CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
MACIEJ SZPUNAR
presentate il 23 gennaio 2019 (1)
Causa C‑509/17
Christa Plessers
contro
PREFACO NV,
Belgische Staat
[domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dall’arbeidshof te Antwerpen (Corte del lavoro di Anversa, Belgio)]
«Rinvio pregiudiziale – Direttiva 2001/23/CE – Articoli da 3 a 5 – Trasferimenti di imprese – Mantenimento dei diritti dei lavoratori – Eccezioni – Procedura di insolvenza – Procedura di riorganizzazione giudiziale mediante trasferimento soggetto a controllo giudiziario – Salvaguardia totale o parziale dell’impresa – Legislazione nazionale che autorizza il cessionario, dopo il trasferimento, a riassumere i lavoratori di sua scelta»
I. Introduzione
1. Nella presente causa, l’arbeidshof te Antwerpen (Corte del lavoro di Anversa, Belgio) ha deferito alla Corte una questione pregiudiziale relativa all’interpretazione degli articoli da 3 a 5 della direttiva 2001/23/CE (2).
2. Tale questione è stata presentata nell’ambito di una controversia sorta fra la sig.ra Christa Plessers e la Prefaco NV, una società avente la propria sede in Belgio, in merito alla legittimità del licenziamento di cui la sig.ra Plessers è stata oggetto.
3. L’esame di tale questione porterà la Corte ad analizzare, per la seconda volta, l’applicabilità dell’eccezione prevista all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23 ad una procedura nazionale di ristrutturazione d’impresa. Più specificamente, la Corte è chiamata ad esaminare, alla luce di tale disposizione, il trasferimento di un’impresa avvenuto nell’ambito di una «procedura di riorganizzazione giudiziale mediante cessione soggetta a controllo giudiziario». Qualora la Corte ritenga che tale procedura non rientri nell’eccezione prevista all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23, essa dovrà pronunciarsi, nell’ottica del regime di protezione previsto a favore dei lavoratori dagli articoli 3 e 4 di tale direttiva, sulla possibilità, per il cessionario, riconosciutagli dalla legislazione nazionale, di scegliere i lavoratori che egli intende riassumere in occasione del trasferimento.
II. Contesto normativo
A. Diritto dell’Unione
4. L’articolo 3 della direttiva 2001/23 prevede quanto segue:
«1. I diritti e gli obblighi che risultano per il cedente da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento sono, in conseguenza di tale trasferimento, trasferiti al cessionario.
(…)».
5. L’articolo 4, paragrafo 1, di tale direttiva stabilisce quanto segue:
«1. Il trasferimento di un’impresa, di uno stabilimento o di una parte di impresa o di stabilimento non è di per sé motivo di licenziamento da parte del cedente o del cessionario. Tale dispositivo non pregiudica i licenziamenti che possono aver luogo per motivi economici, tecnici o d’organizzazione che comportano variazioni sul piano dell’occupazione.
Gli Stati membri possono prevedere che il primo comma non si applichi a talune categorie delimitate di lavoratori non coperti dalla legislazione o dalla prassi degli Stati membri in materia di tutela contro il licenziamento».
6. L’articolo 5, paragrafo 1, di detta direttiva così recita:
«1. A meno che gli Stati membri dispongano diversamente, gli articoli 3 e 4 non si applicano ad alcun trasferimento di imprese, stabilimenti o parti di imprese o di stabilimenti nel caso in cui il cedente sia oggetto di una procedura fallimentare o di una procedura di insolvenza analoga aperta in vista della liquidazione dei beni del cedente stesso e che si svolgono sotto il controllo di un’autorità pubblica competente (che può essere il curatore fallimentare autorizzato da un’autorità pubblica competente)».
B. Normativa belga
7. L’articolo 22 della wet betreffende de continuïteit van de ondernemingen (legge relativa alla continuità delle imprese) (3), del 31 gennaio 2009 (in prosieguo: la «WCO»), dispone quanto segue:
«Fintantoché il tribunale non abbia statuito sull’istanza di riorganizzazione giudiziale, indipendentemente dal fatto che l’azione sia stata proposta oppure l’esecuzione sia stata avviata prima o dopo il deposito dell’istanza:
– il debitore non può essere dichiarato fallito e, nel caso di una società, quest’ultima non può allo stesso modo essere sottoposta a liquidazione giudiziale;
– non può avere luogo alcuna realizzazione di beni mobili o immobili del debitore a seguito dell’esercizio di un mezzo di esecuzione».
8. L’articolo 60 della WCO prevede quanto segue:
«La sentenza che dispone il trasferimento designa un commissario giudiziale incaricato di organizzare ed effettuare il trasferimento in nome e per conto del debitore. Essa determina l’oggetto del trasferimento o lo lascia al potere discrezionale del commissario giudiziale (…)».
9. L’articolo 61, paragrafo 4, della WCO così dispone:
«La scelta dei lavoratori da riassumere spetta al cessionario. Tale scelta deve essere dettata da motivi economici, tecnici e d’organizzazione e non deve configurare una disparità di trattamento vietata, in particolare sulla base dell’attività esercitata in veste di rappresentante del personale nell’impresa o nella parte di impresa trasferita.
L’assenza di disparità di trattamento vietata a tal riguardo si considera accertata se la percentuale di lavoratori o di loro rappresentanti che erano attivi nell’impresa o nella parte di impresa trasferita e che sono scelti dal cessionario è rispettata nel numero totale di lavoratori scelti».
III. Fatti, questione pregiudiziale e procedimento dinanzi alla Corte
10. La sig.ra Plessers lavorava dal 17 agosto 1992 presso la società Echo NV a Houthalen‑Helchteren (Belgio) quale direttrice della contabilità di gestione.
