Language of document : ECLI:EU:T:2005:283

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quarta Sezione)

13 luglio 2005 (*)

«Organizzazione comune dei mercati – Banane – Regime d’importazione – Responsabilità extracontrattuale della Comunità – Quantificazione del danno»

Nella causa T-260/97,

Camar Srl, con sede in Firenze, rappresentata dagli avv.ti W. Viscardini Donà, M. Paolin e S. Donà, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato inizialmente dai sigg. J.P. Hix e A. Tanca, successivamente dai sigg. Hix e F. Ruggeri Laderchi, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

e

Commissione delle Comunità europee, rappresentata inizialmente dal sig. H. van Vliet, successivamente dai sigg. C. Van der Hauwaert e L. Visaggio, in qualità di agenti, assistiti dall’avv. A. Dal Ferro, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuti,

sostenuti da

Repubblica francese, rappresentata dalle sig.re K. Rispal-Bellanger e C. Vasak, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

interveniente,

avente ad oggetto la quantificazione del danno che la Commissione è stata condannata a risarcire alla ricorrente a seguito dell’annullamento, con sentenza interlocutoria del Tribunale 8 giugno 2000, cause riunite T‑79/96, T‑260/97 e T‑117/98, Camar e Tico/Commissione e Consiglio (Racc. pag. II‑2193), della decisione della Commissione 17 luglio 1997, che aveva respinto la domanda di misure transitorie proposta dalla ricorrente ai sensi dell’art. 30 del regolamento (CEE) del Consiglio 13 febbraio 1993, n. 404, relativo all’organizzazione comune dei mercati nel settore della banana (GU L 47, pag. 1),

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPE (Quarta Sezione),

composto dal sig. H. Legal, presidente, dal sig. P. Mengozzi e dalla sig.ra I. Wiszniewska-Białecka, giudici,

cancelliere: sig. J. Palacio González, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e a seguito dell’udienza del 24 febbraio 2005,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Contesto normativo

1        Il regolamento (CEE) del Consiglio 13 febbraio 1993, n. 404, relativo all’organizzazione comune dei mercati nel settore della banana (GU L 47, pag. 1), ha sostituito con un regime comune degli scambi con i paesi terzi i diversi regimi nazionali previgenti. Tale regolamento prevedeva, nella versione vigente all’epoca dei fatti all’origine della presente causa, l’apertura di un contingente tariffario annuo per le importazioni di banane provenienti dai paesi terzi e dai paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP). L’art. 15, divenuto art. 15 bis in seguito alle modifiche introdotte dal regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 1994, n. 3290, relativo agli adattamenti e alle misure transitorie necessarie nel settore dell’agricoltura per l’attuazione degli accordi conclusi nel quadro dei negoziati commerciali multilaterali dell’Uruguay Round (GU L 349, pag. 105), stabiliva una distinzione tra le banane dette «ACP tradizionali» e quelle dette «ACP non tradizionali», a seconda che facessero parte o meno dei quantitativi, come stabiliti nell’allegato del regolamento n. 404/93, esportati tradizionalmente dagli Stati ACP verso la Comunità.

2        L’art. 17, primo comma, del regolamento n. 404/93 stabiliva che tutte le importazioni di banane nella Comunità erano soggette alla presentazione di un certificato d’importazione.

3        L’art. 18, n. 1, del regolamento n. 404/93, come modificato dal regolamento n. 3290/94, disponeva, per le importazioni di banane di paesi terzi non ACP (in prosieguo: le «banane di paesi terzi») e di banane ACP non tradizionali, l’apertura di un contingente tariffario di 2,1 milioni di tonnellate (peso netto) per l’anno 1994 e di 2,2 milioni di tonnellate (peso netto) per gli anni successivi. Nell’ambito di questo contingente tariffario, le importazioni di banane di paesi terzi erano soggette al pagamento di un dazio di 75 ECU/t e le importazioni di banane ACP non tradizionali erano importate a dazio zero. Inoltre, l’art. 18, n. 2, prevedeva che le importazioni effettuate al di fuori del contingente, indipendentemente dal fatto che si trattasse di importazioni non tradizionali provenienti dai paesi ACP o dai paesi terzi, fossero soggette a un dazio calcolato in base alla Tariffa doganale comune.

4        L’art. 19, n. 1, del regolamento n. 404/93 ripartiva il contingente tariffario così aperto destinando il 66,5% alla categoria degli operatori che avevano commercializzato banane di paesi terzi e/o banane ACP non tradizionali (categoria A), il 30% alla categoria degli operatori che avevano commercializzato banane comunitarie e/o banane ACP tradizionali (categoria B) e il 3,5% alla categoria degli operatori stabiliti nella Comunità che avevano iniziato, a decorrere dal 1992, a commercializzare banane diverse dalle banane comunitarie e/o ACP tradizionali (categoria C).

5        Ai sensi dell’art. 19, n. 2, secondo comma, del regolamento n. 404/93, per il secondo semestre del 1993 ogni operatore otteneva il rilascio di titoli d’importazione in base alla metà del quantitativo medio annuo commercializzato durante gli anni 1989‑1991.

6        L’art. 30 del regolamento n. 404/93 prevedeva quanto segue:

«Se provvedimenti specifici appaiono necessari a decorrere dal luglio 1993 per agevolare il passaggio dal regime vigente prima dell’entrata in vigore del presente regolamento a quello introdotto con il presente regolamento, e soprattutto per superare particolari difficoltà, la Commissione adotta, secondo la procedura prevista all’articolo 27, le misure transitorie stimate opportune».

7        L’art. 27 del regolamento n. 404/93 istituiva una procedura detta «del comitato di gestione». L’art. 20 del medesimo regolamento demandava alla Commissione di adottare le modalità di applicazione del regime degli scambi con i paesi terzi secondo tale procedura.

8        Le modalità di applicazione del regime degli scambi con i paesi terzi erano stabilite, all’epoca dei fatti all’origine della presente causa, dal regolamento (CEE) della Commissione 10 giugno 1993, n. 1442, recante modalità d’applicazione del regime d’importazione delle banane nella Comunità (GU L 142, pag. 6). Ai sensi degli artt. 4 e 5 di tale regolamento, la ripartizione del contingente tariffario tra gli operatori della categoria A (66,5%) si effettuava sulla base dei quantitativi di banane di paesi terzi o di banane ACP non tradizionali commercializzati durante i tre anni anteriori all’anno che precedeva quello per il quale era aperto il contingente tariffario. A sua volta, la ripartizione del contingente tra gli operatori della categoria B (30%) era fatta sulla base dei quantitativi di banane comunitarie o ACP tradizionali commercializzati nel corso di un periodo di riferimento determinato nello stesso modo che per la categoria A.

9        In forza delle disposizioni dell’art. 19, n. 2, secondo comma, del regolamento n. 404/93, nonché degli artt. 4 e 5 del regolamento n. 1442/93, ogni anno il periodo di riferimento si spostava di un anno. Di conseguenza, se per le importazioni da effettuare nel 1993 il periodo di riferimento comprendeva gli anni 1989, 1990 e 1991, per quelle da effettuare nel 1997 e nel 1998 esso comprendeva, rispettivamente, gli anni 1993, 1994 e 1995 e gli anni 1994, 1995 e 1996.

10      Inoltre, in conformità dell’art. 13 del regolamento n. 1442/93, gli operatori delle categorie A o B potevano, durante il periodo di validità dei titoli d’importazione che erano loro rilasciati in tale qualità, cedere i diritti derivanti da questi titoli a operatori di categoria A, B o C.

11      Il regime stabilito dal regolamento n. 404/93 e dal regolamento n. 1442/93 è in prosieguo indicato come il «regime del 1993».

12      Il regolamento (CE) del Consiglio 20 luglio 1998, n. 1637, che modifica il regolamento n. 404/93 (GU L 210, pag. 28), applicabile a partire dal 1º gennaio 1999, ha abrogato l’art. 15 bis e ha modificato gli artt. 16‑20 del regolamento n. 404/93.

13      L’art. 18 del regolamento n. 404/93, come modificato dal regolamento n. 1637/98, apriva, in aggiunta al contingente tariffario di 2,2 milioni di tonnellate, consolidato nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) (n. 1), un contingente tariffario supplementare per le importazioni di banane di paesi terzi e di banane ACP non tradizionali (n. 2).

14      L’art. 19, n. 1, primo comma, del regolamento n. 404/93, come modificato dal regolamento n. 1637/98, prevedeva che da allora in poi «[l]a gestione dei contingenti tariffari di cui all’articolo 18, paragrafi 1 e 2, e le importazioni di banane ACP tradizionali [venissero] espletate secondo un metodo che [tenesse] conto dei flussi di scambi tradizionali (metodo noto come “tradizionali/nuovi arrivati”)».

15      L’art. 20 del regolamento n. 404/93, come modificato dal regolamento n. 1637/98, incaricava la Commissione di adottare le modalità di applicazione del nuovo regime d’importazione, le quali dovevano comprendere in particolare, ai sensi della lett. d) dello stesso articolo, «le particolari misure che possono rendersi necessarie per agevolare la transizione dal regime d’importazione valido dal 1º luglio 1993 al [nuovo] regime (…)».

16      In forza di tale art. 20, la Commissione ha adottato il regolamento (CE) 28 ottobre 1998, n. 2362, recante modalità d’applicazione del regolamento n. 404/93, con riguardo al regime d’importazione delle banane nella Comunità (GU L 293, pag. 32), che ha sostituito, a decorrere dal 1º gennaio 1999, il regolamento n. 1442/93.

17      L’art. 3, primo comma, del regolamento n. 2362/98 definiva gli operatori tradizionali nei seguenti termini:

«Ai fini del presente regolamento, “operatore tradizionale” è l’agente economico stabilito nella Comunità, nel periodo il quale determina il suo quantitativo di riferimento, nonché al momento della sua registrazione a norma dell’articolo 5, il quale, operando in proprio, ha effettivamente importato, durante un periodo di riferimento, un quantitativo minimo di banane originarie di paesi terzi o di paesi ACP in vista della successiva commercializzazione sul mercato comunitario».

18      L’art. 4, n. 1, del regolamento n. 2362/98 prevedeva: «[o]gni operatore tradizionale, registrato in uno Stato membro conformemente all’articolo 5, ottiene per ogni anno, per l’insieme delle origini indicate nell’allegato I [paesi terzi e Stati ACP], un quantitativo di riferimento unico determinato in base alle quantità di banane che ha effettivamente importato durante il periodo di riferimento». L’art. 4, n. 2, precisava che per le importazioni da effettuare nel 1999 nell’ambito dei contingenti tariffari e delle banane ACP tradizionali il periodo di riferimento era costituito dagli anni 1994, 1995 e 1996.

19      Il regime instaurato con le modifiche introdotte dal regolamento n. 1637/98 e dal regolamento n. 2362/98 è in prosieguo indicato come il «regime del 1999».

