Language of document : ECLI:EU:C:2019:50

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MACIEJ SZPUNAR

presentate il 23 gennaio 2019 (1)

Causa C509/17

Christa Plessers

contro

PREFACO NV,

Belgische Staat

[domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dall’arbeidshof te Antwerpen (Corte del lavoro di Anversa, Belgio)]

«Rinvio pregiudiziale – Direttiva 2001/23/CE – Articoli da 3 a 5 – Trasferimenti di imprese – Mantenimento dei diritti dei lavoratori – Eccezioni – Procedura di insolvenza – Procedura di riorganizzazione giudiziale mediante trasferimento soggetto a controllo giudiziario – Salvaguardia totale o parziale dell’impresa – Legislazione nazionale che autorizza il cessionario, dopo il trasferimento, a riassumere i lavoratori di sua scelta»






I.      Introduzione

1.        Nella presente causa, l’arbeidshof te Antwerpen (Corte del lavoro di Anversa, Belgio) ha deferito alla Corte una questione pregiudiziale relativa all’interpretazione degli articoli da 3 a 5 della direttiva 2001/23/CE (2).

2.        Tale questione è stata presentata nell’ambito di una controversia sorta fra la sig.ra Christa Plessers e la Prefaco NV, una società avente la propria sede in Belgio, in merito alla legittimità del licenziamento di cui la sig.ra Plessers è stata oggetto.

3.        L’esame di tale questione porterà la Corte ad analizzare, per la seconda volta, l’applicabilità dell’eccezione prevista all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23 ad una procedura nazionale di ristrutturazione d’impresa. Più specificamente, la Corte è chiamata ad esaminare, alla luce di tale disposizione, il trasferimento di un’impresa avvenuto nell’ambito di una «procedura di riorganizzazione giudiziale mediante cessione soggetta a controllo giudiziario». Qualora la Corte ritenga che tale procedura non rientri nell’eccezione prevista all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23, essa dovrà pronunciarsi, nell’ottica del regime di protezione previsto a favore dei lavoratori dagli articoli 3 e 4 di tale direttiva, sulla possibilità, per il cessionario, riconosciutagli dalla legislazione nazionale, di scegliere i lavoratori che egli intende riassumere in occasione del trasferimento.

II.    Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

4.        L’articolo 3 della direttiva 2001/23 prevede quanto segue:

«1.      I diritti e gli obblighi che risultano per il cedente da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento sono, in conseguenza di tale trasferimento, trasferiti al cessionario.

(…)».

5.        L’articolo 4, paragrafo 1, di tale direttiva stabilisce quanto segue:

«1.      Il trasferimento di un’impresa, di uno stabilimento o di una parte di impresa o di stabilimento non è di per sé motivo di licenziamento da parte del cedente o del cessionario. Tale dispositivo non pregiudica i licenziamenti che possono aver luogo per motivi economici, tecnici o d’organizzazione che comportano variazioni sul piano dell’occupazione.

Gli Stati membri possono prevedere che il primo comma non si applichi a talune categorie delimitate di lavoratori non coperti dalla legislazione o dalla prassi degli Stati membri in materia di tutela contro il licenziamento».

6.        L’articolo 5, paragrafo 1, di detta direttiva così recita:

«1.      A meno che gli Stati membri dispongano diversamente, gli articoli 3 e 4 non si applicano ad alcun trasferimento di imprese, stabilimenti o parti di imprese o di stabilimenti nel caso in cui il cedente sia oggetto di una procedura fallimentare o di una procedura di insolvenza analoga aperta in vista della liquidazione dei beni del cedente stesso e che si svolgono sotto il controllo di un’autorità pubblica competente (che può essere il curatore fallimentare autorizzato da un’autorità pubblica competente)».

B.      Normativa belga

7.        L’articolo 22 della wet betreffende de continuïteit van de ondernemingen (legge relativa alla continuità delle imprese) (3), del 31 gennaio 2009 (in prosieguo: la «WCO»), dispone quanto segue:

«Fintantoché il tribunale non abbia statuito sull’istanza di riorganizzazione giudiziale, indipendentemente dal fatto che l’azione sia stata proposta oppure l’esecuzione sia stata avviata prima o dopo il deposito dell’istanza:

–        il debitore non può essere dichiarato fallito e, nel caso di una società, quest’ultima non può allo stesso modo essere sottoposta a liquidazione giudiziale;

–        non può avere luogo alcuna realizzazione di beni mobili o immobili del debitore a seguito dell’esercizio di un mezzo di esecuzione».

8.        L’articolo 60 della WCO prevede quanto segue:

«La sentenza che dispone il trasferimento designa un commissario giudiziale incaricato di organizzare ed effettuare il trasferimento in nome e per conto del debitore. Essa determina l’oggetto del trasferimento o lo lascia al potere discrezionale del commissario giudiziale (…)».

9.        L’articolo 61, paragrafo 4, della WCO così dispone:

«La scelta dei lavoratori da riassumere spetta al cessionario. Tale scelta deve essere dettata da motivi economici, tecnici e d’organizzazione e non deve configurare una disparità di trattamento vietata, in particolare sulla base dell’attività esercitata in veste di rappresentante del personale nell’impresa o nella parte di impresa trasferita.

L’assenza di disparità di trattamento vietata a tal riguardo si considera accertata se la percentuale di lavoratori o di loro rappresentanti che erano attivi nell’impresa o nella parte di impresa trasferita e che sono scelti dal cessionario è rispettata nel numero totale di lavoratori scelti».

III. Fatti, questione pregiudiziale e procedimento dinanzi alla Corte

10.      La sig.ra Plessers lavorava dal 17 agosto 1992 presso la società Echo NV a Houthalen‑Helchteren (Belgio) quale direttrice della contabilità di gestione.

11.      Il 23 aprile 2012, su domanda della Echo, il rechtbank van koophandel te Hasselt (Tribunale del commercio di Hasselt, Belgio) ha avviato una procedimento di riorganizzazione giudiziale finalizzata ad una procedura di conciliazione ai sensi della WCO. A tale società veniva accordata una sospensione fino al 23 ottobre 2012 compreso. La sospensione è stata successivamente prorogata fino al 22 aprile 2013 compreso.

12.      Il 19 febbraio 2013, prima della scadenza di tale termine, il rechtbank van koophandel te Hasselt (Tribunale del commercio di Hasselt) ha accolto la domanda proposta dalla Echo intesa a trasformare il trasferimento consensuale in un trasferimento soggetto a controllo giudiziario.

13.      Il 22 aprile 2013, il rechtbank van koophandel te Hasselt (Tribunale del commercio di Hasselt) ha autorizzato i commissari giudiziali a procedere al trasferimento dei beni mobili e immobili alla Prefaco, una delle due società che si erano candidate per rilevare la Echo. Nella sua proposta, la Prefaco si era offerta di riassumere 164 lavoratori, ossia circa due terzi dell’organico della Echo. L’accordo di trasferimento è stato firmato il 22 aprile 2013. L’allegato 9 di tale accordo conteneva l’elenco dei lavoratori da riassumere. Il nome della sig.ra Plessers non compare in tale elenco.

14.      Inoltre, detto accordo prevede, quale data del trasferimento, «due giorni lavorativi successivi alla data della sentenza di autorizzazione» del rechtbank van koophandel te Hasselt (Tribunale del commercio di Hasselt).

15.      Il 23 aprile 2013, la Prefaco ha contattato telefonicamente i lavoratori interessati dal trasferimento, pregandoli di presentarsi il giorno successivo al fine di esercitare le loro funzioni. Il 24 aprile 2013, la Prefaco ha confermato tale trasferimento per iscritto. Analogamente, i lavoratori che non sono stati assunti sono stati contattati telefonicamente e, con lettera del 24 aprile 2013, sono stati informati dai commissari giudiziali del fatto che non erano stati assunti dalla Prefaco. Il tenore di tale lettera era il seguente:

«La presente lettera vale come notifica ufficiale ai sensi dell’articolo 64, paragrafo 2, della WCO. Le attività della [Echo] cessano a partire dal 22 aprile 2013. Poiché Lei non è stata riassunta dai summenzionati cessionari, la presente lettera deve essere considerata come un recesso contrattuale da parte del Suo datore di lavoro, la [Echo]. Quale eventuale creditore della [Echo], è opportuno che Lei presenti il credito presso i sottoscritti commissari giudiziali (…)».

16.      I commissari giudiziali hanno parimenti rilasciato alla sig.ra Plessers un modulo, il quale indicava la data del 23 aprile 2013 come data di cessazione del contratto.

17.      La sig.ra Plessers ha affermato che la Prefaco aveva iniziato a gestire lo stabilimento sito a Houthalen‑Helchteren a partire dal 22 aprile 2013, data alla quale il rechtbank van koophandel te Hasselt (Tribunale del commercio di Hasselt) ha pronunciato la propria sentenza; circostanza che è stata contestata dalla Prefaco.