11. Il 23 aprile 2012, su domanda della Echo, il rechtbank van koophandel te Hasselt (Tribunale del commercio di Hasselt, Belgio) ha avviato una procedimento di riorganizzazione giudiziale finalizzata ad una procedura di conciliazione ai sensi della WCO. A tale società veniva accordata una sospensione fino al 23 ottobre 2012 compreso. La sospensione è stata successivamente prorogata fino al 22 aprile 2013 compreso.
12. Il 19 febbraio 2013, prima della scadenza di tale termine, il rechtbank van koophandel te Hasselt (Tribunale del commercio di Hasselt) ha accolto la domanda proposta dalla Echo intesa a trasformare il trasferimento consensuale in un trasferimento soggetto a controllo giudiziario.
13. Il 22 aprile 2013, il rechtbank van koophandel te Hasselt (Tribunale del commercio di Hasselt) ha autorizzato i commissari giudiziali a procedere al trasferimento dei beni mobili e immobili alla Prefaco, una delle due società che si erano candidate per rilevare la Echo. Nella sua proposta, la Prefaco si era offerta di riassumere 164 lavoratori, ossia circa due terzi dell’organico della Echo. L’accordo di trasferimento è stato firmato il 22 aprile 2013. L’allegato 9 di tale accordo conteneva l’elenco dei lavoratori da riassumere. Il nome della sig.ra Plessers non compare in tale elenco.
14. Inoltre, detto accordo prevede, quale data del trasferimento, «due giorni lavorativi successivi alla data della sentenza di autorizzazione» del rechtbank van koophandel te Hasselt (Tribunale del commercio di Hasselt).
15. Il 23 aprile 2013, la Prefaco ha contattato telefonicamente i lavoratori interessati dal trasferimento, pregandoli di presentarsi il giorno successivo al fine di esercitare le loro funzioni. Il 24 aprile 2013, la Prefaco ha confermato tale trasferimento per iscritto. Analogamente, i lavoratori che non sono stati assunti sono stati contattati telefonicamente e, con lettera del 24 aprile 2013, sono stati informati dai commissari giudiziali del fatto che non erano stati assunti dalla Prefaco. Il tenore di tale lettera era il seguente:
«La presente lettera vale come notifica ufficiale ai sensi dell’articolo 64, paragrafo 2, della WCO. Le attività della [Echo] cessano a partire dal 22 aprile 2013. Poiché Lei non è stata riassunta dai summenzionati cessionari, la presente lettera deve essere considerata come un recesso contrattuale da parte del Suo datore di lavoro, la [Echo]. Quale eventuale creditore della [Echo], è opportuno che Lei presenti il credito presso i sottoscritti commissari giudiziali (…)».
16. I commissari giudiziali hanno parimenti rilasciato alla sig.ra Plessers un modulo, il quale indicava la data del 23 aprile 2013 come data di cessazione del contratto.
17. La sig.ra Plessers ha affermato che la Prefaco aveva iniziato a gestire lo stabilimento sito a Houthalen‑Helchteren a partire dal 22 aprile 2013, data alla quale il rechtbank van koophandel te Hasselt (Tribunale del commercio di Hasselt) ha pronunciato la propria sentenza; circostanza che è stata contestata dalla Prefaco.
18. In una lettera del 7 maggio 2013, la sig.ra Plessers ha intimato alla Prefaco di assumerla.
19. La Prefaco ha risposto con lettera del 16 maggio 2013, richiamando l’applicazione dell’articolo 61, paragrafo 4, della WCO, il quale conferisce al cessionario il diritto di scegliere i lavoratori che intende riassumere o meno, sempreché, da un lato, siffatta scelta sia dettata da motivi economici, tecnici o d’organizzazione e, dall’altro, che non sussista una disparità di trattamento vietata. La Prefaco ha parimenti fatto riferimento, segnatamente, all’assenza di qualsivoglia obbligo ad essa incombente quanto alla riassunzione della sig.ra Plessers successivamente alla risoluzione del contratto di lavoro concluso con la Echo.
20. Non essendo stato raggiunto un accordo, con atto dell’11 aprile 2014, la sig.ra Plessers ha proposto un ricorso dinanzi all’arbeidsrechtbank te Antwerpen (Tribunale del lavoro di Anversa, Belgio).
21. Inoltre, il 24 luglio 2015, la sig.ra Plessers ha chiesto l’intervento coatto dello Stato belga.
22. Con sentenza del 23 maggio 2016, l’arbeidsrechtbank te Antwerpen (Tribunale del lavoro di Anversa) ha dichiarato infondate tutte le domande della sig.ra Plessers e l’ha condannata a sostenere la totalità delle spese. La sig.ra Plessers ha interposto appello avverso tale sentenza dinanzi all’arbeidshof te Antwerpen, afdeling Hasselt (Corte del lavoro di Anversa, Sezione di Hasselt, Belgio).
23. È in tali circostanze che l’arbeidshof te Antwerpen, afdeling Hasselt (Corte del lavoro di Anversa, Sezione di Hasselt), con decisione del 14 agosto 2017, pervenuta presso la cancelleria della Corte il 21 agosto 2017, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se il diritto di scelta del cessionario, previsto all’articolo 61, paragrafo 4 (…) della [WCO], nella misura in cui detta “riorganizzazione giudiziale mediante cessione soggetta a controllo giudiziario” sia utilizzata al fine di conservare in tutto o in parte l’impresa cedente o le sue attività, sia compatibile con la direttiva [2001/23], segnatamente con i suoi articoli 3 e 5».
24. Hanno presentato osservazioni scritte le parti nel procedimento principale, il governo belga, nonché la Commissione europea. All’udienza, che ha avuto luogo il 3 ottobre 2018, sono comparse per esporre oralmente le proprie tesi tutte le parti, ad eccezione della Prefaco.
IV. Analisi
A. Sul contenuto della questione sollevata
25. La Prefaco sostiene, nelle sue osservazioni scritte, che la sig.ra Plessers non può invocare la direttiva 2001/23 al fine di disapplicare una disposizione legislativa nazionale chiara e che, di conseguenza, la questione sollevata è irrilevante ai fini della soluzione della controversia principale.
