suddetto regolamento, il Tribunale si è basato sulla non invocabilità di tale disposizione da parte dei singoli.

114. Concordo con la Commissione nel ritenere che tale soluzione sia giuridicamente corretta. Per contestarla, la ricorrente invoca la citata sentenza Commissione/BASF e a., dalla quale però non si evince affatto che la violazione di ogni forma prescritta da un regolamento interno di un’istituzione o di un comitato comporti un’illegittimità della decisione adottata che i singoli possano invocare in giudizio. In quella sentenza la Corte ha dichiarato che l’autenticazione degli atti, prevista dall’art. 12, primo comma, del regolamento interno della Commissione, è una formalità sostanziale la cui violazione può giustificare un ricorso di annullamento da parte dei singoli, in quanto mira a garantire la certezza del diritto fissando, nelle lingue che fanno fede, il testo adottato dal Collegio e permettendo così di controllare, in caso di contestazione, la perfetta corrispondenza dei testi notificati o pubblicati con quel testo (63).

115. È dunque in considerazione della natura e della finalità della formalità non rispettata che la Corte ha verificato, nella sentenza in esame, se detta formalità fosse sostanziale ai sensi dell’art. 230 CE e se i singoli potessero farne valere la violazione nell’ambito di un ricorso di annullamento.

116. Il Tribunale, nella sentenza impugnata, ha rilevato che l’art. 4, n. 1, del regolamento interno del CCD ha il fine di assicurare il funzionamento interno del detto comitato nel pieno rispetto delle prerogative dei suoi membri, e che non è dunque preordinato alla tutela dei singoli. La ricorrente, nell’atto di impugnazione, non avanza alcun argomento volto a confutare tale rilievo, se non una generica affermazione della ‘particolare importanza’ del rispetto delle regole concernenti la consultazione del comitato o l’infondato assunto secondo cui ogni regola di procedura costituisce una forma sostanziale. Il rilievo del Tribunale è d’altronde in linea con la regola – da considerarsi di massima e senz’altro applicabile per analogia al caso di un comitato quale il comitato del codice doganale – enunciata dalla Corte nella sentenza Nakajima/Consiglio (64), secondo cui, dato che «il regolamento interno di un’istituzione comunitaria è diretto ad organizzarne il funzionamento interno nell’interesse della buona amministrazione», «[l]e norme che esso dispone (…) hanno (…) essenzialmente il compito di garantire il buon svolgimento delle discussioni, nel pieno rispetto delle prerogative di ciascun membro dell’istituzione» e «non sono intese a tutela dei singoli».

117. I termini fissati dall’art. 4, n. 1, del regolamento interno del CCD sono evidentemente intesi ad accordare ai membri del comitato un tempo sufficiente per l’esame delle pratiche che sono loro sottoposte. Spetta, a mio avviso, ai soli Stati membri, che sono rappresentati in seno al comitato, valutare se un tempo inferiore a quello prescritto dalla suddetta disposizione sia stato comunque sufficiente a consentire ai loro rappresentanti in seno al comitato un adeguato esame della pratica sulla quale questi ultimi sono stati chiamati ad esprimersi.

118. Ritengo perciò che il Tribunale abbia giustamente escluso che la ricorrente potesse invocare la violazione della suddetta norma.

119. Anche la terza parte del presente motivo di impugnazione deve dunque, a mio parere, essere respinta.

 Sulla pretesa erronea applicazione dell’art. 239 del codice doganale

120. La ricorrente sostiene che il Tribunale ha commesso errori di diritto nel reputare non soddisfatta nella specie la condizione dell’assenza di manifesta negligenza di cui all’art. 239 del codice doganale.

121. Con la prima parte del motivo la ricorrente critica il Tribunale per aver mal interpretato l’art. 1, n. 3, secondo comma, del regolamento n. 3319/94 e per aver conseguentemente concluso che esso non presentava rilevanti difficoltà di interpretazione.

