Language of document : ECLI:EU:C:2021:293

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

GIOVANNI PITRUZZELLA

presentate il 15 aprile 2021(1)(i)

Causa C882/19

Sumal, S.L.

contro

Mercedes Benz Trucks España, S.L.

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Audiencia Provincial de Barcelona (Corte provinciale di Barcellona, Spagna)]

«Rinvio pregiudiziale – Concorrenza – Impresa – Nozione – Unità economica – Azione di risarcimento danni diretta contro la controllata della società sanzionata dalla Commissione per una violazione dell’articolo 101 TFUE – Ammissibilità – Condizioni»






1.        Nella domanda di pronuncia pregiudiziale oggetto delle presenti conclusioni, la Corte è chiamata a chiarire se la responsabilità civile per il danno derivante da una pratica anticoncorrenziale possa essere fatta valere, dal soggetto che asserisce di averlo subito, nei confronti della controllata della società che ha partecipato alla suddetta pratica ed è stata, per questa ragione, sanzionata dalla Commissione con una decisione che non contempla la controllata, nel presupposto che tali società costituiscano un’«unità economica».

2.        Com’è noto, la teoria dell’unità economica è ben consolidata nella giurisprudenza della Corte e del Tribunale, in cui è stata utilizzata al fine di sanzionare la società madre per il comportamento anticoncorrenziale delle sue controllate, mediante una sorta di processo «ascendente» che dalle seconde risale alla prima. Nel caso portato all’attenzione della Corte dal giudice del rinvio si tratta, invece, di stabilire se la medesima nozione di «unità economica» possa giustificare un processo «discendente» di imputazione della responsabilità, all’esito del quale la controllata risponda dei danni provocati dal comportamento anticoncorrenziale della società madre.

3.        La domanda di pronuncia pregiudiziale è stata presentata nell’ambito di una controversia tra Sumal SL (in prosieguo: «Sumal») e Mercedes Benz Trucks España SL (in prosieguo: «MBTE») avente ad oggetto il risarcimento dei danni asseritamente subiti dalla prima a causa della partecipazione di Daimler AG (in prosieguo: «Daimler»), società madre di MBTE, a un’intesa in violazione dell’articolo 101 TFUE.

I.      Fatti, procedimento principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

4.        Tra il 1997 e il 1999 Sumal, appellante nel procedimento principale, ha acquisito, mediante contratto di leasing, due autocarri del gruppo Daimler da MBTE, appellato nel procedimento principale, tramite la Stern Motor S.L., concessionaria.

5.        Il 19 luglio 2016, la Commissione europea ha adottato la decisione C(2016)4673 final relativa a un procedimento a norma dell’articolo 101 TFUE e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (2) (in prosieguo: la «decisione del 2016»), nella quale ha constatato l’esistenza di un’infrazione unica e continuata dell’articolo 101 TFUE e dell’articolo 53 dell’accordo SEE consistente, tra l’altro, in accordi collusivi tra i principali produttori di autocarri, tra cui Daimler, sulla fissazione dei prezzi e sugli aumenti dei prezzi lordi degli autocarri nel SEE, intervenuti, per quanto riguarda Daimler, tra il 17 gennaio 1997 e il 18 gennaio 2011.

6.        Sumal ha intentato un’azione per risarcimento danni nei confronti di MBTE dinanzi il Juzgado de lo Mercantil n. 7 de Barcelona (tribunale di commercio n. 7 di Barcellona, Spagna), chiedendo il pagamento della somma di EUR 22 204,35 per i danni derivanti dalla violazione delle norme a tutela della concorrenza accertata tramite la decisione del 2016, di cui la ritiene responsabile nella sua qualità di società controllata di Daimler. MBTE si è opposta alla domanda eccependo, inter alia, il suo difetto di legittimazione passiva in quanto sola responsabile dell’illecito doveva considerarsi Daimler, dotata di una personalità giuridica distinta dalla sua.

7.        Con sentenza del 23 gennaio 2019, il Juzgado de lo Mercantil n. 7 de Barcelona (tribunale di commercio n. 7 di Barcellona) ha respinto il ricorso, negando la legittimazione passiva della convenuta in ragione del fatto che Daimler era l’unico soggetto giuridico interessato dal procedimento amministrativo sanzionatorio avviato dalla Commissione avente ad oggetto l’intesa su cui si fondavano le pretese risarcitorie di Sumal.