20      Nell’ambito del regime del 1999, il ricorso ai quantitativi di riferimento notificati agli operatori tradizionali per l’anno 1999 è stato successivamente confermato, fino al 30 giugno 2001, dal regolamento (CE) della Commissione 27 ottobre 1999, n. 2268, relativo all’importazione di banane nel quadro dei contingenti tariffari e delle banane ACP tradizionali, per il primo trimestre del 2000 (GU L 277, pag. 10), dal regolamento (CE) della Commissione 1° febbraio 2000, n. 250, relativo all’importazione di banane nel quadro dei contingenti tariffari e delle banane ACP tradizionali e che fissa le quantità indicative per il secondo trimestre del 2000 (GU L 26, pag. 6), dal regolamento (CE) della Commissione 22 maggio 2000, n. 1077, che fissa taluni quantitativi indicativi e massimali individuali per il rilascio di titoli d’importazione di banane nella Comunità per il terzo trimestre del 2000, nel quadro dei contingenti tariffari e del quantitativo di banane tradizionali ACP (GU L 121, pag. 4), dal regolamento (CE) della Commissione 25 luglio 2000, n. 1637, che fissa i quantitativi per l’importazione di banane nella Comunità per il quarto trimestre del 2000, nel quadro dei contingenti tariffari e del quantitativo di banane ACP tradizionali (GU L 187, pag. 36), dal regolamento (CE) della Commissione 28 novembre 2000, n. 2599, che fissa taluni quantitativi indicativi e massimali individuali per il rilascio di titoli d’importazione di banane nella Comunità per il primo trimestre del 2001, nel quadro dei contingenti tariffari e del quantitativo di banane tradizionali ACP (GU L 300, pag. 8), ed infine dal regolamento (CE) della Commissione 27 febbraio 2001, n. 395, che fissa taluni quantitativi indicativi e massimali individuali per il rilascio di titoli d’importazione di banane nella Comunità per il secondo trimestre del 2001, nel quadro dei contingenti tariffari e del quantitativo di banane tradizionali ACP (GU L 58, pag. 11).

21      Il regime d’importazione di banane nella Comunità è stato ulteriormente modificato, a decorrere dal 1º luglio 2001, a seguito dell’adozione del regolamento (CE) del Consiglio 29 gennaio 2001, n. 216, che modifica il regolamento n. 404/93 (GU L 31, pag. 2), in particolare gli artt. 16‑20 di quest’ultimo, nonché a seguito dell’adozione del regolamento (CE) della Commissione 7 maggio 2001, n. 896, recante modalità di applicazione del regolamento n. 404/93 in ordine al regime di importazione delle banane nella Comunità (GU L 126, pag. 6). Il regime istituito con le modifiche introdotte dal regolamento n. 216/2001 e dal regolamento n. 896/2001 è in prosieguo indicato come il «regime del 2001».

 Procedimento e conclusioni delle parti

22      Con sentenza 8 giugno 2000, cause riunite T‑79/96, T‑260/97 e T‑117/98, Camar e Tico/Commissione e Consiglio (Racc. pag. II‑2193; in prosieguo: la «sentenza 8 giugno 2000»), pronunciata nella presente causa, il Tribunale ha annullato la decisione della Commissione 17 luglio 1997, che aveva respinto la domanda presentata dalla ricorrente in forza dell’art. 30 del regolamento n. 404/93, e ha condannato la Commissione a risarcire il danno subito dalla ricorrente a causa di tale decisione.

23      Il Tribunale ha altresì condannato la Commissione e il Consiglio a sopportare, rispettivamente, il 90 e il 10% delle spese della causa T‑260/97 e la Repubblica francese, in quanto interveniente, a sopportare le proprie spese.

24      Ai sensi del punto 5 del dispositivo della sentenza 8 giugno 2000, le parti dovevano comunicare al Tribunale, entro sei mesi dalla data di pronuncia della sentenza, gli importi da pagare, definiti di comune accordo, oppure, in mancanza di accordo, far pervenire al Tribunale, nel medesimo termine, le loro proposte quantificate.

25      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria della Corte il 17 agosto 2000, la Commissione ha proposto l’impugnazione avverso la sentenza 8 giugno 2000 (causa C‑312/00 P).

26      Ai sensi dell’art. 77, lett. b), del regolamento di procedura del Tribunale, quest’ultimo ha deciso, con ordinanza 7 febbraio 2001, di sospendere il procedimento nella causa T‑260/97 fino alla pronuncia della sentenza della Corte nella causa C‑312/00 P.

27      Con sentenza 10 dicembre 2002, causa C‑312/00 P, Commissione/Camar e Tico (Racc. pag. I‑11355), la Corte ha respinto l’impugnazione nei limiti in cui era diretta contro la parte della sentenza 8 giugno 2000 relativa alla causa T‑260/97.

28      Con lettera della cancelleria del Tribunale 9 gennaio 2003, le parti sono state informate della ripresa del procedimento nella causa T‑260/97 e del fatto che il termine di sei mesi previsto al punto 5 del dispositivo della sentenza 8 giugno 2000 aveva ricominciato a decorrere e sarebbe giunto a scadenza il 10 giugno 2003.

29      La ricorrente e la Commissione hanno pertanto avviato trattative al fine di giungere a una quantificazione del danno. Non essendo giunte ad un accordo entro il termine impartito, il 10 giugno 2003 esse hanno depositato presso la cancelleria del Tribunale le rispettive proposte in merito alla quantificazione del danno.

30      La ricorrente ha presentato le sue osservazioni sulla proposta della Commissione il 18 luglio 2003, e successivamente quest’ultima ha formulato le proprie osservazioni sulla proposta nonché sulle osservazioni della ricorrente il 5 settembre 2003.

31      Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Quarta Sezione) ha deciso di passare alla trattazione orale e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste all’art. 64 del regolamento di procedura, ha posto alcuni quesiti scritti alla ricorrente e alla Commissione, le quali hanno ottemperato all’invito entro il termine impartito.

32      All’udienza svoltasi il 24 febbraio 2005 sono state sentite le difese orali della ricorrente e della Commissione nonché le loro risposte ai quesiti orali posti loro dal Tribunale.

33      La ricorrente conclude che il Tribunale voglia:

–        accertare la correttezza degli importi dei danni da essa esposti, pari a, esclusi gli interessi, EUR 2 771 132 per il 1997, EUR 2 253 060 per il 1998, EUR 7 190 000 per il 1999, EUR 7 190 000 per il 2000 ed EUR 4 399 200 per il primo semestre 2001;

–        condannare la Commissione a corrispondere integralmente tali importi, oltre agli importi dovuti a titolo di rivalutazione monetaria e di interessi di mora, calcolati in base ai criteri indicati dalla ricorrente o ad altri eventuali criteri che il Tribunale dovesse ritenere più congrui;

–        condannare la Commissione alle spese di tale ulteriore fase della procedura.

34      La Commissione conclude che il Tribunale voglia determinare gli importi da corrispondere alla ricorrente secondo le seguenti indicazioni:

–        il risarcimento è dovuto per il periodo compreso fra il 1° gennaio 1997 e il 31 dicembre 1998;

–        il periodo da prendere in considerazione per il computo del quantitativo di riferimento della ricorrente è il biennio 1989‑1990;

–        l’ammontare del risarcimento dev’essere calcolato sulla base del lucro cessante costituito dalla differenza tra gli introiti che la ricorrente avrebbe ricavato dal commercio di banane nel periodo compreso tra il 1° gennaio 1997 e il 31 dicembre 1998, se la Commissione avesse risposto favorevolmente alla sua domanda di misure transitorie del 21 gennaio 1997, e gli introiti effettivi ottenuti da tale commercio nel periodo considerato, oltre a quelli ottenuti o ottenibili, durante lo stesso periodo, da eventuali attività sostitutive;

–        i quantitativi di banane supplementari che la ricorrente avrebbe potuto commercializzare se la Commissione avesse risposto favorevolmente alla sua domanda di misure transitorie del 21 gennaio 1997 ammontano a 13 885,66 tonnellate per il 1997 e a 11 265,30 tonnellate per il 1998;

–        la somma così ottenuta sarà rivalutata secondo gli indici ufficiali disponibili per l’Italia relativamente al periodo considerato; alla somma rivalutata andranno quindi applicati gli interessi moratori a decorrere dalla pronuncia della sentenza 8 giugno 2000 fino all’effettivo pagamento, calcolati al tasso legale vigente in Italia.

 In diritto

 Osservazioni preliminari

35      Occorre preliminarmente ricordare che, con lettera del 21 gennaio 1997, la ricorrente aveva chiesto alla Commissione, in forza dell’art 175 del Trattato CE (divenuto art. 232 CE), che, in applicazione dell’art. 30 del regolamento n. 404/93, i titoli d’importazione di banane dei paesi terzi e di banane ACP non tradizionali che le spettavano in quanto operatore di categoria B per il 1997 e per gli anni successivi, fino al ripristino dei suoi normali quantitativi di riferimento, fossero determinati in base ai quantitativi di banane da essa commercializzati negli anni 1988, 1989 e 1990.

36      Come risulta dal punto 208 della sentenza 8 giugno 2000, il danno da risarcire consiste nell’attribuzione alla ricorrente di un numero di titoli di importazione ridotto rispetto a quello che essa avrebbe ottenuto se l’art. 30 del regolamento n. 404/93 fosse stato correttamente applicato.

37      Orbene, la ricorrente e la Commissione concordano sugli anni da prendere in considerazione per calcolare il quantitativo di riferimento della ricorrente su cui fondarsi per determinare quanti certificati d’importazione in più essa avrebbe dovuto ottenere, ma le loro posizioni divergono, invece, per quanto riguarda tre punti principali:

–        il periodo per il quale il danno dev’essere risarcito;

–        i criteri generali da seguire per la quantificazione del danno;

–        i criteri in base ai quali prendere in considerazione la svalutazione monetaria e gli interessi di mora.

 Sugli anni da prendere in considerazione ai fini del calcolo del quantitativo di riferimento

 Argomenti delle parti

38      La Commissione indica che il periodo da prendere in considerazione ai fini del calcolo del quantitativo di riferimento della ricorrente, vale a dire il periodo di riferimento, dovrebbe in via di principio comprendere il triennio precedente l’entrata in vigore dell’organizzazione comune dei mercati, istituita dal regolamento n. 404/93, per il quale vi erano dati disponibili, vale a dire gli anni dal 1989 al 1991. Tuttavia, lo scoppio della guerra civile in Somalia giustificherebbe che non sia preso in considerazione nei confronti della ricorrente l’anno 1991. Essa sottolinea che il periodo rimanente, dal 1989 al 1990, può essere definito come un periodo di attività normale per la ricorrente, la quale avrebbe infatti riconosciuto che l’anno 1988 si era contraddistinto per un incremento significativo delle sue importazioni rispetto alla propria media. Il periodo da prendere in considerazione come periodo di riferimento sarebbe costituito quindi dagli anni 1989 e 1990.

39      La ricorrente accetta di riferirsi, ai fini della quantificazione del danno risarcibile, al periodo di riferimento indicato dalla Commissione, anziché al triennio 1988‑1990 indicato nella sua domanda ai sensi dell’art. 30 del regolamento n. 404/93.

 Giudizio del Tribunale

40      Nella sentenza 8 giugno 2000 il Tribunale, pur avendo dichiarato che il rifiuto da parte della Commissione di adottare misure transitorie per far fronte alle difficoltà incontrate dalla ricorrente era illegittimo, non ha affermato che la Commissione era tenuta, in particolare, a tener conto nei confronti della ricorrente proprio del periodo 1988‑1990 quale periodo di riferimento ai fini del calcolo del numero di titoli d’importazione che dovevano esserle attribuiti come operatore di categoria B.