122. In sostanza, la ricorrente afferma che, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale e come emergerebbe dal ‘considerando’ 39 del suddetto regolamento (65), la disposizione in parola non impone l’applicazione di un dazio specifico in tutti i casi di fatturazione indiretta a causa del rischio di elusione delle misure antidumping che questa comporta, bensì nei soli casi in cui un’elusione è accertata.

123. L’erronea interpretazione da parte del Tribunale dell’art. 1, n. 3, secondo comma, del regolamento n. 3319/94 dimostrerebbe inoltre che, contrariamente a quanto constatato nella sentenza impugnata, detta norma era di difficile interpretazione.

124. Come la Commissione, ritengo anch’io che tali rilievi non possano essere accolti.

125. Anzitutto, va precisato che il preteso errore di interpretazione dell’art. 1, n. 3, secondo comma, del regolamento n. 3319/94 non può essere preso in considerazione come censura autonoma – e ciò per le ragioni che ho esposto ai paragrafi 45‑50 supra –, ma solo quale argomento a sostegno della censura rivolta contro la valutazione effettuata dal Tribunale circa il grado di complessità della norma. Quest’ultimo è uno dei fattori che, secondo la giurisprudenza, rileva ai fini della verifica della condizione dell’assenza di manifesta negligenza ai sensi dell’art. 239 del codice doganale (66).

126. Orbene, sono del parere che una tale censura sia irricevibile, dovendo il giudizio sulla complessità di una norma essere analizzato alla stregua di una valutazione dei fatti non soggetta al controllo della Corte in sede di impugnazione di una sentenza del Tribunale (67).

127. Aggiungo che, in ogni caso, detta censura è anche manifestamente infondata. Essa, infatti, si impernia unicamente sulla critica dell’interpretazione che il Tribunale ha fatto dell’art. 1, n. 3, secondo comma, del regolamento n. 3319/94, interpretazione che mi pare invece assolutamente corretta. Anche tenendo conto del ‘considerando’ 39 invocato dalla ricorrente, è infatti perfettamente chiaro, leggendo la disposizione, che l’applicazione del dazio specifico che essa istituisce presuppone l’esistenza di una situazione di fatturazione indiretta, ma non anche la dimostrazione che una tale fatturazione abbia avuto come scopo o come effetto l’elusione del dazio variabile istituito dal comma precedente. La ricorrente non dimostra quindi in alcun modo che, contrariamente a quanto dichiarato nella sentenza impugnata, l’art. 1, n. 3, secondo comma, del regolamento n. 3319/94 era di difficile interpretazione.

128. Con la seconda parte del presente motivo la ricorrente afferma, da un lato, che il giudizio del Tribunale secondo cui essa non poteva sottrarsi alla propria responsabilità invocando l’errore, vero o presunto, dei suoi agenti è contrario alla giurisprudenza comunitaria, che avrebbe riconosciuto la responsabilità professionale degli agenti doganali; dall’altro, essa contesta la conferma, da parte del Tribunale, della valutazione della Commissione secondo cui la ricorrente disponeva dell’esperienza professionale necessaria.

129. La rilevanza o meno, ai fini della verifica dell’assenza di negligenza manifesta ai sensi dell’art. 239 del codice doganale, dell’errore degli agenti doganali è una questione di diritto che, come tale, può essere sollevata in sede di impugnazione.

130. Al riguardo osservo che la ricorrente si limita però a far presente che in due decisioni giurisprudenziali – la sentenza Van Gend & Loos/Commissione (68) e la sentenza Mehibas Dordtselaan/Commissione (69) – è stato affermato che «l’agente doganale, per la natura stessa delle sue funzioni, è responsabile sia del pagamento dei diritti all’importazione che della regolarità dei documenti ch’egli presenta alle autorità doganali».

