Language of document : ECLI:EU:T:2004:221

Arrêt du Tribunal

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Seconda Sezione)
8 luglio 2004 (1)

«Intese – Mercato dei tubi d'acciaio senza saldatura – AELS – Competenza della Commissione – Infrazione – Ammende»

Nelle cause riunite T-67/00, T-68/00, T-71/00 e T-78/00,

JFE Engineering Corp., già NKK Corp., con sede in Tokyo (Giappone), rappresentata inizialmente dai sigg. M. Smith e C. Maguire, solicitors, quindi dagli avv.ti A. Vandencasteele e V. Dehin, e dalla sig.ra A.-L. Marmagioli, solicitor, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente nella causa T-67/00,

ricorrente nella causa T-67/00,

Nippon Steel Corp., con sede in Tokyo, rappresentata dagli avv.ti J.-F. Bellis e K. Van Hove, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente nella causa T-68/00,

JFE Steel Corp., già Kawasaki Steel Corp., con sede in Tokyo, rappresentata dall'avv. A. Vandencasteele, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente nella causa T-71/00,

Sumitomo Metal Industries Ltd, con sede in Tokyo, rappresentata dal sig. C. Vajda, QC, dalle sig.re G. Sproul e F. Weitzman, solicitors, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente nella causa T-78/00,

contro

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. M. Erhart e A. Whelan, in qualità di agenti, assistiti dal sig. N. Khan, barrister, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

sostenuta da

Autorità di vigilanza AELS, rappresentata dalla sig.ra  D. Sif Tynes e dal sig. P. Bjørgan, in qualità di agenti,

interveniente nelle cause T‑68/00, T‑71/00 e T‑78/00,

avente ad oggetto una domanda di annullamento della decisione della Commissione 8 dicembre 1999, 2003/382/CE, relativa ad un procedimento d'applicazione dell'art. 81 CE (Caso IV/E-1/35.860-B-Tubi d'acciaio senza saldatura) (GU 2003, L 140, pag. 1) o, in subordine, una domanda di riduzione dell'importo delle ammende inflitte ai ricorrenti,



IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Seconda Sezione),



composto dai sigg. N.J. Forwood, presidente, J. Pirrung e A.W.H. Meij, giudici,

cancelliere: sig. J. Plingers, amministratore

vista la fase scritta del procedimento ed in seguito alla trattazione orale del 19, 20 e 21marzo 2003

ha pronunciato la seguente



Sentenza




Fatti e procedimento

1
La presente causa riguarda la decisione della Commissione 8 dicembre 1999, 2003/382/CE, relativa ad un procedimento d’applicazione dell’art. 81 CE (Caso IV/E‑1/35.860‑B‑Tubi d’acciaio senza saldatura) (GU 2003, L 140, pag. 1; in prosieguo: la «decisione impugnata»).

2
La Commissione ha inviato la decisione impugnata a otto imprese produttrici di tubi di acciaio al carbonio senza saldatura (in prosieguo: le «imprese destinatarie della decisione impugnata»). Tra tali imprese figurano quattro società europee (in prosieguo: i «produttori europei» ovvero i «produttori comunitari»): la Mannesmannröhren‑Werke AG (in prosieguo: la «Mannesmann»), la Vallourec SA, la Corus UK Ltd (già British Steel plc, poi British Steel Ltd; in prosieguo: la «Corus») e la Dalmine SpA. Le altre quattro destinatarie della decisione impugnata sono società giapponesi (in prosieguo: i «produttori giapponesi» o le «ricorrenti giapponesi»): la NKK Corp., la Nippon Steel Corp. (in prosieguo: la «Nippon»), la Kawasaki Steel Corp. e la Sumitomo Metal Industries Ltd (in prosieguo: la «Sumitomo»).

A – Procedimento amministrativo

3
Con decisione 17 novembre 1994 l’Autorità di vigilanza dell’Associazione europea di libero scambio (in prosieguo: l’«AELS»), ai sensi dell’art. 8, n. 3, del Protocollo 23 dell’Accordo sullo Spazio economico europeo, approvato con decisione del Consiglio e della Commissione 13 dicembre 1993, 94/1/CECA, CE, relativa alla conclusione dell’accordo sullo Spazio economico europeo tra le Comunità europee, i loro Stati membri e la Repubblica d’Austria, la Repubblica di Finlandia, la Repubblica d’Islanda, il Principato del Liechtenstein, il Regno di Norvegia, il Regno di Svezia e la Confederazione elvetica (GU 1994, L 1, pag. 1; in prosieguo: l’«accordo SEE»), autorizzava il membro responsabile della concorrenza a domandare alla Commissione di procedere, nel territorio della Comunità, a verificare l’eventuale esistenza di comportamenti anticoncorrenziali nel settore della produzione dei tubi di acciaio al carbonio utilizzati dall’industria petrolifera norvegese per operazioni di sondaggio e di trasporto.

4
Con decisione non pubblicata 25 novembre 1994 (Caso IV/35.304; in prosieguo: la «decisione 25 novembre 1994»), citata a pag. 3 del fascicolo amministrativo della Commissione, avente come fondamento normativo sia l’art. 14, n. 3, del regolamento del Consiglio 6 febbraio 1962, n. 17, primo regolamento d’applicazione degli artt. [81 CE] e [82 CE] (GU 1962, n. 13, pag. 204), sia la decisione dell’Autorità di vigilanza AELS 17 novembre 1994, la Commissione decideva di effettuare verifiche sui comportamenti menzionati nella decisione dell’Autorità di vigilanza AELS 17 novembre 1994, in quanto idonei ad integrare una violazione non solo dell’art. 53 dell’Accordo SEE (in prosieguo: l’«art. 53 SEE»), ma anche dell’art. 81 CE. La Commissione inviava la decisione 25 novembre 1994 a otto società, tra cui la Mannesmann, la Corus, la Vallourec e la Sumitomo Deutschland GmbH, società del gruppo Sumitomo. Il 1° e il 2 dicembre 1994, agendo in forza della citata decisione, taluni funzionari della Commissione e alcuni rappresentanti delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri interessati effettuavano una serie di accertamenti presso le dette imprese.

5
Con decisione 6 dicembre 1995 l’Autorità di vigilanza AELS constatava che, a causa delle significative alterazioni del commercio intracomunitario che esso comportava, il caso in esame rientrava nella competenza della Commissione ai sensi dell’art. 56, n. 1, lett. c), dell’Accordo SEE. L’Autorità di vigilanza AELS decideva pertanto di trasmettere tale fascicolo alla Commissione, conformemente all’art. 10, n. 3, del protocollo 23 dell’Accordo SEE. A partire da tale data la Commissione ha registrato il caso con un nuovo numero (Caso IV/E‑1/35.860).

6
Tra il settembre 1996 e il dicembre 1997 la Commissione effettuava ulteriori accertamenti ai sensi dell’art. 14, n. 2, del regolamento n. 17, presso la Vallourec, la Dalmine e la Mannesmann. In particolare, essa effettuava un’ispezione svoltasi presso la Vallourec il 17 settembre 1996, in occasione della quale il sig. Verluca, presidente della Vallourec Oil & Gas, rilasciava la dichiarazione citata a pag. 6356 del fascicolo della Commissione (in prosieguo: la «dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996»), su cui quest’ultima ha basato la decisione impugnata. Successivamente la Commissione inviava una richiesta di informazioni, ex art. 11 del regolamento n. 17, a tutte le imprese destinatarie della decisione impugnata, nonché a talune altre.

7
Poiché la Dalmine e le società argentine Siderca SAIC (in prosieguo: la «Siderca») e Techint Group avevano rifiutato di fornire alcune delle informazioni richieste, la Commissione inviava loro, il 6 ottobre 1997, una decisione adottata ai sensi dell’art. 11, n. 5, del regolamento n. 17: la decisione C (1997) 3036 (Caso IV/35.860‑Tubi d’acciaio, non pubblicata). Sia la Siderca che la Dalmine presentavano al Tribunale un ricorso di annullamento contro tale decisione. Il ricorso di annullamento della Dalmine veniva dichiarato manifestamente irricevibile, con ordinanza del Tribunale 24 giugno 1998, causa T‑596/97, Dalmine/Commissione (Racc. pag. II‑2383), mentre il ricorso di annullamento della Siderca veniva cancellato dal ruolo in seguito alla rinuncia di quest’ultima, con ordinanza del Tribunale 7 giugno 1998, causa T‑8/98, Siderca/Commissione (non pubblicata nella Raccolta).

8
Anche la Mannesmann rifiutava di fornire alcune informazioni richieste dalla Commissione. Essa persisteva nel suo rifiuto anche dopo l’adozione nei suoi confronti, da parte della Commissione, di una decisione ai sensi dell’art. 11, n. 5, del regolamento n. 17: la decisione 15 maggio 1998 C (1998) 1204 (Caso IV/35.860‑Tubi d’acciaio, non pubblicata). A sua volta la Mannesmann presentava un ricorso al Tribunale contro tale decisione. Con sentenza 20 febbraio 2001, causa T‑112/98, Mannesmannröhren-Werke/Commissione (Racc. pag. II‑729), il Tribunale annullava parzialmente la decisione in questione, respingendo per il resto il ricorso.

9
Nel gennaio 1999 la Commissione adottava due comunicazioni degli addebiti, concernenti l’una i tubi d’acciaio al carbonio saldati e l’altra quelli non saldati. Essa scindeva in tal modo il caso in due: il caso IV/E‑1/35.860‑A, relativo ai tubi d’acciaio al carbonio saldati, e il caso IV/E‑1/35.860‑B, relativo a quelli senza saldatura.

10
Nel caso relativo ai tubi d’acciaio al carbonio senza saldatura, la Commissione inviava la sua comunicazione degli addebiti (in prosieguo: la «CdA») alle otto imprese destinatarie della decisione impugnata nonché alla Siderca e alla società messicana Tubos de Acero de México SA. Le dette imprese consultavano il fascicolo aperto dalla Commissione per tale caso fra l’11 febbraio e il 20 aprile 1999. Inoltre, con lettere datate 11 maggio 1999, la Commissione inviava copia delle decisioni del novembre 1994, relative agli accertamenti, alle imprese che non ne erano destinatarie e che, pertanto, non ne avevano avuto conoscenza.

11
Dopo aver presentato le loro osservazioni scritte, le destinatarie delle due comunicazioni degli addebiti venivano sentite dalla Commissione il 9 e il 10 giugno 1999, in ordine, rispettivamente, al caso relativo ai tubi d’acciaio al carbonio saldati e a quello relativo ai tubi d’acciaio al carbonio senza saldatura. Nel luglio 1999, la Commissione informava le destinatarie della comunicazione degli addebiti nel caso IV/E‑1/35.860‑A, relativo ai tubi d’acciaio al carbonio saldati, di aver rinunciato alla procedura relativa a tali prodotti. Viceversa, essa proseguiva l’iter relativo al caso IV/E‑1/35.860‑B.

12
Alla luce di tali circostanze, l’8 dicembre 1999, la Commissione adottava la decisione impugnata.

B – Prodotti in questione

13
I prodotti oggetto del caso IV/E‑1/35.860‑B sono i tubi di acciaio al carbonio senza saldatura utilizzati dall’industria petrolifera e del gas, i quali si suddividono in due grandi categorie.

14
Alla prima categoria appartengono i tubi per il sondaggio, comunemente denominati «Oil Country Tubular Goods» ovvero «OCTG». Essi possono essere venduti senza filettatura («tubi lisci») o filettati. La filettatura è un’operazione volta a consentire il raccordo dei tubi OCTG. Essa può essere ordinaria, vale a dire conforme ai parametri fissati dall’American Petroleum Institute (API) (i tubi così filettati saranno denominati in prosieguo: gli «OCTG standard»), oppure realizzata con tecniche particolari, solitamente brevettate. In quest’ultimo caso si parla di filettatura o, eventualmente, di «giunti» «di prima qualità», ovvero «premium» (i tubi così filettati saranno denominati in prosieguo: gli «OCTG premium»).

15
Alla seconda categoria di prodotti appartengono i tubi per il trasporto di petrolio e di gas («linepipe») di acciaio al carbonio senza saldatura, che si suddividono a loro volta in tubi fabbricati secondo norme standardizzate e in tubi fabbricati su misura e destinati a progetti specifici (in prosieguo: i «linepipe “project”»).

C – Infrazioni constatate dalla Commissione nella decisione impugnata

16
Nella decisione impugnata la Commissione ha osservato, innanzi tutto, che le otto imprese destinatarie di tale decisione avevano concluso un accordo che prevedeva fra l’altro, la reciproca protezione dei loro mercati nazionali (punti 62‑67 della decisione impugnata). In base ad esso, ogni impresa si impegnava a non vendere tubi OCTG standard e linepipe «project» sui mercati nazionali delle altre aderenti all’accordo. L’accordo sarebbe stato concluso nell’ambito delle riunioni tra i produttori comunitari e quelli giapponesi, dette «club Europa-Giappone». Il principio della protezione dei mercati nazionali era denominato «fundamentals» (regole di base dell’accordo). In subordine, la Commissione ha rilevato che tali «fundamentals» erano stati realmente osservati e che pertanto l’accordo aveva sortito effetti anticoncorrenziali sul mercato comune (punto 68 della decisione impugnata).

17
Secondo la Commissione il detto accordo era vietato ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE (punto 109 della decisione impugnata). Conseguentemente, all’art. 1 della decisione impugnata, essa ha constatato l’esistenza di una violazione di tale disposizione e ha inflitto ammende alle otto imprese destinatarie.

18
Quanto alla durata dell’infrazione, la Commissione ha affermato che, sebbene le riunioni del club Europa-Giappone fossero iniziate nel 1977 (punto 55 della decisione impugnata), occorreva considerare il 1990 come momento iniziale dell’infrazione ai fini della fissazione dell’importo delle ammende, in quanto tra il 1977 e il 1990 erano stati conclusi tra la Comunità europea e il Giappone accordi di autolimitazione delle esportazioni (in prosieguo: gli «accordi di autolimitazione») (punto 108 della decisione impugnata). Secondo la Commissione l’infrazione è terminata nel 1995 (punti 96 e 97 della decisione controversa).

19
Ai fini della fissazione dell’importo delle ammende alle otto imprese destinatarie della decisione impugnata, la Commissione ha qualificato l’infrazione come molto grave, giacché l’accordo di cui trattasi, aveva ad oggetto la protezione dei mercati nazionali e pregiudicava il buon funzionamento del mercato interno (punti 161 e 162 della decisione impugnata). Per contro, essa ha rilevato che le vendite dei tubi di acciaio al carbonio senza saldatura effettuate dalle imprese destinatarie nei quattro Stati membri interessati ammontavano ad un importo di soli EUR 73 milioni circa all’anno. Di conseguenza, la Commissione ha fissato l’ammontare dell’ammenda, in base alla gravità dell’infrazione, a EUR 10 milioni per ognuna delle otto imprese destinatarie della decisione impugnata. Queste ultime sono tutte di grandi dimensioni, pertanto la Commissione ha ritenuto di non dover differenziare, a tale titolo, gli importi stabiliti (punti 162, 163 e 165 della decisione impugnata).

20
Ritenendo che si trattasse di un’infrazione di durata media, nel fissare l’importo di base dell’ammenda irrogata a ciascuna impresa in causa la Commissione ha applicato un aumento del 10% della somma stabilita in funzione della gravità per ogni anno di partecipazione all’infrazione (punto 166 della decisione impugnata). Tuttavia, considerato che il settore dei tubi di acciaio versava in uno stato protratto di crisi e che tale situazione si è deteriorata a partire dal 1991, la Commissione ha ridotto i detti importi di base del 10% a motivo delle circostanze attenuanti (punti 168 e 169 della decisione impugnata). Infine, la Commissione ha applicato una riduzione dell’ammontare dell’ammenda per la Vallourec del 40% e per la Dalmine del 20%, ai sensi del punto D 2, della sua comunicazione sulla non imposizione o sulla riduzione dell’importo delle ammende nei casi d’intesa tra imprese, 96/C 207/04 (GU 1996, C 207, pag. 4; in prosieguo: la «comunicazione sulla cooperazione»), in quanto queste due imprese avevano collaborato con la Commissione nella fase del procedimento amministrativo (punti 170‑173 della decisione impugnata).

21
L’importo dell’ammenda irrogata a ciascuna delle imprese in causa, calcolato secondo il metodo illustrato ai due punti precedenti, è indicato all’art. 4 della decisione impugnata (v. infra, punto 33).

22
In secondo luogo, la Commissione ha reputato, all’art. 2 della decisione impugnata, che i contratti conclusi tra i produttori comunitari concernenti la vendita di tubi lisci sul mercato britannico integrassero un’infrazione (punto 116 della decisione impugnata). Tuttavia, essa non li ha sanzionati con un’ammenda supplementare perché si trattava, in fondo, solo di un modo di attuare il principio della protezione dei mercati nazionali deciso nel contesto del club Europa‑Giappone (punto 164 della decisione impugnata).

D – Fatti salienti constatati dalla Commissione nella decisione impugnata

23
Dal 1977 al 1994 il club Europa-Giappone si riuniva circa due volte l’anno (punto 60 della decisione impugnata). In particolare, la Commissione ha rilevato che, stando a quanto dichiarato dal sig. Verluca il 17 settembre 1996, sono state tenute riunioni in particolare il 14 aprile 1992 a Firenze, il 23 ottobre 1992 a Tokyo, il 19 maggio 1993 a Parigi, il 5 novembre 1993 a Tokyo e il 16 marzo 1994 a Cannes. La Commissione ha sostenuto, peraltro, che la nota della Vallourec dal titolo «Quelques informations à l’occasion du club Europe/Japon» (Osservazioni sul club Europa-Giappone; in prosieguo: le «Osservazioni»), datata 4 novembre 1991 e citata a pag. 4350 del fascicolo della Commissione, e quella del 24 luglio 1990, citata a pag. 15586 del medesimo fascicolo, intitolata «Riunione del 24.07.90 con la British Steel» (in prosieguo: la nota «Riunione 24.07.90»), precisano che altre riunioni del club Europa-Giappone si sono svolte anche nel 1989 e nel 1991.

24
L’accordo concluso in seno al club Europa-Giappone si basava su tre pilastri: il primo era costituito dai «fundamentals» per la protezione dei mercati nazionali (menzionati qui sopra, al punto 16), i quali integravano l’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata; il secondo consisteva nella fissazione dei prezzi per i bandi di gara e di prezzi minimi per gli «special markets» (i mercati speciali); e il terzo era dato dalla ripartizione degli altri mercati mondiali, eccetto quelli del Canada e degli Stati Uniti d’America, mediante apposite chiavi di ripartizione («sharing keys») (punto 61 della decisione impugnata). La Commissione basa la sua conclusione quanto all’esistenza dei «fundamentals» su una serie di documenti indiziari enumerati ai punti 62‑67 della decisione impugnata, nonché sulla tabella di cui al punto 68 di quest’ultima. Dalla detta tabella risulterebbe che la quota del produttore nazionale nelle forniture di OCTG e di linepipe effettuate dalle destinatarie della decisione impugnata in Giappone e sul mercato interno di ciascuno dei quattro produttori comunitari era molto elevata. La Commissione ne deduce che, nel complesso, i mercati nazionali erano effettivamente protetti dalle parti dell’accordo. Relativamente agli altri due pilastri dell’accordo in esame, la Commissione illustra gli elementi probatori pertinenti ai punti 70‑77 della decisione impugnata.

25
Allorché la Corus ha manifestato, nel 1990, l’intenzione di cessare la produzione di tubi lisci, i produttori comunitari si sarebbero interrogati sui limiti temporali di applicazione del principio della protezione dei mercati nazionali, nell’ambito dei «fundamentals» sopra descritti, relativamente al mercato del Regno Unito. A tale proposito la Vallourec e la Corus avrebbero proposto i «fundamentals improved» (versione perfezionata delle regole di base dell’accordo), finalizzati a mantenere in vigore le restrizioni all’accesso dei produttori giapponesi al mercato britannico, nonostante il ritiro della Corus. Nel luglio 1990, in occasione del rinnovo della licenza relativa alla tecnica di filettatura VAM, la Vallourec e la Corus si sarebbero così accordate per riservare la fornitura di quest’ultima in tubi lisci senza saldatura alla Vallourec, alla Mannesmann e alla Dalmine (punto 78 della decisione impugnata).

26
Nell’aprile 1991 la Corus ha chiuso la sua fabbrica di Clydesdale (Regno Unito), dove veniva prodotto circa il 90% dei suoi tubi lisci. Essa ha quindi concluso contratti di fornitura di detti tubi, quinquennali e rinnovabili tacitamente salvo preavviso di dodici mesi, con la Vallourec (il 24 luglio 1991), con la Dalmine (il 4 dicembre 1991) e con la Mannesmann (il 9 agosto 1993) (in prosieguo: i «contratti di fornitura»). Ai sensi di questi tre contratti, citati alle pagg. 12867, 12910 e 12948 del fascicolo della Commissione, le imprese beneficiarie fornivano alla Corus, rispettivamente, il 40%, il 30% e il 30% del suo fabbisogno (punti 79‑82 della decisione impugnata), con esclusione dei tubi di piccolo diametro.

27
Nel 1993, tre fattori avrebbero indotto a rivedere i principi di funzionamento del club Europa-Giappone. Innanzi tutto, la ristrutturazione dell’industria siderurgica europea, visto che, nel Regno Unito, la Corus intendeva appunto dismettere la produzione di tubi filettati senza saldatura e che, in Belgio, la società New Tubemeuse (in prosieguo: la «NTM»), dedita prevalentemente all’esportazione verso il Medio e l’Estremo Oriente, era stata liquidata il 31 dicembre 1993. Poi, l’ingresso nel mercato comunitario dei produttori dell’America latina, che minacciava di rimettere in causa le ripartizioni dei mercati convenute nell’ambito del club Europa-Giappone. Infine, l’importanza crescente dei tubi saldati sul mercato mondiale dei tubi utilizzati per l’estrazione e lo sfruttamento di petrolio e di gas, malgrado il permanere di forti disparità fra regioni (punti 83 e 84 della decisione impugnata).

28
In tale contesto i membri del club Europa-Giappone si sarebbero incontrati a Tokyo, il 5 novembre 1993, per negoziare un nuovo accordo di ripartizione dei mercati con i produttori dell’America latina. Il contenuto dell’accordo stipulato nell’occasione si rispecchierebbe in un documento, consegnato alla Commissione il 12 novembre 1997 da un informatore estraneo al procedimento e citato a pag. 7320 del fascicolo della Commissione, il quale conterrebbe in particolare una «Sharing key» (documento relativo alla chiave di ripartizione; in prosieguo: il documento «Sharing key»). A detta dell’informatore, la fonte del documento sarebbe un agente commerciale di una delle partecipanti alla summenzionata riunione. Per quanto riguarda segnatamente le conseguenze della ristrutturazione dell’industria europea, la chiusura della NTM avrebbe permesso ai produttori comunitari di ottenere concessioni dai produttori giapponesi e latino-americani, principali beneficiari del ritiro della NTM dai mercati d’esportazione (punti 85‑89 della decisione impugnata).

29
Da parte sua, la Corus ha deciso di cessare le sue ultime attività di produzione di tubi senza saldatura. Il 22 febbraio 1994 la Vallourec ha acquisito il controllo degli impianti specializzati nella filettatura e nella produzione dei tubi della Corus e ha costituito, a tal fine, la società Tubular Industries Scotland Ltd (in prosieguo: la «TISL»). Il 31 marzo 1994 la TISL ha rilevato i contratti di fornitura di tubi lisci che la Corus aveva stipulato con la Dalmine e la Mannesmann. Il 24 aprile 1997 il contratto così concluso con la Mannesmann era ancora in vigore. Il 30 marzo 1999 la Dalmine ha risolto il contratto di fornitura con la TISL (punti 90‑92 della decisione impugnata).

30
La Commissione ha ritenuto che, con i detti contratti, i produttori comunitari si fossero assegnati le quote di fornitura di tubi lisci per il mercato britannico, che rappresenta più della metà del consumo comunitario di tubi OCTG. Essa ne ha dunque inferito che si trattasse di un’intesa vietata in forza dell’art. 81, n. 1, CE (v. supra, punto 22).

E – Dispositivo della decisione impugnata

31
Ai sensi dell’art. 1, n. 1, della decisione impugnata, le otto imprese destinatarie della stessa «(…) hanno violato le disposizioni dell’articolo 81, paragrafo 1, (…) CE, partecipando (...) ad un accordo che prevedeva fra l’altro la protezione dei rispettivi mercati nazionali dei tubi OCTG (…) standard e linepipe project senza saldatura».

32
Ai sensi dell’art. 1, n. 2, della decisione impugnata l’infrazione è durata dal 1990 al 1995 per le società Mannesmann, Vallourec, Dalmine, Sumitomo, Nippon, Kawasaki Steel Corp. e NKK Corp. Per la Corus si dichiara che l’infrazione è durata dal 1990 al febbraio 1994.

33
Le altre disposizioni rilevanti della decisione impugnata sono formulate come segue:

«Articolo 2

1.
[Mannesmann], Vallourec (…), [Corus] e Dalmine (…) hanno violato le disposizioni dell’articolo 81, paragrafo 1, del Trattato CE, concludendo, nell’ambito dell’infrazione di cui all’articolo 1, contratti risultanti in una ripartizione delle forniture di tubi OCTG lisci a [Corus] (Vallourec (...) a partire dal 1994).

2.
Per [Corus] l’infrazione è durata dal 24 luglio 1991 al febbraio 1994. Per Vallourec (…) è durata dal 24 luglio 1991 al 30 marzo 1999. Per Dalmine (…) è durata dal 4 dicembre 1991 al 30 marzo 1999. Per [Mannesmann] è durata dal 9 agosto 1993 al 24 aprile 1997.

(…)

Articolo 4

A motivo dell’infrazione constatata all’articolo 1, alle imprese ivi elencate sono irrogate le seguenti ammende:

(1)    [Mannesmann] 13 500 000 EUR

(2)    Vallourec (…) 8 100 000 EUR

(3)    [Corus] 12 600 000 EUR

(4)    Dalmine (…) 10 800 000 EUR

(5)    Sumitomo (…) 13 500 000 EUR

(6)    Nippon (…) 13 500 000 EUR

(7)    Kawasaki Steel Corp. (…) 13 500 000 EUR

(8)    NKK Corp. (…) 13 500 000 EUR

(...)».

F – Procedimento dinanzi al Tribunale

34
Con sette istanze, depositate nella cancelleria del Tribunale tra il 28 febbraio e il 3 aprile 2000, le società Mannesmann, Corus, Dalmine, NKK Corp., Nippon, Kawasaki e Sumitomo hanno presentato un ricorso contro la decisione impugnata.

35
Con tre ordinanze 23 aprile 2002 l’Autorità di vigilanza AELS è stata ammessa a intervenire a sostegno delle conclusioni della Commissione, in conformità dell’art. 116, n. 6, del regolamento di procedura del Tribunale, nelle cause T‑68/00, T‑71/00 e T‑78/00.

36
Con ordinanza 18 giugno 2002 è stato deciso, sentite le parti, di riunire le sette cause ai fini del procedimento orale e di riunire, inoltre, le quattro cause con ricorrenti le società giapponesi (T‑67/00, T‑68/00, T‑71/00 e T‑78/00) ai fini della sentenza, in conformità dell’art. 50 del medesimo regolamento. In seguito a tale riunione, tutte le ricorrenti nelle sette cause hanno potuto consultare il complesso dei fascicoli relativi al pendente procedimento presso la cancelleria del Tribunale. Sono state altresì adottate alcune misure di organizzazione del procedimento.

37
Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Seconda Sezione) ha deciso di passare alla fase orale. Le parti, compresa l’Autorità di vigilanza AELS in qualità di interveniente nelle sentenze T‑68/00, T‑71/00 e T‑78/00, hanno svolto le loro difese orali e hanno risposto ai quesiti scritti formulati dal Tribunale alle udienze del 19, 20 e 21 marzo 2003.


Conclusioni delle parti

38
Nella causa T‑67/00, la NKK Corp. chiede che il Tribunale voglia:

annullare la decisione impugnata nella parte che la riguarda;

annullare l’ammenda irrogatale;

in subordine, nel caso in cui la decisione impugnata sia mantenuta totalmente o parzialmente, ridurre l’importo della sua ammenda;

condannare la Commissione a pagare le spese da essa sostenute nel presente procedimento;

disporre ogni altra misura necessaria all’esecuzione della sentenza del Tribunale.

39
Nella causa T‑68/00, la Nippon chiede che il Tribunale voglia:

annullare la decisione impugnata nella parte ad essa relativa;

annullare o almeno ridurre l’importo dell’ammenda irrogatale;

condannare la Commissione alle spese.

40
Nella causa T‑71/00, la Kawasaki Steel Corp. chiede che il Tribunale voglia:

annullare la decisione impugnata;

in subordine, ridurre l’importo dell’ammenda inflittale;

condannare la Commissione alle spese.

41
Nella causa T‑78/00, la Sumitomo chiede che il Tribunale voglia:

annullare gli artt. 1‑5 della decisione impugnata nella parte ad essa relativa;

in subordine, annullare l’art. 4 della decisione impugnata nella parte in cui le infligge un’ammenda di EUR 13,5 milioni, e fissare un’ammenda di importo sostanzialmente inferiore;

condannare la Commissione alle spese.

42
In ognuno dei quattro procedimenti la Commissione chiede che il Tribunale voglia:

respingere il ricorso;

condannare la ricorrente alle spese.


Sull’incidenza della concentrazione tra la Kawasaki Steel Corp. e la NKK Corp.

43
Con lettere separate del 9 maggio 2003, la NKK Corp. e la Kawasaki Steel Corp. informavano il Tribunale che, nell’ambito di un’operazione di concentrazione riguardante i due gruppi di cui esse facevano parte, le stesse avevano cambiato nome e si chiamano ora JFE Steel Corp. Alla luce dei documenti allegati alle loro lettere per attestare tale mutamento di nome, la cancelleria del Tribunale chiedeva a tali due ricorrenti e alla Commissione di chiarire la situazione derivante da tale operazione di concentrazione. Le ricorrenti e la Commissione hanno riposto con lettere in data rispettivamente 11 settembre 2003 e 22 settembre 2003.

44
Da tali documenti e risposte risulta che la Kawasaki Steel Corp. ha cambiato nome diventando JFE Steel Corp. Per contro occorre constatare che la NKK Corp. ha cambiato nome in JFE Engineering Corp. Tuttavia, nelle loro rispettive lettere 11 settembre 2003, queste due ricorrenti affermavano che i diritti e gli obblighi relativi all’impresa siderurgica della NKK Corp. erano stati trasferiti alla JFE Steel Corp.

45
Occorre innanzi tutto rilevare che i giudici comunitari possono sicuramente prendere atto di un mutamento di nome di una parte del procedimento.

46
Inoltre, la giurisprudenza riconosce che un’azione di annullamento avviata dal destinatario di un atto può essere proseguita dall’avente causa a titolo universale della stessa, in particolare in caso di decesso di una persona fisica o nel caso in cui una persona giuridica cessi di esistere quando tutti i suoi diritti ed obblighi vengono trasferiti ad un nuovo titolare (v., in tal senso, sentenze della Corte 20 ottobre 1983, causa 92/82, Gutmann/Commissione, Racc. pag. 3127, punto 2, e 23 aprile 1986, causa 294/83, Les Verts/Parlamento, Racc. pag. 1339, punti 13‑18). Occorre constatare che, in una situazione di questo tipo, l’avente causa a titolo universale viene necessariamente sostituito ipso iure al suo predecessore in quanto destinatario dell’atto impugnato.

47
Il giudice comunitario, invece, non è competente né nell’ambito di un ricorso di annullamento ai sensi dell’art. 230 CE e nemmeno nell’esercizio della sua competenza anche di merito ai sensi dell’art. 229 CE per quanto riguarda le sanzioni a riformare la decisione di un’istituzione comunitaria sostituendo al destinatario di questa un’altra persona fisica o giuridica qualora il detto destinatario esista ancora. Tale competenza spetta a priori solo all’istituzione che ha adottato la decisione in questione. In tal modo, una volta che l’istituzione competente ha adottato una decisione e ha pertanto determinato l’identità della persona alla quale occorre inviarla, non spetta al Tribunale sostituire un’altra persona a quest’ultima.

48
Va considerato poi che il ricorso presentato da una persona in qualità di destinatario di un atto per far valere i propri diritti nell’ambito di una domanda di annullamento ai sensi dell’art. 230 CE e/o di una domanda di riforma ai sensi dell’art. 229 CE non può essere trasferito ad un terzo non destinatario dello stesso. Infatti, se venisse ammesso un simile trasferimento vi sarebbe una discordanza tra la qualità a titolo della quale è stato presentato il ricorso e la qualità a titolo della quale esso verrebbe asseritamente proseguito. Inoltre, un trasferimento di tale tipo creerebbe una discordanza tra l’identità del destinatario dell’atto e quella della persona che agisce in giudizio in qualità di destinatario.

49
A questo proposito si deve rilevare che una decisione come quella impugnata, per quanto redatta e pubblicata sotto forma di una sola decisione, deve analizzarsi come un insieme di decisioni individuali che rilevano nei confronti di ciascuna delle imprese destinatarie la o le infrazioni ascritte a loro carico e che infliggono loro, a seconda dei casi, un’ammenda. Tale regola emerge da una lettura congiunta della sentenza del Tribunale 10 luglio 1997, causa T‑227/95, AssiDomän Kraft Products e a./Commissione (Racc. pag. II‑1185, punto 56), e della sentenza della Corte, pronunciata in sede d’impugnazione, 14 settembre 1999, causa C‑310/97 P, Commissione/AssiDomän Krafts Products e a. (Racc. pag. I‑5363, punto 49). Così, nella fattispecie, la NKK Corp. era e rimane l’unica destinataria della decisione che le è stata inviata in quanto la Kawasaki Steel Corp. era la destinataria di una decisione giuridicamente distinta contenuta nello stesso atto.

50
È infine esatto che la persona attualmente responsabile della gestione di un’impresa può assumere, nella fase del procedimento amministrativo dinanzi alla Commissione, mediante una declaratoria in tal senso, la responsabilità dei fatti contestati al reale responsabile, anche se in via di principio spetta alla persona fisica o giuridica che dirigeva l’impresa in questione al momento in cui l’infrazione è stata commessa rispondere della stessa (v. in tal senso, anche se in fase d’impugnazione, sentenza del Tribunale 13 dicembre 2001, cause riunite T‑45/98 e T‑47/98, Krupp Thyssen Stainless e Acciai speciali Terni/Commissione, Racc. pag. II‑3757, punti 57‑62). Tuttavia, risulta dalle considerazioni citate sopra ai punti 46‑49 che una tale declaratoria non può avere l’effetto di modificare l’identità del destinatario di una decisione della Commissione dopo l’adozione della stessa, né quella della ricorrente in un ricorso di annullamento avverso una tale decisione qualora lo stesso sia già stato proposto.

51
Ciò premesso, occorre prendere atto del mutamento di nome della Kawasaki Steel Corp. in JFE Steel Corp. e del fatto che la NKK Corp. si chiama ora JFE Engineering Corp. Tuttavia non occorre sostituire JFE Engineering Corp. con JFE Steel Corp. nella causa T‑67/00, indipendentemente dagli effetti per il diritto giapponese dell’accordo di fusione stipulato da tali due società. Di conseguenza, la JFE Steel Corp. (in prosieguo: la «JFE‑Kawasaki») rimane la ricorrente nella causa T‑71/00 e la JFE Engineering Corp. (in prosieguo: la «JFE‑NKK» rimane la ricorrente nella causa T‑67/00.


In diritto

A – Sulle domande di annullamento della decisione impugnata, in particolare dell’art. 1 della stessa

52
Le ricorrenti giapponesi sollevano tredici diversi motivi di annullamento di cui alcuni sono comuni a tutte o a più di esse.

1. Sul primo motivo, vertente sul difetto di dimostrazione da parte della Commissione dell’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata

53
Questo motivo è dedotto da tutte e quattro le ricorrenti giapponesi.

a)     Argomenti delle parti

54
Le ricorrenti giapponesi svolgono osservazioni preliminari sulla produzione della prova di un’infrazione all’art. 81, n. 1, CE. Nel merito il motivo si articola in tre parti.

55
In primo luogo, le ricorrenti giapponesi fanno valere, da un lato, che la mancanza di importazioni giapponesi nei mercati europei «terrestri» (in prosieguo: i «mercati onshore») è dovuta a ragioni commerciali oggettive e, dall’altro, che l’esistenza dell’accordo allegato è incompatibile con le significative forniture dei prodotti in questione da esse effettuate sul mercato della zona della piattaforma continentale del Mare del Nord sfruttata dal Regno Unito (in prosieguo: il «mercato offshore del Regno Unito» o «mercato offshore britannico») per cui l’infrazione contestata alle ricorrenti giapponesi non ha potuto, in ogni caso, produrre effetti anticoncorrenziali. In secondo luogo, gli elementi probatori raccolti dalla Commissione non dimostrerebbero né la conclusione dell’accordo allegato né, quand’anche concluso, la partecipazione ad esso di ognuna delle ricorrenti giapponesi. In terzo luogo, sarebbe incoerente l’analisi, da parte della Commissione, dello scopo dei contratti di fornitura di tubi lisci stipulati dai produttori europei, contratti che integrano l’infrazione contestata all’art. 2 della decisione impugnata. Tale analisi confermerebbe parimenti l’infondatezza della tesi della Commissione vertente sulla partecipazione delle ricorrenti giapponesi all’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata.

–     Osservazioni preliminari

56
La Sumitomo e la JFE‑NKK sostengono, innanzi tutto, che l’onere della prova di tutti gli elementi costitutivi di un’infrazione incombe alla Commissione (conclusioni dell’avvocato generale Sir Gordon Slynn per la sentenza della Corte 7 giugno 1983, cause riunite da 100/80 a 103/80, Musique diffusion française e a./Commissione, Racc. pag. 1825, in particolare pag. 1914; sentenze della Corte 17 dicembre 1998, causa C-185/95 P, Baustahlgewebe/Commissione, Racc. pag. I‑8417, punto 58, e 8 luglio 1999, causa C‑49/92 P, Commissione/Anic Partecipazioni, Racc. pag. I‑4125, punto 86). Pertanto la sussistenza di un dubbio sarebbe vantaggiosa per le imprese accusate d’aver partecipato ad un’infrazione (sentenze della Corte 16 dicembre 1975, cause riunite da 40/73 a 48/73, 50/73, da 54/73 a 56/73, 111/73, 113/73 e 114/73, Suiker Unie e a./Commissione, Racc. pag. 1663, punti 203, 304, 359 e 363, e 14 febbraio 1978, causa 27/76, United Brands/Commissione, Racc. pag. 207, punto 265; conclusioni del giudice Vesterdorf facente funzioni di avvocato generale nella sentenza del Tribunale 24 ottobre 1991, causa T‑1/89, Rhône-Poulenc/Commissione, Racc. pag. II‑867, in particolare pagg. II‑869 e II‑954). Spetterebbe, quindi, alla Commissione provare al di là di ogni ragionevole dubbio le circostanze da essa addotte (conclusioni dell’avvocato generale Darmon per la sentenza della Corte 31 marzo 1993, cause riunite C‑89/85, C‑104/85, C‑114/85, C‑116/85, C‑117/85 e C‑125/85-129/85, Ahlström Osakeytiö e a./Commissione, cd. «Pâte de Bois II», Racc. pagg. I‑1307 e I‑1445, paragrafo 195). Al contrario, ad una ricorrente basterebbe provare che la decisione con cui viene constatata l’infrazione è di dubbia fondatezza per ottenerne l’annullamento (conclusioni dell’avvocato generale Sir Gordon Slynn per la sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, cit., Racc. pag. 1931).

57
D’altronde, perché l’infrazione sia dimostrata, occorrerebbe, secondo le ricorrenti giapponesi, che la Commissione apportasse prove precise e concordanti che corroborino la ferma convinzione che quella sia stata commessa (sentenze della Corte 28 marzo 1984, cause riunite 29/83 e 30/83, CRAM & Rheinzink/Commissione, Racc. pag. 1679, punto 20, e «Pâte de Bois II», cit. supra al punto 56, punto 127; sentenze del Tribunale 10 marzo 1992, cause riunite T‑68/89, T‑77/89 e T‑78/89, SIV e a./Commissione, Racc. pag. II‑1403, specialmente i punti 193‑195, 198‑202, 205‑210, 220‑232, 249, 250 e 322‑328, e 6 luglio 2000, causa T‑62/98, Volkswagen/Commissione, Racc. pag. II‑2707, punti 43 e 72). I detti elementi dovrebbero, precisamente, permettere di stabilire se le infrazioni allegate costituiscano restrizioni della concorrenza rilevanti ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE. In particolare, tale condizione non sarebbe soddisfatta qualora sia possibile fornire in proposito una spiegazione plausibile che escluda una violazione delle regole della concorrenza comunitarie (sentenza CRAM e Rheinzink/Commissione, cit., punti 16 e segg.; sentenze del Tribunale 21 gennaio 1999, cause riunite T‑185/96, T‑189/96 e T‑190/96, Riviera Auto Service e a./Commissione, Racc. pag. II‑93, punto 47, e Volkswagen/Commissione, cit.).

58
Inoltre, le prove addotte dovrebbero soddisfare i summenzionati requisiti di precisione e di concordanza con riferimento a tutti gli elementi dell’infrazione constatata, segnatamente all’identità delle parti e alla loro partecipazione all’infrazione (sentenze «Pâte de Bois II», cit. supra al punto 56, punto 69, e Commissione/Anic Partecipazioni, cit. supra al punto 56, punto 87; sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑295/94, Buchmann/Commissione, Racc. pag. II‑813, punto 121), ai prodotti o servizi interessati (sentenze Suiker Unie e a./Commissione, cit. supra al punto 56, punti 301‑304, e SIV e a./Commissione, cit. supra al punto 57, punti 175‑194 e 324), alle restrizioni convenute tra le parti (sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑337/94, Enso‑Gutzeit/Commissione, Racc. pag. II‑1571, punti 102‑150) e alla durata dell’infrazione (sentenze del Tribunale 7 luglio 1994, causa T‑43/92, Dunlop Slazenger/Commissione, Racc. pag. II‑441, punto 79, e Volkswagen/Commissione, cit. supra al punto 57, punto 188). Più specificamente, per quanto riguarda la durata dell’infrazione, sarebbe necessario apportare prove dirette ovvero sufficientemente vicine nel tempo, cioè prove contestuali.

59
La JFE‑NKK fa valere, in particolare, che, come affermato nella sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑348/94, Enso Española/Commissione (Racc. pag. II‑1875, punti 160‑171), la Commissione deve basarsi su prove concrete e non limitarsi a mere affermazioni relative al contenuto e allo scopo delle riunioni alle quali le parti dell’accordo allegato avrebbero partecipato.

60
La Commissione sostiene, in limine, che il fatto che le ricorrenti giapponesi producano argomenti tali da porre i fatti da essa provati in una luce differente, non è sufficiente a far ottenere a queste ultime l’annullamento della decisione impugnata. L’argomento della JFE-NKK a tale riguardo, basato in particolare sulle sentenze CRAM e Rheinzink/Commissione, cit. supra al punto 57, e «Pâte de bois II», cit. supra al punto 56 (punti 126 e 127), varrebbe solo nel caso in cui una decisione della Commissione si fondi unicamente sulla supposizione che i fatti dimostrati possano essere spiegati solo in funzione di un’intesa fra imprese. Ebbene, ciò non si verificherebbe nella fattispecie.

61
La Commissione considera infondato l’argomento secondo cui spetta ad essa dimostrare l’infrazione accertata al di là di ogni ragionevole dubbio. Occorrerebbe segnatamente notare che, nella sentenza «Pâte de bois II», cit. supra al punto 56, la Corte non ha accolto tale interpretazione della nozione di prove sufficientemente precise e concordanti, proposta dall’avvocato generale Darmon nelle conclusioni lì presentate, cit. sopra al punto 56. Parimenti, nella sentenza 20 aprile 1999, cause riunite da T‑305/94 a T‑307/94, da T‑313/94 a T‑316/94, T‑318/94, T‑325/94, T‑328/94, T‑329/94 e T‑335/94, Limburgse Vinyl Maatschaapij e a./Commissione, cd. «PVC II» (Racc. pag. II‑931), il Tribunale avrebbe preferito determinare globalmente se le prove prodotte nella fattispecie fossero state sufficienti a dimostrare l’infrazione in questione. Con riferimento, in particolare, alla durata dell’infrazione, la precisione e la concordanza delle prove non sarebbero richieste per provare l’infrazione medesima, ma servirebbero unicamente a determinare la misura in cui l’importo dell’ammenda dev’essere adeguato a questa durata. Ad ogni conto, la data precisa d’inizio dell’infrazione, per quanto anteriore al 1990, sarebbe irrilevante nel caso di specie, giacché la Commissione ha tenuto conto dell’infrazione ai fini del calcolo dell’importo dell’ammenda soltanto a partire da tale data.

Sulla prima parte, vertente sulla pretesa incompatibilità dell’accordo allegato con la situazione esistente sul mercato offshore britannico e sugli altri mercati europei

62
Le ricorrenti giapponesi ritengono sostanzialmente che l’esistenza di ostacoli al commercio costituisca una spiegazione alternativa credibile per l’assenza di vendite giapponesi sui mercati europei di prodotti di cui all’art. 1 della decisione impugnata. Orbene, poiché la tesi della Commissione è basata sul presupposto che tale assenza può essere spiegata solo da una concertazione tra le parti dell’accordo contestato, occorrerebbe annullare l’art. 1 della decisione impugnata, conformemente all’impostazione adottata nelle sentenze CRAM e Rheinzink/Commissione, cit. supra al punto 57 (punto 16), Pâte de bois II, cit. supra al punto 56 (punti 126 e 127) e PVC II, cit. supra al punto 61 (punto 725).

63
Secondo le ricorrenti sussiste una contraddizione sostanziale tra l’allegazione secondo cui i produttori giapponesi partecipavano a un accordo in base al quale si impegnavano a non rifornire i mercati europei e il loro effettivo comportamento su tali mercati. Infatti, contrariamente a quanto afferma la Commissione, un esame dei flussi di scambio fra il Giappone e l’Europa rivelerebbe che i produttori giapponesi facevano vigorosa concorrenza ai produttori europei sui mercati offshore, soprattutto su quelli del Regno Unito e della Norvegia che, insieme, per ragioni oggettive di ordine commerciale, costituirebbero l’unico mercato importante dal punto di vista dei produttori giapponesi. La domanda sul mercato offshore britannico riguarderebbe, peraltro, essenzialmente gli OCTG premium e non i tubi OCTG standard oggetto della decisione impugnata. La Commissione avrebbe commesso quanto meno un errore di valutazione e di qualificazione dei fatti affermando all’art. 1 della decisione impugnata l’esistenza di un’infrazione sia per i mercati europei offshore che per quelli onshore.

64
La Nippon si domanda, al riguardo, se, tenuto conto delle circostanze descritte al punto precedente, si possa immaginare che i produttori giapponesi abbiano aderito a un accordo con i produttori europei che vietava loro di commercializzare i propri prodotti sui mercati europei. La JFE-Kawasaki e la Sumitomo osservano che, secondo la tabella menzionata al punto 68 della decisione impugnata, la quota di mercato di ciascun produttore nazionale di OCTG e di linepipe sul proprio mercato interno in nessun caso raggiungeva il 100%. Sul mercato del Regno Unito, in particolare, le importazioni dei detti prodotti si sarebbero situate tra il 16 e il 22%. All’argomento della Commissione secondo il quale tale circostanza si spiega con lo status peculiare del mercato del Regno Unito, semiprotetto (beneficiario di una protezione limitata) a norma dei «fundamentals», la JFE-NKK replica che il mercato francese, che non aveva il medesimo status, ha beneficiato di una protezione meno efficace nel 1991 e di una equivalente nel 1994, come risulta dalla tabella summenzionata. La circostanza che i produttori giapponesi non abbiano venduto nessuno dei prodotti oggetto della decisione impugnata su taluni mercati europei durante alcuni anni del periodo di infrazione considerato dalla Commissione, può in particolare spiegarsi, per la JFE-NKK, alla luce delle fluttuazioni delle vendite di tali prodotti, il cui consumo dipende infatti fortemente dall’andamento dei settori del petrolio e del gas.

65
La Sumitomo riconosce espressamente che gli argomenti da essa avanzati circa gli effetti dell’accordo in questione rilevano nel presente motivo solo qualora il Tribunale consideri che la Commissione non abbia sufficientemente dimostrato in diritto l’infrazione sulla base delle prove scritte invocate nella decisione impugnata. Essa osserva a tale riguardo che la Commissione ha fatto riferimento principalmente all’oggetto dell’accordo e, solo in subordine, ai relativi effetti.

66
Quanto all’argomento della Commissione, basato sul punto 1088 della sentenza del Tribunale 15 marzo 2000, cause riunite T‑25/95, T‑26/95, da T‑30/95 a T‑32/95, da T‑34/95 a T‑39/95, da T‑42/95 a T‑46/95, T‑48/95, da T‑50/95 a T‑65/95, da T‑68/95 a T‑71/95, T‑87/95, T‑88/95, T‑103/95 e T‑104/95, Cimenteries CBR e a./Commissione, cd. «Cemento» (Racc. pag. II‑491), secondo il quale un’infrazione è particolarmente grave se consiste in un accordo diretto ad eliminare la concorrenza su di un mercato dove quest’ultima è già molto ridotta, la JFE-Kawasaki rileva che le circostanze di specie sono ben differenti dai fatti all’origine di tale sentenza. Nel presente caso la concorrenza in Europa sarebbe stata forte, almeno sul piano strutturale, essendoci quattro grandi produttori comunitari, il che implicava la marginalità della potenziale concorrenza giapponese. Al contrario, nella causa definita con la citata sentenza Cemento, sarebbe esistita una serie di monopoli geografici chiusi.

67
La JFE-Kawasaki fa valere che, ai termini dei punti 61‑77 della stessa decisione impugnata, i «fundamentals» non riguardavano il mercato offshore del Regno Unito e neppure gli altri mercati offshore comunitari. In particolare, dal punto 62 della decisione impugnata risulterebbe che i «fundamentals» disciplinavano la situazione esistente sui mercati nazionali, mentre il mercato offshore del Regno Unito godeva, da parte sua, di uno status peculiare di «semiprotezione» ovvero di «protezione limitata». L’affermazione al punto 102 della decisione impugnata, secondo la quale le parti dell’accordo non potevano rifornire dei tubi in questione i mercati nazionali, sarebbe incompatibile con tale status ibrido attribuito al mercato offshore del Regno Unito dal punto 62.

68
Le forniture di tubi di acciaio al carbonio senza saldatura provenienti dal Giappone destinati al mercato offshore del Regno Unito si distinguerebbero per durata e per importanza. A tale riguardo la Nippon si basa in particolare sulla tabella contenuta al punto 68 della decisione impugnata, dalla quale emergerebbe che le ricorrenti giapponesi hanno immesso quantità cospicue di tubi di acciaio senza saldatura sul mercato del Regno Unito. La circostanza che tali cifre si riferiscano a tutti i tubi di acciaio, e non solamente a quelli oggetto della decisione impugnata, non pregiudicherebbe la loro rilevanza e risulterebbe dal fatto che tali produttori hanno fornito alla piattaforma continentale del Regno Unito diversi tipi di tubi, e cioè gli OCTG standard, i linepipe e gli OCTG premium. La Nippon fa riferimento altresì ai livelli d’esportazione indicati dalle autorità doganali giapponesi per gli anni 1988‑1996 e alle statistiche fornite dall’associazione giapponese degli esportatori siderurgici per gli anni 1977-1987, che confermano l’esistenza di tale concorrenza. La Sumitomo sostiene pure che le proprie vendite di tubi sui mercati della Comunità europea, specie su quello della piattaforma continentale del Regno Unito, sono state importanti, e corrobora con prove l’affermazione. Essa contesta, in particolare, la cifra di 230 000 tonnellate utilizzata dalla Commissione in riferimento alle vendite annuali medie di linepipe da parte dei membri del club Europa-Giappone sui mercati comunitari di cui trattasi. Le vendite realizzate dall’insieme dei membri di tale club ammonterebbero a 71 000 tonnellate di linepipe per anno. La JFE-NKK rinvia, da parte sua, ai dati particolareggiati da essa forniti alla Commissione in risposta ad una richiesta di informazioni di quest’ultima dai quali emergerebbe che essa non si è affatto astenuta dal vendere i propri tubi sui mercati europei nell’arco di tempo considerato per l’infrazione. La JFE-Kawasaki fa valere che, sebbene le sue vendite su tutti i mercati europei siano rimaste minime, essa si era nondimeno seriamente sforzata di realizzarne, soprattutto sul mercato offshore del Regno Unito.