41      Tenuto conto, da un lato, del fatto che nulla nella normativa pertinente impone che, in una fattispecie di rigore eccessivo come quella di cui trattasi, il periodo di riferimento sia necessariamente ridefinito rispetto ad un periodo triennale e, dall’altro, del fatto che la ricorrente accetta l’esclusione del 1988, l’approccio convenuto tra le parti può essere approvato. Il periodo rispetto al quale va calcolato il quantitativo di riferimento della ricorrente ai fini della quantificazione del danno ricomprende pertanto i due anni 1989 e 1990.

 Sul periodo per il quale il danno dev’essere risarcito

 Argomenti delle parti

42      La ricorrente ritiene che il periodo da prendere in considerazione per il risarcimento del danno derivante dal rigetto della sua domanda di misure transitorie è quello compreso fra il 1º gennaio 1997 e il 30 giugno 2001.

43      La ricorrente afferma che, nell’ambito del regime del 1999, nonostante la soppressione della distinzione tra i titoli di categoria A e B, l’ottenimento di titoli d’importazione di banane di paesi terzi, come già nell’ambito del regime precedente, dipendeva in particolare dai quantitativi di banane ACP tradizionali importati nel corso del periodo di riferimento. Essa sottolinea, infatti, che le banane ACP tradizionali venivano prese in considerazione, tra le banane di tutte le origini, ai fini della determinazione del quantitativo di riferimento unico stabilito dal regolamento n. 2362/98, il quale era sempre calcolato sulla base del periodo di riferimento costituito dagli anni 1994‑1996.

44      Inoltre, il fatto che la ricorrente, nella sua domanda del 21 gennaio 1997 inviata alla Commissione, si sia riferita ai titoli di categoria B non impedirebbe affatto di concludere nel senso dell’esistenza di un danno risarcibile da parte della Commissione anche per il periodo successivo al 31 dicembre 1998. Infatti, la ricorrente osserva che, se in questa domanda essa aveva menzionato i titoli di categoria B, era solo per individuare i titoli che venivano attribuiti in base ad un quantitativo di riferimento costituito da importazioni di banane ACP tradizionali. Con la sua azione sfociata nella sentenza 8 giugno 2000, essa avrebbe mirato ad ottenere un adeguamento dei suoi quantitativi di riferimento, cosa che il Tribunale avrebbe riconosciuto al punto 194, frasi terza‑quinta, di detta sentenza.

45      Il danno deve pertanto essere risarcito, secondo la ricorrente, per tutti gli anni in cui, in base alla normativa comunitaria, essa avrebbe potuto far valere in quanto operatore tradizionale di banane ACP i suoi normali quantitativi di riferimento, vale a dire sino al 1º luglio 2001, data di entrata in vigore del regime del 2001. Tale regime avrebbe fissato nuovi criteri di calcolo dei quantitativi di riferimento da utilizzare nell’attribuzione di titoli d’importazione di banane di paesi terzi o ACP non tradizionali, con l’effetto che, per un operatore come la ricorrente, tale calcolo dovrebbe ormai effettuarsi sulla base delle sole importazioni realizzate, durante il periodo di riferimento, in quanto operatore di categoria A.

46      La ricorrente precisa peraltro che, ai fini della valutazione del danno per gli anni 1999 e 2000 e per il primo semestre 2001, si dovrebbe tener conto delle importazioni che essa avrebbe potuto effettuare negli anni 1994‑1996 se la Commissione avesse adottato i provvedimenti necessari per permetterle di sostituire le banane somale non più disponibili in quel periodo.

47      La Commissione ritiene che il periodo per il quale la ricorrente ha diritto al risarcimento del danno debba limitarsi al lasso di tempo compreso tra il 1° gennaio 1997 e il 31 dicembre 1998.

48      Essa ricorda che il danno da risarcire è quello derivante dal suo rifiuto di rilasciare alla ricorrente, in applicazione dell’art. 30 del regolamento n. 404/93, un maggior numero di titoli d’importazione di categoria B, calcolato sulla base delle importazioni di banane effettuate dalla ricorrente prima della guerra civile in Somalia.

49      Orbene, la Commissione fa osservare che, a partire dal 1º gennaio 1999, è entrata in vigore una sostanziale riforma del regime degli scambi nell’ambito dell’organizzazione comune dei mercati della banana che ha, tra l’altro, soppresso la suddivisione degli importatori nelle categorie A, B e C e instaurato una gestione comune dei contingenti tariffari e delle banane ACP tradizionali. Essa sottolinea che, nell’ambito del regime del 1999, la ricorrente non hai mai chiesto alcuno specifico provvedimento di favore, mentre le misure domandate con riferimento al precedente regime, scaduto il 31 dicembre 1998, non avrebbero potuto produrre effetto nel nuovo.

50      La Commissione fa notare che, a partire dal 1º gennaio 1999, è cambiata la stessa base giuridica delle misure richieste dalla ricorrente. Infatti, se la ricorrente riteneva di trovarsi in una situazione particolarmente sfavorevole, essa avrebbe dovuto chiedere nuovamente alla Commissione l’adozione di misure appropriate, questa volta sulla base del nuovo art. 20, lett. d), del regolamento n. 404/93, come modificato dal regolamento n. 1637/98.

 Giudizio del Tribunale

51      Occorre rilevare che la Commissione riconosce di essere tenuta a risarcire il danno subito dalla ricorrente nel 1997 e nel 1998 a causa del mancato accoglimento della domanda del 21 gennaio 1997. La Commissione contesta, invece, la pretesa della ricorrente di imputare a tale rifiuto il danno che quest’ultima asserisce di aver subito nel periodo in cui era in vigore il regime del 1999, vale a dire il periodo 1° gennaio 1999 – 30 giugno 2001.

52      Questa pretesa della ricorrente non può essere accolta.

53      Vero è che la domanda della ricorrente del 21 gennaio 1997 può essere interpretata come sostanzialmente diretta a ottenere un provvedimento che autorizzasse le competenti autorità nazionali a stabilire il quantitativo di riferimento da utilizzare come base per l’attribuzione alla ricorrente, in quanto operatore di categoria B, di titoli d’importazione di banane di paesi terzi o ACP non tradizionali, tenendo conto dei quantitativi di banane ACP tradizionali commercializzati nel corso di un periodo di riferimento diverso da quello previsto dalla normativa vigente.

54      Risulta, in particolare, dalla detta domanda che la sostituzione del periodo di riferimento 1993‑1995, da utilizzare nell’ambito del regime del 1993 per l’attribuzione di titoli d’importazione nel 1997, si giustificava, ai fini dell’attribuzione alla ricorrente di titoli d’importazione di banane di paesi terzi o ACP non tradizionali, in considerazione del livello anormalmente basso delle importazioni di banane ACP tradizionali effettuate dalla ricorrente nel corso del medesimo periodo, dovuto all’effetto combinato della guerra civile scoppiata in Somalia e dell’istituzione dell’organizzazione comune dei mercati.

55      La ricorrente chiedeva che si tenesse conto degli anni 1988‑1990 come periodo di riferimento «fino al ripristino dei suoi quantitativi di riferimento normali», il che significa, nel contesto di tale domanda, fino al momento in cui, per effetto dello slittamento annuo previsto dalla normativa vigente (v. supra, punti 8 e 9), il periodo di riferimento ricomprendesse soltanto anni non caratterizzati dalle difficoltà di approvvigionamento di banane ACP tradizionali all’origine della domanda della ricorrente.

56      In tal senso, le misure che la Commissione avrebbe dovuto adottare per accogliere la detta domanda avrebbero dovuto permettere anche per il 1998 di prendere in considerazione i quantitativi di banane ACP tradizionali commercializzati dalla ricorrente nel corso del periodo da essa proposto, ai fini del calcolo del numero di titoli d’importazione di categoria B da attribuirle. Per quell’anno, infatti, il periodo di riferimento pertinente ai sensi del regolamento n. 1442/93 (1994‑1996) continuava a ricomprendere – come il Tribunale ha espressamente constatato al punto 148, in fine, della sentenza 8 giugno 2000 – anni in cui la ricorrente aveva subito le dette difficoltà di approvvigionamento.

57      Se il regime del 1993 fosse perdurato fino al 1999, le misure che la Commissione avrebbe dovuto adottare per accogliere la domanda della ricorrente avrebbero consentito la stessa sostituzione del periodo di riferimento anche per l’anno 1999, giacché il periodo di riferimento risultante dai regolamenti n. 404/93 e n. 1442/93, spostato di un anno supplementare (1995‑1997), avrebbe ancora ricompreso anni (1995 e 1996) caratterizzati dalle difficoltà in questione.

58      Tuttavia, a partire del 1° gennaio 1999 il regime del 1993 è stato riformato. Orbene, si deve constatare che tale riforma era tale da far cessare, al 31 dicembre 1998, gli effetti delle misure che la Commissione avrebbe dovuto adottare per accogliere la domanda della ricorrente del 21 gennaio 1997.

59      Una siffatta conclusione non può tuttavia fondarsi, come asserisce la Commissione, sulla ragione di ordine formale consistente nell’introduzione, ad opera dell’art. 20, lett. d), del regolamento n. 404/93, come modificato dal regolamento n. 1637/98, di un nuovo fondamento normativo per l’adozione di misure transitorie.

60      La situazione della ricorrente non rientra infatti nell’ambito del citato art. 20, lett. d), in quanto la fattispecie di rigore eccessivo invocata da quest’ultima, cioè le difficoltà di approvvigionamento in banane ACP tradizionali incontrate nel corso del periodo 1994‑1996, non è collegata al passaggio dal regime del 1993 al quello del 1999. Connessa alla guerra civile scoppiata in Somalia alla fine del 1990, essa era, invece, una conseguenza diretta dell’instaurazione dell’organizzazione comune dei mercati, in quanto il regime del 1993 ha di fatto determinato per la ricorrente una notevole diminuzione oggettiva della possibilità, offerta dal regime italiano previgente, di sostituire l’offerta insufficiente di banane somale con altre banane, in particolare ACP tradizionali (sentenza 8 giugno 2000, punti 140‑143). Derivanti dal passaggio dai regimi nazionali al regime del 1993, tali difficoltà rientravano dunque ancora, nell’ambito del regime del 1999, nella sfera di applicazione dell’art. 30 del regolamento n. 404/93, che non è stato né abrogato né modificato dal regolamento n. 1637/98.

61      Le ragioni che ostano a che le misure che la Commissione avrebbe dovuto adottare per accogliere la domanda del 21 gennaio 1997 potessero perdurare oltre il 31 dicembre 1998 sono di ordine sostanziale e attengono alle caratteristiche che distinguono fondamentalmente, con riferimento all’oggetto della detta domanda, il regime del 1999 da quello del 1993.

62      Ai sensi del ‘considerando’ 5 del regolamento n. 2362/98, «una gestione comune dei contingenti tariffari e delle banane ACP tradizionali» era idonea a favorire un’evoluzione del commercio internazionale e una maggiore fluidità degli scambi, nonché ad evitare diversificazioni ingiustificate. Pertanto, secondo il detto ‘considerando’, gli operatori tradizionali e i «nuovi arrivati» dovevano «essere definiti secondo criteri unici da qualsiasi paese terzo o ACP essi importino», i diritti degli operatori tradizionali dovevano «essere definiti in base alle importazioni effettive di qualsiasi origine e fonte di approvvigionamento» e dovevano «consentire di importare da tutte le origini»; inoltre, questo stesso orientamento doveva «essere seguito nella gestione periodica delle importazioni senza diversificazioni dettate dall’origine delle importazioni».

