Language of document : ECLI:EU:T:2020:465

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quarta Sezione ampliata)

5 ottobre 2020 (*)

«Funzione pubblica – Funzionari – Funzionario cittadino del Regno Unito al momento della sua entrata in servizio – Recesso del Regno Unito dall’Unione – Acquisizione della cittadinanza del paese della sede di servizio nel corso della carriera – Perdita dell’indennità di dislocazione – Parità di trattamento – Principio di non discriminazione – Articolo 4, paragrafo 1, dell’allegato VII dello Statuto»

Nella causa T‑18/19,

Colin Brown, residente a Bruxelles (Belgio), rappresentato da I. Van Damme, avocate,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata da T. Bohr e D. Milanowska, in qualità di agenti,

convenuta,

sostenuta da

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da M. Bauer e R. Meyer, in qualità di agenti,

interveniente,

avente ad oggetto una domanda fondata sull’articolo 270 TFUE e diretta, da un lato, all’annullamento della decisione dell’Ufficio di gestione e liquidazione dei diritti individuali (PMO) della Commissione del 19 marzo 2018, con cui sono revocati al ricorrente i benefici dell’indennità di dislocazione e del rimborso delle spese di viaggio e, dall’altro, al ripristino di tali prestazioni a decorrere dal 1º dicembre 2017,

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione ampliata),

composto da S. Papasavvas, presidente, S. Gervasoni, P. Nihoul, R. Frendo (relatrice) e J. Martín y Pérez de Nanclares, giudici,

cancelliere: L. Ramette, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 27 febbraio 2020,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

I.      Fatti

1        Il ricorrente, il sig. Colin Brown, era originariamente soltanto cittadino del Regno Unito e vi ha vissuto fino al 1996. Egli ha studiato in Italia nel 1996 e nel 1997, poi in Belgio, dal settembre 1997 al giugno 1998. Il ricorrente ha poi effettuato un tirocinio presso la Commissione europea a Bruxelles (Belgio) dal 1º ottobre 1998 al 28 febbraio 1999. Infine, ha lavorato a tempo pieno nel settore privato in Belgio dal 1º marzo 1999 al 31 dicembre 2000.

2        Il ricorrente è entrato in servizio presso la Commissione il 1° gennaio 2001. L’Ufficio «Gestione e liquidazione dei diritti individuali» (PMO) della Commissione gli ha concesso l’indennità di dislocazione in forza dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), dell’allegato VII dello Statuto dei funzionari dell’Unione europea (in prosieguo: lo «Statuto»).

3        Il 23 giugno 2016 i cittadini del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord si sono pronunciati mediante un referendum a favore del recesso del loro Stato dall’Unione europea. Dopo l’adozione, il 13 marzo 2017, dell’European Union (Notification of Withdrawal) Act 2017 [legge del 2017 sull’Unione europea (notifica di recesso)] da parte del Parlamento del Regno Unito, il 29 marzo 2017 il primo ministro del Regno Unito ha notificato al Consiglio europeo l’intenzione di suddetto Stato membro di recedere dall’Unione e dalla Comunità europea dell’energia atomica (Euratom) in applicazione dell’articolo 50, paragrafo 2, TUE.

4        Il 27 giugno 2017 il ricorrente ha chiesto di acquistare la cittadinanza belga, che ha ottenuto il 3 novembre successivo. Egli ha notificato tale cambiamento di situazione al PMO il 19 gennaio 2018.

5        Il 23 febbraio 2018 il ricorrente è stato informato, da un lato, che il beneficio dell’indennità di dislocazione gli era revocato a decorrere dal 31 ottobre 2017, poiché aveva ottenuto la cittadinanza belga, e, dall’altro, che perdeva di conseguenza il beneficio del rimborso delle spese di viaggio in applicazione dell’articolo 8 dell’allegato VII dello Statuto.

6        A seguito di una richiesta di chiarimenti, il ricorrente ha ricevuto un messaggio di posta elettronica il 5 marzo 2018 da cui risultava che la revoca dell’indennità di dislocazione era giustificata, in forza dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), dell’allegato VII dello Statuto, dal fatto che risiedesse in Belgio dal 1997.

7        Il 19 marzo 2018 il PMO ha sostituito la decisione del 23 febbraio 2018 con una nuova decisione che fissava al 1º dicembre 2017 la data in cui erano revocati al ricorrente i benefici dell’indennità di dislocazione e del rimborso delle spese di viaggio (in prosieguo: la «decisione impugnata»).

8        Il 17 giugno 2018 il ricorrente ha presentato un reclamo, che è stato respinto con decisione dell’autorità che ha il potere di nomina (in prosieguo: l’«APN») del 15 ottobre 2018.

II.    Procedimento e conclusioni delle parti

9        Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale l’11 gennaio 2019, il ricorrente ha proposto il presente ricorso.

10      La Commissione ha depositato il controricorso il 20 marzo 2019.

11      A seguito della modifica della composizione delle sezioni del Tribunale, il presidente del Tribunale, con decisione del 25 marzo 2019 e in applicazione dell’articolo 27, paragrafo 3, del regolamento di procedura del Tribunale, ha riattribuito la causa a una nuova giudice relatrice, assegnata alla Quinta Sezione.

12      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 12 aprile 2019, il Consiglio dell’Unione europea ha chiesto di intervenire nel presente procedimento a sostegno delle conclusioni della Commissione.

13      Il 9 maggio 2019 il ricorrente ha depositato la replica.

14      Con decisione del 13 maggio 2019 il presidente della Quinta Sezione del Tribunale ha ammesso l’intervento del Consiglio.

15      Il 18 giugno 2019, la Commissione ha depositato la controreplica.

16      L’interveniente ha depositato la sua memoria il 25 giugno 2019 e il ricorrente ha depositato le sue osservazioni su quest’ultima nei termini impartiti.

17      Poiché è stata modificata la composizione delle sezioni del Tribunale, ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 5, del regolamento di procedura, la giudice relatrice è stata assegnata alla Quarta Sezione, alla quale, di conseguenza, è stata attribuita la presente causa.

18      Su proposta della Quarta Sezione, il Tribunale ha deciso di rimettere la causa dinanzi a un collegio giudicante ampliato, in applicazione dell’articolo 28 del regolamento di procedura. Il vicepresidente del Tribunale è stato chiamato a far parte della Quarta Sezione ampliata, in forza della decisione della conferenza plenaria del Tribunale del 4 ottobre 2019 sulla costituzione delle sezioni e assegnazione dei giudici alle sezioni (GU 2019, C 372, pag. 3) e a svolgere le funzioni di presidente di sezione, conformemente all’articolo 11, paragrafo 4, del regolamento di procedura.

19      Su proposta della giudice relatrice, il Tribunale (Quarta Sezione ampliata) ha deciso, in primo luogo, di avviare la fase orale del procedimento, in secondo luogo, di porre alle parti quesiti scritti, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste dall’articolo 89 del regolamento di procedura, invitandole a rispondervi in udienza e, in terzo luogo, di chiedere informazioni al Parlamento europeo, alla Corte di giustizia dell’Unione europea e alla Corte dei conti europea, conformemente all’articolo 24 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea. Tale richiesta di informazioni mirava ad accertare come queste tre istituzioni interpretino l’articolo 4, paragrafo 1, dell’allegato VII dello Statuto e come lo applichino nel caso in cui un funzionario o un agente, già in possesso della cittadinanza di uno Stato membro, acquisisca, nel corso della carriera, la cittadinanza dello Stato nel cui territorio è situata la sua sede di servizio.

20      Le parti hanno esposto le loro difese orali e hanno risposto ai quesiti scritti e orali del Tribunale all’udienza del 27 febbraio 2020. Nel corso dell’udienza, la Commissione e il Consiglio sono stati invitati a comunicare al Tribunale il numero di funzionari che beneficiano dell’indennità di dislocazione che hanno acquisito la cittadinanza del paese della loro sede di servizio e il numero di coloro che, tra di essi, hanno perso tale indennità.

21      Nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste all’articolo 89 del regolamento di procedura, il Tribunale, il 9 marzo 2020, ha invitato la Commissione a depositare una nota informativa del Consiglio dell’11 dicembre 1959, da essa letta in udienza.

22      La Commissione e il Consiglio hanno comunicato nel termine impartito le loro risposte alle domande del Tribunale formulate in udienza e mediante misura di organizzazione del procedimento.

23      Il 4 maggio 2020 il ricorrente ha depositato le sue osservazioni sui dati e sul documento trasmessi dopo l’udienza dalla Commissione e dal Consiglio. Nelle sue osservazioni, il ricorrente deplorava il carattere incompleto, a suo avviso, di detti dati, senza tuttavia chiedere che fossero integrati.