131. Orbene, la pertinenza di questa giurisprudenza mi appare dubbia, dal momento che nel caso di specie il pagamento del dazio in questione è stato richiesto dalle autorità doganali francesi alla ricorrente e non ai suoi agenti doganali. Rilevo, in proposito, come emerga dalla ricostruzione dei fatti effettuata nella sentenza impugnata che gli agenti doganali della ricorrente hanno eseguito le operazioni di sdoganamento non in nome proprio, ma in nome della Agro Baltic e della ricorrente (70). Risulta, invece, dal punto 5 della citata sentenza Van Gend & Loos/Commissione che l’agente doganale, ricorrente nella causa definita con tale sentenza, aveva dichiarato le merci per la libera pratica in nome proprio e per conto altrui (71) e che per questo la Commissione aveva ritenuto che detto agente si fosse assunto l’obbligo di pagare i diritti all’importazione cui le merci erano eventualmente soggette (72).

132. Comunque, anche a supporre che la responsabilità dell’agente doganale per il pagamento dei diritti all’importazione e per la regolarità dei documenti presentati alle autorità doganali sussista pure nel caso in cui le dichiarazioni doganali siano dal medesimo effettuate non in nome proprio, ma in nome dell’importatore, ciò non manderebbe di per sé quest’ultimo esente dalla medesima responsabilità. Ed è in effetti la responsabilità della ricorrente che è stata fatta valere dalle autorità doganali francesi. La ricorrente nella presente causa non ha peraltro in alcun modo affermato né lasciato intendere che le autorità doganali francesi avrebbero dovuto richiedere il pagamento del dazio antidumping specifico ai suoi agenti doganali. D’altronde, un simile rilievo avrebbe dovuto essere semmai sollevato nell’ambito di una causa introdotta dinanzi ai giudici nazionali contro le decisioni delle suddette autorità di applicare siffatto dazio alla ricorrente.

133. Poiché la ricorrente non avanza alcun altro argomento, oltre al lapidario richiamo alla giurisprudenza citata al paragrafo 130 supra, per contestare la valutazione del Tribunale secondo cui essa non poteva sottrarsi alla propria responsabilità invocando l’errore, vero o presunto, dei suoi agenti, la sentenza impugnata non può essere invalidata sul punto.

134. Ad ulteriore conforto di tale conclusione mi pare utile segnalare, anche se ciò non è stato fatto nella sentenza impugnata, che l’art. 905, n. 1, terzo comma, del regolamento di applicazione indica che «il termine “interessato”, ossia la persona in capo alla quale, a norma dell’art. 239 del codice doganale e dell’art. 905, n. 1, primo comma, del regolamento di applicazione, deve valutarsi se vi sia stata frode o negligenza manifesta, «deve essere inteso nel senso di cui all’articolo 899» dello stesso regolamento. Tale articolo precisa al riguardo che «[p]er “interessato” s’intende la (le) persona(e) di cui all’articolo 878, paragrafo 1 [cioè la persona che ha pagato i dazi o è tenuta a pagarli, oppure le persone che le sono succedute nei suoi diritti e obblighi], o i loro rappresentanti e, all’occorrenza, ogni altra persona che abbia partecipato all’espletamento delle formalità doganali relative alle merci in oggetto o che abbia dato le istruzioni necessarie per l’espletamento di tali formalità». Orbene, il novero di tali soggetti pare sicuramente comprendere anche gli agenti doganali che nella specie hanno espletato le formalità doganali per la ricorrente. A supporre dunque che, come sostenuto dalla ricorrente, l’imposizione del dazio sia imputabile ad errori commessi dai suoi agenti doganali nell’espletamento di tali formalità, la negligenza manifesta di questi ultimi varrebbe lo stesso a escludere il diritto allo sgravio in capo alla ricorrente.

135. Per quanto riguarda l’esperienza professionale necessaria, la ricorrente evidenzia che essa è certo un operatore economico esperto in operazioni di importazione e di esportazione di soluzioni azotate, ma non è affatto specializzata in procedure di sdoganamento di tali merci in Francia.

136. Anche questa censura è ricevibile in sede di impugnazione in quanto solleva, in sostanza, la questione di diritto relativa all’ambito di attività in relazione al quale deve valutarsi il grado di esperienza professionale dell’operatore che richiede lo sgravio di dazi ex art. 239 del codice doganale.