8.        Quest’ultima ha presentato un appello contro la sentenza del Juzgado de lo Mercantil n. 7 de Barcelona (tribunale di commercio n. 7 di Barcellona) dinanzi all’Audiencia Provincial de Barcelona (Corte provinciale di Barcellona, Spagna), giudice del rinvio. Tale giudice rileva che la Corte non si è ancora pronunciata sulla questione di sapere se un’azione di risarcimento danni intentata sul fondamento di una decisione con cui si constata una violazione delle regole di concorrenza, adottata dalla Commissione o da un’autorità nazionale di tutela della concorrenza, possa essere diretta contro una società non interessata da tale decisione ma interamente detenuta dalla società che, in detta decisione, è indicata come autore della violazione. Essa sottolinea che la giurisprudenza nazionale diverge sul punto. Alcuni tribunali spagnoli ammetterebbero una tale possibilità in applicazione della «teoria dell’unità economica», mentre altri la respingerebbero basandosi sulla considerazione che detta teoria, se consente di imputare la responsabilità civile per il comportamento anticoncorrenziale di una controllata alla controllante, non consente l’operazione inversa in assenza di controllo da parte della prima sulla seconda.

9.        È in tale contesto che l’Audiencia Provincial de Barcelona (Corte provinciale di Barcellona) ha sospeso il procedimento e ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«Se la dottrina dell’unità economica che deriva dalla giurisprudenza della stessa Corte di giustizia dell’Unione europea giustifichi l’estensione della responsabilità della società controllante alla società controllata oppure se tale dottrina si applichi solo ai fini di estendere la responsabilità delle società controllate alla società controllante.

Se la nozione di unità economica debba essere estesa nell’ambito dei rapporti infragruppo facendo esclusivamente riferimento a fattori relativi al controllo o se possa fondarsi anche su altri criteri, tra cui il fatto che la società controllata abbia potuto trarre beneficio dalle infrazioni.

Nel caso in cui sia riconosciuta la possibilità di estendere la responsabilità della società controllante alla società controllata, quali siano i relativi requisiti.

Se la risposta alle precedenti questioni fosse favorevole a riconoscere l’estensione alle società controllate della responsabilità delle società controllanti per le condotte poste in essere da queste ultime, se sia compatibile con tale orientamento della Corte di giustizia una norma nazionale, come l’articolo [71, paragrafo 2 della Ley 15/2007 de Defensa de la Competencia (legge 15/2007 sulla tutela della concorrenza, in prosieguo: «LDC») (3)] che contempla unicamente la possibilità di estendere la responsabilità della società controllata alla società controllante, purché sussista una situazione di controllo della società controllante sulla società controllata».

10.      Hanno presentato osservazioni scritte nel presente procedimento, ai sensi dell’articolo 23 dello Statuto della Corte, MBTE, i governi italiano e spagnolo e la Commissione. A titolo di misura di organizzazione del procedimento ai sensi dell’articolo 61, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte, quest’ultima ha invitato le parti nel procedimento principale e gli interessati ai sensi dell’articolo 23 dello Statuto a rispondere per iscritto a taluni quesiti. Sumal, MBTE, il governo spagnolo e la Commissione hanno dato seguito a tale misura. La Corte ha inoltre deciso di rinunciare all’udienza inizialmente fissata al 1° dicembre 2020 e di porre alle parti e agli interessati ulteriori quesiti per risposta scritta. Sumal, MBTE, i governi spagnolo e italiano e la Commissione hanno risposto a tali quesiti.

II.    Analisi

A.      Sulla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale

11.      MBTE eccepisce l’irricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale per due motivi.

12.      In primo luogo, la decisione di rinvio non risponderebbe alle esigenze previste dall’articolo 94 del regolamento di procedura della Corte, poiché non conterrebbe né un’illustrazione dei fatti rilevanti, quali accertati dal giudice del rinvio, né un’illustrazione delle circostanze sulle quali si basano le questioni pregiudiziali, ma si limiterebbe a riprodurre le allegazioni in fatto avanzate dalle parti del procedimento principale. La decisione di rinvio fornirebbe infine un quadro impreciso, parziale e inesatto della giurisprudenza nazionale pertinente (4).

13.      Secondo una giurisprudenza costante della Corte, l’esigenza di giungere a un’interpretazione del diritto dell’Unione che sia utile per il giudice nazionale impone che quest’ultimo definisca il contesto di fatto e di diritto in cui si inseriscono le questioni da esso sollevate o che spieghi almeno l’ipotesi di fatto su cui tali questioni sono fondate. Tali esigenze valgono in modo del tutto particolare nel settore della concorrenza, che è caratterizzato da situazioni di fatto e di diritto complesse (5). Nella specie, contrariamente a quanto sostiene MBTE, la presentazione, nella decisione di rinvio, dei fatti all’origine della controversia principale è sufficiente a illustrare le ragioni che hanno condotto il giudice del rinvio a formulare le prime tre questioni pregiudiziali e a comprenderne la portata. Tale presentazione ha peraltro permesso alle parti e agli interessati ai sensi dell’articolo 23 dello Statuto della Corte di presentare osservazioni scritte su tali questioni.