69
Per di più, la vigorosa concorrenza da parte dei produttori giapponesi, specie sul mercato del Regno Unito, sarebbe espressamente dimostrata dagli elementi di prova documentali raccolti dalla Commissione nel corso delle proprie indagini presso i produttori europei. Nel documento di cui a pag. 4902 del fascicolo della Commissione, intitolato «Paper for Presidents» (in prosieguo: la «Nota per i presidenti»), si legge, in particolare, che le «[giapponesi] erano al momento concorrenti agguerrite quanto ai [tubi] OCTG»; inoltre le cinque note della Vallourec [quella del 23 marzo 1990, citata a pag. 15622 del detto fascicolo, intitolata «Réflexions concernant le renouvellement du contrat VAM» (Riflessioni sul rinnovo del contratto VAM; in prosieguo: «Riflessioni sul contratto VAM»); quella del 2 maggio 1990, citata a pag. 15610 del fascicolo, intitolata «Réflexions stratégiques concernant les relations de VLR» (Riflessioni strategiche sulle relazioni della VLR; in prosieguo: le «Riflessioni strategiche»); quella del 1° giugno 1990, citata a pag. 15591 del fascicolo, intitolata «Renouvellement du contrat VAM BSC» (in prosieguo: «Rinnovo contratto VAM BSC»); la nota Riunione 24.07.90 e, infine, la nota di cui a pag. 15596 del fascicolo, senza data, intitolata «Entretien BSC» (in prosieguo: «Colloquio BSC»)] confermerebbero tutte che la Vallourec considerava le vendite dei produttori giapponesi sul mercato offshore del Regno Unito molto preoccupanti. Del pari, un telefax della Mannesmann del 16 agosto 1993, citato a pag. 2493 del fascicolo della Commissione, riferirebbe di una concorrenza giapponese sui prezzi che rendeva non interessante per la Mannesmann partecipare ad alcuni bandi di gara.

70
Risulterebbe, inoltre, da un lato, dalla lettera del 6 giugno 1994, indirizzata alla Commissione dal Comitato di collegamento dell’industria dei tubi di acciaio della Comunità europea, citata a pag. 5243 del fascicolo della Commissione (in prosieguo: la «lettera del Comitato di collegamento 6 giugno 1994»), e, dall’altro, dal verbale della riunione del 24 agosto 1994 del detto Comitato, citato a pag. 5103 del fascicolo della Commissione, che i produttori europei reputavano le imprese giapponesi concorrenti agguerrite e che l’importanza delle vendite realizzate da queste ultime costituiva una minaccia per la loro posizione sul mercato offshore degli Stati membri della Comunità. Il verbale della riunione del Comitato di collegamento del 24 agosto 1994 dimostrerebbe anche che le quote di mercato dei produttori giapponesi hanno raggiunto il 25% del mercato offshore della Comunità e delle Isole Færøer relativamente ai prodotti OCTG di ogni tipo di acciaio, e il 34% del mercato offshore della Comunità e della Norvegia relativamente ai prodotti OCTG di acciaio al carbonio. La Sumitomo invoca ancora, a sostegno della propria affermazione circa la rilevanza delle importazioni dal Giappone, un telefax dell’Associazione europea dei tubi di acciaio (già Comitato di collegamento dell’industria dei tubi di acciaio della Comunità europea), del 5 ottobre 1994, citato a pag. 4723, nonché la bozza di una lettera senza data indirizzata al sig. Large, agente della Commissione, citata a pag. 4725 del fascicolo di quest’ultima. Tale tesi sarebbe confermata, parimenti, dalle dichiarazioni dei produttori europei, segnatamente dalle risposte della Dalmine, del 29 maggio 1997, ai quesiti posti dalla Commissione ai sensi dell’art. 11 del regolamento n. 17, citate a pag. 15162 del fascicolo della Commissione (in prosieguo: le «Risposte della Dalmine del 29 maggio 1997»), e da quelle della Corus, del 13 agosto 1997, citate a pag. 11916 del fascicolo (in prosieguo: le «Risposte della Corus»). Le Risposte della Corus testimonierebbero segnatamente che i produttori giapponesi puntavano al mercato offshore del Regno Unito. La Nippon sottolinea che nel «g) Japanese document» [in prosieguo: «documento g) Giapponese»], citato a pag. 4909 del fascicolo della Commissione e redatto da una delle imprese europee, si legge che «specialmente la Nippon (…) [diventava] sempre più agguerrita sulla piattaforma continentale del Regno Unito».

71
Secondo i produttori giapponesi la circostanza secondo la quale esse hanno venduto sul mercato offshore del Regno Unito quantità cospicue di tubi di acciaio, segnatamente di OCGT premium e di linepipe «project», senza venderne quantità apprezzabili sui mercati onshore degli Stati comunitari, era perfettamente logica e compatibile con l’inesistenza dell’accordo allegato, contrariamente a quanto sostiene la Commissione. In particolare, i detti prodotti, poiché destinati a mercati offshore, sarebbero di alta qualità e molto costosi. Inoltre, per i produttori stranieri sarebbe in linea di massima più facile concorrere con quelli locali per prodotti differenziati, come gli OCTG premium, che per prodotti standard, come gli OCTG filettati standard.

72
La piattaforma continentale del Mare del Nord, specialmente il mercato offshore del Regno Unito, costituirebbe, poi, la parte principale del mercato europeo per i tubi di acciaio, come testimonia il documento «g) Giapponese». Ne seguirebbe che i mercati comunitari onshore di tali prodotti sarebbero relativamente ristretti. Pertanto essi non risulterebbero molto redditizi. Peraltro, le condizioni di concorrenza sul mercato offshore britannico sarebbero molto diverse da quelle esistenti sui mercati onshore della Comunità. Infatti, le vendite giapponesi su questi ultimi mercati sarebbero state pregiudicate dal cumularsi di una serie di impedimenti commerciali per lo più assenti sul mercato offshore britannico. La Commissione non ne avrebbe tenuto conto, non distinguendo, nella decisione impugnata, tra i mercati offshore e i mercati onshore. Orbene, la Nippon sostiene che i mercati onshore erano praticamente chiusi ai produttori giapponesi a causa di tali ostacoli, quanto meno a considerarli nel loro insieme. La detta circostanza sarebbe confermata, secondo la Sumitomo, con riguardo agli OCTG standard, dalla lettera di una società che acquistava questo tipo di prodotti, la quale ha affermato che produttori giapponesi gliene avevano offerti in vendita, ma che il prezzo proposto non era interessante e che i tempi di consegna erano più lunghi di quelli assegnati ai produttori europei. Per la Sumitomo, il riferimento a fornitori giapponesi sul sito internet di questa stessa società, invocato dalla Commissione, riguarderebbe gli OCTG premium e non gli OCTG standard.

73
Quanto agli ostacoli alle importazioni di tubi giapponesi nella Comunità europea le ricorrenti giapponesi sostengono, in primo luogo, che la politica commerciale tradizionale della Comunità, che avrebbe mirato a proteggere i mercati europei per mezzo, in particolare, di accordi di autolimitazione fra la Commissione e il governo giapponese, costituisce un ostacolo di questo tipo. Lo scopo essenziale di tale politica sarebbe stato di mantenere i flussi di scambio esistenti. Nella specie, le ricorrenti giapponesi osservano che, all’epoca in cui tali accordi di autolimitazione erano in vigore, esse non esportavano tubi senza saldatura verso i mercati onshore della Comunità o, almeno, ne esportavano quantità modestissime, e che pertanto la detta politica le dissuadeva dall’esportare i propri prodotti verso tali mercati.

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In pratica, il primo accordo di autolimitazione sui tubi di acciaio risalirebbe al marzo 1978. L’ultimo, con cui venivano rinnovati gli obblighi di autolimitazione, datato dicembre 1989, sarebbe rimasto in vigore fino alla fine del 1990. La Commissione medesima avrebbe affermato, al punto 134 della decisione impugnata, che tali accordi avevano dissuaso i produttori giapponesi dall’esportare i loro tubi di acciaio in Europa prima del 1990. Ne consegue che la possibilità stessa di un’intesa nel senso delle sentenze del Tribunale 11 marzo 1999, causa T‑141/94, Thyssen Stahl/Commissione (Racc. pag. II‑347, punto 262), e Cemento, cit. supra al punto 66 (punto 917), era esclusa, per quanto riguarda le ricorrenti giapponesi, per il periodo in cui gli accordi di autolimitazione erano in vigore. La JFE-NKK aggiunge che la Commissione medesima avrebbe incoraggiato i produttori giapponesi ad adottare la politica commerciale che essa contesta loro adesso, benché non abbia provato quando gli accordi di autolimitazione sarebbero cessati. Amplius: le ricorrenti giapponesi basano le loro richieste di riduzione delle ammende sulla proroga degli accordi di autolimitazione (v., infra, punti 136 e segg. e 511‑513).

75
In secondo luogo, i produttori giapponesi di tubi di acciaio sarebbero stati dissuasi dall’esportare verso i mercati onshore della Comunità tubi d’acciaio al carbonio senza saldatura in quanto essi erano soggetti a importanti dazi doganali in applicazione della tariffa doganale comune. Tra il 1977 e il 1994 i dazi all’importazione dei tubi d’acciaio senza saldatura sui mercati onshore della Comunità non sarebbero mai stati inferiori al 9%. L’affermazione di cui al punto 138 della decisione impugnata, secondo la quale la Commissione ha tenuto conto di tale fattore, non lascerebbe comprendere perché, a parere della Commissione, la detta circostanza non potesse essere considerata un ostacolo alle vendite giapponesi. La Sumitomo sostiene, al riguardo, che i produttori dell’America Latina erano soggetti a dazi doganali inferiori, nell’ambito di un sistema generalizzato di preferenze. Allo stesso modo, per tutta la durata dell’infrazione contestata dalla Commissione, diversi accordi di libero scambio con i paesi dell’Europa centrale e orientale avrebbero abolito i dazi doganali sui prodotti siderurgici provenienti da tali paesi. Ne conseguirebbe che le importazioni da tutti i detti paesi terzi erano favorite rispetto alle importazioni giapponesi.

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In terzo luogo, i costi di trasporto e, per i tubi destinati alle applicazioni onshore, i costi delle operazioni di carico e scarico al porto d’arrivo della Comunità e di consegna marittima o terrestre alla destinazione finale avrebbero aggravato lo svantaggio concorrenziale dei produttori giapponesi di tubi di acciaio, specialmente sui mercati onshore della Comunità, rispetto ai produttori europei. Inoltre, poiché le quantità di tubi ordinate sui mercati onshore europei erano modeste, le spese di trasporto per ogni tonnellata fornita erano a fortiori più importanti. Del resto, particolarmente elevate in rapporto al prezzo fatturato sarebbero le spese di trasporto dei prodotti OCTG standard oggetto della decisione impugnata, a causa del valore relativamente modesto di questi ultimi. Al riguardo i produttori giapponesi forniscono diverse cifre, che asseriscono provate, cominciando dai prezzi effettivamente incassati per la fornitura di tubi senza saldatura in Europa. Le dichiarazioni della Commissione, ai termini delle quali i carichi possono essere raggruppati al fine di ridurre i costi di trasporto, non infirmerebbero tale tesi, dovendosi riconoscere che il livello delle spese restava ciononostante dissuasivo. L’incidenza dei costi di trasporto per i produttori giapponesi sarebbe stata confermata pure dalla lettera del Comitato di collegamento 6 giugno 1994, benché essa perseguisse lo scopo, in realtà, di attirare l’attenzione della Commissione sull’importanza della minaccia costituita dalla importazioni giapponesi di tubi. In maniera indiretta, tale circostanza sarebbe attestata altresì dalla prassi decisionale della Commissione, in particolare dalla decisione 12 novembre 1992, 93/247/CEE, che dichiara la compatibilità con il mercato comune di una concentrazione (caso IV/M. 222‑Mannesmann/Hoesch) (GU 1993, L 114, pag. 34, punto 102). Parimenti, dalla decisione della Commissione 26 febbraio 1998, che dichiara la compatibilità con il mercato comune di una concentrazione (caso IV/M. 1014‑British Steel/Europipe) (GU C 181, pag. 3), si ricaverebbe che le distanze costituiscono uno svantaggio significativo per i produttori extracomunitari per quanto concerne le vendite di modeste quantità di prodotti a basso grado di specificazione.

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Sul punto la JFE-Kawasaki aggiunge che i produttori giapponesi erano svantaggiati non soltanto rispetto ai produttori europei, ma anche rispetto ai produttori di paesi terzi. Per esempio, il carico proveniente dal Giappone destinato all’Italia o al Regno Unito sarebbe superiore del 40‑50% a quello proveniente dall’Argentina. Quanto all’argomento della Commissione secondo il quale dall’allegato 5 della decisione impugnata risulta che il mercato italiano è stato protetto dalle importazioni giapponesi, ma non dalle importazioni da altri paesi terzi, la Sumitomo osserva che il detto allegato concerne l’insieme degli OCTG e dei linepipe, sicché non ha valore ai fini della valutazione della situazione specifica dei prodotti di cui all’art. 1 della decisione impugnata.

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La JFE-Kawasaki e la JFE-NKK respingono la valutazione proposta dalla Commissione al punto 137 della decisione, secondo cui tutte le vendite ad un prezzo superiore al costo variabile erano giustificate dal punto di vista dell’offerta dato che il mercato dei tubi di acciaio versava in uno stato di eccesso di capacità strutturale e che vendite siffatte permettevano loro, pertanto, di coprire i costi fissi. Da una parte, i costi di trasporto sarebbero particolarmente elevati per i tubi di acciaio rispetto agli altri prodotti siderurgici a causa delle voluminose dimensioni dei tubi medesimi. Dall’altra, la valutazione della Commissione non terrebbe conto del fatto che i produttori giapponesi hanno una capacità di produzione di acciaio limitata e che per questo hanno interesse a massimizzare i profitti vendendo per quanto possibile i prodotti siderurgici su cui realizzano il maggior margine di guadagno. La circostanza che sia possibile coprire i costi variabili sulle vendite di un particolare prodotto non basterebbe dunque a far concludere che è interesse commerciale dei produttori giapponesi realizzare tali vendite.

79
Per quanto concerne la valutazione della Commissione secondo la quale le capacità di fabbricazione dei prodotti di acciaio sono specializzate, di modo che non è possibile applicarle al prodotto su cui il margine di profitto è più elevato, la Kawasaki replica che la prima fase del processo di produzione è comune a tutti i prodotti di acciaio. Orbene, rispetto a tale fase le sue capacità di produzione sono limitate. La Sumitomo sostiene, inoltre, che l’eccesso di capacità di produzione riguardava tanto i produttori europei quanto quelli giapponesi. Di conseguenza, si trattava di una circostanza neutra e lo svantaggio derivante dagli altri fattori citati sarebbe rimasto, quand’anche i produttori giapponesi avessero avuto interesse a realizzare vendite a prezzi del tutto inferiori ai loro costi variabili.

80
In quarto luogo, i produttori giapponesi sarebbero svantaggiati rispetto ai loro concorrenti europei sul piano dei tempi di consegna. Occorrerebbero infatti dalle quattro alle sei settimane per consegnare in Europa i tubi di acciaio fabbricati in Giappone. Se la Commissione osserva, al punto 137 della decisione impugnata, che le imprese in questione non ritengono i termini di consegna un ostacolo alle importazioni giapponesi di OCTG premium, utilizzati specialmente sulla piattaforma continentale del Regno Unito per progetti precisi, la medesima constatazione non varrebbe per gli OCTG standard. Infatti non sarebbe conveniente per un utilizzatore di OCTG premium cambiare i giunti premium dopo aver optato per l’uno o l’altro giunto di tale tipo proposto dai diversi produttori, con la conseguenza che su tale mercato l’impatto dei tempi di consegna sarebbe minore. Al contrario, sul mercato degli OCTG standard il fatto di poter consegnare i tubi in un tempo più breve costituirebbe un vantaggio significativo. Per quanto riguarda i linepipe «project», il trattamento particolare che essi richiedono costringerebbe il fornitore a operare in tempi molto brevi, sicché per quanto riguarda gli stessi i termini di consegna svolgerebbero un ruolo ancora più importante. Infine, poiché gli OCTG e i linepipe «project» sono venduti direttamente agli utilizzatori, sarebbe impossibile aggirare l’ostacolo procedendo a vendite indirette tramite grossisti.

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In quinto luogo, il mercato domestico di ciascuno dei quattro Stati membri della Comunità in cui potevano essere realizzate le maggiori vendite onshore – cioè la Germania, la Francia, l’Italia e il Regno Unito – sarebbe stato dominato da un produttore nazionale. Tale situazione non sarebbe necessariamente la conseguenza di un accordo di ripartizione dei mercati, dato che alcuni fattori oggettivi, in particolare economici, favorivano i produttori nazionali. La posizione di questi ultimi sarebbe stata in particolare rafforzata dalla politica d’acquisto dei loro principali clienti sul detto mercato, vale a dire le imprese nazionali di trasporto e di distribuzione del gas, di solito imprese pubbliche. La Commissione avrebbe ammesso l’esistenza di una tale situazione nella propria decisione 93/247.

82
A titolo esemplificativo, la Corus (già British Steel) avrebbe avuto rapporti privilegiati all’epoca dei fatti con le società British Gas e BP (già British Petroleum), come testimonierebbe, quanto a quest’ultima, il documento intitolato «Minutes of technical Liason meeting by BP engineering/British Steel» (Verbale della riunione di collegamento tecnico della BP engineering/British Steel), citato a pag. 681 del fascicolo della Commissione. Parimenti, le deposizioni rese dai membri del personale della Dalmine, citate a pag. 8220 ter 4 del fascicolo della Commissione (in prosieguo: le «deposizioni degli impiegati della Dalmine»), attesterebbero, da un lato, che questi ultimi foraggiavano i dipendenti dell’Agip, la maggiore impresa petrolifera e di gas d’Italia, affinché avessero cura che le ordinazioni di tubi di acciaio senza saldatura fatte a tale impresa non fossero appaltate ad altri produttori, e, dall’altro, che l’Agip cercava, in genere, di favorire i fabbricanti italiani. Allo stesso modo, il documento intitolato «Meeting Distrigaz» (Incontro Distrigaz), citato a pag. 2298 del fascicolo della Commissione, confermerebbe che la società Distrigaz non intendeva rifornirsi presso produttori extracomunitari. Più in generale, la direttiva del Consiglio 17 settembre 1990, 90/531/CEE, relativa alle procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni (GU L 297, pag. 1), confermerebbe, ai suoi undicesimo e dodicesimo ‘considerando’, che gli appalti pubblici nei settori dell’estrazione, del trasporto e della distribuzione del gas e del petrolio erano stati chiusi prima della sua entrata in vigore. Peraltro il suo art. 29, che regola la futura situazione dei produttori di paesi terzi, non accorderebbe a questi ultimi un uguale accesso agli appalti pubblici europei, contrariamente a quanto sembra indicare la decisione impugnata. Secondo la JFE-NKK, i produttori giapponesi non hanno beneficiato appieno del regime istituito dalla direttiva 90/531, perché l’accordo internazionale relativo agli appalti pubblici (allegato alla decisione del Consiglio 10 dicembre 1979, 80/271/CEE, relativa alla conclusione degli accordi multilaterali derivanti dai negoziati commerciali degli anni 1973‑1979, GU L 71, 1980, pag. 1) non si applica ai settori dell’esplorazione, dell’estrazione ovvero del trasporto del petrolio e/o del gas.

83
In sesto luogo, le imprese europee avrebbero depositato accuse antidumping presso la Commissione al fine di escludere i produttori extracomunitari dai mercati comunitari. Infatti dal 1977 al 1998 sarebbero stati avviati sette procedimenti contro produttori extracomunitari di tubi di acciaio senza saldatura, dei quali uno soltanto si sarebbe concluso senza che siano stati assunti obblighi o imposti diritti. Se è vero che nessuno dei procedimenti antidumping in questione concerneva le importazioni dal Giappone, ciò non sorprenderebbe per quanto riguarda il mercato offshore del Regno Unito, poiché le piattaforme continentali degli Stati membri non rientravano nell’ambito di applicazione territoriale della normativa antidumping comunitaria in vigore all’epoca dei fatti. Per contro, la possibilità di avviare un tale procedimento avrebbe esercitato un notevole effetto dissuasivo sugli esportatori giapponesi quanto ai mercati onshore, contrariamente a quanto sostiene la Commissione al punto 137 della decisione impugnata. Infatti, la semplice apertura di un procedimento antidumping avrebbe implicato un carico di lavoro oneroso per i produttori giapponesi a causa delle misure di accertamento che la Commissione avrebbe adottato. La fondatezza di tale argomento sarebbe confermata dal fatto che dalla Nota per i presidenti risulta che le imprese europee intendevano minacciare quelle giapponesi di presentare denuncie antidumping. I produttori europei avrebbero pure esercitato pressioni sulla Commissione allo scopo di far estendere il territorio doganale comunitario ai mercati offshore degli Stati membri, come attesta in particolare la lettera del Comitato di collegamento 6 giugno 1994.

84
In settimo luogo, il costo dell’osservanza permanente delle diverse norme nazionali degli Stati comunitari e delle condizioni di concessione delle licenze, che erano le più svariate, avrebbe costituito un ulteriore significativo ostacolo agli scambi. In sostanza, la norma standard «API» sarebbe solo una norma di base, per questo occorrerebbe osservare anche le norme nazionali, o addirittura norme supplementari imposte da certi clienti particolari. In Germania, per esempio, secondo la Nippon, sarebbe necessario un certificato per garantire la qualità sia della tecnica di produzione che del controllo del prodotto e per le qualifiche degli operai. Per ottenere il rilascio di tali certificati si dovrebbero presentare voluminosi fascicoli in lingua tedesca e versare un canone fino a DEM 45 000 ogni due o tre anni. Nella decisione 93/247, la Commissione avrebbe riconosciuto che tali norme nazionali costituivano un importante ostacolo agli scambi intracomunitari di tubi di acciaio, constatazione che varrebbe specialmente per le importazioni dal Giappone. Tale valutazione oggettiva, di cui alla citata decisione 93/247, non può essere disattesa nella fattispecie per il motivo invocato dalla Commissione ossia che essa non era a conoscenza dell’infrazione allorché ha adottato tale decisione. Quanto alle condizioni poste da alcune società petrolifere, la JFE-Kawasaki rileva che la francese Total e l’italiana Agip richiedono un’ispezione «off-line» di tutti i tubi di acciaio loro forniti. Per effettuare tale controllo obbligatorio si spenderebbero più di USD 100 per migliaio di tonnellate.

85
In ottavo luogo, la JFE-NKK, la Nippon e la JFE-Kawasaki fanno valere, nella loro memoria di replica, che la Corus ha beneficiato della politica governativa del Regno Unito tesa a promuovere le vendite dei fornitori britannici sulla piattaforma continentale di tale Stato. Il governo britannico avrebbe attuato tale politica costituendo l’Offshore Supplies Office (Ufficio per l’approvvigionamento del mercato offshore; in prosieguo: l’«OSO»). Esercitando una pressione sugli operatori economici attivi sulla piattaforma continentale del Regno Unito, l’OSO sarebbe riuscito ad aumentare le quote di mercato dei fornitori britannici dal 25 al 30% nel 1972 (secondo un rapporto pubblicato nel 1997 dal Ministero del Commercio e dell’Industria britannico, denominato «DTI», riportato nell’allegato 4 alla replica nella causa T‑67/00; in prosieguo: il «rapporto DTI»), al 75% nel 1984 e all’87% nel 1987 (secondo il Bollettino delle Comunità europeeSupplemento n. 6‑1988, punto 115). Alla luce di tali circostanze, sarebbe stato inutile per la Corus concludere un accordo con i produttori giapponesi che le garantisse una relativa protezione sul mercato offshore, dato che essa beneficiava già di una forte tutela dovuta agli interventi dell’OSO. Infatti la nozione stessa di «fundamentals», in particolare di «fundamentals improved», riguarderebbe la posizione privilegiata della Corus sul mercato offshore del Regno Unito dovuta a tale politica di preferenza nazionale, posizione che avrebbe avvantaggiato pure gli altri produttori europei, visto che questi ultimi hanno fornito tubi lisci alla Corus in seguito alla chiusura della sua fabbrica di Clydesdale. In ogni caso, la decisione impugnata sarebbe, sotto tale profilo, viziata da un errore manifesto, in quanto la Commissione non avrebbe tenuto conto del ruolo svolto dall’OSO sul mercato offshore del Regno Unito. Il detto sistema di preferenza britannico sarebbe stato in vigore fino al luglio 1993, quando sarebbe stato sostituito dal sistema di preferenza comunitario previsto dalla direttiva 90/531. La JFE-NKK sostiene di essere venuta a conoscenza di tali circostanze, e di avere ottenuto i comprovanti documenti allegati alla sua replica, soltanto dopo aver depositato il proprio ricorso nella causa T‑67/00.

86
Le dette tre ricorrenti considerano anche che taluni elementi probatori invocati dalla Commissione alludono alla politica attuata dall’OSO, confermando così le loro allegazioni sul punto. Esse precisano, innanzi tutto, che nella nota Rinnovo contratto VAM BSC è affermato che «non occorre aprire le porte alle Giapponesi accordando loro un elemento britannico» e che l’autore della nota Riunione 24.07.90 dichiara che «Non si può escludere che nel [19]93 l’OSO accorderà ai produttori europei i 3% preferenziali che accorda per il momento ai produttori britannici». I riferimenti nella nota Riunione 24.07.90 al rafforzamento della Comunità europea e all’eventuale estensione della preferenza dei 3% ai produttori europei si riporterebbero all’entrata in vigore della direttiva 90/531, che prevede una preferenza comunitaria in quanto i prezzi dei produttori comunitari non superano quelli dei produttori di paesi terzi di più del 3%.

87
La circostanza secondo la quale praticamente nessun produttore europeo ha esportato tubi di acciaio senza saldatura in Giappone, come documentato dalla tabella al punto 68 della decisione impugnata, si spiegherebbe anch’essa con ragioni di politica commerciale. Ne seguirebbe che ogni accordo di ripartizione relativo al detto mercato sarebbe stato privo di giustificazione commerciale.

88
D’altra parte risulterebbe in particolare dalla lettera del Comitato di collegamento 6 giugno 1994 che gli appalti pubblici giapponesi nel settore dei tubi di acciaio erano completamente chiusi ai produttori europei, che il mercato dei tubi giapponesi era dominato da grandi consorzi strettamente legati ai produttori di tubi, che i costi di trasporto e le spese di vendita in Giappone erano assai elevati per i produttori europei e che le attività di sondaggio e di produzione del petrolio e del gas, nonché, di conseguenza, il settore dei tubi OCTG, erano, in ogni caso, molto limitati. Inoltre, secondo il telefax del 16 novembre 1994, inviato dall’Associazione europea dei tubi di acciaio alla Commissione, i produttori stranieri di tubi di acciaio che desideravano vendere le proprie merci in Giappone erano tenuti a compilare un formulario molto particolareggiato per conformarsi alla normativa giapponese.

89
La Commissione considera, innanzi tutto, che la decisione impugnata si basa essenzialmente sull’oggetto restrittivo della concorrenza dell’accordo. Non le sarebbe perciò occorso provare anche effetti concreti sui mercati comunitari per dimostrare l’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata. Infatti, quand’anche gli ostacoli agli scambi enumerati dalle ricorrenti giapponesi possano spiegare perché queste ultime non vendessero i prodotti elencati nella decisione impugnata sui detti mercati comunitari, la Commissione avrebbe nondimeno provato un accordo avente ad oggetto la restrizione della concorrenza. Comunque, ove rispondenti al vero, le circostanze invocate dalle ricorrenti avrebbero l’effetto di rafforzare la gravità dell’accordo e non di diminuirla, come sembrano affermare queste ultime. La Commissione invoca, a tal proposito, la sentenza Cemento, cit. sopra punto 66, in cui sarebbe stato deciso che un’analisi economica diretta a dimostrare l’esistenza di ostacoli oggettivi al commercio non può cancellare un dato di fatto incontrovertibile consistente in prove documentali. Il Tribunale avrebbe precisato, inoltre, che, se l’analisi economica proposta dalle ricorrenti fosse esatta, tale conclusione avrebbe, in definitiva, l’effetto di rimarcare la gravità dell’infrazione commessa dato che, stipulando l’accordo in questione, le imprese avrebbero cercato di eliminare quel po’ di effettiva concorrenza esistente sul mercato di cui trattasi (punti 1087 e 1088 della sentenza).

90
Quanto all’argomento della JFE-Kawasaki secondo il quale i termini della decisione impugnata escludono il mercato offshore del Regno Unito dall’accordo di ripartizione dei mercati, la Commissione ribatte che il punto 62 della decisione impugnata indica con la massima chiarezza che il detto mercato era interessato dall’accordo in quanto esso era «semiprotetto».

91
In secondo luogo, la Commissione ritiene di aver, in ogni caso, adeguatamente provato in diritto che l’accordo descritto all’art. 1 della decisione impugnata ha avuto effetti concreti sui mercati della Comunità. In particolare, la tabella al punto 68 di tale decisione confermerebbe che l’accordo era, in larghissima misura, effettivamente applicato sui mercati europei. L’esistenza di una certa concorrenza da parte dei produttori giapponesi sul mercato offshore del Regno Unito non esclude il capo d’infrazione provato nella decisione impugnata, essendo tale mercato solo semiprotetto.

92
Quanto all’argomento secondo il quale risulta da determinati documenti utilizzati dalla Commissione, in particolare dalla Nota per presidenti e dalla nota Colloquio BSC, che i produttori europei temevano la concorrenza giapponese sul mercato offshore del Regno Unito, la Commissione ritiene che tale timore derivasse dal fatto che lo status semiprotetto del detto mercato fosse causa di particolare tensione nell’ambito dell’accordo. Tale argomento non metterebbe in questione quindi l’esistenza dell’accordo.

93
La Commissione considera pure che l’argomento vertente sull’esistenza di un sistema di preferenza britannico per i prodotti utilizzati nell’industria petrolifera sui mercati della piattaforma continentale del Regno Unito, avanzato per la prima volta dalla JFE-NKK, dalla Nippon e dalla JFE-Kawasaki nelle loro memorie di replica, costituisce un motivo nuovo, come tale irricevibile ai sensi dell’art. 48, n. 2, del regolamento di procedura. In subordine, tale argomento si baserebbe su elementi probatori allegati alla memoria di replica inammissibili ai sensi dell’art. 48, n. 1, del regolamento di procedura, in quanto la Nippon e la JFE‑Kawasaki non hanno tentato di giustificare il ritardo con cui li hanno presentati. Quanto alla JFE-NKK, che si limiterebbe ad affermare di non aver avuto conoscenza di tali elementi probatori allorché ha depositato il proprio ricorso, la Commissione considera tale argomento inverosimile.

94
Quanto alla JFE-NKK, la Commissione sostiene, inoltre, che tale nuovo motivo è irricevibile ai sensi dell’art. 44, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura.

95
In ogni caso, l’argomento nuovo summenzionato sarebbe infondato.

96
Peraltro la Commissione ritiene che gli ostacoli al commercio fatti valere dalle ricorrenti giapponesi non hanno mai rappresentato un ostacolo assoluto all’importazione di tubi giapponesi nella Comunità. Al riguardo, la Commissione rileva che nessuno dei pretesi ostacoli agli scambi lamentati dalle ricorrenti giapponesi ha impedito ad altri produttori di paesi terzi, specie a quelli dell’America latina, di esportare i prodotti oggetto delle decisione impugnata verso i mercati onshore comunitari.

97
Infine, l’asserita mancata fornitura di tubi di acciaio senza saldatura da parte dei produttori comunitari in Giappone non costituirebbe un elemento essenziale della decisione impugnata, giacché questa non concerne direttamente le restrizioni agli scambi verso il Giappone. La Commissione precisa che la lettera del Comitato di collegamento 6 giugno 1994 e il telefax dell’Associazione europea dei tubi d’acciaio 16 novembre 1994, prodotti dalle ricorrenti giapponesi per dimostrare che il mercato giapponese era chiuso, si riferiscono ad un’epoca in cui essa ignorava la stipula dell’accordo illecito. La Commissione ne deduce che le spiegazioni offerte in tali comunicazioni dai produttori europei servivano fondamentalmente a dissimulare l’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata. Ad ogni buon conto, le ragioni per le quali le parti hanno concluso l’accordo sarebbero irrilevanti per provarne l’esistenza.

Sulla seconda parte del primo motivo, vertente sulla mancanza di forza probatoria degli elementi di prova

98
Secondo le ricorrenti giapponesi, i documenti prodotti dalla Commissione non provano un concorso di volontà idoneo a costituire l’accordo illecito sanzionato all’art. 1 della decisione impugnata e, in ogni caso, non provano la partecipazione dei produttori giapponesi all’infrazione medesima. Al riguardo le ricorrenti giapponesi rilevano che in pratica nessuno dei detti documenti le nomina, sicché questi ultimi non possono essere invocati dalla Commissione a loro carico. L’art. 1 della decisione impugnata dovrebbe dunque essere annullato in quanto si basa su un’analisi non adeguatamente provata in diritto, in violazione pertanto dell’art. 81, n. 1, CE. La JFE-NKK e la Nippon sostengono, a tale proposito, un errore manifesto di valutazione.

99
Le ricorrenti giapponesi ritengono che le loro concorrenti europee si siano limitate, nei documenti invocati dalla Commissione, a far riferimento alla situazione risultante dal fatto che gli ostacoli agli scambi impedivano ai produttori giapponesi di esportare i propri prodotti verso il mercato europeo. Le ricorrenti giapponesi osservano, peraltro, che le prove concernenti i linepipe «project» sono particolarmente limitate e che almeno nella parte che riguarda questi ultimi la decisione impugnata dev’essere annullata. La JFE-NKK rileva, inoltre, che la riorganizzazione del preteso club Europa-Giappone, che avrebbe assunto la forma di «fundamentals improved» in seguito ad una riunione tenutasi a Tokyo il 5 novembre 1993 (punti 83-94 della decisione impugnata), non è menzionata dai diversi documenti prodotti dalla Commissione, in particolare dai documenti Nota per i presidenti, «g) Giapponese» e «Sharing key».

100
La JFE-NKK fa valere che, in ogni caso, la Commissione ha condotto un’analisi errata dei documenti relativi ai «fundamentals» e ai «fundamentals improved», in particolare di quelli provenienti dalla Dalmine. Gli elementi di prova contenuti nel fascicolo della Commissione potrebbero suggerire, infatti, che i «fundamentals» si riferiscano alla necessaria razionalizzazione dell’industria comunitaria e non ad un accordo illecito. Al riguardo la JFE-NKK cita, in particolare, il documento della Dalmine del maggio‑agosto 1993, intitolato «Seamless Steel tube System in Europe and Market Evolution» (Sistema di tubi in acciaio senza saldatura in Europa ed evoluzione del mercato) e citato a pag. 2051 del fascicolo della Commissione (in prosieguo: il documento «Sistema di tubi in acciaio»), il quale precisa quanto segue: «Una soluzione utile per tutti del problema della [Corus] può essere trovata solo in un contesto europeo, il che implica acquisizioni e chiusure di stabilimenti in conformità di un piano di razionalizzazione. Vediamo che questo processo si sviluppa per tappe fondamentali (...)». Contrariamente a quanto emerge dagli argomenti della Commissione, la riunione che ha avuto luogo il 6 ottobre 1992 avrebbe avuto riguardo, come ne attesta il verbale, citato a pag. 15178 del fascicolo della Commissione, non solo ai mercati dell’Europa centrale e orientale, ma anche, in parte, alla razionalizzazione dell’industria comunitaria. Tale politica di razionalizzazione sarebbe stata peraltro sostenuta dalla Commissione. La JFE-NKK considera perciò illogico che la Commissione contesti ora tale comportamento ad imprese alle quali essa stessa lo aveva in fondo consigliato. Sostiene inoltre che nessuno dei documenti prodotti dalla Commissione prova un qualsivoglia nesso tra la chiusura della società belga NTM, menzionata in particolare ai punti 88 e 89 della decisione impugnata, e la situazione dei produttori giapponesi.

101
Inoltre, afferma la JFE-NKK, gli elementi probatori prodotti dalla Commissione non attestano la definizione del mercato considerata per dimostrare l’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata. Poiché l’adeguata definizione del mercato di cui trattasi è condizione imprescindibile di ogni giudizio sugli effetti anticoncorrenziali di un dato accordo (per esempio, sentenza SIV e a./Commissione, cit. supra, punto 57), basterebbe tale mancanza di prove per giustificare l’annullamento della decisione impugnata.

102
Secondo le ricorrenti giapponesi, la dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996 è molto vaga e non prova affatto l’esistenza dell’accordo constatato dalla Commissione. Infatti, tale dichiarazione, estremamente succinta, affermerebbe in sostanza che i mercati nazionali beneficiavano di una protezione, senza precisare la natura e la portata esatta di quest’ultima. Contrariamente a quanto afferma la Commissione nella decisione impugnata, la dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996 non confermerebbe che l’espressione «fundamentals» si riferiva alla protezione dei mercati nazionali nel senso di vietare ai vari produttori di vendere tubi di acciaio sui mercati interni di loro concorrenti che avevano partecipato all’accordo. La JFE-Kawasaki sostiene in merito che in tale dichiarazione il sig. Verluca si limitava a commentare un unico documento, la nota Osservazioni, che non chiarisce il funzionamento dell’accordo.

103
Peraltro la dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996 non confermerebbe che il Regno Unito era uno dei mercati nazionali dove l’offerta era limitata a causa dell’astensione degli altri produttori partecipanti all’accordo dal rifornire di tubi tali mercati. Infatti, la detta dichiarazione definirebbe il mercato del Regno Unito semiprotetto nel senso che un concorrente doveva prendere contatti con il produttore locale di tubi prima di presentare un’offerta, e preciserebbe che tale regola è stata più o meno osservata. La Nippon nega espressamente di aver preso contatti con la Corus prima di presentare un’offerta sul mercato in questione e fa valere che la Commissione non ha avanzato elementi che provino il contrario. In ogni caso, le ricorrenti giapponesi sostengono che l’argomento di quest’ultima, secondo il quale lo status semiprotetto del mercato offshore britannico è compatibile con l’esistenza di vendite giapponesi su tale mercato, non permette di comprendere con sufficiente precisione quali impegni sarebbero stati assunti dai produttori giapponesi, a parere della Commissione, riguardo a questo mercato.

104
Quanto alla valutazione della Commissione secondo cui la dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996 sarebbe particolarmente probante e potrebbe eventualmente dimostrare da sola l’esistenza dell’infrazione, la Sumitomo e la JFE-NKK osservano che il punto 1838 della sentenza Cemento, cit. supra, punto 66, invocato dalla Commissione, si riferisce unicamente alle prove contestuali. Risulterebbe, poi, dalla sentenza Enso-Gutzeit/Commissione, cit. supra al punto 58, innanzi tutto, che la dichiarazione di un’impresa non può costituire una prova utilizzabile contro un’altra impresa, a meno che essa non sia avvalorata da ulteriori elementi probatori (punto 91), e, in secondo luogo, che, nel caso in cui una tale dichiarazione si basi sul convincimento di chi l’ha resa, è necessario che tale persona esponga le ragioni del proprio convincimento, altrimenti la Commissione non può avvalersi della sua dichiarazione nei confronti dei terzi (punto 131). Infine, l’argomento della Commissione secondo il quale gli elementi probatori non vanno esaminati separatamente sarebbe incompatibile con l’impostazione seguita dal Tribunale nella citata sentenza Enso‑Gutzeit/Commissione, cit. supra al punto 58, specialmente i punti 102 e 151‑153.

105
Inoltre, la dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996 non sarebbe corroborata dagli ulteriori elementi probatori menzionati nella decisione impugnata, specie per quanto concerne la gamma di prodotti di cui all’art. 1 di quest’ultima, il senso e la portata dei «fundamentals» e la durata dell’infrazione.

106
I prodotti di cui alla decisione impugnata e alla dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996, cioè unicamente i tubi OCTG standard e i linepipe «project», non sarebbero gli stessi menzionati da altri documenti invocati dalla Commissione a sostegno di tale dichiarazione, in particolare dai documenti della Vallourec, la società presso la quale il sig. Verluca lavorava al momento dei fatti. Alla luce delle dette circostanze, tali altri documenti non avrebbero valore probatorio rispetto all’infrazione sanzionata all’art. 1 della decisione impugnata.

107
In particolare, le note Riflessioni sul contratto VAM, Riflessioni strategiche, Rinnovo contratto VAM BSC, Riunione 24.07.90 e Colloquio BSC riguarderebbero tutte i tubi filettati mediante il giunto premium cd. VAM e non i tubi OCTG standard.

108
Peraltro, la circostanza che la nota Riflessioni strategiche faccia riferimento al «Mercato P», ossia al mercato degli OCTG premium, nonché il fatto che il sig. Verluca vi precisi espressamente che la propria analisi non verte sulla filettatura dei giunti standard cd. Buttress (pag. 15619 del fascicolo della Commissione), confermerebbero la tesi delle ricorrenti giapponesi. Del pari, i riferimenti nella nota Colloquio BSC alla società Hunting e agli altri giunti riguarderebbero i tubi OCTG premium e non quelli standard, come sostiene la Commissione. Infatti, l’autore della detta nota evocherebbe la necessità di «neutralizzare la Fox», un giunto premium brevettato dalla JFE-Kawasaki. La nota Riflessioni sul contratto VAM si riferirebbe ai tubi lisci e agli OCTG premium filettati in loco, in particolare ai tubi Fox. La nota Riunione 24.07.90 concernerebbe, del pari, i prodotti di acciaio inossidabile, espressamente esclusi dall’ambito di applicazione della decisione impugnata ai sensi del punto 28 della medesima, in qualunque modo essi siano filettati.

109
In definitiva, nessuna delle note sarebbe relativa ai linepipe. In ogni caso, esse conterrebbero mere riflessioni e speculazioni personali di dipendenti della Vallourec e farebbero riferimento ai «fundamentals» senza tuttavia illustrarli. Tali elementi non proverebbero, perciò, un’unicità di vedute tra le destinatarie della decisione impugnata e non costituirebbero neppure elementi concordanti rispetto alla dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996.

110
La Commissione invoca pure una nota interna della Vallourec del 27 gennaio 1994, citata a pag. 4822 del fascicolo della Commissione, intitolata «Verbale della riunione con JF a Bruxelles del 25 gennaio» (in prosieguo: il «Verbale riunione con JF»). Tale documento sarebbe irrilevante, poiché riguarda unicamente le «filettature trapezoidali e i tubi VLR + filettatura NTM», e non i prodotti oggetto della decisione impugnata.

111
Per di più, la Commissione si sarebbe avvalsa della Nota per i presidenti e del documento «g) Giapponese», laddove è impossibile individuare l’esatta gamma di prodotti che costituisce il loro oggetto. Infatti, i detti elementi probatori conterrebbero riferimenti sia a prodotti diversi da quelli di cui alla decisione impugnata e alla dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996, per esempio agli OCTG inossidabili e ai tubi saldati, sia a una gamma di prodotti di cui taluni sono colà previsti e talaltri no. Risulterebbe chiaramente dai detti documenti che l’analisi ivi svolta concerneva in sostanza il mercato degli OCTG premium e non quello dei prodotti oggetto della presente controversia. L’argomento della Commissione, esposto al punto 10 del suo controricorso nella causa T‑68/00, diretto a far valere che la Nota per i presidenti si basa sulla premessa che oggetto degli accordi in vigore alla data della redazione di tale documento erano gli OCTG standard e non gli OCTG premium, confermerebbe che l’agguerrita concorrenza giapponese riferita nel detto documento riguardava necessariamente gli OCTG standard.

112
Quanto al documento «Sharing key», esso concernerebbe solo una gamma di prodotti sensibilmente più ristretta di quella di cui alla dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996. Infatti, tale documento conterrebbe in particolare l’indicazione «SMLS API OPEN TENDER» (bandi di gara generali per tubi senza saldatura API). In esso si tratterebbe, quindi, unicamente della quota di mercato degli OCTG standard oggetto dei bandi di gara generali. Le ricorrenti giapponesi rilevano a tale riguardo che, secondo la dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996, non c’erano «bandi di gara significativi» («pas de gros Tenders») in Europa per i prodotti cui essa si riferiva. Il mercato oggetto del documento «Sharing key» sarebbe dunque inesistente. Le ricorrenti giapponesi confermano che tale affermazione risponde alle condizioni del mercato europeo all’epoca e ne deducono che la chiave di ripartizione proposta non aveva nessun significato riguardo all’Europa, dato che concerneva un mercato inesistente. Secondo la Sumitomo, l’autore del documento «Sharing key» dev’essere incorso in un errore, giacché esso non trova spiegazione logica e razionale. Inoltre non ci sarebbero mai stati bandi di gara pubblici per gli OCTG in Giappone nel periodo d’infrazione considerato nella decisione impugnata.

113
Contrariamente a quanto afferma la Commissione, sarebbe evidente che il documento «Sharing key» non riguarda affatto i linepipe. Infatti, la Commissione avrebbe indicato, al punto 27 della decisione impugnata, che l’abbreviazione «API» si riferiva agli OCTG standard, e non può modificare la propria interpretazione della portata di tale indicazione nel procedimento contenzioso. Per di più le sigle C/S e T/B che figurano nello stesso documento «Sharing key» confermerebbero tale tesi. Infine, esisterebbero, in realtà, norme API per l’insieme degli OCTG e dei linepipe, per cui si dovrebbe dedurre, dall’argomento della Commissione, che il detto documento riguarda anche prodotti non previsti dalla decisione impugnata.

114
Per quanto riguarda il valore probatorio dei documenti attestanti l’infrazione stessa, le ricorrenti giapponesi osservano anzitutto che nella nota Riflessioni strategiche il sig. Verluca ha preconizzato una soluzione consistente nel preferire il gruppo VAM, secondo la quale i produttori giapponesi continuerebbero a fare libera concorrenza ai tubi VAM sul mercato del Regno Unito. In secondo luogo, tale nota risalirebbe ad un’epoca in cui gli accordi di autolimitazione erano in vigore e in cui un sistema di ripartizione dei mercati non era illecito. Ne seguirebbe, secondo la Sumitomo, che se il Tribunale dovesse accogliere l’argomentazione delle ricorrenti giapponesi quanto alla durata degli accordi di autolimitazione (v. punti 139 e segg., infra), tale circostanza ridurrebbe il valore probatorio di tutti i documenti datati 1990, in particolare delle diverse note della Vallourec. Infatti, tali elementi non potrebbero più essere considerati che come documenti preparatori di un accordo, e non come prove di un accordo vigente al momento della loro redazione. Peraltro, l’allusione al «sistema attuale» nella nota Colloquio BSC riguarderebbe esplicitamente l’Estremo Oriente, l’America latina e il Medio Oriente e il riferimento in questo stesso documento ad una politica di prezzi fissi «per gli affari del Mare del Nord» («aff North Sea») che i produttori giapponesi accettavano di osservare allora, caso per caso, sarebbe in contraddizione con il principio di un divieto ai produttori giapponesi di vendere i prodotti in questione come affermato dal sig. Verluca nella dichiarazione 17 settembre 1996. La JFE-NKK osserva al riguardo che il sig. Verluca è l’autore della nota Colloquio BSC.

115
Inoltre, la nota Riflessioni sul contratto VAM riferirebbe della possibilità di ottenere «dalle Giapponesi che non intervengano sul mercato del Regno Unito e che la faccenda si risolva tra le Europee», di modo che non esisterebbe manifestamente un accordo relativo al mercato del Regno Unito nel marzo 1990. Del pari, poiché la nota Riunione 24.07.90 utilizza il modo condizionale per esprimere la possibilità di adottare «fundamentals improved», «che vieterebbero alle Giapponesi l’accesso al Regno Unito», se ne dedurrebbe che nel luglio 1990 l’accordo non era stato ancora concluso.

116
Quanto al documento «g) Giapponese» e alla Nota per i presidenti, si tratterebbe solo di documenti preparatori, redatti verosimilmente da un dipendente della Corus in vista di una riunione tra produttori europei che doveva aver luogo prima di quella del club Europa-Giappone a Tokyo del 5 novembre 1993. Così, tali documenti non avrebbero nessun valore probatorio del comportamento dei produttori giapponesi e ancor meno della loro pretesa partecipazione all’accordo constatato dalla Commissione all’art. 1 della decisione impugnata. Per contro, risulterebbe da tali documenti che i produttori giapponesi erano concorrenti agguerriti sul mercato offshore del Regno Unito e che i produttori comunitari hanno tentato, al più, di arrivare ad un accordo, il cui contenuto non è ben illustrato, con essi. La Nippon sottolinea che il documento «g) Giapponese» fa espresso riferimento alla sua aggressività sul mercato offshore del Regno Unito.

117
Il sistema di limitazione delle vendite giapponesi che si asserisce previsto nella Nota per i presidenti e nel documento «g) Giapponese» sarebbe peraltro incompatibile con l’interpretazione dei «fundamentals» offerta dal sig. Verluca nella sua dichiarazione 17 settembre 1996, secondo la quale i produttori giapponesi erano tenuti a contattare la Corus prima di immettere i loro prodotti sul mercato del Regno Unito. La JFE-NKK rileva che la descrizione dei «fundamentals» nella decisione impugnata non concorda né con gli elementi probatori dedotti dalla Commissione, né con l’interpretazione che essa dà di questi ultimi nel suo controricorso nella causa T‑67/00. Una tale contraddizione dovrebbe necessariamente comportare l’annullamento della decisione impugnata, conformemente alla giurisprudenza (v., in particolare, sentenza SIV e a./Commissione, cit. supra al punto 57).

118
In più, nella Nota per i presidenti sarebbe affermato l’obbligo per i produttori giapponesi di limitare «some of their deliveries» (alcune loro forniture) sulla piattaforma continentale del Regno Unito, mentre i punti 101 e 102 della decisione impugnata menzionerebbero una ripartizione assoluta dei mercati. Inoltre tale contraddizione basta di per sé, secondo la JFE-NKK, a determinare l’annullamento della decisione controversa. Quanto al documento «g) Giapponese», da esso risulterebbe che i produttori giapponesi consideravano, in ogni caso, che le vendite rientranti in contratti erano escluse da ogni accordo, il che ridurrebbe peraltro il valore probatorio del documento «Sharing key», che si riferisce unicamente al settore contrattuale, per quanto riguarda i mercati europei. Inoltre, l’argomento della Commissione, secondo il quale i detti documenti muovono dalla premessa che sussisteva già un accordo vincolante i produttori giapponesi a non vendere i prodotti oggetto della decisione impugnata sui mercati territoriali della Comunità, non dimostra l’esistenza di un accordo siffatto, almeno non con il grado di precisione e di certezza richiesto dalla giurisprudenza.

119
Quanto alla nota intitolata «Licence VAM à Siderca» (Licenza VAM alla Siderca), del 20 giugno 1994, citata a pag. 15809 del fascicolo della Commissione, da cui risulterebbe, in particolare, che la Mannesmann doveva rispettare, nel complesso, il mercato del Regno Unito, essa non conferma affatto, secondo le ricorrenti giapponesi, che queste ultime abbiano accettato di non vendere i propri tubi sui mercati europei.

120
Per quanto concerne il documento «Sharing key», la JFE-Kawasaki lo considera irricevibile quale elemento di prova, poiché non è datato e la Commissione non ha divulgato né l’identità del suo autore né quella della persona che glielo ha trasmesso, con la conseguenza che le ricorrenti sono impossibilitate a conoscere il contesto in cui esso è stato elaborato e le ragioni per le quali è stato consegnato alla Commissione. Sarebbe la prima volta che la Commissione ritiene commessa un’infrazione da parte di imprese sulla base di un documento non identificato. L’argomento avanzato dalla Commissione ai punti 121 e 122 della decisione impugnata, secondo il quale il documento «Sharing key» è un elemento ammissibile e affidabile perché avvalorato da altri elementi probatori, sarebbe infondato, giacché tale documento è contraddetto, in realtà, dagli altri elementi probatori contenuti nel fascicolo, in particolare in merito a questioni di fatto essenziali, come osserva la Commissione medesima, al punto 86 della decisione impugnata, con riferimento al ruolo dei produttori dell’America latina. La JFE‑Kawasaki richiama al riguardo la citata sentenza Volkswagen/Commissione cit. supra al punto 57 (punto 72), secondo la quale la Commissione deve provare un accordo o una pratica concertata in maniera sufficientemente precisa e concordante.

121
In ogni caso, la JFE-Kawasaki conviene con le altre ricorrenti giapponesi che, quand’anche ammissibile, il documento «Sharing key» non è un elemento a carico affidabile perché non è stato adeguatamente identificato. La circostanza secondo la quale il detto documento non sia il solo indizio su cui la Commissione si basa per concludere nel senso dell’esistenza dell’infrazione, non dispenserebbe l’istituzione medesima dal dimostrarne l’affidabilità. Inoltre, il documento «Sharing key» contraddice l’affermazione del sig. Verluca nel documento intitolato «Ispezione svoltasi presso la Vallourec» (del 18 dicembre 1997, citato a pag. 7317 del fascicolo della Commissione, al punto 1.3) relativa alla questione se i produttori dell’America latina abbiano risposto favorevolmente all’impostazione dei produttori europei alla fine del 1993, il che rimetterebbe in causa l’affidabilità di questi due elementi probatori. Per di più, secondo la risposta fornita dal direttore generale della Mannesmann, il sig. Becher, datata 22 aprile 1997 e citata a pag. 10989A del fascicolo della Commissione, a una domanda sulla natura dei «fundamentals» nel corso di un accertamento effettuato in loco il 21 aprile 1997 (in prosieguo: la «risposta del sig. Becher»), la nozione di chiave di ripartizione riguarderebbe solamente i mercati terzi. Quest’ultima circostanza sarebbe confermata dalla decisione impugnata ai punti 101 e 103.