63      Di conseguenza, il regime del 1999 ha soppresso la distinzione operata dall’art. 19 del regolamento n. 404/93, ai fini della ripartizione del contingente tariffario, tra operatori (e titoli) di categoria A, B e C. Il regime del 1999 distingueva soltanto gli operatori cosiddetti tradizionali (v. supra, punto 17), come la ricorrente, dagli operatori nuovi arrivati.

64      Inoltre, mentre nell’ambito del regime del 1993 i quantitativi di riferimento erano calcolati, per gli operatori di categoria A, sulla base dei quantitativi di banane di paesi terzi e di banane ACP non tradizionali commercializzati durante un periodo di riferimento e, per gli operatori di categoria B, sulla base dei quantitativi di banane comunitarie o ACP tradizionali commercializzati nel corso dello stesso periodo di riferimento (v. supra, punto 8), nell’ambito del regime del 1999 veniva calcolato «un quantitativo di riferimento unico», stabilito dall’art. 4 del regolamento n. 2362/98 (v. supra, punto 18), tenendo conto delle importazioni nella Comunità di tutte le origini, vale a dire di banane ACP tradizionali e non tradizionali nonché di banane di paesi terzi (allegato I del regolamento n. 2362/98), effettuate dall’operatore interessato durante un periodo di riferimento.

65      Vero è che, nonostante la soppressione delle categorie di operatori e di titoli A, B e C e l’istituzione di un quantitativo di riferimento unico, le importazioni di banane ACP tradizionali effettuate nel periodo di riferimento continuavano ad influenzare, anche nel regime del 1999, il numero di titoli attribuibili alla ricorrente per l’importazione di banane di paesi terzi e ACP non tradizionali. È altrettanto vero che il periodo di riferimento è rimasto fisso, per tutta la durata del regime del 1999, agli anni 1994‑1996 (v. supra, punti 18 e 20), vale a dire lo stesso triennio che aveva costituito il periodo di riferimento durante l’anno 1998, ultimo anno del regime del 1993, e che, a causa delle difficoltà di approvvigionamento derivanti dalla guerra civile somala e dall’instaurazione dell’organizzazione comune dei mercati, non era rappresentativo del livello normale di attività della ricorrente nel settore delle banane ACP tradizionali.

66      Tuttavia, anche ammettendo che non fosse totalmente inconciliabile con le modalità di funzionamento del regime del 1999, la presa in considerazione, ai fini della fissazione del quantitativo di riferimento unico della ricorrente, degli anni 1989 e 1990 anziché del periodo 1994‑1996, per la sola componente del detto quantitativo costituita dalle importazioni di banane ACP tradizionali, non avrebbe potuto discendere, nell’ambito del regime del 1999, dalle misure che la Commissione avrebbe dovuto adottare nell’ambito del regime del 1993 per accogliere la domanda della ricorrente del 21 gennaio 1997.

67      Si deve infatti constatare che, nel regime del 1993, le importazioni di banane ACP tradizionali effettuate da un operatore nel periodo di riferimento gli davano diritto a partecipare alla ripartizione di una quota ben delimitata (30%) del contingente tariffario. È in tale contesto che era destinata ad operare la sostituzione del periodo di riferimento sollecitata dalla domanda della ricorrente del 21 gennaio 1997.

68      Orbene, nell’ambito del regime del 1999 i quantitativi di riferimento di banane ACP tradizionali non servivano più, com’era avvenuto nell’ambito del regime del 1993, per calcolare il numero di titoli d’importazione di banane di paesi terzi o ACP non tradizionali da attribuire nell’ambito della riserva del 30% del contingente tariffario assegnata agli operatori di categoria B, ma contribuivano a costituire il quantitativo di riferimento unico utilizzato, in maniera più generale, per calcolare il numero di titoli da attribuire agli operatori per le importazioni di tutte le origini nel quadro di una gestione comune dei contingenti tariffari e delle banane ACP tradizionali. Conformemente al ‘considerando’ 5 del regolamento n. 2362/98, nell’ambito del regime del 1999, i diritti degli operatori tradizionali non soltanto dovevano «essere definiti in base alle importazioni effettive di qualsiasi origine e fonte di approvvigionamento», ma dovevano anche «consentire di importare da tutte le origini».

69      Pertanto, nell’ambito del regime del 1999, i quantitativi di banane ACP tradizionali importati nel periodo di riferimento non influenzavano soltanto, come avveniva nell’ambito del regime del 1993, il concorso degli operatori alla ripartizione di una quota ben delimitata del contingente tariffario, ma anche quello alla ripartizione della totalità dei contingenti tariffari e, per giunta, il concorso alla ripartizione dei titoli d’importazione di banane ACP tradizionali (artt. 3, 4 e 6 del regolamento n. 2362/98), mentre, nell’ambito del regime del 1993, l’importazione di banane ACP tradizionali non era subordinata alla detenzione di un quantitativo di riferimento (artt. 14‑16 del regolamento n. 1442/93).

70      Queste modifiche fondamentali delle condizioni di accesso alle banane di paesi terzi o ACP non tradizionali e, soprattutto, alle banane ACP tradizionali rappresentano un’evidente soluzione di continuità tra il regime del 1993 e quello del 1999 con riferimento all’oggetto della domanda della ricorrente del 21 gennaio 1997. La tesi della ricorrente secondo la quale, sebbene i titoli di categoria B non esistessero più nel regime del 1999, il meccanismo di attribuzione di titoli relativi a banane di paesi terzi o ACP non tradizionali ha continuato a esistere ed era essenzialmente lo stesso di quello vigente nel regime del 1993 è, pertanto, erronea.

71      Le misure che la Commissione avrebbe dovuto adottare per accogliere la domanda della ricorrente del 21 gennaio 1997 non potevano, dunque, esplicare i loro effetti oltre il 31 dicembre 1998. Una sostituzione, nell’ambito del regime del 1999, del periodo di riferimento per la sola componente del quantitativo di riferimento unico costituita dalle importazioni di banane ACP tradizionali avrebbe avuto una portata molto diversa e molto più significativa rispetto a quella delle misure richieste dalla ricorrente. Una sostituzione del genere, anche supponendola ammissibile in sede di applicazione del regime del 1999, avrebbe potuto unicamente conseguire da una nuova decisione della Commissione, che era onere della ricorrente sollecitare mediante una nuova domanda da presentare alla luce delle specifiche modalità del detto regime.

72      Ne consegue che il danno che la Commissione è tenuta a risarcire nella fattispecie è quello derivante dall’attribuzione alla ricorrente, per ciò che concerne i soli anni 1997 e 1998, di un numero di titoli d’importazione di banane di paesi terzi e ACP non tradizionali ridotto rispetto a quello che essa avrebbe ottenuto per gli stessi anni se la Commissione avesse accolto la sua domanda del 21 gennaio 1997 autorizzando, in applicazione dell’art. 30 del regolamento n. 404/93, che fossero presi in considerazione come periodo di riferimento gli anni 1989 e 1990.

73      Tale conclusione si impone a maggior ragione ove si consideri che, conformemente alla giurisprudenza, la possibilità per i singoli di invocare un danno futuro nell’ambito di un’azione per responsabilità extracontrattuale promossa contro la Comunità verte unicamente su un danno imminente e prevedibile con una certa sicurezza sulla base della situazione di fatto e di diritto esistente (sentenza della Corte 2 giugno 1976, cause riunite 56/74‑60/74, Kampffmeyer e a./Consiglio e Commissione, Racc. pag. 711, punti 6‑8).

74      La domanda di risarcimento danni proposta dalla ricorrente nella presente causa non poteva perciò avere altro oggetto che il risarcimento del danno che avrebbe potuto prodursi, come conseguenza della decisione della Commissione 17 luglio 1997, sulla base della normativa vigente all’epoca della presentazione della domanda, vale al dire il regime del 1993. Orbene, il danno lamentato dalla ricorrente per il periodo 1° gennaio 1999 – 30 giugno 2001 non risulterebbe in ogni caso da tale normativa, bensì da una normativa sostanzialmente diversa, adottata successivamente alla presentazione del ricorso e le cui caratteristiche non erano in alcun modo prevedibili al momento di tale presentazione.

 Sui criteri generali da seguire per la quantificazione del danno

 Argomenti delle parti

75      La ricorrente ritiene che il Tribunale, in particolare ai punti 194, 195 e 211 della sentenza 8 giugno 2000, abbia già chiaramente indicato il criterio per calcolare l’ammontare dovuto a titolo di danni, in particolare riferendosi al criterio proposto dalla ricorrente medesima, vale a dire il valore di scambio dei titoli d’importazione non attribuiti, stimato a EUR 200 per tonnellata in una dichiarazione resa dai servizi della Commissione il 9 e 10 febbraio 1998 al gruppo di lavoro «banane» del comitato speciale «Agricoltura» del Consiglio. Perciò, secondo la ricorrente, il danno dev’essere calcolato moltiplicando 200 euro per il numero di tonnellate rappresentate dai titoli che essa ha ricevuto in meno rispetto a quelli che avrebbe dovuto ottenere se fosse stato utilizzato come periodo di riferimento il periodo precedente la guerra civile, anziché gli anni 1993‑1995 per le importazioni da effettuare nel 1997 e gli anni 1994‑1996 per le importazioni da effettuare negli anni successivi.

76      La ricorrente sottolinea che il Tribunale non può condannare una parte a risarcire un danno se questo non è reale e se non è già certo nell’an e nel quantum al momento della condanna (v. sentenza del Tribunale 2 luglio 2003, causa T‑99/98, Hameico Stuttgart e a./Consiglio e Commissione, Racc. pag. II‑2195, punto 67, e la giurisprudenza ivi citata), nel senso che tale danno deve poter almeno essere valutato con esattezza secondo criteri già stabiliti. Orbene, la Commissione, asserendo che il Tribunale non ha stabilito tali criteri nella sentenza 8 giugno 2000, vorrebbe a torto far credere che il danno non è solamente indeterminato ma anche incerto.

77      La ricorrente fa notare che nella sentenza 8 giugno 2000 il Tribunale, pur non avendo espressamente esaminato la fondatezza del criterio del valore di scambio dei titoli da essa proposto, non ha neppure giudicato tale criterio infondato o inadeguato a quantificare il danno. Altrimenti, esso si sarebbe astenuto dall’affermare, al punto 195 della detta sentenza, che un simile criterio consentiva di prevedere l’entità del danno «con sufficiente certezza» e dall’invitare le parti, al punto 211, «a ricercare un accordo, alla luce [di tale] sentenza, sull’ammontare del risarcimento relativo all’intero danno allegato».

78      Inoltre, la ricorrente evidenzia che, nella controreplica presentata nell’ambito della fase principale del procedimento, la Commissione avrebbe potuto contestare il criterio proposto dalla ricorrente, ma non l’ha fatto. Di conseguenza, la Commissione non potrebbe più rimettere in discussione tale criterio.