14.      Diverso è invece il discorso per quanto riguarda la quarta questione pregiudiziale. In effetti, per un verso, come affermato da MBTE nel quadro del primo motivo d’irricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale, il contenuto dell’articolo 71, paragrafo 2, LDC – peraltro estrapolato dal contesto sistematico in cui si inserisce – è riprodotto per sommi capi solo all’atto della formulazione della quarta questione pregiudiziale (6). La decisione di rinvio non contiene nessuna indicazione né circa l’interpretazione che il giudice del rinvio dà di tale disposizione né circa le ragioni per cui esso ritiene che detta disposizione sarebbe incompatibile con un’interpretazione del diritto dell’Unione che consentisse l’esercizio nei confronti della controllata di un’azione diretta al risarcimento dei danni derivanti dal comportamento anticoncorrenziale della società madre (7).

15.      In queste condizioni, l’eccezione d’irricevibilità sollevata da MBTE e fondata sul mancato rispetto delle esigenze prescritte dall’articolo 94 del regolamento di procedura della Corte va, a mio avviso, respinta per quanto concerne le prime tre questioni pregiudiziali e accolta per quanto concerne la quarta questione pregiudiziale.

16.      MBTE fa valere, in secondo luogo, che le questioni pregiudiziali poste dall’Audiencia Provincial de Barcelona (corte provinciale di Barcellona) sono puramente ipotetiche. Le prime tre questioni non avrebbero alcun rapporto con i fatti del procedimento principale, poiché Sumal non avrebbe né invocato né provato circostanze idonee a giustificare l’estensione a MBTE della responsabilità per gli illeciti commessi da Daimler, ma fonderebbe la sua azione esclusivamente sulla decisione del 2016.

17.      A tale proposito occorre ricordare che spetta soltanto al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia oggetto del procedimento principale e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolarità del caso di specie, tanto la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria sentenza, quanto la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate vertono sull’interpretazione di una norma giuridica dell’Unione, la Corte è, in via di principio, tenuta a statuire. Ne consegue che le questioni vertenti sul diritto dell’Unione sono assistite da una presunzione di rilevanza. Il rifiuto della Corte di statuire su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione richiesta relativamente ad una norma dell’Unione non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto del procedimento principale, qualora il problema sia di natura ipotetica oppure, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per rispondere utilmente alle questioni che le vengono sottoposte (8).

18.      Nel caso di specie, occorre osservare che le prime tre questioni pregiudiziali vertono sull’ammissibilità, in diritto dell’Unione, di un’azione risarcitoria quale quella intentata da Sumal contro MBTE e diretta non nei confronti della società sanzionata dalla Commissione per la violazione delle regole di concorrenza dell’Unione, ma nei confronti della controllata che non è stata oggetto della decisione di constatazione di tale violazione. Il fatto che, come sostiene MBTE, al fine di far valere la responsabilità di quest’ultima per i danni derivanti dal comportamento anticoncorrenziale della sua controllante, Sumal si sarebbe limitata a invocare la decisione del 2016 è privo di rilievo trattandosi di valutare la ricevibilità delle suddette questioni pregiudiziali, dal momento che esse mirano precisamente ad ottenere dalla Corte chiarimenti circa la possibilità di configurare una tale responsabilità e a quali condizioni (9). L’eccezione d’irricevibilità delle prime tre questioni pregiudiziali fondata sul loro carattere asseritamente ipotetico, deve pertanto essere, a mio avviso, respinta.

B.      Sulla prima, la seconda e la terza questione pregiudiziale

19.      Con le prime tre questioni pregiudiziali, che è opportuno esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede in sostanza alla Corte se una controllata possa essere ritenuta responsabile per un’infrazione alle regole antitrust dell’Unione commessa dalla sua controllante in applicazione della nozione di «unità economica» e, in caso di risposta affermativa, quali siano le condizioni affinché una tale responsabilità possa essere riconosciuta.

20.      Tali questioni si pongono, come si è visto, nel contesto di un’azione risarcitoria di tipo «follow-on», vale a dire di un’azione volta ad ottenere riparazione dei danni causati da una violazione delle regole antitrust previamente accertata da un’autorità di concorrenza, nazionale o europea. Nella specie, tale accertamento è contenuto nella decisione del 2016. La ricorrente nel procedimento principale ha avviato un’azione nei confronti di MBTE, committente della sua controparte contrattuale nell’ambito di una compravendita di autocarri avvenuta nel periodo di operatività del cartello sanzionato da tale decisione, ritenendosi danneggiata dall’aumento dei prezzi indotto da quest’ultimo, che avrebbe comportato l’applicazione da parte di MBTE di un sovrapprezzo del 20% nel quadro di detta compravendita . L’azione intentata da Sumal sembra fondarsi sul solo presupposto della partecipazione al cartello della capogruppo di MBTE, quale constatata dalla Commissione nella decisione del 2016.