122
Il documento «Sharing key» non rifletterebbe, peraltro, un accordo ormai concluso, visto che la Vallourec avrebbe indicato nel documento Ispezione svoltasi presso la Vallourec che si trattava di un mero tentativo di modificare le chiavi di ripartizione, e che il documento medesimo prevedeva una nuova riunione tra produttori europei per esaminare le modalità d’applicazione della chiave di ripartizione ivi proposta.

123
Inoltre, dal documento «Sharing key» risulterebbe che i produttori giapponesi avevano espresso una riserva su tale proposta, ritenendo che l’ambito di applicazione della chiave dovesse essere esteso ai tubi ERW OCTG, tubi di acciaio saldati. Alla luce del documento «Sharing key» la Commissione avrebbe dunque dovuto trattare i produttori giapponesi alla stregua di quelli dell’America latina, nei cui confronti essa ha ritirato le proprie censure in quanto essi avevano a loro volta espresso una riserva rispetto alla chiave proposta, nella parte relativa al mercato europeo, ed avevano realizzato vendite di tubi di acciaio in Europa. La Commissione non può affermare che la disparità di trattamento tra i produttori giapponesi e quelli dell’America latina si spiega con l’importanza delle vendite realizzate da questi ultimi sui mercati europei, poiché essa non ha prodotto, a sostegno di tale affermazione, dati che permettano di effettuare un valido confronto tra le vendite in questione. Si tratterebbe dunque di una disparità di trattamento ingiustificata, atteso che il ritiro delle censure nei confronti dei produttori dell’America latina infirma, ciò considerato, l’asserzione della Commissione che le ricorrenti giapponesi abbiano commesso l’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata.

124
La circostanza che i produttori giapponesi hanno venduto tubi su alcuni mercati europei dovrebbe a maggior ragione bastare a dimostrare che il documento «Sharing key» non riflette un accordo al quale essi hanno aderito. Infatti, in forza del detto documento, questi ultimi non dovevano vendere tubi sul mercato europeo senza che la portata di tale divieto fosse limitata da una qualsiasi riserva. Inoltre, la riserva espressa dai produttori dell’America latina avrebbe privato la chiave proposta di ogni valore economico dal punto di vista dei produttori europei e la sua successiva adozione in tali condizioni sarebbe stata pertanto illogica e, di conseguenza, inverosimile.

125
Per quanto concerne la dichiarazione del sig. Verluca 14 ottobre 1996, menzionata alla pag. 6354 del fascicolo della Commissione (in prosieguo «la dichiarazione del sig. Verluca 14 ottobre 1996»), le ricorrenti giapponesi fanno valere che essa non prova la loro partecipazione all’accordo invocato dalla Commissione. Infatti, la parte pertinente di tale dichiarazione confermerebbe semplicemente che le ricorrenti giapponesi partecipavano con regolarità alle riunioni organizzate nel contesto del club Europa-Giappone, le quali riguardavano, peraltro, secondo la dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996, mercati diversi da quelli interni dei produttori europei e giapponesi. Le ricorrenti giapponesi ricordano che, a loro avviso, le riunioni del club Europa-Giappone avevano ad oggetto solo vendite sui mercati dei paesi terzi, come Cina e Russia. Non esisterebbe nessuna prova che le dette riunioni si fossero concluse con la stipula dell’accordo illegittimo contestato dalla Commissione. Nella sua replica, la Sumitomo fa valere che il documento Ispezione svoltasi presso la Vallourec, contenente una dichiarazione del sig. Verluca 18 dicembre 1997, nonché la dichiarazione del sig. Jachia, impiegato della Dalmine, resa al procuratore della Repubblica di Bergamo il 5 giugno 1995, citata a pag. 8220 ter 6 del fascicolo della Commissione (in prosieguo: la «Dichiarazione del sig. Jachia»), escludono i linepipe «project» dall’accordo, in quanto fanno riferimento ai prodotti standard. Sussisterebbe dunque una contraddizione tra la dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996 e le sue affermazioni nel documento Ispezione svoltasi presso la Vallourec relativamente ai prodotti oggetto dei «fundamentals».

126
La JFE-Kawasaki rileva, inoltre, che nel documento Ispezione svoltasi presso la Vallourec il sig. Verluca ha dichiarato che, «tranne quello del Regno Unito, di regola i mercati offshore non erano considerati mercati domestici». Così, con riferimento ai detti mercati offshore, l’infrazione non sarebbe dimostrata.

127
Neppure la dichiarazione del sig. Biasizzo, già impiegato presso la Dalmine, al Procuratore della Repubblica di Bergamo, il 1° giugno 1995, citata a pag. 8220 ter 10 del fascicolo della Commissione (in prosieguo: la «dichiarazione del sig. Biasizzo»), implicherebbe che le ricorrenti giapponesi abbiano concluso l’accordo constatato dalla Commissione all’art. 1 della decisione impugnata. Il sig. Biasizzo, mentre ha menzionato nella sua dichiarazione un accordo non vincolante (gentleman’s agreement) in base al quale i produttori stranieri si impegnavano ad offrire prezzi superiori di un tasso variabile tra l’8% e il 10% a quelli proposti dal produttore nazionale, avrebbe elencato in un’ulteriore deposizione intitolata «Commento alle mie deposizioni» (in prosieguo: il «documento Commento alle mie deposizioni»), citata a pag. 8220 ter 14 del fascicolo della Commissione, tutti i vantaggi economici oggettivi di cui beneficiava un produttore locale di tubi di acciaio sul proprio mercato nazionale rispetto ai produttori stranieri, senza fare più allusione ad un accordo internazionale (allegato 15 della CdA, pag. 8220 ter 16). Tale riferimento ai bandi di gara sarebbe peraltro incompatibile con l’affermazione del sig. Verluca nella dichiarazione 17 settembre 1996 secondo la quale non vi erano importanti bandi di gara sui mercati europei.

128
Sussisterebbe quindi una notevole contraddizione tra la dichiarazione del sig. Biasizzo ed il documento Commento alle mie deposizioni. In ogni caso, tali due documenti non preciserebbero quali erano i prodotti oggetto dell’accordo cui fanno riferimento, né la sua durata. Sarebbe tanto meno verisimile che la dichiarazione del sig. Biasizzo ed il documento Commento alle mie deposizioni si riferiscano ai prodotti oggetto della decisione impugnata perché il mercato italiano dei tubi di acciaio riguardava principalmente, all’epoca dei fatti, altri prodotti, cioè gli OCTG premium e i linepipe trade. Inoltre, le osservazioni del sig. Biasizzo circa il rispetto delle quote storiche riguarderebbero mercati di paesi terzi non considerati dalla decisione impugnata. Ad ogni buon conto, la dichiarazione ed i commenti alle deposizioni del sig. Biasizzo non sarebbero degni di fede. Infatti, essi sarebbero stati resi sotto costrizione, in un contesto in cui l’autore aveva interesse a spiegare per quali motivi, diversi dalla pratiche disoneste costituenti oggetto dell’accertamento condotto nei suoi riguardi, alla Dalmine venivano assegnati tutti gli appalti pubblici dell’AGIP. Contrariamente a quanto afferma la Commissione, il sig. Biasizzo sarebbe stato responsabile solo della vendita degli OCTG e non dei linepipe per il periodo compreso tra l’inizio del 1992 e la fine del primo semestre del 1993.

129
Comunque sia, la Nippon e la JFE-Kawasaki ritengono che la definizione dei «fundamentals» considerata nella decisione impugnata, in particolare ai punti 61 e 101, secondo la quale era formalmente vietato alle parti dell’accordo di vendere i propri prodotti sui mercati delle loro concorrenti, sia incompatibile con quella risultante dalla dichiarazione del sig. Biasizzo, che afferma che le parti potevano offrire i propri prodotti a prezzi più alti di quelli del produttore nazionale.

130
Quanto alla risposta fornita dalla Dalmine, il 4 aprile 1997, a una domanda posta da funzionari della Commissione nel corso di un accertamento in loco, citata a pag. 15099 del fascicolo della Commissione (in prosieguo: la «risposta della Dalmine del 4 aprile 1997»), quand’anche facesse fede di contatti stretti con l’industria giapponese, tali contatti avrebbero riguardato i mercati extracomunitari, come quello russo. Il detto documento afferma peraltro che la nozione di «fundamentals» può riflettere la posizione dell’industria comunitaria dei tubi di acciaio senza saldatura a partire dagli anni 1986-1987 e riferisce delle importazioni selvagge di tubi provenienti da altre aree geografiche alla stessa epoca. In ogni caso, risulterebbe da tale documento che chi dirigeva la Dalmine al momento della detta dichiarazione non era a conoscenza degli eventi anteriori al febbraio 1996 e che tale società non ha rilevato alcun elemento attestante riunioni con i produttori giapponesi ed europei nei propri fascicoli. Tali circostanze sarebbero state confermate dalla Dalmine nella propria risposta, del 29 maggio 1997, a una lettera che la Commissione le aveva indirizzato ai sensi dell’art. 11 del regolamento n. 17, citata a pag. 15162 del fascicolo della Commissione (in prosieguo: la «risposta della Dalmine del 29 maggio 1997»). La risposta della Dalmine del 29 maggio 1997 sarebbe peraltro in contraddizione con la dichiarazione ed il documento Commento alle mie deposizioni del sig. Biasizzo, in quanto da questi ultimi risulta, da un lato, che solo i mercati extracomunitari erano oggetto di discussioni nell’ambito del club Europa-Giappone, e, dall’altro, che le esportazioni di tubi verso la Comunità europea erano limitate ma non vietate. La Sumitomo rileva al riguardo che la risposta della Dalmine del 29 maggio 1997 si basa sui ricordi del sig. R. che indica la fonte precisa di questi ultimi, e cioè le conversazioni avute con il sig. Biasizzo, che aveva assistito alle riunioni in questione.

131
Le ricorrenti giapponesi fanno valere che, secondo il documento Sistema di tubi in acciaio, incluso nel fascicolo della Commissione, ma non menzionato nella decisione impugnata, i «fundamentals» disciplinavano le relazioni tra produttori europei. Contrariamente a quanto afferma la Commissione, tale documento non si limiterebbe a esaminare le conseguenze del ritiro della Corus dal mercato dei tubi senza saldatura.

132
In merito alla risposta del sig. Becher, le ricorrenti giapponesi osservano che quest’ultimo, stando alla sua stessa dichiarazione, non aveva conoscenza diretta delle circostanze che commentava, ciò di cui la Commissione non ha fatto menzione, colposamente, allorché ha citato tale dichiarazione al punto 63 della decisione impugnata. La sua testimonianza non avrebbe dunque grande valore probatorio e sarebbe anzi inammissibile secondo la JFE-NKK (sentenza Rhône‑Poulenc/Commissione, cit. supra al punto 56, e conclusioni del sig. Vesterdorf, facente funzioni di avvocato generale, nella detta causa, cit. supra al punto 56, paragrafi 955‑957). Inoltre, la Commissione non potrebbe considerare tale risposta come elemento probatorio affidabile dove essa conferma la conclusione di un accordo tra i produttori europei e giapponesi, e inaffidabile dove invece esclude un accordo finalizzato alla protezione del mercato nazionale di ciascun produttore europeo da parte degli altri produttori europei. Nella parte in cui nega l’esistenza di un accordo di ripartizione dei mercati tra i produttori europei, la risposta del sig. Becher sarebbe contraddetta dal documento Sistema di tubi in acciaio, che il sig. Becher definisce falso. Parimenti, essa sarebbe incompatibile con la dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996 e con la risposta della Dalmine del 29 maggio 1997.

133
Quanto alla risposta data dalla Corus, il 31 ottobre 1997, a una richiesta d’informazioni della Commissione, citata a pag. 11932 del fascicolo della Commissione (in prosieguo: la «risposta della Corus»), secondo la quale i mercati domestici erano riservati ai produttori locali, le ricorrenti giapponesi osservano che, in una lettera del 30 marzo 1999 alla Commissione (allegato C. 5 al ricorso nella causa T‑68/00; in prosieguo: la «lettera 30 marzo 1999»), la Corus ha chiaramente precisato che le sue dichiarazioni non dovevano essere interpretate nel senso che fosse stato concluso un accordo tra produttori europei e giapponesi. In risposta all’argomento della Commissione, secondo il quale nella lettera 30 marzo 1999 si tratta del procedimento concernente i tubi saldati, le ricorrenti giapponesi rilevano che la dichiarazione che viene ivi chiarita era stata formulata dalla Corus in termini identici nell’ambito del procedimento relativo ai tubi senza saldatura. Per quanto riguarda l’argomento della Commissione secondo il quale la posizione della Corus è paradossale, la Nippon fa valere che, al contrario, è la Commissione a tentare di basarsi su un’interpretazione delle affermazioni della Corus che quest’ultima ha escluso. La JFE-Kawasaki e la Sumitomo osservano che, in ogni caso, la pretesa dichiarazione della Corus è vaga e ambigua. La Sumitomo sottolinea, inoltre, che gli unici prodotti menzionati nella risposta della Corus sono gli OCTG. Essa sostiene, come pure la JFE-NKK, che soltanto i mercati terzi erano interessati da tale risposta.

134
Secondo le ricorrenti giapponesi, i produttori europei avevano un interesse evidente a «contenere i danni», in particolare ammettendo l’esistenza di un accordo con i produttori giapponesi allo scopo di distogliere l’attenzione della Commissione dal vero significato dei «fundamentals», finalizzati a una ripartizione dei mercati europei tra i produttori europei, infrazione ben più grave di quella constatata all’art. 1 della decisione impugnata e che, inveratasi, avrebbe comportato per tali produttori europei ammende di importo maggiore. Tale tesi sarebbe avvalorata dalla circostanza che la strategia adottata dalla Vallourec, consistente nell’informare la Commissione della conclusione di un accordo con i produttori giapponesi, le ha permesso di beneficiare di una riduzione del 40% dell’importo dell’ammenda che le sarebbe stata inflitta se non avesse collaborato e di evitare che la Commissione le irroghi un’ammenda supplementare per l’infrazione concernente i tubi lisci constatata all’art. 2 della decisione impugnata. Parimenti, la Dalmine avrebbe beneficiato di una riduzione del 20% della propria ammenda. È in tale contesto che occorrerebbe valutare gli elementi probatori dedotti dalla Commissione nella decisione impugnata, segnatamente le dichiarazioni del sig. Verluca. Si dovrebbe tener conto altresì della circostanza che la Vallourec non ha presentato ricorso contro la decisione impugnata e che la Dalmine non ha contestato i fatti su cui essa si basa. Inoltre la Sumitomo osserva che tutte le dichiarazioni invocate, specie quelle dei sigg. Verluca, Becher e Biasizzo, sono state rese successivamente ai fatti, e aggiunge che occorrerebbe preferire, in caso di contraddizione, le prove contenute nei documenti contestuali all’infrazione, in particolare nello «Sharing key», a quelle contenute nelle dette dichiarazioni.

135
La Nippon sostiene che, contrariamente a quanto osservato al punto 131 della decisione impugnata, essa ha replicato espressamente, sia nella risposta scritta alla CdA che nell’udienza dinanzi alla Commissione, all’allegazione secondo la quale i documenti citati ai punti 62-67 e 100 rivelano l’esistenza e il contenuto dell’accordo di cui all’art. 1 della decisione impugnata, mettendo in discussione il valore probatorio di ciascun elemento. La Nippon contesta, inoltre, l’affermazione, al punto 131 della decisione impugnata, secondo cui le imprese giapponesi hanno riconosciuto di non poter fornire delucidazioni quanto alle riunioni del club Europa-Giappone, avendo essa precisato in una risposta a un quesito posto in udienza che si erano svolte riunioni tra produttori europei e giapponesi, ma che il loro scopo era stato il coordinamento delle vendite sui mercati russo e cinese.

136
Quanto alla durata dell’infrazione, le date indicate nella dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996 sarebbero incerte. La Commissione non avrebbe dunque sufficientemente provato in diritto la durata dell’infrazione.

137
Quanto alla data del 1977, anno a partire dal quale secondo il sig. Verluca sarebbero cominciate le riunioni («échanges»), le ricorrenti giapponesi sollevano due obiezioni principali.

138
Innanzi tutto, esse osservano che il termine francese «échanges» è molto vago e che è stato tradotto in inglese, nella decima nota a piè pagina della decisione impugnata, con il termine «trade», traduzione incompatibile con l’argomento addotto dalla Commissione al punto 108 di tale decisione, secondo il quale si tratta di riunioni tra le parti di un accordo illecito.

139
Secondariamente, le ricorrenti giapponesi fanno valere che, con riferimento al periodo anteriore al 1990, la Commissione riconosce che gli accordi di autolimitazione vietavano ai produttori giapponesi di vendere i loro prodotti sui mercati della Comunità europea. Tuttavia, non risulterebbe affatto dalla dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996 che un accordo illecito tra produttori giapponesi ed europei abbia sostituito gli accordi di autolimitazione conclusi a livello governativo nel 1990 o nel 1991. Le ricorrenti giapponesi ne deducono che la dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996 non avvalora l’affermazione della Commissione relativa alla data d’inizio dell’infrazione. Pertanto la Commissione non avrebbe adempiuto all’onere di apportare elementi probatori sufficientemente precisi e concordanti in merito alla durata dell’infrazione (sentenza CRAM e Rheinzink/Commissione, cit. supra al punto 57, punto 20).

140
Peraltro, anche supponendo che l’effettività delle riunioni tra produttori che asseritamene costituiscono infrazione, a partire dal 1977, sia dimostrata sufficientemente in diritto, la Commissione avrebbe commesso un errore nel calcolo della durata dell’infrazione, dato che gli accordi di autolimitazione CE‑Giappone si erano risolti il 31 dicembre 1990, e non il 31 dicembre 1989. Tale circostanza sarebbe dimostrata dagli elementi probatori allegati ai ricorsi delle ricorrenti giapponesi, segnatamente da un estratto del libro bianco sul commercio internazionale, pubblicato dal Ministero giapponese del Commercio e dell’Industria (in prosieguo: il «MITI») il 25 giugno 1991, da cui risulta, secondo le stesse, che gli accordi di autolimitazione sono rimasti in vigore durante il 1990. La legislazione giapponese avrebbe conferito al MITI poteri che gli permettevano di obbligare i produttori giapponesi di tubi di acciaio a rispettare le condizioni degli accordi di autolimitazione. Nell’esercizio di tali poteri, il MITI avrebbe invitato sei società giapponesi, tra cui le ricorrenti giapponesi, a concludere accordi di autolimitazione delle esportazioni, in seguito ratificati dal MITI. Le ricorrenti giapponesi hanno fornito, a sostegno della loro posizione, la documentazione elaborata dalla parte giapponese e relativa alla proroga di tale accordo per includere il 1990, vale a dire l’accordo di proroga, approvato dal MITI il 28 dicembre 1989, e la lettera di notifica al MITI che spiegava le ragioni per le quali tale proroga doveva essere adottata. Inoltre, la Nippon ha fornito una proposta di risoluzione proveniente dal proprio comitato direttivo, nonché l’atto con cui il detto comitato ha approvato la proroga dell’accordo tra i produttori giapponesi fino al 31 dicembre 1990.

141
Nelle proprie memorie di replica, la Nippon e la JFE-Kawasaki si stupiscono del fatto che la Commissione non abbia indicato chiaramente, nel suo controricorso, la data in cui gli accordi di autolimitazione hanno cessato di essere in vigore, quando essa stessa era parte dell’accordo intergovernativo che ne costituiva la base. Ciò premesso, non sarebbe credibile che la Commissione non sia stata a conoscenza dell’accordo concluso tra i produttori giapponesi. La Nippon invita il Tribunale a chiedere alla Commissione di precisare la data di scadenza definitiva degli accordi di autolimitazione. Inoltre, le due ricorrenti menzionate sopra e la JFE-NKK sostengono che un cambiamento, quale la scadenza degli accordi di autolimitazione con il Giappone, sarebbe stato menzionato dalla Commissione nella sua XXIV relazione generale sull’attività delle Comunità europee nel 1990, qualora fosse realmente avvenuto in quell’anno. Tale relazione indicherebbe, al contrario, che il regime di importazione dei prodotti siderurgici era rimasto invariato rispetto al 1989 (paragrafo 840 della relazione).

142
Ciò premesso, sarebbe manifesto che la Commissione non avrebbe constatato l’esistenza dell’infrazione per il 1990 se non avesse commesso l’errore di fatto invocato dalle ricorrenti.

143
Con riferimento alla data di cessazione dell’infrazione rilevata, le ricorrenti giapponesi osservano che il riferimento della Commissione al 1995 si basa esclusivamente su un’affermazione imprecisa contenuta nella dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996, secondo la quale « le riunioni [erano] terminate da poco più di un anno». A tal riguardo il documento «Sharing key», concernerebbe un periodo che si è concluso nel marzo 1994 e non ci sarebbero prove di riunioni del club Europa-Giappone dopo tale data. Occorrerebbe perciò ritenere che l’infrazione non si sia protratta, in ogni caso, oltre il primo semestre del 1994. La Sumitomo e la Nippon sostengono, al riguardo, che il documento «Sharing key» prova soltanto un’infrazione della durata di un anno, dal 1993 al marzo 1994. La circostanza che l’accordo esisteva prima del 1° aprile 1995 riferita nella dichiarazione del sig. Bercher, documento fatto valere dalla Commissione per dimostrare la durata dell’infrazione al punto 97 della decisione impugnata, sarebbe irrilevante a tal riguardo, poiché la detta data sarebbe semplicemente quella in cui l’autore di tale dichiarazione è diventato direttore generale della Mannesmann. L’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata risulta, ai sensi del medesimo articolo, essersi protratta nel 1995, perciò essa sarebbe incompatibile con gli elementi probatori dedotti. Sarebbe quindi necessario quanto meno annullare la decisione impugnata nella parte in cui afferma l’esistenza di un’infrazione in periodi relativamente ai quali le prove apportate sono insufficienti.

144
La Commissione fa valere anzitutto che la tattica delle ricorrenti giapponesi di estrapolare ogni elemento di prova dal suo contesto e di sottoporlo ad un’analisi giuridica complessa non funziona ai fini dell’esame globale degli elementi materiali che, analizzati nel loro ambito effettivo, provano l’infrazione (v., in particolare, sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑334/94, Sarrió/Commissione, Racc. pag. II‑1439, punto 103). La Commissione ricorda che, nella citata sentenza Cemento, il Tribunale ha deciso che, nel valutare il valore probatorio di un documento, si deve, da un lato, tener conto della verosimiglianza dell’informazione in esso contenuta, considerando in particolare da chi il documento proviene, in quali circostanze è stato elaborato, a chi è destinato, e, dall’altro, accertare se, in base al suo contenuto, esso appaia ragionevole e affidabile (punto 1838 della sentenza).

145
Nella fattispecie, l’argomento secondo cui i «fundamentals» ai quali i diversi elementi probatori fanno riferimento descrivono uno stato di cose piuttosto che un accordo di ripartizione di mercati, sarebbe inverosimile. Tali documenti non conforterebbero neppure l’argomento secondo il quale i «fundamentals» disciplinavano le sole relazioni tra i produttori europei. La Commissione precisa, inoltre, che non ha trascurato l’aspetto intracomunitario dell’accordo nella decisione impugnata e che la descrizione dell’infrazione fatta nei motivi di quest’ultima e al suo art. 1 chiarisce non soltanto che i produttori giapponesi non avevano la facoltà di vendere i loro prodotti in Europa, ma anche che nessuno dei produttori europei aveva la facoltà di vendere i propri prodotti sui mercati domestici degli altri produttori europei.

146
In particolare, la Commissione contesta l’argomento della JFE-NKK secondo il quale le nozioni di «fundamentals» e di «fundamentals improved» si riferirebbero alla necessaria razionalizzazione dell’industria comunitaria e non a un qualunque accordo illecito. Il documento Sistema di tubi in acciaio, e segnatamente la riunione del 6 ottobre 1992 ivi menzionata, concernerebbero un processo di razionalizzazione finanziato per mezzo di aiuti di Stato approvati dalla Commissione ai sensi dell’art. 87 CE.

147
Per quanto riguarda la dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996, la Commissione ritiene che occorre conferirle una rilevanza particolare, dato che il suo autore era presidente della società Vallourec Oil & Gas ed aveva una conoscenza diretta delle attività del club Europa-Giappone. Infatti, egli avrebbe partecipato a varie delle riunioni semestrali del detto club, come attestato dalle sue dichiarazioni (v. qui sopra, al punto 23). La Commissione invoca il principio secondo il quale, in materia di produzione della prova, le dichiarazioni rivolte contro gli interessi del dichiarante devono essere considerate come aventi valore probatorio. Essa sostiene che, nel caso di specie, la dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996 era rivolta contro gli interessi della Vallourec, che egli rappresentava, dato che la Commissione aveva avviato un’indagine nei confronti di quest’ultima società.

148
Riguardo all’argomento secondo il quale la dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996 non è rafforzata da alcun elemento di prova per quanto attiene all’insieme degli aspetti specifici dell’infrazione, ed in particolare in relazione alla sua definizione dei «fundamentals», la Commissione rileva che, secondo la sentenza Cemento cit. supra al punto 66 (punto 1838), nessun principio di diritto comunitario osta a che la Commissione, per giudicare esistente un’infrazione dell’art. 81, n. 1, CE, si basi su un solo documento.

149
In ogni caso, la dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996 sarebbe rafforzata dagli altri elementi probatori figuranti nel fascicolo, ed in particolare dai documenti citati nella decisione impugnata (v. sotto, punti 161 e segg.). Se la maggior parte di tali mezzi di prova documentali non definiscono i «fundamentals» in quanto tali e non ne precisano la portata, ciò avverrebbe perché il senso da dare a tali regole era chiaramente conosciuto dagli autori di questi documenti altrettanto bene che dai destinatari degli stessi.

150
Più in particolare la Commissione contesta l’argomento secondo il quale il termine «échanges» che compare nella dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996, non si riferisce a riunioni e sostiene che la traduzione di tale termine che figura alla nota a piè di pagina n. 10 della versione inglese della decisione impugnata è errata.

151
Per quanto riguarda la ricevibilità del documento «Sharing key» in quanto elemento di prova, la Commissione sostiene che, secondo la giurisprudenza, la nozione di irricevibilità delle prove va applicata in modo molto limitato nel diritto comunitario. Come avrebbe rilevato il giudice Vesterdorf nelle proprie conclusioni per la sentenza Rhône-Poulenc/Commissione, cit. supra al punto 56, il principio che prevale è quello della libera produzione delle prove.

152
Per quanto riguarda la portata del documento «Sharing key», occorrerebbe ricordare, in particolare, che la dicitura API può essere riferita sia agli OCTG standard, sia ai linepipe, in quanto standard API esistono per ognuno di questi due prodotti (v. allegato al controricorso nella causa T‑78/00). In risposta all’argomento relativo al fatto che, secondo la dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996, il mercato interessato dal documento «Sharing key» era inesistente, la Commissione sostiene che, se le cose stessero in questo modo, non vi sarebbe alcun motivo di includere l’Europa nella chiave di ripartizione proposta, cosa che, tuttavia, è stata fatta.

153
Per quanto riguarda la Nota per i presidenti, la Commissione sostiene, in particolare, che essa è stata redatta dalla Corus, ma che la Mannesmann doveva presentarla ai presidenti, come attestato dal riferimento manoscritto alla prima pagina della stessa, secondo il quale essa sarebbe stata menzionata nella presentazione di «HN» (Hans Nolte della Mannesmann), e che la Vallourec ne ha approvato il contenuto, in modo che tale documento esprime il punto di vista collettivo di questi tre produttori europei.

154
In risposta all’argomento relativo al trattamento più favorevole riservato ai produttori dell’America latina, la Commissione rileva che esistono prove dirette della partecipazione dei produttori giapponesi all’infrazione, diverse dal documento «Sharing key», le quali provengono, in particolare, dalle dichiarazioni del sig. Verluca del 17 settembre 1996 e del 14 ottobre 1996, mentre ciò non può dirsi con riferimento ai produttori dell’America latina.

155
Per quanto riguarda la dichiarazione del sig. Biasizzo, la Commissione contesta la tesi delle ricorrenti giapponesi, secondo la quale egli ha rivisto le sue affermazioni riguardo all’esistenza di un accordo internazionale di ripartizione di mercati nel proprio «Commento alle mie deposizioni», e cita, in particolare, alcuni passaggi di quest’ultimo documento, nei quali il sig. Biasizzo ha rilevato la necessità di agire in stretto collegamento con tutti gli altri produttori e di individuare regole e comportamenti diversi.

156
La Commissione sostiene che la risposta della Dalmine del 4 aprile 1997 contiene alcune rivelazioni concernenti l’accordo in questione ma che, per il resto, si tratta di un tentativo di limitarne le conseguenze e che, ciò posto, essa non può invalidare le dichiarazioni chiare ed esplicite degli ex dipendenti della detta società. Per quanto riguarda il documento Sistema di tubi in acciaio, la circostanza che tale documento faccia riferimento unicamente ai mercati europei, a differenza di altri elementi probatori, ed in particolare delle dichiarazioni dei sigg. Verluca e Biasizzo, si spiegherebbe con il fatto che, come indicato dal titolo dello stesso, è previsto che esso descriva unicamente la situazione dei produttori europei.

157
Infine, per quanto concerne le indicazioni contenute nella dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996 riguardo alla durata dell’accordo, la Commissione sostiene che la durata precisa di quest’ultimo è rilevante unicamente nei limiti in cui essa influenza l’ammontare dell’ammenda. Riguardo al periodo tra il 1977 e l’inizio del 1990, essa ricorda di non averne tenuto conto ai fini della fissazione dell’ammenda, ma che dalla dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996 risulta chiaramente che l’accordo è stato applicato per tutto il detto periodo.

158
Per quanto riguarda la data di inizio dell’infrazione indicata nella decisione impugnata, la Commissione precisa di non aver riconosciuto l’assenza di un’infrazione tra il 1977 ed il 1989, a causa dell’esistenza degli accordi di autolimitazione. Essa avrebbe semplicemente dichiarato che l’infrazione commessa tra il 1977 e la fine del 1989 non sarebbe stata presa in considerazione.

159
In risposta all’argomento vertente sulla circostanza che, secondo la XXIV relazione generale sull’attività delle Comunità europee nel 1990, il regime di importazione dei prodotti siderurgici era rimasto invariato rispetto al 1989, la Commissione rileva, in particolare, che, benché la XXIV relazione per il 1991 sia redatta negli stessi termini riguardo a tale aspetto, le ricorrenti non hanno sostenuto che gli accordi di autolimitazione siano rimasti in vigore durante il 1991.

160
Inoltre, i ricorsi e la documentazione ad essi allegati indicherebbero unicamente che le ricorrenti avevano concluso con le autorità giapponesi un accordo di limitazione delle loro esportazioni sino alla fine del 1990. Le ricorrenti giapponesi non avrebbero assolutamente dimostrato che tale accordo rifletteva una proroga degli accordi di autolimitazione conclusi dalla Commissione europea e dal governo giapponese sul piano internazionale. La Commissione avrebbe, a sua volta, ricercato nei propri archivi, ma non avrebbe trovato alcuna traccia del preteso rinnovo degli accordi di autolimitazione fino a tutto il 1990.

161
In ogni caso, gli argomenti delle ricorrenti giapponesi relativi alla data di inizio dell’infrazione si baserebbero sulla premessa secondo la quale gli accordi di autolimitazione vietavano loro di esportare i propri tubi nella Comunità. La Commissione contesta l’esattezza di tale premessa, dato che tale accordo prevedeva una serie di quote a favore dei produttori giapponesi.

162
Per quanto riguarda la data in cui l’infrazione è terminata, la Commissione ricorda che, secondo la dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996, l’accordo era terminato da poco più di un anno. La Commissione rileva che l’affermazione contenuta nella dichiarazione del sig. Becher, secondo la quale l’accordo esisteva prima del 1º aprile 1995, concorda con le testimonianze del sig. Verluca. Poiché la parte dell’ammenda corrispondente alla durata dell’accordo è stata calcolata sulla base della constatazione che quest’ultimo era stato in vigore dal 1990 al 1994 incluso, l’indicazione del sig. Verluca sarebbe ampiamente sufficiente a stabilire la durata dell’infrazione considerata. Il fatto che il documento «Sharing key» consenta di stabilire lo svolgimento di riunioni del club Europa-Giappone solo fino al marzo 1994 non proverebbe in alcun modo che l’accordo sia effettivamente terminato in tale data.

Sulla terza parte del primo motivo, vertente sull’erroneità della valutazione della portata dell’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata

163
Secondo le ricorrenti giapponesi, la tesi esposta dalla Commissione al punto 164 della decisione impugnata per affermare che l’infrazione di cui all’art. 2 aveva come oggetto il rispetto dello status protetto attribuito al mercato britannico dai «fundamentals», per mezzo di «fundamentals improved», è intrinsecamente inverosimile. Esse sostengono che la Corus non stava per ritirarsi dal mercato britannico degli OCTG filettati standard e dei linepipe «project» a causa della cessazione della sua produzione di tubi lisci a Clydesdale. Quest’ultima avrebbe, pertanto, continuato la propria attività su tale mercato, sul quale vendeva ancora taluni prodotti sebbene non avesse concluso contratti di fornitura di tubi lisci con le società Vallourec, Dalmine e Mannesmann. In ogni caso, le ricorrenti giapponesi rinviano ai loro argomenti, secondo i quali la presenza della Corus sul mercato britannico degli OCTG filettati e dei linepipe non ha mai costituito un ostacolo all’esercizio, da parte loro, di una forte concorrenza nel settore offshore di tale mercato. La JFE-NKK afferma a tale proposito che, secondo la tesi della Commissione, sarebbe stato necessario trovare un produttore britannico che fabbricasse i propri tubi lisci e che, in seguito, li filettasse da solo, per sostituire la Corus sul mercato del Regno Unito, il che non è avvenuto. Così, l’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata non avrebbe potuto esistere dopo il 1990, dato che la Corus aveva cessato la propria produzione di tubi lisci nel corso di quell’anno.

164
La Sumitomo sostiene, inoltre, che sarebbe illegittimo affermare che la seconda infrazione, di cui all’art. 2 della decisione impugnata, costituiva un semplice modo di attuazione di quella indicata all’art. 1 della stessa, alla quale si asserisce che i produttori giapponesi avrebbero preso parte, a meno che la perpetrazione di tale seconda infrazione non sia la conseguenza inevitabile e necessaria della prima. Gli elementi probatori avanzati dalla Commissione non giustificherebbero in alcun modo questa conclusione e non dimostrerebbero neppure che i produttori giapponesi fossero a conoscenza di tale accordo autonomo. Contrariamente a quanto affermato dalla Commissione al punto 94 della decisione impugnata, il documento «Sharing key» non avrebbe alcun valore probatorio per quanto riguarda la ristrutturazione dell’industria europea. Peraltro, poiché dalle note della Vallourec, analizzate sopra, ed in particolare dalla nota Riflessioni strategiche della stessa, risulterebbe che gli accordi tra i produttori europei riguardanti i tubi lisci sono stati concepiti dalla Vallourec nell’ambito della sua tecnologia di filettatura premium, denominata VAM, la Commissione non può affermare che tali accordi si riferiscano agli OCTG standard ed ai linepipe «project».

165
Nei loro controricorsi, le società Nippon, JFE-Kawasaki e JFE-NKK affermano che il riferimento, nella nota Riunione 24.07.90, al «renforcement de la CEE» (rafforzamento della CEE), che avrebbe dovuto condurre a «fundamentals improved», concerneva l’entrata in vigore, nel 1990, della direttiva 90/531. Nel caso del mercato britannico, tale direttiva avrebbe dovuto avere l’effetto di sostituire il sistema di preferenza nazionale, attuato dall’OSO, con un sistema di preferenza comunitaria, il quale permettesse ai produttori comunitari di aggiudicarsi gli appalti, a condizione che i loro prezzi non superassero quelli dei produttori non comunitari di più del 3%, da cui l’allusione, nella nota Riunione 24.07.90, alla possibilità che, «en [19]93 l’OSO accorde aux producteurs européens la préférence de 3% qu’elle accord[ait] [alors] aux producteurs UK» (nel 1993 l’OSO accordi ai produttori europei la preferenza del 3% che accordava allora ai produttori del Regno Unito). In seguito alla chiusura dell’impianto di Clydesdale, la Corus aveva, pertanto, bisogno di rifornirsi di tubi lisci da produttori europei, per continuare a godere del trattamento preferenziale, da quel momento in poi comunitario. Tale circostanza sarebbe sufficiente a spiegare perché essa ha scelto questa fonte di rifornimento di tubi lisci. Ugualmente, la Vallourec, che avrebbe organizzato questo nuovo sistema di rifornimento della Corus, avrebbe avuto tutto l’interesse a mantenere la posizione della Corus sul mercato offshore del Regno Unito dei tubi OCTG premium, di cui la Vallourec beneficiava, quale titolare di una licenza di tecnologia VAM utilizzata dalla Corus.

166
A tale proposito, dalla nota Riflessioni strategiche risulterebbe che la Vallourec avrebbe avuto l’intenzione di minacciare la Corus di ritirare tale licenza VAM, per evitare che la detta società acquistasse tubi lisci dalla Nippon e dalla JFE‑Kawasaki. I contratti bilaterali di fornitura di tubi lisci tra la Vallourec e gli altri produttori di tubi lisci, da un lato, e la Corus, dall’altro, deriverebbero pertanto dall’interesse commerciale dei produttori europei ad aumentare le proprie vendite di tubi lisci. Secondo le ricorrenti giapponesi, non vi sarebbe alcun motivo di supporre che tale ripartizione del mercato dei tubi lisci tra europei avesse bisogno di essere rafforzata tramite un accordo con i produttori giapponesi.

167
Ad ogni modo, sarebbe difficile concepire i contratti di fornitura di tubi lisci conclusi dalla Corus con ognuno degli altri tre produttori europei, i quali sono stati risolti tra il 1997 ed il 1999, come elementi di attuazione dell’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata, poiché tale infrazione è durata solo fino al 1995 al più tardi.

168
Al riguardo, sarebbe ugualmente rilevante l’argomento delle ricorrenti giapponesi, riportato sopra secondo il quale la Commissione ha analizzato in modo errato i documenti facenti riferimento ai «fundamentals» e, in particolare, in tale contesto, ai «fundamentals improved».

169
Infine, le ricorrenti giapponesi avrebbero un interesse giuridico a rimettere in discussione l’interpretazione della Commissione esposta al punto 164 della decisione impugnata, in quanto tale impostazione, avrebbe come conseguenza che la Commissione ha inflitto la stessa ammenda ai produttori europei e giapponesi, a dispetto del fatto che gli uni hanno partecipato a due infrazioni, gli altri ad una sola.

170
Secondo la Commissione, dalla nota Riunione 24.07.90 risulta chiaramente che i produttori europei ritenevano di dover adottare alcuni provvedimenti per evitare che la chiusura dell’impianto della Corus a Clydesdale avesse come conseguenza il fatto che il mercato britannico cessasse di essere un mercato nazionale protetto ai sensi dei «fundamentals». La tesi della Commissione, esposta al punto 164 della decisione impugnata, sarebbe pertanto che l’infrazione di cui all’art. 2 di quest’ultima è stata commessa per fare in modo che la Corus rimanesse un produttore «nazionale» ai sensi dell’accordo, come descritto al punto 102 della decisione impugnata.

171
La Commissione ritiene che le ricorrenti giapponesi non abbiano alcun interesse giuridico ad opporsi alle constatazioni relative all’infrazione imputata ad altre imprese all’art. 2. Inoltre, la partecipazione delle stesse all’infrazione ivi menzionata non sarebbe necessaria affinché quest’ultima sia servita a rafforzare, nel modo descritto al punto 164 della decisione impugnata, l’infrazione loro imputata all’art. 1. È, quindi, irrilevante che la Sumitomo abbia potuto ignorare l’esistenza degli accordi di cui all’art. 2 della decisione impugnata, come essa afferma, e che tale infrazione abbia potuto terminare in un momento successivo rispetto a quello riportato all’art. 1.

172
Infine, pur supponendo che le ricorrenti giapponesi possano, giustamente, respingere l’affermazione della Commissione per quanto riguarda il passaggio dai «fundamentals» ai «fundamentals improved», tale punto non rimetterebbe assolutamente in discussione la constatazione principale della Commissione riguardo all’esistenza dei «fundamentals». L’argomento secondo il quale i riferimenti ai «fundamentals improved» attengono all’entrata in vigore della direttiva 90/531 sarebbe inverosimile alla luce dell’insieme dei mezzi di prova documentali invocati nella decisione impugnata, segnatamente della nota Riunione 24.07.90.

b)     Giudizio del Tribunale

Osservazioni preliminari

173
In via preliminare, per quanto riguarda la produzione della prova di un’infrazione all’art. 81, n. 1, CE, occorre ricordare che la Commissione deve fornire la prova delle infrazioni che essa constata e produrre gli elementi di prova idonei a dimostrare l’esistenza dei fatti che integrano l’infrazione (sentenze Baustahlgewebe/Commissione, cit. supra al punto 56, punto 58 e Commissione/Anic Partecipazioni, cit. supra al punto 56, punto 86).

174
Inoltre, nell’ambito di un ricorso di annullamento proposto ai sensi dell’art. 230 CE il giudice comunitario è tenuto solo a controllare la legittimità dell’atto impugnato.

175
In tal modo, il ruolo del giudice investito di un ricorso di annullamento diretto contro una decisione della Commissione che constata l’esistenza di un’infrazione alle norme della concorrenza e che infligge ammende ai destinatari consiste nel valutare se le prove e altri elementi fatti valere dalla Commissione nella sua decisione siano sufficienti a dimostrare l’esistenza dell’infrazione contestata (v., in tal senso, sentenza PVC II, cit. supra al punto 61, punto 891).

176
Ne consegue che la Commissione non può far valere, a sostegno della decisione impugnata, nuovi elementi di prova a carico non contenuti nella stessa. Tuttavia, se le ricorrenti tentano di dimostrare, sulla base di altri documenti che esse hanno depositato presso il Tribunale, che la tesi della Commissione è erronea in fatto, la Commissione può rispondere ai loro argomenti facendo riferimento ai documenti in questione.

177
Inoltre, qualora il giudice nutra un qualsivoglia dubbio, tale circostanza deve avvantaggiare l’impresa destinataria della decisione che constata un’infrazione (v., in tal senso, sentenza United Brands/Commissione, cit. supra al punto 56, punto 265). Il giudice non può quindi concludere che la Commissione ha sufficientemente dimostrato l’esistenza dell’infrazione in questione qualora egli nutra ancora dubbi in merito a tale questione, in particolare nell’ambito di un ricorso diretto all’annullamento di una decisione che infligge un’ammenda.

178
Infatti, in quest’ultima situazione, è necessario tener conto del principio della presunzione d’innocenza, quale risulta in particolare dall’art. 6, n. 2, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU), il quale fa parte dei diritti fondamentali che, secondo la giurisprudenza della Corte, riaffermata peraltro dal preambolo dell’Atto unico europeo, dall’art. 6, n. 2, del Trattato sull’Unione europea, nonché dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 (GU C 364, pag. 1), sono oggetto di tutela nell’ordinamento giuridico comunitario. Considerata la natura delle infrazioni di cui trattasi nonché la natura e il grado di severità delle sanzioni che vi sono connesse, il principio della presunzione d’innocenza si applica segnatamente alle procedure relative a violazioni delle norme sulla concorrenza applicabili alle imprese che possono sfociare nella pronuncia di multe o ammende (v., in tal senso, in particolare, sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo 21 febbraio 1984, Öztürk, serie A n. 73, e 25 agosto 1987, Lutz, serie A n. 123‑A; sentenze della Corte 8 luglio 1999, causa C‑199/92 P, Hüls/Commissione, Racc. pag. I‑4287, punti 149 e 150, e causa C‑235/92 P, Montecatini/Commissione, Racc. pag. I‑4539, punti 175 e 176).

179
Così, come ricordato correttamente dalle ricorrenti giapponesi è necessario che la Commissione produca elementi probatori precisi e concordanti che corroborino la ferma convinzione che l’infrazione sia stata commessa (v., in tal senso, sentenze CRAM e Rheinzink/Commissione, cit. supra al punto 57, punto 20, e Pâte de bois II, cit. supra al punto 56, punto 127; sentenze SIV e a./Commissione, cit. supra al punto 57, punti 193‑195, 198‑202, 205‑210, 220‑232, 249, 250 e 322‑328, e Volkswagen/Commissione, cit. supra al punto 57, punti 43 e 72).

180
Tuttavia, occorre sottolineare che non tutte le prove prodotte dalla Commissione devono necessariamente rispondere a tali criteri con riferimento ad ogni elemento dell’infrazione. È sufficiente che il complesso degli indizi invocato dall’istituzione, valutato globalmente, risponda a tale requisito (v., in tal senso, sentenza PVC II, cit. supra al punto 61, punti 768‑778, in particolare il punto 777, confermata sul punto pertinente dalla Corte, in fase d’impugnazione, nella sua sentenza 15 ottobre 2002, cause riunite C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, Racc. pag. I‑8375, punti 513‑523).

181
Occorre ricordare, peraltro, che secondo una costante giurisprudenza dal testo stesso dell’art. 81, n. 1, CE deriva che gli accordi tra imprese sono vietati indipendentemente dai loro effetti, qualora abbiano un oggetto anticoncorrenziale (v., in particolare, sentenza Commissione/Anic Partecipazioni, cit. supra al punto 56, punto 123). Orbene, nella fattispecie, la Commissione si è basata principalmente sull’oggetto restrittivo di concorrenza dell’accordo sanzionato all’art. 1 della decisione impugnata. Peraltro essa ha dedotto, in particolare ai punti 62‑67 della stessa, numerosi elementi di prova documentale che dimostrano, a suo avviso, sia l’esistenza di questo accordo che il suo oggetto restrittivo.

182
Questa circostanza comporta potenzialmente notevoli conseguenze per quanto riguarda la prima parte del presente motivo, relativa in sostanza all’assenza di effetti anticoncorrenziali risultanti dall’infrazione sanzionata all’art. 1 della decisione impugnata (v. punto 55, prima frase, supra).

183
In primo luogo è giocoforza constatare che l’argomento delle ricorrenti giapponesi relativo alla mancanza di effetti dell’accordo in questione, supponendolo fondato, non può comportare in via di principio, di per sé, l’annullamento dell’art. 1 della decisione impugnata (v., in tal senso, sentenza della Corte 11 gennaio 1990, causa C‑277/87, Sandoz Prodotti Farmaceutici/Commissione, Racc. pag. I‑45, e sentenza del Tribunale 6 aprile 1995, causa T‑143/89, Ferriere Nord/Commissione, Racc. pag. II‑917, punto 30).

184
Per quanto riguarda il caso specifico degli accordi che, come quello considerato dalla Commissione nel caso di specie, sono diretti alla protezione dei mercati nazionali, il Tribunale, nella sua sentenza Cemento, cit. sopra al punto 66 (punti 1085‑1088), ha affermato, da una parte, che essi hanno un oggetto restrittivo della concorrenza di per sé e che rientrano in una categoria espressamente vietata dall’art. 81, n. 1, CE e, dall’altra, che tale oggetto, che nella fattispecie era dimostrato in modo incontestabile da prove documentali, non può essere giustificato da un’analisi del contesto economico in cui si inserisce il comportamento anticoncorrenziale in questione.

185
Occorre rilevare, al riguardo, che sarebbe indifferente, per quanto riguarda l’esistenza dell’infrazione, che la conclusione dell’accordo a scopo anticoncorrenziale considerato dalla Commissione all’art. 1 della decisione impugnata sia stata oppure no nell’interesse commerciale delle ricorrenti giapponesi se, sulla base degli elementi di prova figuranti nel fascicolo della Commissione, viene dimostrato che esse hanno effettivamente concluso il detto accordo.

186
In secondo luogo, è giocoforza rilevare che l’argomento relativo al fatto che le ricorrenti giapponesi avrebbero dimostrato l’esistenza di circostanze che mettono in una luce diversa i fatti dimostrati dalla Commissione e che consentono in tal modo di sostituire una diversa spiegazione plausibile dei fatti a quella adottata dalla Commissione per concludere per l’esistenza di una violazione delle norme di concorrenza comunitarie (sentenze CRAM e Rheinzink/Commissione, cit. supra al punto 57, punto 16; Pâte de bois II, cit. supra al punto 56, punti 126 e 127, e PVC II, cit. supra al punto 61, punto 725) è irrilevante nella fattispecie. Infatti, occorre constatare che la giurisprudenza su cui si fonda tale argomento si riferisce alla situazione in cui la Commissione si basa unicamente sul comportamento delle imprese in questione sul mercato per concludere per l’esistenza di un’infrazione (v., in tal senso, sentenza PVC II, punto 61, supra, punti 727 e 728).

187
Orbene, come è appena stato rilevato, la Commissione ha fatto valere elementi di prova documentali a sostegno del suo accertamento dell’esistenza di un accordo anticoncorrenziale. Ne consegue che la giurisprudenza invocata dalle ricorrenti giapponesi può essere rilevante nella fattispecie solo nel caso in cui la Commissione non fosse riuscita a dimostrare l’esistenza dell’infrazione in base alle prove documentali che essa fa valere. Ciò premesso le ricorrenti che chiedono al Tribunale di annullare l’art. 1 della decisione impugnata sono tenute non semplicemente a presentare un’alternativa plausibile alla tesi della Commissione, ma anche a sollevare l’insufficienza delle prove prese in considerazione nella decisione impugnata per dimostrare l’esistenza dell’infrazione (v., in tal senso, sentenza PVC II, cit. supra al punto 61, punto 728).

188
Alla luce di quanto precede, occorre esaminare insieme le prime due parti del presente motivo, in quanto la prima parte è subordinata alla seconda relativa alla forza probatoria delle prove documentali. La terza parte del motivo verrà poi trattata autonomamente.

Sulla seconda parte del motivo, vertente sulla mancanza di forza probatoria degli elementi di prova e, in subordine, sulla prima parte, vertente sulla pretesa incompatibilità dell’accordo allegato con la situazione esistente sul mercato offshore britannico e sugli altri mercati

–     Dichiarazioni del sig. Verluca

189
Occorre innanzi tutto rilevare che la Commissione, sia nella decisione impugnata (v., in particolare, punto 131) sia nelle sue memorie nelle presenti cause, si basa in gran parte sulla dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996 come completata dalla sua dichiarazione 14 ottobre 1996 e dal documento intitolato «Ispezione svoltasi presso la Vallourec» (in prosieguo, considerati congiuntamente: le «dichiarazioni del sig. Verluca»). Infatti, l’importanza delle dichiarazioni del sig. Verluca risiederebbe nel fatto che queste sono gli unici elementi di prova che dimostrano tutti gli aspetti dell’infrazione, in particolare la sua durata e i prodotti interessati.

190
Dalla dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996 emerge che i mercati nazionali delle partecipanti all’accordo, designato dal termine «fundamentals», «beneficiavano di una protezione», ad eccezione del mercato offshore del Regno Unito che era «semiprotetto», in quanto «un concorrente doveva contattare il produttore locale di tubi per l’industria petrolifera [la Corus] prima di presentare la sua offerta» (v. punti 53 e 62 della decisione impugnata). I prodotti interessati da tale accordo, secondo la sua dichiarazione 17 settembre 1996, erano «i tubi filettati standard (i tubi filettati premium non erano inclusi) e [i linepipe “project”]» (v. punto 56 della decisione impugnata). Anche la durata dell’accordo vi è precisata in quanto il sig. Verluca afferma: «[c]es échanges ont commencé après la chute du marché de 1977» (Queste riunioni hanno avuto inizio dopo il collasso del mercato del 1977) (punto 55 della decisione impugnata) e che esse «erano terminate da poco più di un anno» (punto 96 della decisione impugnata). Quanto alle modalità pratiche dell’accordo, il sig. Verluca descrive un sistema di riunioni tenute in linea di massima due volte all’anno (punto 60 della decisione impugnata).

191
La Commissione osserva, al punto 57 della decisione impugnata, che il sig. Verluca, nella sua dichiarazione 14 ottobre 1996, ha precisato che i «partecipanti abituali» alle riunioni erano «per l’Europa: la [Corus] (sino alla cessazione della sua attività OCTG), la Dalmine, la Mannesmann e la Vallourec; per il Giappone: la [JFE-NKK], la [JFE]-Kawasaki, la [Nippon] e la [Sumitomo]». Peraltro, come rilevato dalla Commissione al punto 60 della decisione impugnata, il sig. Verluca ha fornito, non nella sua dichiarazione 17 settembre 1996, come affermato dalla Commissione, ma all’allegato 2 della sua dichiarazione 14 ottobre 1996, un elenco di cinque riunioni del club Europa-Giappone, il 14 aprile 1992 a Firenze, il 23 ottobre 1992 a Tokyo, il 19 maggio 1993 a Parigi, il 5 novembre 1993 a Tokyo ed il 16 marzo 1994 a Cannes.