137. A me pare evidente che detto ambito non possa essere quello delle operazioni di sdoganamento medesime, altrimenti la condizione relativa all’esperienza professionale dell’operatore – richiesta, fra le altre, per valutare se vi sia manifesta negligenza ai sensi dell’art. 239 del codice doganale (73) – sarebbe automaticamente soddisfatta da qualsiasi importatore che non sia un agente doganale.

138. Del tutto correttamente, pertanto, il Tribunale, in piena aderenza d’altronde all’insegnamento della sentenza della Corte Söhl & Sölke (74), ha rilevato che occorre verificare se si tratti di un operatore economico la cui attività professionale consiste, essenzialmente, in operazioni di importazione e di esportazione e se avesse già acquisito una certa esperienza nell’espletamento di tali operazioni.

139. Anche la censura in esame mi pare dunque infondata.

140. Con la terza parte del presente motivo la ricorrente critica il Tribunale per aver considerato il suo comportamento nello svolgimento delle operazioni di cui trattasi non sufficientemente diligente.

141. Il Tribunale ha fondato tale giudizio su una valutazione globale del comportamento della ricorrente, dando rilievo, in particolare, da un lato, al fatto che la ricorrente – nonostante allegasse la propria inesperienza nelle operazioni di sdoganamento dei prodotti in parola, nonché difficoltà inerenti all’applicazione del regolamento n. 3319/94 – non soltanto non aveva sollecitato la consulenza dei suoi agenti doganali, ma aveva anzi impartito loro istruzioni molto precise, e, dall’altro, ad errori commessi dalla ricorrente nella redazione delle sue fatture (75).

142. Per quanto riguarda il primo aspetto, la ricorrente afferma che, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, essa, in realtà, ha richiesto chiarimenti sull’applicazione delle disposizioni del menzionato regolamento.

143. Tuttavia, le deduzioni che la ricorrente formula al riguardo non sono tali da provare qualsivoglia snaturamento dei fatti o dei relativi elementi di prova da parte del Tribunale. La ricorrente si limita infatti a far presente di aver chiesto con lettera del 7 marzo 2000 alle autorità doganali francesi se il modo in cui si apprestava a fare eseguire talune operazioni di sdoganamento del tutto simili a quelle eseguite nel 1997 configurasse una situazione di fatturazione diretta o indiretta ai sensi dell’art. 1, n. 3, secondo comma, del regolamento n. 3319/94.

144. Orbene, è la stessa ricorrente a ricordare in tal modo che le operazioni che hanno dato luogo alla presente controversia sono state effettuate nel 1997. La richiesta di chiarimenti inoltrata dalla ricorrente alle autorità doganali francesi è dunque intervenuta molto tempo dopo l’esecuzione di quelle operazioni e persino posteriormente tanto alla redazione dei processi-verbali di constatazione dell’elusione dei dazi dovuti (76) quanto all’inoltro delle domande di sgravio da parte della ricorrente (77).

145. La circostanza allegata dalla ricorrente è dunque manifestamente priva di rilevanza ai fini della verifica della diligenza da questa impiegata nello svolgimento delle operazioni oggetto della presente controversia.

146. Per quanto riguarda gli errori di fatturazione, la ricorrente addebita al Tribunale di aver lasciato intendere, con un generico richiamo a tali errori, che questi fossero numerosi, ciò che non corrisponderebbe alla realtà dei fatti. Essa precisa al riguardo che si è trattato di due soli errori su un totale di quattro operazioni di sdoganamento comportanti ciascuna tre diverse transazioni e che tali errori riguardano la sola pratica oggetto della causa T‑134/03.

147. Osservo in proposito che il Tribunale non ha affatto indicato o lasciato intendere che gli errori di fatturazione rilevati fossero numerosi. Esso ha infatti solo affermato, al punto 144 della sentenza impugnata, che «gli errori della ricorrente nella redazione delle sue fatture milita[va]no anch’essi in favore di una mancanza di diligenza da parte sua».

148. La ricorrente non dimostra dunque che il Tribunale abbia sul punto snaturato i fatti o i relativi elementi di prova. Quanto alla rilevanza che il Tribunale ha potuto dare agli errori di fatturazione in questione, di cui la stessa ricorrente ammette l’esistenza anche in sede di impugnazione, osservo che essa rientra nella sfera della valutazione dei fatti da parte del Tribunale, la quale non è suscettibile di controllo da parte della Corte in sede di impugnazione.