18.      In una lettera del 7 maggio 2013, la sig.ra Plessers ha intimato alla Prefaco di assumerla.

19.      La Prefaco ha risposto con lettera del 16 maggio 2013, richiamando l’applicazione dell’articolo 61, paragrafo 4, della WCO, il quale conferisce al cessionario il diritto di scegliere i lavoratori che intende riassumere o meno, sempreché, da un lato, siffatta scelta sia dettata da motivi economici, tecnici o d’organizzazione e, dall’altro, che non sussista una disparità di trattamento vietata. La Prefaco ha parimenti fatto riferimento, segnatamente, all’assenza di qualsivoglia obbligo ad essa incombente quanto alla riassunzione della sig.ra Plessers successivamente alla risoluzione del contratto di lavoro concluso con la Echo.

20.      Non essendo stato raggiunto un accordo, con atto dell’11 aprile 2014, la sig.ra Plessers ha proposto un ricorso dinanzi all’arbeidsrechtbank te Antwerpen (Tribunale del lavoro di Anversa, Belgio).

21.      Inoltre, il 24 luglio 2015, la sig.ra Plessers ha chiesto l’intervento coatto dello Stato belga.

22.      Con sentenza del 23 maggio 2016, l’arbeidsrechtbank te Antwerpen (Tribunale del lavoro di Anversa) ha dichiarato infondate tutte le domande della sig.ra Plessers e l’ha condannata a sostenere la totalità delle spese. La sig.ra Plessers ha interposto appello avverso tale sentenza dinanzi all’arbeidshof te Antwerpen, afdeling Hasselt (Corte del lavoro di Anversa, Sezione di Hasselt, Belgio).

23.      È in tali circostanze che l’arbeidshof te Antwerpen, afdeling Hasselt (Corte del lavoro di Anversa, Sezione di Hasselt), con decisione del 14 agosto 2017, pervenuta presso la cancelleria della Corte il 21 agosto 2017, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se il diritto di scelta del cessionario, previsto all’articolo 61, paragrafo 4 (…) della [WCO], nella misura in cui detta “riorganizzazione giudiziale mediante cessione soggetta a controllo giudiziario” sia utilizzata al fine di conservare in tutto o in parte l’impresa cedente o le sue attività, sia compatibile con la direttiva [2001/23], segnatamente con i suoi articoli 3 e 5».

24.      Hanno presentato osservazioni scritte le parti nel procedimento principale, il governo belga, nonché la Commissione europea. All’udienza, che ha avuto luogo il 3 ottobre 2018, sono comparse per esporre oralmente le proprie tesi tutte le parti, ad eccezione della Prefaco.

IV.    Analisi

A.      Sul contenuto della questione sollevata

25.      La Prefaco sostiene, nelle sue osservazioni scritte, che la sig.ra Plessers non può invocare la direttiva 2001/23 al fine di disapplicare una disposizione legislativa nazionale chiara e che, di conseguenza, la questione sollevata è irrilevante ai fini della soluzione della controversia principale.

26.      A tal riguardo, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, se è vero, con riferimento a una controversia tra privati, che una direttiva non può di per sé creare obblighi a carico di un privato e non può, quindi, essere fatta valere in quanto tale nei suoi confronti, ciò non toglie che la Corte ha parimenti dichiarato a più riprese che l’obbligo per gli Stati membri, derivante da una direttiva, di conseguire il risultato previsto da quest’ultima così come il loro dovere di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l’adempimento di tale obbligo s’impongono a tutte le autorità degli Stati membri, comprese, nell’ambito delle loro competenze, quelle giurisdizionali. Ne consegue che, nell’applicare il diritto interno, i giudici nazionali chiamati a interpretarlo sono tenuti a prendere in considerazione l’insieme delle norme di tale diritto e ad applicare i criteri ermeneutici riconosciuti dallo stesso al fine di interpretarlo per quanto più possibile alla luce della lettera e dello scopo della direttiva di cui trattasi, onde conseguire il risultato fissato da quest’ultima (4).

27.      Ne consegue, a mio avviso, che, alla luce di tale obbligo incombente ai giudici nazionali, la questione sollevata dal giudice del rinvio è rilevante per la soluzione della controversia principale.

28.      Con la sua questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede alla Corte, in sostanza, se l’articolo 61, paragrafo 4, della WCO sia conforme agli articoli 3 e 5 della direttiva 2001/23. Con tale questione, nei termini in cui è formulata, il giudice del rinvio invita la Corte a pronunciarsi sulla compatibilità di una disposizione del diritto nazionale con il diritto dell’Unione.

29.      Ricordo che, secondo una giurisprudenza costante, il sistema di cooperazione istituito dall’articolo 267 TFUE è fondato su una netta separazione di funzioni tra i giudici nazionali e la Corte. Nell’ambito di un procedimento instaurato in forza di tale articolo, l’interpretazione delle disposizioni nazionali incombe ai giudici degli Stati membri e non alla Corte, e non spetta a quest’ultima pronunciarsi sulla compatibilità di norme di diritto interno con le disposizioni del diritto dell’Unione. Per contro, la Corte è competente a fornire al giudice nazionale tutti gli elementi interpretativi attinenti al diritto dell’Unione che consentiranno a detto giudice di valutare la compatibilità di norme di diritto interno con la normativa dell’Unione. Se è vero che, come ho appena sottolineato, il tenore letterale della questione sollevata in via pregiudiziale dal giudice del rinvio invita la Corte a pronunciarsi sulla compatibilità di una disposizione di diritto interno con il diritto dell’Unione, nulla impedisce alla Corte di dare una risposta utile al giudice del rinvio fornendogli gli elementi di interpretazione attinenti al diritto dell’Unione che consentiranno a questo stesso giudice di statuire sulla compatibilità del diritto interno con il diritto dell’Unione (5).

30.      Ricordo parimenti che, nell’ambito di tale cooperazione fra i giudici nazionali e la Corte, quest’ultima ha il compito di interpretare tutte le norme del diritto dell’Unione che possano essere utili ai giudici nazionali al fine di dirimere le controversie di cui sono investiti, anche qualora tali norme non siano espressamente indicate nelle questioni a essa sottoposte da detti giudici (6).

31.      Di conseguenza, anche se, sul piano formale, il giudice del rinvio ha limitato la propria questione all’interpretazione dei soli articoli 3 e 5 della direttiva 2001/23, tale circostanza non osta a che la Corte fornisca a detto giudice tutti gli elementi di interpretazione del diritto dell’Unione che possano essergli utili per dirimere la controversia ad esso sottoposta, indipendentemente dal fatto che tale giudice vi abbia fatto o no riferimento nella formulazione della propria questione (7).

32.      Alla luce di tale giurisprudenza e tenuto conto degli elementi figuranti nella decisione di rinvio, mi sembra necessario che la Corte proceda ad una riformulazione della questione sottopostale. Propongo dunque di intendere la questione del giudice del rinvio nel senso che con essa si chiede, in sostanza, se la direttiva 2001/23, segnatamente i suoi articoli 3 e 4, debba essere interpretata nel senso che essa osta ad una legislazione nazionale, come quella di cui al procedimento principale, la quale, in caso di cessione di un’impresa intervenuta nell’ambito di una procedura di riorganizzazione giudiziale mediante cessione soggetta a controllo giudiziario utilizzata al fine di conservare in tutto o in parte l’impresa cedente o le sue attività, preveda, per il cessionario, il diritto di scegliere i lavoratori che intende riassumere.

33.      Per rispondere a tale questione, mi sembra essenziale esaminare, in via preliminare, la questione dell’applicabilità dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23 ai trasferimenti di impresa che hanno luogo nell’ambito di una procedura di riorganizzazione giudiziale mediante cessione soggetta a controllo giudiziario e, di conseguenza, se l’eccezione risultante da tale disposizione si applichi nel caso di specie. Infatti, soltanto qualora tale procedura non soddisfi i requisiti richiesti da tale disposizione, il mantenimento dei diritti dei lavoratori previsto, segnatamente, agli articoli 3 e 4 di tale direttiva si imporrà nell’ambito del trasferimento dell’impresa.

34.      Le parti che hanno presentato osservazioni dinanzi alla Corte hanno sostenuto posizioni contrapposte riguardo alla risposta da dare alla questione pregiudiziale.

35.      La sig.ra Plessers e la Commissione sostengono, in sostanza, che il trasferimento di cui al procedimento principale non soddisfi i requisiti di cui all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23. Esse ritengono che dalla giurisprudenza della Corte, segnatamente dalla sentenza Federatie Nederlandse Vakvereniging e a. (8), risulta che la procedura di riorganizzazione giudiziale di cui al procedimento principale sia stata avviata al fine non di indennizzare i creditori tramite la liquidazione del patrimonio, ma di proseguire le attività dell’impresa di cui trattasi. Di conseguenza, esse ritengono che tale procedura non rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23.