192
Al riguardo nessuna norma né alcun principio generale del diritto comunitario impediscono alla Commissione di avvalersi, contro un’impresa, delle dichiarazioni di altre imprese incriminate (sentenza PVC II, cit. supra al punto 61, punti 109 e 512). Se ciò non fosse, l’onere della prova dei comportamenti contrari agli artt. 81 CE e 82 CE, che incombe alla Commissione, sarebbe insostenibile e incompatibile con il compito di vigilanza sulla corretta applicazione di tali disposizioni ad essa attribuita dal Trattato CE (sentenza PVC II, cit. supra al punto 61, punto 512).

193
Nella fattispecie occorre chiarire, di primo acchito, il senso del termine «échanges» usato nella dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996. Come rilevato dalla Commissione è manifesto che la traduzione di tale termine con la parola inglese «trade» nella nota a piè di pagina n. 10 della versione inglese della decisione impugnata è sbagliata e che tale termine in realtà indica che vi sono stati contatti tra i produttori giapponesi ed europei di tubi d’acciaio. È quindi a ragion veduta che la Commissione ha fatto valere la frase in cui si inserisce tale termine, citata supra al punto 190, nell’ambito della sua descrizione dell’accordo contestato ai produttori giapponesi ed europei.

194
Occorre constatare poi che le ricorrenti giapponesi non negano che abbiano avuto luogo riunioni tra rappresentanti dei produttori giapponesi ed europei di tubi d’acciaio senza saldatura (v. punto 131 della decisione impugnata). Inoltre, la JFE-NKK, la JFE-Kawasaki e la Sumitomo non negano di aver partecipato a tali riunioni, ma affermano che le sole informazioni di cui dispongono su di esse provengono dai ricordi dei loro impiegati, ricordi alquanto deboli se si tiene conto del tempo passato da tali riunioni.

195
Quanto alla Nippon, essa afferma che, a sua conoscenza, nessuno dei suoi attuali impiegati ha assistito a tali riunioni, ma precisa di non poter escludere che taluni suoi ex-impiegati vi abbiano assistito. Tuttavia, un dettaglio fornito dalla risposta della Nippon del 4 dicembre 1997 ai quesiti supplementari posti dalla Commissione, vale a dire il fatto che il sig. [X], responsabile delle esportazioni di tubi di acciaio, si sia recato a Cannes per una missione dal 14 al 17 marzo 1994, accredita la tesi della Commissione relativa alla partecipazione della Nippon alle riunioni in questione, poiché una delle riunioni del club Europa-Giappone, menzionate dal sig. Verluca si è svolta a Cannes il 16 marzo 1994 (punto 60 della decisione impugnata). Nella medesima risposta, la Nippon afferma di non essere in grado di spiegare lo scopo di questa missione né quello di altre missioni dei suoi impiegati a Firenze, poiché essa non aveva clienti in tali due città.

196
Ciò premesso, la Commissione ha concluso correttamente che le ricorrenti giapponesi nominate dal sig. Verluca nella sua dichiarazione 14 ottobre 1996 (v. supra punto 191), inclusa la Nippon, hanno effettivamente partecipato alle riunioni del club Europa-Giappone descritte dallo stesso.

197
Le quattro ricorrenti giapponesi negano tuttavia che sia stato concluso un accordo di ripartizione dei mercati giapponesi ed europei durante tali riunioni. In particolare la JFE-NKK, la JFE-Kawasaki e la Sumitomo sostengono che le dette riunioni avevano ad oggetto soprattutto questioni di ordine generale o relative ai mercati di paesi terzi come la Russia e la Cina.

198
In tale fase, la controversia tra la Commissione e le ricorrenti giapponesi riguarda la questione se i produttori giapponesi ed europei durante tali riunioni abbiano concluso un accordo illecito di protezione reciproca dei mercati nazionali per quanto riguarda i due prodotti menzionati all’art. 1 della decisione impugnata, vale a dire i tubi OCTG standard ed i linepipe «project».

199
Al riguardo, le ricorrenti giapponesi fanno valere che le dichiarazioni del sig. Verluca sono troppo vaghe per costituire elementi di prova, seppur deboli, dell’esistenza dell’accordo di ripartizione dei mercati constatato dalla Commissione. In particolare, esse rilevano che la descrizione fornita dal sig. Verluca del sistema di protezione parziale del mercato offshore del Regno Unito, ai termini del quale «[i]l Regno Unito (off shore) era considerato semiprotetto, nel senso che un concorrente doveva contattare il produttore locale di tubi per l’industria petrolifera prima di presentare la sua offerta [e che t]ale regola veniva più o meno rispettata», non è precisa e non corrisponde alla realtà in quanto non è stata corroborata da nessun altro documento prodotto dalla Commissione. Inoltre, secondo le ricorrenti giapponesi, vi è una contraddizione tra la posizione adottata dalla Commissione al punto 62 della decisione impugnata, sulla base della dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996, secondo cui il mercato offshore del Regno Unito era solo semiprotetto, e i punti 101 e 102 della decisione impugnata che descrivono un sistema di ripartizione dei mercati senza sfumature.

200
Basta constatare, per quanto riguarda quest’ultima censura, che i detti punti 101 e 102 descrivono l’oggetto anticoncorrenziale dei «fundamentals» in modo generale, nell’ambito della valutazione giuridica effettuata dalla Commissione dell’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata, e devono essere letti alla luce del punto 62 che, nel contesto di una descrizione dettagliata del funzionamento dei «fundamentals» e alla luce delle prove documentali raccolte, aveva già esposto il fatto che il mercato offshore del Regno Unito aveva uno status particolare. Di conseguenza, l’argomento delle ricorrenti giapponesi al riguardo deve essere respinto.

201
Quanto all’argomento secondo cui le riunioni del club Europa-Giappone non hanno mai avuto ad oggetto i mercati comunitari, occorre rilevare che, se, secondo il sig. Verluca, i «grandi avvenimenti che incidono sul mercato dei prodotti petroliferi [VRA americano, sconvolgimenti politici in URSS, sviluppo della Cina (…)]» venivano discussi durante tali riunioni, ciò non esclude che l’«applicazione dei “Fundamentals” menzionati sopra» vi fosse parimenti «accertata». Così, dalla dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996 emerge che l’applicazione dei «fundamentals» che implicano, in particolare, il rispetto dei quattro mercati nazionali dei produttori comunitari da parte delle ricorrenti giapponesi è uno dei soggetti discussi durante tali riunioni.

202
Occorre ricordare, a tale proposito, che la missione della Commissione è il sanzionamento delle infrazioni all’art. 81, n. 1, CE e che gli accordi consistenti nel «ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento» sono espressamente menzionati all’art. 81, n. 1, lett. c), CE, in quanto vietati ai sensi di tale disposizione. È sufficiente quindi che la Commissione dimostri che un accordo tra imprese che possa incidere sul commercio tra Stati membri abbia avuto come oggetto o effetto la ripartizione tra di esse dei mercati comunitari di uno o più prodotti perché tale accordo costituisca un’infrazione.

203
Occorre inoltre rilevare che, in pratica, la Commissione è spesso tenuta a provare l’esistenza di un’infrazione in condizioni poco favorevoli a tale compito, in quanto possono essere passati diversi anni dall’epoca dei fatti costitutivi dell’infrazione e diverse tra le imprese oggetto della verifica non hanno collaborato attivamente con la stessa. Anche se spetta necessariamente alla Commissione dimostrare che è stato concluso un accordo illecito di ripartizione dei mercati (v. supra punti 177 e 178), sarebbe eccessivo richiedere che essa fornisca inoltre la prova del meccanismo specifico mediante il quale doveva essere raggiunto tale scopo (v, per analogia, sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑310/94, Gruber + Weber/Commissione, Racc. pag. II‑1043, punto 214). Infatti un’impresa colpevole di un’infrazione potrebbe sfuggire troppo facilmente a qualsiasi sanzione se potesse appellarsi alla vaghezza delle informazioni presentate quanto al funzionamento di un accordo illecito in una situazione in cui l’esistenza dell’accordo ed il suo scopo anticoncorrenziale sono tuttavia sufficientemente dimostrati. Le imprese possono difendersi utilmente in una tale situazione, a condizione che abbiano la possibilità di commentare tutti gli elementi di prova dedotti a loro carico dalla Commissione.

204
Peraltro, la Commissione invoca la sentenza Cemento, cit. supra al punto 66 (punto 1838), per sostenere che essa può, se necessario, basarsi su un unico documento per dimostrare l’esistenza di un’infrazione, purché il valore probatorio dello stesso non dia adito a dubbi e attesti in modo certo l’esistenza dell’infrazione. A suo avviso, sarebbe possibile applicare tale regola alle dichiarazioni del sig. Verluca nelle circostanze del caso di specie.

205
Al riguardo, occorre considerare che, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti giapponesi, le dichiarazioni del sig. Verluca oltre ad essere affidabili hanno un valore probatorio particolarmente elevato poiché sono state rese a nome della Vallourec. Orbene, le risposte date a nome di un’impresa in quanto tale godono di una credibilità superiore a quella che potrebbe presentare la risposta fornita da un suo dipendente, indipendentemente dall’esperienza e dall’opinione personali di quest’ultimo (v., anche se in fase di impugnazione, sentenza del Tribunale 20 marzo 2002, causa T‑23/99, LR AF 1998/Commissione, Racc. pag. II‑1705, punto 45).

206
Parimenti, la deliberatezza e la serietà delle dichiarazioni del sig. Verluca sono rafforzate dalla circostanza secondo la quale egli, in quanto presidente della Vallourec Oil & Gas, aveva l’obbligo professionale di agire nell’interesse di tale società. Egli non poteva, quindi, confessare alla leggera l’esistenza di un’infrazione senza soppesare le conseguenze di tale atto, e da nessun elemento del fascicolo emerge un inadempimento al suo dovere a tale riguardo.

207
In ogni caso, il sig. Verluca è stato testimone diretto delle circostanze da egli esposte. Infatti, la Commissione ha affermato, segnatamente al punto 28 del suo controricorso, nella causa T‑67/00, senza essere contraddetta al riguardo, che il sig. Verluca, nella sua qualità di presidente della Vallourec Oil & Gas, aveva partecipato egli stesso a riunioni del club Europa-Giappone.

208
Per di più, occorre rilevare che il sig. Verluca ha risposto con una dichiarazione scritta ai quesiti orali degli agenti della Commissione durante l’accertamento del 17 settembre 1996, i quali gli avevano chiesto di commentare documenti, in maggioranza redatti dallo stesso, sequestrati dalla Commissione precedentemente, cioè durante l’accertamento del 1º e 2 dicembre 1994. Il sig. Verluca ha poi confermato e completato le informazioni già fornite nella sua dichiarazione 14 ottobre 1996 nonché, nuovamente per iscritto, in occasione di un nuovo accertamento effettuato il 18 dicembre 1997. La sua dichiarazione 14 ottobre 1996 è stata resa in risposta ad una richiesta di informazioni che egli afferma di aver ricevuto il 30 settembre 1996, ed è stata inviata alla Commissione con copia ad un avvocato, il sig. Winckler dello studio Cleary, Gottlieb, Steen & Hamilton. 

209
Inoltre il sig. Verluca, al momento dell’accertamento del 17 settembre 1996, sapeva da oltre 18 mesi che la Commissione era in possesso di documenti da egli redatti relativi a contatti con taluni concorrenti, in particolare con la Corus. Egli aveva avuto quindi l’occasione di riflettere sulla risposta da dare nel caso in cui la Commissione gli avesse sottoposto quesiti relativi a tali elementi Quanto alla dichiarazione 14 ottobre 1996, il sig. Verluca ha beneficiato di un termine di due settimane per prepararla.

210
Da tutte queste circostanze emerge che il sig. Verluca ha reso le sue dichiarazioni deliberatamente e in seguito ad un’attenta riflessione. È giocoforza rilevare che esse sono tanto più affidabili.

211
Peraltro, la Commissione rileva correttamente che poiché le dichiarazioni sono contrarie agli interessi del dichiarante esse devono essere considerate, in linea di principio, come elementi di prova particolarmente affidabili. Orbene, nella fattispecie, le dichiarazioni del sig. Verluca erano chiaramente in contrasto con gli interessi della Vallourec, che egli rappresentava, dato che la Commissione aveva avviato un’indagine nei confronti di quest’ultima.

212
In particolare, occorre considerare che il fatto che una persona alla quale si chiede di commentare taluni documenti, come è stato fatto con il sig. Verluca dagli agenti della Commissione, confessi di aver commesso un’infrazione e ammetta in tal modo l’esistenza di fatti che oltrepassano quelli la cui esistenza poteva essere dedotta direttamente dai documenti di cui trattasi implica a priori, in assenza di circostanze particolari che indichino il contrario, che questa persona si è decisa a dire la verità.

213
Le ricorrenti giapponesi contestano tale logica sostenendo, in particolare che, nella fattispecie, gli impiegati dei produttori europei che hanno effettuato dichiarazioni nella loro qualità di rappresentanti delle medesime avevano tutto l’interesse a «contenere i danni», in particolare ammettendo l’esistenza di un accordo con i produttori giapponesi allo scopo di distogliere l’attenzione della Commissione dal vero significato dei «fundamentals», finalizzati a una ripartizione dei mercati europei tra i produttori europei, infrazione ben più grave.

214
Tuttavia, la circostanza che i produttori europei abbiano ammesso l’esistenza di un accordo di ripartizione dei mercati con i produttori giapponesi non serviva necessariamente a nascondere l’esistenza di un accordo di ripartizione dei mercati europei tra di essi. Peraltro, non è verosimile che la Vallourec, mediante il sig. Verluca, abbia ammesso l’esistenza di un’infrazione, pur dissimulando l’esistenza di un’infrazione simile, basata d’altra parte su taluni fatti da essa confessati, ma diversa dal punto di vista geografico da quella che era stata ammessa. Infatti, è giocoforza constatare che una persona che agisse in tal modo si esporrebbe, nel caso in cui la Commissione dovesse provare i fatti reali, al grave rischio di aver aiutato la stessa a dimostrare l’esistenza di un’infrazione da essa commessa senza tuttavia beneficiare di una sostanziale riduzione dell’ammenda a titolo di collaborazione.

215
Di conseguenza, la tesi avanzata, al riguardo, dalle ricorrenti giapponesi non è convincente e non può mettere in discussione l’affidabilità delle dichiarazioni del sig. Verluca. Quanto all’argomento della JFE-Kawasaki relativo alla circostanza che il sig Verluca si sarebbe limitato a commentare un solo documento nella sua dichiarazione 17 settembre 1996, vale a dire la nota Osservazioni, basta constatare che tale dichiarazione, che d’altronde non menziona la detta nota, si riferisce esplicitamente all’esistenza di un accordo generalizzato di ripartizione dei mercati per due tipi di prodotti specifici. Ciò premesso, non vi è alcuna ragione di ritenere che il sig. Verluca si sia limitato, nella sua dichiarazione, a commentare quest’unico documento e, in tal modo, di relativizzare la portata della stessa.

216
Per quanto riguarda il documento Ispezione svoltasi presso la Vallourec, la JFE‑Kawasaki sostiene che il sig. Verluca vi ha affermato che gli altri mercati offshore di cui nella decisione impugnata, vale a dire i mercati diversi da quello del Regno Unito, non erano considerati mercati nazionali ai sensi dei «fundamentals». È sufficiente rilevare al riguardo che il sig. Verluca ha reso la dichiarazione in questione in risposta al quesito seguente posto dalla Commissione: «Qual era lo status dei diversi mercati offshore (Olanda, Danimarca, Regno Unito, Norvegia, Cina) [?]». Ciò premesso, è manifesto che tale affermazione significa solo che i mercati olandese, danese, norvegese e cinese non erano mercati nazionali e che essa era del tutto irrilevante per quanto riguarda lo status dei mercati offshore tedesco, francese e italiano.

217
Quanto all’argomento della Sumitono relativo al riferimento, nel documento Ispezione svoltasi presso la Vallourec, al fatto che la chiave di ripartizione si applicasse «solo ai prodotti standard» per cui i linepipe, prodotti non standard, non ne erano interessati, occorre rilevare che, effettuando tale affermazione, il sig. Verluca rispondeva specificamente ad un quesito relativo al verbale del colloquio con JF. Orbene, da una lettura di tale verbale emerge che esso si riferisce solo ai tubi OCTG e non ai linepipe, circostanza che fa supporre che le spiegazioni del sig. Verluca riguardino solo i tubi OCTG.

218
In ogni caso, pur supponendo che tale affermazione del sig. Verluca riguardi non solo i tubi OCTG, per i quali egli aveva già precisato nella sua dichiarazione 17 settembre 1996 che solo i prodotti standard erano interessati dall’infrazione, ma anche i linepipe, emerge dai termini della detta dichiarazione che la protezione dei mercati nazionali dei produttori membri del club Europa-Giappone ed il sistema di chiave di ripartizione applicabile ai mercati di paesi terzi costituivano due aspetti distinti dei «fundamentals». Di conseguenza, tale precisazione, che riguarda esclusivamente i mercati di paesi terzi, non inficia la tesi essenziale della Commissione secondo cui non solo i tubi OCTG standard, ma anche i linepipe «project» erano oggetto della ripartizione dei mercati nazionali dei membri del club Europa-Giappone. Occorre inoltre sottolineare che il sig. Verluca non è mai tornato sulla sua affermazione secondo cui i linepipe erano interessati dall’accordo illecito.

219
Inoltre, occorre ricordare che secondo la giurisprudenza del Tribunale la dichiarazione di un’impresa accusata di aver partecipato ad un’intesa, la cui esattezza viene contestata da varie altre imprese accusate, non può essere considerata una prova sufficiente dell’esistenza di un’infrazione commessa da queste ultime senza essere suffragata da altri elementi di prova (v., in tal senso, sentenza Enso-Gutzeit/Commissione, cit. supra al punto 58, punto 91). Occorre così concludere che, nonostante la loro affidabilità, le dichiarazioni del sig. Verluca devono essere corroborate da altri elementi di prova per dimostrare l’esistenza dell’infrazione sanzionata all’art. 1 della decisione impugnata.

220
Occorre tuttavia considerare che il grado di corroborazione richiesto nella fattispecie, sia in termini di precisione che in termini d’intensità, a causa dell’affidabilità delle dichiarazioni del sig. Verluca, è minore di quanto lo sarebbe se queste non fossero particolarmente credibili. Occorre in tal modo considerare che, se dovesse essere affermato che un complesso di indizi concordanti consentiva di corroborare l’esistenza e taluni aspetti specifici dell’accordo di ripartizione dei mercati richiamato dal sig. Verluca e menzionato all’art. 1 della decisione impugnata, le dichiarazioni di quest’ultimo potrebbero bastare di per sé, in tal caso, ad attestare altri aspetti della decisione impugnata ai sensi della regola derivante dalla sentenza Cemento, cit. supra al punto 66 (punto 1838), e fatta valere dalla Commissione (v. supra, punto 204). Inoltre, purché un documento non contrasti manifestamente con le dichiarazioni del sig. Verluca sull’esistenza o il contenuto essenziale dell’accordo di ripartizione dei mercati, è sufficiente che esso attesti elementi significativi dell’accordo da esso descritto per avere un certo valore a titolo di elemento di corroborazione nell’ambito del complesso delle prove dedotte a carico (v. supra, punto 180 e giurisprudenza cit.).

221
Alla luce di quanto precede, occorre valutare successivamente gli altri elementi di prova fatti valere dalla Commissione nella decisione impugnata, in particolare ai punti 62‑67 e 100 della stessa, nonché taluni altri documenti che figurano nel fascicolo della Commissione in quanto sono stati commentati dalle parti dinanzi al Tribunale nell’ambito delle loro osservazioni sull’affidabilità degli elementi invocati espressamente nella decisione impugnata.

–     Note della Vallourec

222
Al punto 67 della decisione impugnata, la Commissione fa valere la nota Colloquio BSC, non datata, ma che risalirebbe al giugno 1990, e fa riferimento ad altre due note, vale a dire la nota Riunione 24.07.90 firmata dal sig. Verluca e quella del 1º giugno 1990, intitolata «Rinnovo contratto VAM BSC». La Commissione, al punto 67 della decisione impugnata, cita il seguente passaggio della nota Colloquio BSC:

«L’analyse de [Vallourec] est qu’il ne faut pas ouvrir la porte aux Jap[onai]s en les favorisant d’un british content. Il faut jouer les fondamentals à fond, la première démarche étant d’écrire via le pt du Club aux pt Jap pour signaler les implantations des [Japonais] en UK. Il paraît ambitieux d’imaginer que [Corus] puisse organiser un sharing key en PJ japonais alors que SMI se casse les dents sur ce point depuis de longs mois.» (L’analisi della [Vallourec] è che non si deve aprire la porta ai giapponesi favorendoli con un british content. I fundamentals vanno usati fino in fondo. La prima tappa è quella di scrivere ai pt giapponesi, mediante i pt del Club, per segnalare gli impianti [giapponesi] nel Regno Unito. Sembra ambizioso pensare che [la Corus] possa organizzare uno sharing key in PJ giapponese mentre SMI insiste da mesi su tale punto).

223
Il seguente passaggio della nota Riunione 24.07.90 figura al punto 78 della decisione impugnata, relativo all’infrazione constatata all’art. 2 della medesima:

«[Mannesmann] est le seul producteur européen qui fasse peur aux Japonais et qui puisse donc imposer un respect des “fundamentals improved”. [Mannesmann] aurait un intérêt à la défense des “fundamentals” sur le UK puisqu’il fournirait une partie des [tubes lisses] après l’arrêt de Clydesdale» (La [Mannesmann] è il solo produttore europeo che faccia paura ai giapponesi e che possa quindi imporre il rispetto dei «fundamentals improved». [La Mannesmann] avrebbe interesse alla difesa dei «fundamentals» nel Regno Unito poiché essa, in seguito alla sentenza Clydesdale, fornirebbe una parte dei [tubi lisci]).

224
Secondo un altro passaggio della stessa nota, citato nello stesso punto:

«[Corus] e [Vallourec] s’accordent pour dire que ce renforcement de la CEE est jouable et doit aboutir à des ‘fundamentals improved’ qui interdiraient aux Japonais l’accès du UK même après que Clydesdale aurait été fermé. [Philip Varley de Corus] ajoute qu’un respect à 100 % des “fundamentals” en UK est impossible mais que si les exceptions ne dépassent pas 15 000 tonnes par an, la situation sera supportable. [Corus] évoque toutefois la possibilité d’acheter des [tubes lisses] à UTM, SIDERCA et TAMSA [producteurs d’Amérique latine] pour éviter leur concurrence sauvage.» [La Corus] e [la Vallourec] concordano nel dichiarare che tale rafforzamento della CEE è fattibile e deve culminare nei «fundamentals improved» che vieterebbero ai giapponesi l’accesso al Regno Unito anche dopo la chiusura di Clydesdale. [Philip Varley della Corus] aggiunge che un rispetto al 100% dei «fundamentals» nel Regno Unito è impossibile ma che se le deroghe non superano le 15 000 tonnellate all’anno, la situazione sarà sopportabile. Tuttavia, [la Corus] evoca la possibilità di acquistare [tubi lisci] dalla UTM, dalla SIDERCA e dalla TAMSA [produttori dell’America latina] per evitare la loro concorrenza selvaggia).

225
Nei motivi della decisione impugnata relativi all’esistenza dell’infrazione constatata all’art. 2 della decisione impugnata (punto 80), la Commissione ha inoltre citato il seguente passaggio della nota Riflessioni sul contratto VAM:

«(...) si (...) on peut obtenir des Japonais qu’ils n’interviennent pas sur le marché UK, et que le problème se règle entre Européens. Dans ce cas on partagerait effectivement les tubes lisses entre [Mannesmann], [Vallourec] et Dalmine. Dans ce scénario II, on aurait probablement intérêt à lier les ventes de [Vallourec] à la fois au prix et au volume du VAM vendu par [Corus].» [(…) se (...) si può ottenere che i giapponesi non intervengano sul mercato britannico e che il problema si risolva fra europei. In tal caso si suddividerebbero effettivamente i tubi lisci fra [Mannesmann], [Vallourec] e Dalmine. In questa seconda ipotesi avremmo probabilmente interesse a collegare le vendite di [Vallourec] al prezzo e al volume del VAM venduto da (Corus)].

226
Nello stesso punto, la Commissione cita anche una frase tratta dalla nota Riflessioni strategiche, che riproduce le condizioni prese in considerazione nello scenario di cui alla citazione precedente:

«[Mannesmann]/DALMINE/[Vallourec] obtiennent que [Corus] achète ses tubes lisses en priorité aux Européens que se répartissent cette fourniture selon une règle stricte.» ([Mannesmann]/DALMINE/[Vallourec] ottengono che [Corus] acquisti i suoi tubi lisci prioritariamente dagli europei, che si ripartiscono questa fornitura secondo una regola rigorosa).

227
Peraltro, secondo un altro passaggio della nota Riflessioni strategiche, citata dalla Commissione nella parte della decisione impugnata relativa agli aspetti dei «fundamentals» che pregiudicano i mercati dei paesi terzi (punto 73), «[p]our obtenir que les Japonais ne touchent pas au UK, il est à craindre que les Européens aient à donner quelque chose en échange (FAR EAST, MIDDLE EAST, révision du pourcentage mondial…).» [p]er ottenere che i giapponesi non giungano nel Regno Unito è da temere che gli europei debbano dare qualcosa in cambio (FAR EAST, MIDDLE EAST, revisione della percentuale mondiale …)].

228
Tali passaggi delle note della Vallourec corroborano direttamente e univocamente l’affermazione contenuta nelle dichiarazioni del sig. Verluca relative all’esistenza di «fundamentals». Come rilevato dalla Commissione nelle sue memorie, da tali note emerge chiaramente che queste regole erano ben definite, in quanto potevano essere comprese dagli impiegati della Vallourec, che ne erano gli autori, e dai destinatari, senza bisogno di maggiori descrizioni.

229
Per di più, se le note della Vallourec non descrivono esplicitamente la natura dei «fundamentals» ne deriva chiaramente che i produttori giapponesi dovevano «rispettare» tali regole e che la «paura» che la Mannesmann incuteva era un mezzo che poteva assicurare tale «rispetto», in particolare «nel Regno Unito». Tale constatazione è confermata dal fatto che, secondo la nota Riunione 24.07.90 la nuova versione dei «fundamentals» prevista dalla Vallourec e dalla Corus, denominata «fundamentals improved» (perfezionamento delle regole di base dell’accordo), «vieterebb[e] ai giapponesi l’accesso al Regno Unito anche dopo la chiusura [della fabbrica della Corus a] Clydesdale».

230
Ciò premesso, occorre considerare che tali note corroborano la descrizione dei «fundamentals», contenuta nelle dichiarazioni del sig. Verluca, secondo cui tali regole implicavano, in via di principio, la protezione, nei confronti dei produttori giapponesi, dei mercati nazionali dei quattro produttori europei di cui trattasi. Esse avvalorano peraltro le dichiarazioni del sig. Verluca per quanto riguarda la circostanza che il mercato offshore del Regno Unito era interessato da tali regole di protezione, ma che quest’ultimo aveva uno status particolare. Da tali note deriva infatti che i produttori europei tenevano al mantenimento di tale protezione del mercato offshore del Regno Unito rafforzandola al massimo, nonostante il fatto che la Corus, produttore nazionale su tale mercato, stesse per terminare la produzione di tubi lisci, limitandosi a filettare i tubi acquistati da altri produttori.

231
Le ricorrenti giapponesi rilevano correttamente che le note della Vallourec menzionano solo riflessioni interne a tale società e, per talune di esse, osservazioni relative alle discussioni avutesi tra tale società e la Corus. Se tale circostanza porta inevitabilmente a relativizzare il valore probatorio di tali note nei confronti delle ricorrenti giapponesi, essa non può impedire alla Commissione di invocarle a titolo di elementi a carico per corroborare le dichiarazioni esplicite del sig. Verluca, soprattutto nell’ambito di un complesso più ampio di elementi di prova concordanti. Infatti, la circostanza che gli impiegati della Vallourec credessero all’efficacia dei «fundamentals» per proteggere i mercati nazionali europei contro i produttori giapponesi costituisce di per in sé un indizio che tale protezione esisteva realmente.

232
Le ricorrenti giapponesi sollevano un argomento specifico nei confronti delle note Riflessioni strategiche e Riflessioni sul contratto VAM. Esse rilevano che il rafforzamento della parte dei «fundamentals» relativa al rispetto dei mercati nazionali europei da parte dei produttori giapponesi non è quello dei tre scenari prospettati che il sig. Verluca, autore delle due note, ha considerato come proposta in conclusione di queste.

233
Tuttavia, dal tenore di tali due note si deduce chiaramente che il loro autore preferirebbe questa soluzione e che l’ha respinta malvolentieri, in quanto essa era irrealizzabile. In particolare, secondo la nota Riflessioni strategiche la «soluzione più vantaggiosa per la [Vallourec]» si basava sull’ipotesi in cui «gli europei otten[gano] dai giapponesi il rispetto del Regno Unito in Buttress e in Premium». Il sig. Verluca respinge questa soluzione nella detta nota per il solo motivo che egli «sfortunatamente non crede che questa soluzione (…) possa funzionare». Così, dato che tale soluzione, che consisteva nel mantenere in vigore i «fundamentals» e eventualmente nel rafforzarli, è stata attuata, il rigetto provvisorio di questa da parte del sig. Verluca in tali note è molto meno significativo del fatto che egli l’ha preferito alle altre soluzioni prese in considerazione.

234
L’esattezza di tale analisi è inoltre confermata dal fatto che la ripartizione tra la Vallourec, la Mannesmann e la Dalmine delle forniture di tubi lisci alla Corus prevista dal sig. Verluca in tali due note, nell’ambito dello scenario di cui trattasi (v. qui sopra punto 226), è stata realizzata successivamente, almeno a partire dal 9 agosto 1993, a causa della successiva conclusione dei tre contratti di fornitura menzionati al punto 79 della decisione impugnata (v. supra, punto 26). Inoltre, la proposta effettuata dal sig. Verluca (v. supra, punto 225 e punto 80 della decisione impugnata) che consiste nel vincolare le vendite di tubi lisci alla Corus da parte della Vallourec al prezzo e al volume dei tubi OCTG premium, filettati con il metodo VAM, venduti dalla Corus, corrisponde effettivamente ai termini dei contratti conclusi successivamente, prodotti dinanzi al Tribunale, in particolare nella causa T‑44/00, e su cui le ricorrenti giapponesi hanno quindi potuto pronunciarsi durante l’udienza comune (v. anche punti 79, 81 e 111 della decisione impugnata).

235
Secondo le ricorrenti giapponesi, tutte le riflessioni contenute nelle note della Vallourec citate dalla Commissione si riferiscono quasi esclusivamente alla situazione esistente sul mercato offshore del Regno Unito dei tubi OCTG premium. Orbene, i prodotti interessati dall’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata sono i tubi OCTG standard («API») e i linepipe «project» e non i tubi OCTG premium. Parimenti la nota Riunione 24.07.90 fa riferimento a prodotti in acciaio inossidabile.

236
Per quanto riguarda i tubi OCTG standard, è pacifico che tali tubi sono talvolta denominati «Buttress» nell’industria petrolifera e siderurgica. Occorre dunque rilevare che il riferimento, nella nota Riflessioni strategiche, al rispetto da parte dei produttori giapponesi del mercato offshore del Regno Unito rispetto al «Buttress» si riferisce necessariamente a tali prodotti (v. supra, punto 233). Inoltre, la nota Riflessioni sul contratto VAM BSC si riferisce al fatto che la Corus «conserverà la sua parte meglio in VAM che in Buttress».

237
La circostanza, rilevata dalle ricorrenti giapponesi, secondo cui le note della Vallourec comportano anche numerosi riferimenti ai tubi OCTG premium non inficia l’analisi effettuata nella fattispecie dalla Commissione per quanto riguarda i tubi OCTG standard. In primo luogo, i riferimenti ai tubi OCTG premium non consentono minimamente di concludere che i contatti tra la Vallourec e la Corus erano dovuti ai tubi OCTG premium. In secondo luogo, il fatto che la Commissione constati un’infrazione in relazione a due prodotti specifici non può essere censurato in quanto talune prove in suo possesso indicano che altri prodotti erano parimenti interessati dall’accordo sanzionato.

238
In ogni caso, se l’assenza di una definizione precisa e concordante dei prodotti interessati dai «fundamentals» nelle note della Vallourec riduce necessariamente il loro valore probatorio, non si può escludere che, poiché esse rafforzano talune affermazioni essenziali del sig. Verluca, la Commissione aveva il diritto di farle valere per corroborare le dichiarazioni di questo. Infatti, la circostanza che un documento si riferisca solo ad alcuni dei fatti richiamati in altri elementi di prova non basta ad obbligare la Commissione ad eliminare tali documenti dal complesso degli indizi dedotti a carico (v. supra, punti 180 e 220).

239
Le ricorrenti giapponesi rilevano, inoltre, che i mercati comunitari diversi dal mercato offshore del Regno Unito non sono minimamente menzionati nelle note della Vallourec. Al riguardo occorre constatare che le note in questione si incentrano sui problemi che possono essere causati sul mercato britannico dalla cessazione della produzione di tubi lisci da parte della produttrice britannica Corus, circostanza che spiega la mancanza di riferimenti specifici ad altri mercati non direttamente interessati da tale avvenimento anticipato.

240
Inoltre, le ricorrenti giapponesi fanno valere che, secondo le note Riflessioni sul contratto VAM e Riunione 24.07.90, l’esclusione dei produttori giapponesi dal mercato britannico era una misura proposta per il futuro, da cui deriverebbe che non esisteva alcun accordo con i produttori giapponesi al momento della loro redazione, vale a dire nel 1990 (v. qui sopra punto 115). Tuttavia, dalle note della Vallourec, lette complessivamente, emerge, in particolare dal passaggio della nota Colloquio BSC citata al punto 67 della decisione impugnata, che i «fundamentals» avevano un senso già compreso dagli impiegati della Vallourec nel 1990 e che il «problema» richiamato nella nota Riflessioni sul contratto VAM che doveva essere risolto «tra europei» era quello del mantenimento dello status nazionale del mercato del Regno Unito nell’ambito dei «fundamentals» in seguito alla cessazione della produzione dei tubi lisci da parte della Corus (v. infra, punto 283). Così, in questo caso, una versione migliorata dei «fundamentals» «vieterebb[e] ai giapponesi l’accesso al Regno Unito», come rilevato dalla nota Riunione del 24.07.90, sia per il futuro sia per il passato (v. supra, punti 223 e 229).

241
Infine, quanto al modo di funzionamento del sistema di protezione del mercato offshore del Regno Unito, le ricorrenti giapponesi fanno valere che la descrizione fornita al riguardo dal sig. Verluca nella sua dichiarazione 17 settembre 1996, secondo cui un concorrente doveva contattare la Corus, prima di offrire i prodotti interessati dai «fundamentals» su tale mercato, non collima né con gli elementi di prova avanzati dalla Commissione nella decisione impugnata né con la realtà. La Commissione fa valere, invece, al punto 62 della decisione impugnata che la nota Colloquio BSC conferma la correttezza di tale descrizione.

242
Occorre rilevare al riguardo che, nella nota Colloquio BSC, da un impiegato della Vallourec, probabilmente il sig. Verluca, viene affermato quanto segue «I nostri amici della BSC [Cours] (…) si basano sulle discussioni di Kyoto e Marbella e sostengono che se i [giapponesi] sono pronti oggi a rispettare una politica dei prezzi per gli [affari del Mare del Nord] caso per caso, domani, quando [lo stabilimento] di Clydesdale verrà chiuso, si scateneranno». È giocoforza riconoscere che questa citazione non avvalora la descrizione effettuata dal sig. Verluca, poiché non conferma l’esistenza di contatti tra la Corus e gli altri membri del club Europa-Giappone per quanto riguarda forniture specifiche sul mercato offshore del Regno Unito. Tuttavia tale citazione attesta univocamente che, al momento della redazione della detta nota nel 1990, i produttori giapponesi avevano accettato restrizioni della concorrenza sul mercato offshore del Regno Unito. Peraltro, i termini «caso per caso» potrebbero essere interpretati nel senso che tali contatti hanno avuto effettivamente luogo rispetto a casi specifici, di modo che la nota Colloquio BSC non contrasta certamente con la dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996.

243
In ogni caso, occorre ricordare che è sufficiente che la Commissione dimostri lo scopo anticoncorrenziale di un accordo concluso da talune imprese perché essa possa concludere per l’esistenza di un’infrazione all’art. 81, n. 1, CE (v. supra, punto 203). Di conseguenza, la circostanza che gli elementi di prova avanzati nella fattispecie si completano per dimostrare l’esistenza di accordi che limitano la concorrenza da parte dei produttori giapponesi sul mercato offshore del Regno Unito basta a suffragare la tesi della Commissione per quanto riguarda tale mercato, anche se tali documenti non consentono di comprendere con certezza e precisione la modalità di funzionamento di tale aspetto dei «fundamentals».

244
Occorre così concludere che le note della Vallourec, considerate congiuntamente, consentono di corroborare le dichiarazioni del sig. Verluca e, di conseguenza, di confermare la veridicità delle stesse.

–     Documenti in inglese del 1993

245
La Commissione, al punto 84 della decisione impugnata, si riferisce inoltre a due documenti datati 1993, vale a dire la Nota per i presidenti ed il documento «g) giapponese» (in prosieguo, considerati congiuntamente: i «documenti in inglese del 1993»). La Commissione non cita passaggi di tali documenti al detto punto della decisione impugnata, ma il loro contenuto è riassunto brevemente al punto 83, per quanto riguarda taluni fattori che avrebbero perturbato il funzionamento dei «fundamentals», e al punto 84, per quanto riguarda le soluzioni proposte per rimediarvi. La Commissione si basa dunque su tali documenti, nella decisione impugnata, per confermare l’esistenza e la portata dei «fundamentals» e, in particolare, per spiegare l’evoluzione di tali regole, nel 1993, in «fundamentals improved» nel momento in cui la Corus preparava il suo definitivo ritiro dal mercato dei tubi OCTG filettati.

246
Le ricorrenti giapponesi contestano la rilevanza di tali documenti. Esse rilevano, in particolare, che tali documenti si riferiscono ad un’aggressione giapponese e la Nippon sottolinea che il documento «g) giapponese» fa riferimento, al riguardo, ad essa in particolare. Tale aggressione nonché la descrizione all’inizio della Nota per i presidenti di un obbligo di portata relativa in capo ai produttori giapponesi di limitare «talune delle loro vendite» sarebbero incompatibili con il sistema di protezione dei mercati nazionali descritto ai punti 101 e 102 della decisione impugnata.

247
Occorre rilevare innanzi tutto, ai termini della Nota per i presidenti, quanto segue:

«Gli accordi attuali sono insoddisfacenti per quanto riguarda le zone extraterritoriali della CE poiché, se le giapponesi hanno accettato di limitare talune loro forniture verso tali zone (a livelli che non sono mai stati soddisfacenti dal punto di vista degli europei e che coprono solo la metà dei clienti), la loro aggressione attuale sugli OCTG (senza saldatura e saldati) e i linepipe saldati implica prezzi più bassi ed una quota di mercato ridotta per le europee.» [«The current agreements are unsatisfactory for the EC offshore areas because, although the Japanese have agreed to limit some of their deliveries to these areas (at levels which have never been satisactory to the Europeans and which only cover half of the customers) their current aggression on OCTG (seamless and welded) and welded linepipes means lower prices and reduced share for the Europeans.»]

248
Inoltre, secondo il medesimo documento:

«Sebbene i giapponesi abbiano accettato di non chiedere modifiche dei nostri accordi nel caso in cui l’industria europea dei tubi senza saldatura dovesse ristrutturasi, non esistono garanzie che essi rispetterebbero tale principio nel caso in cui la [Corus] si dovesse ritirare dalla produzione o dalla finitura dei tubi nel Regno Unito». («Although the japanese have agreed not to request changes in our agreements if the EC seamless industry were to restructure, there is no guarantee that they would follow this precept if [Corus] were to exit tubemaking or finishing in the UK»).

249
Peraltro, secondo il documento «g) giapponese», «la posizione fondamentale sulla piattaforma continentale del Regno Unito non è “chiusa”» («the fundamental position on the UKCS is not “firm”») ed il suo autore, un impiegato della Corus, si interroga sulle tattiche maggiormente adeguate per «attaccare i giapponesi» («attack the Japanese»), probabilmente sul mercato cinese, «con l’obiettivo principale di costringerli a lasciare l’Europa» («with the prime objective of forcing them out of Europe»).

250
Tali due documenti, in particolare i passaggi appena citati, avvalorano diverse affermazioni essenziali rese dal sig. Verluca nelle sue dichiarazioni e permettono quindi di considerare, in linea di principio, che la Commissione le ha invocate correttamente per confermare l’esistenza dei «fundamentals» e dei «fundamentals improved».

251
In particolare, risulta da tali due documenti che accordi designati dal termine «fundamental[s]», conclusi tra i produttori europei e giapponesi, esistevano già nel 1993 e che tali accordi erano insoddisfacenti dal punto di vista dei produttori europei rispetto al settore offshore del Regno Unito, in particolare perché essi servivano solo a limitare talune vendite giapponesi su tale mercato. È inoltre possibile dedurre da tali documenti che gli accordi ai quali viene fatto riferimento erano quelli costituiti dai «fundamentals» descritti dal sig. Verluca nelle sue dichiarazioni e che i produttori europei ne erano più soddisfatti per quanto riguarda i settori onshore che per quanto riguarda i settori offshore del Regno Unito. Deriva pertanto indirettamente da tali documenti che i settori onshore dei mercati europei interessati hanno dovuto essere protetti adeguatamente.

252
Inoltre, poiché l’autore di tali documenti si lamenta dell’esistenza di vendite giapponesi significative sul mercato offshore del Regno Unito e propone soluzioni dirette a limitare tali vendite per il futuro, tali elementi probatori concordano con la presentazione dei «fundamentals» figurante nella dichiarazione del sig. Verluca. Infatti, essi confermano non solo che lo scopo dei «fundamentals» era di ripartire i mercati interessati, ma anche che il settore offshore del Regno Unito era protetto meno efficacemente degli altri settori interessati da tale ripartizione.

253
Tuttavia, dato che le ricorrenti giapponesi sollevano un certo numero di censure per rimettere in questione il valore probatorio di tali due documenti e ne traggono anche elementi a discarico, occorre esaminare tali censure per valutare se esse riducano effettivamente il valore probatorio di tali documenti.

254
Al riguardo, vanno innanzi tutto respinti gli argomenti delle ricorrenti giapponesi relativi ai riferimenti alla loro «aggressione» nonché alla limitatezza dei loro obblighi sul mercato offshore del Regno Unito. Infatti, tali riferimenti si inseriscono in un contesto in cui l’autore di tali due documenti si lamentava delle vendite giapponesi, in particolare di quelle realizzate sul mercato offshore del Regno Unito, e descriveva l’insufficienza delle limitazioni applicabili alle vendite giapponesi sul medesimo mercato. Occorre in tal modo considerare che, nell’economia generale di tali documenti, i riferimenti all’«aggressione» dei produttori giapponesi dimostrano piuttosto il superamento, in pratica, di limiti convenuti tra i membri del club Europa‑Giappone per il mercato offshore del Regno Unito, solo parzialmente protetto, anziché una concorrenza libera e vigorosa da parte dei produttori giapponesi sul detto mercato. Tali riferimenti non inficiano quindi minimamente la tesi della Commissione quanto all’esistenza dell’accordo sanzionato all’art. 1 della decisione impugnata.

255
Le ricorrenti giapponesi fanno poi valere che la Nota per i presidenti e il documento «g) giapponese» non possono dimostrare l’esistenza di un’infrazione che li riguarda, poiché essi contengono solo le riflessioni interne di impiegati della Corus. Tuttavia, è giocoforza rilevare che poiché l’autore di tali documenti, impiegato della Corus, descrive la situazione dei mercati europei nonché l’evoluzione probabile degli stessi non vi è alcuna ragione per supporre che la sua analisi non rifletta la realtà come egli l’ha percepita all’epoca dei fatti. Dalla minuziosità e dal tenore di tali documenti deriva che il loro autore era necessariamente implicato nell’elaborazione di una strategia commerciale per i tubi di acciaio nell’ambito della Corus.

256
In tal modo la descrizione che figura in tali due documenti, esaminata sopra, di un accordo concluso tra i produttori europei e giapponesi per limitare le vendite di questi ultimi sui mercati europei è affidabile, nonostante il carattere interno di tali documenti.

257
Occorre rilevare, inoltre, che, dinanzi al Tribunale la Commissione ha fatto valere, senza essere contraddetta dalle ricorrenti giapponesi ed europee, che la Nota per i presidenti è stata redatta dalla Corus, ma che la Mannesmann era tenuta a presentarla ai presidenti dei produttori europei come attestato dall’indicazione manoscritta che figura sulla sua prima pagina secondo cui essa sarebbe citata nella presentazione di «HN» (Hans Nolte della Mannesmann). Da tale circostanza risulta effettivamente che tale documento esprime l’analisi collettiva di almeno due dei produttori europei piuttosto che di uno solo, circostanza che ne fa un elemento di prova particolarmente probante.

258
Infine, secondo le ricorrenti giapponesi, è impossibile delimitare esattamente i prodotti indicati nei documenti in inglese del 1993.

259
È esatto che i passaggi del documento «g) giapponese» che fanno riferimento ai tubi al «13% [di] cromo» e «inossidabile» («stainless»), come quelli delle note Colloquio BSC e Riunione del 24.07.90 che utilizzano tali termini, non rilevano nel caso di specie, poiché la decisione impugnata fa riferimento esclusivamente ai tubi e linepipe di acciaio al carbonio (punto 28 della decisione impugnata). Tuttavia occorre rilevare che tali passaggi non definiscono in modo esclusivo l’ambito di applicazione dell’accordo di ripartizione dei mercati e non sono quindi incompatibili con l’esistenza dell’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata.

260
Peraltro la Nota per i presidenti ed il documento «g) giapponese» contengono diversi riferimenti ai tubi OCTG in generale ed è logico considerare che tali riferimenti comprendano sia i tubi OCTG standard, di cui alla decisione impugnata, sia i tubi OCTG premium. Infatti, la Nota per i presidenti propone limitazioni per le forniture di «OCTG e linepipe senza saldatura e saldati» («seamless and welded OCTG and linepipe») ed il documento «g) giapponese» si riferisce al fatto che «sui tubi OCTG in generale i giapponesi hanno accettato di limitare le loro vendite sul [mercato offshore del Regno Unito] al 15% degli affari non contrattuali» («[o]n OCTG in general J’s have agreed to limit their sales to the UKCS to 15% of the non contract business». Inoltre, il riferimento, nella Nota per i presidenti, all’aggressione giapponese per quanto riguarda gli «OCTG [senza saldatura e saldati] ed i linepipe saldati» («OCTG [seamless and welded] and welded linepipe») (v. supra, punto 247), si riferisce necessariamente ai tubi OCTG standard e non ai tubi OCTG premium, poiché, nella frase che segue, l’autore lamenta il mancato controllo, in particolare, dei quantitativi di tubi OCTG premium forniti.

261
Poiché taluni passaggi di tali documenti, come talune note della Vallourec (v. supra punto 237 nonché il riferimento alla nota Colloquio BSC supra al punto 259), implicano che l’accordo di ripartizione dei mercati sanzionato dall’art. 1 della decisione impugnata interessava, o poteva interessare, una gamma più ampia di prodotti che comprendeva i tubi OCTG premium, tale circostanza non impedisce minimamente che essi suffraghino l’esistenza dell’infrazione più limitata sanzionata. Il fatto che lo status dei tubi OCTG premium con riferimento ai «fundamentals» non emerga in modo chiaro ed univoco dai detti documenti è irrilevante, poiché tali prodotti non sono interessati dall’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata.

262
Quanto ai linepipe senza saldatura, invece, i documenti in inglese del 1993 sono più ambigui. Infatti, il primo passaggio, che si riferisce alle forniture di «OCTG e di linepipe senza saldatura e saldati», implica che i linepipe senza saldatura dovevano essere coperti dai «fundamentals», mentre l’altra citazione che figura al medesimo punto, che fa riferimento agli «OCTG [senza saldatura e saldati] e i linepipe saldati», potrebbe eventualmente essere interpretata nel senso che tali prodotti erano esclusi dagli accordi illeciti. Va concluso che tali due documenti sono ambigui e quindi neutrali rispetto alla questione se i linepipe «project» senza saldatura fossero coperti dai «fundamentals». I documenti in inglese del 1993 non possono dunque corroborare le dichiarazioni del sig. Verluca per quanto riguarda questo aspetto specifico dell’infrazione, ma non costituiscono nemmeno elementi a discarico per quanto riguarda tali prodotti.

263
Di conseguenza, se la mancanza di chiarezza dei due documenti in questione relativi ai prodotti a cui si riferisce l’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata riduce incontestabilmente la loro forza come elementi probatori, non occorre pertanto scartarli interamente. Occorre ricordare nuovamente, come per le note della Vallourec (v. supra, punto 238), che il fatto che un documento si riferisca solo a taluni dei fatti richiamati in altri elementi di prova non comporta la conseguenza che la Commissione non possa invocarlo per corroborare altre prove.

264
Da quanto precede deriva che i documenti in inglese del 1993 corroborano le dichiarazioni del sig. Verluca sotto diversi aspetti e fanno parte, correttamente, del complesso di indizi concordanti fatti valere dalla Commissione nella decisione impugnata.

–     Documento Sistema per i tubi di acciaio

265
Questo documento non è stato esplicitamente invocato dalla Commissione nella decisione impugnata, ma, poiché le ricorrenti giapponesi lo fanno valere a discarico, occorre rispondere ai loro argomenti.

266
Si deve innanzi tutto rilevare che l’idea secondo cui l’industria europea produttrice di tubi di acciaio senza saldatura fosse, all’epoca dei fatti, in corso di ristrutturazione e che i produttori europei si accordassero per controllare tale ristrutturazione non è per nulla incompatibile con la tesi della Commissione. Infatti, i punti 87‑94 della decisione impugnata indicano che la Commissione ha effettivamente preso in considerazione l’incidenza della ristrutturazione dell’industria siderurgica europea.

267
Peraltro, dalla decisione impugnata e dalle note della Vallourec, esaminate sopra, emerge che i produttori europei hanno esaminato la ristrutturazione dell’industria europea nel contesto specifico dei «fundamentals», in particolare nell’ottica delle ripercussioni che tale ristrutturazione poteva avere sui loro rapporti con i produttori giapponesi. In particolare, i produttori europei temevano che il mercato del Regno Unito, in particolare il suo importante settore offshore, non fosse più rispettato in quanto mercato nazionale da parte dei produttori giapponesi in seguito alla chiusura dello stabilimento della Corus a Clydesdale (v. supra, punti 170, 223 e 242). Inoltre, nella Nota per i presidenti e nel documento «g) giapponese», è stato proposto che i produttori europei tengano conto della possibile chiusura della NTM nell’ambito dei loro negoziati con i produttori giapponesi.

268
Ciò premesso, la circostanza che nel documento Sistema per i tubi in acciaio sia usato il termine inglese «fundamentals» nel contesto di una discussione relativa alla razionalizzazione dell’industria comunitaria non significa per nulla che la nozione di «fundamentals» riguardasse tale processo e non l’accordo di ripartizione dei mercati sanzionato dall’art. 1 della decisione impugnata. Parimenti, da questo documento – che espone che i rapporti tra i produttori europei sono disciplinati dai «fundamentals» senza menzionare i produttori giapponesi – non deriva che i «fundamentals » riguardassero solo l’Europa. Infatti, tale omissione si spiega con il fatto che il documento in questione, letto nel suo complesso, ha chiaramente lo scopo di esaminare i rapporti tra i produttori comunitari. Non se ne può quindi dedurre che, contrariamente a quanto affermato dal sig. Verluca nella dichiarazione 17 settembre 1996, come corroborata da altri elementi, i «fundamentals» fossero oggetto solo di discussioni intra-europee.

269
Alla luce di quanto precede, il documento Sistema per i tubi di acciaio non può essere considerato un elemento a discarico per quanto riguarda l’infrazione di cui all’art. 81, n. 1, CE contestata alle ricorrenti giapponesi.

–     Documento «Sharing key» (documento relativo alla chiave di ripartizione)

270
La Commissione, ai punti 85 e 86 della decisione impugnata, si basa su un documento trasmessole il 12 novembre 1997 da una persona estranea al procedimento, in particolare per suffragare la sua descrizione dell’evoluzione delle relazioni nell’ambito del club Europa-Giappone a partire dalla fine del 1993. La fonte del detto documento sarebbe, secondo l’informatore, un agente commerciale di una delle partecipanti a tale club. Secondo la Commissione, tale documento attesta che i contatti allacciati con i produttori dell’America latina hanno avuto un successo parziale e la tabella che vi figura indica la ripartizione dei mercati menzionati tra i produttori europei, giapponesi e latino-americani. In particolare tale documento prevede una quota di mercato del 100% per i produttori europei in Europa e una quota di mercato del 100% per i produttori giapponesi in Giappone. Per quanto riguarda gli altri mercati, i produttori europei avrebbero, in particolare, una quota dello 0% in Estremo Oriente, del 20% in Medio Oriente e dello 0% in America latina.