26. A tal riguardo, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, se è vero, con riferimento a una controversia tra privati, che una direttiva non può di per sé creare obblighi a carico di un privato e non può, quindi, essere fatta valere in quanto tale nei suoi confronti, ciò non toglie che la Corte ha parimenti dichiarato a più riprese che l’obbligo per gli Stati membri, derivante da una direttiva, di conseguire il risultato previsto da quest’ultima così come il loro dovere di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l’adempimento di tale obbligo s’impongono a tutte le autorità degli Stati membri, comprese, nell’ambito delle loro competenze, quelle giurisdizionali. Ne consegue che, nell’applicare il diritto interno, i giudici nazionali chiamati a interpretarlo sono tenuti a prendere in considerazione l’insieme delle norme di tale diritto e ad applicare i criteri ermeneutici riconosciuti dallo stesso al fine di interpretarlo per quanto più possibile alla luce della lettera e dello scopo della direttiva di cui trattasi, onde conseguire il risultato fissato da quest’ultima (4).
27. Ne consegue, a mio avviso, che, alla luce di tale obbligo incombente ai giudici nazionali, la questione sollevata dal giudice del rinvio è rilevante per la soluzione della controversia principale.
28. Con la sua questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede alla Corte, in sostanza, se l’articolo 61, paragrafo 4, della WCO sia conforme agli articoli 3 e 5 della direttiva 2001/23. Con tale questione, nei termini in cui è formulata, il giudice del rinvio invita la Corte a pronunciarsi sulla compatibilità di una disposizione del diritto nazionale con il diritto dell’Unione.
29. Ricordo che, secondo una giurisprudenza costante, il sistema di cooperazione istituito dall’articolo 267 TFUE è fondato su una netta separazione di funzioni tra i giudici nazionali e la Corte. Nell’ambito di un procedimento instaurato in forza di tale articolo, l’interpretazione delle disposizioni nazionali incombe ai giudici degli Stati membri e non alla Corte, e non spetta a quest’ultima pronunciarsi sulla compatibilità di norme di diritto interno con le disposizioni del diritto dell’Unione. Per contro, la Corte è competente a fornire al giudice nazionale tutti gli elementi interpretativi attinenti al diritto dell’Unione che consentiranno a detto giudice di valutare la compatibilità di norme di diritto interno con la normativa dell’Unione. Se è vero che, come ho appena sottolineato, il tenore letterale della questione sollevata in via pregiudiziale dal giudice del rinvio invita la Corte a pronunciarsi sulla compatibilità di una disposizione di diritto interno con il diritto dell’Unione, nulla impedisce alla Corte di dare una risposta utile al giudice del rinvio fornendogli gli elementi di interpretazione attinenti al diritto dell’Unione che consentiranno a questo stesso giudice di statuire sulla compatibilità del diritto interno con il diritto dell’Unione (5).
30. Ricordo parimenti che, nell’ambito di tale cooperazione fra i giudici nazionali e la Corte, quest’ultima ha il compito di interpretare tutte le norme del diritto dell’Unione che possano essere utili ai giudici nazionali al fine di dirimere le controversie di cui sono investiti, anche qualora tali norme non siano espressamente indicate nelle questioni a essa sottoposte da detti giudici (6).
31. Di conseguenza, anche se, sul piano formale, il giudice del rinvio ha limitato la propria questione all’interpretazione dei soli articoli 3 e 5 della direttiva 2001/23, tale circostanza non osta a che la Corte fornisca a detto giudice tutti gli elementi di interpretazione del diritto dell’Unione che possano essergli utili per dirimere la controversia ad esso sottoposta, indipendentemente dal fatto che tale giudice vi abbia fatto o no riferimento nella formulazione della propria questione (7).
32. Alla luce di tale giurisprudenza e tenuto conto degli elementi figuranti nella decisione di rinvio, mi sembra necessario che la Corte proceda ad una riformulazione della questione sottopostale. Propongo dunque di intendere la questione del giudice del rinvio nel senso che con essa si chiede, in sostanza, se la direttiva 2001/23, segnatamente i suoi articoli 3 e 4, debba essere interpretata nel senso che essa osta ad una legislazione nazionale, come quella di cui al procedimento principale, la quale, in caso di cessione di un’impresa intervenuta nell’ambito di una procedura di riorganizzazione giudiziale mediante cessione soggetta a controllo giudiziario utilizzata al fine di conservare in tutto o in parte l’impresa cedente o le sue attività, preveda, per il cessionario, il diritto di scegliere i lavoratori che intende riassumere.
33. Per rispondere a tale questione, mi sembra essenziale esaminare, in via preliminare, la questione dell’applicabilità dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23 ai trasferimenti di impresa che hanno luogo nell’ambito di una procedura di riorganizzazione giudiziale mediante cessione soggetta a controllo giudiziario e, di conseguenza, se l’eccezione risultante da tale disposizione si applichi nel caso di specie. Infatti, soltanto qualora tale procedura non soddisfi i requisiti richiesti da tale disposizione, il mantenimento dei diritti dei lavoratori previsto, segnatamente, agli articoli 3 e 4 di tale direttiva si imporrà nell’ambito del trasferimento dell’impresa.
34. Le parti che hanno presentato osservazioni dinanzi alla Corte hanno sostenuto posizioni contrapposte riguardo alla risposta da dare alla questione pregiudiziale.
35. La sig.ra Plessers e la Commissione sostengono, in sostanza, che il trasferimento di cui al procedimento principale non soddisfi i requisiti di cui all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23. Esse ritengono che dalla giurisprudenza della Corte, segnatamente dalla sentenza Federatie Nederlandse Vakvereniging e a. (8), risulta che la procedura di riorganizzazione giudiziale di cui al procedimento principale sia stata avviata al fine non di indennizzare i creditori tramite la liquidazione del patrimonio, ma di proseguire le attività dell’impresa di cui trattasi. Di conseguenza, esse ritengono che tale procedura non rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23.