36.      Il governo belga e la Prefaco affermano, per contro, che la procedura di riorganizzazione giudiziale mediante cessione soggetta a controllo giudiziario deve essere considerata una procedura di liquidazione e, pertanto, che il trasferimento di cui al procedimento principale soddisfa i requisiti previsti all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23.

37.      In tali circostanze, mi sembra necessario anzitutto svolgere alcune considerazioni generali sull’evoluzione del processo di ristrutturazione delle imprese nell’Unione europea. Tali considerazioni mi sembrano utili non solo per definire il contesto normativo nel quale si iscrive la direttiva 2001/23, ma anche per comprendere il contesto del procedimento in questione. Sulla base di tali considerazioni, esaminerò poi la questione dell’applicabilità dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23, nonché le ragioni che giustificano la deroga all’eccezione prevista da tale articolo. Infine, rivolgerò il mio interesse sulla portata del regime di protezione dei diritti dei lavoratori conferita dagli articoli 3 e 4 di tale direttiva.

B.      Sull’evoluzione del processo di ristrutturazione delle imprese nell’Unione

38.      Nel 1974, in un contesto di crisi economica, il Consiglio dell’Unione europea ha adottato una risoluzione che prevedeva un insieme di misure che la Commissione si impegnava a sottoporre al Consiglio nel corso di detto anno (9). Fra tali misure figuravano due proposte di direttive intese al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri, la prima relativa ai licenziamenti collettivi (10), la seconda al mantenimento dei diritti e dei vantaggi in caso di cambiamento di proprietà delle imprese, segnatamente in caso di fusione (11). Tali direttive sono state introdotte nel corso degli anni 70 in un’ottica di protezione dei diritti dei lavoratori a fronte delle ristrutturazioni intervenute successivamente alla crisi economica dell’inizio degli anni 70 (12). Negli anni 80, è stata adottata una terza direttiva, la direttiva 80/987/CEE (13), relativa all’insolvenza del datore di lavoro, la quale completava così le direttive cosiddette «direttive ristrutturazioni». Emergeva dai considerando di ciascuna di tali direttive che le differenze sussistenti fra gli Stati membri per quanto riguarda le modalità e le procedure di licenziamenti collettivi, nonché il livello di protezione dei lavoratori in caso di ristrutturazioni o di insolvenza dei loro datori di lavoro, potevano ripercuotersi direttamente sul funzionamento del mercato comune.

39.      Nel corso degli anni 90 e all’inizio degli anni 2000, tali direttive sono state rivedute (14). Le modifiche apportate alle medesime tenevano conto della dimensione transazionale delle ristrutturazioni, rafforzando i loro meccanismi di anticipazione (15). In particolare, la direttiva 77/187 è stata in un primo momento modificata dalla direttiva 98/50/CE (16) ed è stata successivamente codificata dalla direttiva 2001/23 (17).

40.      Queste tre direttive erano intese, da un lato, a facilitare le ristrutturazioni delle imprese al fine di renderle più competitive e efficienti e, dall’altro, ad affrontare le conseguenze negative delle decisioni di ristrutturazione e a mitigare i loro effetti (18). Pertanto, tali direttive hanno contribuito ad attenuare l’impatto della recessione e le conseguenze sociali negative prodotte dalle operazioni di ristrutturazione durante la crisi (19). Occorre osservare che la Commissione ha recentemente presentato, adottando lo stesso approccio (20), una proposta di direttiva riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva intesa a rafforzare la cultura di salvaguardia delle imprese (21).

41.      Tale richiamo dell’evoluzione dei processi di ristrutturazione delle imprese tanto a livello nazionale quanto a livello dell’Unione consentirà di cogliere pienamente il contesto nel quale si inserisce la direttiva 2001/23, ai fini dell’analisi della questione pregiudiziale sottoposta dal giudice del rinvio.

C.      Sull’applicabilità dell’eccezione prevista all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23

1.      Elaborazione giurisprudenziale delleccezione

42.      La direttiva 77/187 non prevedeva originariamente un’eccezione alla sua applicazione in caso di trasferimento di impresa nell’ambito di una procedura fallimentare o di una procedura analoga. È solo con la direttiva 98/50 che una siffatta eccezione è stata introdotta nel testo della direttiva 77/187, con l’articolo 4 bis della direttiva 77/187, e che figura adesso all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23. Secondo il terzo considerando della direttiva 98/50, l’obiettivo di quest’ultima era quello di rivedere la direttiva 77/187, segnatamente «alla luce della giurisprudenza della Corte», che provvederò dunque a richiamare brevemente (22).

43.      La Corte ha elaborato tale eccezione alle garanzie previste dalla direttiva 77/187 nelle sentenze Abels (23), d’Urso e a. (24), Spano e a. (25) e Dethier Équipement (26). In un primo momento, dopo aver ricordato che l’obiettivo di tale direttiva era di impedire che la ristrutturazione nell’ambito del mercato unico si effettuasse a danno dei lavoratori (27) ed aver giustificato tale eccezione con la specificità del diritto fallimentare, la Corte ha dichiarato che la direttiva 77/187 non si applicava ai «trasferimenti di imprese (…) in una situazione nella quale il cedente [era] stato dichiarato fallito, mirante, sotto il controllo della competente autorità giudiziaria, alla liquidazione dei beni del cedente» (28), salva restando tuttavia la facoltà degli Stati membri di applicare a siffatto trasferimento, in modo autonomo, i principi di tale direttiva (29). La Corte ha precisato che la direttiva 77/187 era cionondimeno applicabile ad un trasferimento di impresa avvenuto nell’ambito di un procedimento di sospensione di pagamento che si svolgeva «in una fase anteriore al fallimento, che comportava un controllo del giudice di portata più limitata e inteso in primo luogo alla salvaguardia del patrimonio ed eventualmente al proseguimento, in futuro, dell’attività dell’impresa» (30).

44.      La Corte ha quindi specificato che, tenuto conto delle differenze nazionali tra i sistemi giuridici degli Stati membri, il criterio relativo al raggio del controllo esercitato dal giudice sul procedimento non consentiva, da solo, di determinare l’ambito di applicazione della direttiva 77/187 (31). Essa ha affermato che, di conseguenza, il criterio determinante da seguire per accertare l’applicabilità della direttiva 77/187 ad un trasferimento di un’impresa avvenuto nell’ambito di un procedimento amministrativo o giudiziario era quello dell’obiettivo perseguito dal procedimento in questione (32). Su tale base, essa ha ritenuto che il trasferimento avvenuto nell’ambito di un procedimento mirante alla liquidazione dei beni del debitore per soddisfare collettivamente i creditori fosse escluso dall’ambito di applicazione della direttiva 77/187 e che, per contro, il trasferimento che avviene nell’ambito di un procedimento, la cui «finalità [stava] anzitutto» nell’assicurare la continuazione dell’esercizio dell’impresa, rientrasse nell’ambito di applicazione di tale direttiva (33).

45.      La Corte ha successivamente confermato tale criterio e ha specificato che, nella misura in cui il procedimento in questione mirava a favorire la prosecuzione dell’attività dell’impresa nella prospettiva di una futura ripresa e, contrariamente a quanto avviene con i procedimenti di fallimento, non implicava alcun controllo giudiziario o provvedimento di amministrazione del patrimonio dell’impresa, né una sospensione dei pagamenti, l’obiettivo economico e sociale perseguito non poteva spiegare né giustificare il fatto che, allorché l’impresa interessata costituisce oggetto di un trasferimento totale o parziale, «i suoi lavoratori vengano privati dei diritti che [la direttiva 77/187] conferisce loro» (34).

46.      Infine, al criterio dell’obiettivo perseguito dal procedimento in questione, la Corte ha aggiunto il criterio sussidiario della considerazione «delle modalità della procedura». In tal senso, essa ha dichiarato che «[occorreva] tuttavia tenere anche conto delle modalità [di tale procedura] – accertando segnatamente se esse implichino o meno la prosecuzione dell’impresa – nonché delle finalità della direttiva 77/187» (35).

47.      È alla luce di tali principi giurisprudenziali, elaborati dalla Corte e codificati all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23, che deve essere interpretata l’eccezione contenuta in tale disposizione.

2.      Interpretazione dellarticolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23

48.      Dopo la codificazione dei principi giurisprudenziali menzionati ai paragrafi precedenti all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23, la Corte ha interpretato, per la prima volta, tale disposizione nella sentenza del 22 giugno 2017, Federatie Nederlandse Vakvereniging e a. (36). In tale sentenza, la Corte si è pronunciata sull’applicabilità della direttiva 2001/23 ad un trasferimento di impresa avvenuto a seguito di una dichiarazione di fallimento nel contesto di un pre-pack previsto dal diritto olandese, preparato anteriormente a tale dichiarazione (37).