271
La JFE-Kawasaki sostiene che tale documento è un elemento di prova irricevibile, poiché non è datato e la Commissione non ha divulgato né l’identità del suo autore, né quella della persona che glielo ha comunicato, per cui è impossibile per i ricorrenti conoscere il contesto in cui è stato elaborato e le ragioni per le quali è stato comunicato alla Commissione. Sarebbe la prima volta che la Commissione constata l’esistenza di un’infrazione nei confronti di imprese sulla base di un documento non identificato.

272
Tale argomento va respinto.

273
Il principio vigente in diritto comunitario è quello della libera produzione delle prove e il solo criterio rilevante per valutare le prove prodotte risiede nella loro credibilità (conclusioni del giudice Vesterdorf, facente funzioni di avvocato generale nella sentenza Rhône-Poulenc/Commissione, cit. supra al punto 56). Peraltro, per la Commissione può rendersi necessario tutelare l’anonimato degli informatori (v., in tal senso, sentenza della Corte 7 novembre 1985, causa 145/83, Adams/Commissione, Racc. pag. 3539, punto 34) e questa circostanza non può essere sufficiente ad obbligare la Commissione a non utilizzare una delle prove in suo possesso. Di conseguenza, se gli argomenti della JFE-Kawasaki sono rilevanti per valutare la credibilità del documento «Sharing Key» non si deve ritenere che quest’ultimo sia una prova irricevibile.

274
Al riguardo, la JFE-Kawasaki si accorda con le altre ricorrenti giapponesi per affermare che, pur supponendo che il documento «Sharing Key »sia ammissibile in quanto elemento probatorio, esso non è un elemento a carico affidabile poiché non è stato identificato adeguatamente. È giocoforza constatare, infatti, che la credibilità di tale documento è innegabilmente ridotta dal fatto che le circostanze della sua redazione sono in larga parte sconosciute e che le affermazioni della Commissione al riguardo non possono essere verificate (v. supra, punto 270).

275
Tuttavia, laddove il documento «Sharing Key» contiene informazioni specifiche che corrispondono a quelle contenute in altri documenti, occorre considerare che tali elementi si possono rafforzare reciprocamente.

276
Occorre rilevare, al riguardo, che la dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996 menziona una chiave di ripartizione «iniziale» applicabile alle «gare d’appalto internazionali» e che si riferisce ai contratti conclusi tra i produttori giapponesi ed europei, per cui viene sufficientemente dimostrata l’esistenza di una tale ripartizione nell’ambito del club Europa-Giappone. Inoltre, dal verbale del colloquio con JF emerge che la Vallourec doveva, per «restare nell’ambito del sistema (…) precludersi l’Estremo Oriente, l’America latina, limitarsi al Medio Oriente al punto di dividere per 3 il 20% del mercato» . Quando la Commissione ha chiesto al sig. Verluca di commentare tali due documenti, quest’ultimo ha osservato che essi si riferivano ad un tentativo di modificare, nel 1993, le chiavi di ripartizione applicabili per tener conto delle vendite dei produttori dell’America latina nonché delle «posizioni acquisite» sui diversi mercati.

277
Le ricorrenti giapponesi fanno valere diversi argomenti supplementari contro l’uso da parte della Commissione del documento «Sharing key». Innanzi tutto, esso concernerebbe solo una gamma di prodotti sensibilmente più ristretta di quella di cui alla dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996. Tale documento farebbe riferimento solo alla parte di mercato dei tubi OCTG senza saldatura standard, oggetto di gare d’appalto generali. Le ricorrenti giapponesi rilevano, al riguardo, che la portata della chiave di ripartizione menzionata in tale documento è limitata dall’indicazione «SMLS API OPEN TENDER» (bandi di gara generali per tubi senza saldatura API), mentre, secondo la dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996, non c’erano bandi di gara significativi («pas de gros tenders») in Europa per i prodotti cui essa si riferiva. Il mercato oggetto di tale chiave di ripartizione sarebbe dunque inesistente secondo il sig. Verluca.

278
Al riguardo, occorre innanzi tutto rilevare che, contrariamente a quanto afferma la Commissione, il documento «Sharing Key» si riferisce solo ai tubi OCTG senza saldatura e non ai linepipe. Infatti, come è stato rilevato dalle ricorrenti giapponesi in udienza, senza essere contraddette al riguardo dalla Commissione, le abbreviazioni «C/S» e «T/B» usate due volte in tale documento, che indicano rispettivamente i tubi che costituiscono la colonna di rivestimento («casing») e i tubi costituenti la colonna di produzione («tubing»), si riferiscono a due elementi essenziali di un tubo OCTG, conformemente alla descrizione di tale prodotto che figura al punto 29 della decisione impugnata, e si riferiscono quindi necessariamente ed esclusivamente a tale prodotto.

279
Quanto all’indicazione «SMLS API OPEN TENDER» (bandi di gara generali per tubi senza saldatura API) nel documento «Sharing Key», occorre rilevare che l’affermazione, nella dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996, secondo cui non vi erano bandi di gara significativi in Europa compare alla sezione «1.4 Altri mercati», mentre i mercati nazionali dei membri del club Europa-Giappone rientrano nella sezione «1.1 Mercati “domestici”», in quanto vi era espressamente menzionato l’«(offshore) del Regno Unito». Tale circostanza implica a priori che il termine «Europa» figurante nella detta sezione 1.4 si riferisce a mercati europei diversi dai quattro mercati nazionali coperti dall’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata, vale a dire i mercati tedesco, francese, italiano e britannico.

280
Occorre tuttavia riconoscere che tale riferimento all’Europa è vago e quindi ambiguo e che, se dovesse coprire tali quattro mercati, contrariamente all’interpretazione esposta al punto precedente, sarebbe necessario concludere che il documento «Sharing Key» non può suffragare direttamente la dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996 per quanto riguarda la situazione esistente su tali quattro mercati. Infatti, se tali mercati non fossero interessati dalle gare d’appalto indette è giocoforza concludere che il documento «Sharing Key» non potrebbe riferirsi ad essi, poiché esso riguarda i tubi senza saldatura API oggetto di tali gare d’appalto. Di conseguenza, tale ambiguità, che non è possibile eliminare con riferimento agli elementi del fascicolo e agli argomenti delle ricorrenti a tale proposito, riduce il valore probatorio del documento «Sharing Key» per corroborare le dichiarazioni del sig. Verluca.

281
Peraltro, secondo le ricorrenti giapponesi, il documento «Sharing Key» contraddice l’affermazione del sig. Verluca, menzionata nel documento Ispezioni presso la Vallourec (al punto 1.3), quanto alla questione se i produttori dell’America latina abbiano risposto favorevolmente agli orientamenti dei produttori europei alla fine del 1993, circostanza che rimetterebbe in questione l’affidabilità di tali due elementi probatori. Infatti, la Commissione, al punto 86 della decisione impugnata, ha attestato, in base al documento «Sharing Key», «il parziale successo dei contatti allacciati con i latinoamericani» e riconosce essa stessa che tale affermazione è in contrasto con l’affermazione del sig. Verluca, menzionata nel documento Ispezioni presso la Vallourec, secondo cui:

«Il club Europa‑Giappone non includeva i produttori latinoamericani (…) contatti esplorativi si sono avuti alla fine del 1993 con le stesse al fine di giungere ad un equilibrio che rifletta le posizioni acquisite (circa 20% al Medio Oriente per gli europei). È diventato manifesto molto rapidamente che tali tentativi non potevano giungere a buon fine».

282
Occorre rilevare, tuttavia, che, secondo il documento Sharing Key, i produttori latinoamericani hanno accettato la chiave di ripartizione proposta «tranne per il mercato europeo», su cui i mercati dovrebbero essere esaminati «caso per caso» in uno spirito di collaborazione. La Commissione ha quindi concluso, al punto 94 della decisione impugnata, che i produttori dell’America Latina non avevano accettato che il mercato europeo venisse riservato ai produttori europei.

283
Dalle varie note della Vallourec nonché dalla Nota per i presidenti e dal documento «g) giapponese», esaminati sopra, emerge che, dal punto di vista dei produttori europei, l’obiettivo essenziale dei loro contatti con i produttori giapponesi era la protezione dei loro mercati nazionali, in particolare il mantenimento dello status nazionale del mercato del Regno Unito dopo la chiusura da parte della Corus della sua fabbrica a Clydesdale. Se la contraddizione rilevata sopra al punto 281 indebolisce sicuramente il valore probatorio del documento «Sharing Key» nonché, in una certa misura, quello delle dichiarazioni del sig. Verluca, il suo significato viene fortemente relativizzato dalla circostanza rilevata all’inizio del presente punto. Infatti, pur supponendo che i produttori dell’America latina abbiano accettato di applicare una chiave di ripartizione su mercati diversi da quello europeo, è giocoforza rilevare che le negoziazioni con tali produttori sono sostanzialmente fallite dal punto di vista europeo, di modo che la valutazione negativa del sig. Verluca quanto al loro esito corrisponde effettivamente al documento «Sharing Key» su tale punto cruciale.

284
Si deve concludere che la contraddizione, tra le affermazioni del sig. Verluca in una di tali dichiarazioni ed il documento «Sharing Key», rilevata dalla Commissione stessa al punto 86 della decisione impugnata non riduce sostanzialmente la credibilità di tali due elementi probatori.

285
Infine i produttori giapponesi fanno valere che nel documento «Sharing key» essi avevano espresso una riserva su tale proposta, ritenendo che l’ambito di applicazione della chiave dovesse essere esteso ai tubi «ERW OCTG», tubi di acciaio saldati. La Commissione avrebbe dunque dovuto trattare i produttori giapponesi alla stregua di quelli dell’America latina, nei cui confronti essa ha ritirato le proprie censure in quanto gli stessi avevano a propria volta espresso una riserva rispetto alla chiave proposta, nella parte relativa al mercato europeo, ed avevano realizzato vendite importanti di tubi di acciaio in Europa. Si tratterebbe dunque di una disparità di trattamento ingiustificata e il ritiro delle censure nei confronti dei produttori dell’America latina inficierebbe quindi la tesi della Commissione che le ricorrenti giapponesi abbiano commesso l’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata.

286
Basta ricordare al riguardo che, nel documento Ispezioni presso la Vallourec, il sig. Verluca ha affermato che il «club Europa‑Giappone non includeva i produttori latinoamericani». Poiché la Commissione si era basata principalmente sulle dichiarazioni del sig. Verluca nella decisione impugnata per dimostrare la partecipazione dei produttori giapponesi ad un’infrazione, essa non aveva altra scelta che escludere i produttori latinoamericani dall’ambito di applicazione dell’art. 1 della stessa alla luce di questa affermazione categorica. Infatti, da tale circostanza risulta che i produttori giapponesi e latinoamericani non si trovavano per nulla in una situazione paragonabile per quanto riguarda le prove esistenti a loro carico.

287
In ogni caso, occorre rilevare che la «riserva» espressa dai produttori giapponesi secondo il documento «Sharing Key» non è della stessa natura di quella espressa dai produttori dell’America latina. Infatti, secondo il documento «Sharing Key» questi ultimi hanno rifiutato l’applicazione automatica della chiave di ripartizione al mercato europeo, mentre i produttori giapponesi hanno proposto di includere il tubi «ERW», vale a dire tubi saldati, nella chiave di ripartizione adottata con lo scopo di rendere più chiaro l’accordo («to avoid gray area»). È giocoforza constatare che, se la riserva dei produttori dell’America latina priva il documento «Sharing Key» di una gran parte della sua forza probatoria a loro carico per quanto riguarda l’esistenza di un’infrazione sul mercato comunitario, lo stesso non accade per quanto riguarda i produttori giapponesi. Così, la situazione dei produttori giapponesi era oggettivamente diversa da quella dei produttori dell’America latina.

288
Alla luce di quanto precede, occorre concludere che il documento «Sharing Key» conserva un certo valore probatorio per corroborare, nell’ambito di un complesso di indizi concordanti preso in considerazione dalla Commissione, talune delle affermazioni essenziali che figurano nelle dichiarazioni del sig. Verluca riguardo all’esistenza di un accordo di ripartizione dei mercati che interessi i tubi OCTG senza saldatura. Infatti, da questo elemento di prova emerge che i produttori giapponesi, da una parte, e i produttori europei, dall’altra, hanno accettato il principio secondo cui essi non dovevano vendere taluni tubi d’acciaio senza saldatura sul mercato nazionale degli altri produttori nell’ambito di gare d’appalto «aperte». Tale documento conferma inoltre l’esistenza di una chiave di ripartizione dei mercati nelle diverse regioni del mondo e rafforza quindi la credibilità delle dichiarazioni del sig. Verluca in quanto queste ultime si riferiscono parimenti a tale nozione.

–     Risposte dei produttori europei

289
La Commissione fa inoltre valere a carico, nella decisione impugnata, le risposte alle sue richieste d’informazione fornite dalla Mannesmann, dalla Dalmine e dalla Corus, rispettivamente ai punti 63, 65 e 66 di detta decisione.

290
In particolare, secondo la risposta del sig. Becher, impiegato della Mannesmann, del 22 aprile 1997, i «fundamentals» riguardavano i tubi OCTG e i linepipe «project» e significavano che «i produttori giapponesi in tali settori non dovevano penetrare nei mercati europei [in europäische Märkte] e viceversa i produttori europei non dovevano effettuare forniture in Giappone». La Corus nella sua risposta del 31 ottobre 1997, menzionata alla pag. 11932 del fascicolo della Commissione, a proposito del club Europa‑Giappone, ha osservato che ne erano membri produttori giapponesi ed europei di tubi OCTG senza salatura e che «[i]n pratica, i mercati nazionali erano riservati in primo luogo ai produttori locali». Nella sua risposta del 4 aprile 1997, la Dalmine ha ammesso che vi erano stati contatti tra i produttori europei e giapponesi affermando che questi «si riferivano alle esportazioni di tubi (in particolare quelli destinati all’industria petrolifera) nelle zone diverse dalla CE (Russia e Cina) ed erano inoltre parimenti destinati a limitare le esportazioni di tubi verso la CE dopo la chiusura delle fabbriche della [Corus] e, di conseguenza, a tutelare l’industria comunitaria dei tubi senza saldatura».

291
Occorre inoltre rilevare che al punto 74 della decisione impugnata, nell’ambito della descrizione dei mercati dei paesi terzi, è citata anche la risposta della Mannesmann del 22 aprile 1997. Il passaggio relativo è formulato come segue:

«Per gli altri contratti oggetto di gare d’appalto mondiali, le rispettive forniture dei giapponesi e degli europei erano determinate in anticipo. All’epoca tale procedimento era indicato dai termini “Sharing Key” (chiave di ripartizione). Si trattava, apparentemente di conservare le quote di mercato storiche dei diversi produttori».

292
Secondo le ricorrenti giapponesi, i produttori europei avevano un interesse evidente a «contenere i danni», quanto all’ispezione della Commissione, in particolare ammettendo l’esistenza di un accordo con i produttori giapponesi allo scopo di distogliere l’attenzione della Commissione dal vero significato dei «fundamentals», finalizzati a una ripartizione dei mercati europei tra i produttori europei, infrazione ben più grave di quella constatata all’art. 1 della decisione impugnata e che, inveratasi, avrebbe comportato per tali produttori europei ammende di importo maggiore. Così, poiché talune loro risposte ai quesiti della Commissione menzionano una partecipazione giapponese all’infrazione constatata all’art. 1 delle decisione impugnata, esse non sarebbero affidabili.

293
Al riguardo, occorre ricordare che, la circostanza che i produttori europei abbiano ammesso l’esistenza di un accordo di ripartizione dei mercati con i produttori giapponesi non serviva necessariamente a dissimulare l’esistenza di un accordo di ripartizione dei mercati europei tra di essi (v. supra, punto 214). È inverosimile che i produttori europei abbiano inventato accordi illeciti con i produttori giapponesi per dissimulare l’esistenza di un cartello intra-europeo, per le ragioni esposte sopra al punto 214. Occorre in ogni caso rilevare al riguardo che, nella sua risposta del 29 maggio 1997, menzionata alla pag. 15162 del fascicolo della Commissione che completa le informazioni fornite nella sua risposta del 4 aprile 1997, la Dalmine menziona sia contatti con i produttori giapponesi che riunioni tra i soli produttori europei. Da parte sua, la Corus non ha limitato la sua affermazione relativa alla protezione dei mercati ai soli rapporti tra i produttori giapponesi ed europei (v. supra, punto 290).

294
In merito alla risposta data dalla Mannesmann, le ricorrenti giapponesi osservano che il suo autore, il sig. Becher, non aveva, per sua stessa ammissione, conoscenza diretta delle circostanze che commentava, poiché egli è diventato dirigente della Mannesmann solo nell’aprile 1995. La sua testimonianza non avrebbe dunque grande valore probatorio e sarebbe anzi inammissibile secondo la JFE-NKK.

295
Al riguardo, occorre innanzi tutto rilevare sul piano fattuale che anche se il sig. Becher è diventato dirigente della Mannesman solo nell’aprile 1995, il rappresentante di tale società ha affermato in udienza che, prima di tale data, egli aveva occupato altre funzioni nella stessa società.

296
Occorre ricordare inoltre che la giurisprudenza citata supra al punto 205, secondo cui le risposte date a nome di un’impresa in quanto tale rivestono una credibilità superiore a quella che potrebbe presentare la risposta fornita da un suo dipendente, indipendentemente dall’esperienza e dall’opinione personali di quest’ultimo (sentenza LR AF 1998/Commissione, punto 205 supra, punto 45). Dal punto 45 della sentenza LR AF 1998/Commissione, cit., emerge esplicitamente che il valore probatorio, in quanto elemento a carico, della risposta in questione nella fattispecie, nei confronti di una società terza, non era assolutamente inficiato dal fatto che la persona che l’aveva sottoscritta a nome della società interessata non era stata presente alla riunione di cui si trattava e non era nemmeno sua dipendente all’epoca dei fatti.

297
Infatti, quando, come nella fattispecie per quanto riguarda la Mannesmann, una persona che non abbia una conoscenza diretta delle circostanze rilevanti effettua una dichiarazione, in quanto rappresentante di una società, riconoscendo un’infrazione in capo alla stessa e ad altre imprese, la stessa si basa necessariamente su informazioni fornite dalla sua società e, in particolare, da impiegati della stessa aventi una conoscenza diretta dei comportamenti in questione. Come rilevato supra al punto 211, le dichiarazioni contrastanti con gli interessi propri dell’autore devono, in linea di principio, essere considerate probatorie e occorre quindi attribuire un peso considerevole alla dichiarazione del sig. Becher nella fattispecie.

298
L’argomento che la JFE-NKK ha tratto dalla causa che ha dato luogo alla sentenza Rhône Poulenc/Commissione e, più in particolare, dalle conclusioni del giudice Vesterdof, facente funzioni di avvocato generale, nella stessa, cit. supra al punto 56, dev’essere respinto. In tali conclusioni il giudice Vesterdorf ha rilevato che le testimonianze delle persone che hanno una conoscenza dei fatti hanno, in via di principio, un valore probatorio particolarmente elevato (Racc. pagg. II‑956 e II‑957).

299
Da ciò non si deve dedurre che la dichiarazione effettuata a nome di una società dal suo dirigente, a carico della stessa nonché a carico di altre imprese, abbia un valore probatorio limitato dal fatto che egli non ha una conoscenza diretta dei fatti. A fortiori, non vi è alcuna ragione di dichiarare irricevibile un tale elemento probatorio.

300
Nella fattispecie, così come nella causa che ha dato luogo alla sentenza LR AF 1998/Commissione, punto 205 supra, la dichiarazione in questione costituisce effettivamente il riconoscimento di un’infrazione in capo alla società che l’autore rappresenta.

301
Inoltre, le ricorrenti giapponesi sostengono che la Commissione non può considerare la risposta della Mannesmann come elemento probatorio affidabile laddove essa conferma la conclusione di un accordo tra i produttori europei e giapponesi, e inaffidabile invece laddove la stessa risposta nega un accordo finalizzato alla protezione del mercato nazionale di ciascun produttore europeo da parte degli altri produttori europei.

302
È vero che la circostanza secondo cui il sig. Becher ha negato l’esistenza di una parte intra-europea dei «fundamentals» in conformità ad un obbligo di reciproca protezione dei mercati nazionali tra i produttori europei indebolisce la sua dichiarazione, in una certa misura, in quanto elemento probatorio che consente di corroborare le dichiarazioni del sig. Verluca. Occorre tuttavia rilevare che il sig. Becher ha confermato in modo univoco l’esistenza di un accordo di ripartizione dei mercati tra i produttori europei e giapponesi per i tubi OCTG e linepipe «project» (v. supra, punto 290). In tal modo, la sua dichiarazione corrobora quelle del sig. Verluca per quanto riguarda tale aspetto dell’infrazione e, pertanto, per quanto riguarda il fatto che le ricorrenti giapponesi sono state parti di un accordo di ripartizione dei mercati ai termini del quale esse accettavano di non immettere in commercio i tubi OCTG standard e i linepipe «project» sui mercati comunitari. La circostanza secondo cui la dichiarazione della Mannesmann non esclude dall’accordo da egli descritto i tubi OCTG premium è irrilevante per le ragioni esposte supra al punto 261. Infine, il valore probatorio della dichiarazione della Mannesmann è, nella fattispecie, rafforzato ancora dal fatto che essa corrobora anche quelle del sig. Verluca per quanto riguarda l’esistenza di una chiave di ripartizione relativa all’attribuzione di gare d’appalto internazionali su mercati di paesi terzi (v. supra, punto 291).

303
Le ricorrenti rilevano che la Dalmine, nelle sue risposte alla Commissione del 4 aprile 1997 e del 29 maggio 1997, ha sottolineato che le sue discussioni con i produttori giapponesi avevano avuto ad oggetto soprattutto i mercati dei paesi terzi, quali i mercati russi e cinesi. Occorre osservare, di primo acchito, che, secondo i termini del passaggio della risposta del 4 aprile 1997 citata supra, tali discussioni hanno avuto ad oggetto anche la protezione dei mercati comunitari (v. supra, punto 290). In ogni caso, occorre considerare che le affermazioni fatte valere a tale riguardo dalle ricorrenti giapponesi hanno un peso molto limitato proprio per la ragione avanzata dalle ricorrenti giapponesi stesse (v. supra, punto 292), vale a dire che la Dalmine voleva «limitare i danni». Considerato che la Dalmine non poteva negare il fatto di aver avuto contatti con i produttori giapponesi nonché con gli altri produttori europei, essa ha cercato di presentare tali contatti in modo da togliere o minimizzare, per quanto possibile, il loro carattere infrazionale rispetto al diritto comunitario.

304
In tal modo, le due risposte della Dalmine, in particolare il passaggio di quella del 4 aprile 1997, citato al punto 65 della decisione impugnata (v. supra, punto 290), corroborano le dichiarazioni del sig. Verluca per quanto riguarda l’effettività dei contatti tra i produttori europei e giapponesi diretti a ripartire taluni mercati geografici tra di essi, in particolare a vietare le vendite giapponesi di tubi sui mercati comunitari.

305
Quanto alla risposta fornita dalla Corus il 31 ottobre 1997, le ricorrenti giapponesi rilevano che, in una lettera 30 marzo 1999, la Corus ha indicato chiaramente che nessuna sua dichiarazione doveva essere interpretata nel senso di implicare l’esistenza di un accordo tra produttori europei e giapponesi. In risposta all’argomento della Commissione secondo cui, nella lettera 30 marzo 1999, si tratta del procedimento relativo ai tubi saldati, le ricorrenti giapponesi rilevano che la dichiarazione così chiarita era stata formulata dalla Corus esattamente negli stessi termini di quella fornita nell’ambito del procedimento relativo ai tubi senza saldatura.

306
È esatto che la mancanza, nell’ambito del procedimento relativo ai tubi senza saldatura (Caso IV/E‑1/35.860‑B), di una lettera analoga a quella inviata nell’ambito del procedimento relativo ai tubi saldati (Caso IV/E‑1/35.860 A) è strana, circostanza che porterebbe a credere che si tratta di un’omissione piuttosto che di una presa di posizione volontariamente diversa in una causa rispetto all’altra.

307
Tuttavia, le affermazioni contenute nella lettera 30 marzo 1999, secondo cui la risposta 31 ottobre 1997 non fa riferimento all’esistenza di un accordo e non si ritiene che possa essere interpretata come una confessione a tal riguardo, sono in ogni caso insufficienti per spiegare il senso di tale risposta. In assenza di una spiegazione molto convincente del senso che occorre dare ai termini «in pratica, i mercati nazionali erano riservati in primo luogo ai produttori locali» e tenuto conto del fatto che tali termini sono inseriti in un paragrafo relativo all’oggetto delle riunioni del club Europa‑Giappone, tale affermazione costituisce un elemento probatorio molto pertinente.

308
Così, la circostanza, a supporla esatta, che la Corus, in una lettera inviata alla Commissione oltre un anno dopo, abbia voluto limitare la portata della sua affermazione relativa alla ripartizione dei mercati non riduce minimamente il valore probatorio della stessa. Occorre dunque considerare che la risposta della Corus corrobora anche le dichiarazioni del sig. Verluca quanto all’esistenza di un accordo di ripartizione dei mercati per i tubi OCTG nell’ambito del club Europa‑Giappone.

–     Deposizione del sig. Biasizzo

309
La Commissione, al punto 64 della decisione impugnata, fa valere inoltre una deposizione del 1º giugno 1995 effettuata da un ex impiegato della Dalmine, il sig. Biasizzo, dinanzi al Procuratore della Repubblica di Bergamo, nell’ambito di un’inchiesta in materia di corruzione. Da tale deposizione emerge che esistevano «clubs de producteurs (cartels)» (club di produttori [cartelli]) che si riunivano due volte all’anno: una volta in Europa e una volta in Giappone. Secondo il sig. Biasizzo ogni produttore aveva il diritto di vincere tutte le gare d’appalto sul suo mercato nazionale e sarebbe stato convenuto che gli altri produttori proponessero sempre prezzi più elevati dall’8% al 10%, di quelli del produttore nazionale, regola che veniva applicata rigorosamente.

310
Secondo le ricorrenti giapponesi, tale deposizione del sig. Biasizzo non sarebbe affidabile in quanto è stata resa sotto costrizione, in un contesto in cui il suo autore aveva interesse a spiegare per quali motivi la Dalmine vinceva tutti gli appalti pubblici dell’AGIP diversamente che con riferimento alle pratiche disoneste costituenti oggetto dell’accertamento condotto nei suoi riguardi.

311
Occorre rilevare che, nella sua deposizione, il sig. Biasizzo ha affermato di aver egli stesso proposto la pratica consistente nell’estendere i pagamenti indebiti agli impiegati dell’Agip. Peraltro, il ruolo di tali pagamenti, secondo il sig. Baisizzo, era di facilitare le fasi successive dell’esecuzione dell’appalto, una volta che la Dalmine lo avesse vinto, conformemente all’accordo illecito. Ciò premesso è giocoforza constatare che il contenuto della deposizione del sig. Biasizzo è incompatibile con la spiegazione secondo cui quest’ultimo cercava di dissimulare la sua partecipazione a pratiche illecite attribuendo il potere della Dalmine sul mercato italiano ad un accordo inesistente. L’argomento delle ricorrenti giapponesi al riguardo deve essere di conseguenza respinto.

312
Inoltre, la circostanza secondo la quale tali deposizioni siano state rese dinanzi al Procuratore della Repubblica di Bergamo nell’ambito di un’inchiesta giudiziaria rafforza, invece di diminuire, il loro valore probatorio, contrariamente a quanto affermato dalle ricorrenti giapponesi. Infatti, se è vero che una deposizione effettuata dinanzi ad un procuratore non ha lo stesso valore di una testimonianza resa sotto giuramento dinanzi ad un giudice, va considerato che la costrizione, risultante dai poteri d’indagine di cui un procuratore dispone, e le conseguenze negative che possono derivare sul piano penale per un deponente che abbia mentito nell’ambito di un’inchiesta, sono circostanze che rendono una tale deposizione più affidabile di una semplice dichiarazione.

313
Secondo le ricorrenti giapponesi, il riferimento fatto alle gare d’appalto sul mercato italiano, nella deposizione del sig. Biasizzo, ᄄ incompatibile con l’affermazione contenuta nella dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996, secondo cui non vi erano gare d’appalto importanti sui mercati europei.

314
Al riguardo occorre ricordare che l’affermazione, nella dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996, secondo cui non vi erano bandi di gara significativi in Europa, compare alla sezione 1.4 della stessa intitolata «Altri mercati» («OPEN TENDERS») e con la menzione «gare d’appalto generali per tubi senza saldatura API», mentre i mercati nazionali dei membri del club Europa‑Giappone rientrano nella sezione 1.1 intitolata «Mercati domestici», circostanza che implica a priori che il termine «Europa» citato nella detta sezione 1.4 si riferisce a mercati europei diversi dai quattro mercati nazionali coperti dall’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata (v. supra, punti 279 e 280).

315
Inoltre, il sig. Biasizzo descriveva la situazione esistente sul solo mercato italiano ed è quindi possibile distinguere tra le gare d’appalto internazionali importanti ( i «gros tenders»), che secondo il sig. Verluca non riguarderebbero i mercati europei, compresi eventualmente i mercati nazionali dei quattro grandi produttori europei, e quelli organizzati dall’Agip sul mercato italiano. Anche la prima frase della sezione 1.4 della dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996, secondo cui «gli affari grossi oggetto di gare d’appalto internazionali (“OPEN TENDERS”) venivano ripartiti in base ad una chiave», conforta questa tesi in quanto sottolinea le dimensioni notevoli e il carattere internazionale delle gare d’appalto in questione in tale sezione della dichiarazione.

316
È vero che il riferimento alle gare d’appalto sul mercato italiano riduce in una certa misura il valore probatorio della deposizione del sig. Biasizzo al fine di corroborare le dichiarazioni del sig. Verluca. È giocoforza constatare che, nel migliore dei casi, la descrizione del sig. Biasizzo del modo di ripartizione dei contratti sul mercato italiano non trova alcuna eco nelle dette dichiarazioni e che, nel peggiore dei casi, le contraddice.

317
Tuttavia, occorre ricordare nuovamente che la Commissione non era tenuta a provare mediante quale meccanismo specifico doveva essere effettuata una ripartizione dei mercati purché sia stato sufficientemente dimostrato lo scopo anticoncorrenziale dell’accordo illecito (v. supra, punto 203). Così, nella fattispecie, la totale mancanza di concordanza tra le dichiarazioni del sig. Verluca e la deposizione del sig. Biasizzo quanto al modo di applicazione dei «fundamentals» sui mercati nazionali dei membri del club Europa-Giappone non fa che ridurre, in misura limitata, il valore probatorio di tali elementi, poiché la deposizione del sig. Biasizzo corrobora le dichiarazioni del sig. Verluca per quanto riguarda altri aspetti significativi dell’accordo contestato (v. anche, infra, punto 334).

318
Inoltre, le ricorrenti giapponesi rilevano che in una deposizione successiva intitolata «Commento alle mie deposizioni» il sig. Biasizzo ha elencato tutti i vantaggi economici oggettivi di cui beneficiava un produttore locale di tubi di acciaio sul proprio mercato nazionale rispetto ai produttori stranieri, senza fare più allusione a un accordo internazionale.

319
Occorre rilevare al riguardo che secondo una costante giurisprudenza dal testo stesso dell’art. 81, n. 1, CE deriva che gli accordi tra imprese sono vietati indipendentemente dai loro effetti, qualora abbiano un oggetto anticoncorrenziale (v., supra punto 181 e giurisprudenza cit.). Ne consegue che il fatto che il sig. Biasizzo abbia elencato i vantaggi economici oggettivi di cui beneficiava un produttore locale di tubi d’acciaio sul suo mercato nazionale non costituisce un elemento a discarico nelle circostanze del caso di specie e non relativizza quindi il valore probatorio della sua deposizione iniziale.

320
Quanto all’asserita mancanza, nel documento Commento alle mie deposizioni, di un nuovo riferimento esplicito all’esistenza di un accordo internazionale, va rilevato che anche tale circostanza è irrilevante poiché il sig. Biasizzo non è tornato su quanto aveva detto a tale proposito nella sua deposizione iniziale. Al contrario, il sig. Biasizzo ha nuovamente fatto allusione all’esistenza di un accordo di tale tipo nel documento Commento alle mie deposizioni in quanto ha confermato che la posizione forte della Dalmine sul mercato italiano risultava, tra gli altri fattori, dall’«influenza che ogni produttore ha, per le sue aree di mercato, nei confronti degli altri produttori». Il sig. Biasizzo ha inoltre rinviato al riguardo alla descrizione effettuata nella sua deposizione iniziale, rilevando che «Tutto il sistema è basato sul rispetto di equilibri consolidati da quote storiche (…) come ho già detto più volte nel corso del mio memoriale».

321
Peraltro, dato che le ricorrenti giapponesi hanno messo in questione l’affidabilità della deposizione del sig. Biasizzo, occorre rilevare che questa è corroborata da altre deposizioni rese dai colleghi del sig. Biasizzo, figuranti nel fascicolo della Commissione e invocate dalla stessa dinanzi al Tribunale, ma che non sono citate nella decisione impugnata. In particolare, dalla deposizione del sig. Jachia 5 giugno 1995, menzionata alla pag. 8220 ter 6 del fascicolo della Commissione, emerge che esisteva un accordo «per rispettare le zone appartenenti ai diversi operatori» e da quella del sig. Ciocca dell’8 giugno 1995, menzionata a pag. 8220 ter 3 del fascicolo della Commissione che un’«intesa di fabbricanti di tubi opera su scala mondiale». Parimenti, dalla risposta della Dalmine 29 maggio 1997 emerge che il sig. Biasizzo ha assistito almeno una volta ad una riunione con i produttori giapponesi in Giappone, di modo che egli aveva una conoscenza diretta dell’esistenza e dei termini dell’accordo sanzionato all’art. 1 della decisione impugnata.

322
Infine, secondo le ricorrenti giapponesi, le due dichiarazioni del sig. Biasizzo non precisano quali fosseri i prodotti interessati dall’accordo a cui egli fa riferimento.

323
Occorre ricordare nuovamente, al riguardo, che ognuna delle prove fornite dalla Commissione non deve necessariamente rispondere con precisione e concordanza alle dichiarazioni del sig. Verluca per ogni elemento dell’infrazione (v. supra, punto 180). Infatti, basta che un documento attesti elementi significativi dell’accordo descritto dal sig. Verluca per avere un certo valore a titolo di elemento di corroborazione nell’ambito del complesso di prove a carico (v. supra, punto 220). In ogni caso, senza che sia necessario risolvere la controversia tra le parti per quanto riguarda il periodo preciso durante il quale il sig. Biasizzo è stato responsabile delle vendite dei due tipi di prodotti di cui alla decisione impugnata, è pacifico nella fattispecie che egli è stato responsabile delle vendite realizzate dalla Dalmine dei tubi OCTG per una parte importante del periodo d’infrazione constatato, nonché delle vendite dei linepipe per almeno diversi mesi durante tale periodo, per cui egli aveva una conoscenza diretta dei fatti da egli descritti.

324
Occorre concludere, al riguardo, che la deposizione del sig. Biasizzo corrobora le dichiarazioni del sig. Verluca quanto all’esistenza dell’accordo di ripartizione dei mercati nazionali descritti da quest’ultimo. Più specificamente, questo elemento di prova conferma che i mercati nazionali di ogni produttore dovevano essere rispettati dagli altri membri del club e che tale principio è stato dimostrato in occasione delle riunioni che avevano luogo due volte all’anno, una volta in Europa e una volta in Giappone, a cui le ricorrenti giapponesi hanno inviato rappresentanti (v. supra, punti 192‑196).

325
Occorre rilevare inoltre, che, nella sua risposta 7 novembre 1997 ad una richiesta d’informazioni, menzionata alla pag. 14451 del fascicolo della Commissione, menzionata nella nota a piè di pagina n. 41 della decisione impugnata, la JFE‑NKK riconosce che i produttori europei le hanno chiesto di rispettare i loro mercati domestici in occasione delle riunioni del club Europa-Giappone [«We recall that other (European) mills requested that JFE respect their home markets»]. Tuttavia la JFE-NKK nega di aver dato risposta favorevole a tale richiesta («However we were neither bound by nor did we respect such requests»).

326
È giocoforza constatare, innanzi tutto, che tale risposta della JFE-NKK conferma che le discussioni tenute durante le riunioni del club Europa-Giappone non solo hanno avuto ad oggetto mercati di paesi terzi, ma anche mercati comunitari, conformemente alla descrizione delle stesse figuranti nelle dichiarazioni del sig. Verluca.

327
Occorre ricordare, peraltro, che secondo una giurisprudenza consolidata, qualora un’impresa partecipi, pur senza svolgervi un ruolo attivo, a riunioni tra imprese aventi una finalità anticoncorrenziale e non prenda pubblicamente le distanze dal loro oggetto, inducendo così gli altri partecipanti a ritenere che essa partecipi all’intesa risultante dalle dette riunioni e che vi si conformerà, può considerarsi che essa partecipi all’intesa in questione (v. sentenze del Tribunale 17 dicembre 1991, causa T‑7/89, Hercules Chemicals/Commissione, Racc. pag. II‑1711, punto 232; 10 marzo 1992, causa T‑12/89, Solvay/Commissione, Racc. pag. II‑907, punto 98; 6 aprile 1995, causa T‑141/89, Tréfileurope/Commissione, Racc. pag. II‑791, punti 85 e 86, e Cemento, cit. supra al punto 66, punto 1353).

328
La giurisprudenza menzionata supra al punto 327 non è direttamente applicabile alla situazione della JFE-NKK, poiché, nelle cause che hanno dato luogo alle sentenze citate, l’esistenza dell’infrazione in capo ad altre imprese era stata dimostrata e la sola questione ancora esistente era quella della partecipazione passiva dell’impresa a tale infrazione.

329
Tuttavia, il principio secondo cui un’impresa che partecipa a riunioni aventi un oggetto anticoncorrenziale dà ad intendere alle altre partecipanti che essa partecipa all’intesa che ne risulta e che vi si atterrà, se non si distanzia pubblicamente dal contenuto di queste, e partecipa dunque ad un’infrazione, può essere applicato alla fattispecie. La partecipazione della JFE-NKK alle dette riunioni si sarebbe tanto più verificata nella fattispecie in quanto essa riconosce che una richiesta specifica diretta al rispetto dei mercati comunitari le è stata inviata nell’ambito di queste riunioni. In tal modo la risposta della JFE-NKK costituisce un elemento di prova particolarmente probante che consente di corroborare le dichiarazioni del sig. Verluca per quanto riguarda il fatto che tale società ha partecipato ad un’intesa con i quattro produttori europei.

330
Occorre rilevare, inoltre, che gli altri tre produttori giapponesi hanno partecipato alle medesime riunioni del club Europa-Giappone della JFE-NKK. Orbene, è inconcepibile, dato il modo di funzionamento e gli obiettivi del club Europa‑Giappone e come attestano i documenti esaminati sopra, che i produttori europei si siano limitati a chiedere alla JFE-NKK, e non agli altri produttori giapponesi membri del club, che essa rispetti i loro mercati nazionali. Ciò premesso, occorre considerare che la risposta della JFE-NKK conferma inoltre la partecipazione degli altri tre produttori giapponesi all’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata.

331
Da tutto quanto precede risulta che il complesso di indizi fatti valere dalla Commissione basta ampiamente a corroborare le dichiarazioni del sig. Verluca per quanto riguarda il fatto che i produttori giapponesi ed europei hanno effettivamente concluso, nell’ambito del club Europa-Giappone descritto dallo stesso, un accordo di ripartizione dei mercati relativi a determinati tubi di acciaio senza saldatura, ai termini del quale ogni produttore doveva in particolare astenersi dal vendere i prodotti interessati sul mercato nazionale di ognuno degli altri mebri del club.

332
Dalla maggior parte degli elementi che costituiscono tale complesso di indizi non emerge chiaramente quali fossero i tubi in acciaio senza saldatura interessati da tale ripartizione, ma ne risulta univocamente che, tra i prodotti interessati, figuravano i tubi OCTG standard. Infatti, i riferimenti specifici a tali prodotti nelle note Riflessioni strategiche e Riflessioni sul contratto VAM, nel documento Sharing Key e nella risposta della Mannesmann, nonché quelli ai tubi OCTG in generale, senza altra precisazione, in altri documenti fatti valere dalla Commissione corroborano in modo adeguato e chiaro le dichiarazioni del sig. Verluca quanto al fatto che i «fundamentals » riguarderebbero tali prodotti.

333
Per quanto riguarda i linepipe «project», un unico elemento di prova, la risposta della Mannesmann effettuata dal sig. Becher, conforta in modo univoco l’affermazione del sig. Verluca secondo cui l’accordo illecito riguardava anche i linepipe «project». Tuttavia, dato il carattere particolarmente probatorio di tale risposta, circostanza rilevata sopra ai punti 294-302, occorre considerare che essa è sufficiente a corroborare le dichiarazioni del sig. Verluca, già molto affidabili di per sé (v. supra, punti 205‑207) per quanto riguarda tali prodotti.

334
In ogni caso è già stato affermato che, sebbene il complesso di indizi concordanti invocati dalla Commissione consenta di dimostrare l’esistenza e taluni aspetti specifici dell’accordo di ripartizione dei mercati richiamato dal sig. Verluca e constatato all’art. 1 della decisione impugnata, le dichiarazioni di quest’ultimo potrebbero bastare di per sé, in tal caso, ad attestare altri aspetti della decisione impugnata ai sensi della regola derivante dalla sentenza Cemento, cit. supra al punto 66 (punto 1838), e fatta valere dalla Commissione (v. supra, punti 204 e 220). Orbene, è già stato constatato, supra ai punti 330 e 332, che il complesso di indizi invocati dalla Commissione è sufficiente per corroborare le dichiarazioni del sig. Verluca sotto diversi aspetti, e in particolare per quanto riguarda i tubi OCTG standard.

335
Ciò premesso, occorre considerare che il sig. Verluca ha detto chiaramente la verità nelle sue dichiarazioni e, pertanto, che tali dichiarazioni bastano, in quanto elementi di prova a dimostrare che l’accordo di ripartizione dei mercati nazionali dei membri del club Europa-Giappone si riferiva non solo ai tubi OCTG standard come attestato da diversi altri elementi probatori, ma anche ai linepipe «project». Infatti, non vi è alcuna ragione per ritenere che il sig. Verluca, che aveva una conoscenza diretta dei fatti, abbia effettuato dichiarazioni inesatte per quanto riguarda i linepipe, laddove altri elementi probatori corroborano le sue affermazioni riguardo all’esistenza di un accordo e la sua applicazione ai tubi OCTG standard.

336
Infine, pur supponendo che le ricorrenti giapponesi abbiano potuto far sorgere un dubbio quanto ai prodotti specifici coperti dall’accordo sanzionato all’art. 1 della decisione impugnata, circostanza non dimostrata, occorre rilevare che se dalla stessa, considerata complessivamente, emerge che l’infrazione constatata ha riguardato un tipo particolare di prodotti e menziona gli elementi di prova a sostegno di una tale conclusione, il fatto che tale decisione non contenga un’enunciazione precisa ed esaustiva di tutti i tipi di prodotti coperti dall’infrazione non può essere, di per sé, sufficiente a giustificare il suo annullamento (v., in analogia, nel contesto di un motivo relativo ad un difetto di motivazione, sentenza Gruber + Weber/Commissione, supra punto 203, punto 214). Se ciò non fosse, un’impresa potrebbe evitare qualsiasi sanzione anche laddove la Commissione abbia dimostrato con certezza che essa aveva commesso un’infrazione in circostanze in cui l’identità dei prodotti specifici, indicati tra una gamma di prodotti simili messi in commercio dall’impresa in questione, non sia stata dimostrata.

337
A tal riguardo, la giurisprudenza relativa all’adeguata definizione del mercato, invocata dalla JFE-NKK (v. supra, punto 101, e sentenza SIV e a./Commissione, supra, punto 57), è irrilevante poiché essa fa riferimento alla situazione in cui la Commissione constata un’infrazione in base agli effetti anticoncorrenziali del comportamento delle imprese in questione, mente nel caso di specie l’oggetto anticoncorrenziale dell’accordo illecito è dimostrato sulla base di prove documentali.

–     Durata dell’infrazione

338
Per quanto riguarda la durata dell’infrazione, occorre innanzitutto rilevare che la Commissione, al punto 108 della decisione impugnata, ha considerato che essa avrebbe potuto constatare l’esistenza dell’infrazione a partire dal 1977, ma che ha deciso di non farlo a causa dell’esistenza di accordi di autolimitazione. Così, all’art. 1 della decisione impugnata essa ha constatato l’esistenza dell’infrazione solo a partire dal 1990.

339
Ne consegue che le ricorrenti giapponesi errano nel sostenere che la Commissione, nella decisione impugnata, ha constatato l’esistenza di un’infrazione solo a partire dal 1990 poiché essa considerava che l’esistenza degli accordi di autolimitazione ostava all’esportazione da parte delle ricorrenti giapponesi dei loro tubi d’acciaio verso la Comunità. Tuttavia, nemmeno la posizione della Commissione nella presente causa, secondo cui essa ha constatato l’esistenza dell’infrazione a partire dal 1977 pur tenendone conto, ai fini della fissazione dell’ammenda, solo a partire dal 1990, corrisponde ai termini della detta decisione, e in particolare all’art. 1 della stessa.

340
Occorre rilevare, al riguardo, che nelle presenti cause la Commissione non ha invitato il Tribunale a constatare l’esistenza di un’infrazione prima del 1990. Inoltre, sebbene la Commissione rilevi nelle sue memorie che il fatto di non aver constatato l’esistenza di un’infrazione per il periodo durante il quale erano in vigore gli accordi di autolimitazione costituisce una concessione ai destinatari della decisione impugnata che essa non era obbligata a fare, essa non sostiene dinanzi al Tribunale che occorre rimettere in questione tale concessione nell’ambito del presente procedimento.

341
Ne consegue che l’esame del Tribunale non deve riguardare la legittimità o l’opportunità della detta concessione, ma solo la questione se la Commissione, avendola espressamente effettuata nei motivi della decisione impugnata, l’abbia correttamente applicata nella fattispecie. Occorre ricordare, al riguardo, che la Commissione deve fornire prove precise e concordanti per fondare la ferma convinzione che l’infrazione sia stata commessa in quanto le incombe l’onere della prova relativa all’esistenza dell’infrazione e, di conseguenza, alla sua durata (v. supra, punti 177‑179 e giurisprudenza cit.).

342
Così, dato che si tratta di accordi stipulati sul piano internazionale, tra il governo giapponese, rappresentato dal Ministero dell’Industria e del Commercio estero, e la Comunità, rappresentata dalla Commissione, occorre constatare che quest’ultima avrebbe dovuto conservare la documentazione che conferma la data in cui i detti accordi sono cessati, conformemente al principio di buona amministrazione. Pertanto, essa avrebbe dovuto essere in grado di produrre tale documentazione dinanzi al Tribunale. Tuttavia, la Commissione ha affermato dinanzi al Tribunale di aver cercato nei suoi archivi, ma che essa non poteva produrre documenti attestanti la data di cessazione degli accordi.

343
Sebbene, in generale, un ricorrente non possa trasferire l’onere della prova al convenuto avvalendosi di circostanze che quest’ultima non può dimostrare, la nozione di onere della prova non può essere applicata a vantaggio della Commissione nella fattispecie per quanto riguarda la data di cessazione degli accordi da essa conclusi. L’inspiegabile incapacità della Commissione di produrre elementi di prova relativi ad una circostanza che la interessa direttamente priva il Tribunale della possibilità di statuire con cognizione di causa per quanto riguarda la data di cessazione dei detti accordi. Sarebbe contrario al principio di buona amministrazione della giustizia far sopportare le conseguenze di tale incapacità della Commissione alle imprese destinatarie della decisione impugnata, le quali, a differenza dell’istituzione convenuta, non erano in grado di fornire la prova mancante.

344
Ciò premesso, occorre considerare, in via eccezionale, che spettava alla Commissione fornire la prova di tale cessazione. Orbene, è giocoforza constatare che la Commissione non ha fornito la prova della data in cui sono cessati gli accordi di autolimitazione, né nella decisione impugnata né dinanzi al Tribunale.

345
In ogni caso, sebbene le ricorrenti giapponesi non abbiano fornito la prova che gli accordi di autolimitazione hanno continuato ad esistere sul piano internazionale, esse hanno tutte prodotto elementi di prova molto pertinenti per quanto riguarda la percezione giapponese dello status degli accordi di autolimitazione durante il 1990. Tra tali elementi figura, in particolare, una domanda formulata il 22 dicembre 1989 da sei produttori giapponesi di tubi d’acciaio, fra cui le quattro ricorrenti giapponesi, diretta ad ottenere l’autorizzazione di prorogare, sino al 31 dicembre 1990, l’accordo interno che limita le loro esportazioni verso la Comunità europea e, infine, la decisione del MITI, del 28 dicembre 1989, che approva tale proroga. Tali documenti consentono di concludere con certezza che le ricorrenti giapponesi nonché le autorità giapponesi competenti ritenevano che l’accordo internazionale di autolimitazione concluso con le Comunità europee fosse applicabile durante il 1990.

346
Ciò premesso, occorre considerare, ai fini del presente procedimento, in base agli elementi prodotti dinanzi al Tribunale e tenuto conto dell’onere della prova spettante alla Commissione per quanto riguarda l’esistenza di un’infrazione, che gli accordi di autolimitazione stipulati dalla Commissione e dalle autorità giapponesi sono rimasti in vigore per il 1990. Alla luce di tale accertamento dei fatti e con riferimento alla concessione da parte della Commissione stessa nella decisione impugnata, la durata dell’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata deve essere ridotta di un anno.

347
Quanto alla data in cui è cessata l’infrazione, la Commissione si basa, ai punti 96 e 108 della decisione impugnata, sulla dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996, secondo la quale le riunioni erano terminate «da poco più di un anno», per considerare che l’infrazione è durata sino al 1995. Tuttavia, dal punto 166 della decisione impugnata, relativo al calcolo dell’importo delle ammende, emerge che l’infrazione è stata constatata solo per un periodo di cinque anni per le quattro ricorrenti giapponesi, per cui ha dovuto cessare il 1º gennaio 1995. La Commissione ha confermato in udienza che questa è l’interpretazione della decisione impugnata che occorre adottare.

348
Le ricorrenti giapponesi rilevano che l’unico degli altri documenti fatti valere dalla Commissione che contiene elementi relativi alla durata dell’infrazione, vale a dire il documento «Sharing Key», si riferisce ad un periodo scaduto nel marzo 1994. Inoltre, esse rilevano che non vi sono prove di riunioni del club Europa‑Giappone dopo tale data.

349
Occorre innanzi tutto rilevare che, sebbene le dichiarazioni del sig. Verluca siano particolarmente affidabili, la frase su cui si basa la Commissione per concludere che l’infrazione è durata sino all’inizio del 1995 è molto vaga. Ciò premesso, va considerato che gli elementi di prova che corroborano le dichiarazioni del sig. Verluca su altri punti non bastano perché la Commissione possa basarsi esclusivamente sulle stesse nel presente contesto. Infatti, anche se la veridicità di quanto affermato dal sig. Verluca per quanto riguarda la durata dell’infrazione non è dubbia, dalla vaghezza della sua indicazione relativa alla fine della stessa risulta che la sua dichiarazione non basta di per sé a dimostrare sufficientemente quest’ultima data.

350
Peraltro, secondo la descrizione delle riunioni del club Europa-Giappone contenuta nelle dichiarazioni del sig. Verluca, queste avevano luogo «due volte all’anno, una volta in Europa e una volta in Giappone (generalmente in marzo o aprile in Europa e in ottobre o novembre in Giappone)» (v. la dichiarazione del sig. Verluca 14 ottobre 1996). Ne consegue che se l’infrazione fosse durata sino all’inizio del 1995, come suppone la Commissione, si sarebbe anche dovuta normalmente tenere una nuova riunione del club nell’autunno 1994. Orbene, se la riunione del marzo 1994 è attestata da diversi elementi probatori, in particolare dal documento «Sharing Key», non esiste alcuna traccia nel fascicolo di una riunione nell’autunno 1994. Ciò posto, non si può concludere con un sufficiente grado di certezza che l’infrazione sia durata oltre il primo semestre del 1994.

351
Di conseguenza, occorre considerare che l’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata è terminata il 1º luglio 1994 e, di conseguenza, occorre ridurre la durata dell’infrazione di sei mesi per quanto riguarda le quattro ricorrenti giapponesi, oltre la riduzione indicata sopra al punto 346.