149. Le considerazioni suesposte mi inducono dunque a concludere che la ricorrente non ha dimostrato l’esistenza di vizi tali da invalidare la constatazione del Tribunale secondo cui la Commissione non era incorsa in alcun errore manifesto di valutazione allorché, nelle decisioni controverse, aveva ritenuto che non ricorresse il presupposto consistente nella mancanza di negligenza manifesta da parte della ricorrente.

150. Suggerisco dunque alla Corte di respingere anche il presente motivo di impugnazione.

 Sulle spese

151. Ai sensi dell’art. 122, primo comma, del regolamento di procedura, quando l’impugnazione è respinta la Corte statuisce sulle spese. Ai sensi dell’art. 69, n. 2, dello stesso regolamento, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

152. Poiché suggerisco alla Corte di respingere l’impugnazione e dato che la Commissione ha domandato che la ricorrente sia condannata alle spese, ritengo che queste debbano essere poste a carico di quest’ultima.

 Conclusioni

153. Alla luce di quanto precede, propongo alla Corte di dichiarare che:

«L’impugnazione è respinta.

La ricorrente è condannata alle spese».


1 – Lingua originale: l'italiano.


2 – Cause riunite T‑134/03 e T‑135/03, Common Market Fertilizers/Commissione (Racc. pag. II‑3923).


3 – C (2002) 5217 def. e C (2002) 5218 def.


4 – GU L 350, pag. 20.


5 – GU L 302, pag. 1.


6 – GU L 311, pag. 17.


7 – GU L 184, pag. 23.


8 – GU L 253, pag. 1.


9 – GU L 212, pag. 18.


10 – GU L 187, pag. 16.


11 – Sentenza impugnata, punto 51.


12 – Ibidem.


13 – Il Tribunale ha citato, in tal senso, la sentenza 17 dicembre 1959, causa 14/59, Société des fonderies de Pont‑à‑Mousson/Alta Autorità (Racc. pag. 435, in particolare pag. 461).


14 – Sentenza impugnata, punto 52.


15 – Ibidem, punti 54 e 58.


16 – Ibidem, punti 55-57.


17 – Ibidem, punto 59.


18 – Ibidem, punti 77-79.


19 – Ibidem, punti 115, 147 e 149.


20 – Ibidem, punto 135.


21 – Sentenza del Tribunale 21 settembre 2004, causa T‑104/02, Gondrand Frères/Commissione (Racc. pag. II‑3211, punti 59‑62 e 66).


22 – Sentenza impugnata, punti 137-139.


23 – Ibidem, punti 140-141.


24 – Ibidem, punti 142-144.


25 – L'attinenza al quarto motivo di impugnazione della pretesa omessa presa in considerazione del ‘considerando’ 39 del regolamento n. 3319/94 emerge in maniera persino esplicita dai punti 10 e 151 dell'atto di impugnazione. Allo stesso modo, l'attinenza al terzo motivo di impugnazione della pretesa omessa presa in considerazione dell'art. 2 della decisione comitatologia emerge in maniera esplicita dai punti 16 e 75 dell'atto di impugnazione.


26 – Atto di impugnazione, punti 18, 20, 21, 38 e 39.


27 – Sentenza 1° giugno 1994, causa C‑136/92, Commissione/Brazzelli Lualdi e a. (Racc. pag. I‑1981, punto 59).


28 – Sentenze 25 febbraio 1999, causa C‑86/97, Trans‑Ex‑Import (Racc. pag. I‑1041, punto 21), e 27 settembre 2001, causa C‑253/99, Bacardi (Racc. pag. I‑6493, punto 56).