79      In ogni caso, la ricorrente afferma che il valore di scambio dei titoli è un dato fondato e affidabile per quantificare il danno nel caso di specie. Essa ricorda, infatti, che la trasmissibilità dei titoli d’importazione di banane è espressamente prevista dalla normativa comunitaria fin dall’inizio del regime del 1993 (art. 20 del regolamento n. 1442/93) e che proprio i titoli di categoria B erano quelli che costituivano oggetto di scambio, dato che, ai sensi dell’art. 13, n. 3, del regolamento n. 1442/93, la loro cessione non comportava alcuna diminuzione dei quantitativi di riferimento del titolare e permetteva di integrare i minori guadagni consentiti dal commercio di banane ACP. A tale riguardo, la ricorrente rinvia al punto 86 della sentenza della Corte 5 ottobre 1994, causa C‑280/93, Germania/Consiglio (Racc. pag. I‑4973). Il prezzo di cessione dei titoli rappresenterebbe dunque un introito certo e, più in particolare, un guadagno minimo.

80      Per dimostrare la fondatezza del criterio del valore di scambio dei titoli d’importazione, la ricorrente ricorda che, nella sentenza 27 gennaio 2000, cause riunite C‑104/89 e C‑37/90, Mulder e a./Consiglio e Commissione (Racc. pag. I‑203, punto 79), la Corte ha affermato che elementi statistico-commerciali possono essere presi in considerazione per la quantificazione del danno.

81      La Commissione sostiene che la sentenza 8 giugno 2000 non ha individuato i criteri per quantificare il risarcimento dovuto alla ricorrente. Infatti, il criterio suggerito dalla ricorrente sarebbe stato preso in considerazione dal Tribunale solamente per valutare la ricevibilità della domanda di risarcimento, senza per questo essere stato giudicato adeguato. Del resto, non vi sarebbe stato alcun contraddittorio quanto alla fondatezza di tale criterio.

82      La Commissione non ammette che il risarcimento dovuto possa essere calcolato in funzione di un ipotetico valore di scambio dei titoli d’importazione prescindendo completamente dal fatto che le relative merci vengano o meno importate. Un tale elemento non avrebbe infatti alcun rapporto con l’evento dannoso e con le effettive conseguenze di questo sulla posizione della ricorrente (sentenza della Corte 14 luglio 1967, cause riunite 5/66, 7/66 e 13/66‑24/66, Kampffmeyer e a./Commissione, Racc. pag. 287).

83      Essa sottolinea che la cessione dei titoli d’importazione da un operatore all’altro si verifica, in concreto, raramente. Ricorda inoltre che la cessione dei titoli comportava, in linea generale, già nell’ambito del regime del 1993, ai sensi dell’art. 13 del regolamento n. 1442/93, che i quantitativi ceduti fossero detratti dal quantitativo di riferimento del cedente. Secondo la Commissione, gli operatori di categoria B, come la ricorrente, non erano soggetti certo a questa limitazione, ma la possibilità per loro di ottenere titoli d’importazione relativi a banane di paesi terzi e ACP non tradizionali dipendeva dall’effettiva commercializzazione da parte loro di banane comunitarie e ACP tradizionali nel periodo di riferimento.

84      Quanto al preteso valore di scambio dei titoli d’importazione, pari a EUR 200 per tonnellata, indicato dalla ricorrente sulla base della dichiarazione resa dai servizi della Commissione al gruppo di lavoro «banane» del comitato speciale «Agricoltura» del Consiglio del 9 e 10 febbraio 1998, la Commissione fa notare che esso non costituisce un elemento significativo per determinare il danno. Infatti, tale valore non potrebbe comunque essere preso in considerazione per tutto il periodo interessato, poiché si tratta solo di una indicazione relativa ad un momento specifico, limitata ai titoli di categoria B, e poiché il prezzo di tali titoli variava in funzione del prezzo delle banane. Peraltro, una simile indicazione non sarebbe il frutto di una rilevazione statistico-commerciale ufficiale in quanto non esisterebbe un vero e proprio mercato dei titoli d’importazione.

85      Per valutare il danno di cui trattasi, la Commissione suggerisce, invece, di muovere dalla costante giurisprudenza secondo la quale il risarcimento ha lo scopo di rimettere, per quanto possibile, colui che ha subito il danno nella posizione in cui si sarebbe trovato in assenza dell’evento dannoso (sentenza della Corte 3 febbraio 1994, causa C‑308/87, Grifoni/CEEA, Racc. pag. I‑341, punto 40). Occorrerebbe pertanto tener conto, per quanto possibile, della situazione reale del danneggiato, in particolare qualora il risarcimento sia collegato all’esercizio di un’attività economica che, per sua natura, può comportare perdite oltre che guadagni (sentenza della Corte 19 maggio 1992, cause riunite C‑104/79 e C‑37/90, Mulder e a./Consiglio e Commissione, Racc. pag. I‑3061, punti 32‑34, e sentenza del Tribunale 11 luglio 1997, causa T‑267/94, Oleifici italiani/Commissione, Racc. pag. II‑1239, punti 73 e segg.).

86      Facendo riferimento alle sentenze 19 maggio 1992, Mulder e a./Consiglio e Commissione, citata (punto 26), e 27 gennaio 2000, Mulder e a./Consiglio e Commissione, citata, la Commissione suggerisce di tener conto, nella fattispecie, del lucro cessante costituito dalla differenza tra gli introiti che la ricorrente avrebbe ricavato dal commercio di banane durante il periodo considerato (1997 e 1998), se la Commissione avesse risposto favorevolmente alla sua domanda di misure transitorie del 21 gennaio 1997, e gli introiti effettivi ricavati da tale commercio durante lo stesso periodo, oltre a quelli ottenuti od ottenibili durante lo stesso periodo da eventuali attività sostitutive. Al fine di valutare gli introiti supplementari che la ricorrente avrebbe potuto ottenere nel periodo considerato in caso di risposta favorevole alla sua domanda, la Commissione ritiene ragionevole prendere in considerazione i margini ottenuti dalla ricorrente sulle importazioni di banane effettivamente compiute nel corso di tale periodo. La Commissione precisa inoltre che, qualora il Tribunale accogliesse tale criterio, spetterebbe alla ricorrente fornire tutti gli elementi di prova necessari all’esatta determinazione di tali margini.

 Giudizio del Tribunale

–       Se il criterio del valore di scambio dei titoli sia stato avallato dalla sentenza 8 giugno 2000

87      Occorre anzitutto verificare se il criterio invocato dalla ricorrente sia stato giudicato appropriato dalla sentenza 8 giugno 2000 ai fini della valutazione del danno di specie.

88      In proposito non può che rilevarsi, come afferma la Commissione, che le considerazioni svolte dal Tribunale in merito al valore di scambio dei titoli d’importazione come criterio di calcolo del danno si inscrivono nell’ambito dell’analisi della ricevibilità del ricorso per risarcimento danni (punti 194 e 195 della sentenza 8 giugno 2000).

89      Orbene, risulta chiaramente dalla lettura dei punti 194 e 195 che l’affermazione del Tribunale secondo la quale la ricorrente ha indicato gli elementi che consentono di prevedere l’entità del danno lamentato con sufficiente certezza significa soltanto che la ricorrente ha fornito al Tribunale degli elementi grazie ai quali quest’ultimo ha potuto concludere che l’entità del danno asserito era determinabile e che, pertanto, il ricorso per risarcimento danni era ricevibile.

90      Nel valutare la fondatezza del ricorso per risarcimento danni il Tribunale non si è affatto pronunciato sull’entità del danno da risarcire, limitandosi invece a constatare, al punto 211 della sentenza 8 giugno 2000, che «le parti [dovevano] ricercare un accordo alla luce [di tale] sentenza, sull’ammontare del risarcimento relativo all’intero danno allegato». Ciò significa che nell’ambito delle trattative le parti dovevano tener conto del fatto che la Commissione era responsabile delle conseguenze dannose del proprio comportamento illegittimo quale constatato nella sentenza e che essa doveva risarcire integralmente il danno, ed esso soltanto, che presentasse un nesso causale con tale comportamento. Non può, per contro, dedursi dal punto citato della sentenza 8 giugno 2000, come fa la ricorrente, un riferimento alle considerazioni svolte dal Tribunale nell’ambito dell’analisi della ricevibilità del ricorso e, in particolare, al valore di scambio dei titoli quale criterio per la determinazione dell’entità del danno.

91      Erroneamente la ricorrente si fonda sulla citata sentenza Hameico Stuttgart e a./Consiglio e Commissione. Il Tribunale, infatti, al punto 67 di tale sentenza, si è limitato a ricordare che la responsabilità della Comunità può sorgere soltanto ove il ricorrente abbia effettivamente subito un danno «reale e certo». Si tratta di un presupposto della responsabilità extracontrattuale della Comunità che il giudice comunitario può ritenere soddisfatto, in un determinato caso, senza dover prima necessariamente esaminare nel merito l’entità del danno allegato, ove risulti dalle concrete circostanze della fattispecie che non vi è dubbio in ordine all’esistenza di un danno. Orbene, ai punti 207 e 208 della sentenza 8 giugno 2000, il Tribunale ha per l’appunto constatato, in sostanza, la reale sussistenza delle conseguenze dannose per la ricorrente della violazione, da parte della Commissione, dell’art. 30 del regolamento n. 404/93, conseguenze che il Tribunale ha identificato nell’attribuzione alla ricorrente di un numero di titoli d’importazione ridotto rispetto a quello che essa avrebbe ottenuto se il detto articolo fosse stato applicato correttamente. Il fatto che tale danno non potesse ancora essere quantificato con precisione al momento della presentazione del ricorso non impediva affatto di concludere che il danno era certo.

92      Il Tribunale deve pertanto, dato il fallimento delle trattative condotte dalle parti, pronunciarsi sui criteri da seguire per la quantificazione del danno subito dalla ricorrente e stabilire l’importo del risarcimento.

–       Se sia preclusa alla Commissione la possibilità di contestare il criterio del valore di scambio dei titoli

93      Occorre respingere anche l’argomento della ricorrente secondo il quale la Commissione, non avendo contestato – nella controreplica presentata nel corso della fase del presente procedimento sfociata nella sentenza 8 giugno 2000 – la fondatezza del criterio del valore di scambio dei titoli d’importazione che la ricorrente aveva proposto nella memoria di replica, si vedrebbe ormai preclusa la possibilità di formulare una tale contestazione in questa nuova fase del procedimento.

94      È sufficiente ricordare, in proposito, che nell’atto introduttivo la ricorrente non aveva indicato i criteri da seguire nella determinazione del danno lamentato. Essa si era limitata a rilevare che all’epoca non era possibile quantificare il danno, che continuava a prodursi, e a invitare di conseguenza il Tribunale a pronunciarsi, in un primo tempo, sull’esistenza del danno, riservandone la stima in sede di accordo stragiudiziale tra le parti o, in mancanza di tale accordo, a una decisione del Tribunale nell’ambito di un’azione successiva. Soltanto nella memoria di replica, rispondendo all’eccezione sollevata dal Consiglio secondo la quale il ricorso per risarcimento danni era irricevibile in assenza di precisazioni in merito alla natura e all’entità del danno lamentato, la ricorrente ha fatto riferimento al valore di scambio dei titoli d’importazione non attribuiti.

95      Alla luce di tali particolari circostanze, la Commissione non era tenuta, pena la decadenza, a svolgere nella controreplica osservazioni sulla fondatezza del criterio di quantificazione proposto dalla ricorrente, ma ha potuto legittimamente farlo, dopo la pronuncia della sentenza interlocutoria 8 giugno 2000, nell’ambito della fase del procedimento specificamente dedicata alla quantificazione del danno.