24      Il 14 maggio 2020 è stata chiusa la fase orale del procedimento e la causa è passata in decisione.

25      Il ricorrente conclude che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        disporre il ripristino dell’indennità di dislocazione e del rimborso delle spese di viaggio a decorrere dal 1º dicembre 2017;

–        ordinare il pagamento delle indennità e delle spese non versate tra il 1º dicembre 2017 e la data in cui il suo diritto a dette prestazioni sarà ripristinato, maggiorato degli interessi;

–        disapplicare, qualora il Tribunale accolga l’eccezione di illegittimità sollevata nel ricorso, l’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), dell’allegato VII dello Statuto, finché le istituzioni non lo sostituiranno con disposizioni non discriminatorie;

–        condannare la Commissione alle spese.

26      La Commissione conclude che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare il ricorrente alle spese.

27      L’interveniente chiede che il Tribunale voglia respingere il ricorso.

III. In diritto

A.      Sul primo capo delle conclusioni

28      A sostegno del primo capo delle conclusioni diretto all’annullamento della decisione impugnata, il ricorrente deduce quattro motivi, vertenti:

–        sulla violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), dell’allegato VII dello Statuto;

–        sulla violazione del principio di uguaglianza e di non discriminazione, poiché la decisione impugnata subordina il suo diritto all’indennità di dislocazione alle condizioni previste dall’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), dell’allegato VII dello Statuto;

–        sulla violazione del principio di uguaglianza e di non discriminazione, poiché la decisione impugnata ha interpretato l’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), dell’allegato VII dello Statuto in violazione di tale principio;

–        sull’eccezione di illegittimità diretta contro l’articolo 4, paragrafo 1, dell’allegato VII dello Statuto.

29      Con il suo primo motivo, che può essere suddiviso in due parti, il ricorrente contesta il riesame, da parte della Commissione, del suo diritto all’indennità di dislocazione. Nella prima parte di tale motivo, egli sostiene che l’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), dell’allegato VII dello Statuto non consente di riesaminare tale diritto in caso di acquisto di una nuova cittadinanza. Nella seconda parte, lo stesso sostiene che la Commissione avrebbe quantomeno dovuto tener conto dello stato di costrizione in cui versava a causa dell’eventuale recesso del Regno Unito dall’Unione. Il primo motivo risulta quindi fondato non solo su una violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), dell’allegato VII dello Statuto, come indicato dal ricorrente, ma anche sull’esistenza di tale stato di costrizione.

30      Nel suo secondo motivo, che parimenti può suddividersi in due parti, il ricorrente fa valere che il principio di uguaglianza e di non discriminazione impediva il riesame del suo diritto a un’indennità di dislocazione alla luce delle condizioni previste all’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), dell’allegato VII dello Statuto. Nella prima parte, egli afferma di essere stato trattato come se avesse avuto la cittadinanza belga nel corso dei dieci anni precedenti la sua entrata in servizio, mentre durante tale periodo era cittadino del Regno Unito. Nella seconda parte, lo stesso afferma che, nelle circostanze di causa, l’applicazione di tale disposizione ha inciso maggiormente sui funzionari cittadini del Regno Unito rispetto a tutti gli altri.

31      Con il suo terzo motivo, il ricorrente considera, in subordine, l’ipotesi in cui nulla osti a che la Commissione riesamini il suo diritto all’indennità di dislocazione sulla base dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), dell’allegato VII dello Statuto, sostenendo che, in ogni caso, il principio di uguaglianza e di non discriminazione avrebbe dovuto condurre a una diversa interpretazione di tale disposizione.

1.      Sul primo motivo, vertente sulla violazione dellarticolo 4, paragrafo 1, lettera a), dellallegato VII dello Statuto e sullesistenza di uno stato di costrizione

32      Come già esposto al precedente punto 29, nel primo motivo il ricorrente contesta che l’acquisizione della cittadinanza belga abbia potuto giustificare il riesame del suo diritto all’indennità di dislocazione.

a)      Sulla prima parte, vertente sulla violazione dellarticolo 4, paragrafo 1, lettera a), dellallegato VII dello Statuto

33      Il ricorrente sostiene che l’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), dell’allegato VII dello Statuto non consente di riesaminare il diritto di un funzionario all’indennità di dislocazione per il fatto che tale funzionario abbia acquisito, nel corso della carriera, la cittadinanza del paese in cui si trova la sua sede di servizio. Tenuto conto dell’obiettivo dell’indennità di dislocazione, consistente nel compensare gli oneri e gli svantaggi di un’entrata in servizio che comportano un cambiamento di residenza, un riesame della situazione in tale fase potrebbe aver luogo solo in caso di cambiamento del luogo della sede di servizio.

34      L’articolo 4, paragrafo 1, dell’allegato VII dello Statuto è così formulato:

«Un’indennità di dislocazione (…) è concessa:

a) al funzionario:

–        che non ha e non ha mai avuto la nazionalità dello Stato sul cui territorio è situata la sede di servizio e

–        che non ha, abitualmente, abitato o svolto la sua attività professionale principale sul territorio europeo di detto Stato durante il periodo di cinque anni che scade sei mesi prima della sua entrata in servizio. Per l’applicazione della presente disposizione non si tiene conto delle situazioni risultanti da servizi effettuati per un altro Stato o per un’organizzazione internazionale.

b) al funzionario che, avendo o avendo avuto la nazionalità dello Stato sul cui territorio è situata la sede di servizio, ha abitato [abitualmente], durante il periodo di dieci anni che scade al momento della sua entrata in servizio, fuori del territorio europeo di detto Stato per motivi diversi dall’esercizio di funzioni al servizio di uno Stato o di un’organizzazione internazionale».

35      Tali disposizioni, come tutte quelle del diritto dell’Unione che danno diritto a prestazioni finanziarie, devono essere interpretate restrittivamente (v. sentenza del 18 luglio 2017, Commissione/RN, T‑695/16 P, non pubblicata, EU:T:2017:520, punto 54 e giurisprudenza citata).

36      È giocoforza constatare, al riguardo, che l’articolo 4, paragrafo 1, dell’allegato VII dello Statuto non prevede espressamente la possibilità di riesaminare il diritto all’indennità di dislocazione in considerazione di un mutamento di circostanze avvenuto nel corso della carriera di un funzionario.

37      Tuttavia, dal momento che l’indennità di dislocazione è pagata mensilmente, l’amministrazione non può continuare a versarla qualora sopraggiunga un evento che modifica in modo sostanziale la situazione della persona che ne beneficia nei limiti in cui esso incide sulle condizioni alle quali è subordinata la concessione di tale indennità. In tal caso, e in assenza di disposizioni che vi ostino, l’amministrazione deve procedere al riesame di tale situazione (v., in tal senso, sentenza del 26 giugno 2013, Achab/CESE, F‑21/12, EU:F:2013:95, punto 26). Infatti, a differenza di una revoca retroattiva di una decisione, un’abrogazione per il futuro è sempre possibile qualora le circostanze che hanno giustificato tale decisione non siano più soddisfatte. Ciò avviene, in particolare, nel diritto della funzione pubblica, quando la continuazione del versamento di elementi della retribuzione risulti irregolare. Lo Statuto stesso, al suo articolo 85, lo conferma nella parte in cui ammette implicitamente la cessazione di pagamenti indebiti (v., in tal senso, sentenza del 9 marzo 1978, Herpels/Commissione, 54/77, EU:C:1978:45, punti da 38 a 40).

38      Inoltre, come già constatato dal Tribunale, dal tenore letterale dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), dell’allegato VII dello Statuto non risulta affatto che il beneficio dell’indennità di dislocazione costituisca un diritto quesito (v., in tal senso, sentenza del 28 settembre 1993, Magdalena Fernández/Commissione, T‑90/92, EU:T:1993:78, punto 32).

39      Del resto, il ricorrente non contesta il principio stesso di un riesame, ma si limita a sostenere che una rivalutazione del diritto all’indennità di dislocazione potrebbe intervenire solo in caso di cambiamento della sede di servizio del funzionario interessato e non in caso di acquisto di una nuova cittadinanza.

40      Al riguardo, il ricorrente sostiene, in primo luogo, che l’acquisto di una nuova cittadinanza nel corso della carriera non può giustificare una revisione del diritto all’indennità di dislocazione, in quanto l’espressione «che non ha e non ha mai avuto» la cittadinanza del paese della sede di servizio, di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), dell’allegato VII dello Statuto, si riferisce unicamente alla situazione del funzionario al momento della sua entrata in servizio, che corrisponde al momento in cui la decisione su tale indennità è adottata.