21.      MBTE fa valere, a titolo principale, che, tenuto conto delle caratteristiche dell’azione intentata nei suoi confronti da Sumal, interpretare la teoria dell’unità economica in modo da estendere ad essa la responsabilità di Daimler sarebbe contrario all’articolo 16, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003 (10). A titolo subordinato, essa sostiene che la teoria dell’unità economica non consente un’estensione della responsabilità in via discendente quale quella evocata dal giudice del rinvio. Sumal e i governi italiano e spagnolo suggeriscono invece alla Corte di adottare un’interpretazione estensiva della teoria dell’unità economica che consenta di riconoscere, a determinate condizioni, la responsabilità della controllata per il danno derivante dalla violazione delle regole di concorrenza dell’Unione commessa dalla società madre. La Commissione ha inizialmente sostenuto che, nell’ambito dell’applicazione pubblicistica delle norme antitrust, non è in linea di principio possibile, allo stato attuale della giurisprudenza, estendere alla controllata la responsabilità per le infrazioni commesse dalla controllante, dato che la prima non esercita nessuna influenza determinante sul comportamento della seconda sul mercato, pur non escludendo che la vittima di pratiche anticoncorrenziali poste in essere dalla capogruppo possa esercitare un’azione risarcitoria nei confronti di una delle controllate, in caso di successione tra imprese o di ristrutturazione, ove esista tra i due soggetti una continuità economica, ovvero, alle condizioni previste dal diritto nazionale applicabile, quando la capogruppo responsabile non abbia attivi in grado di soddisfare le pretese risarcitorie del ricorrente. Nelle sue risposte ai quesiti posti dalla Corte, la Commissione ha in parte modificato la sua posizione, suggerendo di rispondere alle prime tre questioni pregiudiziali nel senso che l’articolo 101 TFUE non si oppone a che il comportamento illecito della madre sia imputato alla controllata quando le due società fanno parte della stessa impresa e il giudice nazionale constata che il comportamento della filiale è legato a un elemento costitutivo dell’infrazione o, in ogni caso, quando le due società fanno parte della stessa impresa ed è impossibile o eccessivamente difficile per i soggetti lesi ottenere direttamente dalla società madre la riparazione integrale del danno subito.

22.      Malgrado il carattere inedito delle questioni pregiudiziali poste dall’Audiencia Provincial de Barcelona (Corte provinciale di Barcellona), ritengo che esse possano essere risolte sulla base di indicazioni tratte dalla giurisprudenza sulla nozione di «unità economica». Pertanto è dall’esame di tale giurisprudenza che occorre prendere le mosse.

1.      Sulla nozione di impresa nel diritto della concorrenza dellUnione e sulla «teoria dellunità economica»

23.      Nel diritto dell’Unione la nozione di «impresa» assume un significato e una portata inerenti alla disciplina in cui si inserisce e ai diversi obiettivi che tale disciplina intende perseguire. Nel diritto della concorrenza, il carattere funzionale della nozione di «impresa» è da intendersi sotto un duplice profilo.

24.      In primo luogo, come sottolineato dall’avvocato generale Jacobs nelle sue conclusioni nelle cause riunite AOK Bundesverband e a., tale nozione «si focalizza sul tipo di attività svolta anziché sulle caratteristiche dell’attore che la esercita» (11). La concorrenza è costituita e influenzata da attività economiche e, pertanto, il diritto che mira a proteggerla può essere pienamente efficace solamente se le sue regole e proibizioni si applicano ad entità economiche. Per questa ragione gli articoli 101 e 102 TFUE si riferiscono in termini generici alle «imprese», tralasciando ogni riferimento alla loro struttura giuridica. Se un’attività ha carattere economico, coloro che la svolgono sono soggetti alle disposizioni di tali articoli, indipendentemente dalla loro forma giuridica o dalla disciplina e dalle modalità di finanziamento cui sono soggetti in un dato Stato membro (12).

25.      In secondo luogo, la qualificazione di un’attività come economica – e quindi di un ente come impresa – ai fini dell’applicazione del diritto della concorrenza, dipende dal contesto esaminato (13). Allo stesso modo, l’identificazione delle entità che rientrano nel perimetro dell’impresa dipende dall’oggetto dell’infrazione contestata (14).

26.      Stante il carattere funzionale della nozione di «impresa» accolta dalla giurisprudenza e l’irrilevanza della forma giuridica dell’ente che svolge l’attività economica, diverse entità giuridicamente indipendenti possono essere considerate come costituenti un’unica impresa, qualora nel mercato agiscano come una singola «unità economica».

27.      La teoria dell’«unità economica» è stata elaborata intorno agli anni ’70 e utilizzata dalla Corte sia per escludere dall’ambito di applicazione del divieto di cui all’attuale articolo 101 TFUE gli accordi infragruppo (15), sia per imputare, all’interno di un gruppo di società, il comportamento anticoncorrenziale di un’affiliata alla capogruppo, inizialmente in situazioni in cui veniva eccepita l’incompetenza della Commissione a sanzionare quest’ultima, non avendo essa agito direttamente all’interno della Comunità.