96      In ogni caso il Tribunale, chiamato a esaminare la portata dell’obbligo di risarcimento di un danno di cui la Comunità è responsabile, non può ritenersi vincolato al criterio di determinazione degli importi da corrispondere proposto dalla ricorrente per il solo motivo che la Commissione non ha preso posizione sulla fondatezza di tale criterio in un determinato stadio della fase scritta del procedimento.

–       Sui criteri da seguire per la quantificazione del danno da risarcire

97      Per giurisprudenza costante, nell’ambito della responsabilità extracontrattuale il risarcimento del danno è diretto, nella misura del possibile, alla reintegrazione del patrimonio del danneggiato (sentenze Grifoni/CEEA, citata, punto 40, e 27 gennaio 2000, Mulder e a./Consiglio e Commissione, citata, punti 51 e 63).

98      Conformemente alla giurisprudenza, spetta al ricorrente provare, da un lato, l’esistenza del danno subito e, dall’altro, gli elementi costitutivi e l’entità dello stesso (sentenza 27 gennaio 2000, causa Mulder e a./Consiglio e Commissione, citata, punto 82).

99      Orbene, l’esistenza di un danno è stata constatata, nella fattispecie, dalla sentenza 8 giugno 2000, con cui il Tribunale ha dichiarato che il danno consisteva nell’attribuzione di un numero di titoli d’importazione ridotto rispetto a quello che la ricorrente avrebbe ottenuto se la sua domanda del 21 gennaio 1997 fosse stata accolta (punto 208 della citata sentenza). La ricorrente è dunque tenuta a dimostrare soltanto i diversi elementi costitutivi e l’entità di tale danno.

100    A tale proposito, la ricorrente sollecita un risarcimento del danno fondato sull’assegnazione del controvalore economico dei titoli d’importazione non attribuiti, metodo che, a suo parere, permette soltanto di risarcire un «danno minimo certo» rappresentato dalla perdita di un «introito certo» costituito dal prezzo di cessione di tali titoli. Essa precisa che un metodo del genere sottovaluta in realtà il danno subito globalmente, che comprenderebbe elementi come «la perdita di clienti e di canali di approvvigionamento, fino alla quasi totale cessazione dell’attività». Questi elementi sono peraltro evocati per la prima volta soltanto nelle osservazioni della ricorrente sulla proposta della Commissione in merito al risarcimento e non sono né circostanziati né provati.

101    Nella fattispecie, il risarcimento del danno deve in via di principio permettere che la ricorrente sia reintegrata economicamente nella situazione in cui si sarebbe trovata se la Commissione si fosse astenuta dal comportamento illecito che ha cagionato il danno. Ciò implica, in primo luogo, la determinazione del numero di titoli d’importazione supplementari che avrebbero dovuto essere attribuiti alla ricorrente conformemente alla decisione che la Commissione avrebbe dovuto adottare in accoglimento della sua domanda del 21 gennaio 1997 e, in secondo luogo, la ricostruzione della situazione economica in cui la ricorrente si sarebbe trovata se avesse ricevuto e sfruttato tali titoli.

102    Per quanto riguarda il numero di titoli d’importazione supplementari, occorre prendere in considerazione, conformemente a quanto rilevato supra, al punto 72, solo gli anni 1997 e 1998, che costituiscono il periodo per il quale il danno dev’essere risarcito.

103    Secondo il calcolo da essa effettuato nella sua proposta in merito al risarcimento, tenendo conto degli anni 1989 e 1990 come periodo di riferimento, la ricorrente avrebbe dovuto ricevere, oltre a quanto effettivamente ottenuto, titoli di categoria B per un quantitativo di 13 855,66 tonnellate nel 1997 e di 11 625,30 tonnellate nel 1998.

104    Nella sua proposta in merito al risarcimento, la Commissione, che non contesta il metodo e i dati utilizzati dalla ricorrente ai fini del calcolo del numero dei titoli supplementari, ha affermato che, se avesse risposto favorevolmente alla domanda della ricorrente del 21 gennaio 1997, quest’ultima avrebbe ricevuto, sulla base del periodo di riferimento 1989‑1990, titoli di categoria B supplementari per 13 855,66 tonnellate nel 1997 e per 11 265,30 tonnellate nel 1998.

105    La non coincidenza, nelle proposte delle due parti, del dato relativo ai titoli supplementari che la ricorrente avrebbe dovuto ottenere nel 1998 (11 625,30 tonnellate secondo la ricorrente e 11 265,30 tonnellate secondo la Commissione), deriva manifestamente da un errore di calcolo o da un errore materiale commesso dalla ricorrente. Quest’ultima infatti nel suo calcolo indica che, per il detto anno, avrebbe dovuto ricevere titoli per 15 610,39 tonnellate e di averne ricevuti soltanto per 4 345,092 tonnellate. La differenza tra questi quantitativi ammonta a 11 265,298 tonnellate, cifra che, arrotondata, conferma il dato indicato dalla Commissione.

106    Occorre pertanto constatare che, se la Commissione avesse risposto favorevolmente alla domanda della ricorrente del 21 gennaio 1997, quest’ultima avrebbe ricevuto titoli di categoria B supplementari per 13 855,66 tonnellate nel 1997 e per 11 265,30 tonnellate nel 1998.

107    Per quanto riguarda la ricostruzione della situazione economica in cui la ricorrente si sarebbe trovata se avesse potuto contare su tali titoli supplementari, occorre rilevare che, nell’ambito del regime del 1993, i detentori di titoli d’importazione di categoria B disponevano di una duplice possibilità di sfruttamento economico degli stessi. Infatti, non soltanto essi potevano utilizzarli per l’importazione di banane di paesi terzi o ACP non tradizionali nella Comunità, ma era loro altresì espressamente consentito dall’art. 13 del regolamento n. 1442/93 (v. supra, punto 10) cederli ad altri operatori delle categorie A, B o C.

108    La Corte ha d’altronde avuto modo di constatare quest’altra possibilità di sfruttamento economico dei titoli di categoria B nell’ambito del regime del 1993 nella sua citata sentenza Germania/Consiglio (punti 84‑86), in cui ha osservato che «[i]l principio [di] trasmissibilità dei [titoli] (…) implica in pratica che il detentore di un [titolo], anziché procedere direttamente all’importazione e alla vendita di banane di paesi terzi, può cedere il proprio titolo di importazione ad un altro operatore economico che voglia egli stesso procedere all’importazione» e che «la cessione dei [titoli] di importazione costituisce una facoltà che il regolamento [n. 1442/93] consente alle varie categorie di operatori economici di esercitare in relazione ai loro interessi commerciali». La Corte ha altresì precisato che «[i]l vantaggio economico che questo tipo di vendita può eventualmente procurare agli operatori di banane comunitarie e ACP tradizionali costituisce una conseguenza necessaria del principio di trasmissibilità dei certificati e dev’essere valutato nel contesto più generale dell’insieme dei provvedimenti adottati dal Consiglio al fine di garantire lo smaltimento dei prodotti comunitari e tradizionali ACP». In tale contesto, ha aggiunto la Corte, «esso va considerato come un mezzo volto a contribuire alla capacità concorrenziale degli operatori economici che smerciano le banane comunitarie e ACP nonché ad agevolare l’integrazione dei mercati degli Stati membri».

109    È inoltre pacifico che i titoli d’importazione di categoria B erano di fatto oggetto di transazioni sul mercato.

110    In proposito la ricorrente giustamente si richiama alla dichiarazione del rappresentante della Commissione in seno al gruppo di lavoro «Banane» del comitato speciale «Agricoltura» del Consiglio del 9 e 10 febbraio 1998, secondo la quale i titoli d’importazione di categoria B erano, all’epoca, negoziati sul mercato al prezzo di circa EUR 200 per tonnellata.

111    L’argomento della Commissione secondo cui la cessione di titoli da un operatore a un altro in pratica si verificava solo raramente non è pertinente, oltre ad essere smentito dalla constatazione di cui al ‘considerando’ 4 del regolamento n. 2362/98, in cui la Commissione stessa menzionava il «numero rilevante di trasmissioni informali e di cessioni a titolo oneroso dei documenti d’importazione effettuate nell’ultimo periodo di applicazione del regime iniziale istituito dal regolamento (...) n. 404/93».

112    Peraltro, gli argomenti della Commissione esposti supra, al punto 83, non impediscono di ricorrere al valore di scambio dei titoli quale criterio di valutazione del danno subito dalla ricorrente. La Commissione stessa, infatti, riconosce che gli operatori di categoria B, come la ricorrente, non erano soggetti, fino all’entrata in vigore del regime del 1999, al meccanismo di riduzione dei quantitativi di riferimento a seguito della cessione dei titoli, il quale, conformemente all’art. 13, n. 3, del regolamento n. 1442/93, si applicava solo nel caso in cui «un operatore della categoria A trasmette i propri diritti a un altro operatore delle categorie A o C». Quanto al fatto, ricordato dalla Commissione, che la possibilità per gli operatori di categoria B di ottenere titoli d’importazione di banane di paesi terzi e ACP non tradizionali fosse subordinata all’effettiva commercializzazione da parte loro di banane comunitarie e ACP tradizionali nel periodo di riferimento, esso è del tutto irrilevante nel presente contesto.

113    Per quanto riguarda il riferimento, da parte della Commissione, al metodo di stima del danno seguito dalla Corte nelle cause che hanno dato luogo alle citate sentenze Mulder e a./Consiglio e Commissione, si deve rammentare che, in quelle cause, i ricorrenti chiedevano di essere risarciti fino a concorrenza degli utili che avrebbero potuto realizzare se, alla scadenza del loro impegno di non commercializzazione, avessero potuto riprendere le consegne di latte sulla base del quantitativo di riferimento cui avevano diritto e di cui erano stati privati dalla normativa vigente, dichiarata invalida dalla Corte. Le istituzioni convenute proponevano, per contro, di calcolare l’entità dei risarcimenti dovuti dalla Comunità ai ricorrenti sulla base dell’importo del premio di non commercializzazione versato a ciascuno di loro. Tale premio, instaurato nel settore del latte dal regolamento (CEE) del Consiglio 17 marzo 1977, n. 1078, che istituisce un regime di premi per la non commercializzazione del latte e dei prodotti lattiero‑caseari e per la riconversione di mandrie bovine a orientamento lattiero (GU L 131, pag. 1), era concesso ai produttori che si fossero impegnati a non commercializzare i propri prodotti per cinque anni ed era stato fissato a un livello che permetteva di considerarlo come «una parziale compensazione per la perdita degli introiti normalmente ottenuti dalla commercializzazione dei prodotti in causa» (terzo ‘considerando’ del detto regolamento).

114    La Corte, nella sentenza 19 maggio 1992, Mulder e a./Consiglio e Commissione, citata (punto 26), ha considerato che, «[q]uanto all’entità del danno da risarcire da parte della Comunità, si deve tener conto, salvo circostanze particolari che giustifichino una valutazione diversa, del lucro cessante costituito dalla differenza tra gli introiti che i ricorrenti avrebbero ricavato, in una situazione normale, dalle consegne di latte che avrebbero effettuato se avessero ottenuto, durante il periodo [pertinente], i quantitativi di riferimento loro spettanti e (…) gli introiti effettivi ottenuti dalle loro consegne di latte, operate durante detto periodo prescindendo da qualsiasi quantitativo di riferimento, oltre a quelli ottenuti od ottenibili, durante lo stesso periodo, da eventuali attività sostitutive».