29 – V., con riferimento alla disposizione equivalente all'art. 239 del codice doganale, precedentemente in vigore – l'art. 13, n. 1, del regolamento (CEE) del Consiglio 2 luglio 1979, n. 1430, relativo al rimborso o allo sgravio dei dazi all'importazione o all'esportazione (GU L 175, pag. 1), come modificato dall'art. 1, n. 6, del regolamento (CEE) del Consiglio 7 ottobre 1986, n. 3069 (GU L 286, pag. 1) –, sentenze 12 marzo 1987, cause riunite 244/85 e 245/85, Cerealmangimi e Italgrani/Commissione (Racc. pag. 1303, punto 11), e 6 luglio 1993, cause riunite C‑121/91 e C‑122/91, CT Control (Rotterdam) e JCT Benelux/Commissione (Racc. pag. I‑3873, punto 43).


30 – V. citate sentenze Cerealmangimi e Italgrani/Commissione, punto 13, e CT Control (Rotterdam) e JCT Benelux/Commissione, punto 44.


31 – In tal senso si è espresso il Tribunale nella sentenza 16 luglio 1998, causa T‑195/97, Kia Motors e Broekman Motorships/Commissione (Racc. pag. II‑2907), punto 36. V. anche sentenze Gondrand Frères/Commissione, cit., punto 25, e 13 settembre 2005, causa T‑53/02, Ricosmos/Commissione (Racc. pag. II‑3173), punto 165.


32 – Sentenza Gondrand Frères/Commissione, cit., punto 25.


33 – La ricorrente, in udienza, ha dichiarato di poter ammettere l'esistenza nella specie dell'obbligazione doganale, precisando di averne chiesto lo sgravio per ragioni di equità in forza dell'art. 239 del codice doganale. Tuttavia, incongruamente, essa ha continuato, in udienza, a contestare la legittimità dell'imposizione a suo carico del dazio antidumping specifico insistendo sull'assenza, a suo avviso, tanto di fatturazione indiretta quanto di elusione accertata.


34 – Sentenza Société des fonderies de Pont‑à‑Mousson/Alta Autorità, cit.


35 – Sentenza 21 gennaio 2003, causa C-378/00, Commissione/Parlamento e Consiglio, detta «LIFE» (Racc. pag. I‑937, punti 43-48).


36 – Sentenza 12 maggio 1998, causa C‑106/96, Regno Unito/Commissione (Racc. pag. I‑2729, punto 22).


37 – Sentenza impugnata, punto 59. Il riferimento contenuto nell'art. 906 alla riunione del comitato di cui all'art. 247 del codice doganale non si oppone a tale conclusione. Esso concerne in realtà soltanto le modalità di un adempimento formale, l'iscrizione all'ordine del giorno dell'esame della pratica, ed appare frutto di inesattezza redazionale, opportunamente corretta dal regolamento n. 1335/2003 (v. paragrafo 12 supra).


38 – Sentenza LIFE, cit., punto 41.


39 – Sentenze 24 ottobre 1989, causa 16/88, Commissione/Consiglio (Racc. pag. 3457, punto 11), e 23 febbraio 2006, causa C‑122/04, Commissione/Parlamento e Consiglio (Racc. pag. I-2001, punto 37).


40 – Sentenze citate LIFE, punti 43-48 e 50-55, e Commissione/Parlamento e Consiglio, punto 32.


41 – Sentenza Commissione/Parlamento e Consiglio, cit., punto 38.


42 – V., sulla nozione di atto di portata generale, fra tante, sentenza 14 dicembre 1962, cause riunite 16/62 e 17/62, Conféderation nationale des producteurs de fruits et légumes e a./Consiglio (Racc. pag. 879, in particolare pag. 894), cui la stessa sentenza impugnata si richiama al punto 57.


43 – Sentenza impugnata, punto 58.


44 – Ibidem, punto 59.


45 – Ibidem, punto 52.


46 – Ibidem.


47 – Secondo la giurisprudenza della Corte, qualora dalla motivazione di una sentenza del Tribunale risulti una violazione del diritto comunitario, ma il dispositivo della medesima sentenza appaia fondato per altri motivi di diritto, il ricorso avverso tale sentenza deve essere respinto (fra tante, sentenze 9 giugno 1992, causa C‑30/91 P, Lestelle/Commissione, Racc. pag. I‑3755, punto 28; 15 dicembre 1994, causa C‑320/92 P, Finsider/Commissione, Racc. pag. I‑5697, punto 37, e 13 luglio 2000, causa C‑210/98 P, Salzgitter/Commissione, Racc. pag. I‑5843, punto 58).