49.      In tale contesto, la Corte ha ricordato, in primo luogo, che risulta dal considerando 3 della direttiva 2001/23 che quest’ultima mira a tutelare i lavoratori, in particolare assicurando il mantenimento dei loro diritti in caso di cambiamento d’imprenditore. A tal fine, da un lato, l’articolo 3, paragrafo 1, primo comma, di tale direttiva prevede che i diritti e gli obblighi che risultano per il cedente da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento sono, in conseguenza di tale trasferimento, trasferiti al cessionario. Dall’altro, l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2001/23 protegge i lavoratori da ogni licenziamento deciso dal cedente o dal cessionario sulla sola base di detto trasferimento. La Corte ha parimenti ricordato che, in deroga a ciò, l’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23 stabilisce che il regime di tutela di cui agli articoli 3 e 4 della medesima non si applica ai trasferimenti d’imprese avvenuti alle condizioni precisate in tale disposizione, a meno che gli Stati membri non dispongano diversamente (38).

50.      La Corte, in secondo luogo, ha verificato se il procedimento di cui a tale causa soddisfaceva i requisiti previsti all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23. Pertanto, dopo aver constatato che, secondo la normativa nazionale, l’operazione di pre-pack era preparata prima della dichiarazione di fallimento, ma era attuata successivamente a quest’ultimo, e che, pertanto, tale operazione poteva rientrare nella nozione di «procedura fallimentare» ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23, la Corte ha cionondimeno ritenuto che, nella misura in cui tale operazione aveva come obiettivo principale la salvaguardia dell’impresa in fallimento, essa non soddisfacesse il requisito, secondo il quale la procedura in questione deve essere aperta per la liquidazione dei beni del cedente. A tal riguardo, la Corte ha specificato che il semplice fatto che detta operazione di pre-pack possa anche mirare a massimizzare la soddisfazione dei creditori non era atto a trasformarla in una procedura aperta al fine di liquidare i beni del cedente, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23. La Corte ha parimenti ritenuto che, nell’ambito di tale operazione, il fatto che non fosse esercitato alcun controllo da parte di un’autorità pubblica sul curatore designato e sul giudice-commissario designato, non soddisfacesse il requisito del controllo di un’autorità pubblica enunciato all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23 (39).

51.      Alla luce di tali elementi, la Corte ha dichiarato che una siffatta operazione di pre-pack non soddisfa tutti i requisiti previsti a tale disposizione e che, di conseguenza, non è consentito derogare al regime di tutela previsto agli articoli 3 e 4 della direttiva 2001/23 (40).

52.      Così facendo, la Corte ha confermato i criteri interpretativi elaborati nella sua giurisprudenza precedente (41), adeguandoli al contempo alle specificità dell’operazione di pre-pack di diritto olandese in questione, segnatamente per quanto attiene al grado del controllo pubblico (42) e all’obiettivo perseguito dalla procedura in questione, fermo restando che quest’ultimo viene considerato dalla Corte il criterio principale, mentre essa non ha tenuto conto, nell’ambito di tale procedura, del criterio sussidiario concernente le modalità di tale operazione (43).

3.      Applicabilità del regime di protezione dei lavoratori previsto agli articoli 3 e 4 della direttiva 2001/23 in caso di trasferimento di unimpresa, il quale avvenga nellambito di una procedura di riorganizzazione giudiziale mediante cessione soggetta a controllo giudiziario

53.      Alla luce delle suesposte considerazioni, procedo adesso a verificare se il trasferimento di un’impresa, il quale avvenga nell’ambito di una procedura di riorganizzazione giudiziale mediante cessione soggetta a controllo giudiziario, come quella di cui al procedimento principale, rientri o meno nell’eccezione di cui all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23 e, di conseguenza, se il regime di protezione dei lavoratori, previsto agli articoli 3 e 4 di tale direttiva, si applichi o meno ad una siffatta situazione. Occorre dunque verificare se la procedura di cui al procedimento principale soddisfi i requisiti cumulativi dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23 (44).

54.      A tal riguardo, occorre ricordare che tale disposizione, poiché rende inapplicabile, in linea di principio, il regime di tutela dei lavoratori nel caso di determinati trasferimenti d’impresa e si discosta così dall’obiettivo principale alla base della direttiva 2001/23, deve necessariamente essere oggetto di una interpretazione restrittiva (45).

a)      Osservazioni preliminari

55.      Nessuna delle parti nel procedimento principale ha sostenuto che la procedura di riorganizzazione giudiziale mediante cessione soggetta a controllo giudiziario poteva essere considerata una procedura fallimentare (46). Cionondimeno, la Prefaco fa valere che la procedura prevista dalla WCO sarebbe una «difesa provvisoria a fronte del fallimento» e che esisterebbe una somiglianza estremamente forte fra quest’ultima e la procedura di cui al procedimento principale.

56.      Il governo belga fa valere che la procedura di riorganizzazione giudiziale mediante cessione soggetta a controllo giudiziario figura esplicitamente fra le procedure di liquidazione menzionate per il Belgio all’allegato B del regolamento (CE) n. 1346/2000 (47) e che, poiché la natura di siffatta procedura è stata stabilita in tale allegato, detta procedura rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23.

57.      Non condivido tale posizione. A mio avviso, non è determinante, ai fini della sua eventuale qualificazione come procedura di liquidazione, che la procedura di cui al procedimento principale sia menzionata all’allegato B del regolamento n. 1346/2000.

58.      A tal riguardo, occorre ricordare, in primo luogo, che le norme sulla competenza giudiziaria e la legge applicabile previste dalle disposizioni di diritto internazionale privato dell’Unione non pregiudicano affatto le disposizioni nazionali di diritto sostanziale. Il regolamento n. 1346/2000 fa parte del contesto normativo, di cui l’Unione si è dotata per sviluppare una cooperazione giudiziaria nella materia civile e commerciale avente un’implicazione transfrontaliera, mentre la direttiva 2001/23 armonizza disposizioni di diritto sostanziale e si applica, in linea di principio, nei confronti di tutti i trasferimenti di imprese. Per questo motivo, tale direttiva istituisce uno «standard universale»  di protezione per i lavoratori nell’ambito di un trasferimento di impresa all’interno dell’Unione (48). In secondo luogo, se una procedura di insolvenza o di liquidazione figura all’allegato A o B del regolamento n. 1346/2000, si deve ritenere che essa rientri nell’ambito di applicazione di tale regolamento e che configuri, di conseguenza, una situazione di insolvenza o di liquidazione unicamente «ai fini dell’applicazione del regolamento stesso» (49).

59.      Nella specie, come risulta dal paragrafo 7 delle presenti conclusioni, fintantoché il tribunale non abbia statuito sull’istanza di riorganizzazione giudiziale, il debitore non può essere dichiarato fallito e, nel caso di una società, quest’ultima non può essere oggetto di liquidazione giudiziale. Di conseguenza, alla luce della giurisprudenza esaminata ai paragrafi da 42 a 51 delle presenti conclusioni, una siffatta procedura, la quale può sfociare nel fallimento, senza che una siffatta conseguenza sia tuttavia sistematica, non soddisfa il requisito, secondo il quale il cedente deve essere oggetto di una procedura fallimentare o di una procedura analoga (50) e, pertanto, non può rientrare nella nozione di «procedura fallimentare» ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23 (51).

60.      Verificherò adesso se la procedura di cui al procedimento principale soddisfi il requisito previsto all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23.

b)      Il cedente deve essere oggetto di una procedura fallimentare o di una procedura di insolvenza analoga aperta in vista della liquidazione dei beni del cedente

61.      L’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23 prescrive che il cedente sia oggetto di una procedura fallimentare o di un’analoga procedura d’insolvenza aperta al fine di liquidare i suoi beni. A tale riguardo, come risulta dalla giurisprudenza della Corte, una procedura che miri al proseguimento dell’attività dell’impresa interessata non soddisfa tale condizione (52).

62.      Per quanto riguarda le differenze tra questi due tipi di procedura, la Corte ha dichiarato che una procedura è intesa al proseguimento dell’attività allorché essa mira a salvaguardare l’operatività dell’impresa o delle sue unità economicamente sostenibili. Al contrario, una procedura intesa alla liquidazione dei beni mira a massimizzare la soddisfazione collettiva dei creditori. Sebbene non sia escluso che possa esistere una certa sovrapposizione tra questi due obiettivi perseguiti da una data procedura, l’obiettivo principale di una procedura mirante al proseguimento dell’attività dell’impresa rimane comunque la salvaguardia dell’impresa interessata (53).

63.      Al fine di stabilire se, nella specie, il cedente sia stato oggetto di una procedura fallimentare o di un’analoga procedura d’insolvenza aperta in vista della liquidazione dei beni del cedente, occorre tenere conto dei seguenti elementi.