28.      Nella sentenza del 14 luglio 1972, Imperial Chemical Industries/Commissione (16) (in prosieguo: la «sentenza ICI»), la Corte ha confermato la decisione con cui la Commissione aveva sanzionato la società madre del gruppo ICI stabilita al di fuori della Comunità che, valendosi del suo potere direttivo nei confronti delle proprie affiliate con sede nella Comunità, era riuscita a far applicare gli aumenti di prezzo decisi nel quadro di una pratica concordata cui solo essa aveva partecipato (17). All’obiezione di questa società secondo cui l’infrazione andava imputata alle sole controllate, la Corte replicava che la circostanza che la controllata «abbia personalità giuridica distinta da quella della società madre non basta ad escludere la possibilità d’imputare a quest’ultima il comportamento della prima (…), in particolare, allorché l’affiliata, pur avendo personalità giuridica distinta, non decide in modo autonomo quale dev’essere il suo comportamento sul mercato, ma applica in sostanza le direttive impartitele dalla società madre» (18). In siffatti casi, secondo la Corte, l’imputazione dell’attività della controllata alla società madre era possibile in considerazione dell’unità del complesso formato da tali distinte entità (19).

29.      Dalle sue prime formulazioni, la teoria dell’unità economica è stata costantemente riaffermata dalla Corte che ha progressivamente esplicitato e precisato sia l’ambito di applicazione di tale teoria – anche al di fuori del contesto dei gruppi societari (20) – sia i presupposti per l’accertamento dell’esistenza di un’unità economica, chiarendo in particolare che tale accertamento va effettuato alla luce dei vincoli economici, organizzativi e giuridici intercorrenti tra le entità interessate (21), variabili a seconda dei casi e non elencabili in modo tassativo (22). Regolarmente applicata dalla Commissione, la teoria dell’unità economica è diventata un elemento cardine dell’attività di accertamento e repressione delle infrazioni alle regole di concorrenza dell’Unione.

30.      In presenza di un’unità economica fra entità appartenenti al medesimo gruppo, la giurisprudenza ha riconosciuto, come si è visto, a partire dalla sentenza ICI, l’imputabilità alla società madre del comportamento anticoncorrenziale della controllata, e la loro responsabilità solidale per il pagamento della relativa ammenda, sia in caso di controllo diretto, sia nel caso in cui, all’interno del gruppo, il controllo della società madre sia esercitato attraverso una società interposta che detiene a sua volta la società che ha commesso l’infrazione (23).

31.      Inoltre, nel caso in cui la società controllante detenga, direttamente o indirettamente, la totalità o la quasi totalità del capitale della propria controllata, la Corte ha chiarito, da un lato, che la prima può esercitare un’influenza determinante sul comportamento della seconda, tale da privare quest’ultima di una reale autonomia di condotta sul mercato (24), e, dall’altro, che esiste una presunzione semplice secondo cui la società controllante esercita effettivamente un’influenza determinante sul comportamento della propria controllata sul mercato (25) (in prosieguo: la «presunzione di esercizio effettivo di un’influenza determinante»). In tali circostanze, per ritenere le due società solidalmente responsabili per l’ammenda inflitta è dunque sufficiente che la Commissione provi cha la totalità o la quasi totalità del capitale della controllata è detenuto dalla società madre, a meno che quest’ultima, cui incombe l’onere di rovesciare tale presunzione, non fornisca sufficienti elementi di prova idonei a dimostrare che la sua controllata si comporta in maniera autonoma sul mercato (26). La presunzione di esercizio effettivo di un’influenza determinante è sistematicamente applicata dalla Commissione e il suo ambito di applicazione è stato dalla Corte esteso anche ai casi di controllo indiretto, quanto meno laddove quest’ultimo sia esercitato attraverso una catena ininterrotta di partecipazioni totalitarie (o quasi totalitarie) (27), e, di recente, ai casi in cui la società madre, pur non possedendo la totalità o la quasi totalità del capitale della controllata, detenga tutti i diritti di voto associati alle azioni di quest’ultima (28), chiarendo, in tal modo, che non sono i vincoli capitalistici a fondare di per sé tale presunzione, bensì il grado di controllo della società madre sulla propria controllata (29). Sebbene difficile da superare, la presunzione di esercizio effettivo di un’influenza determinante non ha carattere assoluto allo scopo di assicurare un equilibrio tra l’obiettivo consistente nel reprimere i comportamenti contrari alle norme della concorrenza e a prevenirne la ripetizione e le esigenze poste da taluni principi generali del diritto dell’Unione quali, segnatamente, quelli della presunzione di innocenza, della personalità delle pene e della certezza del diritto (30).

2.      Sul fondamento della responsabilità «ascendente» della società madre per il comportamento anticoncorrenziale della controllata

32.      Nel contesto sopra descritto occorre chiedersi quale sia esattamente il fondamento giuridico della responsabilità della società madre per il comportamento anticoncorrenziale della sua controllata, con cui, ai fini del diritto della concorrenza, essa forma una singola unità economica.