36. Il governo belga e la Prefaco affermano, per contro, che la procedura di riorganizzazione giudiziale mediante cessione soggetta a controllo giudiziario deve essere considerata una procedura di liquidazione e, pertanto, che il trasferimento di cui al procedimento principale soddisfa i requisiti previsti all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23.
37. In tali circostanze, mi sembra necessario anzitutto svolgere alcune considerazioni generali sull’evoluzione del processo di ristrutturazione delle imprese nell’Unione europea. Tali considerazioni mi sembrano utili non solo per definire il contesto normativo nel quale si iscrive la direttiva 2001/23, ma anche per comprendere il contesto del procedimento in questione. Sulla base di tali considerazioni, esaminerò poi la questione dell’applicabilità dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23, nonché le ragioni che giustificano la deroga all’eccezione prevista da tale articolo. Infine, rivolgerò il mio interesse sulla portata del regime di protezione dei diritti dei lavoratori conferita dagli articoli 3 e 4 di tale direttiva.
B. Sull’evoluzione del processo di ristrutturazione delle imprese nell’Unione
38. Nel 1974, in un contesto di crisi economica, il Consiglio dell’Unione europea ha adottato una risoluzione che prevedeva un insieme di misure che la Commissione si impegnava a sottoporre al Consiglio nel corso di detto anno (9). Fra tali misure figuravano due proposte di direttive intese al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri, la prima relativa ai licenziamenti collettivi (10), la seconda al mantenimento dei diritti e dei vantaggi in caso di cambiamento di proprietà delle imprese, segnatamente in caso di fusione (11). Tali direttive sono state introdotte nel corso degli anni 70 in un’ottica di protezione dei diritti dei lavoratori a fronte delle ristrutturazioni intervenute successivamente alla crisi economica dell’inizio degli anni 70 (12). Negli anni 80, è stata adottata una terza direttiva, la direttiva 80/987/CEE (13), relativa all’insolvenza del datore di lavoro, la quale completava così le direttive cosiddette «direttive ristrutturazioni». Emergeva dai considerando di ciascuna di tali direttive che le differenze sussistenti fra gli Stati membri per quanto riguarda le modalità e le procedure di licenziamenti collettivi, nonché il livello di protezione dei lavoratori in caso di ristrutturazioni o di insolvenza dei loro datori di lavoro, potevano ripercuotersi direttamente sul funzionamento del mercato comune.
39. Nel corso degli anni 90 e all’inizio degli anni 2000, tali direttive sono state rivedute (14). Le modifiche apportate alle medesime tenevano conto della dimensione transazionale delle ristrutturazioni, rafforzando i loro meccanismi di anticipazione (15). In particolare, la direttiva 77/187 è stata in un primo momento modificata dalla direttiva 98/50/CE (16) ed è stata successivamente codificata dalla direttiva 2001/23 (17).
40. Queste tre direttive erano intese, da un lato, a facilitare le ristrutturazioni delle imprese al fine di renderle più competitive e efficienti e, dall’altro, ad affrontare le conseguenze negative delle decisioni di ristrutturazione e a mitigare i loro effetti (18). Pertanto, tali direttive hanno contribuito ad attenuare l’impatto della recessione e le conseguenze sociali negative prodotte dalle operazioni di ristrutturazione durante la crisi (19). Occorre osservare che la Commissione ha recentemente presentato, adottando lo stesso approccio (20), una proposta di direttiva riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva intesa a rafforzare la cultura di salvaguardia delle imprese (21).
41. Tale richiamo dell’evoluzione dei processi di ristrutturazione delle imprese tanto a livello nazionale quanto a livello dell’Unione consentirà di cogliere pienamente il contesto nel quale si inserisce la direttiva 2001/23, ai fini dell’analisi della questione pregiudiziale sottoposta dal giudice del rinvio.
C. Sull’applicabilità dell’eccezione prevista all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23
1. Elaborazione giurisprudenziale dell’eccezione
42. La direttiva 77/187 non prevedeva originariamente un’eccezione alla sua applicazione in caso di trasferimento di impresa nell’ambito di una procedura fallimentare o di una procedura analoga. È solo con la direttiva 98/50 che una siffatta eccezione è stata introdotta nel testo della direttiva 77/187, con l’articolo 4 bis della direttiva 77/187, e che figura adesso all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23. Secondo il terzo considerando della direttiva 98/50, l’obiettivo di quest’ultima era quello di rivedere la direttiva 77/187, segnatamente «alla luce della giurisprudenza della Corte», che provvederò dunque a richiamare brevemente (22).
43. La Corte ha elaborato tale eccezione alle garanzie previste dalla direttiva 77/187 nelle sentenze Abels (23), d’Urso e a. (24), Spano e a. (25) e Dethier Équipement (26). In un primo momento, dopo aver ricordato che l’obiettivo di tale direttiva era di impedire che la ristrutturazione nell’ambito del mercato unico si effettuasse a danno dei lavoratori (27) ed aver giustificato tale eccezione con la specificità del diritto fallimentare, la Corte ha dichiarato che la direttiva 77/187 non si applicava ai «trasferimenti di imprese (…) in una situazione nella quale il cedente [era] stato dichiarato fallito, mirante, sotto il controllo della competente autorità giudiziaria, alla liquidazione dei beni del cedente» (28), salva restando tuttavia la facoltà degli Stati membri di applicare a siffatto trasferimento, in modo autonomo, i principi di tale direttiva (29). La Corte ha precisato che la direttiva 77/187 era cionondimeno applicabile ad un trasferimento di impresa avvenuto nell’ambito di un procedimento di sospensione di pagamento che si svolgeva «in una fase anteriore al fallimento, che comportava un controllo del giudice di portata più limitata e inteso in primo luogo alla salvaguardia del patrimonio ed eventualmente al proseguimento, in futuro, dell’attività dell’impresa» (30).