64.      In primo luogo, emerge dalle osservazioni scritte del governo belga che, secondo l’articolo 23 della WCO, la procedura di riorganizzazione giudiziale è aperta non appena la continuità dell’impresa è minacciata. Ai sensi di tale disposizione, si presume che una siffatta continuità sia in ogni caso minacciata qualora le perdite abbiano ridotto l’attivo netto a meno della metà del capitale sociale. In conformità all’articolo 16 della WCO, tale procedura mira a garantire, sotto il controllo del giudice, «la continuità in tutto o in parte dell’impresa in difficoltà o delle sue attività». Essa consente di accordare una sospensione di diversi mesi al datore di lavoro, la cui impresa sia riconosciuta «in difficoltà», ai sensi di tale legislazione, al fine o di permettere di pervenire ad una composizione amichevole o di ottenere l’accordo dei creditori su un piano di riorganizzazione o di consentire il trasferimento soggetto a controllo giudiziario, come quello di cui al procedimento principale. Inoltre, come risulta dall’articolo 22 della WCO, tale sospensione consente al datore di lavoro di riorganizzarsi essendo al contempo protetto dalle misure di esecuzione adottate dai suoi creditori, e segnatamente da una dichiarazione di fallimento della sua società (54).

65.      In secondo luogo, occorre sottolineare che il giudice del rinvio indica che, in conformità all’articolo 59, paragrafo 1, primo comma, della WCO, la procedura di riorganizzazione giudiziale mediante cessione soggetta a controllo giudiziario riguarda il trasferimento della «totalità o di una parte dell’impresa o delle sue attività» e che tale trasferimento può essere disposto da un tribunale «al fine di garantire [il] mantenimento [di dette attività] qualora il debitore vi acconsenta nella sua istanza di riorganizzazione giudiziale o successivamente nel corso del procedimento» (55).

66.      In terzo ed ultimo luogo, occorre constatare, come rilevato dal giudice del rinvio, che, nella specie, è evidente che il rechtbank van koophandel te Hasselt (tribunale del commercio di Hasselt) ha ordinato la cessione soggetta a controllo giudiziario al fine di conservare in tutto o in parte l’impresa Echo o le sue attività, in conformità al dettato dell’articolo 59, paragrafo 1, primo comma, della WCO.

67.      Pertanto, concludo che si deve ritenere che una siffatta procedura abbia come obiettivo principale la salvaguardia della totalità o di una parte dell’impresa in difficoltà e che non possa pertanto rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23, in conformità alla giurisprudenza menzionata ai paragrafi 44 e 50 delle presenti conclusioni.

c)      La procedura fallimentare o la procedura di insolvenza analoga deve svolgersi sotto il controllo di unautorità pubblica

68.      Per quanto riguarda il terzo requisito previsto all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23, rilevo che si evince dal fascicolo sottoposto alla Corte che, in conformità all’articolo 60 della WCO, la sentenza che dispone il trasferimento designa un commissario giudiziale incaricato di organizzare e realizzare il trasferimento «in nome e per conto del debitore» (56). In tali circostanze, ritengo che un tale controllo di una portata più limitata non possa soddisfare il requisito del controllo di una siffatta autorità enunciato all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23 (57).

69.      Dalle considerazioni svolte finora consegue che una procedura di riorganizzazione giudiziale mediante cessione soggetta a controllo giudiziario, come quella di cui al procedimento principale, non soddisfa tutti i requisiti previsti all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare, e che, pertanto, non è possibile derogare al regime di protezione risultante dagli articoli 3 e 4 di tale direttiva.

D.      Sulla facoltà per il cessionario di scegliere i lavoratori che intende riassumere alla luce degli articoli 3 e 4 della direttiva 2001/23

70.      Emerge dalla decisione di rinvio che, ai sensi dell’articolo 61, paragrafo 4, della WCO, il cessionario può scegliere i lavoratori che intende riassumere, sempreché la sua scelta, da un lato, sia dettata da motivi economici, tecnici o d’organizzazione e, dall’altro, non configuri una disparità di trattamento vietata. Alla luce di tale disposizione, si pone la questione se gli articoli 3 e 4 della direttiva 2001/23 consentano al cessionario di scegliere, come risulta dall’articolo 61, paragrafo 4, della WCO, i lavoratori che questi intende riassumere.

71.      Per rispondere a tale questione, occorre anzitutto rammentare, come dichiarato a più riprese dalla Corte, che la direttiva 2001/23 mira ad assicurare il mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di cambiamento d’imprenditore, permettendo loro di restare al servizio del nuovo datore di lavoro alle stesse condizioni di quelle pattuite con il cedente (58). Lo scopo di tale direttiva è quello di garantire, per quanto possibile, la continuazione dei contratti o dei rapporti di lavoro, senza modifiche, col cessionario, onde impedire che i lavoratori interessati si trovino in una situazione meno favorevole per il solo fatto del trasferimento (59). Inoltre, come già dichiarato dalla Corte, dato che questa tutela ha carattere inderogabile ed è pertanto sottratta alla disponibilità delle parti del contratto di lavoro, le norme della direttiva, ed in particolare quelle relative alla protezione dei lavoratori contro il licenziamento a causa del trasferimento, vanno ritenute imperative, nel senso che non è consentito derogarvi in senso sfavorevole ai lavoratori (60).

72.      Ciò detto, occorre parimenti rammentare che, come si ricava dagli stessi termini dell’articolo 3, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2001/23, la tutela che tale direttiva mira a garantire riguarda soltanto i lavoratori che hanno un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento (61). Di conseguenza, salvo specifica disposizione contraria, «il godimento dei diritti previsti dalla direttiva 2001/23 può essere fatto valere unicamente dai lavoratori il cui contratto o rapporto di lavoro sia in corso alla data del trasferimento. L’esistenza o meno di un contratto o di un rapporto di lavoro in corso a tale data deve essere valutata con riguardo al diritto nazionale, ferma restando, tuttavia, l’osservanza delle norme imperative previste da detta direttiva in ordine alla tutela dei lavoratori contro il licenziamento a causa del trasferimento» (62).

73.      Nella specie, il giudice del rinvio rileva, da un lato, che la data del trasferimento è stata fissata al 22 aprile 2013 (63) e, dall’altro, che il contratto di lavoro della sig.ra Plessers è terminato il 24 aprile 2013. Tale giudice sottolinea che «è pacifico che, alla data del trasferimento (il 22 aprile 2013), la sig.ra Plessers era vincolata [al cedente (Echo)] da un contratto di lavoro». Esso precisa parimenti che i commissari giudiziali hanno risolto il contratto di lavoro con la sig.ra Plessers il 24 aprile 2013. Pertanto, la sig.ra Plessers deve essere considerata una dipendente del cedente alla data del trasferimento, con la conseguenza, in particolare, che, ai sensi dell’articolo 3 della direttiva 2001/23, le obbligazioni del datore di lavoro cedente (Echo) nei suoi confronti sono trasferite ipso iure al cessionario (Prefaco) (64).

74.      Per quanto attiene alla tutela prevista all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2001/23, risulta da tale disposizione, da un lato, che il trasferimento di un’impresa non è di per sé motivo di licenziamento da parte del cedente o del cessionario, e, dall’altro, che detta disposizione non pregiudica i licenziamenti che possano aver luogo per motivi economici, tecnici o d’organizzazione che comportino variazioni sul piano dell’occupazione (65).

75.      A tal riguardo, occorre ricordare, come già dichiarato dalla Corte, che, per stabilire se il licenziamento sia stato motivato dal solo fatto del trasferimento, in contrasto con l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2001/23, si devono prendere in considerazione le circostanze oggettive in cui il licenziamento è avvenuto (66). In tal senso, in un caso come quello di specie, emerge dai paragrafi 15 e 73 delle presenti conclusioni che il licenziamento in questione è divenuto efficace due giorni dopo la data del trasferimento.

76.      Si evince parimenti dalla giurisprudenza della Corte che non è sufficiente dimostrare che la risoluzione del contratto di lavoro è dovuta a motivi economici, tecnici o d’organizzazione. Deve parimenti essere dimostrato che tali motivi non risultano direttamente dal trasferimento di impresa, in violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2001/23. In altri termini, deve essere dimostrato che il licenziamento in questione è stato motivato da circostanze addizionali, che si aggiungono a detto trasferimento. Sono dunque tali «circostanze addizionali» che sono idonee ad essere qualificate come «motivi economici, tecnici o d’organizzazione» ai sensi di detto articolo 4, paragrafo 1 (67).