115    La Corte ha così accolto, precisandolo e delimitandolo, il metodo proposto dai ricorrenti, fondato sulla ricostruzione della situazione ipotetica in cui costoro si sarebbero trovati se avessero effettuato le consegne di latte corrispondenti ai quantitativi di riferimento cui avevano diritto. La Corte ha tuttavia fatta salva la possibilità che circostanze particolari giustifichino una valutazione diversa quanto agli elementi da prendere in considerazione ai fini della quantificazione del danno, escludendo tuttavia il criterio consistente nel quantificare il lucro cessante dei ricorrenti sulla base dell’importo del premio di non commercializzazione, in quanto «detto premio costituisce la contropartita dell’impegno di non commercializzazione e non presenta alcun nesso con il pregiudizio che i ricorrenti hanno subito» (sentenza 19 maggio 1992, Mulder e a./Consiglio e Commissione, citata, punto 34).

116    Orbene, se il premio di non commercializzazione non aveva alcun nesso reale con gli utili che i ricorrenti nelle cause che hanno danno luogo alle citate sentenze Mulder e a./Consiglio e Commissione avrebbero potuto realizzare se non fossero stati illegittimamente privati dei loro quantitativi di riferimento, dai rilievi svolti supra, ai punti 107‑111, discende che diversa è la situazione, nella fattispecie, per il valore di scambio dei titoli d’importazione non attribuiti alla ricorrente. Tale valore, infatti, rappresentava non già, come nel caso del premio di non commercializzazione nel settore del latte, un importo fissato forfettariamente e in via amministrativa per concedere agli operatori «una parziale compensazione per la perdita degli introiti normalmente ottenuti dalla commercializzazione dei prodotti in causa», bensì un dato propriamente commerciale, stabilito dagli operatori economici interessati secondo le leggi della domanda e dell’offerta e che, pertanto, si presume riflettesse, quantomeno approssimativamente, il valore economico dei titoli scambiati, che conferivano una possibilità di azione economica a condizioni privilegiate.

117    Vero è che la ricorrente avrebbe potuto trovarsi in una situazione economica diversa a seconda della scelta che essa avrebbe fatto in merito allo sfruttamento concreto dei titoli. La cessione dei titoli avrebbe generato introiti netti determinati, laddove l’importazione e la commercializzazione delle banane avrebbero esposto la ricorrente all’alea inerente ad ogni attività commerciale, dunque alla possibilità di profitti, eventualmente anche superiori agli utili realizzabili mediante la cessione dei titoli, ma anche ad eventuali perdite di gestione, in funzione, in particolare, della situazione del mercato e dell’efficienza economica dell’impresa.

118    Non per questo si impone una valutazione del danno subito dalla ricorrente in base all’ipotesi di un utilizzo, da parte sua, dei titoli a fini d’importazione e di commercializzazione e in applicazione del metodo seguito dalla Corte nelle cause che hanno dato luogo alle citate sentenze Mulder e a./Consiglio e Commissione. Un’operazione del genere, a prescindere dalla sua complessità e dal ritardo che produrrebbe nella reintegrazione del patrimonio della ricorrente, sfocerebbe anch’essa, in quanto esercizio di valutazione di attività economiche che sono in buona parte ipotetiche (v., in tal senso, sentenza 27 gennaio 2000, Mulder e a./Consiglio e Commissione, citata, punti 79 e 84), in un risultato necessariamente approssimativo. Peraltro, una valutazione dei redditi supplementari che la ricorrente avrebbe potuto ottenere in caso di risposta favorevole alla sua domanda, come quella proposta dalla Commissione – fondata sull’applicazione, ai quantitativi di banane rappresentati dai titoli non attribuiti, dei margini di utile che la ricorrente ha tratto dalle importazioni di banane effettivamente realizzate nel periodo 1997‑1998 – appare nella specie inadeguata, in quanto su tali margini ha verosimilmente inciso il fatto che il livello di attività della ricorrente nel commercio di banane di paesi terzi e ACP non tradizionali nel corso del detto periodo è rimasto ampiamente inferiore a quello che la ricorrente avrebbe potuto registrare grazie all’uso, a fini di importazione e di commercializzazione, dei titoli supplementari che le sarebbero stati attribuiti se la sua domanda del 21 gennaio 1997 fosse stata accolta.

119    Si deve ritenere che un metodo di valutazione del danno fondato sull’ipotesi della cessione dei titoli è dotato di fondamento economico, presentando al contempo evidenti vantaggi in termini di semplicità, rapidità e affidabilità. Esso può pertanto essere approvato, fatto salvo l’esame delle informazioni disponibili in merito al valore di scambio dei titoli non attribuiti.

–       Sulle informazioni disponibili in merito al valore di scambio dei titoli non attribuiti e sulla valutazione del danno

120    La ricorrente chiede al Tribunale di determinare il danno tenendo conto del valore di EUR 200 per tonnellata risultante, per i titoli d’importazione di categoria B, da una dichiarazione del rappresentante della Commissione in seno al gruppo di lavoro «Banane» del comitato speciale «Agricoltura» del Consiglio del 9 e 10 febbraio 1998.

121    Risulta più precisamente da tale dichiarazione, prodotta dalla ricorrente in allegato alla replica, che tale dato rappresenta il prezzo approssimativo dei titoli d’importazione di categoria B all’epoca di questa stessa dichiarazione, vale a dire all’inizio di febbraio 1998.

122    Il fatto, sottolineato dalla Commissione, che tale dato non provenga da una rilevazione statistico‑commerciale ufficiale non lo priva di pertinenza. Occorre ricordare che, a norma dell’art. 288, secondo comma, CE, l’entità del risarcimento deve essere determinata conformemente ai principi generali comuni agli ordinamenti degli Stati membri in fatto di responsabilità extracontrattuale e che, quanto al problema della prova del danno, questi ordinamenti sono generalmente contraddistinti dalla libertà, per il giudice, di valutare tutti gli elementi che gli vengono sottoposti (sentenza della Corte 6 ottobre 1982, causa 261/78, Interquell Stärke-Chemie/Consiglio e Commissione, Racc. pag. 3271, punto 11). Orbene, il valore di EUR 200 per tonnellata è stato menzionato dai servizi della Commissione stessa ed essa non lo contesta in quanto tale nelle sue memorie scritte. Occorre pertanto prenderlo in considerazione ai fini della valutazione del danno di specie.

123    Tuttavia, siccome questo dato non rappresenta un valore medio dei titoli di categoria B per tutto il periodo per il quale il danno dev’essere risarcito, vale a dire gli anni 1997 e 1998, e tenuto conto dell’affermazione della Commissione, non contestata dalla ricorrente, secondo la quale il valore di scambio dei titoli d’importazione risente delle fluttuazioni del prezzo delle banane, il Tribunale, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento, ha invitato la ricorrente a fornire informazioni documentate sull’evoluzione del valore di scambio dei titoli di categoria B nel corso del detto periodo.

124    Ottemperando a tale invito, la ricorrente ha prodotto, in particolare, 19 fatture relative ad operazioni di cessione di titoli di categoria B realizzate tra imprese terze sul territorio della Comunità in diverse date comprese tra il 31 dicembre 1997 e il 20 ottobre 1998. Emerge da tali fatture, non contestate dalla Commissione, che il prezzo al quale tali titoli sono stati trasferiti in occasione di queste operazioni è stato, salvo un’unica eccezione, superiore a EUR 200 per tonnellata e che, in numerosi casi, ha raggiunto perfino il livello di EUR 289 per tonnellata.

125    In udienza la Commissione ha sottolineato che il prezzo praticato nelle cessioni individuali come quelle attestate dalle fatture prodotte dalla ricorrente non è un dato oggettivo, in quanto può variare a seconda delle circostanze e, in particolare, del contingente fabbisogno di titoli che i cessionari possono avere. Tale obiezione va relativizzata. È chiaro che il prezzo rilevato in una transazione individuale non può essere considerato di per sé rappresentativo del valore di mercato del bene scambiato. Nondimeno, tale valore risulta da una media dei prezzi praticati nelle transazioni individuali ed è sulla base di un’osservazione senz’altro più estesa del mercato che i servizi della Commissione hanno potuto indicare, nell’ambito dei lavori del gruppo di lavoro «Banane» del comitato speciale «Agricoltura» del Consiglio del 9 e 10 febbraio 1998, un valore approssimativo dei titoli di categoria B pari a EUR 200 per tonnellata a quella stessa epoca. Orbene, i prezzi praticati nelle diverse transazioni cui fanno riferimento le fatture prodotte dalla ricorrente costituiscono altrettanti indizi seri, precisi e concordanti del fatto che il valore di scambio dei titoli di categoria B non è variato verso il basso nel corso del 1998 rispetto al livello constatato dai servizi della Commissione nel febbraio 1998. La Commissione, dal canto suo, non ha dedotto alcun indizio in senso contrario. Peraltro, il grafico relativo all’evoluzione del prezzo di vendita all’ingrosso delle banane dette «dollaro» nell’Unione europea, redatto dai servizi della Commissione e allegato alla proposta della Commissione in merito al risarcimento, mostra come questo prezzo, che, secondo la Commissione, influenzava il valore di scambio dei titoli di categoria B, all’epoca della dichiarazione menzionata supra, al punto 120, era praticamente di un euro al chilo e che, nel corso del 1998, ha oscillato intorno a tale livello in termini che non permettono di sostenere che, all’epoca della detta dichiarazione, esso si situasse nettamente al di sopra della sua media per l’anno 1998.

126    Ciò considerato, il Tribunale ritiene che, sebbene i dati che emergono dalla documentazione fornita dalla ricorrente, tenuto conto altresì della volatilità del prezzo di cessione dei titoli che essi attestano, non possano considerarsi idonei a permettere una valutazione rigorosa del danno, essi sono tuttavia sufficientemente probanti e costituiscono una base seria per concludere che il valore di EUR 200 per tonnellata, indicato dalla ricorrente, rappresenta un’approssimazione ragionevole e accettabile del valore medio dei titoli di categoria B nel corso del 1998.

127    Quanto al 1997, la ricorrente ha prodotto una fattura datata 31 dicembre 1997, recante un prezzo di cessione dei titoli di categoria B equivalente a EUR 274 per tonnellata, e ha indicato che, nell’ambito di una transazione relativa a un’operazione d’importazione effettiva di banane effettuata nell’agosto 1997, il valore dei titoli di categoria B utilizzati è stato valutato a circa EUR 172 per tonnellata.

128    Alla luce di quanto sopra, il danno subito dalla ricorrente può essere fissato, sulla scorta di una valutazione ex aequo et bono, all’importo, in capitale, di EUR 5 024 192, vale a dire EUR 2 771 132 (13 855,66 x 200) per l’anno 1997 e di EUR 2 253 060 (11 265,30 x 200) per l’anno 1998.