352
Da tutto quanto precede risulta che la Commissione ha dimostrato l’esistenza dell’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata nei confronti delle ricorrenti giapponesi sulla base degli elementi di prova fatti valere nei motivi di questa, conformemente alle norme relative alla produzione della prova esposte supra ai punti 173‑180, ma solo per un periodo di tre anni e mezzo, vale a dire dal 1º gennaio 1991 al 1º luglio 1994. In tal modo, la seconda parte del primo motivo dev’essere respinta per il resto, tranne che per quanto riguarda tale riduzione della durata dell’infrazione. Poiché l’esistenza dell’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata è stata sufficientemente dimostrata, è giocoforza constatare che gli argomenti specifici avanzati dalle ricorrenti e non respinti espressamente dal Tribunale sono inoperanti.

353
Peraltro, dal rigetto della seconda parte del motivo, in quanto è dimostrato che le ricorrenti giapponesi hanno effettivamente concluso l’accordo a scopo anticoncorrenziale sanzionato, consegue il rigetto anche della sua prima parte. Infatti, né l’eventuale esistenza di ostacoli alle importazioni giapponesi né l’eventuale esistenza di vendite giapponesi dei prodotti interessati dal detto accordo sul mercato offshore del Regno Unito possono, per le ragioni esposte supra ai punti 181‑186, inficiare la conclusione, basata su prove documentali, secondo cui il detto accordo è esistito.

Sulla terza parte, vertente sull’erroneità della tesi della Commissione sul significato dell’infrazione constatata all’art. 2 della decisione impugnata

354
Secondo le ricorrenti giapponesi, la tesi esposta dalla Commissione al punto 164 della decisione impugnata per affermare che l’infrazione di cui all’art. 2 aveva come oggetto quello di rispettare lo status di «mercato nazionale» del mercato britannico con riferimento ai «fundamentals», per mezzo di «fundamentals improved», è intrinsecamente inverosimile. Esse sostengono, in particolare, che la Corus non si sarebbe ritirata dal mercato britannico degli OCTG filettati standard e dei linepipe «project» per il solo fatto della cessazione della sua produzione di tubi lisci a Clydesdale, ma avrebbe continuato a fabbricare e a vendere tali prodotti sul suo mercato domestico sebbene non avesse concluso contratti di fornitura di tubi lisci con le società Vallourec, Dalmine e Mannesmann.

355
Nell’ambito della presente parte del primo motivo, spetta solo al Tribunale esaminare la questione se la Commissione fosse autorizzata a basarsi sull’esistenza dell’infrazione constatata all’art. 2 della decisione impugnata per rafforzare la sua tesi quanto all’esistenza dell’infrazione constatata all’art. 2 della decisione impugnata.

356
Occorre innanzi tutto rilevare che, poiché l’esistenza dell’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata è dimostrata sulla base di prove documentali prese in considerazione dalla Commissione nella decisione impugnata, non è strettamente necessario analizzare l’incidenza dell’accertamento della seconda infrazione su tale questione. Nella fattispecie, occorre tuttavia esaminare tale argomento delle ricorrenti giapponesi, ad abundantiam, poiché gli argomenti sollevati dalle stesse al riguardo incidono su altri loro motivi, segnatamente su quello relativo ad un’asserita disparità di trattamento nell’ambito delle loro richieste di riduzione dell’importo delle ammende.

357
Dagli elementi di prova adottati dalla Commissione nella decisione impugnata risulta che i produttori europei temevano che la conservazione da parte della Corus di un’attività di filettatura di tubi non fosse sufficiente affinché i produttori giapponesi continuassero a rispettare il carattere nazionale del mercato britannico, ai sensi dei «fundamentals». In particolare, occorre sottolineare che la Nota per i presidenti contiene la seguente valutazione, citata al punto 90 della decisione impugnata:

«Sebbene i giapponesi abbiano accettato di non chiedere modifiche dei nostri accordi in caso di ristrutturazione del settore comunitario dei tubi senza saldatura, nulla garantisce che terrebbero fede a questo impegno qualora [la Corus] dovesse ritirarsi dal mercato della produzione o della finitura di tubi nel Regno Unito».

(«Although the Japanese have agreed not to request changes in our agreements if the EC seamless industry were to restructure, there is no guarantee that they would follow this precept if [Corus] were to exit tubemaking or finishing in the UK»).

358
Tale affermazione è corroborata dalle note della Vallourec, segnatamente dalle note Riunione 24.07.90 e Riflessioni sul contratto VAM BSC, citate ai punti 78 e 80 della decisione impugnata, nonché dalla nota Colloquio BSC, che menzionano il rischio che i produttori giapponesi cerchino di aumentare la loro quota di mercato in modo significativo in seguito alla chiusura da parte della Corus del suo stabilimento a Clydesdale e che concludono per la necessità di proteggere il mercato britannico. La logica sottesa all’analisi della Commissione consiste nel ritenere che i produttori giapponesi non accetterebbero più necessariamente di trattare il mercato britannico come un mercato nazionale ai sensi dei «fundamentals» se la Corus interrompesse la sua produzione di tubi lisci e acquistasse i suoi tubi lisci per la filettatura da produttori stabiliti in paesi terzi, possibilità esplicitamente menzionata dalla Vallourec nelle note Riflessioni strategiche e Rinnovo del contratto VAM BSC. Gli autori delle note della Vallourec, invece, erano maggiormente ottimisti quanto alla possibilità di far rispettare i «fundamentals» dai produttori giapponesi nel caso in cui la Corus accettasse di rifornirsi esclusivamente di tubi lisci di origine comunitaria, soprattutto se la Mannesmann, considerata il «solo produttore europeo che [fece] paura ai giapponesi», secondo la nota Riunione 24.07.90, figurava tra i produttori firmatari dei contratti di fornitura.

359
Occorre rilevare a tal riguardo che la Commissione non era tenuta a provare che la tesi esposta nelle note della Vallourec e nella Nota per i presidenti fosse esatta, nel senso che essa rifletteva un’interpretazione dei «fundamentals» accettata dai produttori giapponesi. Nel presente contesto le bastava, logicamente, dimostrare che i produttori europei credevano all’efficacia di tale strategia per conservare i «fundamentals», per cui essi hanno effettivamente ripartito le forniture di tubi lisci alla Corus tra la Vallourec, la Mannesmann e la Dalmine per raggiungere tale obiettivo. Infatti, l’esistenza di una strategia di questo tipo ha senso solo se esisteva già effettivamente un accordo di ripartizione dei mercati tra i produttori europei e giapponesi e ne consegue che la prova di tale prima circostanza conferma anche l’esistenza di tale accordo.

360
Quanto agli argomenti sollevati dalle ricorrenti giapponesi sulla politica di preferenza dell’OSO e sulla direttiva 90/531, in particolare sul significato dei riferimenti alla preferenza del 3%, essi non possono bastare a cancellare il valore delle prove scritte. Se tali considerazioni consentono effettivamente di capire meglio i detti riferimenti e di valutare l’esistenza di una ragione supplementare che favorisca il rifornimento della Corus di tubi lisci a partire da fonti intracomunitarie, vale a dire il fatto che la preferenza britannica stava per essere sostituita da una preferenza comunitaria, deriva chiaramente dai documenti esaminati supra ai punti 357 e 358 che, nonostante l’esistenza di tali preferenze, i produttori europei temevano che i loro omologhi giapponesi iniziassero a vendere tubi sul mercato britannico.

361
Vanno inoltre respinti gli argomenti delle ricorrenti giapponesi relativi alla diversa data di firma figurante su ognuno dei contratti di fornitura. Infatti, la tesi esposta supra ai punti 356-359 resta valida, indipendentemente dalla data precisa in cui ognuno dei produttori europei ha aderito all’accordo costitutivo dell’infrazione constatata all’art. 2 della decisione impugnata. Infatti, ciò che importa per quanto riguarda questa infrazione è il fatto, rilevato sopra, che la sua esistenza, a partire dal 1991 o dal 1993, conferma quella dell’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata.

362
Tuttavia, occorre rilevare che gli argomenti delle ricorrenti giapponesi hanno un certo valore, in quanto dai punti 110‑116 della decisione impugnata medesima, in particolare dal suo punto 111, emerge che oggetto ed effetto della seconda infrazione erano in particolare una ripartizione rigorosa tra la Vallourec, la Mannesmann e la Dalmine delle forniture di tubi lisci alla Corus. Di conseguenza, anche se emerge chiaramente dalle prove documentali esaminate sopra, in particolare ai punti 357 e 358, che uno degli obiettivi della seconda infrazione era effettivamente la tutela del mercato britannico, è giocoforza constatare che, secondo la decisione impugnata medesima, il detto accordo aveva inoltre un oggetto ed effetti anticoncorrenziali per quanto riguarda il mercato britannico dei tubi lisci.

363
Inoltre, poiché i contratti di fornitura di tubi lisci sono stati rinnovati dopo la fine del primo semestre del 1994, data a partire dalla quale non è più dimostrata l’esistenza del club Europa-Giappone, è difficile concepirli, così rinnovati, come un mezzo di attuazione di un’infrazione già cessata. Ogni contratto è stato concluso per un periodo iniziale di cinque anni e ogni parte aveva il diritto di risolverlo alla scadenza di tale termine, dando un preavviso di dodici mesi alla controparte contrattuale. In particolare, poiché la Vallourec e la Dalmine hanno tenuto in vigore il contratto 4 dicembre 1991 (laddove la Vallourec è subentrata nei diritti della Corus mediante la TISL nel 1994, v. punto 92 della decisione impugnata) dopo il 4 dicembre 1996 e sino al 30 marzo 1999, non è possibile provare un nesso tra tale comportamento commerciale e l’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata. In ogni caso, le parti dei contratti di fornitura avrebbero potuto risolvere gli stessi di comune accordo in qualsiasi momento dopo la cessazione dell’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata. Vi è motivo di supporre che esse l’avrebbero fatto entro il 1995 se l’unico interesse commerciale di tali accordi fosse stato quello sostenuto dalla Commissione al punto 164 della decisione impugnata.

364
Alla luce di quanto precede, occorre rilevare che è eccessiva l’affermazione della Commissione, figurante alla prima frase del punto 164 della decisione impugnata, secondo cui i contratti di fornitura, costitutivi dell’infrazione constatata all’art. 2 della medesima, erano solo un mezzo di attuazione di quella constatata all’art. 1 della medesima, in quanto tale attuazione era un obiettivo della seconda infrazione tra diversi obiettivi e effetti anticoncorrenziali collegati ma distinti. L’eventuale incidenza di questa circostanza sul calcolo dell’importo delle ammende inflitte alle ricorrenti giapponesi verrà esaminata sotto ai punti 567‑574.

365
Tuttavia, è chiaro che la Commissione aveva motivo di considerare che la seconda infrazione aveva, tra gli altri, l’oggetto di rafforzare o, secondo l’espressione usata al punto 164 della decisione impugnata, di attuare l’accordo di ripartizione dei mercati sanzionato all’art. 1 della decisione impugnata ed è a ragione veduta che la Commissione si è basata sull’esistenza di questa seconda infrazione per sostenere l’esistenza di quella constatata all’art. 1 (v. supra, punto 359). Questa circostanza basta perché venga respinta la presente parte del primo motivo.

366
Risulta da quanto precede che il primo motivo dev’essere integralmente respinto.

2. Sul secondo motivo, vertente sulla circostanza che l’infrazione constatata all’art. 1 doveva, in realtà, essere analizzata come costituente due infrazioni autonome

a)     Argomenti delle parti

367
La JFE-Kawasaki e la Sumitomo sostengono, in subordine, che, pur supponendo che i produttori giapponesi avessero partecipato ad un accordo che proibiva loro di vendere i tubi di acciaio oggetto della decisione impugnata sui mercati comunitari, tale circostanza non autorizzerebbe la Commissione a ritenere che gli stessi abbiano, per questo, partecipato ad un qualsiasi accordo con i produttori europei, secondo il quale ognuno di questi ultimi avrebbe rinunciato a vendere i propri tubi non solo sul mercato giapponese, ma anche sul mercato nazionale degli altri produttori europei. Infatti, la Commissione, dal momento che non ha mai dimostrato che la partecipazione dei produttori giapponesi fosse necessaria affinché i produttori europei concludessero un accordo tra di loro, avrebbe dovuto analizzare questi due aspetti dei «fundamentals» come due infrazioni autonome. Occorrerebbe ricordare, a tale proposito, che la tabella riportata nel documento «Sharing key» si limita a prevedere che i produttori giapponesi debbano rispettare il mercato europeo. Gli altri elementi probatori farebbero, tutt’al più, allusione ad un preteso obbligo, per i produttori giapponesi, di non vendere i propri prodotti in Europa.

368
Inoltre, la JFE-Kawasaki afferma che, nei limiti in cui l’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata è considerata come un semplice modo di attuazione dell’infrazione di cui all’art. 1 della stessa, sarebbe assurdo affermare che i produttori giapponesi abbiano partecipato a tale parte autonoma di quest’ultima infrazione.

369
La Commissione sostiene che l’accordo di ripartizione di mercati deve essere considerato come un insieme di regole e che sarebbe, pertanto, artificioso suddividerlo in due parti. Secondo la stessa, l’efficacia dell’accordo si basava sulla partecipazione del maggior numero possibile di produttori, come testimoniato dagli sforzi fatti per persuadere i produttori dell’America latina ad aderirvi. Sebbene i produttori giapponesi non abbiano aderito all’accordo, non si può presumere che i produttori europei l’abbiano necessariamente concluso tra di loro.

b)     Giudizio del Tribunale

370
Occorre innanzi tutto ricordare che, come rilevato correttamente dalla Commissione, un’impresa può essere ritenuta responsabile di un’intesa globale anche qualora venga dimostrata la sua diretta partecipazione soltanto a uno o a più elementi costitutivi di tale intesa, dal momento che, da un lato, le era noto, o doveva necessariamente esserle noto, che la collusione cui partecipava, in particolare tramite regolari riunioni organizzate durante diversi anni, rientrava in un piano globale diretto a falsare il gioco normale della concorrenza e, dal momento che, dall’altro, questo piano globale riguardava il complesso degli elementi costitutivi dell’intesa (sentenza PVC II, cit. supra al punto 61, punto 773). Parimenti, la circostanza che varie imprese abbiano svolto ruoli diversi nel perseguimento di un comune obiettivo non elimina l’identità di oggetto anticoncorrenziale e, pertanto, di infrazione, a condizione che ogni impresa, al proprio livello, abbia contribuito al perseguimento dell’obiettivo comune (v., in tal senso, sentenza Cemento, cit. supra al punto 66, punto 4123).

371
Nella fattispecie, emerge chiaramente dagli elementi di prova esaminati sopra, in particolare della dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996, che uno dei principi essenziali dei «fundamentals» era il rispetto reciproco dei mercati domestici dei membri del club Europa-Giappone. In tal modo, l’accordo di protezione dei mercati descritto dalla Commissione riguardava, a livello comunitario, solo i mercati nazionali dei quattro produttori europei e non gli altri mercati comunitari. Sebbene l’esclusione dei produttori europei dal mercato giapponese costituisse logicamente l’aspetto di tale parte dei «fundamentals» che interessava i produttori giapponesi, questi ultimi sapevano, o dovevano necessariamente capire, che tale principio era applicabile sia a livello intracomunitario che a livello intercontinentale.

372
Occorre inoltre ricordare che i produttori europei erano convinti che la cessazione della produzione di tubi lisci da parte della Corus a Clydesdale rischiava di comportare una rimessa in causa dello status nazionale del mercato britannico da parte dei produttori giapponesi (v. supra, punti 354-365). Da questa circostanza deriva necessariamente che la presenza di un produttore nazionale membro del club Europa‑Giappone che fabbricava e metteva in commercio tubi OCTG standard e linepipe «project» sul mercato nazionale di uno Stato era percepita come la condizione del rispetto di un mercato da parte degli altri membri del club.

373
Inoltre, l’argomento delle ricorrenti giapponesi, secondo cui i mercati comunitari sono stati trattati come un mercato unico nell’ambito del club Europa-Giappone è inficiato dal fatto che il mercato offshore britannico aveva uno status particolare, «semi-protetto», nell’ambito dell’accordo di ripartizione dei mercati. Infatti, le ricorrenti giapponesi affermano esse stesse di aver venduto tubi di acciaio senza saldatura su tale mercato senza tuttavia venderne sugli altri mercati comunitari.

374
Da quanto precede risulta che, nella fattispecie, la Commissione non doveva trattare l’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata come due infrazioni autonome, la prima relativa ai rapporti tra i produttori europei e giapponesi e la seconda ai rapporti intracomunitari. Pertanto, il motivo in esame dev’essere respinto.

3. Sul terzo motivo, vertente sul fatto che non si doveva ritenere che l’accordo avesse avuto un’incidenza considerevole sulla concorrenza

a)     Argomenti delle parti

375
La JFE-Kawasaki e la JFE-NKK invocano l’esistenza di ostacoli agli scambi, menzionati supra ai punti 73‑88, i quali si opponevano a che i produttori giapponesi esportassero i propri tubi di acciaio verso i mercati europei, e segnatamente verso i mercati onshore degli Stati membri della Comunità, per sostenere che l’accordo tra produttori giapponesi ed europei, menzionato nella decisione impugnata, non ha necessariamente avuto l’effetto di limitare in modo sensibile l’offerta di tali prodotti sui detti mercati.

376
Così, nel caso di specie, i produttori giapponesi non avrebbero avuto alcun interesse economico a vendere tubi di acciaio sui mercati nazionali dei produttori europei. Essi, pertanto, non l’avrebbero fatto in nessun caso, a prescindere dal fatto che l’accordo loro addebitato sia esistito o meno. La Commissione, quindi, non avrebbe dimostrato, nella decisione impugnata, che tale condizione relativa all’esistenza di un’incidenza considerevole sulla concorrenza fosse soddisfatta per quanto riguarda i produttori giapponesi di tubi.

377
La JFE-Kawasaki invoca, a sostegno di tale argomento, la sentenza della Corte 25 novembre 1971, causa 22/71, Béguelin Import (Racc. pag. 949, punto 16) ed afferma che da quest’ultima risulta che la regola de minimis va applicata a prescindere dalla natura dell’accordo in questione. A tale proposito, i punti 1087 e 1088 della sentenza Cemento, cit. supra al punto 66, non avrebbero l’effetto di escludere la regola de minimis in talune ipotesi.

378
La JFE-NKK ritiene che la Commissione abbia l’obbligo di dimostrare che le ricorrenti giapponesi si sarebbero comportate diversamente in assenza degli accordi incriminati, cosa che essa non ha fatto nel caso di specie, ed invoca, a tale proposito, la sentenza Suiker Unie e a./Commissione, cit. supra al punto 56 (punto 196).

379
La Sumitomo si limita a rilevare che la Commissione non ha dimostrato che i produttori giapponesi avrebbero venduto tubi di acciaio sui mercati europei in assenza dell’infrazione contestata, senza sollevare esplicitamente il presente motivo.

380
La Commissione sostiene che, ai sensi della propria comunicazione relativa agli accordi di importanza minore che non sono contemplati dall’art. [81], n. 1 del Trattato che istituisce la Comunità europea (GU 1997, C 372, pag. 13), l’applicazione dell’art. 81, n. 1, CE non può essere esclusa nel caso di accordi orizzontali intesi, in particolare, alla ripartizione dei mercati o delle fonti di approvvigionamento, anche qualora la quota di mercato detenuta dalle imprese in questione sia minima. Infatti, la riduzione al minimo della quota di mercato di talune di esse sarebbe precisamente lo scopo di un tale accordo.

381
La Commissione sostiene, in via principale, che l’esistenza degli ostacoli al commercio invocati dalle ricorrenti giapponesi è irrilevante a tale proposito, anche se fosse dimostrata, cosa che non avverrebbe nella fattispecie.

b)     Giudizio del Tribunale

382
Occorre ricordare che la Commissione non è tenuta a dimostrare l’esistenza di un effetto pregiudizievole sulla concorrenza per provare una violazione dell’art. 81 CE, quando ha dimostrato l’esistenza di un accordo o di una pratica concordata avente come oggetto quello di restringere la concorrenza (v. sentenze Ferriere Nord/Commissione, punto 183 supra, punti 30 e segg., e Thyssen Stahl/Commissione, cit. supra al punto 74, punto 277; v. anche supra, punto 181).

383
Orbene, nella decisione impugnata, la Commissione si è basata, in via principale, sull’oggetto anticoncorrenziale dell’accordo concluso in seno al club Europa‑Giappone ed il Tribunale ha affermato che la decisione impugnata è fondata a tale proposito (v. supra, punti 189 e segg.). Ciò premesso, l’asserita mancanza di effetti anticoncorrenziali risultanti dall’accordo illecito invocato dalle ricorrenti giapponesi, anche se fosse dimostrata, è irrilevante per quanto riguarda l’esistenza dell’infrazione.

384
Va aggiunto che imprese che stipulano un accordo avente lo scopo di restringere la concorrenza non possono, in linea di principio, esonerarsene sostenendo che il loro accordo non doveva avere un’incidenza considerevole sulla concorrenza. Nella fattispecie, poiché l’accordo sanzionato all’art. 1 della decisione impugnata aveva avuto lo scopo di ripartire i mercati tra i membri del club Europa-Giappone, è evidente che il suo oggetto era la considerevole limitazione della concorrenza.

385
Pertanto, il motivo in esame dev’essere respinto.

4. Sul quarto motivo, vertente sul fatto che l’accordo non avrebbe avuto alcuna incidenza sul commercio tra Stati membri.

a)     Argomenti delle parti

386
La JFE-Kawasaki e la JFE-NKK sostengono che non si può affermare che l’accordo tra produttori giapponesi e produttori europei di cui alla decisione impugnata abbia avuto un effetto sul commercio tra Stati membri, tanto meno un effetto sensibile, conformemente a quanto richiesto dalla giurisprudenza (sentenza della Corte 20 giugno 1978, causa 28/77, Tepea/Commissione, Racc. pag. 1391, punto 47). A tale proposito, la JFE-NKK rileva nuovamente che spetta alla Commissione dimostrare che le ricorrenti giapponesi si sarebbero comportate diversamente in assenza di accordi. Essa si riferisce, riguardo a questo punto, alla sentenza Suiker Unie e a./Commissione (cit. supra al punto 56, punto 196). Secondo la JFE-Kawasaki e la JFE-NKK, i produttori giapponesi vendono i tubi menzionati nella decisione impugnata, che sono tutti prodotti finiti, esclusivamente ai clienti finali, vale a dire a compagnie petrolifere. Tali prodotti, pertanto, non verrebbero mai rivenduti all’interno del mercato comune. La JFE‑NKK sostiene che le dette vendite sono effettuate, in genere, dall’intermediario di un’impresa commerciale giapponese, nell’ambito di un contratto di fornitura a lungo termine o di un contratto quadro. In particolare, i linepipe «project» non sono prodotti standardizzati, bensì vengono fabbricati su ordinazione, secondo le specifiche particolari prescritte dal cliente, come rilevato dalla Commissione al punto 34 della decisione impugnata. Essi non si prestano, pertanto, per la loro stessa natura, ad essere rivenduti. Per di più, la pretesa infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata non avrebbe avuto alcun effetto sul commercio tra Stati membri, fintantoché gli accordi di autolimitazione erano in vigore.

387
La JFE-Kawasaki ritiene che l’assenza della possibilità di rivendita contraddistingue il presente caso da tutti quelli invocati dalla Commissione, nella nota a piè di pagina n. 35 della decisione impugnata, per giustificare la conclusione secondo la quale l’accordo di cui all’art. 1 ha pregiudicato gli scambi tra Stati membri, vale a dire quello all’origine della sentenza della Corte 15 giugno 1976, causa 51/75, EMI Records (Racc. pag. 811), e quelli all’origine delle decisioni della Commissione 29 novembre 1974, 74/634/CEE, relativa ad una procedura di applicazione dell’art. [81 CE] (Caso IV/27.095‑Intesa franco‑giapponese nel settore dei cuscinetti a sfere) (GU L 343, pag. 19); 8 gennaio 1975, 75/77/CEE, relativa ad una procedura d’applicazione dell’art. [81 CE] (Caso IV/27.039‑Conserve di funghi) (GU L 29, pag. 26), e 15 luglio 1975, 75/497/CEE, relativa ad una procedura ai sensi dell’art. [81 CE] (Caso IV/27.000‑Regolamenti IFTRA per i produttori di alluminio grezzo) (GU L 228, pag. 3). Infatti, vi sarebbe stata, in tutti questi casi, una possibilità che prodotti, la cui importazione e provenienza da un paese terzo era vietata da un accordo illecito, venissero rivenduti all’interno della Comunità. La decisione della Commissione 2 gennaio 1973, 73/109/CEE, relativa ad una procedura d’applicazione degli artt. [81 CE] e [82 CE] (Caso IV/26.918‑Industria europea dello zucchero) (GU L 140, pag. 17), invocata nella nota a piè di pagina n. 36 della decisione impugnata, riguarderebbe una pratica concordata piuttosto che un accordo illecito e sarebbe pertanto, anch’essa, irrilevante nel caso di specie.

388
In risposta all’argomento della Commissione secondo il quale l’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata è costituita da un accordo globale unico che ostacola gli scambi tra Stati membri, la JFE-Kawasaki rinvia al proprio argomento, vertente sul fatto che tale infrazione è composta, in realtà, da due accordi autonomi, i quali regolano l’uno le relazioni tra produttori giapponesi, da una parte, e produttori europei, dall’altra, e l’altro i rapporti tra produttori europei. Pur supponendo che la Commissione abbia ritenuto giustamente che esistesse un accordo unico, essa avrebbe dovuto esaminare separatamente le due parti autonome menzionate sopra per valutare la legalità del comportamento delle imprese in questione rispetto al diritto comunitario della concorrenza.

389
La JFE-Kawasaki afferma, a tale proposito, che la Commissione, al punto 103 della decisione impugnata, ha tralasciato due aspetti dell’accordo, di cui sospettava l’esistenza, concernenti la ripartizione dei mercati di paesi terzi e la fissazione concordata dei prezzi per detti mercati, per mancanza di elementi a carico sufficienti su tali aspetti dell’accordo, considerando, invece, l’esistenza di altre parti dello stesso accordo. Così, la Commissione non può affermare l’impossibilità di analizzare ogni aspetto dell’accordo in modo autonomo.

390
La Commissione rinvia innanzi tutto al suo argomento secondo il quale non è logico valutare l’incidenza della partecipazione dei produttori giapponesi all’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata in modo isolato rispetto all’incidenza della partecipazione dei produttori europei a quest’ultima. Tuttavia, pur supponendo che il Tribunale consideri che sia opportuno valutare separatamente l’effetto sugli scambi tra Stati membri del comportamento di ognuna delle imprese sanzionate, la Commissione rileva, a titolo di esempio, che, nell’ambito dell’accordo multilaterale, la JFE-Kawasaki aveva convenuto segnatamente con la Vallourec che nessuna delle due avrebbe esportato i propri tubi verso il mercato tedesco, il che ha inconfutabilmente eliminato una fonte di scambi tra Stati membri. Secondo la Commissione, la circostanza che i tubi vengano, in genere, venduti direttamente agli utilizzatori finali sarebbe irrilevante, dato che l’accordo influenzava il comportamento di tutte le fornitrici partecipanti all’accordo su tutti i mercati diversi dal loro mercato nazionale.

391
La Commissione ricorda che, secondo la giurisprudenza, è sufficiente che l’accordo possa esercitare un’influenza diretta o indiretta, attuale o potenziale, sugli scambi tra Stati membri, affinché la condizione dell’incidenza sul commercio tra Stati membri, di cui all’art. 81, n. 1, CE sia soddisfatta (sentenza Cemento, cit. supra al punto 66, punto 1986). Nella sentenza della Corte 28 aprile 1998, causa C‑306/96, Javico (Racc. pag. I‑1983, punto 17), sarebbe stato dichiarato che un accordo che preveda una protezione territoriale assoluta può esulare dal divieto dell’art. 81, n. 1, CE, quando incide sul mercato solo in modo insignificante. Nella fattispecie in esame, sarebbe tuttavia manifesto che non si tratta di questo caso. Infine, la sentenza Tepea/Commissione, punto 386 supra, dovrebbe essere intesa nel suo contesto e non sarebbe rilevante nel caso di specie.

b)     Giudizio del Tribunale

392
Secondo una costante giurisprudenza, perché una decisione, un accordo o una pratica concordata possano pregiudicare il commercio fra Stati membri è necessario che, in base ad un complesso di elementi di diritto o di fatto, appaia probabile che essi sono atti ad esercitare un’influenza diretta o indiretta, attuale o potenziale sugli scambi tra Stati membri (v., in particolare, sentenza del Tribunale 28 febbraio 2002, causa T‑395/94, Atlantic Container Line e a./Commissione, Racc. pag. II‑875, punti 79 e 90). Ne consegue che la Commissione non è tenuta a dimostrare l’esistenza effettiva di un tale pregiudizio al commercio, in quanto è sufficiente un’influenza potenziale (v., in tal senso, sentenza Atlantic Container Line e a./Commissione, cit., punto 90). Tuttavia, come rilevato correttamente dalle ricorrenti occorre che tale influenza attuale o potenziale non sia insignificante (sentenza della Corte 25 ottobre 2001, causa C‑475/99, Ambulanz/Glöckner, Racc. pag. I‑8089, punto 48).

393
Nella fattispecie, è già stato affermato al punto 374 supra che la Commissione non doveva trattare l’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata come due infrazioni autonome. Così, poiché tale infrazione doveva essere trattata come un’unica infrazione, è manifesto che la parte intracomunitaria dell’accordo illecito sanzionato ostacolava, perlomeno potenzialmente, il commercio tra Stati membri, di modo che la condizione relativa all’incidenza dell’accordo sul commercio tra Stati membri è soddisfatta nella fattispecie.

394
In ogni caso, la circostanza rilevata sopra (v., in particolare, punti 357‑359 e 372), secondo cui i produttori europei erano convinti che la cessazione della produzione di tubi lisci da parte della Corus a Clydesdale rischiava di comportare una rimessa in questione dello status nazionale del mercato britannico da parte dei produttori giapponesi, basta a dimostrare l’esistenza di un pregiudizio potenziale del commercio intracomunitario derivante dal comportamento dei produttori giapponesi nell’ambito dell’accordo Europa-Giappone. Infatti, da tale constatazione deriva che la reciproca protezione dei mercati nazionali all’interno della Comunità, come illustrata dalla difesa dello status nazionale del mercato britannico, faceva parte dei «fundamentals» e costituisce un ostacolo al commercio intracomunitario.

395
Alla luce delle considerazioni che precedono, il presente motivo dev’essere respinto.

5. Sul quinto motivo, vertente su un difetto di motivazione per quanto concerne la tesi della Commissione riguardo alla rilevanza dell’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata

a)     Argomenti delle parti

396
La Sumitomo e la JFE-NKK sostengono che la Commissione non ha motivato, violando l’art. 253 CE, la propria conclusione, che è alla base dell’art. 2 della decisione impugnata, secondo la quale i contratti costitutivi dell’infrazione constatata in tale articolo sono stati conclusi nell’ambito dell’infrazione di cui all’art. 1 di tale decisione, e questo per i motivi esposti supra ai punti 163 e segg. L’annullamento di tale parte dell’art. 2 della decisione impugnata si imporrebbe, pertanto, in ogni caso.

397
La Commissione sostiene di aver esposto in modo sufficiente, ai punti 90‑94, le ragioni per le quali essa ritiene che l’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata si iscriva nell’ambito di quella constatata all’art. 1 della stessa. Da ciò deriverebbe, infatti, che lo scopo degli accordi tra i produttori comunitari che regolavano gli acquisti di tubi lisci da parte della Corus era il mantenimento di quest’ultima quale produttore nazionale nel Regno Unito, al fine di assicurare il rispetto dei «fundamentals» sul mercato degli OCTG e dei linepipe di tale Stato membro.

b)     Giudizio del Tribunale

398
Conformemente ad una giurisprudenza costante, la motivazione di una decisione lesiva degli interessi del destinatario dev’essere tale da permettere al giudice comunitario di esercitare il controllo di legittimità e da fornire all’interessato le indicazioni necessarie per stabilire se la decisione sia o no giustificata, per poter così difendere i suoi diritti (v. sentenza Buchmann/Commissione, cit. supra al punto 58, punto 44, e giurisprudenza cit.).

399
Ne consegue che la carenza o l’insufficienza di motivazione costituisce un motivo relativo alla violazione delle forme sostanziali, distinto, come tale, dal motivo relativo all’inesattezza della motivazione della decisione, il cui controllo rientra nell’esame della fondatezza di quest’ultima (sentenza Buchmann/Commissione, cit. supra al punto 58, punto 45).

400
Nella fattispecie occorre ricordare, come è stato giudicato supra al punto 364, che la tesi esposta ai punti 90‑94 della decisione impugnata non consente alla Commissione di ritenere validamente, al punto 164 di questa, che i contratti di fornitura fossero di fatto solo un mezzo di attuazione dell’accordo Europa‑Giappone. Infatti, la Commissione medesima ha successivamente sostenuto, nella parte dei motivi in cui viene esposta la sua valutazione giuridica dei contratti di fornitura, che tali contratti, considerate le loro caratteristiche peculiari, costituivano infrazione all’art. 81, n. 1, CE (punti 110 e segg. della decisione impugnata).

401
Tuttavia, la circostanza secondo cui la conclusione a cui è giunta la Commissione al punto 164 della decisione impugnata è erronea in diritto, sebbene possa viziare la decisione impugnata nel merito, non costituisce un difetto di motivazione.

402
Infatti, i punti 90‑94 della decisione impugnata, letti alla luce, segnatamente, del punto 110 e della prima frase del punto 111, secondo cui «[l]’oggetto di tali contratti era l’approvvigionamento in tubi lisci del “leader” del mercato degli OCTG nel Mare del Nord e lo scopo era quello di mantenere nel Regno Unito un produttore nazionale per ottenere il rispetto dei "fundamentals" nell’ambito del Club Europa‑Giappone», consentono di capire le ragioni per le quali la Commissione è giunta alla conclusione figurante al punto 164. Infatti, dalla decisione impugnata, considerata complessivamente, deriva che la Commissione, avendo ritenuto che il primo obiettivo dei contratti di fornitura fosse l’attuazione dell’accordo Europa-Giappone, ne ha dedotto che in realtà questi erano esclusivamente un mezzo di attuazione di quest’ultimo.

403
Così, nelle circostanze della fattispecie, i motivi della decisione hanno consentito al giudice comunitario di esercitare il controllo di legittimità e di fornire all’interessato le indicazioni necessarie per stabilire se la decisione sia o no giustificata, per poter così difendere i suoi diritti.

404
Di conseguenza, il presente motivo non può essere accolto.

6. Sul sesto motivo, vertente su un difetto di motivazione per quanto riguarda lo status dei mercati offshore della Comunità e, in particolare, quello del Regno Unito

a)     Argomenti delle parti

405
La JFE-Kawasaki sostiene che la Commissione non ha analizzato, nella decisione impugnata, il sistema di semiprotezione che, secondo quest’ultima, regolava il mercato offshore del Regno Unito per i prodotti oggetto della stessa. Essa non avrebbe nemmeno motivato la propria conclusione relativa all’esistenza dell’infrazione riguardo ai mercati offshore della Germania, della Francia e dell’Italia.

406
Secondo la Commissione, il punto 62 della decisione impugnata indica chiaramente che il mercato offshore britannico era coperto dall’accordo illecito nei limiti in cui era semiprotetto. Essa afferma, nel proprio controricorso, che tale semiprotezione del mercato offshore britannico da parte della Corus si basava su un sistema di istruzioni sui prezzi, sui quali i produttori europei temevano di perdere il controllo dopo la chiusura dell’impianto di Clydesdale.

b)     Giudizio del Tribunale

407
Al riguardo, è giocoforza constatare che dal punto 62 della decisione impugnata emerge che la Commissione ha ritenuto, in base a due elementi di prova, vale a dire la dichiarazione del sig. Verluca 17 settembre 1996 e la nota Colloquio BSC, che il mercato offshore del Regno Unito fosse interessato dall’accordo sanzionato, ma che esso beneficiava di una forma di protezione limitata che imponeva ai concorrenti che intendevano presentare un’offerta su tale mercato un obbligo di consultazione della Corus.

408
Tali indicazioni sono sufficienti nella fattispecie per mostrare in forma chiara e univoca l’iter logico seguito dalla Commissione per quanto riguarda tale mercato. Di conseguenza, tale motivazione consente al giudice comunitario di esercitare il proprio sindacato e agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato conformemente ai requisiti posti dalla giurisprudenza (v., segnatamente, sentenza del Tribunale 8 luglio 1999, causa T‑266/97, Vlaamse Televisie Maatschappij/Commissione, Racc. pag. II‑2329, punto 143).

409
Quanto al settore offshore degli altri mercati comunitari interessati dall’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata, basta osservare che la Commissione non ha mai effettuato un distinzione tra i settori offshore e onshore di tali mercati, né nella decisione impugnata, né dinanzi al Tribunale. Ciò premesso, il difetto di una motivazione specifica relativa a tale settore dei detti mercati nella decisione impugnata non è per nulla costitutivo di un difetto di motivazione.

410
Va di conseguenza respinto il presente motivo.

7. Sul settimo e sull’ottavo motivo, vertenti su un difetto di motivazione per quanto riguarda la decisione della Commissione di sanzionare i produttori giapponesi e non i produttori dell’America latina, e su una disparità di trattamento al riguardo

a)     Argomenti delle parti

411
Secondo la JFE-Kawasaki, la Commissione avrebbe dovuto esporre le ragioni per le quali essa ha deciso di non sanzionare i produttori dell’America latina, a differenza dei produttori giapponesi, mentre esistevano prove, contenute, in particolare, nel documento «Sharing key», che i primi si erano ugualmente impegnati a rispettare un regime di protezione parziale per quanto riguarda l’Europa. La JFE-Kawasaki invoca, a tale proposito, la sentenza del Tribunale 17 febbraio 2000, causa T‑241/97, Stork Amsterdam/Commissione (Racc. pag. II‑309), secondo la quale una responsabilità particolare incombe sulla Commissione in materia di motivazione delle proprie decisioni, nel caso in cui essa decida di adottare una seconda decisione diversa, sulla base degli stessi fatti.

412
Secondo la Commissione, la disparità di trattamento rilevata dalle ricorrenti giapponesi è giustificata, segnatamente, dalle disparità considerevoli tra gli elementi di prova di cui essa disponeva riguardo ai produttori giapponesi e quelli di cui disponeva riguardo ai produttori dell’America latina. Infatti, la Commissione sostiene che i documenti che essa ha ottenuto nel corso dell’indagine contengono poche informazioni sulla partecipazione dei secondi ad un accordo illecito, mentre esistono numerosi indizi dell’esistenza di un accordo illecito per quanto riguarda i primi.

b)     Giudizio del Tribunale

413
Occorre innanzi tutto rilevare che una decisione come la decisione impugnata, benché predisposta e pubblicata sotto forma di decisione unica, deve essere considerata come un complesso di decisioni individuali che dichiarano, nei confronti di ciascuna impresa destinataria, la sussistenza della o delle infrazioni addebitatele, infliggendole, se del caso, un’ammenda. Tale regola emerge da una lettura complessiva delle sentenze del Tribunale 10 luglio 1997, causa T‑227/95, AssiDomän Kraft Products e a./Commissione, Racc. pag. II‑1185, punto 56, e della Corte, in fase di impugnazione, nella sua sentenza 14 settembre 1999, causa C‑310/97 P, Commissione/AssiDomän Kraft Products e a., Racc. pag. I‑5363, punto 49).

414
Di conseguenza, basta constatare che la Commissione non aveva alcun obbligo di esporre, nella decisione impugnata, le ragioni per cui i produttori dell’America latina non erano i destinatari della stessa. Infatti, l’obbligo di motivazione di un atto non può comprendere un obbligo per l’istituzione che ne è l’autrice di motivare il fatto di non aver adottato altri atti simili indirizzati a terzi.

415
Supponendo che l’argomento sollevato nell’ambito dei presenti motivi debba essere inteso come vertente anche su una disparità di trattamento a scapito delle ricorrenti giapponesi, è giocoforza constatare che esso deve essere respinto. Infatti, se talune prove figuranti nel fascicolo della Commissione implicano che forse anche i produttori dell’America latina hanno partecipato ad un’infrazione, è giocoforza constatare che tale fascicolo contiene prove nettamente più solide riguardo alla partecipazione dei produttori giapponesi ad un’infrazione. In particolare, le testimonianze del sig. Verluca menzionano solo un tentativo di giungere ad un accordo tra i produttori dell’America latina, il quale sarebbe, a suo avviso, fallito. Inoltre, come rilevato dalla Commissione al punto 86 della decisione impugnata, emerge in particolare dal documento «Sharing Key» che i produttori dell’America latina, sebbene sembra che abbiano accettato talune restrizioni alla concorrenza, hanno formulato una riserva esplicita relativa al rispetto del mercato europeo.

416
Ciò premesso, il settimo e l’ottavo motivo devono essere respinti.

8. Sul nono motivo, vertente su un errore per quanto riguarda l’argomento della Commissione relativo alle vendite ad un prezzo superiore al costo variabile

a)     Argomenti delle parti

417
Secondo la JFE-NKK, la tesi avanzata dalla Commissione al punto 137 della decisione impugnata, in virtù della quale qualsiasi vendita ad un prezzo superiore al costo variabile sarebbe giustificata dal punto di vista dei produttori giapponesi, non è sufficientemente motivata in diritto. In particolare, la JFE-NKK rileva che la Commissione ha omesso di raccogliere informazioni adeguate al riguardo.

418
La Commissione non ha risposto espressamente a tale motivo.

b)     Giudizio del Tribunale

419
Va ricordato che l’argomento sollevato nell’ambito del presente motivo non si riferisce ad un difetto di motivazione. Infatti, l’affermazione censurata dalla JFE‑NKK pone un postulato di ordine economico comprensibile di per sé. A supporre che questo non sia corretto, in modo generale o alla luce delle circostanze della fattispecie, si dovrebbe concludere che la Commissione ha concluso un errore di valutazione e non che essa non ha motivato a sufficienza la sua decisione.

420
Occorre inoltre ricordare, a questo riguardo, che l’affermazione secondo cui la Commissione non si è procurata le informazioni adeguate non può costituire un difetto di motivazione e rientra piuttosto nel merito (v., in tal senso, sentenza della Corte 2 aprile 1998, causa C‑367/95 P, Commissione/Sytraval e Brink’s France, Racc. pag. I‑1719, punto 72).

421
Quanto alla correttezza dell’affermazione in questione nel merito, occorre rilevare che, in ogni caso, tale questione si riferisce ad uno degli ostacoli all’importazione giapponese allegati dalle ricorrenti giapponesi. Orbene, l’argomento relativo all’asserita esistenza di tali ostacoli al commercio è già stato respinto nel merito sopra al punto 353, per il motivo che esso si riferisce solo agli effetti anticoncorrenziali dell’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata che la Commissione ha preso in considerazione in subordine nella decisione impugnata. Poiché l’esistenza dell’infrazione avente oggetto anticoncorrenziale constatata all’art. 1 della decisione impugnata è stata dimostrata in base agli elementi di prova documentali dedotti nella decisione impugnata, l’asserita mancanza d’effetti anticoncorrenziali è irrilevante per constatare l’esistenza dell’infrazione.

422
Da quanto precede risulta che il motivo in esame dev’essere respinto.

9.  Sul decimo motivo, vertente su una pretesa violazione dei diritti della difesa, risultante da discordanze tra la CdA e la decisione impugnata riguardo al mercato geografico di cui all’art. 1 di quest’ultima

a)     Argomenti delle parti

423
La JFE-NKK e la JFE-Kawasaki, nella loro replica, sostengono che la Commissione ha violato i loro diritti della difesa in quanto la CdA, a differenza della decisione impugnata, non si riferiva ai mercati offshore europei, almeno non in maniera sufficientemente esplicita, contrariamente a quanto richiesto, in particolare, dalla sentenza Cemento, cit. supra al punto 66 (punto 504). La JFE‑Kawasaki rileva, in particolare, di aver precisato nella propria risposta alla CdA che, dopo aver letto tale documento, la Commissione aveva escluso tutti i mercati offshore diversi da quello del Regno Unito dall’ambito dell’indagine, e che la Commissione non le ha mai comunicato di essere in disaccordo con tale interpretazione.

424
La Commissione replica che il presente addebito è stato sollevato la prima volta dalla JFE-Kawasaki, nella sua replica, e che, dato che esso costituisce un motivo autonomo e non un mero argomento, è irricevibile, per quanto riguarda tale ricorrente, ai sensi dell’art. 48, n. 2, del regolamento di procedura. Ad ogni modo, il punto 56 della CdA sarebbe identico, nel merito, al punto 62 della decisione impugnata. In particolare, entrambi indicherebbero chiaramente che il mercato offshore britannico era effettivamente interessato dall’accordo illecito.

b)     Giudizio del Tribunale

425
Quanto alla ricevibilità del presente motivo nella causa T‑71/00, va ricordato che una violazione dei diritti della difesa, poiché costituisce un’illegalità soggettiva per sua natura, non rientra nella violazione delle forme sostanziali e non deve essere pertanto sollevata d’ufficio (v., in tal senso, sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, cit. supra al punto 56, punto 30; sentenza della Corte 25 ottobre 1983, causa 107/82, AEG/Commissione, Racc. pag. 3151, punto 30; sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑352/94, Mo och Domsjö/Commissione, Racc. pag. II‑1989, punto 74). Di conseguenza, tale motivo dev’essere dichiarato irricevibile, ai sensi dell’art. 48, n. 2, del regolamento di procedura, e non può essere esaminato nella causa T‑71/00, in quanto la JFE-Kawasaki l’ha sollevato per la prima volta nella sua replica.

426
Nell’ambito della causa T‑67/00, il presente motivo deve essere respinto nel merito. Infatti, come rilevato correttamente dalla Commissione, il punto 56 della CdA è sostanzialmente identico, per quanto riguarda la definizione dei mercati interessati, al punto 62 della decisione impugnata e non può esservi quindi violazione dei diritti della difesa a tal riguardo. Quanto alla mancanza di riferimenti espliciti al settore offshore dei mercati comunitari diversi da quello del Regno Unito, questa si spiega col fatto che la Commissione non ha mai effettuato una distinzione tra i settori onshore e offshore per quanto riguarda tali mercati (v. supra, punto 409).

10. Sull’undicesimo motivo, vertente su una pretesa violazione dei diritti della difesa, risultante da discordanze tra la CdA e la decisione impugnata riguardo ai prodotti interessati

a)     Argomenti delle parti

427
La JFE-NKK afferma che il mercato considerato dalla Commissione nella sua CdA è più ampio di quello considerato all’art. 1 della decisione impugnata, in quanto la CdA aveva ad oggetto tutti i prodotti OCTG (nonché i linepipe «project»), mentre la decisione impugnata fa riferimento solo agli OCTG filettati standard. La JFE-NKK ritiene che tale modifica abbia falsato la definizione del mercato dei prodotti nella decisione impugnata e costituisca una violazione dei propri diritti della difesa e, pertanto, dell’art. 2, n. 2, del regolamento (CE) della Commissione 22 dicembre 1998, n. 2842, relativo alle audizioni in taluni procedimenti a norma dell’art. [81 CE] e dell’art. [82 CE] (GU 1998, L 354, pag. 18). Le differenze che caratterizzano le due definizioni del mercato dei prodotti in questione sarebbero sostanziali, tali da alterare la portata delle infrazioni asseritamente commesse dalla JFE‑NKK. Quest’ultima sostiene inoltre che, nella sentenza Cemento, cit. supra al punto 66 (punti 2212‑2225), la circostanza che la definizione dell’ambito di applicazione materiale, in termini di prodotti, dell’accordo allegato fosse più ampia nella CdA che nella decisione definitiva era sufficiente a provocare l’annullamento di quest’ultima.

428
La Commissione rileva che i punti della sentenza Cemento, cit. supra al punto 66, invocati dalla JFE-NKK riguardano la questione se gli accordi considerati in tale causa si estendano o meno ad una determinata regione geografica. Orbene, tale questione sarebbe irrilevante nell’ambito del presente motivo. Per contro, dai punti 852‑860 della stessa sentenza si evincerebbe che i diritti della difesa sono violati a causa di una discordanza tra la CdA e la decisione definitiva solo a condizione che un addebito riportato in quest’ultima non sia stato esposto nell’altra in modo sufficiente a permettere ai destinatari di difendersi. Poiché la JFE-NKK non ha esposto alcuna allegazione in tal senso, riguardo alla determinazione dei prodotti oggetto della decisione impugnata, il presente motivo dovrebbe essere respinto. Se, come deriva dalla CdA, la Commissione fosse stata in possesso di prove sufficienti relative ad un mercato più esteso di quello infine considerato nella decisione impugnata, essa avrebbe, a fortiori, posseduto prove sufficienti riguardo ai prodotti oggetto di quest’ultima.

b)     Giudizio del Tribunale

429
Occorre innanzi tutto rilevare che i diritti della difesa sono violati a causa di una discordanza tra la comunicazione degli addebiti e la decisione definitiva solo a condizione che un addebito figurante nell’una non sia stato esposto nell’altra in modo sufficiente da permettere ai destinatari di difendersi (v., in tal senso, sentenza Cemento, cit. supra al punto 66, punti 852‑860).

430
In via di principio, alla Commissione non può essere contestato che essa limita la portata di una decisione definitiva rispetto alla comunicazione degli addebiti che la precede, poiché la Commissione deve sentire i destinatari della stessa e, se del caso, deve tener conto delle loro osservazioni dirette a rispondere alle censure constatate, appunto per rispettare i loro diritti di difesa.

431
Va constatato che nel caso di specie era logico, o addirittura necessario, nelle circostanze della fattispecie, che la Commissione constatasse l’esistenza di un’infrazione più limitata di quella originariamente abbozzata nella CdA, tenuto conto segnatamente del fatto che le dichiarazioni del sig. Verluca si riferiscono solo ai soli tubi OCTG standard e ai linepipe «project». Non vi è alcuna ragione, nella fattispecie, per supporre che la circostanza secondo cui la Commissione ha limitato l’ambito di applicazione della decisione impugnata a due dei prodotti a cui fa riferimento la CdA abbia impedito alla JFE-NKK di difendersi utilmente nella fase del procedimento amministrativo per quanto riguarda tali due prodotti. Inoltre, la JFE-NKK non ha esposto dinanzi al Tribunale come la presentazione dei suoi argomenti al fine di discolparsi avrebbe potuto essere diversa se l’ambito di applicazione della CdA fosse stato più limitato.

432
Ciò premesso, il motivo in esame va respinto.

11. Sul dodicesimo motivo, vertente su una pretesa violazione dei diritti della difesa risultante dalla mancanza di un’analisi sufficiente degli effetti degli accordi di autolimitzione nella CdA nonché dalle discordanze tra la CdA e la decisione impugnata riguardo alla portata di tali accordi

a)     Argomenti delle parti

433
La JFE-NKK sostiene che la Commissione si è discostata radicalmente, nella decisione impugnata, dalla posizione adottata riguardo agli accordi di autolimitazione durante il procedimento amministrativo. Spettava alla Commissione, secondo la JFE-NKK, presentare, già in sede della CdA, un’analisi dell’incidenza dei detti accordi sulla sua valutazione provvisoria dell’infrazione allegata, cosa che essa non ha fatto. In mancanza di una tale analisi, le destinatarie della CdA non avrebbero avuto la possibilità di far conoscere il proprio punto di vista su tale aspetto prima ancora dell’adozione, da parte della Commissione, della posizione definitiva enunciata ai punti 108 e 166 della decisione impugnata (sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, cit. supra al punto 56, punto 14). Di conseguenza, la JFE-NKK non sarebbe stata messa in condizioni, al momento del deposito della propria risposta alla CdA, di fornire la prova della proroga degli accordi di autolimitazione, in modo che i suoi diritti della difesa sarebbero stati lesi.

434
La Commissione non ha risposto espressamente a tale motivo.

b)     Giudizio del Tribunale

435
Va ricordato che la Commissione ha tenuto conto dell’esistenza degli accordi di autolimitazione nella decisione impugnata al solo scopo di ritenere che non fosse opportuno prendere in considerazione, in particolare per la fissazione dell’importo delle ammende, l’esistenza di un’infrazione per il periodo durante il quale tali accordi erano in vigore (punti 108 e 164 della decisione impugnata). In tal modo, la differenza tra la CdA e la decisione impugnata dalla JFE-NKK è favorevole a quest’ultima e non può quindi, in via di principio, danneggiare i suoi interessi.

436
Tuttavia, ai punti 342‑346 sopra è stato affermato, conformemente all’argomento in tal senso delle quattro ricorrenti giapponesi, che la Commissione ha applicato erroneamente, nella decisione impugnata, la propria impostazione consistente nel constatare l’esistenza dell’infrazione solo a partire dal momento in cui gli accordi di autolimitazione non erano più in vigore.