33.      Ad un primo esame della giurisprudenza, due risposte sembrano, in linea di principio, possibili.

34.      Per un verso, si ritrovano nelle sentenze della Corte diversi passaggi dai quali sembra evincersi che il fattore decisivo ai fini dell’imputazione alla società madre della responsabilità per la condotta anticoncorrenziale della controllata sia l’esercizio da parte della prima di un’influenza determinante sulla seconda, cui corrisponde la mancanza di autonomia di comportamento sul mercato di quest’ultima, che si limita in sostanza a seguire le direttive impartitele dall’alto. Secondo la formula tralatizia utilizzata in modo sostanzialmente invariato in numerose sentenze della Corte e del Tribunale, a partire dalla sentenza AEG «il comportamento di una controllata può essere imputato alla società controllante, in particolare, quando, pur avendo personalità giuridica distinta, tale controllata non determina in modo autonomo la sua linea di condotta sul mercato, ma si attiene, in sostanza, alle istruzioni che le vengono impartite dalla società controllante» (31). In tale prospettiva, la società madre cui è stato imputato il comportamento illecito della sua controllata viene personalmente condannata per un’infrazione alle norme in materia di concorrenza dell’Unione che si ritiene abbia commesso essa stessa, a causa dell’influenza determinante che essa esercitava sulla controllata, che le consentiva di determinare il comportamento di quest’ultima sul mercato (32).

35.      Per altro verso, nella giurisprudenza si ritrovano altresì diversi elementi che militano nel senso di ritenere che sia l’esistenza stessa di un’unità economica a determinare la responsabilità della società madre per i comportamenti anticoncorrenziali della controllata. La Corte ha più volte sottolineato che la formale separazione tra due entità, conseguente alla loro personalità giuridica distinta, non esclude l’unità del loro comportamento sul mercato (33) e, pertanto, che esse costituiscano un’unità economica, vale a dire un’unica impresa, ai fini dell’applicazione delle norme sulla concorrenza. Sebbene la nozione funzionale di impresa non richieda che l’unità economica sia essa stessa dotata di personalità giuridica (34), la giurisprudenza le riconosce tuttavia una sorta di soggettività distinta e autonoma rispetto a quella delle entità che la costituiscono, che si sovrappone alla personalità giuridica di cui siano eventualmente dotate tali entità. Così, a partire dalla sentenza Akzo, la Corte non ha esitato a definire l’unità economica come un «ente» capace di violare le regole di concorrenza e di «rispondere di tale infrazione» (35). Nella prospettiva appena descritta, il fattore decisivo ai fini dell’imputazione della responsabilità della società madre per il comportamento anticoncorrenziale della controllata sarebbe dunque la loro condotta unitaria sul mercato (36), che connette insieme in un’unica unità economica più entità giuridicamente indipendenti.

36.      Osservo, fin da ora, che l’adozione di una delle due diverse prospettive indicate ai paragrafi che precedono condiziona la soluzione della questione all’esame della Corte nella presente causa.

37.      In effetti, se il fondamento della responsabilità della società madre per il comportamento anticoncorrenziale della controllata è l’influenza determinante che la prima ha esercitato sulla seconda, implicitamente si riconosce che tale comportamento è in qualche modo riconducibile alla società madre, non tanto nel senso che essa vi ha partecipato direttamente, cosa che pacificamente può non essere avvenuto (37), quanto nel senso che ha reso possibile tale comportamento, o attraverso un’influenza attiva sullo stesso o attraverso l’omissione dell’esercizio dei suoi poteri di direzione e di controllo. Se si sceglie questa prospettiva, non dovrebbe esserci spazio alcuno per configurare una responsabilità della controllata per il comportamento anticoncorrenziale della società madre, la prima non esercitando, per definizione, alcuna influenza determinante sulla seconda.

38.      Viceversa, se il fondamento della responsabilità congiunta della società madre e della controllata è l’unità economica che agisce come un’unica impresa nel mercato, allora non ci sono ragioni logiche per escludere che l’attribuzione di responsabilità possa avvenire non solo seguendo un processo ascendente, come è avvenuto nei casi fin qui decisi dalla Corte, ma anche seguendo un processo discendente. Se la responsabilità congiunta si fonda sull’unità di azione nel mercato, tutte le parti che compongono quell’unità potranno, in presenza di determinate condizioni, essere chiamate a rispondere del comportamento anticoncorrenziale materialmente posto in essere da una di esse.