41      Tuttavia, la condizione secondo cui l’indennità di dislocazione è concessa al dipendente che «non ha (...) la cittadinanza» del paese della sede di servizio è formulata all’indicativo presente. Pertanto, tenuto conto del carattere ripetuto del versamento di tale indennità, tale formulazione non esclude che il funzionario interessato debba continuare per tutta la sua carriera a soddisfare la condizione dell’assenza di cittadinanza del paese della sede di servizio per conservarla ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), dell’allegato VII dello Statuto (v., in tal senso, sentenza del 26 giugno 2013, Achab/CESE, F‑21/12, EU:F:2013:95, punto 28).

42      Il ricorrente contesta la pertinenza di tale sentenza per il fatto che, contrariamente a lui, il sig. Achab, cittadino di un paese terzo, non aveva la cittadinanza di uno Stato membro al momento della sua assunzione e aveva beneficiato al riguardo di una deroga per poter essere assunto. Tuttavia, il fatto che il sig. Achab non avesse la cittadinanza di uno Stato membro è irrilevante rispetto all’articolo 4 dell’allegato VII dello Statuto, che è fondato sulla cittadinanza del paese della sede di servizio e non su quella del paese d’origine. Inoltre, è proprio l’acquisto di questa seconda cittadinanza nel corso della carriera che ha giustificato, tanto nel caso del sig. Achab quanto in quello del ricorrente, la cessazione del pagamento dell’indennità di dislocazione che era stata loro concessa ai sensi del paragrafo 1, lettera a), di tale articolo.

43      Peraltro, neppure la circostanza che l’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), dell’allegato VII dello Statuto subordini la concessione dell’indennità di dislocazione al fatto che il funzionario «non ha mai avuto la cittadinanza» del paese della sede di servizio osta all’interpretazione secondo cui l’acquisto di tale cittadinanza nel corso della carriera fa perdere il diritto a tale indennità ai sensi di questa disposizione.

44      Inoltre, l’articolo 4, paragrafo 1, dell’allegato VII dello Statuto trova la sua origine nell’articolo 4, paragrafo 1, dell’allegato VII del regolamento n. 31 (CEE), 11 (CEEA), dei rispettivi Consigli, del 18 dicembre 1961, che stabilisce lo Statuto dei funzionari della Comunità Economica Europea e della Comunità Europea dell’Energia Atomica (GU 1962, 45, pag. 1387), nella sua versione iniziale. Orbene, da una nota informativa del Consiglio dell’11 dicembre 1959 (v. precedente punto 21), risulta che, nel corso dei lavori preparatori che hanno portato all’adozione di tale disposizione, il legislatore ha esaminato diversi criteri di concessione dell’indennità di dislocazione, ma ha adottato quello della cittadinanza per il suo carattere «più preciso e semplice di applicazione» di altri, pur essendo consapevole che tale criterio «non elimina[va] tutte le difficoltà ([specialmente] in caso di (...) doppia cittadinanza)».

45      Da quanto precede deriva che il legislatore non ha inteso disciplinare tutte le fattispecie che possono presentarsi, ma ha scelto di privilegiare una formulazione che semplifichi, nella maggior parte dei casi, l’adozione delle decisioni relative al diritto a un’indennità di dislocazione. Conformemente alla giurisprudenza ricordata al precedente punto 35, solo una diversa formulazione dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), dell’allegato VII dello Statuto avrebbe potuto escludere qualsiasi riesame in corso di carriera del diritto a tale indennità in seguito all’acquisizione di una nuova cittadinanza.

46      Il ricorrente sostiene, in secondo luogo, che l’acquisizione della cittadinanza del paese della sede di servizio dopo l’entrata in servizio è solo un modo tra altri di instaurare legami con tale paese e di integrarvisi. Orbene, secondo la giurisprudenza, l’articolo 4, paragrafo 1, dell’allegato VII dello Statuto non consentirebbe all’APN di abolire l’indennità di dislocazione per il motivo che gli oneri e gli svantaggi derivanti dall’entrata in servizio sono sufficientemente compensati in un momento della carriera o che il funzionario è ormai sufficientemente integrato in tale paese.

47      A tal riguardo, occorre rilevare che dalla nota informativa del Consiglio dell’11 dicembre 1959 (v. precedente punto 21) risulta che l’indennità di dislocazione è stata concepita come un’indennità «attribuita a titolo di compensazione delle spese materiali e dei disagi di ordine morale derivanti dal fatto che l’agente è lontano dal suo luogo d’origine» e che «gli agenti mantengono generalmente rapporti familiari (...) nella loro regione d’origine». Orbene, come sostenuto tanto dal ricorrente quanto dalla Commissione, tali disagi e oneri possono perdurare per tutta la carriera e persino aggravarsi nel corso di quest’ultima, nonostante l’integrazione nel paese della sede di servizio.

48      È stato altresì dichiarato che l’obiettivo dell’indennità di dislocazione consisteva nel compensare gli oneri e gli svantaggi particolari risultanti dall’entrata in servizio presso l’Unione (sentenze del 13 luglio 2018, Quadri di Cardano/Commissione, T‑273/17, EU:T:2018:480, punto 44, e del 28 febbraio 2019, Pozza/Parlamento, T‑216/18, non pubblicata, EU:T:2019:118, punto 24) di funzionari che, per poter esercitare in modo permanente le loro funzioni e rispettare l’articolo 20 dello Statuto, sono obbligati a trasferire la loro residenza dallo Stato del loro domicilio allo Stato della sede di servizio (v., in tal senso, sentenza del 16 maggio 2007, F/Commissione, T‑324/04, EU:T:2007:140, punto 47).

49      Concepita in tal modo, e come osservato dal Consiglio, l’indennità di dislocazione consente un’assunzione su una base geografica quanto più ampia possibile tra i cittadini degli Stati membri dell’Unione, conformemente all’articolo 27, primo comma, dello Statuto, e ciò favorisce un equilibrio geografico all’interno della funzione pubblica europea, il quale è del resto richiesto dallo spirito dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 4 marzo 1964, Lasalle/Parlamento, 15/63, EU:C:1964:9, pag. 73).

50      In tale prospettiva, il legislatore ha soltanto previsto che l’integrazione di un funzionario nello Stato della sua sede di servizio ostava al pagamento dell’indennità di dislocazione quando essa risultava dal fatto di avervi, «abitualmente, abitato o svolto [una] attività professionale principale (...) durante il periodo di cinque anni che scade sei mesi prima della sua entrata in servizio». In altri termini, fornendo tali precisazioni, il legislatore ha escluso che un’integrazione derivante dal fatto che, durante la sua carriera, il funzionario interessato abbia stabilito la sua residenza abituale nel paese della sede di servizio e ivi lavori possa ostacolare tale pagamento.

51      Per contro, come esposto ai precedenti punti da 41 a 45, il legislatore non ha escluso, con la sua scelta della formulazione dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), dell’allegato VII dello Statuto, che la forma particolare di integrazione costituita dall’acquisto della cittadinanza del paese della sede di servizio successivamente all’entrata in servizio costituisca un cambiamento sostanziale della situazione che può condurre alla perdita dell’indennità di dislocazione. Operando tale scelta, il legislatore è rimasto nell’ambito dell’ampio potere discrezionale di cui disponeva per stabilire le condizioni di impiego dei funzionari dell’Unione (v., in tal senso, sentenze del 22 dicembre 2008, Centeno Mediavilla e a./Commissione, C‑443/07 P, EU:C:2008:767, punto 91, e del 4 marzo 2010, Angé Serrano e a./Parlamento, C‑496/08 P, EU:C:2010:116, punto 86), anche in materia di retribuzione (v., in tal senso, sentenza del 13 dicembre 2018, Carpenito/Consiglio, T‑543/16 e T‑544/16, non pubblicata, EU:T:2018:955, punto 60).

52      Di conseguenza, il PMO non ha violato l’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), dell’allegato VII dello Statuto considerando che l’acquisto della cittadinanza del paese della sede di servizio nel corso della carriera doveva condurre al riesame del diritto all’indennità di dislocazione.

53      La prima parte del primo motivo non è pertanto fondata.

b)      Sulla seconda parte, vertente sul fatto che la Commissione non ha tenuto conto dello stato di costrizione risultante dalleventuale recesso del Regno Unito dallUnione

54      Il ricorrente afferma che la Commissione avrebbe dovuto tener conto del fatto che egli è stato costretto a chiedere la cittadinanza belga, perché all’epoca gli sembrava essere l’unica soluzione per conservare il suo impiego nell’eventualità di un recesso del Regno Unito dall’Unione. Infatti, il collegio dei commissari non avrebbe garantito ai funzionari cittadini del Regno Unito, prima del 28 marzo 2018, che essi non sarebbero stati dimessi d’ufficio dalle loro funzioni qualora, nel caso in cui tale recesso fosse divenuto effettivo, non possedessero più la cittadinanza di uno Stato membro.