77.      Per contro, secondo l’articolo 61, paragrafo 4, della WCO, spetterebbe al solo cessionario scegliere i lavoratori che egli intende riassumere o meno, anche se tale scelta deve essere effettuata sulla base di motivi economici, tecnici e d’organizzazione. Una limitazione a priori della portata di tale scelta non sembrerebbe essere imposta dalla legislazione nazionale. Orbene, come osservato correttamente dalla Commissione, incomberebbe al giudice nazionale garantire l’effetto utile della direttiva 2001/23. Pertanto, il giudice nazionale dovrebbe essere esso stesso in grado di valutare la necessità dei licenziamenti per motivi economici, tecnici o d’organizzazione, il che non sembra avvenire nel caso di specie. Esso sarebbe in grado di farlo soltanto se informato in maniera esaustiva, da tutte le parti interessate dal trasferimento di impresa, dei motivi giustificativi. La mera volontà di ridurre i costi di una rilevazione di impresa o di prevenire o limitare i problemi finanziari non può pertanto essere accettata quale motivo giustificativo (68). Permettere al cessionario di scegliere i lavoratori che intende riassumere svuoterebbe gli articoli 3 e 4 della direttiva 2001/23 della loro sostanza. Infatti, le procedure che non rientrano nel regime di tutela di tale direttiva sono le procedure fallimentari o di insolvenza intese alla liquidazione dei beni del cedente, le quali rientrano, in linea di principio, della direttiva 2008/94. Per contro, poiché l’obiettivo della procedura in questione è la continuità dell’impresa, tale procedura non ricade nell’eccezione dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23 e, di conseguenza, la possibilità, per il cessionario di scegliere i lavoratori è contraria agli articoli 3 e 4 di tale direttiva e dunque all’effetto utile della medesima.

78.      Pertanto, ritengo che la direttiva 2001/23, e segnatamente gli articoli 3 e 4, debba essere interpretata nel senso che essa osta ad una legislazione nazionale, come quella di cui al procedimento principale, la quale, in caso di cessione di un’impresa avvenuta nell’ambito di una procedura di riorganizzazione giudiziale mediante cessione soggetta a controllo giudiziario utilizzata al fine di conservare in tutto o in parte l’impresa cedente o le sue attività, preveda, per il cessionario, il diritto di scegliere i lavoratori che intende riassumere.

V.      Conclusione

79.      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere nei seguenti termini all’arbeidshof te Antwerpen (Corte del lavoro di Anversa, Belgio):

1)      L’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti, deve essere interpretato nel senso che una procedura di riorganizzazione giudiziale mediante cessione soggetta a controllo giudiziario, come quella di cui al procedimento principale, non soddisfa tutti i requisiti enunciati in tale disposizione, cosicché non è possibile derogare al regime di protezione previsto agli articoli 3 e 4 di tale direttiva.

2)      La direttiva 2001/23, e segnatamente gli articoli 3 e 4, deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una legislazione nazionale, come quella di cui al procedimento principale, la quale, in caso di cessione di un’impresa avvenuta nell’ambito di una procedura di riorganizzazione giudiziale mediante cessione soggetta a controllo giudiziario utilizzata al fine di conservare in tutto o in parte l’impresa cedente o le sue attività, preveda, per il cessionario, il diritto di scegliere i lavoratori che intende riassumere.


1      Lingua originale: il francese.


2      Direttiva del Consiglio del 12 marzo 2001 concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti (GU 2001, L 82, pag. 16).


3      Belgisch Staatsblad, 9 febbraio 2009, pag. 8436.


4      V. sentenza del 19 aprile 2016, DI (C‑441/14, EU:C:2016:278, punti 30 e 31 e giurisprudenza ivi citata).


5      V., segnatamente, sentenza del 15 ottobre 2015, Iglesias Gutiérrez e Rion Bea (C‑352/14 e C‑353/14, EU:C:2015:691, punti 21 e 22, nonché giurisprudenza ivi citata).


6      V. sentenze del 21 giugno 2016, New Valmar (C‑15/15, EU:C:2016:464, punto 28), e del 28 giugno 2018, Crespo Rey (C‑2/17, EU:C:2018:511, punto 40).


7      V., segnatamente, sentenze del 16 luglio 2015, Abcur (C‑544/13 e C‑545/13, EU:C:2015:481, punto 33), e del 10 maggio 2017, Chavez-Vilchez e a. (C‑133/15, EU:C:2017:354, punto 48).


8      Sentenza del 22 giugno 2017 (C‑126/16, EU:C:2017:489).


9      Risoluzione del Consiglio del 21 gennaio 1974 relativa ad un programma di azione sociale (GU 1974, C 13, pag. 1).


10      Direttiva 75/129/CEE del Consiglio del 17 febbraio 1975, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi (GU 1975, L 48, pag. 29).


11      Direttiva 77/187/CEE del Consiglio del 14 febbraio 1977, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti (GU 1977, L 61, pag. 26). Tale direttiva è stata sostituita dalla direttiva 2001/23.


12      V., segnatamente, Blanpain, R., European Labour Law, Wolters Kluwer, 2010, pag. 680.


13      Direttiva del Consiglio del 20 ottobre 1980 concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro (GU 1980, L 283, pag. 23).


14      La direttiva 75/129 è stata modificata dalla direttiva 92/56/CEE del Consiglio del 24 giugno 1992 (GU 1992, L 245, pag. 3) e codificata dalla direttiva 98/59/CE del Consiglio, del 20 luglio 1998, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi (GU 1998, L 225, pag. 16). La direttiva 80/987 è stata modificata a più riprese e in maniera sostanziale nel corso degli anni 80 e 2000 (v. allegato I, parti A e B di tale direttiva). Per ragioni di chiarezza e di razionalizzazione, si è proceduto alla sua codificazione tramite la direttiva 2008/94/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, relativa alla tutela dei lavoratori subordinati in caso d’insolvenza del datore di lavoro (GU 2008, L 283, pag. 36).


15      V. proposta di direttiva del Consiglio dell’8 settembre 1994 concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti [COM(94) 300 final, pag. 3]. V., parimenti, Rodière, P., Droit social de l’Union européenne, LDGD, 2014, pag. 422, e Barnard, C., EU Employment Law, 4° ed., Oxford University Press, 2012, pag. 577.


16      Direttiva 98/50/CE del Consiglio del 29 giugno 1998, che modifica la direttiva 77/187 (GU 1998, L 201, pag. 88).


17      Alcuni anni più tardi è stato pubblicato il libro verde della Commissione del 17 gennaio 2012, «Ristrutturare e anticipare i mutamenti: quali insegnamenti trarre dall’esperienza recente?» [COM(2012) 7 final] (in prosieguo: il «libro verde»). Emerge da tale documento che il suo obiettivo consisteva nel «migliorare le sinergie tra tutte le parti interessate nell’affrontare le sfide legate alla ristrutturazione e all’adattamento ai mutamenti» (pag. 2).


18      V. Barnard, C., op. cit., pag. 577: «In this respect the Directives were intended both to encourage a greater degree of industrial democracy and to provide an element of social protection».


19      V. comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni «Quadro dell’UE per la qualità nell’anticipazione dei cambiamenti e delle ristrutturazioni» [COM(2013) 882 final, pag. 5]. V., parimenti, Barnard, C., op. cit., pag. 578.


20      Facendo seguito al libro verde e all’invito del Parlamento europeo sulla base dell’articolo 225 TFUE nella sua risoluzione del 15 gennaio 2013 concernente l’informazione e la consultazione dei lavoratori, l’anticipazione e la gestione delle ristrutturazioni (parimenti chiamata la «relazione Cercas»), la Commissione ha presentato un quadro per l’anticipazione dei cambiamenti e delle ristrutturazioni al fine di agevolare gli investimenti in capitale umano, favorendo la riallocazione delle risorse umane in attività ad elevato potenziale di crescita, capaci di offrire impieghi di qualità, conformemente a quanto stabilito dalla strategia Europa 2020 [COM(2013) 882 final, pag. 3].


21      Proposta di direttiva del Parlamento e del Consiglio riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, la seconda opportunità e misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza e liberazione dai debiti, e che modifica la direttiva 2012/30/UE [COM(2016) 723 final]. Risulta dai considerando 1, 2 e 12 di tale proposta che essa mira segnatamente ad eliminare gli ostacoli all’esercizio della libera circolazione dei capitali e della libertà di stabilimento, derivanti dalle differenze tra le legislazioni e procedure nazionali in materia di ristrutturazione preventiva, insolvenza e seconda opportunità. In tale ottica, siffatta proposta sottolinea che la futura direttiva garantirà alle imprese economicamente sostenibili in difficoltà finanziarie la possibilità di accedere a quadri nazionali efficaci in materia di ristrutturazione preventiva che consentano loro di continuare a operare.


22      V. conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi nella causa Federatie Nederlandse Vakvereniging e a. (C‑126/16, EU:C:2017:241, paragrafi da 41 a 48).


23      Sentenza del 7 febbraio 1985 (135/83, EU:C:1985:55). Tale causa verteva sulla cessione di un’impresa intervenuta nell’ambito di una procedura fallimentare disciplinata dal diritto olandese. V., parimenti, sentenze del 7 febbraio 1985, Wendelboe e a. (19/83, EU:C:1985:54, punto 10); del 7 febbraio 1985, Botzen e a. (186/83, EU:C:1985:58, punto 9), nonché del 7 febbraio 1985, Industriebond FNV e Federatie Nederlandse Vakbeweging (179/83, EU:C:1985:57, punto 7).