39.      La scelta tra le due prospettive risulta complicata dal fatto che, nel public enforcement del diritto della concorrenza, vista la natura quasi penale delle sanzioni irrogate, entrano in gioco alcuni principi fondamentali, primo fra tutti, il principio della responsabilità personale, e il suo corollario secondo cui l’irrogazione di una sanzione e l’individuazione di una responsabilità presuppongono la colpa («nulla poena sine culpa») (38). L’individuazione del fondamento giuridico della responsabilità congiunta della società madre e della controllata per i comportamenti anticoncorrenziali di quest’ultima dovrà dunque tener conto dell’esigenza di rispettare tale principio.

40.      Per le ragioni che esporrò di seguito, ritengo che la Corte debba seguire la seconda delle prospettive sopra esposte, che, come si è visto e come illustrerò meglio di seguito, è stata già in larga parte accolta dalla giurisprudenza.

41.      Al riguardo, è utile soffermarsi sul significato della nozione di «influenza determinante» e sul ruolo che le è attribuito nell’economia del ragionamento che ha condotto la giurisprudenza a riconoscere l’imputabilità della controllante per il comportamento anticoncorrenziale della controllata.

42.      Spetta, come si è visto, alla Commissione, ove voglia affermare la responsabilità della società madre, constatare che quest’ultima è capace di esercitare un’influenza determinante sul comportamento della controllata e che tale influenza è stata effettivamente esercitata (39), salvo far ricorso alla presunzione semplice menzionata al paragrafo 31 delle presenti conclusioni.

43.      A tal fine, non è richiesta la prova di una relazione di «influenza specifica» che, direttamente o indirettamente, riguardi la condotta illecita. La responsabilità della società madre, non solo non dipende dall’accertamento della sua implicazione personale nell’infrazione (40), ma neanche dalla dimostrazione dell’esercizio di un’influenza determinante sui comportamenti della controllata qualificati come contrari al diritto della concorrenza. Neppure occorre che siano state adottate particolari istruzioni con riferimento alla condotta incriminata (41) o che la società madre si sia astenuta dall’esercitare in maniera adeguata i suoi poteri di direzione e di controllo al fine di evitare tale condotta (42). L’analisi circa l’esistenza di un’influenza determinante non deve peraltro essere valutata in base ai soli elementi relativi alla politica commerciale stricto sensu della partecipata sul mercato (43), di modo che non è necessario constatare un coinvolgimento della società madre nella gestione commerciale della controllata (44). Come affermato dall’avvocato generale Kokott nelle sue conclusioni nella causa che ha dato luogo alla sentenza Akzo (45), una politica commerciale unitaria può essere desunta anche indirettamente dall’insieme dei vincoli economici e giuridici intercorrenti fra la controllante e le proprie controllate – cui la Corte ha dato rilievo sempre crescente nell’evolversi della giurisprudenza –, ben potendo l’influenza della società madre sulle proprie controllate in relazione, ad esempio, alla strategia dell’impresa, alla politica aziendale, ai piani operativi, agli investimenti, alle capacità, alla dotazione finanziaria avere ripercussioni indirette sul comportamento delle controllate stesse e dell’intero gruppo societario sul mercato (46). Quanto appena detto, assume una valenza assorbente nelle situazioni di controllo totalitario o quasi totalitario in cui, come si è visto, si applica la presunzione dell’esercizio di un’influenza determinante (47). Se è vero che la società madre può superare tale presunzione fornendo elementi di prova idonei a dimostrare che essa non determina la politica commerciale della partecipata in questione sul mercato, tale prova è in concreto estremamente difficile da apportare (48) – pur restando la presunzione entro limiti accettabili (49) – di modo che, in presenza di una partecipazione azionaria totalitaria o quasi totalitaria, di fatto, la società madre sarà quasi certamente chiamata a rispondere del comportamento anticoncorrenziale della controllata.

44.      Da quanto precede emerge che, ai fini dell’imputazione alla società madre della responsabilità per il comportamento anticoncorrenziale della controllata soggetta alla sua influenza determinante, ciò che conta è la «relazione generale» che intercorre tra esse in quanto soggetti giuridici componenti un’impresa unitaria secondo il diritto della concorrenza (50). In sintesi, come ha osservato l’avvocato generale Kokott nelle sue conclusioni nella causa che ha dato origine alla sentenza Akzo, la questione decisiva è «se la società madre, a causa dell’intensità della propria influenza possa pilotare il comportamento della controllata a tal punto che le due società debbano essere considerate come un’entità economica unitaria» (51). Tale conclusione trova espressa conferma nella giurisprudenza della Corte che a più riprese ha precisato come, in presenza di una siffatta entità economica unitaria, non sia necessariamente una relazione d’istigazione in merito all’infrazione tra la società madre e la controllata né, a maggior ragione, un’implicazione della prima in detta infrazione, che consente alla Commissione di indirizzare alla società madre la decisione che impone ammende, ma il fatto che le società di cui trattasi costituiscano un’unica impresa (52).

45.      Ne consegue che il fondamento della responsabilità della società madre per il comportamento anticoncorrenziale della controllata si trova nell’unitarietà di azione economica di tali soggetti, ovvero nell’esistenza di una singola unità economica.