55      Al fine di esaminare tale parte del motivo, occorre ricordare, in via preliminare, che dall’articolo 49 dello Statuto, letto alla luce dell’articolo 28, lettera a), di quest’ultimo, risulta che il funzionario che cessa di soddisfare la condizione di essere cittadino di uno degli Stati membri dell’Unione può essere dimesso d’ufficio dal servizio con decisione motivata dell’APN, come giustamente sostiene il ricorrente.

56      Occorre altresì osservare che è pacifico tra le parti che i funzionari cittadini del Regno Unito non hanno ricevuto alcuna garanzia che l’articolo 49 dello Statuto non sarebbe stato loro applicato in caso di recesso di tale Stato prima che il ricorrente avesse chiesto di acquisire, e perfino ottenuto, la cittadinanza belga, il 27 giugno 2017. Come indicato da quest’ultimo, solo il 28 marzo 2018 la Commissione ha deciso che l’APN non avrebbe esercitato il suo potere discrezionale ai sensi di tale disposizione, a meno che ciò non fosse debitamente giustificato in casi specifici, quali conflitti di interessi o in forza di obblighi internazionali.

57      Occorre infine sottolineare che la sola notifica da parte del Regno Unito della sua intenzione di recedere dall’Unione non ha modificato la situazione giuridica dei suoi cittadini (v., per analogia, sentenza del 26 novembre 2018, Shindler e a./Consiglio, T‑458/17, EU:T:2018:838, punto 44).

58      Ciò precisato, il ricorrente fonda l’asserito obbligo della Commissione di tener conto dello stato di costrizione in cui egli versava sulla base della giurisprudenza relativa all’articolo 4, paragrafo 3, dell’allegato VII dello Statuto. In risposta a un quesito posto in udienza, il ricorrente ha precisato che lo stato di costrizione da lui menzionato nelle sue memorie scritte potrebbe costituire un’ipotesi di forza maggiore, le cui condizioni sarebbero soddisfatte nel caso di specie.

59      Per quanto riguarda l’articolo 4, paragrafo 3, dell’allegato VII dello Statuto, occorre ricordare che tale disposizione equipara il funzionario che, per matrimonio, ha acquisito d’ufficio la cittadinanza del paese della sede di servizio, senza possibilità di rinunciarvi, al funzionario che non ha e non ha mai avuto tale cittadinanza.

60      Il ricorrente non contesta che tale disposizione sia estranea, in quanto tale, al caso di specie. Esso sostiene tuttavia che essa stessa sancisce una giurisprudenza basata sulla constatazione che, se la decisione di sposarsi è volontaria, il matrimonio aveva per effetto, nel diritto di taluni Stati membri, di attribuire d’ufficio alla moglie la cittadinanza del coniuge, senza che le fosse possibile rinunciarvi. Il ricorrente ritiene che tale situazione sia paragonabile a quella in cui attualmente si trova. Infatti, a suo avviso, se la sua volontà di continuare a lavorare alla Commissione dopo il recesso del Regno Unito dall’Unione deriva da una scelta personale, l’acquisto della cittadinanza belga gli sarebbe invece stata imposta.

61      Occorre, al riguardo, ricordare la giurisprudenza cui il ricorrente fa allusione e che è stata all’origine dell’articolo 4, paragrafo 3, dell’allegato VII dello Statuto. Nella sentenza del 20 febbraio 1975, Airola/Commissione (21/74, EU:C:1975:24, punto 12), la Corte ha dichiarato che si doveva fare astrazione dalla cittadinanza imposta, senza possibilità di rinuncia, a un funzionario di sesso femminile in ragione del suo matrimonio con un cittadino di un altro Stato membro per il motivo che l’articolo 4 dell’allegato VII dello Statuto doveva essere interpretato in modo da evitare ogni discriminazione derivante dal sesso dei dipendenti, qualora gli uni e le altre si trovino in situazioni comparabili (sentenza del 20 febbraio 1975, Airola/Commissione, 21/74, EU:C:1975:24, punti da 9 a 11).

62      Ne consegue che, contrariamente a quanto suggerito dal ricorrente, tale giurisprudenza era fondata non sul fatto, in quanto tale, che la cittadinanza del paese della sede di servizio fosse imposta al funzionario, ma piuttosto sul carattere discriminatorio della normativa nazionale da cui il diritto dell’Unione non poteva trarre le conseguenze.

63      Orbene, la violazione del principio generale di uguaglianza e di non discriminazione, che è alla base della giurisprudenza inaugurata dalla sentenza del 20 febbraio 1975, Airola/Commissione (21/74, EU:C:1975:24), e dell’articolo 4, paragrafo 3, dell’allegato VII dello Statuto, è oggetto dei motivi secondo, terzo e quarto che saranno di seguito esaminati.

64      Per quanto riguarda la forza maggiore, e supponendo che sia ricevibile l’argomento che si basa sulla stessa, come ampliamento dello stato di costrizione richiamato nelle memorie scritte, risulta da una giurisprudenza costante, stabilita in diversi settori del diritto dell’Unione, che quest’ultima è caratterizzata da due elementi: in primo luogo, dall’esistenza di circostanze indipendenti dalla persona interessata, anormali e imprevedibili (sentenze del 18 dicembre 2007, Société Pipeline Méditerranée et Rhône, C‑314/06, EU:C:2007:817, punto 23; del 25 gennaio 2017, Vilkas, C‑640/15, EU:C:2017:39, punto 53, e ordinanza del 28 maggio 2013, Honnefelder/Commissione, T‑130/13 P, EU:T:2013:276, punto 19); in secondo luogo, dal fatto che, sebbene le circostanze sopra menzionate non siano limitate ai casi in cui l’esecuzione di un’obbligazione sia assolutamente impossibile, esse devono tuttavia essere tali da rendere suddetta esecuzione caratterizzata da un sacrificio eccessivo (v., in tal senso, sentenze del 17 dicembre 1970, Internationale Handelsgesellschaft, 11/70, EU:C:1970:114, punto 23; del 15 dicembre 1994, Bayer/Commissione, C‑195/91 P, EU:C:1994:412, punto 32, e del 19 giugno 2019, RF/Commissione, C‑660/17 P, EU:C:2019:509, punto 37).

65      Tuttavia, risulta parimenti da giurisprudenza costante che, poiché la nozione di forza maggiore non ha il medesimo contenuto nei diversi settori d’applicazione del diritto dell’Unione, il suo significato deve essere determinato in funzione del contesto giuridico nel quale è destinata a produrre i suoi effetti (v. sentenza del 25 gennaio 2017, Vilkas, C‑640/15, EU:C:2017:39, punto 54 e giurisprudenza citata).

66      Nel caso di specie e tenuto conto del contesto della causa, occorre considerare che, con la sua argomentazione, il ricorrente afferma che il recesso del Regno Unito dall’Unione che lo confrontava con il rischio di una dimissione d’ufficio costituiva un caso di forza maggiore che dispensava il PMO dall’obbligo di riesaminare la sua situazione alla luce della cittadinanza belga che aveva ottenuto.

67      Orbene, anche se l’intenzione del Regno Unito di recedere dall’Unione era una circostanza estranea alla persona del ricorrente, anormale e imprevedibile, gli elementi forniti dal ricorrente non consentono di dimostrare che il riesame della sua situazione nelle circostanze della causa sarebbe stato eccessivo alla luce delle sue conseguenze.

68      È vero che il ricorrente afferma che, tenuto conto dell’intenzione del Regno Unito di recedere dall’Unione e delle eventuali conseguenze di tale recesso per i funzionari cittadini del Regno Unito, la Commissione stessa li avrebbe incoraggiati a chiedere la cittadinanza belga. Egli produce al riguardo un messaggio di posta elettronica che il presidente della Commissione ha loro inviato sin dal 24 giugno 2016. Si deve tuttavia constatare che quest’ultimo si limitava a garantire che «non sarebbe [stata loro] chiusa la porta in faccia», che egli avrebbe lavorato con i presidenti delle altre istituzioni affinché tutti potessero continuare a beneficiare della loro esperienza e che lo «Statuto sarebbe stato letto e applicato in uno spirito europeo». Da ciò non risulta che la Commissione abbia incitato gli interessati ad acquisire la cittadinanza della sede di servizio. Il ricorrente produce altresì un articolo di stampa del 3 maggio 2018 che riporta una presa di posizione dello stesso presidente della Commissione, nonché il verbale di una riunione informale del precedente 29 gennaio tra il personale e il vicepresidente della Commissione incaricato in particolare delle risorse umane. Tuttavia, tale riunione e tale presa di posizione sono successive alla data in cui il ricorrente ha acquisito la cittadinanza belga e a maggior ragione non possono quindi averlo spinto a prendere tale iniziativa.

69      In definitiva, non risulta che la perdita dell’indennità di dislocazione abbia costituito un onere eccessivo rispetto alla piena garanzia di conservare il proprio impiego, in caso di recesso dal Regno Unito dall’Unione, che il ricorrente otteneva acquistando la cittadinanza belga.