437
Ne consegue che, se le ricorrenti giapponesi fossero state informate, prima dell’adozione della decisione impugnata, che la Commissione intendeva seguire tale impostazione per quanto riguarda la durata dell’infrazione, esse avrebbero forse fornito, nella fase del procedimento amministrativo, la prova della circostanza che gli accordi di autolimitazione erano restati in vigore sino al 31 dicembre 1990.

438
Tuttavia, è giocoforza constatare che la JFE-NKK ha avuto modo di comunicare le sue osservazioni sulla CdA, nonché sulle indicazioni relative alla durata dell’infrazione. Occorre rilevare più specificamente che, secondo la CdA, l’infrazione era iniziata nel 1977. Ciò premesso, la JFE-NKK avrebbe potuto rendersi conto della rilevanza al riguardo degli accordi di autolimitazione e segnalare alla Commissione che l’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata era di conseguenza iniziata, o doveva essere presa in considerazione, solo dopo la scadenza degli accordi di autolimitazione alla fine del 1990 al più presto. Infatti, la JFE-NKK non ha invocato l’esistenza degli accordi di autolimitazione nella sua risposta alla CdA, né ha fornito alla Commissione gli elementi probatori prodotti successivamente dinanzi al Tribunale (v. supra, punto 345).

439
Va ricordato inoltre che, secondo la Commissione, la sua impostazione rispetto a tale questione costituisce già una concessione ai produttori giapponesi (v. supra, punti 338 e segg.).

440
Così, nella fattispecie, sarebbe contrario alla logica inerente alla nozione dei diritti della difesa ritenere che la Commissione fosse tenuta, prima di applicare ciò che essa considerava una concessione per limitare la durata dell’infrazione nella decisione impugnata, a chiedere alle destinatarie della CdA di prendere nuovamente posizione sulla rilevanza e la portata di tale concessione.

441
Infatti, indipendentemente dal fatto se sia esatto o meno qualificare la presa in considerazione di tale circostanza come concessione, è giocoforza rilevare che l’incidenza degli accordi di autolimitazione non costituisce per nulla una censura supplementare e non ha pregiudicato minimamente gli interessi delle ricorrenti giapponesi, in quanto ha, al contrario, giustificato una riduzione della durata dell’infrazione.

442
Se l’errore commesso dalla Commissione giustifica certamente una riduzione della durata dell’infrazione nell’ambito del presente procedimento, non si può concludere che la Commissione abbia violato i diritti della difesa della JFE-NKK al riguardo.

443
Infine, occorre rilevare che il Tribunale, per quanto riguarda l’importo delle ammende, ha tratto le conseguenze dall’errore rilevato sopra quanto alla questione della durata dell’infrazione sottesa al presente motivo (v. infra, punti 574, 588 e 590).

444
Alla luce di quanto precede, il presente motivo va respinto.

12. Sul tredicesimo motivo, vertente sulla pretesa violazione dei diritti della difesa risultante da discordanze tra la CdA e la decisione impugnata quanto alla portata attribuita all’infrazione constatata all’art. 2 della medesima

a)     Argomenti delle parti

445
Il presente motivo è dedotto dalla JFE-NKK e dalla Sumitomo. A titolo preliminare, la JFE-NKK rileva che il rispetto dei diritti della difesa è un diritto fondamentale che si inserisce nel diritto più ampio ad un equo processo, il quale è sancito dall’art. 6 della CEDU e fa parte, in quanto tale, dei principi generali del diritto, di cui il giudice comunitario assicura la tutela (sentenza 17 dicembre 1970, causa 11/70, Internationale Handelsgesellschaft, Racc. pag. 1125).

446
Orbene, nella CdA, la Commissione si sarebbe limitata ad affermare, al punto 63, che l’accordo tra la Vallourec, la Dalmine e la Mannesmann, avente ad oggetto la ripartizione delle vendite di tubi lisci destinate alla Corus, aveva lo scopo di mantenere un produttore nazionale nel Regno Unito, al fine di far rispettare i «fundamentals» sul mercato di tale Stato, mantenendo lo status nazionale dello stesso mercato rispetto alle dette regole. Secondo la Sumitomo e la JFE-NKK, nessun elemento, nella relazione della Commissione su tale aspetto, consentirebbe di supporre che quest’ultima lo abbia analizzato come un semplice modo di attuazione del principio della protezione dei mercati nazionali, rientrante nell’ambito della ripartizione dei mercati giapponesi ed europei degli OCTG e dei linepipe (punto 164 della decisione impugnata).

447
La Sumitomo sostiene che, se la CdA avesse contenuto un’affermazione tale, essa avrebbe risposto espressamente di essere stata privata, conseguentemente, dell’occasione di manifestare in modo efficace il proprio punto di vista sulla veridicità e sulla rilevanza delle circostanze allegate, in violazione degli artt. 2 e 3 del regolamento n. 2842/98, e del principio fondamentale dell’ordinamento comunitario del diritto ad un equo processo.

448
A sostegno di tale analisi, la Sumitomo e la JFE-NKK affermano che è giurisprudenza costante che la Commissione debba esporre il proprio argomento in modo adeguato, tale da mettere il destinatario di una comunicazione degli addebiti in grado, già durante il procedimento amministrativo, di far conoscere in modo efficace il proprio punto di vista sulla veridicità e sulla rilevanza delle circostanze e dei fatti allegati (sentenza della Corte 23 ottobre 1974, causa 17/74, Transocean Marine Paint/Commissione, Racc. pag. 1063, punto 15; conclusioni dell’avvocato generale Warner relative alla sentenza della Corte 29 marzo 1979, causa 113/77, NTN Toyo Bearing e a./Consiglio, Racc. pag. 1185, in particolare pagg. 1212 e 1261; sentenze della Corte 20 marzo 1985, causa 264/82, Timex/Consiglio e Commissione, Racc. pag. 849, punti 24‑30, e 27 giugno 1991, causa C‑49/88, Al-Jubail Fertilizer/Consiglio, Racc. pag. I‑3187, punti 15‑17; sentenze Mo och Domsjö/Commissione, cit. supra al punto 425, punto 63, e Cemento, cit. supra al punto 66, punti 106 e 476). Sarebbe, ugualmente, giurisprudenza consolidata che la comunicazione degli addebiti debba enunciare le conclusioni che la Commissione ha intenzione di trarre dai fatti, dai documenti e dagli argomenti giuridici in questione, cosa che la Commissione avrebbe omesso di fare in modo adeguato nel caso di specie (sentenza della Corte 3 luglio 1991, causa C‑62/86, AKZO/Commissione, Racc. pag. I‑3359, punto 29, e sentenza Mo och Domsjö, cit. supra al punto 425, punto 63; sentenza del Tribunale 10 marzo 1992, causa T‑9/89, Hüls/Commissione, Racc. pag. II‑499, punto 39). Infine, il rispetto dei diritti della difesa vieterebbe alla Commissione di discostarsi dai fatti riportati nella comunicazione degli addebiti al momento dell’elaborazione della sua decisione (sentenza della Corte 13 febbraio 1979, causa 85/76, Hoffmann-La Roche/Commissione, Racc. pag. 461, punto 11).

449
La Commissione replica innanzi tutto che il punto 164 della decisione impugnata espone le ragioni per le quali essa ha deciso di non infliggere alcuna ammenda supplementare ai produttori comunitari a titolo dell’infrazione di cui all’art. 2 della stessa. Così, la Commissione ricorda che le ricorrenti giapponesi non hanno alcun interesse giuridico a contestare il detto punto, dato che l’ammenda che è stata loro inflitta riflette l’infrazione di cui all’art. 81 CE, descritta all’art. 1 della decisione impugnata.

450
In ogni caso, l’analisi giuridica contenuta nella CdA esporrebbe in modo chiaro il nesso tra le due infrazioni, rilevando che lo scopo degli accordi tra produttori comunitari che regolavano gli acquisti di tubi lisci da parte della Corus era il mantenimento di quest’ultima quale produttore nazionale nel Regno Unito, al fine di assicurare il rispetto dei «fundamentals» sui mercati di prodotti finiti di tale Stato membro (v., in particolare, il punto 144 della CdA). Il punto 164 della decisione andrebbe analizzato come una mera sintesi degli elementi esposti nella CdA. Non ne deriverebbe alcun pregiudizio dei diritti della difesa delle ricorrenti, in quanto la Sumitomo e la JFE-NKK avrebbero avuto l’opportunità di formulare, con cognizione di causa, le osservazioni che desideravano esporre sul tema degli accordi tra produttori europei riguardanti i tubi lisci.

b)     Giudizio del Tribunale

451
In via preliminare, per quanto riguarda la censura relativa all’esistenza dell’infrazione constatata all’art. 2 della decisione impugnata, va respinto l’argomento della Commissione ai termini del quale le ricorrenti giapponesi non hanno un interesse giuridico a mettere in questione la valutazione della Commissione, esposta al punto 164 della decisione impugnata, quanto al rapporto esistente tra le due infrazioni constatate nella medesima. Anche se tali ricorrenti non sono direttamente pregiudicate dalla constatazione della seconda infrazione, esse hanno tuttavia il diritto di sostenere, come hanno fatto nell’ambito della loro richiesta di riduzione dell’importo dell’ammenda, che, poiché non è stata inflitta alcuna ammenda ai produttori europei a titolo della seconda infrazione, è stata commessa una disparità di trattamento a loro svantaggio. Il fatto che la Commissione abbia considerato che i contratti di fornitura, che costituiscono la seconda infrazione, fossero un semplice mezzo di attuazione dell’infrazione constatata segnatamente nei confronti delle ricorrenti giapponesi implica che queste hanno un interesse a mettere in questione la costituzione di tale nesso, poiché esso rende la seconda infrazione il supporto della prima, la quale viene contestata loro.

452
Occorre tuttavia respingere il presente motivo.

453
L’obbligo della Commissione nella fase della comunicazione degli addebiti si limita ad esporre le censure sollevate e ad esporre chiaramente i fatti su cui essa si basa nonché la qualificazione data loro, affinché i destinatari possano utilmente difendersi (v., in tal senso, sentenze citate dalle ricorrenti, AZKO/Commissione, cit. supra al punto 448, punto 29, e Mo och Domsjö/Commissione, cit. supra al punto 425, punto 63). La Commissione non è obbligata ad esporre le conclusioni che essa ha tratto dai fatti, dai documenti e dagli argomenti giuridici.

454
Occorre rilevare inoltre che la sentenza Hüls/Commissione, supra, punto 448, invocata specificamente dalle ricorrenti (punto 39 in fine) fa riferimento alla questione di sapere in quali circostanze la Commissione possa basarsi, nella sua decisione definitiva, su documenti che, benché allegati alla comunicazione degli addebiti, non sono stati menzionati espressamente nella medesima.

455
Nella fattispecie, l’unica differenza rilevante tra il punto in questione della CdA, vale a dire il punto 144, ed il punto 164 della decisione impugnata consiste nel fatto che, in quest’ultima, la Commissione ha considerato, per quanto riguarda i contratti costituenti la seconda infrazione, che «non si trattava che di un modo di mettere in opera» la prima, mentre nella CdA essa si era limitata a far valere che lo «scopo» dei contratti di fornitura era di conservare lo status nazionale del mercato del Regno Unito con riferimento ai «fundamentals».

456
È stato affermato supra al punto 364 che la tesi della Commissione nella decisione impugnata è erronea in quanto i contratti costitutivi della seconda infrazione avevano più di un unico obiettivo. Tuttavia, pur supponendo che sia possibile distinguere una diversa analisi nella CdA e nella decisione impugnata a tal riguardo, è manifesto che le destinatarie della CdA hanno avuto modo di presentare le loro osservazioni sulla nozione chiave su cui si basa l’impostazione della Commissione, vale a dire l’idea secondo cui i produttori europei hanno concluso i contratti costitutivi della seconda infrazione per rafforzare l’applicazione dei «fundamentals» sul mercato offshore del Regno Unito.

457
Ciò premesso, non vi è stata violazione dei diritti della difesa al riguardo.

458
Occorre infine rilevare che il Tribunale, per quanto riguarda l’importo delle ammende, ha tratto le conseguenze dall’errore d’analisi su cui si fonda il presente motivo nell’ambito di quello tratto da una disparità di trattamento (v., infra, punti 574, 588 e 590).

13. Sul quattordicesimo motivo, vertente sull’illegittimità della decisione della Commissione 25 novembre 1994 di autorizzare le indagini del 1° e 2 dicembre 1994

a)     Argomenti delle parti

459
Secondo le quattro ricorrenti giapponesi, la decisione 25 novembre 1994, sulla quale la Commissione si è basata per procedere alle indagini del 1º e 2 dicembre 1994, è viziata da illegittimità, in quanto ha abilitato funzionari della Commissione a procedere ad un’indagine per la Comunità europea ai sensi dell’art. 81 CE, pur riconoscendo che l’Autorità di vigilanza AELS era esclusivamente competente a tale proposito, conformemente all’art. 56 dell’Accordo SEE (in prosieguo: l’«art. 56 SEE»). L’adozione della decisione 25 novembre 1994 su tale doppio fondamento normativo sarebbe stata illegittima.

460
La decisione della Commissione 25 novembre 1994 sarebbe stata adottata in seguito ad una domanda, inviata a tale istituzione da parte del membro dell’Autorità di vigilanza AELS incaricato delle cause di concorrenza, ai fini di effettuare accertamenti nel territorio della Comunità europea, conformemente all’art. 8, n. 3, del protocollo 23 dell’Accordo SEE (in prosieguo: il «protocollo 23»), nell’ambito di un’indagine condotta dall’Autorità di vigilanza AELS. L’Autorità di vigilanza AELS avrebbe autorizzato tale modo di procedere con decisione 17 novembre 1994. Nella CdA, al punto 1, la Commissione avrebbe espressamente riconosciuto di aver agito quale agente dell’Autorità di vigilanza AELS, nel procedere agli accertamenti del 1º e 2 dicembre 1994. Tale analisi sarebbe confermata dalla formulazione dell’art. 8, n. 3, del protocollo 23, il quale consente all’autorità di vigilanza competente, quale definita all’art. 56 SEE, di richiedere all’altra autorità di vigilanza di procedere ad accertamenti sul suo territorio. Le ricorrenti giapponesi rilevano inoltre che, ai sensi dell’art. 8, n. 5, dello stesso protocollo, ognuna delle due autorità ha l’obbligo, quando agisce per conto dell’altra, di trasmettere a quest’ultima tutte le informazioni così raccolte subito dopo il completamento dei detti accertamenti.

461
Le ricorrenti rilevano che l’art. 56 SEE, al quale l’art. 8, n. 3, del protocollo 23 rinvia esplicitamente, prevede una rigida ripartizione delle competenze tra le due autorità di vigilanza per il trattamento delle cause specifiche di concorrenza. Secondo le stesse, l’art. 56 SEE crea un sistema di «sportello unico», tramite il quale il trattamento di tutte le eventuali cause specifiche che potrebbero presentarsi riguardo all’art. 53 SEE è ripartito tra la Commissione e l’Autorità di vigilanza AELS, in base a criteri precisi che escludono ogni possibilità di competenza suddivisa o parallela in una causa unica. Contrariamente a quanto affermato dalla Commissione, il parere della Corte 10 aprile 1992, 1/92 (Racc. pag. I‑2821) avrebbe indicato che tale ripartizione rigida di competenze non snatura le competenze della Comunità e che la stessa è, pertanto, conforme al Trattato CE.

462
Da ciò conseguirebbe che la Commissione, adottando la decisione 25 novembre 1994, con la quale ha accolto la domanda di assistenza amministrativa nel territorio della Comunità, presentata in nome dell’Autorità di vigilanza AELS, ha necessariamente riconosciuto che quest’ultima era esclusivamente competente, all’epoca, ad istruire il procedimento in questione. Le ricorrenti giapponesi sostengono che, ai sensi dell’art. 56 SEE, le infrazioni che ostacolano gli scambi tra Stati membri della Comunità europea, e che violano, pertanto, l’art. 81 CE, ricadono nella competenza esclusiva della Commissione. Se la Commissione avesse ritenuto, all’epoca in cui ha adottato la decisione 25 novembre 1994, di avere la competenza per istruire il procedimento ai sensi dell’art. 81 CE, essa avrebbe dovuto contestare la domanda di assistenza dell’Autorità di vigilanza AELS, chiedendole di chiudere il proprio fascicolo ed aprendo la propria indagine. A tale proposito, la Nippon rileva che la decisione dell’Autorità di vigilanza AELS 17 novembre 1994 conferma, sia nei punti della motivazione, sia nel dispositivo, che essa riguarda unicamente pratiche sul mercato offshore norvegese. Sarebbe quindi chiaro che l’Autorità di vigilanza AELS e la Commissione ritenevano entrambe, in questa fase, che l’Autorità di vigilanza AELS fosse l’autorità competente per indagare sulle pratiche in questione.

463
La Commissione, decidendo, il 25 novembre 1994, di procedere contemporaneamente alla propria indagine, ai fini di stabilire se l’art. 81 CE e/o l’art. 53 SEE fossero stati violati, mentre l’Autorità di vigilanza AELS era competente, in tale fase, ad indagare sul procedimento in questione, avrebbe pertanto violato l’art. 56, n. 1, SEE. Infatti, come rilevato dalla Commissione nella CdA, l’Autorità di vigilanza AELS ha trasmesso il proprio fascicolo alla Commissione solo il 6 dicembre 1995, dato che gli scambi intracomunitari erano ostacolati dai comportamenti che erano oggetto della sua indagine, modo di procedere che non avrebbe alcun senso se la Commissione fosse già stata competente a condurre un’indagine. Infatti, la Commissione avrebbe aperto un nuovo procedimento d’indagine in seguito a tale trasferimento.

464
L’argomento della Commissione, secondo il quale l’art. 56 SEE riguarda unicamente la competenza ad adottare decisioni che dichiarino l’esistenza di un’infrazione, sarebbe confutato dall’art. 55 dello stesso accordo, il quale dispone che «[il] competente organo di vigilanza, come previsto dall’articolo 56 esamina (...) i casi di presunta infrazione». Ugualmente, l’art. 109 dell’Accordo SEE (in prosieguo: l’«art. 109 SEE»), che la Corte ha ritenuto rilevante per valutare la compatibilità dell’art. 56 SEE con il Trattato CE nel proprio parere 1/92, citato sopra al punto 461, confermerebbe che la competenza esclusiva vale anche nella fase istruttoria. Infatti, l’art. 109, n. 4, SEE prevede che la Commissione e l’Autorità di vigilanza AELS debbano, ciascuna, esaminare tutti i reclami che rientrano nella propria competenza e trasmettere eventualmente i reclami che rientrano nella competenza dell’altra autorità a quest’ultima. Ai sensi dell’art. 109, n. 5, SEE, in caso di disaccordo quanto alle azioni da intraprendere per quanto riguarda un reclamo o all’esito dell’istruzione, ciascuno dei due organi potrebbe deferire la questione al Comitato misto SEE. Sarebbe assurdo considerare che la rigida ripartizione delle competenze sia applicabile alla fase d’indagine nei procedimenti in cui un reclamo sia stato proposto, ma inapplicabile alla stessa qualora l’indagine sia stata aperta d’ufficio.

465
Tenuto conto di tutti questi elementi, occorrerebbe interpretare il protocollo 23, e segnatamente il suo art. 10, n. 3, invocato dalla Commissione, alla luce dell’art. 109 SEE. Di conseguenza, le informazioni raccolte nell’ambito di un’indagine effettuata dall’Autorità di vigilanza AELS o per conto di essa e che figurano in un fascicolo trasmesso alla Commissione dalla detta autorità ai sensi dell’art. 10, n. 3, del protocollo 23, potrebbero essere utilizzate dalla Commissione unicamente nell’ambito dell’applicazione delle disposizioni dell’accordo SEE. Tale interpretazione non priverebbe l’art. 10, n. 3, di tale protocollo di ogni effetto utile, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione. In ogni caso, i termini e l’economia dell’art. 10 del protocollo 23 confermerebbero che una sola autorità può essere competente ad istruire un procedimento in un determinato momento.

466
Dal momento che la decisione 25 novembre 1994, in virtù della quale la Commissione ha condotto le ispezioni in loco del 1º e 2 dicembre, è illegittima, occorrerebbe perlomeno, secondo le ricorrenti giapponesi, dichiarare inutilizzabili tutte le prove scritte ottenute nel corso delle dette indagini, conformemente alla giurisprudenza della Corte e del Tribunale (ordinanza del presidente della Corte 26 marzo 1987, causa 46/87 R, Hoechst/Commissione, Racc. pag. 1549, punto 34 e sentenza PVC II, cit. supra al punto 61, punto 395). La Commissione avrebbe dovuto chiedere nuovamente le informazioni alle imprese interessate, come ha fatto nella causa PVC II, cit. supra al punto 61 (punti 474‑476).

467
Gli elementi probatori raccolti dalla Commissione per conto dell’Autorità di vigilanza AELS dovrebbero essere dichiarati inutilizzabili nel pendente procedimento, non solo perché la decisione della Commissione 25 novembre 1994 era illegittima, ma anche per una seconda ragione, consistente nel fatto che l’obiettivo di tale procedimento è diverso da quello dell’indagine dell’Autorità di vigilanza AELS.

468
L’art. 9, n. 1, del protocollo 23 dispone che le informazioni raccolte in applicazione del protocollo possono essere utilizzate unicamente ai fini dei procedimenti previsti agli artt. 53 e 54 dell’Accordo SEE, così come l’art. 20 del regolamento n. 17 limita l’utilizzo delle informazioni al solo scopo per il quale queste sono state raccolte. Per quanto riguarda l’applicazione di quest’ultima disposizione, sarebbe giurisprudenza costante che il diritto al segreto professionale e i diritti della difesa di un’impresa verrebbero lesi qualora la Commissione o, eventualmente, un’autorità nazionale potesse fondarsi, nei confronti di tale impresa, su mezzi di prova che, conseguiti durante un accertamento, abbiano un oggetto diverso da quello della detta causa (sentenze della Corte 17 ottobre 1989, causa 85/87, Dow Benelux/Commissione, Racc. pag. 3137, punto 18; 16 luglio 1992, causa C‑67/91, Asociación Española de Banca Privada e a.; in prosieguo: «Banche spagnole», Racc. pag. I‑4785, punti 35 e segg.; 10 novembre 1993, causa C‑60/92, Otto, Racc. pag. I‑5683, punto 20, e sentenza PVC II, cit. supra al punto 61, punto 472).

469
In particolare, la Corte avrebbe dichiarato, nella sentenza Banche spagnole, cit. sopra al punto 468, che gli elementi assunti dalla Commissione nel corso di un’indagine condotta ai sensi dell’art. 81 CE, non potevano essere utilizzati da parte delle autorità nazionali della concorrenza, neppure nel caso in cui queste ultime avessero il compito di applicare le stesse disposizioni di diritto comunitario (punto 32 della sentenza). Allo stesso modo, nella sentenza Otto, cit. supra al punto 468, la Corte avrebbe ritenuto che le informazioni ottenute nel corso di un procedimento nazionale non potessero essere utilizzate dalla Commissione per dimostrare una violazione delle norme comunitarie sulla concorrenza (punto 20 della sentenza). Infine, la JFE-Kawasaki ricorda che il Tribunale, nella sentenza PVC II, cit. supra al punto 61, si è basato sulla circostanza che la Commissione aveva chiesto nuovamente la produzione dei documenti che la stessa aveva già ottenuto nell’ambito di un’indagine su un oggetto diverso, per affermare che i diritti della difesa erano stati rispettati nel detto procedimento (v. supra, punto 466 in fine).

470
Secondo le ricorrenti giapponesi, anche i documenti fondati sugli accertamenti effettuati nell’ambito dell’indagine dell’Autorità di vigilanza AELS dovrebbero, nel caso di specie, essere dichiarati inutilizzabili per le stesse ragioni. L’obiettivo di tale indagine iniziale sarebbe stato sensibilmente diverso da quello dell’indagine avviata in seguito dalla Commissione. Infatti, la Commissione avrebbe emesso una CdA basata su un preteso accordo regolato esclusivamente dall’art. 81 CE, mentre dalla decisione dell’Autorità di vigilanza AELS 17 novembre 1994 risulterebbe che quest’ultima esaminava, ai sensi dell’art. 53 SEE, unicamente pratiche riguardanti il mercato offshore norvegese.

471
Le due indagini rientrano pertanto, secondo le ricorrenti, in ordinamenti giuridici diversi. Così, occorrerebbe considerare, per analogia, con le sentenze Banche spagnole e Otto, cit. supra al punto 468, e tenuto conto della formulazione dell’art. 9, n. 1, del protocollo 23, che il valore probatorio degli elementi trasmessi nel contesto di un’indagine dell’Autorità di vigilanza AELS è disciplinato esclusivamente dal diritto dell’Accordo SEE e che tali elementi possono essere invocati soltanto nell’ambito di un procedimento regolato dalle disposizioni interne di tale autorità, vale a dire dal protocollo n. 4 dell’accordo fra gli Stati AELS sull’istituzione di un’autorità di vigilanza e di una Corte di giustizia.

472
Alla luce del vizio di procedura descritto sopra, sarebbe necessario dichiarare inutilizzabile, in particolare, la nota Osservazioni, la nota della Vallourec denominata «RB al sig. Patrier», allegata ad una lettera del 15 maggio 1991, il telefax della Mannesmann 16 gennaio 1991, intitolato «Vancouver list» (in prosieguo: «Elenco di Vancouver»), citato a pag. 4782 del fascicolo della Commissione, il telefax della Sumitomo 19 febbraio 1991, intitolato «Listino prezzi» («Price List»), citato a pag. 4789 del fascicolo della Commissione, la Nota per i presidenti, il documento «g) Giapponese», la nota Riunione 24.07.90, il documento della Mannesmann 27 gennaio 1986, intitolato «Mercato dei tubi in acciaio 1970-1985» («Stahlröhrmarkt 1970-1985»), citato a pag. 2128 del fascicolo della Commissione e il documento Sistema di tubi in acciaio.

473
Il Tribunale non dovrebbe a maggior ragione tener conto delle dichiarazioni rese dalle imprese oggetto dell’indagine in risposta alle richieste di informazioni e domande della Commissione relative ai, o basate sui, documenti che avrebbero dovuto essere dichiarati inutilizzabili per le ragioni esposte sopra. Infatti, l’utilizzo di tali dichiarazioni sarebbe viziato da illegittimità allo stesso modo dell’utilizzo dei documenti stessi, in quanto la Commissione, in mancanza dei detti documenti, non sarebbe stata in grado di formulare le domande concrete che ha posto e, pertanto, di ottenere le informazioni supplementari contenute nelle dette dichiarazioni. Occorrerebbe, quindi, dichiarare inutilizzabili, nel presente procedimento, le dichiarazioni del sig. Verluca, del 17 settembre 1996 e del 14 ottobre 1996, la risposta del sig. Becher, le risposte della Corus, le risposte della Nippon, del 17 novembre e 4 dicembre 1997, citate alle pagg. 13544 e 14157 del fascicolo della Commissione, le risposte della Sumitomo, del 31 ottobre e 16 dicembre 1997, citate alle pagg. 14168 e 14430 del fascicolo della Commissione, le risposte della JFE-NKK, del 7 novembre e 15 dicembre 1997, citate a pagg. 14451 e 14491 del fascicolo della Commissione, le risposte della JFE-Kawasaki, del 3 novembre e 18 dicembre 1997, citate alle pagg. 14519 e 14615 del fascicolo della Commissione e, probabilmente, il documento Ispezione svoltasi presso la Vallourec.

474
Secondo la Nippon occorrerebbe, inoltre, dichiarare inutilizzabili altri documenti, dato che essi risalgono ad un periodo precedente agli accertamenti del 1º e 2 dicembre 1994, vale a dire il telefax inviato dalla Sumitomo alla Vallourec 9 ottobre 1987, citato a pag. 4283 del fascicolo della Commissione, la nota Verbale riunione con JF, il documento intitolato «Parts de marché premium estimés par SMI» («Quote di mercato premium stimate dalla Sumitomo») del 19 settembre 1991, citato a pag. 4848 del fascicolo della Commissione, il documento intitolato «Japan Exports of Seamless Pipe (jan-sep 95)» [«Esportazioni giapponesi di tubi senza saldatura (gennaio-settembre 1995)»], citato a pag. 8514 del fascicolo della Commissione, il documento intitolato «OCTG Seamless pipe supply record 1993 (jan-sept)» [«Relazione riguardante le vendite di tubi senza saldatura OCTG 1993 (gennaio-settembre)»], citato a pag. 8692 del fascicolo della Commissione, la nota Rinnovo contratto VAM BSC, la nota Colloquio BSC, la nota Riflessioni strategiche, la nota Riflessioni sul contratto VAM, la nota della Vallourec intitolata «Relations avec JFE-Kawasaki» («Rapporti con la JFE-Kawasaki»), del 29 agosto 1991, citata a pag. 15802 del fascicolo della Commissione e la nota della Vallourec intitolata «Licenza VAM alla Siderca» del 20 giugno 1994, citata a pag. 15809 del fascicolo della Commissione.

475
Dal fatto che gli elementi probatori documentali e le dichiarazioni menzionate siano stati ottenuti in modo illecito conseguirebbe che la decisione impugnata stessa sarebbe viziata da illegittimità, segnatamente nei limiti in cui i diritti della difesa delle imprese destinatarie siano stati violati. Secondo la JFE-Kawasaki, tale circostanza sarebbe sufficiente, da sola, ad annullare la decisione impugnata. In ogni caso, le ricorrenti giapponesi concordano nell’affermare che si impone il ritiro di ogni elemento probatorio ottenuto sulla base di una decisione illecita, a pena dell’annullamento della decisione impugnata, nei limiti in cui quest’ultima si basa su tali mezzi di prova (ordinanza Hoechst/Commissione, cit. supra al punto 466, punto 34).

476
La Commissione precisa di non avere violato l’art. 53 SEE per aver autorizzato i propri funzionari ed agenti ad indagare su infrazioni dell’art. 81 CE, in particolare con la dichiarazione 25 novembre 1994, la quale li autorizzava ad indagare contemporaneamente, rispetto alle stesse circostanze di fatto, sulla possibile esistenza di un’infrazione dell’art. 53 SEE per conto dell’Autorità di vigilanza AELS, conformemente alla domanda di quest’ultima in tal senso. Infatti, l’Autorità di vigilanza AELS non sarebbe stata esclusivamente competente a condurre un’indagine nel momento in cui tale decisione è stata presa. Secondo la Commissione, l’art. 53 SEE non contiene alcuna disposizione tale da rendere l’art. 81 CE inapplicabile in una situazione in cui i criteri dell’art. 81 CE e quelli dell’art. 53 SEE sono soddisfatti cumulativamente. Tale interpretazione del senso dell’art. 53 SEE sarebbe confermata dai pareri della Corte 14 dicembre 1991, 1/91 (Racc. pag. I‑6079), e 1/92, cit. supra al punto 461.

477
Così, secondo la Commissione, una tale indagine da parte dell’Autorità di vigilanza AELS non poteva usurpare i poteri spettanti alla Comunità nel suo settore di competenza. La Commissione rimaneva libera di indagare su infrazioni dell’art. 81 CE. Infatti, essa sarebbe stata l’autorità di vigilanza competente a farlo, in virtù dell’art. 55 SEE.

478
La Commissione osserva che, in ogni caso, essa avrebbe dovuto conservare il diritto a condurre un’indagine, perlomeno ai fini di determinare se essa fosse l’autorità competente nel caso di specie o meno, a causa dell’esistenza di effetti sugli scambi tra Stati membri.

479
In risposta agli argomenti delle ricorrenti giapponesi relativi alla giurisprudenza, la Commissione rileva che l’esistenza, nel sistema creato dall’Accordo SEE, di un meccanismo che permetta il trasferimento di una causa da un’autorità all’altra distingue il caso di specie da quello che ha dato origine alla sentenza Banche spagnole, cit. sopra al punto 468, dal momento che non esiste, nel sistema comunitario, un meccanismo analogo che preveda trasferimenti di casi tra la Commissione e le autorità nazionali della concorrenza. Inoltre, la sentenza PVC II, cit. supra al punto 61, sarebbe irrilevante nel caso di specie, in quanto i due procedimenti, in causa in questa sentenza, nei quali sono state raccolte le stesse informazioni, riguarderebbero oggetti distinti.

480
Inoltre, le prove non sarebbero state raccolte dalla Commissione solo ai fini di un procedimento diverso da quello oggetto della decisione impugnata, bensì in virtù di decisioni di indagare che menzionavano espressamente eventuali infrazioni dell’art. 81 CE e che erano basate su un doppio fondamento giuridico. A causa di tale doppio fondamento giuridico, la decisione 25 novembre 1994 sarebbe lecita in ogni caso.

481
In udienza, l’Autorità di vigilanza AELS ha presentato osservazioni unicamente sul presente motivo. Al riguardo essa concorda sostanzialmente con gli argomenti sollevati dalla Commissione.

b)     Giudizio del Tribunale

482
Va innanzi tutto ricordato che, nel suo parere 1/92, cit. supra al punto 461, la Corte ha dichiarato che le disposizioni dell’accordo SEE che le erano state sottoposte, in particolare l’art. 56 dello stesso sulla ripartizione delle competenze in materia di concorrenza tra l’Autorità di vigilanza AELS e la Commissione, erano compatibili con il Trattato CE.

483
Per giungere a tale conclusione per quanto riguarda il detto articolo, la Corte ha rilevato, in particolare, ai punti 40 e 41 del detto parere che la competenza della Comunità per concludere accordi internazionali nel settore della concorrenza comporta necessariamente la possibilità per la Comunità di accettare norme convenzionali sulla ripartizione delle rispettive competenze delle parti contraenti nel settore della concorrenza, purché tali norme non alterino le competenze della Comunità e delle sue istituzioni, quali sono concepite nel Trattato.

484
Deriva dunque dal parere 1/92 che l’art. 56 SEE non snatura le competenze della Comunità previste dal Trattato CE nel settore della concorrenza.

485
Al riguardo, sia da una lettura dell’art. 56 SEE stesso che dalla descrizione dettagliata di tale disposizione figurante nella parte introduttiva del parere 1/92, nella parte «Riassunto della richiesta della Commissione», deriva che tutti i casi rientranti nella competenza comunitaria in materia di concorrenza prima dell’entrata in vigore dell’accordo SEE continuano ad essere assoggettati alla competenza esclusiva della Commissione dopo la sua entrata in vigore. Infatti, tutti i casi in cui il commercio tra Stati membri della Comunità europea viene pregiudicato continuano a rientrare nella competenza della Commissione, indipendentemente dal fatto che vi sia un pregiudizio, inoltre, del commercio tra la Comunità e gli Stati AELS e/o tra gli Stati AELS stessi.

486
Alla luce di quanto precede, è giocoforza constatare che le disposizioni dell’accordo SEE non possono essere interpretate in un modo che priverebbe la Commissione, anche temporaneamente, della sua competenza ad applicare l’art. 81 CE ad un accordo anticoncorrenziale che pregiudica il commercio tra Stati membri comunitari.

487
Orbene, va constatato nella fattispecie che la Commissione, nella sua decisione 25 novembre 1994 di apertura di un’indagine nel settore dei tubi d’acciaio, ha fatto in particolare valere l’art. 81 CE e il regolamento n. 17 come fondamento normativo. Nell’ambito di tale indagine, essa ha esercitato i poteri attribuitile dal regolamento n. 17 per raccogliere le prove invocate nella decisione impugnata e, infine, essa ha sanzionato gli accordi che costituivano infrazione esclusivamente a titolo dell’art. 81 CE agli artt. 1 e 2 della detta decisione.

488
Occorre peraltro rispondere esplicitamente all’argomento specifico delle ricorrenti giapponesi relativo all’illiceità del doppio fondamento normativo usato dalla Commissione nella sua decisione 25 novembre 1994, vale a dire non solo l’art. 81 CE ed il regolamento n. 17, ma anche l’art. 53 SEE e la decisione dell’Autorità di vigilanza AELS 17 novembre 1994 che autorizza l’invio di una richiesta di assistenza alla Commissione.

489
È giocoforza constatare che, nella fattispecie, la Commissione non poteva ragionevolmente sapere con certezza al momento dell’adozione della sua decisione 25 novembre 1994 quale fosse il fondamento normativo corretto, poiché la risposta a tale domanda dipendeva dalla portata geografica di un’eventuale infrazione e, più specificamente, dalla questione se questa pregiudicava il commercio tra Stati membri della Comunità. Le ricorrenti giapponesi rilevano correttamente che l’Accordo SEE, in particolare gli artt. 56 e 109, introduce un sistema di «sportello unico» per l’applicazione delle regole di concorrenza, applicabile a partire dalla fase istruttoria, di modo che ognuna delle due autorità ha l’obbligo di dichiararsi incompetente e di trasmettere il suo fascicolo all’altra autorità se essa accerta la competenza della medesima.

490
Tuttavia, tale nozione di «sportello unico» non può essere applicata dall’inizio dell’indagine se non è possibile in tale fase determinare quale autorità sia competente, a pena di violare, nel caso in cui l’Autorità di vigilanza AELS venisse adita, ma in cui la Commissione fosse infine competente, il principio, esposto sopra, secondo cui le disposizioni dell’accordo SEE non possono privare la Commissione della sua competenza ad indagare sui comportamenti anticoncorrenziali che pregiudicano il commercio tra gli Stati membri della Comunità.

491
Va inoltre rilevato a tal riguardo che il semplice fatto che un’istituzione comunitaria in un atto si basi sia su un corretto fondamento normativo sia su uno o più fondamenti normativi diversi che si rivelano infine inadeguati non può comportare di per sé un vizio di tale atto (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 19 marzo 2003, causa T‑213/00, CMA/CGM e a./Commissione, Racc. pag. II.913, punti 79‑103, in particolare punto 94).

492
Da quanto precede risulta che la Commissione è stata competente, in ogni momento, ad indagare sugli accordi anticoncorrenziali infine sanzionati nella decisione impugnata nonostante il fatto che l’Autorità di vigilanza AELS avesse già avviato un’indagine relativa a pratiche eventuali simili sul mercato norvegese. Di conseguenza, gli altri argomenti sollevati dalle ricorrenti giapponesi, in particolare quello tratto dalla giurisprudenza emergente dalla sentenza Banche spagnole (v. qui sopra punti 468 e 469), sono irrilevanti nella fattispecie.

493
Ciò premesso, il motivo in esame va respinto.

B – Sulle richieste di riduzione dell’importo delle ammende

1. Sui primi due motivi, vertenti su un difetto di motivazione quanto alla mancata applicazione in favore della JFE-NKK della comunicazione sulla cooperazione e su un errore al riguardo

a)     Argomenti delle parti

494
Secondo la JFE-NKK, la Commissione non ha motivato in modo sufficiente, al punto 175 della decisione impugnata, il proprio rifiuto di applicare la comunicazione sulla cooperazione a suo favore.

495
La JFE-NKK sostiene, a tale proposito, di aver risposto in modo dettagliato alle quattro richieste di informazioni indirizzatele dalla Commissione, il che giustificherebbe una riduzione del 10% dell’importo dell’ammenda che le è stata imposta conformemente alla sentenza della Corte 14 luglio 1972, causa 48/69, ICI/Commissione (Racc. pag. 619). Inoltre, essa afferma di essere l’unico produttore che abbia fornito alla Commissione le date, i nomi dei partecipanti ed i luoghi esatti delle riunioni tenute tra i produttori europei e giapponesi, il che dovrebbe darle diritto ad una riduzione dell’importo dell’ammenda del 20% secondo questa stessa giurisprudenza.

496
Secondo la Commissione, l’argomento della JFE-NKK riguardo al difetto di motivazione è privo di ogni fondamento, dato che il punto 175 della decisione impugnata espone che non vi è stata collaborazione effettiva nel suo caso. Secondo la comunicazione sulla cooperazione, occorrerebbe almeno che l’impresa in questione comunicasse alla Commissione di non contestare la sussistenza dei fatti esposti nella comunicazione degli addebiti, cosa che la JFE-NKK non ha fatto.

b)     Giudizio del Tribunale

497
È sufficiente constatare che il punto 175 della decisione impugnata espone che non vi è stata «collaborazione effettiva» della JFE-NKK nell’ambito dell’indagine condotta nella fattispecie. Orbene, indipendentemente dall’esattezza di tale constatazione, è giocoforza constatare che essa costituisce una motivazione sufficiente di rifiuto da parte della Commissione di accordare una riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta alla JFE-NKK a titolo di collaborazione.

498
Pur supponendo che i presenti motivi possano essere considerati tratti da un errore nell’applicazione della comunicazione sulla cooperazione, essi devono essere respinti.

499
Va infatti ricordato che, per giustificare la riduzione dell’importo di un’ammenda a titolo di collaborazione, il comportamento di un’impresa deve consentire alla Commissione di accertare e sanzionare un’infrazione alle norme comunitarie della concorrenza con minore difficoltà (v. sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑347/94, Mayr-Melnhof/Commissione, Racc. pag. II‑1751, punto 309, e giurisprudenza cit.).

500
Nella fattispecie va rilevato che, se le risposte ai quesiti fornite dalla JFE-NKK, segnatamente le indicazioni contenute nella sua risposta 7 novembre 1997 per quanto riguarda le date ed i luoghi di diverse riunioni del club Europa-Giappone, sono state di una certa utilità per la Commissione, esse non fanno altro che confermare talune delle informazioni già fornite dal sig. Verluca nelle sue dichiarazioni, rese a nome della Vallourec nel 1996. Di conseguenza, non è esatto che la JFE-NKK è la sola impresa che abbia fornito indicazioni di tale tipo.

501
È vero che laddove talune imprese, nella stessa fase del procedimento amministrativo e in circostanze analoghe, forniscano alla Commissione informazioni simili sui fatti loro contestati, i gradi di collaborazione delle stesse devono essere considerati analoghi (v., per analogia, sentenza Krupp Thyssen Stainless e Acciai speciali Terni/Commissione, cit. supra al punto 50, punti 243‑245).

502
Tuttavia, nella fattispecie, la Vallourec, mediante le dichiarazioni del sig. Verluca, ha riconosciuto esplicitamente che le riunioni in questione hanno avuto luogo nell’ambito di un accordo di ripartizione dei mercati riguardante in particolare i mercati nazionali dei quattro produttori europei. Infatti, il sig. Verluca ha rilevato che ogni membro del club Europa‑Giappone era tenuto a rispettare il mercato nazionale di ognuno degli altri membri di tale club, precisando che il mercato offshore del Regno Unito aveva uno status particolare, in quanto era «semi‑protetto». Egli ha inoltre precisato la durata ed il modo di funzionamento dell’accordo di ripartizione dei mercati. La JFE-NKK ha invece sostenuto, nella sua risposta 7 novembre 1997, che anche se i produttori europei le hanno chiesto di rispettare i loro mercati nazionali essa non ha mai risposto favorevolmente a tali richieste.

503
È giocoforza constatare che il sig. Verluca non si è accontentato di rispondere ai quesiti posti dalla Commissione, durante il primo accertamento effettuato presso la Vallourec nel settembre 1996. Infatti, dalle dichiarazioni del sig. Verluca, valutate nel loro complesso, emerge una vera e propria volontà di riconoscere l’esistenza di un’infrazione e di collaborare in modo effettivo all’indagine condotta dalla Commissione. La JFE-NKK si è invece limitata a fornire le informazioni di fatto che la Commissione le aveva chiesto, rifiutando qualsiasi interpretazione delle stesse idonea a dimostrare l’esistenza di un’infrazione in capo ad essa.

504
Occorre considerare che l’utilità delle informazioni fornite dalla JFE-NKK si basa esclusivamente sulla circostanza che esse corroborano, in una certa misura, le dichiarazioni del sig. Verluca di cui la Commissione già disponeva. Di conseguenza, la comunicazione di tali informazioni non ha facilitato significativamente il compito della Commissione e non è bastata quindi a giustificare una riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta a titolo di collaborazione.

505
Per di più, la Commissione constata correttamente che la JFE-NKK non l’ha mai informata che essa riconosceva la materialità dei fatti durante il procedimento amministrativo. Essa ha peraltro continuato a contestarli dinanzi al Tribunale.

506
Ciò premesso, è giocoforza constatare che l’argomento della JFE-NKK non giustifica l’applicazione della comunicazione sulla cooperazione al fine di ridurre l’importo dell’ammenda inflitta a questa impresa.

2. Sul terzo motivo, vertente su un difetto di motivazione quanto al modo in cui viene calcolato l’importo delle ammende

a)     Argomenti delle parti

507
Secondo la JFE-NKK, la Commissione non ha esposto la modalità di calcolo delle ammende in modo sufficientemente dettagliato per soddisfare le esigenze della giurisprudenza (sentenza del Tribunale 6 aprile 1995, causa T‑148/89, Tréfilunion/Commissione, Racc. pag. II‑1063, punto 142). In particolare, essa non avrebbe esaminato il volume di affari, né la partecipazione effettiva all’infrazione di ogni destinataria della decisione impugnata, ai fini della fissazione dell’importo delle ammende. Secondo la JFE-NKK, tale omissione costituisce un difetto di motivazione.

508
La Commissione afferma di avere adeguatamente esposto la modalità di calcolo delle ammende nella decisione impugnata, in particolare al punto 162.

b)     Giudizio del Tribunale

509
Basta constatare, al riguardo, che la Commissione ha esposto in modo chiaro e coerente, ai punti 156-175 della decisione impugnata, gli elementi di cui ha tenuto conto per stabilire l’importo delle ammende. La sentenza Tréfilunion/Commissione, cit. supra al punto 507, non è di alcun aiuto alla JFE-NKK, poiché si limita ad osservare al riguardo che la Commissione deve esporre il modo di calcolo delle ammende. La diversa questione se la Commissione abbia commesso errori di valutazione quanto al calcolo dell’importo delle ammende verrà esaminata infra ai punti 515 e segg.

510
Il motivo in esame deve pertanto essere respinto.

3. Sul quarto motivo, vertente su un’erronea valutazione della durata dell’infrazione

a)     Argomenti delle parti

511
Ai punti 136 e segg., supra, sono riassunti gli argomenti delle ricorrenti giapponesi con i quali esse fanno valere che la Commissione avrebbe dovuto perlomeno accertare un’infrazione di una durata minore di quella da essa constatata all’art. 1 delle decisione impugnata.

512
Dato che la Commissione ha applicato un aumento del 10% per ogni anno all’importo dell’ammenda fissata in funzione della gravità, e che l’infrazione è durata solo quattro anni completi al massimo (dal 1991 al 1994), anziché cinque anni, occorrerebbe riportare l’aumento globale dal 50%, indicato nella decisione impugnata per tutte le ricorrenti giapponesi a titolo di durata, al 40% al massimo. Nella sua memoria di replica, la Nippon rileva che l’argomento, avanzato dalla Commissione, secondo il quale gli accordi di autolimitazione non avevano costituito un ostacolo a che i produttori giapponesi vendessero tubi senza saldatura nella Comunità, è incompatibile con la posizione assunta dalla stessa nella decisione impugnata riguardo al periodo dal 1977 al 1989. La Sumitomo sostiene, a tale proposito, che gli agenti della Commissione non possono sostituirsi ai membri di tale istituzione, avanzando l’argomento secondo il quale era giustificato imporre un’ammenda per il 1990, anche supponendo che gli accordi di autolimitazione siano stati in vigore durante quell’anno.

513
Gli argomenti della Commissione sulla durata dell’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata sono riassunti sopra ai punti 157 e segg. In sostanza, poiché la durata dell’infrazione è stata dimostrata sufficientemente non occorre, ad avviso della Commissione, ridurre l’importo delle ammende.

b)     Giudizio del Tribunale

514
Poiché gli argomenti delle parti relativi alla durata dell’infrazione sono stati esaminati supra ai punti 338‑352, nell’ambito del presente motivo, nell’ambito del presente motivo, basta ricordare che tale durata deve essere ridotta, per quanto riguarda tutte le ricorrenti giapponesi, da cinque anni a tre anni e sei mesi, vale a dire un periodo compreso tra il 1º gennaio 1991 ed il 1º luglio 1994. Questa nuova durata verrà presa in considerazione ai punti 588 e 590 infra a titolo della fissazione dell’importo delle ammende inflitte alle ricorrenti giapponesi.

4. Sul quinto motivo, vertente su una valutazione erronea dei documenti che sostengono la dimostrazione dell’esistenza dell’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata

a)     Argomenti delle parti

515
Le ricorrenti giapponesi ricordano gli argomenti avanzati dalle stesse per chiedere l’annullamento dell’art. 1 della decisione impugnata, i quali si basano sulla discordanza tra la gamma di prodotti indicati dalle varie prove scritte invocate dalla Commissione nella decisione impugnata e quelli interessati infine dall’infrazione contestata (v. supra, ai punti 105 e segg.). Se il Tribunale dovesse respingere alcune delle prove scritte invocate dalla Commissione, pur confermando per il resto la decisione impugnata, l’importo delle ammende dovrebbe essere ridotto in modo tale da adeguarsi alla definizione dei prodotti e alla durata dell’infrazione che risultano dai documenti probatori che lo stesso non respingerebbe. Occorrerebbe tenere conto, in tale contesto, del fatto che alcuni elementi probatori, e segnatamente il documento «Sharing key», si riferiscono ad un mercato di prodotti più limitato.

516
La JFE-Kawasaki e la Sumitomo sostengono, inoltre, che la Commissione avrebbe dovuto, almeno, considerare un mercato più ristretto al fine di determinare il grado di gravità dell’infrazione e, pertanto, fissare l’importo dell’ammenda da infliggere alle destinatarie della decisione impugnata ad un livello più basso. In particolare, dal punto di vista geografico, la Commissione non avrebbe dimostrato sufficientemente che l’infrazione considerata avesse un effetto negativo sul mercato offshore britannico.

517
La Commissione replica che, sebbene le prove documentali rivelino una variazione dell’ambito di applicazione dell’accordo, le stesse tendono ad indicare che tale ambito di applicazione potrebbe essere più ampio di quello constatato nella decisione impugnata. Per quanto riguarda l’affermazione secondo la quale essa avrebbe identificato in modo erroneo il mercato geografico, la Commissione risponde di aver valutato la gravità dell’infrazione, tenendo conto del mercato considerato correttamente ai punti 160 e 161 della decisione impugnata, sulla base degli elementi probatori individuati nel corso della propria indagine (v. anche supra, punti 144 e segg.).

b)     Giudizio del Tribunale

518
Per respingere il presente motivo basta ricordare che, come è stato affermato sopra al punto 352, l’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata è sufficientemente dimostrata, da tutti i punti di vista, salvo per quanto riguarda la sua durata, la cui incidenza sull’importo delle ammende è stata rilevata supra al punto 514.

5. Sul quinto e sesto motivo, vertenti sulla violazione del principio di proporzionalità e degli orientamenti per il calcolo delle ammende e su un difetto di motivazione

a)     Argomenti delle parti

519
Secondo le ricorrenti giapponesi, si sarebbe dovuto tenere conto, ai fini del calcolo dell’ammontare dell’ammenda imposta ad esse, dell’assenza di effetti dell’infrazione sul mercato europeo (sentenza della Corte 6 marzo 1974, cause riunite 6/73 e 7/73, Istituto chemioterapico italiano e Commercial Solvents/Commissione, Racc. pag. 223, punti 51 e segg., e sentenze Suiker Unie e a./Commissione, cit. supra al punto 56, punti 614 e segg., e Thyssen Stahl/Commissione, cit. supra al punto 74, punto 672). La Nippon e la Sumitomo rinviano, su questo aspetto, ai loro argomenti relativi agli ostacoli agli scambi, la cui esistenza impediva ai produttori giapponesi di vendere i propri prodotti sui mercati comunitari, in modo tale che l’effetto dell’infrazione sul mercato comune sarebbe stato, in ogni caso, praticamente inesistente. La JFE-NKK invoca, in tale contesto, il capitolo 3 degli orientamenti per il calcolo dell’ammontare delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 65, paragrafo 5, del Trattato CECA (GU 1998, C 9, pag. 3; in prosieguo: gli «orientamenti per il calcolo delle ammende»), ai sensi del quale la non applicazione di fatto degli accordi o delle pratiche illecite costituisce una circostanza attenuante. La JFE-Kawasaki sostiene, a tale proposito, che le ammende, comprese quelle inflitte alle ricorrenti giapponesi, sembrano inglobare il comportamento illecito di cui all’art. 2 della decisione impugnata, il che sarebbe illegittimo, in quanto tale seconda infrazione riguarda unicamente i produttori comunitari.

520
D’altra parte, i prodotti di cui all’art. 1 della decisione impugnata sarebbero meno numerosi rispetto a quelli descritti nella CdA. In sostanza, il numero di prodotti in questione sarebbe talmente ristretto che le ammende, di un importo complessivo di EUR 99 milioni sarebbero sproporzionate rispetto al volume di affari complessivo raggiunto da tutte le destinatarie della decisione impugnata per tali prodotti, il quale ammonterebbe a EUR 73 milioni all’anno (punto 162 della decisione impugnata). A tale proposito, la Sumitomo invoca le sentenze del Tribunale 14 luglio 1994, causa T‑77/92, Parker Pen/Commissione (Racc. pag. II‑549, punto 580), e 14 maggio 1998, causa T‑319/94, Fiskeby Board/Commissione (Racc. pag. II‑1331, punto 40). Nella sua prassi decisionale precedente, la Commissione non avrebbe mai inflitto un’ammenda il cui importo si avvicini al volume d’affari annuale realizzato sul mercato oggetto di una decisione che constata l’esistenza di un’infrazione. La JFE-Kawasaki rileva, inoltre, che tale cifra di EUR 73 milioni sembra inglobare le vendite realizzate sui mercati offshore della Comunità, mentre converrebbe non prenderle in considerazione, conformemente all’argomento della stessa, riassunto sopra, al punto 405.