44. La Corte ha quindi specificato che, tenuto conto delle differenze nazionali tra i sistemi giuridici degli Stati membri, il criterio relativo al raggio del controllo esercitato dal giudice sul procedimento non consentiva, da solo, di determinare l’ambito di applicazione della direttiva 77/187 (31). Essa ha affermato che, di conseguenza, il criterio determinante da seguire per accertare l’applicabilità della direttiva 77/187 ad un trasferimento di un’impresa avvenuto nell’ambito di un procedimento amministrativo o giudiziario era quello dell’obiettivo perseguito dal procedimento in questione (32). Su tale base, essa ha ritenuto che il trasferimento avvenuto nell’ambito di un procedimento mirante alla liquidazione dei beni del debitore per soddisfare collettivamente i creditori fosse escluso dall’ambito di applicazione della direttiva 77/187 e che, per contro, il trasferimento che avviene nell’ambito di un procedimento, la cui «finalità [stava] anzitutto» nell’assicurare la continuazione dell’esercizio dell’impresa, rientrasse nell’ambito di applicazione di tale direttiva (33).
45. La Corte ha successivamente confermato tale criterio e ha specificato che, nella misura in cui il procedimento in questione mirava a favorire la prosecuzione dell’attività dell’impresa nella prospettiva di una futura ripresa e, contrariamente a quanto avviene con i procedimenti di fallimento, non implicava alcun controllo giudiziario o provvedimento di amministrazione del patrimonio dell’impresa, né una sospensione dei pagamenti, l’obiettivo economico e sociale perseguito non poteva spiegare né giustificare il fatto che, allorché l’impresa interessata costituisce oggetto di un trasferimento totale o parziale, «i suoi lavoratori vengano privati dei diritti che [la direttiva 77/187] conferisce loro» (34).
46. Infine, al criterio dell’obiettivo perseguito dal procedimento in questione, la Corte ha aggiunto il criterio sussidiario della considerazione «delle modalità della procedura». In tal senso, essa ha dichiarato che «[occorreva] tuttavia tenere anche conto delle modalità [di tale procedura] – accertando segnatamente se esse implichino o meno la prosecuzione dell’impresa – nonché delle finalità della direttiva 77/187» (35).
47. È alla luce di tali principi giurisprudenziali, elaborati dalla Corte e codificati all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23, che deve essere interpretata l’eccezione contenuta in tale disposizione.
2. Interpretazione dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23
48. Dopo la codificazione dei principi giurisprudenziali menzionati ai paragrafi precedenti all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23, la Corte ha interpretato, per la prima volta, tale disposizione nella sentenza del 22 giugno 2017, Federatie Nederlandse Vakvereniging e a. (36). In tale sentenza, la Corte si è pronunciata sull’applicabilità della direttiva 2001/23 ad un trasferimento di impresa avvenuto a seguito di una dichiarazione di fallimento nel contesto di un pre-pack previsto dal diritto olandese, preparato anteriormente a tale dichiarazione (37).
49. In tale contesto, la Corte ha ricordato, in primo luogo, che risulta dal considerando 3 della direttiva 2001/23 che quest’ultima mira a tutelare i lavoratori, in particolare assicurando il mantenimento dei loro diritti in caso di cambiamento d’imprenditore. A tal fine, da un lato, l’articolo 3, paragrafo 1, primo comma, di tale direttiva prevede che i diritti e gli obblighi che risultano per il cedente da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento sono, in conseguenza di tale trasferimento, trasferiti al cessionario. Dall’altro, l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2001/23 protegge i lavoratori da ogni licenziamento deciso dal cedente o dal cessionario sulla sola base di detto trasferimento. La Corte ha parimenti ricordato che, in deroga a ciò, l’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23 stabilisce che il regime di tutela di cui agli articoli 3 e 4 della medesima non si applica ai trasferimenti d’imprese avvenuti alle condizioni precisate in tale disposizione, a meno che gli Stati membri non dispongano diversamente (38).
50. La Corte, in secondo luogo, ha verificato se il procedimento di cui a tale causa soddisfaceva i requisiti previsti all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23. Pertanto, dopo aver constatato che, secondo la normativa nazionale, l’operazione di pre-pack era preparata prima della dichiarazione di fallimento, ma era attuata successivamente a quest’ultimo, e che, pertanto, tale operazione poteva rientrare nella nozione di «procedura fallimentare» ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23, la Corte ha cionondimeno ritenuto che, nella misura in cui tale operazione aveva come obiettivo principale la salvaguardia dell’impresa in fallimento, essa non soddisfacesse il requisito, secondo il quale la procedura in questione deve essere aperta per la liquidazione dei beni del cedente. A tal riguardo, la Corte ha specificato che il semplice fatto che detta operazione di pre-pack possa anche mirare a massimizzare la soddisfazione dei creditori non era atto a trasformarla in una procedura aperta al fine di liquidare i beni del cedente, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23. La Corte ha parimenti ritenuto che, nell’ambito di tale operazione, il fatto che non fosse esercitato alcun controllo da parte di un’autorità pubblica sul curatore designato e sul giudice-commissario designato, non soddisfacesse il requisito del controllo di un’autorità pubblica enunciato all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23 (39).
51. Alla luce di tali elementi, la Corte ha dichiarato che una siffatta operazione di pre-pack non soddisfa tutti i requisiti previsti a tale disposizione e che, di conseguenza, non è consentito derogare al regime di tutela previsto agli articoli 3 e 4 della direttiva 2001/23 (40).
52. Così facendo, la Corte ha confermato i criteri interpretativi elaborati nella sua giurisprudenza precedente (41), adeguandoli al contempo alle specificità dell’operazione di pre-pack di diritto olandese in questione, segnatamente per quanto attiene al grado del controllo pubblico (42) e all’obiettivo perseguito dalla procedura in questione, fermo restando che quest’ultimo viene considerato dalla Corte il criterio principale, mentre essa non ha tenuto conto, nell’ambito di tale procedura, del criterio sussidiario concernente le modalità di tale operazione (43).