70      Del resto, sebbene la Corte abbia dichiarato che l’uscita di uno Stato membro dall’Unione poteva avere un’incidenza considerevole sui diritti di tutti i cittadini dell’Unione (sentenza del 10 dicembre 2018, Wightman e a., C‑621/18, EU:C:2018:999, punto 64), essa non ha tuttavia suggerito di avere un qualsivoglia obbligo di neutralizzarne gli effetti.

71      Pertanto, la ricorrenza di un’ipotesi di una forza maggiore deve essere esclusa nel caso di specie, senza che sia necessario esaminare se, nonostante l’assenza di un riferimento esplicito a quest’ultima nell’articolo 4 dell’allegato VII dello Statuto, essa potesse nondimeno essere invocata alla luce dell’economia e degli obiettivi di tale disposizione.

72      Alla luce di tutto quanto precede, e in assenza di un obbligo che possa essere legittimamente preso in considerazione, non occorre pronunciarsi sull’argomento del ricorrente relativo alla sentenza del 26 giugno 2013, Achab/CESE (F‑21/12, EU:F:2013:95), e alla necessaria distinzione tra il caso di specie, caratterizzato da una situazione di costrizione, e la causa che ha dato luogo a detta sentenza, nella quale l’interessato avrebbe potuto continuare la sua carriera anche senza ottenere la cittadinanza belga.

73      Di conseguenza, la seconda parte del primo motivo è infondata e quest’ultimo deve essere respinto integralmente.

2.      Sul secondo motivo, vertente sulla violazione del principio di uguaglianza e di non discriminazione, in quanto il diritto del ricorrente a unindennità di dislocazione è stato riesaminato alla luce delle condizioni previste allarticolo 4, paragrafo 1, lettera b), dellallegato VII dello Statuto

74      Come è stato esposto al precedente punto 30, nel secondo motivo del ricorso, il ricorrente sostiene che il principio di uguaglianza e di non discriminazione ostava a che la Commissione procedesse al riesame della sua situazione alla luce dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), dell’allegato VII dello Statuto.

75      Ai fini dell’esame di tale motivo, occorre anzitutto ricordare che, in sostanza, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), dell’allegato VII dello Statuto, il diritto all’indennità di dislocazione dei funzionari che non possiedono la cittadinanza del paese della sede di servizio dipende dal luogo della loro residenza abituale durante i cinque anni precedenti la loro entrata in servizio, mentre, in forza dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), del medesimo allegato, per i funzionari aventi tale cittadinanza, siffatto diritto è valutato alla luce del luogo della loro residenza abituale nel corso di un periodo di dieci anni.

76      Inoltre, secondo una giurisprudenza costante, per i funzionari che non sono cittadini del paese della sede di servizio, il beneficio dell’indennità di dislocazione è negato solo nel caso in cui vi abbiano risieduto durante tutto il periodo quinquennale di riferimento, mentre, per i funzionari in possesso della cittadinanza di tale paese, la circostanza di avere ivi mantenuto o fissato la loro residenza abituale, anche solo per breve tempo nel corso del periodo decennale di riferimento, basta per comportare il diniego o la perdita del beneficio di tale indennità (sentenze del 27 febbraio 2015, CESE/Achab, EU:T:2015:122, punto 54; del 13 luglio 2018, Quadri di Cardano/Commissione T‑273/17, EU:T:2018:480, punto 47).

77      Occorre infine ricordare che, dopo aver riconosciuto al ricorrente il diritto all’indennità di dislocazione al momento della sua entrata in servizio sulla base dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), dell’allegato VII dello Statuto, il PMO gli ha revocato tale diritto sul fondamento dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), del medesimo allegato in quanto doveva ormai essere considerato come un funzionario «[che ha] (...) la cittadinanza» del paese della sua sede di servizio.

78      È alla luce di tali premesse che occorre esaminare le due parti del secondo motivo del ricorso.

a)      Sulla prima parte, vertente su una violazione del principio di parità di trattamento e di non discriminazione rispetto ai funzionari di nazionalità belga e ai funzionari che hanno spostato il loro principale centro di interesse

79      Il ricorrente sostiene che, applicandogli l’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), dell’allegato VII dello Statuto, la Commissione ha trattato allo stesso modo due categorie diverse di persone, vale a dire, da un lato, le persone che avevano la cittadinanza belga o, più in generale, quella dello Stato della sede di servizio al momento della loro entrata in servizio, che vi avevano risieduto durante il periodo decennale di riferimento previsto da tale disposizione e che sono state assunte senza essere state in una situazione di dislocazione e, dall’altro, le persone che, come lui, non avevano, in occasione della loro entrata in servizio, la cittadinanza in questione e rispetto alle quali non si poteva presumere quindi, a differenza della prima categoria di persone, la sussistenza di stretti legami con lo Stato della sede di servizio. Il ricorrente sostiene altresì, al contrario, di essere stato trattato diversamente da altri funzionari che hanno lasciato, come lui, il loro principale centro d’interessi per entrare al servizio delle istituzioni e che hanno tuttavia conservato il beneficio dell’indennità di dislocazione.

80      Va ricordato che, secondo la giurisprudenza, il principio della parità di trattamento vieta che situazioni analoghe siano trattate in maniera diversa o che situazioni diverse siano trattate in maniera uguale, a meno che siffatti trattamenti, diversi od uguali a seconda dei casi, non siano obiettivamente giustificati (v. sentenza del 22 settembre 2017, Wanègue/Comitato delle regioni, T‑682/15 P, non pubblicata, EU:T:2017:644, punto 64 e giurisprudenza citata). A questo proposito, occorre prendere in considerazione sia le situazioni di diritto che quelle di fatto (v., in tal senso, sentenza del 26 giugno 2013, Achab/CESE, F‑21/12, EU:F:2013:95, punto 39).

81      Inoltre, è ammesso che, poiché la fissazione delle condizioni che danno diritto al beneficio dell’indennità di dislocazione rientra nell’esercizio di un potere discrezionale da parte delle istituzioni, il principio della parità di trattamento può essere violato solo nel caso in cui l’articolo 4, paragrafo 1, dell’allegato VII dello Statuto comporti una differenziazione arbitraria o manifestamente inadeguata rispetto al suo obiettivo (v. sentenza del 13 dicembre 2004, E/Commissione, T‑251/02, EU:T:2004:357, punto 124 e giurisprudenza citata).

82      Nel caso di specie, occorre altresì rilevare che la cittadinanza, sulla quale si fonda l’articolo 4, paragrafo 1, dell’allegato VII dello Statuto, fa presumere l’esistenza di molteplici e stretti legami tra la persona che ne è titolare e il paese della sua cittadinanza (v., in tal senso, sentenze dell’11 luglio 2007, B/Commissione, F‑7/06, EU:F:2007:129, punto 39, e del 5 dicembre 2012, Bourtembourg/Commissione, F‑6/12, EU:F:2012:175, punto 26).

83      Pertanto, e in generale, tenuto conto di tale significato della cittadinanza, dell’obiettivo dell’indennità di dislocazione (v. precedente punto 81), e del potere discrezionale di cui disponeva il legislatore dell’Unione (v. precedente punto 81), quest’ultimo ha potuto legittimamente presumere che i membri del personale che possedevano o avevano posseduto la cittadinanza del paese della sede di servizio non sostenessero gli oneri e gli svantaggi che l’indennità di dislocazione mirava a compensare, almeno non nella stessa misura in cui li sostenevano i membri del personale sprovvisti di tale cittadinanza. Pertanto, il legislatore dell’Unione ha potuto, senza operare una differenziazione arbitraria o manifestamente inadeguata, stabilire una distinzione tra i funzionari secondo il criterio della loro cittadinanza presente o passata. Per gli stessi motivi, il legislatore poteva altresì legittimamente subordinare la concessione dell’indennità di dislocazione ai funzionari che avevano o avevano avuto la cittadinanza del paese della sede di servizio a condizioni restrittive, in particolare a quella di aver abitato abitualmente fuori dal paese della sede di servizio durante il periodo di riferimento di dieci anni (v., per analogia, sentenza del 4 dicembre 2008, Blais/BCE, F‑6/08, EU:F:2008:160, punto 102).

84      Il ricorrente mette tuttavia in evidenza la particolarità della sua situazione. Egli fa valere di non avere avuto la cittadinanza belga durante il periodo decennale di riferimento previsto all’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), dell’allegato VII dello Statuto, e anche che il suo principale centro di interessi si trovava all’epoca a Troon, nel Regno Unito, come constatato dalla Commissione al momento della sua entrata in servizio. Il ricorrente ritiene, di conseguenza, che la presunzione alla base di tale disposizione, secondo cui egli avrebbe intrattenuto durante tale periodo molteplici e stretti legami con il Belgio, paese della sua sede di servizio, sia priva di fondamento nel suo caso.