521
La Nippon rileva, a tale proposito, che, secondo la sentenza PVC II, cit. supra al punto 61, la Commissione deve tener conto di tutte le circostanze dell’infrazione per infliggere un’ammenda proporzionata. Tra questi elementi figurerebbero, segnatamente, il volume ed il valore delle merci oggetto dell’infrazione (sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, cit. supra al punto 56, punto 120). D’altra parte, ai termini degli orientamenti per il calcolo delle ammende, l’impatto concreto di un’infrazione sul mercato dovrebbe essere preso in considerazione ed occorrerebbe ponderare, in alcuni casi, l’importo dell’ammenda in funzione del peso specifico, quindi dell’impatto reale e, pertanto, della gravità del comportamento infrazionale di ogni impresa (v., anche, sentenza della Corte 8 luglio 1999, causa C‑51/92 P, Hercules Chemicals/Commissione, Racc. pag. I‑4235, punto 110, e sentenza Cemento, cit. supra al punto 66, punto 4949). La JFE-Kawasaki aggiunge, a tale proposito, che essa è la più piccola dei quattro produttori giapponesi sanzionati dalla decisione impugnata, in termini di volume di affari globale. La JFE-NKK sostiene che le proprie vendite di OCTG e di linepipe «project» senza saldatura sono inferiori a quelle degli altri quattro produttori giapponesi. La JFE-NKK sostiene, inoltre, che la Commissione avrebbe dovuto tenere conto del fatto che le ricorrenti giapponesi non hanno rispettato l’accordo illecito, in quanto le stesse hanno continuato a commercializzare i prodotti in questione sull’unico mercato che interessava loro, vale a dire il mercato offshore del Regno Unito (sentenza Buchmann/Commissione, cit. supra al punto 58, punto 121). A tale proposito, l’affermazione fatta dalla Commissione al punto 161 della decisione impugnata, secondo la quale i quattro Stati di origine dei produttori europei interessati dalla decisione impugnata rappresentano un vasto mercato geografico, è incompatibile, in particolare, con le osservazioni contenute ai punti 106 e 145 della decisione impugnata, in cui la Commissione afferma l’esistenza di quattro mercati nazionali.

522
L’argomento della Commissione, tratto dalla giurisprudenza relativa all’esistenza di un margine di discrezionalità per fissare l’importo dell’ammenda sarebbe irrilevante dato che la Commissione resta tenuta a rispettare l’art. 15 del regolamento n. 17. D’altra parte, il suo argomento, derivante dal fatto che gli orientamenti per il calcolo delle ammende prevedono, in linea di principio, un ammontare di base di EUR 20 milioni per le infrazioni qualificate molto gravi, non può prevalere sul principio di proporzionalità per quanto riguarda la fissazione dell’importo delle ammende.

523
La Sumitomo ritiene che l’esistenza di accordi di autolimitazione precedentemente al 1991 sia una circostanza attenuante, di cui la Commissione avrebbe dovuto tenere conto per il periodo successivo, nonostante l’attuazione dell’art. 81 CE non fosse più vietata, dal momento che il detto accordo era scaduto. La Sumitomo invita il Tribunale ad applicare per analogia la sentenza Suiker Unie e a./Commissione, cit. supra al punto 56 (punti 619 e 620). Nei limiti in cui la Commissione afferma, nel suo controricorso nella causa T‑78/00, che l’esistenza del detto accordo prima del 1991 costituiva una circostanza aggravante, piuttosto che un’attenuante, tale argomento sarebbe incompatibile con l’interpretazione adottata nella decisione impugnata e, pertanto, violerebbe l’obbligo di motivazione previsto all’art. 253 CE.

524
La Commissione contesta il fatto che l’importo dell’ammenda sia sproporzionato e sostiene che la posizione delle ricorrenti giapponesi si basa sulla tesi errata secondo la quale tale importo dev’essere fissato in funzione delle dimensioni del mercato. Secondo la Commissione, l’importo dell’ammenda dovrebbe essere proporzionato alla gravità dell’infrazione, valutata nel suo insieme, e non solo al volume di affari delle destinatarie della decisione impugnata. Al punto 162 della decisione impugnata, la Commissione avrebbe rilevato che l’accordo di ripartizione dei mercati costituiva un’infrazione molto grave dell’art. 81 CE, per il fatto che aveva lo scopo di compartimentare mercati nazionali che rappresentavano la maggior parte del consumo comunitario dei prodotti oggetto della decisione impugnata. Sarebbe pertanto manifesto che tale infrazione ha avuto effetti negativi sul funzionamento del mercato comune, nonché sulla concorrenza all’interno dello stesso.

525
L’interpretazione adottata al punto 162 della decisione impugnata sarebbe conforme agli orientamenti per il calcolo delle ammende, i quali prevedono che, entro il limite di un massimale del 10% del volume d’affari, gli importi delle ammende saranno calcolati prendendo come punto di partenza un importo di base in funzione della gravità. A tale proposito, il volume di affari delle destinatarie di una decisione che constata l’esistenza di un’infrazione sarebbe rilevante unicamente rispetto a tale limite del 10% (sentenza Cemento, cit. supra al punto 66, punti 5005‑5025). Gli orientamenti per il calcolo delle ammende prevedrebbero un importo di partenza di EUR 20 milioni per le infrazioni molto gravi e, dato che la Commissione aveva già ridotto tale ammontare ad EUR 10 milioni, a causa delle dimensioni del mercato (punto 163 della decisione impugnata), non occorrerebbe ridurlo ulteriormente. La Commissione sostiene inoltre che, secondo gli orientamenti per il calcolo delle ammende, l’impatto di un’infrazione sul mercato è un fattore da prendere in considerazione solo quando sia misurabile e che occorre tener conto del volume di affari di ogni impresa unicamente nei casi in cui esista una disparità considerevole nelle dimensioni delle imprese autrici di un’infrazione della stessa natura, che non sarebbe il caso nella fattispecie in esame.

526
L’interpretazione adottata nella decisione impugnata sarebbe conforme alla giurisprudenza, la quale ha riconosciuto alla Commissione un margine di discrezionalità nell’ambito della determinazione dell’importo dell’ammenda (sentenza Mo och Domsjö, cit. supra al punto 425, punto 268). Al punto 358 della stessa sentenza, confermata dalla Corte in fase d’impugnazione nella sentenza 16 novembre 2000, causa C‑283/98 P, Mo och Domsjö/Commissione (Racc. pag. I‑9855, punto 62), il Tribunale avrebbe dichiarato che, trattandosi di infrazioni il cui oggetto è molto grave, l’incidenza sul mercato deve essere presunta o, in ogni caso, è priva di rilevanza nell’ambito della valutazione della gravità.

527
In risposta all’argomento della JFE-Kawasaki, secondo il quale l’ammenda inflitta ai produttori giapponesi ingloba quella che avrebbe dovuto essere inflitta a causa dell’infrazione di cui all’art. 2, la Commissione sostiene che tale analisi è errata, dal momento che non è stata imposta alcuna ammenda né alcun aumento della stessa, a titolo di tale infrazione.

528
La Commissione sostiene che il fatto di aver deciso di non infliggere un’ammenda durante il periodo di applicazione degli accordi di autolimitazione costituisce già una concessione ai produttori giapponesi, in particolare alla luce del parere della Commissione relativo all’importazione nella Comunità di prodotti giapponesi (GU 1972, C 111, pag. 13), dal quale risulta che l’esistenza degli accordi di autolimitazione non era di alcun aiuto ai produttori giapponesi nell’ambito dell’applicazione del diritto della concorrenza. Così, l’esistenza degli accordi di autolimitazione prima del 1990 non sarebbe assolutamente una circostanza attenuante ai fini della fissazione dell’importo dell’ammenda a partire dal 1990, contrariamente all’argomento in tal senso della Sumitomo.

529
In risposta all’argomento della Sumitomo, secondo il quale la Commissione non ha il diritto di basarsi per la prima volta dinanzi al Tribunale sul preteso carattere aggravante degli accordi di autolimitazione prima del 1990, la Commissione precisa che la Sumitomo chiede al Tribunale, nell’ambito della sua competenza anche di merito, di ridurre l’importo dell’ammenda. In tale contesto, la Commissione ritiene opportuno attirare l’attenzione del Tribunale su tutti gli elementi relativi all’esercizio del suo potere discrezionale.

530
A tale proposito, occorrerebbe rilevare che la Sumitomo cerca di avanzare un nuovo motivo nell’ambito della sua domanda di riduzione dell’ammenda, sollevando la questione della motivazione nella fase della replica, mentre il ricorso non contiene alcun motivo vertente sull’insufficienza della motivazione per quanto riguarda la fissazione di tale importo. Tale motivo sarebbe irricevibile ai sensi dell’art. 48, n. 2, del regolamento di procedura.

b)     Giudizio del Tribunale

531
Occorre innanzi tutto rilevare, ai termini dell’art. 5, n. 2, del regolamento n. 17, che la Commissione può infliggere ammende che variano da un minimo di EUR 1 000 ad un massimo EUR 1 000 000, con facoltà di aumentare quest’ultimo importo fino al 10% del volume d’affari realizzato durante l’esercizio sociale precedente da ciascuna delle imprese che hanno partecipato all’infrazione. Per determinare l’importo dell’ammenda entro tali limiti, la detta disposizione prescrive la presa in considerazione della gravità e della durata dell’infrazione.

532
Orbene, né il regolamento n. 17, né la giurisprudenza, né gli orientamenti per il calcolo delle ammende prevedono che l’importo delle ammende debba essere stabilito direttamente in funzione delle dimensioni del mercato pregiudicato, in quanto tale fattore è solo uno dei tanti elementi rilevanti. Infatti, ai sensi del regolamento n. 17, come interpretato dalla giurisprudenza, l’importo dell’ammenda inflitta ad un’impresa a titolo di un’infrazione in materia di concorrenza deve essere proporzionato all’infrazione, valutata nel suo complesso, tenendo conto, in particolare, della gravità di questa (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 6 ottobre 1994, causa T‑83/91, Tetra Pak/Commissione, Racc. pag. II‑755, punto 240, e, per analogia, sentenza del Tribunale 21 ottobre 1997, causa T‑229/94, Deutsche Bahn/Commissione, Racc. pag. II‑1689, punto 127). Come affermato dalla Corte al punto 120 della sua sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, cit. supra al punto 56, va tenuto conto, per valutare la gravità di un’infrazione, di un gran numero di fattori il cui carattere e la cui importanza variano a seconda del tipo di infrazione e delle circostanze particolari della stessa (v. inoltre, per analogia, sentenza Deutsche Bahn/Commissione, cit., punto 127).

533
Occorre anche rilevare, al riguardo, che il solo riferimento espresso al volume d’affari dell’impresa in questione, vale a dire il limite del 10% del volume d’affari considerato ai fini della fissazione delle ammende all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, concerne il volume d’affari complessivo dell’impresa realizzato in tutto il mondo (v., in tal senso, sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, cit. supra al punto 56, punto 119) e non il volume d’affari realizzato dalla stessa sul mercato pregiudicato dal comportamento anticoncorrenziale sanzionato. Dal medesimo punto di tale sentenza emerge infatti che tale limite è diretto ad evitare che le ammende siano sproporzionate rispetto all’importanza dell’impresa nel suo complesso.

534
Va tuttavia sottolineato che il detto riferimento al volume d’affari mondiale rileva esclusivamente per il calcolo del limite superiore dell’ammenda che può essere inflitta dalla Commissione (v. punto 1 degli orientamenti per il calcolo delle ammende) e non significa affatto che debba esistere una relazione strettamente proporzionale tra le dimensioni di ogni impresa e l’importo dell’ammenda che le viene inflitta.

535
Poiché nella fattispecie non è stato sostenuto che l’importo delle ammende supera il 10% del volume d’affari globale delle ricorrenti giapponesi, tali ammende non possono essere censurate per il solo fatto che, cumulate con quelle inflitte ai produttori europei, esse superano il volume d’affari realizzato sul mercato interessato, vale a dire EUR 73 milioni. È vero che occorre osservare che la Corte, nella sentenza 16 novembre 2000, causa C‑248/98 P, KNP BT/Commissione (Racc. pag. I‑9641, punto 61), ha sottolineato incidentalmente che «l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, [è] inteso a garantire che la sanzione sia proporzionata alle dimensioni dell’impresa sul mercato dei prodotti oggetto dell’infrazione». Tuttavia oltre al fatto che, al punto 61 della sentenza soprammenzionata la Corte menziona esplicitamente, a titolo di riferimento, il punto 119 della sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, cit. supra al punto 56, va sottolineato che la formulazione in questione, non menzionata nella giurisprudenza successiva, si inserisce nel contesto particolare della causa che ha dato luogo alla sentenza KNP BT/Commissione, cit. In tale causa, la ricorrente contestava, infatti, alla Commissione di aver tenuto conto del valore delle vendite interne al gruppo ai fini della determinazione delle sue quote di mercato, circostanza che è stata tuttavia ritenuta valida dalla Corte per il motivo citato. Non se ne può dunque dedurre che le sanzioni inflitte alle ricorrenti giapponesi nella fattispecie siano sproporzionate.

536
Peraltro, occorre rilevare che, sebbene la Commissione non abbia espressamente invocato gli orientamenti per il calcolo delle ammende nella decisione impugnata, essa ha tuttavia determinato l’importo delle ammende imposte alle ricorrenti giapponesi facendo applicazione del metodo di calcolo che essa si è imposta.

537
Orbene, anche se la Commissione gode di un margine discrezionale per stabilire l’importo delle ammende (sentenze del Tribunale 6 aprile 1995, causa T‑150/89, Martinelli/Commissione, Racc. pag. II‑1165, punto 59 e, per analogia, Deutsche Bahn/Commissione, cit. supra al punto 532, punto 127), occorre constatare che la Commissione non può discostarsi dalle regole che essa si è imposta (v. sentenze Hercules Chemical/Commissione, cit. supra al punto 327, punto 53, confermata in fase d’impugnazione dalla sentenza 8 luglio 1999, Hercules Chemicals/Commissione, cit. supra al punto 521, e giurisprudenza cit.). In tal modo, la Commissione deve effettivamente tener conto dei termini degli orientamenti per il calcolo delle ammende fissando l’importo delle ammende, in particolare degli elementi ivi indicati in modo imperativo.

538
Tuttavia, il margine di discrezionalità della Commissione ed i limiti che essa vi ha apportato non pregiudicano, in ogni caso, l’esercizio, da parte del giudice comunitario, della sua competenza anche di merito.

539
Occorre rilevare che, secondo il punto 1 A degli orientamenti per il calcolo delle ammende «[n]el valutare la gravità dell’infrazione, occorre prenderne in considerazione la natura, l’impatto concreto sul mercato, quando sia misurabile, e l’estensione del mercato geografico rilevante». Orbene, al punto 159 della decisione impugnata, la Commissione rileva di aver preso in considerazione tali tre criteri per determinare la gravità dell’infrazione.

540
Tuttavia, la Commissione, al punto 161 della decisione impugnata, si è basata essenzialmente sulla natura del comportamento infrazionale di tutte le imprese per fondare la sua conclusione secondo cui l’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata è «molto grave». Al riguardo essa ha invocato la natura gravemente anticoncorrenziale e nociva al buon funzionamento del mercato interno dell’accordo di ripartizione dei mercati sanzionato, la deliberatezza dell’illegalità e la natura segreta ed istituzionalizzata del sistema attuato per limitare la concorrenza. La Commissione ha preso in considerazione, al medesimo punto 161, anche il fatto che «i quattro Stati membri in questione rappresentano la maggior parte del consumo [dei tubi] OCTG e dei linepipe senza saldatura nella Comunità e dunque un vasto mercato geografico».

541
La Commissione ha invece constatato, al punto 160 della decisione impugnata, che «l’infrazione ha avuto, di fatto, un’incidenza limitata sul mercato», poiché i due prodotti specifici coperti da questa, vale a dire i tubi OCTG standard e i linepipe «project», rappresentano solo il 19% del consumo comunitario dei tubi OCTG e linepipe senza saldatura e che i tubi saldati possono ormai coprire una parte della domanda per i tubi senza saldatura grazie al progresso tecnologico.

542
Così, al punto 162 della decisione impugnata, la Commissione, dopo aver qualificato tale infrazione come «molto grave» in base ai fattori elencati al punto 161, ha tenuto conto della quantità relativamente ridotta delle vendite dei prodotti in questione da parte dei destinatari della decisione impugnata nei quattro Stati membri interessati (EUR 73 milioni all’anno). Tale riferimento alle dimensioni del mercato rilevante corrisponde alla valutazione dell’impatto limitato dell’infrazione sul mercato al punto 160 della decisione impugnata. La Commissione ha dunque deciso di stabilire l’importo che è in funzione della gravità dell’infrazione a EUR 10 milioni. Orbene, gli orientamenti per il calcolo delle ammende prevedono, in linea di principio, un importo dell’ammenda di «più di 20 milioni di [euro]» per un’infrazione rientrante nella categoria delle infrazioni molto gravi.

543
Va considerato che tale riduzione dell’importo stabilito in funzione della gravità al 50% dell’importo minimo adottato abitualmente nel caso di un’infrazione «molto grave» tiene adeguatamente conto del limitato impatto dell’infrazione sul mercato nella fattispecie. Al riguardo si deve inoltre ricordare che le ammende devono adempiere ad una funzione dissuasiva in materia di concorrenza (v., al riguardo, punto 1 A, quarto comma, degli orientamenti per il calcolo delle ammende). In tal modo, tenuto conto delle vaste dimensioni delle imprese destinatarie della decisione impugnata, rilevate al punto 165 della decisione impugnata (v. anche, infra, punto 552), una riduzione sostanzialmente maggiore dell’importo stabilito in funzione dalla gravità avrebbe potuto privare le ammende del loro effetto dissuasivo.

544
Quanto agli argomenti relativi all’esistenza di ostacoli alle esportazioni verso i mercati comunitari onshore, va constatato che la Commissione non ha tenuto conto di tali elementi nella decisione impugnata ai fini della fissazione dell’importo delle ammende, in quanto essa le contesta sul piano fattuale. Dato che la qualifica dell’infrazione come «molto grave» nella fattispecie si basa sulla natura di tale infrazione e sul suo oggetto, piuttosto che sui suoi effetti, tali argomenti delle ricorrenti giapponesi non hanno alcuna incidenza su questa analisi in quanto tale.

545
Va inoltre ricordato ancora una volta a questo riguardo che la Commissione ha applicato una riduzione molto significativa, rispetto all’importo abitualmente applicato ad un’infrazione di tale gravità, per tenere conto della limitatezza degli effetti economici dell’accordo.

546
Occorre inoltre osservare che poiché l’esistenza dell’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata è stata stabilita in base a prove documentali, la partecipazione delle ricorrenti giapponesi all’accordo avente scopo anticoncorrenziale, così sanzionato, è una delle ragioni principali per cui la Commissione non era tenuta a valutare in ogni caso l’effettività e l’importanza degli ostacoli al commercio invocati dalle ricorrenti giapponesi. Infatti, un’impresa che, nell’ambito di un accordo più ampio, accettasse di astenersi dal vendere un prodotto particolare su un dato mercato laddove essa non aveva l’intenzione di farlo in ogni caso rende praticamente impossibile, col suo stesso atteggiamento, determinare quale sarebbe stato il suo comportamento rispetto alla vendita del detto prodotto sul mercato di cui trattasi in assenza del detto accordo.

547
Orbene, il punto 1 degli orientamenti per il calcolo delle ammende precisa che l’impatto sul mercato di un’infrazione deve essere preso in considerazione «qualora ciò possa essere misurato» (v. supra, punto 539). È giocoforza constatare che, nelle circostanze della fattispecie, è proprio il comportamento infrazionale delle ricorrenti giapponesi che ha reso quasi impossibile la misura della rilevanza degli asseriti ostacoli al commercio e, di conseguenza, la presa in considerazione dei detti ostacoli nell’ambito della valutazione dell’impatto dell’infrazione sul mercato.

548
Ciò premesso, pur supponendo che le affermazioni delle ricorrenti quanto all’esistenza e alla portata degli ostacoli al commercio siano fondati, il Tribunale ritiene, nell’ambito della sua competenza anche di merito, che la Commissione, nella fissazione dell’importo delle ammende in funzione della gravità, non ha per nulla violato nella fattispecie il principio di proporzionalità e che non sarebbe quindi giustificato ridurre maggiormente tale importo a titolo di tali circostanze. Di conseguenza, non è necessario statuire sull’eventuale fondatezza di tale argomento nella fattispecie.

549
Occorre parimenti respingere gli argomenti delle ricorrenti giapponesi relativi al loro preteso mancato rispetto dell’accordo sanzionato quanto al mercato offshore del Regno Unito su cui esse affermano di aver venduto quantitativi rilevanti dei prodotti di cui all’art. 1 della decisione impugnata. Come gli argomenti esaminati ai punti precedenti, questo argomento, se lo si ritiene fondato, serve solo a relativizzare gli effetti pratici dell’accordo sanzionato all’art. 1 della decisione impugnata. Orbene, la Commissione ha già constatato e preso correttamente in considerazione il fatto che l’infrazione aveva avuto un impatto limitato sui mercati interessati (v. supra, punti 542 e 543).

550
In ogni caso, l’incidenza di tale «mancato rispetto» dell’accordo quanto al mercato offshore del Regno Unito è limitata dal fatto che tale mercato era solo «semi‑protetto», secondo i termini della decisione impugnata, per cui la Commissione era già a conoscenza di tale fattore nel momento in cui ha fissato l’importo delle ammende (v. punto 62 della decisione impugnata).

551
Le ricorrenti giapponesi rilevano che il punto 1 A, sesto comma, degli orientamenti per il calcolo delle ammende rende possibile «in certi casi, ponderare gli importi determinati nell’ambito di ciascuna delle tre categorie [di infrazioni], in modo da tenere conto del peso specifico e dunque dell’impatto reale sulla concorrenza del comportamento configurante infrazione di ciascuna impresa». Secondo tale comma tale impostazione è adeguata «in particolare qualora esista una disparità considerevole nella dimensione delle imprese che commettono il medesimo tipo di infrazione».

552
Nella fattispecie, la Commissione ha constatato, al punto 165 della decisione impugnata, che tutte le imprese destinatarie della decisione impugnata erano di grandi dimensioni, per cui non occorreva procedere, a tale titolo, ad una differenziazione tra gli importi delle ammende applicate. Al riguardo, nessuna ricorrente giapponese ha contestato la sua qualifica di impresa di grandi dimensioni in quanto tale, poiché i loro argomenti al riguardo erano di natura puramente comparativa.

553
Risulta, inoltre, dall’uso delle espressioni «in certi casi» e «in particolare» negli orientamenti per il calcolo delle ammende che una ponderazione in funzione delle dimensioni individuali delle imprese non è una tappa di calcolo sistematica che la Commissione si è imposta, ma una possibilità di essere flessibile che essa si è concessa per i casi che lo richiedono. Va ricordata, in tale contesto, la giurisprudenza secondo cui la Commissione dispone di un potere discrezionale che le consente di prendere o non prendere in considerazione taluni elementi quando essa stabilisce l’importo delle ammende che essa intende infliggere, in funzione in particolare delle circostanze del caso di specie (v., in tal senso, ordinanza della Corte 25 marzo 1996, causa C‑137/95 P, SPO e a./Commissione, Racc. pag. I‑1611, punto 54, e sentenze della Corte 17 luglio 1997, causa C‑219/95 P, Ferriere Nord/Commissione, Racc. pag. I‑4411, punti 32 e 33, e Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, cit. supra al punto 180, punto 465; v. inoltre, in tal senso, sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑309/94, KNP BT/Commissione, Racc. pag. II‑1007, punto 68). Tenuto conto dei termini del punto 1 A, sesto comma, degli orientamenti per il calcolo delle ammende, indicati sopra, occorre considerare che la Commissione ha mantenuto un certo margine di discrezionalità rispetto all’opportunità di effettuare una ponderazione delle ammende in funzione delle dimensioni di ogni impresa.

554
Poiché la Commissione nella decisione impugnata ha constatato che tutte le ricorrenti giapponesi erano di grandi dimensioni (v. supra, punto 552) e ha tenuto conto dell’impatto relativamente modesto dell’infrazione sui mercati in modo globale (v. supra, punti 542 e 543), l’argomento delle ricorrenti giapponesi non basta a dimostrare che la Commissione abbia oltrepassato i limiti del suo potere discrezionale nella fattispecie per il fatto che essa non ha applicato il punto 1 A, sesto comma, degli orientamenti per il calcolo delle ammende.

555
La Sumitomo, peraltro, fa valere che l’esistenza degli accordi di autolimitazione prima del 1991 è una circostanza attenuante di cui la Commissione avrebbe dovuto tenere conto per il periodo successivo a tali accordi. Basta constatare al riguardo che, sebbene lo status degli accordi di autolimitazione sia stato oggetto di una controversia tra le ricorrenti giapponesi e la Commissione nell’ambito del pendente procedimento, è pacifico che tali accordi non erano più in vigore, sia sul piano nazionale che su quello internazionale, a partire dal 1º gennaio 1991. È giocoforza constatare che a partire dal momento in cui gli accordi di autolimitazione non erano più in vigore, essi non dovevano più pregiudicare il comportamento commerciale dei produttori giapponesi e non possono quindi essere invocati come circostanza attenuante nel presente contesto.

556
Al riguardo, poiché gli accordi di autolimitazione non sono stati considerati una circostanza aggravante nella decisione impugnata, non vi può essere un difetto di motivazione per quanto riguarda tale qualifica.

557
Infine, quanto all’argomento JFE-Kawasaki relativo alla presa in considerazione dell’infrazione rilevata all’art. 2 della decisione impugnata, emerge dal punto 164 della decisione impugnata e dalla mancanza di riferimenti ai contratti di fornitura costitutivi di tale seconda infrazione ai suoi punti 159‑163 e 165‑175 che la Commissione ha deciso di non tener conto della medesima ai fini della fissazione dell’importo delle ammende. Tale circostanza è sufficiente per privare tale argomento della JFE-Kawasaki di qualsiasi rilevanza nell’ambito del presente motivo.

558
Da quanto precede risulta che il presente motivo deve essere integralmente respinto

6. Sul sesto motivo, vertente sulla violazione del principio della parità di trattamento

a)     Argomenti delle parti

559
Secondo la Nippon, la JFE-Kawasaki e la Sumitomo, l’importo dell’ammenda inflitta ai produttori giapponesi, in quanto essi hanno asseritamente accettato di astenersi dal vendere i prodotti di cui all’art. 1 della decisione impugnata in Europa, sarebbe sproporzionato rispetto agli importi delle ammende inflitte ai produttori europei. Infatti, questi ultimi avrebbero commesso due infrazioni aventi ad oggetto la compartimentazione del mercato comune, mentre un tale aspetto intracomunitario sarebbe assente nell’infrazione asseritamente commessa dai produttori giapponesi. La Commissione avrebbe quindi violato il principio di non discriminazione, il quale vieta segnatamente che situazioni diverse siano trattate nello stesso modo, in mancanza di una giustificazione obiettiva (v. sentenza della Corte 13 febbraio 1996, causa C‑342/93, Gillespie e a., Racc. pag. I‑475, punto 16, e orientamenti per il calcolo delle ammende). La Sumitomo rileva che non è giustificato trarre conseguenze dalla circostanza che l’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata si inserisce asseritamente nell’ambito di quella di cui all’art. 1 della stessa, dato che la Commissione non sostiene che l’accordo tra i produttori europei e giapponesi esigeva che i produttori europei commettessero tale infrazione supplementare. Da ciò conseguirebbe, inoltre, che le ricorrenti giapponesi avevano un interesse giuridico a contestare la tesi esposta dalla Commissione al punto 164 della decisione impugnata, secondo cui nessuna ammenda supplementare doveva essere inflitta ai produttori europei.

560
La JFE-Kawasaki ribadisce, a tale proposito, il proprio argomento, secondo il quale i rapporti tra i produttori europei e giapponesi ed i rapporti reciproci tra i produttori europei dovevano essere considerati come due infrazioni distinte. La Sumitomo sostiene che, in ogni caso, se un’infrazione che ha come oggetto la ripartizione dei mercati comunitari tra i produttori europei, essa può essere qualificata come molto grave, per il fatto che può compartimentare i mercati degli Stati membri, lo stesso non può dirsi riguardo all’impegno, da parte di produttori di un paese terzo, a non vendere i propri prodotti sul mercato comunitario.

561
Secondo la Sumitomo, la Commissione ha violato, inoltre, il principio di non discriminazione, in quanto non ha tenuto conto della maggiore durata dell’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata ai fini della fissazione delle ammende inflitte ai produttori europei. La Sumitomo ricorda, inoltre, che l’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata non riguarda gli stessi prodotti di quelli indicati all’art. 1, in quanto la seconda infrazione riguarda solo i tubi in acciaio lisci.

562
La Nippon sostiene, inoltre, che gli accordi di autolimitazione non avrebbero dovuto essere presi in considerazione ai fini del calcolo dell’ammenda inflitta ai produttori europei, poiché essi non avevano alcuna incidenza su tale aspetto intracomunitario delle infrazioni. Inoltre, l’ammenda inflitta a causa dell’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata ingloberebbe, secondo la JFE-Kawasaki, quella che avrebbe dovuto essere inflitta per l’infrazione di cui all’art. 2, alla quale i produttori giapponesi sarebbero totalmente estranei. Alla luce di tutti questi argomenti, occorrerebbe ridurre l’ammenda imposta ai produttori giapponesi, per ristabilire l’equilibrio tra questi ultimi e i produttori europei.

563
Al riguardo, la JFE-NKK sostiene che, avendo deciso che ogni produttore era responsabile dell’attuazione dell’intesa presunta nel suo insieme, la Commissione ha applicato il principio della responsabilità collettiva ed ha violato, così facendo, il principio generale secondo il quale le sanzioni devono basarsi sulla responsabilità individuale.

564
Secondo la Commissione, le ricorrenti giapponesi non hanno subito un trattamento discriminatorio, dato che la stessa ammenda è stata imposta, in base alla gravità, ad ognuno dei produttori europei e giapponesi che hanno partecipato all’infrazione di cui all’art. 1 della decisione impugnata.

565
Le ricorrenti giapponesi non avrebbero alcun interesse giuridico a contestare la conclusione che figura al punto 164 della decisione impugnata, poiché la scelta della Commissione di non infliggere alcuna ammenda supplementare per tener conto della seconda infrazione non li pregiudicherebbe. La circostanza che l’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata abbia avuto una durata maggiore dell’infrazione principale, che la prima contribuiva ad attuare, e che la stessa riguardasse il mercato dei tubi lisci, sarebbe irrilevante riguardo al livello delle ammende inflitte ai sensi dell’art. 1 della detta decisione.

b)     Giudizio del Tribunale

566
Per quanto riguarda l’argomento relativo al fatto che l’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata è composto in realtà da due infrazioni, vale a dire, un’infrazione intracomunitaria e un’infrazione intercontinentale, basta ricordare che, per le ragioni esposte sopra ai punti 370‑374, questa infrazione costituisce un’infrazione unica. Così, il fatto di considerare che tutte le parti vi abbiano partecipato nella stessa misura non viola per nulla, a tal riguardo, il principio generale di parità di trattamento, né peraltro il principio di proporzionalità.

567
Quanto alla censura relativa all’inesistenza dell’infrazione constatata all’art. 2 della decisione impugnata in capo ai produttori europei è stato constatato, supra al punto 557, che la Commissione non ha tenuto conto della medesima ai fini del calcolo dell’importo delle ammende nella decisione impugnata.

568
È stato tuttavia affermato supra al punto 451 che, contrariamente a quanto afferma la Commissione, le ricorrenti giapponesi hanno un interesse giuridico a mettere in questione la valutazione della Commissione, esposta al punto 164 della decisione impugnata, quanto al rapporto esistente tra le due infrazioni constatate nella medesima.

569
Occorre ricordare che la Commissione stessa ha considerato al punto 111 della decisione impugnata che, dopo aver esaminato le loro caratteristiche specifiche, i contratti di fornitura costituivano essi stessi un’infrazione all’art. 81, n. 1, CE e che i loro oggetti ed effetti restrittivi della concorrenza andavano oltre il loro semplice contributo alla perennità dell’accordo Europa-Giappone (v. supra, punti 362‑364). In particolare, la Commissione ha ritenuto che questa infrazione avesse prodotto effetti non solo sul mercato a valle dei tubi OCTG standard, ma anche, in modo più evidente e diretto, sul mercato a monte dei tubi lisci.

570
È giocoforza constatare che la Commissione doveva trarre le conseguenze da tali constatazioni di fatto e qualificazioni giuridiche ai fini della fissazione dell’importo delle ammende e che essa non l’ha fatto.

571
Infatti, come affermato supra al punto 364, la prima frase del punto 164 della decisione impugnata è viziata da errori di valutazione in quanto la Commissione ha ritenuto che i contratti costituenti la seconda infrazione fossero solo un «mezzo di attuazione» della prima infrazione. Di conseguenza, la seconda frase del punto 164, con cui la Commissione indica la sua intenzione di non imporre un’ammenda supplementare a titolo della seconda infrazione è priva di una base logica.

572
La Commissione dispone di un certo margine di valutazione nella fissazione dell’importo delle ammende e, sebbene i suoi orientamenti per il calcolo delle ammende non la obblighino, nel calcolo delle ammende, a tener conto sistematicamente di una data circostanza (v. supra, punti 537 e 553, nonché giurisprudenza cit.), essa può determinare quali fattori occorra prendere in considerazione a tal fine, circostanza che le consente di adattare la sua valutazione in concreto. La sua valutazione deve tuttavia essere effettuata nel rispetto del diritto comunitario, il quale include non solo le disposizioni del Trattato, ma anche i principi generali del diritto (v., per analogia, sentenza della Corte 25 luglio 2002, causa C‑50/00 P, Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio, Racc. pag. I‑6677, punto 38).

573
Omettendo così di prendere in considerazione l’infrazione constatata all’art. 2 della decisione impugnata per stabilire l’importo dell’ammenda inflitta ai produttori europei, la Commissione ha trattato allo stesso modo situazioni diverse senza tuttavia avvalersi di motivi obiettivi idonei a giustificare questa attitudine. Ne consegue che essa ha violato il principio generale di diritto comunitario della parità di trattamento (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑311/94, BPB Eendracht/Commissione, Racc. pag. II‑1129, punto 309, e giurisprudenza cit.).

574
Va pertanto accolto il presente motivo vertente su una violazione del principio della parità di trattamento. Di conseguenza, il Tribunale è tenuto a fare uso della propria competenza anche di merito, che risulta dall’art. 229 CE e dall’art. 17, del regolamento n. 17, per modificare l’importo delle ammende inflitte dall’art. 4 della decisione impugnata.

575
A tal riguardo, la Commissione ha rilevato, in udienza, che l’eventuale sussistenza di una disparità di trattamento rilevata sopra dovrebbe portare logicamente all’aumento dell’importo delle ammende inflitte ai produttori europei, piuttosto che alla riduzione dell’importo delle ammende inflitte ai produttori giapponesi. Occorre rilevare, in tale contesto, che, contrariamente a quanto sostenuto dalla JFE-Kawasaki nella fattispecie nell’ambito di un altro motivo (v. supra, punto 512), gli agenti della Commissione possono, salvo eventuali istruzioni contrarie esplicite da parte dei loro superiori gerarchici, legittimamente chiedere che il giudice comunitario eserciti la sua competenza anche di merito per aumentare l’importo di un’ammenda stabilito dai membri della Commissione. Infatti la semplice circostanza che un agente della Commissione chieda al giudice comunitario di esercitare una competenza di cui quest’ultimo dispone e deduca argomenti che potrebbero, all’occorrenza, giustificare tale atto non può significare che l’agente si sostituisce ai membri della Commissione.

576
Va considerato che, nelle circostanze del caso di specie, la soluzione maggiormente adeguata per ristabilire un giusto equilibrio tra le destinatarie della decisione impugnata sarebbe quella di maggiorare l’importo dell’ammenda imposta a ciascuno dei produttori europei che hanno presentato un ricorso per chiedere al Tribunale di riformare l’importo della propria ammenda e quindi di procedere alla rivalutazione dell’importo di questa, piuttosto che di ridurre l’importo delle ammende inflitte alle ricorrenti giapponesi. Infatti, la disparità di trattamento summenzionata non si riferisce alla sanzione proporzionalmente troppo severa imposta ai produttori giapponesi, in quanto il metodo di calcolo adottato dalla Commissione per stabilire l’importo delle loro ammende è stato giudicato perfettamente lecito in sé stesso (v. supra, punti 531‑558), ma, al contrario, al fatto che la gravità del comportamento infrazionale dei produttori europei, valutata nel suo insieme, è stata sottovalutata rispetto alla gravità del comportamento infrazionale dei produttori giapponesi.

577
Inoltre, ognuna delle ricorrenti nelle cause T‑44/00, T‑48/00 e T‑50/00, vale a dire la Mannesmann, la Corus e la Dalmine, ha chiesto, nel suo ricorso, che il Tribunale eserciti, nei suoi confronti, la sua competenza anche di merito per riformare l’importo dell’ammenda imposta. Bisogna riconoscere che quando l’esercizio di questa competenza è chiesto da un ricorrente, anche nel contesto di una domanda di riduzione dell’importo di un’ammenda, il Tribunale è di conseguenza legittimato a riformare l’atto censurato, anche in assenza di annullamento, tenendo conto di tutte le circostanze di fatto, al fine di modificare l’importo dell’ammenda inflitta (v., in tal senso, sentenza Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, cit. supra al punto 180, punto 692). Inoltre, la competenza anche di merito, attribuita al giudice comunitario dall’art. 17 del regolamento n. 17 conformemente all’art. 229 CE, include espressamente il potere di maggiorare, eventualmente, l’ammenda inflitta.

578
Tuttavia, la Commissione non ha chiesto, nei suoi controricorsi nelle cause T‑44/00, T‑48/00 e T‑50/00, che sono state riunite alle presenti cause ai fini dell’udienza (v. sentenze pronunciate oggi, Mannesmannröhren‑Werke/Commissione, punto 38; Corus/Commissione, punto 38, e Dalmine/Commissione, punti 38, 245‑247), e nemmeno tardivamente durante la stessa, anche se essa ha indicato tale eventualità, che il Tribunale aumenti l’importo delle ammende inflitte alle ricorrenti in tali cause. A tal riguardo, il Tribunale non ha invitato tali ricorrenti a effettuare osservazioni a tal proposito. Di conseguenza, le ricorrenti nelle tre cause summenzionate non hanno avuto l’occasione di prendere posizione sull’opportunità di un aumento delle loro ammende, né sui fattori che possono eventualmente influire sull’importo delle stesse. Ciò premesso, le ammende inflitte alle ricorrenti nelle tre cause summenzionate non sono state aumentate (v. dispositivo delle sentenze Mannesmannröhren-Werke/Commissione, Corus/Commissione e Dalmine/Commissione, cit.).

579
Da quanto precede risulta che il mezzo più adatto per rimediare alla disparità di trattamento rilevata nella fattispecie è quello di ridurre, ai fini della fissazione dell’ammenda inflitta ad ognuna delle ricorrenti giapponesi, l’importo applicato dalla Commissione a titolo della gravità dell’infrazione al punto 163 della decisione impugnata. Nell’esercizio della sua competenza anche di merito il Tribunale ritiene, tenuto conto di tutte le circostanze della fattispecie, che occorre ridurre il detto importo da EUR 10 milioni a EUR 9 milioni per ognuna delle ricorrenti giapponesi.

580
Tale nuovo importo è preso in considerazione ai punti 588 e 590 infra per stabilire l’importo delle ammende inflitte alle ricorrenti giapponesi.

581
Infine, quanto all’argomento della Nippon relativo al fatto che gli accordi di autolimitazione non avrebbero dovuto essere presi in considerazione ai fini del calcolo dell’ammenda inflitta ai produttori europei, poiché essi non avevano alcuna incidenza sull’aspetto intracomunitario delle infrazioni, occorre innanzi tutto rilevare che è già stato giudicato che, nella fattispecie, la Commissione non doveva trattare l’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata come due infrazioni autonome, la prima relativa ai rapporti tra i produttori europei e giapponesi e la seconda ai rapporti intracomunitari (v. infra, punto 584).

582
Occorre poi rilevare che la scelta effettuata dalla Commissione di non constatare l’esistenza di un’infrazione prima del 1990 a causa dell’esistenza di accordi di autolimitazione costituisce necessariamente una concessione, effettuata dalla Commissione sia ai produttori giapponesi sia ai produttori europei per ragioni vertenti sulla politica commerciale seguita nel settore siderurgico. Infatti, secondo il parere della Commissione relativo all’importazione di prodotti giapponesi nella Comunità, l’esistenza di accordi di autolimitazione non avrebbe dovuto essere di alcun aiuto per i produttori giapponesi nell’ambito dell’applicazione del diritto della concorrenza.

583
Al riguardo, dal punto 27 della decisione impugnata emerge che gli accordi di autolimitazione sono stati conclusi a partire dagli anni 70 «tra le misure commerciali anticrisi» adottate dalla Commissione per far fronte alla difficile situazione dell’industria siderurgica comunitaria. Le ricorrenti giapponesi non hanno contestato tale affermazione nel presente procedimento e occorre ricordare, al riguardo, che la Commissione ha accordato una riduzione dell’importo delle ammende inflitte a tutte le destinatarie della decisione impugnata a titolo di circostanze attenuanti per tener conto del fatto «che il settore dei tubi di acciaio ha versato in una situazione protratta di crisi inutile» (punto 168 della decisione impugnata).

584
Tenuto conto di ciò, si deve considerare che le ragioni di politica commerciale, sottostanti alla concessione indicata al punto 108 della decisione impugnata per il periodo corrispondente all’esistenza degli accordi di autolimitazione, non si riferiscono solo ai rapporti tra le autorità comunitarie e giapponesi, ma anche all’esistenza della crisi che pregiudica sia i produttori di tubi d’acciaio giapponesi, sia i loro omologhi comunitari per lo stesso periodo.

585
Peraltro, al punto 27 della decisione impugnata e dinanzi al Tribunale, la Commissione ha rilevato, senza essere contraddetta al riguardo dalle ricorrenti giapponesi, che gli accordi di autolimitazione erano semplicemente accordi di quote e, più che vietare, limitavano la messa in commercio di tubi di acciaio di origine giapponese nella Comunità europea. La diversa situazione invocata dalla Nippon è quindi relativa e non assoluta. Tali accordi non bastano dunque a spiegare la passività delle ricorrenti giapponesi sui mercati comunitari.

586
Ciò premesso, il Tribunale considera che la disparità di trattamento allegata dalla Nippon non esiste.

587
Inoltre, tenuto conto del contesto esposto supra ai punti 583‑585, segnatamente della natura politica della concessione effettuata dalla Commissione, la cui legittimità è pacifica, il giudice comunitario non sarebbe tenuto in ogni caso a modificare l’importo delle ammende inflitte alle ricorrenti giapponesi, poiché dalla decisione impugnata emerge che, per la Commissione, la detta concessione era giustificata sul piano politico.

7. Calcolo dell’importo delle ammende

588
Da quanto precede risulta che l’ammontare dell’ammenda imposta a ciascuna ricorrente giapponese deve essere diminuito per tener conto, in primo luogo, della riduzione dell’importo a titolo della gravità da EUR 10 milioni a EUR 9 milioni e, in secondo luogo, del fatto che la durata dell’infrazione sanzionata è fissata, nelle presenti cause, a tre anni e mezzo e non a cinque anni.

589
Poiché il metodo di calcolo dell’importo delle ammende previsto dagli orientamenti per il calcolo delle ammende e impiegato dalla Commissione nel caso di specie non è stato censurato di per sé, il Tribunale, nell’esercizio della sua competenza anche di merito, è tenuto ad applicare tale metodo alla luce della considerazione effettuata al punto precedente.

590
Così, l’importo di base per ogni produttore giapponese è fissato a EUR 9 milioni, aumentato del 10% per ogni anno di durata, vale a dire del 35% in totale, per una cifra complessiva di EUR 12,15 milioni. Tale importo deve poi essere diminuito del 10% a titolo delle circostanze attenuati ai sensi dei punti 168 e 169 della decisione impugnata, fino a giungere ad un importo definitivo per ciascuna ricorrente giapponese di EUR 10,935 milioni al posto di EUR 13,5 milioni.


Sulle spese

591
Ai sensi dell’art. 87, n. 3, del regolamento di procedura, il Tribunale può ripartire le spese o decidere che ciascuna parte sopporti le proprie spese se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi di conclusioni. Poiché ciascuna delle parti è effettivamente risultata soccombente su uno o più capi nella fattispecie, occorre statuire che ciascuna delle ricorrenti giapponesi e la Commissione sopporteranno le proprie spese.

592
Ai sensi dell’art. 87, n. 4, secondo comma, del regolamento di procedura, l’Autorità di vigilanza AELS sopporta le proprie spese di intervento nella controversia.


Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

dichiara e statuisce:

1)
L’art. 1, n. 2, della decisione della Commissione 8 dicembre 1999, 2003/382/CE, relativa ad un procedimento d’applicazione dell’art. 81 CE (Caso IV/E‑1/35.860‑B‑Tubi d’acciaio senza saldatura), è annullato nella parte in cui constata l’esistenza dell’infrazione contestata da tale articolo alle quattro ricorrenti nelle cause T‑67/00, T‑68/00, T‑71/00 e T‑‑78/00 anteriormente al 1º gennaio 1991 e posteriormente al 30 giugno 1994.

2)
L’importo dell’ammenda inflitta ad ognuna delle quattro ricorrenti dall’art. 4 della decisione 2003/382 è fissato a EUR 10 935 000.

3)
I quattro ricorsi sono respinti per il resto.

4)
Le quattro ricorrenti e la Commissione sopporteranno le proprie spese.

5)
L’Autorità di vigilanza AELS sopporterà le proprie spese.

Forwood

Pirrung

Meij

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo l'8 luglio 2004.

Il cancelliere

Le président

H. Jung

J. Pirrung

Indice

Fatti e procedimento

    A –  Procedimento amministrativo

    B –  Prodotti in questione

    C –  Infrazioni constatate dalla Commissione nella decisione impugnata

    D –  Fatti salienti constatati dalla Commissione nella decisione impugnata

    E –  Dispositivo della decisione impugnata

    F –  Procedimento dinanzi al Tribunale

Conclusioni delle parti

Sull’incidenza della concentrazione tra la Kawasaki Steel Corp. e la NKK Corp.

In diritto

    A –  Sulle domande di annullamento della decisione impugnata, in particolare dell’art. 1 della stessa

        1.  Sul primo motivo, vertente sul difetto di dimostrazione da parte della Commissione dell’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata

            a)  Argomenti delle parti

                    –  Osservazioni preliminari

                Sulla prima parte, vertente sulla pretesa incompatibilità dell’accordo allegato con la situazione esistente sul mercato offshore britannico e sugli altri mercati europei

                Sulla seconda parte del primo motivo, vertente sulla mancanza di forza probatoria degli elementi di prova

                Sulla terza parte del primo motivo, vertente sull’erroneità della valutazione della portata dell’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata

            b)  Giudizio del Tribunale

                Osservazioni preliminari

                Sulla seconda parte del motivo, vertente sulla mancanza di forza probatoria degli elementi di prova e, in subordine, sulla prima parte, vertente sulla pretesa incompatibilità dell’accordo allegato con la situazione esistente sul mercato offshore britannico e sugli altri mercati

                    –  Dichiarazioni del sig. Verluca

                    –  Note della Vallourec

                    –  Documenti in inglese del 1993

                    –  Documento Sistema per i tubi di acciaio

                    –  Documento «Sharing key» (documento relativo alla chiave di ripartizione)

                    –  Risposte dei produttori europei

                    –  Deposizione del sig. Biasizzo

                    –  Durata dell’infrazione

                Sulla terza parte, vertente sull’erroneità della tesi della Commissione sul significato dell’infrazione constatata all’art. 2 della decisione impugnata

        2.  Sul secondo motivo, vertente sulla circostanza che l’infrazione constatata all’art. 1 doveva, in realtà, essere analizzata come costituente due infrazioni autonome

            a)  Argomenti delle parti

            b)  Giudizio del Tribunale

        3.  Sul terzo motivo, vertente sul fatto che non si doveva ritenere che l’accordo avesse avuto un’incidenza considerevole sulla concorrenza

            a)  Argomenti delle parti

            b)  Giudizio del Tribunale

        4.  Sul quarto motivo, vertente sul fatto che l’accordo non avrebbe avuto alcuna incidenza sul commercio tra Stati membri.

            a)  Argomenti delle parti

            b)  Giudizio del Tribunale

        5.  Sul quinto motivo, vertente su un difetto di motivazione per quanto concerne la tesi della Commissione riguardo alla rilevanza dell’infrazione di cui all’art. 2 della decisione impugnata

            a)  Argomenti delle parti

            b)  Giudizio del Tribunale

        6.  Sul sesto motivo, vertente su un difetto di motivazione per quanto riguarda lo status dei mercati offshore della Comunità e, in particolare, quello del Regno Unito

            a)  Argomenti delle parti

            b)  Giudizio del Tribunale

        7.  Sul settimo e sull’ottavo motivo, vertenti su un difetto di motivazione per quanto riguarda la decisione della Commissione di sanzionare i produttori giapponesi e non i produttori dell’America latina, e su una disparità di trattamento al riguardo

            a)  Argomenti delle parti

            b)  Giudizio del Tribunale

        8.  Sul nono motivo, vertente su un errore per quanto riguarda l’argomento della Commissione relativo alle vendite ad un prezzo superiore al costo variabile

            a)  Argomenti delle parti

            b)  Giudizio del Tribunale

        9.  Sul decimo motivo, vertente su una pretesa violazione dei diritti della difesa, risultante da discordanze tra la CdA e la decisione impugnata riguardo al mercato geografico di cui all’art. 1 di quest’ultima

            a)  Argomenti delle parti

            b)  Giudizio del Tribunale

        10.  Sull’undicesimo motivo, vertente su una pretesa violazione dei diritti della difesa, risultante da discordanze tra la CdA e la decisione impugnata riguardo ai prodotti interessati

            a)  Argomenti delle parti

            b)  Giudizio del Tribunale

        11.  Sul dodicesimo motivo, vertente su una pretesa violazione dei diritti della difesa risultante dalla mancanza di un’analisi sufficiente degli effetti degli accordi di autolimitzione nella CdA nonché dalle discordanze tra la CdA e la decisione impugnata riguardo alla portata di tali accordi

            a)  Argomenti delle parti

            b)  Giudizio del Tribunale

        12.  Sul tredicesimo motivo, vertente sulla pretesa violazione dei diritti della difesa risultante da discordanze tra la CdA e la decisione impugnata quanto alla portata attribuita all’infrazione constatata all’art. 2 della medesima

            a)  Argomenti delle parti

            b)  Giudizio del Tribunale

        13.  Sul quattordicesimo motivo, vertente sull’illegittimità della decisione della Commissione 25 novembre 1994 di autorizzare le indagini del 1° e 2 dicembre 1994

            a)  Argomenti delle parti

            b)  Giudizio del Tribunale

    B –  Sulle richieste di riduzione dell’importo delle ammende

        1.  Sui primi due motivi, vertenti su un difetto di motivazione quanto alla mancata applicazione in favore della JFE-NKK della comunicazione sulla cooperazione e su un errore al riguardo

            a)  Argomenti delle parti

            b)  Giudizio del Tribunale

        2.  Sul terzo motivo, vertente su un difetto di motivazione quanto al modo in cui viene calcolato l’importo delle ammende

            a)  Argomenti delle parti

            b)  Giudizio del Tribunale

        3.  Sul quarto motivo, vertente su un’erronea valutazione della durata dell’infrazione

            a)  Argomenti delle parti

            b)  Giudizio del Tribunale

        4.  Sul quinto motivo, vertente su una valutazione erronea dei documenti che sostengono la dimostrazione dell’esistenza dell’infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata

            a)  Argomenti delle parti

            b)  Giudizio del Tribunale

        5.  Sul quinto e sesto motivo, vertenti sulla violazione del principio di proporzionalità e degli orientamenti per il calcolo delle ammende e su un difetto di motivazione

            a)  Argomenti delle parti

            b)  Giudizio del Tribunale

        6.  Sul sesto motivo, vertente sulla violazione del principio della parità di trattamento

            a)  Argomenti delle parti

            b)  Giudizio del Tribunale

        7.  Calcolo dell’importo delle ammende

Sulle spese



1
Lingua processuale: l'inglese.