3. Applicabilità del regime di protezione dei lavoratori previsto agli articoli 3 e 4 della direttiva 2001/23 in caso di trasferimento di un’impresa, il quale avvenga nell’ambito di una procedura di riorganizzazione giudiziale mediante cessione soggetta a controllo giudiziario
53. Alla luce delle suesposte considerazioni, procedo adesso a verificare se il trasferimento di un’impresa, il quale avvenga nell’ambito di una procedura di riorganizzazione giudiziale mediante cessione soggetta a controllo giudiziario, come quella di cui al procedimento principale, rientri o meno nell’eccezione di cui all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23 e, di conseguenza, se il regime di protezione dei lavoratori, previsto agli articoli 3 e 4 di tale direttiva, si applichi o meno ad una siffatta situazione. Occorre dunque verificare se la procedura di cui al procedimento principale soddisfi i requisiti cumulativi dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23 (44).
54. A tal riguardo, occorre ricordare che tale disposizione, poiché rende inapplicabile, in linea di principio, il regime di tutela dei lavoratori nel caso di determinati trasferimenti d’impresa e si discosta così dall’obiettivo principale alla base della direttiva 2001/23, deve necessariamente essere oggetto di una interpretazione restrittiva (45).
a) Osservazioni preliminari
55. Nessuna delle parti nel procedimento principale ha sostenuto che la procedura di riorganizzazione giudiziale mediante cessione soggetta a controllo giudiziario poteva essere considerata una procedura fallimentare (46). Cionondimeno, la Prefaco fa valere che la procedura prevista dalla WCO sarebbe una «difesa provvisoria a fronte del fallimento» e che esisterebbe una somiglianza estremamente forte fra quest’ultima e la procedura di cui al procedimento principale.
56. Il governo belga fa valere che la procedura di riorganizzazione giudiziale mediante cessione soggetta a controllo giudiziario figura esplicitamente fra le procedure di liquidazione menzionate per il Belgio all’allegato B del regolamento (CE) n. 1346/2000 (47) e che, poiché la natura di siffatta procedura è stata stabilita in tale allegato, detta procedura rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23.
57. Non condivido tale posizione. A mio avviso, non è determinante, ai fini della sua eventuale qualificazione come procedura di liquidazione, che la procedura di cui al procedimento principale sia menzionata all’allegato B del regolamento n. 1346/2000.
58. A tal riguardo, occorre ricordare, in primo luogo, che le norme sulla competenza giudiziaria e la legge applicabile previste dalle disposizioni di diritto internazionale privato dell’Unione non pregiudicano affatto le disposizioni nazionali di diritto sostanziale. Il regolamento n. 1346/2000 fa parte del contesto normativo, di cui l’Unione si è dotata per sviluppare una cooperazione giudiziaria nella materia civile e commerciale avente un’implicazione transfrontaliera, mentre la direttiva 2001/23 armonizza disposizioni di diritto sostanziale e si applica, in linea di principio, nei confronti di tutti i trasferimenti di imprese. Per questo motivo, tale direttiva istituisce uno «standard universale» di protezione per i lavoratori nell’ambito di un trasferimento di impresa all’interno dell’Unione (48). In secondo luogo, se una procedura di insolvenza o di liquidazione figura all’allegato A o B del regolamento n. 1346/2000, si deve ritenere che essa rientri nell’ambito di applicazione di tale regolamento e che configuri, di conseguenza, una situazione di insolvenza o di liquidazione unicamente «ai fini dell’applicazione del regolamento stesso» (49).
59. Nella specie, come risulta dal paragrafo 7 delle presenti conclusioni, fintantoché il tribunale non abbia statuito sull’istanza di riorganizzazione giudiziale, il debitore non può essere dichiarato fallito e, nel caso di una società, quest’ultima non può essere oggetto di liquidazione giudiziale. Di conseguenza, alla luce della giurisprudenza esaminata ai paragrafi da 42 a 51 delle presenti conclusioni, una siffatta procedura, la quale può sfociare nel fallimento, senza che una siffatta conseguenza sia tuttavia sistematica, non soddisfa il requisito, secondo il quale il cedente deve essere oggetto di una procedura fallimentare o di una procedura analoga (50) e, pertanto, non può rientrare nella nozione di «procedura fallimentare» ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23 (51).
60. Verificherò adesso se la procedura di cui al procedimento principale soddisfi il requisito previsto all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23.
b) Il cedente deve essere oggetto di una procedura fallimentare o di una procedura di insolvenza analoga aperta in vista della liquidazione dei beni del cedente
61. L’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23 prescrive che il cedente sia oggetto di una procedura fallimentare o di un’analoga procedura d’insolvenza aperta al fine di liquidare i suoi beni. A tale riguardo, come risulta dalla giurisprudenza della Corte, una procedura che miri al proseguimento dell’attività dell’impresa interessata non soddisfa tale condizione (52).
62. Per quanto riguarda le differenze tra questi due tipi di procedura, la Corte ha dichiarato che una procedura è intesa al proseguimento dell’attività allorché essa mira a salvaguardare l’operatività dell’impresa o delle sue unità economicamente sostenibili. Al contrario, una procedura intesa alla liquidazione dei beni mira a massimizzare la soddisfazione collettiva dei creditori. Sebbene non sia escluso che possa esistere una certa sovrapposizione tra questi due obiettivi perseguiti da una data procedura, l’obiettivo principale di una procedura mirante al proseguimento dell’attività dell’impresa rimane comunque la salvaguardia dell’impresa interessata (53).
63. Al fine di stabilire se, nella specie, il cedente sia stato oggetto di una procedura fallimentare o di un’analoga procedura d’insolvenza aperta in vista della liquidazione dei beni del cedente, occorre tenere conto dei seguenti elementi.