85      Come sostiene il ricorrente, l’applicazione che gli è stata fatta nella decisione impugnata dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), dell’allegato VII dello Statuto si basa su una finzione, poiché egli è stato trattato come se avesse avuto la cittadinanza belga prima della sua entrata in servizio, nel 2001, mentre l’ha ottenuta solo diciassette anni dopo. La Commissione non lo contesta, ma sostiene che la combinazione, nella decisione impugnata, di due elementi, vale a dire l’acquisizione della cittadinanza del paese della sede di servizio dopo l’entrata in servizio e la presenza del ricorrente nel territorio di quest’ultimo prima della sua assunzione, costituiva un approccio ragionevole alla situazione alla luce del tenore letterale dell’articolo 4, paragrafo 1, dell’allegato VII dello Statuto, il quale, si ricorda, non dedica alcuna disposizione specifica al regolamento della questione dell’acquisto di una nuova cittadinanza nel corso della carriera (v. precedenti punti 41, 44 e 51).

86      In tale contesto, occorre ricordare che, al contrario del rimborso delle spese di trasloco e del pagamento dell’indennità di prima sistemazione, l’indennità di dislocazione è destinata a essere versata per tutta la durata delle funzioni. Di conseguenza, il rispetto del principio di uguaglianza e di non discriminazione si impone non solo al momento dell’entrata in servizio, ma anche nel lungo periodo, al momento di un riesame del diritto a detta indennità alla luce di un mutamento delle circostanze.

87      Orbene, non applicare l’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), dell’allegato VII dello Statuto al ricorrente a partire dal momento in cui è divenuto belga porterebbe a trattarlo più vantaggiosamente dei belgi di nascita entrati in servizio presso un’istituzione in Belgio che hanno dovuto soddisfare le rigorose condizioni imposte da tale disposizione per beneficiare dell’indennità di dislocazione per tutta la durata della loro carriera. La messa in discussione del diritto del ricorrente all’indennità di dislocazione, nel 2018, dopo l’acquisto della cittadinanza belga, consente di trattarlo allo stesso modo dei belgi che, a causa dei loro legami con il Belgio, sono privati del beneficio di detta indennità.

88      Inoltre, la mancata applicazione dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), dell’allegato VII dello Statuto al ricorrente lo distinguerebbe anche dai cittadini belgi che abbiano a lungo interrotto ogni legame con il Belgio, ma che vi abbiano soggiornato, come lui, durante il periodo decennale di riferimento prima di entrare al servizio dell’Unione ed essere assegnati presso una sede in tale paese. Infatti, a tali cittadini viene negata l’indennità di dislocazione in applicazione dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), dell’allegato VII dello Statuto (v., in tal senso, sentenza del 13 luglio 2018, Quadri di Cardano/Commissione, T‑273/17, EU:T:2018:480, punti 28, 46 e 47).

89      Parimenti, inoltre, non applicare l’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), dell’allegato VII dello Statuto al ricorrente divenuto belga nel corso della sua carriera porterebbe anche a trattarlo più vantaggiosamente di un cittadino belga di nascita che abbia rinunciato alla cittadinanza belga in favore di un’altra cittadinanza, quella del Regno Unito come il ricorrente, ad esempio, ma che ha soggiornato in Belgio qualche tempo prima di esservi assunto da un’istituzione.

90      Infine, un funzionario, come il ricorrente, che acquisisce la cittadinanza del paese della sede di servizio nel corso della sua carriera non si trova più nella stessa situazione dei funzionari che non hanno espresso l’intenzione di formalizzare i loro legami con tale paese mediante l’ottenimento della sua cittadinanza. Quanto meno, l’acquisto di tale cittadinanza crea con tale paese legami politici più stretti di quelli che, in confronto, sono riconosciuti dall’articolo 22 TFUE ai cittadini di altri Stati membri.

91      Inoltre, come riconosciuto dalla Commissione all’udienza e come rivela la nota informativa del Consiglio dell’11 dicembre 1959 già citata (v. precedente punto 21), l’articolo 4, paragrafo 1, dell’allegato VII dello Statuto è il risultato di un compromesso tra diverse opzioni. Esso non ha lo scopo di disciplinare esplicitamente l’insieme delle situazioni e delle difficoltà che possono presentarsi, ma quello di fornire criteri semplici ed oggettivi facilmente applicabili nella maggior parte dei casi (v. precedente punto 45).

92      In presenza di un siffatto quod plerumque fit, occorre ricordare che, anche se in situazioni marginali dall’introduzione di una normativa generale e astratta possono derivare eventuali inconvenienti, non si può rimproverare al legislatore di essersi avvalso di una categorizzazione, dal momento che, essendo fondata su elementi oggettivi, tale normativa non è di per sé discriminatoria rispetto all’obiettivo perseguito (v., in tal senso, sentenze del 15 gennaio 1981, Vutera/Commissione, 1322/79, EU:C:1981:6, punto 9, e del 15 aprile 2010, Gualtieri/Commissione, C‑485/08 P, EU:C:2010:188, punto 81).

93      Il ricorrente ritiene tuttavia che la sua situazione riveli un problema sistemico di interpretazione dell’articolo 4, paragrafo 1, dell’allegato VII dello Statuto, idoneo a incidere su un’ampia categoria di funzionari.

94      Tuttavia, da un articolo di stampa cui il ricorrente fa riferimento risulta che la Commissione aveva un organico di 32 847 persone all’epoca dei fatti. Inoltre, secondo le informazioni fornite da quest’ultima su richiesta del Tribunale (v. precedente punto 20), 98 membri del suo personale che erano cittadini del Regno Unito alla loro entrata in servizio e che lavoravano a Bruxelles hanno acquisito la cittadinanza belga dopo il referendum sul recesso dall’Unione. Sempre secondo le cifre fornite dalla Commissione, tra questi, 40 funzionari hanno conservato l’indennità di dislocazione, 23 l’hanno persa e a 35 di loro è stata revocata l’indennità di espatrio alla quale avevano precedentemente diritto in forza dell’articolo 4, paragrafo 2, dell’allegato VII dello Statuto. Infine, secondo l’articolo di stampa cui il ricorrente fa riferimento, la Commissione occupava ancora, considerate tutte le sedi di servizio, 700 cittadini del Regno Unito dopo il recesso di quest’ultimo. Quanto al Consiglio, secondo le cifre che esso ha comunicato al Tribunale, i funzionari e gli agenti esclusivamente cittadini del Regno Unito erano 80 al momento del referendum summenzionato e 30 alla data dell’effettivo recesso del Regno Unito dall’Unione; la differenza risultava da cessazioni dal servizio o dall’acquisto di un’altra cittadinanza. In particolare, 14 funzionari o agenti cittadini del Regno Unito hanno dichiarato di aver acquisito la cittadinanza belga durante tale periodo. A seguito del riesame della loro situazione in seguito a tale acquisto, 3 di loro hanno perso l’indennità di dislocazione e 7 l’indennità di espatrio.

95      Risulta inoltre dalle informazioni richieste al Parlamento, alla Corte di giustizia dell’Unione europea e alla Corte dei conti (v. precedente punto 19) che, alla Corte di giustizia dell’Unione europea, 52 funzionari e agenti che hanno ottenuto la cittadinanza lussemburghese nel corso della loro carriera continuano a beneficiare dell’indennità di dislocazione in applicazione dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), dell’allegato VII dello Statuto e che, alla Corte dei conti, su 23 cittadini del Regno Unito che beneficiavano di tale indennità e che hanno acquisito la cittadinanza lussemburghese, 20 l’hanno conservata in applicazione della stessa disposizione e tre l’hanno persa, in quanto avevano risieduto in Lussemburgo nei dieci anni precedenti la loro entrata in servizio.

96      Risulta quindi dall’insieme di tali dati numerici che la situazione alla quale il ricorrente afferma di far fronte non è rivelatrice di un problema sistemico e che, come indicato dal Consiglio, il legislatore non ha agito illegittimamente quando ha fatto ricorso al criterio della nazionalità per inquadrare circa 50 000 funzionari e agenti dell’Unione al fine di definire in quali casi essi hanno diritto all’indennità di dislocazione.

97      Di conseguenza, non si può ritenere che il PMO abbia violato il principio di uguaglianza e di non discriminazione interpretando l’articolo 4, paragrafo 1, dell’allegato VII dello Statuto anzitutto nel senso che esso autorizzava un riesame della situazione del ricorrente dopo aver ottenuto la cittadinanza belga, e in seguito nel senso che tale riesame doveva effettuarsi alla luce del paragrafo 1, lettera b), di tale disposizione e, infine, nel senso che occorreva, a tal proposito, riferirsi al periodo decennale di riferimento precedente la sua entrata in servizio.