48 – La ricorrente, nell'atto di impugnazione, non solleva invece la questione volta a determinare se l'eccezione di invalidità dell'art. 907, primo comma, del regolamento di applicazione potesse configurarsi quale mera, ricevibile «estensione di un [motivo] precedentemente dedotto (…) nell'atto introduttivo del giudizio» ai sensi delle sentenze 30 settembre 1982, causa 108/81, Amylum/Consiglio (Racc. pag. 3107, punto 25), e 19 maggio 1983, causa 306/81, Verros/Parlamento (Racc. pag. 1755, punto 9). La Corte non è dunque chiamata a pronunciarsi su tale questione.


49 – V. sentenza 1° aprile 1982, causa 11/81, Dürbeck/Commissione (Racc. pag. 1251, punto 17).


50 – Cit.


51 – Sentenza del Tribunale 28 gennaio 2003, causa T‑147/00 (Racc. pag. II-85, punto 45).


52 – Sentenza impugnata, punto 52.


53 – Cit.


54 – Non ritengo, invece, che la condizione del carattere manifesto della violazione del diritto comunitario, descritta al paragrafo 143 delle citate conclusioni dell'avvocato generale Jacobs, attenga propriamente alla qualificazione del motivo come di ordine pubblico. Si tratta, a mio avviso, piuttosto di una condizione per il sorgere dell'obbligo del giudice di rilevare d'ufficio un motivo di ordine pubblico. In tal senso, v. B. Vesterdorf, «Le relevé d'office par le juge communautaire», in Une Communauté de droit: Festschrift für G. C. Rodríguez Iglesias, Nomos, 2003, pag. 551, in particolare pagg. 560 e 561.


55 – Sentenza impugnata, punto 52.


56 – In tal senso, sentenze 10 maggio 1960, causa 19/58, Germania/Alta Autorità (Racc. pag. 457, in particolare pagg. 473 e 474), Amylum/Consiglio, cit., punto 28, e Salzgitter/Commissione, cit., punti 56 e 57; sentenze del Tribunale 27 febbraio 1992, cause riunite T‑79/89, T‑84/89, T‑85/89, T‑86/89, T‑89/89, T‑91/89, T‑92/89, T‑94/89, T‑96/89, T‑98/89, T‑102/89 e T‑104/89, BASF e a./Commissione (Racc. pag. II‑315), punto 31, 24 settembre 1996, causa T‑182/94, Marx Esser e Del Amo Martinez/Parlamento (Racc.PI pag. II‑1197), punto 44, Laboratoires Servier/Commissione, cit., punto 45, e 21 settembre 2005, causa T-315/01, Kadi/Consiglio e Commissione (Racc. pag. II‑3649), punto 61.


57 – In tal senso, espressamente, conclusioni dell’avvocato generale Lagrange nella causa 66/63 definita con sentenza 15 luglio 1964, Paesi Bassi/Alta Autorità (Racc. pag. 1037, in particolare pag. 1072), e sentenze del Tribunale citate alla nota precedente.


58 – La Corte ha per esempio escluso, in una causa fra un agente della Commissione e la sua istituzione di appartenenza, che la competenza di un caposervizio ad adottare decisioni di gestione rientri tra le questioni che la Corte può sollevare d'ufficio (sentenza 14 dicembre 1988, causa 280/87, Hecq/Commissione, Racc. pag. 6433, punto 12).


59 – V. sentenze 8 luglio 1999, causa C‑49/92 P, Commissione/Anic Partecipazioni (Racc. pag. I‑4125, punto 212), e causa C‑199/92 P, Hüls/Commissione (Racc. pag. I‑4287, punto 134).


60 – Conclusioni dell'avvocato generale Jacobs nella causa Salzgitter/Commissione, cit., paragrafo 143.