 Sulla svalutazione monetaria e sugli interessi moratori

 Argomenti delle parti

129    La ricorrente ritiene che occorra prendere in considerazione la svalutazione monetaria e rivalutare quindi le somme da liquidarsi in base ai singoli periodi considerati mediante i coefficienti fissati a livello nazionale italiano dall’Istituto centrale di statistica (ISTAT) ai fini delle statistiche economiche, avendo la ricorrente sede in Italia.

130    Sulla somma rivalutata, anno per anno, dovrebbero inoltre essere corrisposti gli interessi moratori a decorrere dal giorno in cui si è verificato l’evento dannoso. Per ogni annualità, gli interessi moratori dovrebbero decorrere dal 1º gennaio, in quanto gli operatori conoscevano prima dell’inizio di ogni anno il quantitativo dei titoli loro spettanti e potevano programmarne l’utilizzo.

131    La ricorrente osserva che il cumulo della rivalutazione monetaria e degli interessi moratori si giustifica perché i due suddetti criteri di risarcimento assolvono a funzioni diverse: la rivalutazione monetaria mirerebbe a porre il danneggiato nelle condizioni in cui si sarebbe trovato se l’evento dannoso non si fosse verificato; gli interessi moratori tenderebbero a compensarlo del ritardo nel conseguimento di quanto dovutogli.

132    Per quanto riguarda il tasso da applicare per gli interessi moratori, la ricorrente sostiene che, per il periodo precedente il 1º gennaio 1999, in mancanza di un tasso di riferimento della Banca centrale europea (in prosieguo: la «BCE») per le principali operazioni di rifinanziamento, occorre applicare il tasso d’interesse legale vigente in Italia, pari al 5% sia per il 1997 che per il 1998. A decorrere dal 1º gennaio 1999, si dovrebbe, invece, applicare il tasso di rifinanziamento della BCE maggiorato di 7 punti percentuali, in conformità del criterio previsto dall’art. 3, n. 1, lett. d), della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 giugno 2000, 2000/35/CE, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (GU L 200, pag. 35), che sarebbe applicabile nella fattispecie in quanto si tratta proprio di risarcire un operatore economico per il danno derivante dalla mancanza di liquidità (sentenza del Tribunale 10 ottobre 2001, causa T‑171/99, Corus UK/Commissione, Racc. pag. II‑2967, punto 64).

133    Qualora il dies a quo e il tasso degli interessi moratori che essa propone non venissero accolti congiuntamente, la ricorrente suggerisce, in via subordinata, due soluzioni alternative: o l’applicazione del tasso d’interesse legale in vigore in Italia, per ciascun anno, sulle somme rivalutate, a partire dal 1997 sino alla data del pagamento, oppure il calcolo degli interessi sull’intera somma rivalutata a partire dalla data della sentenza interlocutoria (8 giugno 2000), ma con applicazione del tasso della BCE maggiorato di sette punti.

134    La Commissione conviene sul fatto che occorre tener conto della svalutazione monetaria e rivalutare le somme dovute sulla base degli indici ufficiali disponibili per l’Italia, poiché la ricorrente operava sul mercato italiano. La rivalutazione dovrebbe essere calcolata dal verificarsi dell’evento dannoso sino alla data della sentenza interlocutoria che accerta la responsabilità extracontrattuale della Comunità.

135    A decorrere da questa stessa data, e non dal verificarsi dell’evento dannoso, dovrebbero essere calcolati, sulla somma rivalutata e fino al pagamento, gli interessi moratori (sentenza Grifoni/CEEA, citata, punto 43). A tale riguardo, la Commissione ricorda che, secondo la giurisprudenza comunitaria, l’obbligo di corrispondere interessi di mora può configurarsi solo qualora il credito principale sia certo quanto all’ammontare o quanto meno determinabile in base a comprovati elementi oggettivi (sentenza della Corte 30 settembre 1986, causa 174/83, Amman e a./Consiglio, Racc. pag. 2647, e sentenza del Tribunale 26 febbraio 1992, cause riunite T‑17/89, T‑21/89 e T‑25/89, Brazzelli e a./Commissione, Racc. pag. II‑293, punto 24).

136    La Commissione ritiene che, quanto agli interessi moratori, occorra applicare il tasso d’interesse legale vigente in Italia per tutto il periodo considerato. Infatti, la direttiva 2000/35, secondo il suo ‘considerando’ 13, non si applicherebbe ai pagamenti effettuati a titolo di risarcimento danni.

 Giudizio del Tribunale

137    Per quanto riguarda la svalutazione monetaria, occorre constatare che la ricorrente e la Commissione sono concordi nel ritenere che essa debba essere presa in considerazione e che la rivalutazione monetaria vada calcolata applicando gli indici statistici ufficiali per l’Italia.

138    Come risulta dalla giurisprudenza, il risarcimento del danno nell’ambito della responsabilità extracontrattuale è diretto, nella misura del possibile, a reintegrare il patrimonio del danneggiato. Di conseguenza, allorché ricorrono gli estremi della responsabilità extracontrattuale, le conseguenze sfavorevoli risultanti dal lasso di tempo intercorso tra il sopravvenire dell’evento dannoso e la data del pagamento dell’indennizzo non possono essere ignorate, in quanto occorre tenere conto della svalutazione monetaria (v. sentenze Grifoni/CEEA, citata, punto 40, e 27 gennaio 2000, Mulder e a./Consiglio e Commissione, citata, punto 51).

139    La svalutazione monetaria dovrà pertanto essere presa in considerazione nella fattispecie, ai fini del calcolo dell’indennizzo, secondo gli indici ufficiali elaborati per l’Italia dall’organismo nazionale competente, a decorrere dal giorno in cui si è verificato il danno.

140    Per quanto riguarda il dies a quo della rivalutazione monetaria, occorre tener conto del fatto che la ricorrente, se la Commissione avesse risposto favorevolmente alla sua domanda del 21 gennaio 1997, avrebbe ricevuto i suoi titoli d’importazione a date scaglionate. Giova infatti ricordare che, nell’ambito del regime del 1993, il rilascio dei titoli d’importazione avveniva trimestralmente. Conformemente all’art. 11 del regolamento n. 1442/93, come modificato dal regolamento (CE) della Commissione 14 maggio 1996, n. 875 (GU L 118, pag. 14), i titoli d’importazione erano rilasciati entro e non oltre il giorno 23 dell’ultimo mese di ciascun trimestre per il trimestre successivo.

141    È dunque a queste date che occorre riferirsi, per ciascun lotto di titoli non attribuiti, quali date in cui si è verificato il danno, a decorrere dalle quali dev’essere calcolata la rivalutazione del controvalore monetario, calcolato su una base di EUR 200 per tonnellata, di ciascun lotto di titoli.

142    Quanto alla data alla quale il calcolo della rivalutazione monetaria deve arrestarsi, essa dev’essere accertata insieme al momento a partire dal quale occorre calcolare gli interessi moratori.

143    Secondo la giurisprudenza della Corte, l’importo del risarcimento dovuto va maggiorato di interessi di mora a decorrere dalla data di pronuncia della sentenza con cui viene accertato l’obbligo di risarcire il danno (sentenze della Corte 4 ottobre 1979, cause riunite 64/76 e 113/76, 167/78 e 239/78, 27/79, 28/79 e 45/79, Dumortier e a./Consiglio, Racc. pag. 3091, punto 25, e 19 maggio 1992, Mulder e a./Consiglio e Commissione, citata, punto 35). Nella fattispecie, l’obbligo della Commissione di risarcire il danno subito dalla ricorrente è stato dichiarato con la sentenza interlocutoria 8 giugno 2000.

144    Cionondimeno, poiché il credito principale, alla data di pronuncia di tale sentenza, non era certo nel quantum né determinabile sulla base di comprovati elementi oggettivi (v., in proposito, supra, punti 87‑92), gli interessi moratori non possono decorrere da tale data, bensì soltanto, in caso di ritardo e sino al completo pagamento, dalla data di pronuncia della presente sentenza, recante liquidazione del danno (v. la giurisprudenza citata supra, al punto 135, nonché le conclusioni dell’avvocato generale Tesauro nella causa Grifoni/CEEA, citata, Racc. pag. I‑343, paragrafo 24).

145    Ne consegue che la rivalutazione monetaria degli importi dovuti alla ricorrente a titolo di risarcimento non deve arrestarsi alla data di pronuncia della sentenza 8 giugno 2000, bensì estendersi sino alla data di pronuncia della presente sentenza.

146    L’indennizzo, come rivalutato per tener conto della svalutazione monetaria, sarà maggiorato di interessi moratori a decorrere dalla pronuncia della presente sentenza e fino al pagamento intgrale. Il tasso di interesse da applicare è calcolato sulla base del tasso fissato dalla BCE per le principali operazioni di rifinanziamento, applicabile nel periodo di cui trattasi, maggiorato di due punti.

 Sulle spese

147    Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese, se ne è stata fatta domanda. Ai sensi dell’art. 87, n. 3, dello stesso regolamento, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, il Tribunale può ripartire le spese o decidere che ciascuna parte sopporti le proprie spese. Infine, conformemente all’art. 87, n. 4, primo comma, dello stesso regolamento, gli Stati membri intervenuti nella causa sopportano le proprie spese.

148    Occorre ricordare che sulle spese generate dalla presente causa si è provveduto con la sentenza interlocutoria 8 giugno 2000 (v. supra punto 23).

149    La presente causa non rappresenta un nuovo giudizio, bensì una prosecuzione della causa T‑260/97, nella quale è stata pronunciata la sentenza 8 giugno 2000, che ha condannato la Commissione e il Consiglio a sopportare, rispettivamente, il 90 e il 10% delle spese di tale causa (v. punti 7 e 8 del dispositivo). Occorre confermare tale ripartizione per quanto riguarda la fase del presente procedimento che ha fatto seguito alla detta sentenza e condannare pertanto la Commissione e il Consiglio a sopportare, rispettivamente, il 90 e il 10% delle spese originate dalla detta fase.

150    La Repubblica francese, in quanto parte interveniente, supporterà le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      La Commissione è condannata a versare alla ricorrente un indennizzo pari a EUR 5 024 192.

2)      Tale indennizzo sarà rivalutato conformemente ai criteri definiti ai punti 139‑141 e 145 della presente sentenza.

3)      L’indennizzo, come rivalutato, sarà maggiorato di interessi moratori a decorrere dalla pronuncia della presente sentenza fino al pagamento integrale. Il tasso di interesse da applicare è calcolato sulla base del tasso fissato dalla Banca centrale europea per le principali operazioni di rifinanziamento, applicabile nel periodo di cui trattasi, maggiorato di due punti.

4)      La Commissione è condannata a pagare il 90% delle spese relative alla fase del presente procedimento che ha fatto seguito alla sentenza del Tribunale 8 giugno 2000, cause riunite T‑79/96, T‑260/97 e T‑117/98, Camar e Tico/Commissione e Consiglio (Racc. pag. II‑2193).

5)      Il Consiglio è condannato a pagare il 10% delle spese relative alla fase del presente procedimento che ha fatto seguito alla sentenza del Tribunale 8 giugno 2000, cause riunite T‑79/96, T‑260/97 e T‑117/98, Camar e Tico/Commissione e Consiglio (Racc. pag. II‑2193).

6)      La Repubblica francese sopporterà le proprie spese.




Legal

Mengozzi

Wiszniewska-Białecka


Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 13 luglio 2005.


Il cancelliere

 

       Il presidente




H. Jung

 

       H. Legal


* Lingua processuale: l’italiano.