64. In primo luogo, emerge dalle osservazioni scritte del governo belga che, secondo l’articolo 23 della WCO, la procedura di riorganizzazione giudiziale è aperta non appena la continuità dell’impresa è minacciata. Ai sensi di tale disposizione, si presume che una siffatta continuità sia in ogni caso minacciata qualora le perdite abbiano ridotto l’attivo netto a meno della metà del capitale sociale. In conformità all’articolo 16 della WCO, tale procedura mira a garantire, sotto il controllo del giudice, «la continuità in tutto o in parte dell’impresa in difficoltà o delle sue attività». Essa consente di accordare una sospensione di diversi mesi al datore di lavoro, la cui impresa sia riconosciuta «in difficoltà», ai sensi di tale legislazione, al fine o di permettere di pervenire ad una composizione amichevole o di ottenere l’accordo dei creditori su un piano di riorganizzazione o di consentire il trasferimento soggetto a controllo giudiziario, come quello di cui al procedimento principale. Inoltre, come risulta dall’articolo 22 della WCO, tale sospensione consente al datore di lavoro di riorganizzarsi essendo al contempo protetto dalle misure di esecuzione adottate dai suoi creditori, e segnatamente da una dichiarazione di fallimento della sua società (54).
65. In secondo luogo, occorre sottolineare che il giudice del rinvio indica che, in conformità all’articolo 59, paragrafo 1, primo comma, della WCO, la procedura di riorganizzazione giudiziale mediante cessione soggetta a controllo giudiziario riguarda il trasferimento della «totalità o di una parte dell’impresa o delle sue attività» e che tale trasferimento può essere disposto da un tribunale «al fine di garantire [il] mantenimento [di dette attività] qualora il debitore vi acconsenta nella sua istanza di riorganizzazione giudiziale o successivamente nel corso del procedimento» (55).
66. In terzo ed ultimo luogo, occorre constatare, come rilevato dal giudice del rinvio, che, nella specie, è evidente che il rechtbank van koophandel te Hasselt (tribunale del commercio di Hasselt) ha ordinato la cessione soggetta a controllo giudiziario al fine di conservare in tutto o in parte l’impresa Echo o le sue attività, in conformità al dettato dell’articolo 59, paragrafo 1, primo comma, della WCO.
67. Pertanto, concludo che si deve ritenere che una siffatta procedura abbia come obiettivo principale la salvaguardia della totalità o di una parte dell’impresa in difficoltà e che non possa pertanto rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23, in conformità alla giurisprudenza menzionata ai paragrafi 44 e 50 delle presenti conclusioni.
c) La procedura fallimentare o la procedura di insolvenza analoga deve svolgersi sotto il controllo di un’autorità pubblica
68. Per quanto riguarda il terzo requisito previsto all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23, rilevo che si evince dal fascicolo sottoposto alla Corte che, in conformità all’articolo 60 della WCO, la sentenza che dispone il trasferimento designa un commissario giudiziale incaricato di organizzare e realizzare il trasferimento «in nome e per conto del debitore» (56). In tali circostanze, ritengo che un tale controllo di una portata più limitata non possa soddisfare il requisito del controllo di una siffatta autorità enunciato all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23 (57).
69. Dalle considerazioni svolte finora consegue che una procedura di riorganizzazione giudiziale mediante cessione soggetta a controllo giudiziario, come quella di cui al procedimento principale, non soddisfa tutti i requisiti previsti all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare, e che, pertanto, non è possibile derogare al regime di protezione risultante dagli articoli 3 e 4 di tale direttiva.
D. Sulla facoltà per il cessionario di scegliere i lavoratori che intende riassumere alla luce degli articoli 3 e 4 della direttiva 2001/23
70. Emerge dalla decisione di rinvio che, ai sensi dell’articolo 61, paragrafo 4, della WCO, il cessionario può scegliere i lavoratori che intende riassumere, sempreché la sua scelta, da un lato, sia dettata da motivi economici, tecnici o d’organizzazione e, dall’altro, non configuri una disparità di trattamento vietata. Alla luce di tale disposizione, si pone la questione se gli articoli 3 e 4 della direttiva 2001/23 consentano al cessionario di scegliere, come risulta dall’articolo 61, paragrafo 4, della WCO, i lavoratori che questi intende riassumere.
71. Per rispondere a tale questione, occorre anzitutto rammentare, come dichiarato a più riprese dalla Corte, che la direttiva 2001/23 mira ad assicurare il mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di cambiamento d’imprenditore, permettendo loro di restare al servizio del nuovo datore di lavoro alle stesse condizioni di quelle pattuite con il cedente (58). Lo scopo di tale direttiva è quello di garantire, per quanto possibile, la continuazione dei contratti o dei rapporti di lavoro, senza modifiche, col cessionario, onde impedire che i lavoratori interessati si trovino in una situazione meno favorevole per il solo fatto del trasferimento (59). Inoltre, come già dichiarato dalla Corte, dato che questa tutela ha carattere inderogabile ed è pertanto sottratta alla disponibilità delle parti del contratto di lavoro, le norme della direttiva, ed in particolare quelle relative alla protezione dei lavoratori contro il licenziamento a causa del trasferimento, vanno ritenute imperative, nel senso che non è consentito derogarvi in senso sfavorevole ai lavoratori (60).
72. Ciò detto, occorre parimenti rammentare che, come si ricava dagli stessi termini dell’articolo 3, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2001/23, la tutela che tale direttiva mira a garantire riguarda soltanto i lavoratori che hanno un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento (61). Di conseguenza, salvo specifica disposizione contraria, «il godimento dei diritti previsti dalla direttiva 2001/23 può essere fatto valere unicamente dai lavoratori il cui contratto o rapporto di lavoro sia in corso alla data del trasferimento. L’esistenza o meno di un contratto o di un rapporto di lavoro in corso a tale data deve essere valutata con riguardo al diritto nazionale, ferma restando, tuttavia, l’osservanza delle norme imperative previste da detta direttiva in ordine alla tutela dei lavoratori contro il licenziamento a causa del trasferimento» (62).