24      Sentenza del 25 luglio 1991 (C‑362/89, EU:C:1991:326). In tale sentenza, la Corte si è pronunciata sull’applicabilità della direttiva 77/187 nel caso di un’amministrazione straordinaria di impresa prevista dalla legislazione italiana.


25      Sentenza del 7 dicembre 1995 (C‑472/93, EU:C:1995:421) In tale causa, la Corte ha dovuto stabilire l’applicabilità della direttiva 77/187 al trasferimento di un’impresa il cui stato di crisi era stato accertato in forza della legislazione italiana. In relazione alla stessa legislazione, v. sentenza dell’11 giugno 2009, Commissione/Italia (C‑561/07, EU:C:2009:363).


26      Sentenza del 12 marzo 1998 (C‑319/94, EU:C:1998:99). Tale causa verteva sull’applicabilità della direttiva 77/187 ad un trasferimento di impresa intervenuto nell’ambito della procedura belga di liquidazione giudiziale delle società.


27      Sentenza del 7 febbraio 1985, Abels (135/83, EU:C:1985:55, punti 14 e 18). V., parimenti, sentenza del 25 luglio 1991, d’Urso e a. (C‑362/89, EU:C:1991:326, punto 23).


28      Sentenza del 7 febbraio 1985, Abels (135/83, EU:C:1985:55, punti 16, 23 e 30). V., parimenti, sentenza del 25 luglio 1991, d’Urso e a. (C‑362/89, EU:C:1991:326, punto 23).


29      Sentenza del 7 febbraio 1985, Abels (135/83, EU:C:1985:55, punto 30).


30      Sentenza del 7 febbraio 1985, Abels (135/83, EU:C:1985:55, punti da 28 a 30), e v., inoltre, le conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi nella causa Federatie Nederlandse Vakvereniging e a. (C‑126/16, EU:C:2017:241, paragrafo 44).


31      V. sentenza del 25 luglio 1991, d’Urso e a. (C‑362/89, EU:C:1991:326, punto 25).


32      V. sentenza del 25 luglio 1991, d’Urso e a. (C‑362/89, EU:C:1991:326, punto 26). V., parimenti, sentenza del 7 dicembre 1995, Spano e a. (C‑472/93, EU:C:1995:421, punto 24). Occorre osservare che, nella sentenza d’Urso, cit. supra, l’obiettivo perseguito dal procedimento in questione consisteva nel restituire all’impresa un equilibrio che consentisse di garantire la sua attività futura (punto 32). Nella sentenza Spano, cit. supra, l’obiettivo perseguito consisteva nel proseguimento dell’impresa senza significative interruzioni dell’attività produttiva, nella prospettiva di una futura ripresa (punti 27 e 28).


33      Sentenza del 25 luglio 1991, d’Urso e a. (C‑362/89, EU:C:1991:326, punti 31 e 32). V., parimenti, conclusioni dell’avvocato generale Van Gerven nella causa d’Urso e a. (C‑362/89, EU:C:1991:228, paragrafo 25).


34      Sentenza del 7 dicembre 1995, Spano e a. (C‑472/93, EU:C:1995:421, punti da 24 a 30). V., parimenti, sentenza del 25 luglio 1991, d’Urso e a. (C‑362/89, EU:C:1991:326, punti 31 e 32).


35      Sentenza del 12 marzo 1998, Dethier Équipement (C‑319/94, EU:C:1998:99, punti da 25 a 31). Nel caso di specie, la Corte ha constatato che, sebbene la procedura in questione mirasse alla liquidazione dei beni, la situazione di un’impresa in liquidazione giudiziale presentava numerose differenze significative rispetto a quella di un’impresa fallita, segnatamente per quanto riguarda la nomina e le funzioni del liquidatore. Su tali differenze, v. punto 9 di tale sentenza. V., parimenti, sentenza del 12 novembre 1998, Europièces (C‑399/96, EU:C:1998:532, punti 26, 31 e 32), nella quale la Corte ha applicato alla procedura di liquidazione volontaria di diritto belga i criteri elaborati nella sentenza del 12 marzo 1998, Dethier Équipement (C‑319/94, EU:C:1998:99).


36      C‑126/16, EU:C:2017:489.


37      Tale operazione di pre-pack mirava a preparare in maniera estremamente dettagliata la cessione dell’impresa per permettere la ripresa rapida delle unità economicamente sostenibili dell’impresa dopo la pronuncia di fallimento, al fine di evitare così l’interruzione che risulterebbe dalla brusca cessazione delle sue attività alla data di pronuncia del fallimento, in modo da preservare il valore di detta impresa e l’occupazione. Sentenza del 22 giugno 2017, Federatie Nederlandse Vakvereniging e a. (C‑126/16, EU:C:2017:489, punto 49).


38      V. sentenza del 22 giugno 2017, Federatie Nederlandse Vakvereniging e a. (C‑126/16, EU:C:2017:489, punti da 38 a 40). Per quanto riguarda la presente causa, occorre osservare che non si evince dalla decisione di rinvio che lo Stato membro in questione si sia avvalso della facoltà, nelle circostanze che giustificano l’applicazione dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23, di attuare il regime di protezione dei lavoratori stabilito agli articoli 3 e 4 di tale direttiva, circostanza che incombe al giudice del rinvio verificare. Di conseguenza, tale disposizione è applicabile ad una causa come quella di cui al procedimento principale, a condizione, tuttavia, che il procedimento di cui trattasi soddisfi i requisiti enunciati a tale disposizione (v. paragrafi 42 e 43), circostanza che analizzerò nel prosieguo. V. articolo 5, paragrafi 2 e 3, di detta direttiva. Per quanto riguarda tali disposizioni, v. ordinanza del 28 gennaio 2015, Gimnasio Deportivo San Andrés (C‑688/13, EU:C:2015:46, punto 55).


39      V. sentenza del 22 giugno 2017, Federatie Nederlandse Vakvereniging e a. (C‑126/16, EU:C:2017:489, punti da 46 a 57).


40      V. sentenza del 22 giugno 2017, Federatie Nederlandse Vakvereniging e a. (C‑126/16, EU:C:2017:489, punto 58).


41      V. paragrafi da 42 a 47 delle presenti conclusioni.


42      La Corte ha indicato che risultava dal fascicolo sottoposto alla Corte che l’operazione di pre-pack era gestita non sotto il controllo del tribunale bensì dall’organo amministrativo dell’impresa che conduceva le trattative e adottava le decisioni in preparazione alla vendita dell’impresa in fallimento (punto 54).


43      Su tale criterio sussidiario, v. sentenza del 12 marzo 1998, Dethier Équipement (C‑319/94, EU:C:1998:99, punti da 25 a 31). V., parimenti, paragrafo 46 delle presenti conclusioni.


44      V. sentenza del 22 giugno 2017, Federatie Nederlandse Vakvereniging e a. (C‑126/16, EU:C:2017:489, punto 44).


45      V. sentenza del 22 giugno 2017, Federatie Nederlandse Vakvereniging e a. (C‑126/16, EU:C:2017:489, punto 41 e giurisprudenza ivi citata).


46      Solo la Commissione sembrava difendere, in linea di principio, una siffatta posizione nelle sue osservazioni scritte, dalle quali emerge che «il trasferimento soggetto a controllo giudiziario (…) deve essere considerato una procedura fallimentare (…)». Tuttavia, essa ha affermato, all’udienza dibattimentale, che nelle sue osservazioni si era insinuato un errore di battitura, il quale poteva dare l’impressione che essa sostenesse tale posizione, e ha indicato che occorreva leggere il punto 28 delle sue osservazioni nel modo seguente: «[I]l trasferimento soggetto a controllo giudiziario non deve essere considerato una procedura fallimentare (…)». (Il corsivo è mio).


47      Regolamento del Consiglio del 29 maggio 2000 relativo alle procedure di insolvenza (GU 2000, L 160, pag. 1), come modificato dal regolamento di esecuzione (UE) n. 583/2011 del Consiglio, del 9 giugno 2011 (GU 2011, L 160, pag. 52) (in prosieguo: il «regolamento n. 1346/2000»). La Prefaco menziona parimenti gli allegati A e C del regolamento n. 1346/2000, fermo restando che l’allegato C del medesimo precisa che il commissario giudiziale designato nell’ambito della procedura di cui al procedimento principale deve essere considerato un curatore fallimentare.


48      Sulla coerenza delle nozioni nel diritto dell’Unione, v. le mie conclusioni del 22 gennaio 2019 nella causa Pillar Securitisation (C‑694/17, EU:C:2019:44, paragrafi 49 e 50).