98      Tale conclusione non è inficiata dall’argomento del ricorrente secondo cui averlo trattato come se fosse stato un cittadino belga residente in Belgio nel corso del periodo decennale di riferimento avrebbe indotto la Commissione a trascurare il fatto che, prima di acquisire tale cittadinanza nel corso della carriera, egli aveva precedentemente esercitato il suo diritto alla libera circolazione ai fini della sua assunzione da parte delle istituzioni. Il ricorrente fa valere, a tal proposito, che la Corte, nella sentenza del 14 novembre 2017, Lounes (C‑165/16, EU:C:2017:862, punto 49), ha considerato che la situazione di un cittadino di uno Stato membro, che ha appunto esercitato la propria libertà di circolare recandosi e soggiornando legalmente nel territorio di un altro Stato membro, non può essere assimilata ad una situazione puramente interna per il solo fatto che tale cittadino, durante suddetto soggiorno, abbia acquisito la cittadinanza dello Stato membro ospitante in aggiunta alla propria cittadinanza d’origine.

99      Tuttavia, è giocoforza constatare che, in tale sentenza, la questione era se una cittadina di uno Stato membro che avesse esercitato il suo diritto di circolare e di soggiornare liberamente in un altro Stato membro potesse ancora avvalersi dei diritti di libera circolazione e di soggiorno previsti all’articolo 21, paragrafo 1, in tale altro Stato, sebbene ella ne avesse acquisito la cittadinanza, e se potesse, di conseguenza, avvalersi anche del diritto di condurre una normale vita familiare in tale paese, ivi beneficiando della vicinanza dei propri familiari, più precisamente suo marito, cittadino di un paese terzo in condizioni di soggiorno illegale (sentenza del 14 novembre 2017, Lounes, C‑165/16, EU:C:2017:862, punti 51 e 52).

100    Orbene, nel caso di specie, il ricorrente non dimostra che la decisione impugnata lede i diritti che gli derivano dall’articolo 21, paragrafo 1, TFUE in Belgio. Al contrario, in risposta a taluni quesiti che gli sono stati posti all’udienza, il ricorrente ha indicato che sua moglie aveva in particolare la cittadinanza francese e che la sua famiglia risiedeva in Francia e non sul territorio belga. Inoltre, la decisione impugnata non si basa su un’assimilazione della situazione del ricorrente a una situazione puramente interna. Essa si basa unicamente sul fatto che, durante il periodo decennale di riferimento, quest’ultimo, a titolo dell’esercizio del suo diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio di altri Stati membri, aveva risieduto abitualmente, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), dell’allegato VII dello Statuto, nel paese della sede di servizio di cui ha acquisito a posteriori la cittadinanza.

101    In considerazione di quanto precede, la prima parte del secondo motivo è infondata.

b)      Sulla seconda parte, vertente sulla violazione del principio di parità di trattamento e di non discriminazione a danno dei funzionari cittadini del Regno Unito

102    Il ricorrente fa valere che, nelle circostanze della causa, l’interpretazione dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), dell’allegato VII dello Statuto alla base della decisione impugnata è discriminatoria in quanto incide di fatto sulla situazione dei funzionari cittadini del Regno Unito più di quanto incida su quella di tutti gli altri. Infatti, nella prospettiva del recesso del Regno Unito dall’Unione, questi ultimi sarebbero stati i soli a dover acquisire una nuova cittadinanza per non perdere il loro impiego. Secondo il ricorrente, tale discriminazione non si giustifica alla luce dell’obiettivo dell’indennità di dislocazione.

103    La Commissione fa tuttavia osservare, giustamente, che l’acquisto di una seconda cittadinanza non è una situazione che riguarda esclusivamente i cittadini del Regno Unito e che il riesame in tal caso della situazione amministrativa dei membri del personale vale per tutti.

104    Così, nel suo bollettino informativo n. 18 del mese di febbraio 2016, ossia prima del referendum sul recesso del Regno Unito dall’Unione avvenuto il 23 giugno successivo, la Commissione aveva attirato l’attenzione di tutto il suo personale sul fatto che l’acquisto della cittadinanza del paese della sede di servizio nel corso della carriera poteva incidere sul diritto all’indennità di dislocazione e necessitava di una nuova valutazione.

105    Inoltre, la Commissione aveva già adottato tale punto di vista nella comunicazione amministrativa n. 317, del 14 aprile 1981, sull’indennità di espatrio e sull’indennità di dislocazione, diffusa quindi in tempore non suspecto, al di fuori di qualsiasi prospettiva di recesso del Regno Unito.

106    Peraltro, alla luce dei precedenti punti da 64 a 70, non risulta che le conseguenze dell’acquisto della cittadinanza del paese della sede di servizio da parte dei funzionari cittadini del Regno Unito fossero tali da dover indurre la Commissione ad astenersi dal riesaminare la situazione del ricorrente quanto al suo diritto all’indennità di dislocazione.

107    La seconda parte del secondo motivo è dunque infondata.

108    Di conseguenza, il secondo motivo deve essere respinto integralmente.

3.      Sul terzo motivo, vertente sul principio di uguaglianza e di non discriminazione, in quanto la decisione impugnata ha interpretato larticolo 4, paragrafo 1, lettera b), dellallegato VII dello Statuto in violazione di tale principio

109    Come è stato esposto al precedente punto 31, nel terzo motivo, il ricorrente fa valere che, anche supponendo che la Commissione fosse legittimata a riesaminare il suo diritto all’indennità di dislocazione sulla base dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), dell’allegato VII dello Statuto, essa non ha interpretato correttamente, alla luce del principio di non discriminazione, la condizione secondo cui, per beneficiare di tale diritto, il funzionario interessato deve avere «[abitualmente] (...) abitato fuori del territorio europeo» dello Stato della sede di servizio.

110    Secondo il ricorrente, per essere conforme al principio di non discriminazione, tale condizione avrebbe dovuto essere interpretata tenendo conto del fatto che l’articolo 4, paragrafo 1, dell’allegato VII dello Statuto si fonda sulla presunzione secondo cui il funzionario che ha la cittadinanza di uno Stato membro presenta molteplici e stretti legami con tale Stato. Viceversa, sostiene, non si può presumere che il funzionario che non aveva la cittadinanza del paese della sede di servizio nel corso del periodo decennale di riferimento abbia avuto, in quel momento, siffatti legami con tale paese. Pertanto, il ricorrente suggerisce che, nel caso di un funzionario che acquista la cittadinanza del paese della sede di servizio nel corso della carriera, la nozione di residenza abituale di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), dell’allegato VII dello Statuto non doveva essere interpretata restrittivamente, come avviene nel caso di un funzionario che aveva già tale cittadinanza prima di entrare in servizio. Essa dovrebbe piuttosto essere interpretata come lo è nell’ambito dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), del medesimo allegato, nei confronti di un funzionario che non aveva tale cittadinanza. Pertanto, un funzionario che abbia acquisito la cittadinanza del paese della propria sede di servizio dopo la sua entrata in servizio dovrebbe perdere l’indennità di dislocazione solo se vi abitasse abitualmente per cinque anni o più, durante il periodo decennale di riferimento previsto all’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), dell’allegato VII dello Statuto. Se tale interpretazione fosse stata accolta, fa valere il ricorrente, la Commissione avrebbe dovuto constatare che egli aveva abitualmente abitato fuori dalla sede di servizio durante tale periodo e avrebbe dovuto mantenere il suo diritto all’indennità di dislocazione.

111    Occorre tuttavia ricordare che il ricorso all’interpretazione è possibile solo nella misura in cui sia compatibile con il testo della disposizione di cui trattasi e che anche il principio dell’interpretazione conforme ad una norma di forza vincolante superiore non può servire a fondare un’interpretazione contra legem (v., per analogia, sentenza del 19 settembre 2019, Rayonna prokuratura Lom, C‑467/18, EU:C:2019:765, punto 61 e giurisprudenza citata).

112    Orbene, nell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), dell’allegato VII dello Statuto, il requisito dell’aver abitato «[abitualmente]» da cui dipende la concessione dell’indennità di dislocazione fa riferimento a un luogo di residenza situato al di fuori del territorio europeo del paese della sede di servizio, di modo che, a contrario, e come risulta dalla giurisprudenza citata al precedente punto 76, per i funzionari in possesso della cittadinanza del paese della sede di servizio, qualsiasi residenza in tale paese, anche di breve durata, è sufficiente a comportare il diniego o la perdita del diritto a tale indennità dal momento in cui essa acquista il carattere abituale. Inoltre, tale disposizione riguarda un periodo di riferimento di dieci anni, cosicché la sua applicazione non può fondarsi su un periodo di riferimento di cinque anni, che non rientra affatto nelle previsioni del legislatore.