73. Nella specie, il giudice del rinvio rileva, da un lato, che la data del trasferimento è stata fissata al 22 aprile 2013 (63) e, dall’altro, che il contratto di lavoro della sig.ra Plessers è terminato il 24 aprile 2013. Tale giudice sottolinea che «è pacifico che, alla data del trasferimento (il 22 aprile 2013), la sig.ra Plessers era vincolata [al cedente (Echo)] da un contratto di lavoro». Esso precisa parimenti che i commissari giudiziali hanno risolto il contratto di lavoro con la sig.ra Plessers il 24 aprile 2013. Pertanto, la sig.ra Plessers deve essere considerata una dipendente del cedente alla data del trasferimento, con la conseguenza, in particolare, che, ai sensi dell’articolo 3 della direttiva 2001/23, le obbligazioni del datore di lavoro cedente (Echo) nei suoi confronti sono trasferite ipso iure al cessionario (Prefaco) (64).
74. Per quanto attiene alla tutela prevista all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2001/23, risulta da tale disposizione, da un lato, che il trasferimento di un’impresa non è di per sé motivo di licenziamento da parte del cedente o del cessionario, e, dall’altro, che detta disposizione non pregiudica i licenziamenti che possano aver luogo per motivi economici, tecnici o d’organizzazione che comportino variazioni sul piano dell’occupazione (65).
75. A tal riguardo, occorre ricordare, come già dichiarato dalla Corte, che, per stabilire se il licenziamento sia stato motivato dal solo fatto del trasferimento, in contrasto con l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2001/23, si devono prendere in considerazione le circostanze oggettive in cui il licenziamento è avvenuto (66). In tal senso, in un caso come quello di specie, emerge dai paragrafi 15 e 73 delle presenti conclusioni che il licenziamento in questione è divenuto efficace due giorni dopo la data del trasferimento.
76. Si evince parimenti dalla giurisprudenza della Corte che non è sufficiente dimostrare che la risoluzione del contratto di lavoro è dovuta a motivi economici, tecnici o d’organizzazione. Deve parimenti essere dimostrato che tali motivi non risultano direttamente dal trasferimento di impresa, in violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2001/23. In altri termini, deve essere dimostrato che il licenziamento in questione è stato motivato da circostanze addizionali, che si aggiungono a detto trasferimento. Sono dunque tali «circostanze addizionali» che sono idonee ad essere qualificate come «motivi economici, tecnici o d’organizzazione» ai sensi di detto articolo 4, paragrafo 1 (67).
77. Per contro, secondo l’articolo 61, paragrafo 4, della WCO, spetterebbe al solo cessionario scegliere i lavoratori che egli intende riassumere o meno, anche se tale scelta deve essere effettuata sulla base di motivi economici, tecnici e d’organizzazione. Una limitazione a priori della portata di tale scelta non sembrerebbe essere imposta dalla legislazione nazionale. Orbene, come osservato correttamente dalla Commissione, incomberebbe al giudice nazionale garantire l’effetto utile della direttiva 2001/23. Pertanto, il giudice nazionale dovrebbe essere esso stesso in grado di valutare la necessità dei licenziamenti per motivi economici, tecnici o d’organizzazione, il che non sembra avvenire nel caso di specie. Esso sarebbe in grado di farlo soltanto se informato in maniera esaustiva, da tutte le parti interessate dal trasferimento di impresa, dei motivi giustificativi. La mera volontà di ridurre i costi di una rilevazione di impresa o di prevenire o limitare i problemi finanziari non può pertanto essere accettata quale motivo giustificativo (68). Permettere al cessionario di scegliere i lavoratori che intende riassumere svuoterebbe gli articoli 3 e 4 della direttiva 2001/23 della loro sostanza. Infatti, le procedure che non rientrano nel regime di tutela di tale direttiva sono le procedure fallimentari o di insolvenza intese alla liquidazione dei beni del cedente, le quali rientrano, in linea di principio, della direttiva 2008/94. Per contro, poiché l’obiettivo della procedura in questione è la continuità dell’impresa, tale procedura non ricade nell’eccezione dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23 e, di conseguenza, la possibilità, per il cessionario di scegliere i lavoratori è contraria agli articoli 3 e 4 di tale direttiva e dunque all’effetto utile della medesima.
78. Pertanto, ritengo che la direttiva 2001/23, e segnatamente gli articoli 3 e 4, debba essere interpretata nel senso che essa osta ad una legislazione nazionale, come quella di cui al procedimento principale, la quale, in caso di cessione di un’impresa avvenuta nell’ambito di una procedura di riorganizzazione giudiziale mediante cessione soggetta a controllo giudiziario utilizzata al fine di conservare in tutto o in parte l’impresa cedente o le sue attività, preveda, per il cessionario, il diritto di scegliere i lavoratori che intende riassumere.
V. Conclusione
79. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere nei seguenti termini all’arbeidshof te Antwerpen (Corte del lavoro di Anversa, Belgio):
1) L’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti, deve essere interpretato nel senso che una procedura di riorganizzazione giudiziale mediante cessione soggetta a controllo giudiziario, come quella di cui al procedimento principale, non soddisfa tutti i requisiti enunciati in tale disposizione, cosicché non è possibile derogare al regime di protezione previsto agli articoli 3 e 4 di tale direttiva.
2) La direttiva 2001/23, e segnatamente gli articoli 3 e 4, deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una legislazione nazionale, come quella di cui al procedimento principale, la quale, in caso di cessione di un’impresa avvenuta nell’ambito di una procedura di riorganizzazione giudiziale mediante cessione soggetta a controllo giudiziario utilizzata al fine di conservare in tutto o in parte l’impresa cedente o le sue attività, preveda, per il cessionario, il diritto di scegliere i lavoratori che intende riassumere.