49      V. sentenza del 22 novembre 2012, Bank Handlowy e Adamiak (C‑116/11, EU:C:2012:739, punti 34 e 35). In tale sentenza, la Corte ha dichiarato che la procedura francese di salvaguardia rientrava nell’ambito di applicazione del regolamento n. 1346/2000 poiché figurava fra le procedure iscritte all’allegato A di tale regolamento. Orbene, taluni autori hanno espresso dei dubbi quanto al rispetto, da parte di tale procedura, delle condizioni enunciate all’articolo 1, paragrafo 1, di detto regolamento. V., segnatamente, Jault-Seseke, F., «Le règlement 2015/848: le vin nouveau et les vieilles outre», Revue critique de droit international privé, 2016, pag. 21, punto 18; Burkhard, H., Oberhammer, P., Bariatti, S., Koller, Ch., Björn, L., Requejo Isidro, M., Villata, F.C. (a cura di), The Implementation of the New Insolvency Regulation: Improving Cooperation and Mutual Trust, Nomos, 2017, pag. 65.


50      Emerge dall’abbondante dottrina belga citata nelle osservazioni scritte della sig.ra Plessers che il trasferimento soggetto a controllo giudiziario «precede il fallimento e ha parimenti come obiettivo quello di evitare tale decisione estrema». V., a tal riguardo, Vandersnickt, C., Overgang van onderneming krachtens overeenkomst. Het materieel toepassingsgebied van de richtlijn 2001/23/EG, serie «Sociale praktijkstudies», Malines, Wolters-Kluwer, 2015, pag. 116.


51      Si evince dalle osservazioni scritte della sig.ra Plessers che si è sempre ammesso, nei lavori preparatori, nonché nella dottrina belga, che la procedura di cui al procedimento principale non costituisce una procedura di liquidazione bensì che essa è «concepit[a] come un’alternativa al fallimento». V. Doc Parl., Chambre, 2007, DEC 52 0160/001, pag. 7. Tale documento, citato nel fascicolo sottoposto alla Corte, nonché il sito Internet ufficiale sulle procedure di ristrutturazione menzionato dalla Commissione in udienza, è disponibile al seguente indirizzo: http://socialsante.wallonie.be/surendettement/professionnel/?q=procedures-restructuration-reorganisation. V., parimenti, Doc. Parl., Chambre, 2008-09, DOC 52-0160/055, pag. 32.


52      V., in particolare, sentenze del 25 luglio 1991, d’Urso e a. (C‑362/89, EU:C:1991:326, punti 31 e 32); del 7 dicembre 1995, Spano e a. (C‑472/93, EU:C:1995:421, punto 25), nonché del 22 giugno 2017, Federatie Nederlandse Vakvereniging e a. (C‑126/16, EU:C:2017:489, punto 47).


53      V. sentenza del 22 giugno 2017, Federatie Nederlandse Vakvereniging e a. (C‑126/16, EU:C:2017:489, punto 48). V., parimenti, conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi nella causa Federatie Nederlandse Vakvereniging e a. (C‑126/16, EU:C:2017:241, paragrafo 57).


54      V. paragrafo 11 delle presenti conclusioni.


55      V. paragrafi 11 e 12 delle presenti conclusioni. (Il corsivo è mio).


56      V. paragrafo 8 delle presenti conclusioni. Infatti, benché nominato dal tribunale, tale commissario cerca e sollecita offerte «vigilando in via prioritaria sul mantenimento della totalità o di una parte dell’attività dell’impresa, tenendo al contempo conto dei diritti dei creditori» (articolo 62, primo comma, della WCO). In caso di pluralità di offerte comparabili, il commissario accorda la priorità a quella che garantisce la permanenza nella funzione tramite un accordo sociale negoziato (articolo 62, secondo comma, della WCO).


57      V. sentenza del 7 febbraio 1985, Abels (135/83, EU:C:1985:55, punto 28). V., parimenti, paragrafo 43 delle presenti conclusioni.


58      V. sentenza del 27 novembre 2008, Juuri (C‑396/07, EU:C:2008:656, punto 28 e giurisprudenza ivi citata).


59      V. sentenze del 17 dicembre 1987, Ny Mølle Kro (287/86, EU:C:1987:573, punto 25); del 26 maggio 2005, Celtec (C‑478/03, EU:C:2005:321, punto 26), e del 7 agosto 2018, Colino Sigüenza (C‑472/16, EU:C:2018:646, punto 48).


60      V. sentenza del 10 febbraio 1988, Foreningen af Arbejdsledere i Danmark (324/86, EU:C:1988:72, punto 14): «Ne discende che i lavoratori interessati non hanno la facoltà di rinunciare ai diritti loro attribuiti dalla direttiva e che, pur con il loro consenso, non è ammessa una diminuzione di tali diritti» (punto 15). V., parimenti, sentenze del 14 novembre 1996, Rotsart de Hertaing (C‑305/94, EU:C:1996:435, punto 17), e del 12 marzo 1998, Dethier Équipement (C‑319/94, EU:C:1998:99, punto 40).


61      V. sentenza del 7 agosto 2018, Colino Sigüenza (C‑472/16, EU:C:2018:646, punto 49).


62      V., segnatamente, sentenza del 15 giugno 1988, Bork International e a. (101/87, EU:C:1988:308, punto 17), nonché del 7 agosto 2018, Colino Sigüenza (C‑472/16, EU:C:2018:646, punto 50).


63      Secondo il giudice del rinvio, il fatto che, quale data del trasferimento, l’accordo di trasferimento menzioni «due giorni lavorativi successivi alla data della sentenza di autorizzazione» vale unicamente fra le parti contrattuali e non può essere opposto ai terzi, i quali non erano parte dell’accordo, come nel caso della sig.ra Plessers. Tale giudice aggiunge che, nella loro lettera del 24 aprile 2013 alla sig.ra Plessers, i commissari giudiziali hanno parimenti confermato che le attività della Echo erano cessate a partire dal 22 aprile 2013. V., a tal riguardo, paragrafo 15 delle presenti conclusioni.


64      Occorre ricordare che le valutazioni in fatto necessarie per stabilire l’applicabilità della direttiva 2001/23 rientrano nella competenza del giudice nazionale, alla luce dei criteri interpretativi dettati dalla Corte. V. sentenza del 15 giugno 1988, Bork International e a. (101/87, EU:C:1988:308, punto 19).


65      V., segnatamente, sentenza del 16 ottobre 2008, Kirtruna e Vigano (C‑313/07, EU:C:2008:574, punto 45). Emerge dalla giurisprudenza della Corte che il fatto che un’impresa sia dichiarata in situazione di crisi non può implicare necessariamente e sistematicamente variazioni sul piano dell’occupazione ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2001/23. Pertanto, la procedura di accertamento dello stato di crisi aziendale non può necessariamente e sistematicamente rappresentare un motivo economico, tecnico o d’organizzazione che comporti variazioni sul piano dell’occupazione ai sensi di tale disposizione. V. sentenza dell’11 giugno 2009, Commissione/Italia (C‑561/07, EU:C:2009:363, punto 36).


66      V. sentenze del 15 giugno 1988, Bork International e a. (101/87, EU:C:1988:308, punto 18), nonché del 7 agosto 2018, Colino Sigüenza (C‑472/16, EU:C:2018:646, punto 53).


67      Sentenza del 16 ottobre 2008, Kirtruna e Vigano (C‑313/07, EU:C:2008:574, punti 45 e 46). In tale sentenza, la Corte ha dichiarato che l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/23 non impone, in caso di trasferimento di impresa, di mantenere il contratto di locazione di un locale commerciale concluso dal cedente dell’impresa con un terzo anche se la risoluzione di tale contratto rischia di comportare la risoluzione dei contratti di lavoro trasferiti al cessionario. Inoltre, la Corte ha ritenuto che, nel caso di un licenziamento causato da circostanze addizionali quali la mancanza di accordo fra il cessionario e i locatori relativamente ad un nuovo contratto di locazione, l’impossibilità di trovare un altro locale commerciale o l’impossibilità di trasferire il personale in altri punti vendita, tali circostanze sono idonee ad essere qualificate come «motivi economici, tecnici o d’organizzazione» ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2001/23.


68      Secondo l’avvocato generale Van Gerven, non vi è alcuna ragione di pensare che «la direttiva [consenta] qualsiasi licenziamento per motivi economici, tecnici o d’organizzazione. La direttiva vieta tali licenziamenti esplicitamente quando essi sono determinati dal trasferimento dell’impresa. Solo quando i licenziamenti si sarebbero verificati comunque, ad esempio quando erano stati decisi già prima che vi fosse un qualsiasi accenno di trasferimento di impresa, rientrano nelle eccezioni sopra menzionate. Neanche l’art[icolo] 4 della direttiva può quindi essere utilizzato come argomento per licenziare una parte dei lavoratori all’atto del trasferimento dell’impresa» (conclusioni dell’avvocato generale Van Gerven nella causa d’Urso (C‑362/89, EU:C:1991:228, paragrafo 35). V. nota 65.