113    Di conseguenza, interpretare, come auspicato dal ricorrente, l’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), dell’allegato VII dello Statuto, nel senso che un funzionario che abbia acquisito la cittadinanza del suo paese di servizio nel corso della carriera dovrebbe perdere la sua indennità di dislocazione solo se vi ha abitato abitualmente per cinque anni o più nel corso del periodo decennale di riferimento anteriore alla sua entrata in servizio è incompatibile con la formulazione di tale disposizione e con la sua portata, come interpretata in modo costante dalla giurisprudenza.

114    Inoltre, e come è già stato constatato al precedente punto 90, tale interpretazione equivarrebbe a trattare un funzionario che ha acquisito la cittadinanza del paese della sua sede di servizio nel corso della carriera in modo analogo ai funzionari che non hanno mai acquisito tale cittadinanza e che non hanno in tal modo formalizzato l’esistenza di molteplici e stretti legami con tale paese.

115    L’interpretazione della nozione di residenza abituale ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), dell’allegato VII dello Statuto secondo la quale, in sostanza, suddetta residenza abituale riguarda un soggiorno di cinque anni nel paese della sede di servizio, suggerita dal ricorrente, deve essere, di conseguenza, respinta.

116    Ne consegue che il ricorrente sostiene invano di non aver interrotto i suoi legami con il Regno Unito, di cui conserva del resto la cittadinanza, e di aver soltanto chiesto la cittadinanza belga per salvaguardare il suo impiego, senza avere l’intenzione di rimanere permanentemente in Belgio.

117    Infatti, dalla ragion d’essere dell’indennità di dislocazione, ricordata ai precedenti punti 44 e 48, risulta che la questione non è se il ricorrente abbia o meno interrotto ogni contatto con il paese della sua prima cittadinanza, ma di stabilire se, durante il periodo di riferimento, egli avesse con il paese della sede di servizio di cui ha ormai la cittadinanza legami sufficienti affinché l’indennità di dislocazione dovesse essergli negata alla luce delle condizioni fissate dall’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), dell’allegato VII dello Statuto. Orbene, così è nella fattispecie. Il ricorrente ha risieduto abitualmente in Belgio e vi ha lavorato almeno tra il 1º marzo 1999 e il 31 dicembre 2000. A tal riguardo, la circostanza, quand’anche accertata, che vi abbia accettato un lavoro unicamente in vista di un’assunzione da parte di un’istituzione dell’Unione è irrilevante. La presenza e lo svolgimento di un lavoro nel futuro luogo della sede di servizio non costituiscono una condizione di assunzione, né possono essere considerati elementi che la facilitino.

118    Peraltro, dall’articolo 4 dell’allegato VII allo Statuto non si può assolutamente inferire che i suoi autori abbiano attribuito un’importanza particolare al momento del trasferimento della residenza fuori dello Stato, di cui l’interessato ha o ha avuto la cittadinanza, o alle ragioni che abbiano determinato un siffatto trasferimento (sentenza del 25 settembre 2014, Grazyte/Commissione, T‑86/13 P, EU:T:2014:815, punti 58 e 78).

119    Inoltre, il bilanciamento tra lo status di cittadino del Regno Unito e quello di cittadino belga, al quale il ricorrente pretende di procedere, e il riconoscimento, come egli suggerisce, del fatto che tale prima cittadinanza sarebbe per lui preponderante, equivarrebbe ad applicare la teoria della cittadinanza effettiva che la Corte ha espressamente respinto nella sua sentenza del 14 dicembre 1979, Deverd/Commissione (257/78, EU:C:1979:294, punto 14).

120    Infine, dal rigetto dell’interpretazione della nozione di residenza abituale sostenuta dal ricorrente deriva che quest’ultimo sostiene invano che la Commissione ha violato il principio di tutela del legittimo affidamento considerando, nella decisione impugnata, da un lato, che egli faceva talmente parte della società belga al momento della sua assunzione che doveva provare di non aver abitato in Belgio nei dieci anni precedenti la sua entrata in servizio, mentre aveva ritenuto, dall’altro, che egli non vi fosse integrato quando gli aveva riconosciuto il diritto all’indennità di dislocazione al momento dell’assunzione.

121    Infatti, poiché il criterio dell’aver abitato «abitualmente» è meno rigoroso, nell’ambito dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), dell’allegato VII dello Statuto, di quanto non lo sia in quello dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), dello stesso allegato, il PMO, senza contraddirsi né violare il principio di tutela del legittimo affidamento, ha potuto concludere per la concessione dell’indennità di dislocazione sulla base di tale prima disposizione al momento dell’entrata in servizio del ricorrente e concludere per la revoca di tale indennità sulla base della seconda al momento del riesame della sua situazione, dopo l’acquisto della cittadinanza belga. Del resto, il ricorrente può a maggior ragione avvalersi di tale principio in quanto i funzionari della Commissione erano stati espressamente informati delle conseguenze alle quali si sarebbero esposti acquistando la cittadinanza del paese della sede di servizio (v. precedenti punti 104 e 105).

122    Alla luce di quanto precede, il terzo motivo è infondato.

4.      Sul quarto motivo, vertente sulleccezione di illegittimità diretta contro larticolo 4, paragrafo 1, dellallegato VII dello Statuto

123    In subordine, nell’ipotesi in cui i precedenti motivi siano respinti, il ricorrente solleva un’eccezione di illegittimità contro l’articolo 4, paragrafo 1, dell’allegato VII dello Statuto, in quanto sarebbe discriminatorio nei confronti delle persone che si trovano nella sua situazione, e ciò per le ragioni invocate a sostegno del primo e del secondo motivo.

124    Nell’ipotesi in cui tale eccezione sia accolta, il ricorrente, senza formulare formalmente conclusioni distinte, chiede al Tribunale di ordinare alle istituzioni di modificare tale disposizione in modo da eliminare tale discriminazione.

125    Tuttavia, l’esame dei primi due motivi, ai quali il ricorrente si limita a rinviare, ha condotto alla conclusione che l’articolo 4, paragrafo 1, dell’allegato VII dello Statuto non è discriminatorio né di per sé né nell’applicazione che ne è stata fatta nel caso di specie.

126    Peraltro, la domanda del ricorrente che il Tribunale ingiunga alle istituzioni di modificare l’articolo 4, paragrafo 1, dell’allegato VII dello Statuto, in modo da eliminare qualsiasi discriminazione, non solo è priva di fondamento, ma esula, inoltre, dalla competenza del Tribunale, poiché quest’ultimo non può rivolgere ingiunzioni alle istituzioni (v., in tal senso, sentenza del 27 febbraio 2018, Zink/Commissione, T‑338/16 P, non pubblicata, EU:T:2018:98, punto 39).

127    Ne consegue che il quarto motivo deve essere respinto in quanto infondato e che la domanda ivi formulata dal ricorrente è irricevibile.

128    Alla luce di quanto precede, la domanda di annullamento del ricorrente deve essere respinta.

B.      Sul secondo, terzo e quarto capo delle conclusioni

129    Con il secondo e il terzo capo della domanda, il ricorrente chiede al Tribunale di ordinare alla Commissione di versargli l’indennità di dislocazione e di rimborsargli le sue spese di viaggio, che sono connesse a tale indennità, a decorrere dal 1º dicembre 2017, insieme a tutti gli interessi di mora.

130    Nel quarto capo della domanda, il ricorrente chiede al Tribunale, nell’ipotesi in cui accolga l’eccezione di illegittimità sollevata nel ricorso, di «disapplicare [nei suoi confronti] l’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), dell’allegato VII dello Statuto finché le istituzioni non lo sostituiscano con disposizioni non discriminatorie».

131    Tali capi delle conclusioni devono tuttavia essere respinti, in quanto accessori alla domanda di annullamento, la quale, come appena affermato, deve essere a sua volta respinta.

132    Ne consegue che il ricorso dev’essere respinto nella sua interezza.

 Sulle spese

133    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Tuttavia, secondo l’articolo 135, paragrafo 1, del medesimo regolamento, il Tribunale può decidere, per ragioni di equità, che una parte soccombente sostenga, oltre alle proprie spese, soltanto una quota delle spese dell’altra parte, oppure che non debba essere condannata a tale titolo.

134    Conformemente all’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, gli Stati membri e le istituzioni intervenuti nella causa sopporteranno le proprie spese.

135    Nelle circostanze della fattispecie occorre disporre che le spese siano compensate. Inoltre, in quanto istituzione interveniente, il Consiglio sopporterà le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione ampliata)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      Il sig. Colin Brown e la Commissione europea sopporteranno le proprie spese.

3)      Il Consiglio dell’Unione europea sopporterà le proprie spese.

Papasavvas

Gervasoni

Nihoul

Frendo

 

      Martín y Pérez de Nanclares

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 5 ottobre 2020.

Firme


*      Lingua processuale: l’inglese.