61 – Sentenza 15 giugno 1994, causa C‑137/92 P (Racc. pag. I‑2555).


62 – Sentenza impugnata, punti 27, 37, 44 e 98.


63 – Sentenza Commissione/BASF e a., cit., punti 75 e 76.


64 – Sentenza 7 maggio 1991, causa C‑69/89 (Racc. pag. I‑2069, punti 49 e 50), cui il Tribunale espressamente si richiama al punto 79 della sentenza impugnata.


65 – Tale ‘considerando’ indica in particolare che «(…) si ritiene opportuno istituire un dazio variabile, con un importo che consenta all'industria comunitaria di aumentare i prezzi a livelli remunerativi per le importazioni fatturate direttamente da produttori bulgari o polacchi o da parti che hanno esportato il prodotto in questione nel periodo dell'inchiesta», nonché «istituire un dazio specifico sulla stessa base per tutte le altre importazioni, al fine di evitare l'elusione delle misure antidumping».


66 – Sentenze 11 novembre 1999, causa C‑48/98, Söhl & Söhlke (Racc. pag.  I‑7877, punto 56), e 13 marzo 2003, causa C‑156/00, Paesi Bassi/Commissione (Racc. pag. I‑2527, punti 92-95).


67 – Nelle mie conclusioni presentate l'11 gennaio 2007 nella causa C-282/05 P, Holcim (Deutschland)/Commissione (non ancora pubblicate in Raccolta, paragrafo 65), ho svolto un'analoga considerazione in riferimento alla valutazione della difficoltà di applicazione o interpretazione dei testi normativi che assume rilevanza nell'ambito dell'indagine volta a stabilire, ai fini dell'accertamento della responsabilità extracontrattuale della Comunità ai sensi dell'art. 288, secondo comma, CE, se una violazione del diritto comunitario commessa da un'istituzione è o meno sufficientemente caratterizzata. Segnalo, tuttavia, che un diverso approccio è stato seguito dalla Corte nella sentenza 3 marzo 2005, causa C-499/03 P, Biegi e Commonfood/Commissione (Racc. pag. I‑1751, in particolare punti 42‑44 e 49‑55), in merito alla valutazione della complessità della normativa doganale pertinente nel quadro della verifica, effettuata ai fini dell'applicazione dell’art. 220, n. 2, lett. b), del codice doganale, della rilevabilità da parte di un debitore di buona fede di un errore commesso dalle autorità doganali competenti.


68 – Sentenza 13 novembre 1984, cause riunite 98/83 e 230/83 (Racc. pag. 3763, punto 16).


69 – Sentenza del Tribunale 18 gennaio 2000, causa T‑290/97 (Racc. pag. II‑15, punto 83).


70 – Si tratta dunque di un'ipotesi di rappresentanza diretta ai sensi dell'art. 5, n. 2, del codice doganale.


71 – Si trattava perciò di un'ipotesi di rappresentanza indiretta ai sensi dell'art. 5, n. 2, del codice doganale.


72 – Non emerge invece dalla sentenza Mehibas Dordtselaan/Commissione, cit., se l'agente doganale, nella vicenda oggetto della sentenza medesima, avesse effettuato le dichiarazioni doganali in nome proprio e per conto dell'importatore o in nome e per conto di quest'ultimo. Resta, tuttavia, il fatto che le autorità doganali olandesi avevano chiesto all'agente doganale e non all'importatore il pagamento dei prelievi agricoli supplementari di cui l'agente stesso richiedeva il rimborso ai sensi dell'art. 13 del regolamento n. 1430/79.


73 – V. giurisprudenza citata alla nota 66 supra.


74 – Cit., punto 57.


75 – Sentenza impugnata, punti 143-144.


76 – Avvenuta, secondo la sentenza impugnata (punto 24), il 13 novembre 1997 per le operazioni oggetto della causa T‑135/03 e il 4 dicembre 1998 per le operazioni oggetto della causa T‑134/03.


77 – Avvenuto, secondo la sentenza impugnata (punto 25), nel novembre e nel dicembre del 1999.