46.      Poiché tale fondamento è del tutto indipendente da una qualche colpa della società madre (53), l’unico modo per conciliarlo con il principio della responsabilità personale è ritenere che tale principio operi a livello dell’impresa nel senso del diritto della concorrenza, ovvero a livello dell’entità economica che ha colpevolmente commesso l’infrazione (54). Tale entità, in quanto soggetto economico che agisce unitariamente sul mercato, è responsabile perché una delle sue componenti ha agito in modo da violare le regole sulla tutela della concorrenza (55). Tuttavia, non essendo tale entità dotata di soggettività giuridica, l’infrazione alle regole di concorrenza va imputata a una o, congiuntamente, a più entità alle quali potranno essere inflitte ammende (56). In effetti, benché le norme di concorrenza dell’Unione si rivolgano alle imprese e siano ad esse immediatamente applicabili, indipendentemente dalla loro organizzazione e forma giuridica, risulta tuttavia dalla necessaria effettività dell’attuazione di tali norme che la decisione della Commissione volta a reprimerne e a sanzionarne la violazione debba essere indirizzata a soggetti‑persona nei cui confronti sia possibile agire a fini esecutivi per ottenere il pagamento della relativa ammenda (57).

47.      Occorre ancora osservare che se, come sopra interpretata, la teoria dell’unità economica consente di attribuire la responsabilità di un’infrazione alle regole di concorrenza all’impresa in quanto soggetto unitario, facendo così prevalere una visione economica delle relazioni tra i componenti di un gruppo societario su una visione puramente giuridica – in base alla quale ogni società costituisce una persona distinta che risponde solo delle proprie azioni od omissioni –, essa mantiene tuttavia un equilibrio tra il superamento del velo della personalità giuridica che una tale visione necessariamente comporta e il rispetto dei diritti dei soggetti che compongono l’impresa (58). È in questa prospettiva che, facendo leva sulla nozione funzionale d’impresa nel diritto della concorrenza, la Corte ha respinto come manifestamente infondate le critiche alla teoria dell’unità economica basate sull’asserito conflitto con il principio di autonomia delle persone giuridiche e con la responsabilità limitata delle società di capitali (59). Aggiungo peraltro, da un lato, che il principio dell’autonomia delle persone giuridiche non è inderogabile e coesiste, negli ordinamenti giuridici degli Stati membri e in ambito internazionale (60), con l’idea di unità economica del gruppo e, dall’altro, che diverse sono le teorie che si fondano sul superamento del velo della personalità giuridica allo scopo di far valere la «responsabilità d’impresa» in capo ai componenti di un gruppo societario, nonché gli orientamenti dottrinali che militano a favore del rigetto della responsabilità limitata all’interno dei gruppi societari (61).

3.      Dalla teoria dellunità economica alla responsabilità «discendente»della controllata per il comportamento anticoncorrenziale della controllante

48.      L’unitarietà di azione sul mercato di più imprese e l’influenza determinante della società madre diventano, nella ricostruzione sopra proposta della teoria dell’unità economica, non tanto due fondamenti alternativi della responsabilità della società madre, ma due passaggi logicamente necessari nel processo di attribuzione della responsabilità di una condotta anticoncorrenziale.

49.      Il primo passo è l’accertamento dell’influenza determinante della società madre sulle controllate. Il secondo consequenziale passaggio è l’individuazione di una singola unità economica. L’influenza determinante è condizione necessaria affinché ci sia un’unità economica, cioè un’unica impresa in senso funzionale.

50.      A questi due passaggi ne segue un terzo: l’attribuzione degli obblighi relativi al rispetto delle regole sulla concorrenza e della responsabilità per averle colpevolmente violate all’impresa unitaria così individuata, risultante da più soggetti giuridici distinti.

51.      L’ultimo passaggio consiste nella concreta allocazione della responsabilità per l’infrazione commessa dall’impresa alle singole entità che la compongono, le quali, essendo munite di personalità giuridica, possono essere centro di imputazione di tale responsabilità e sopportarne le relative conseguenze in termini finanziari.

52.      In questo modello ricostruttivo dell’unità economica non ci sono ragioni logiche per escludere che l’allocazione della responsabilità possa operare non solo in senso «ascendente» (dalla controllata alla società madre), ma anche in senso «discendente» (dalla società madre alla controllata).

53.      Se la giurisprudenza non ha ancora a tutt’oggi riconosciuto una tale possibilità, si può tuttavia rinvenire qualche segnale in tal senso. Così, alcune sentenze del Tribunale, tra le quali la recente sentenza Biogaran/Commissione, cui fa riferimento il giudice del rinvio, sembrano aver prospettato l’ammissibilità di un’attribuzione di responsabilità in senso discendente alla luce della nozione di «unità economica» (62). In particolare, nella sentenza Biogaran, contro la quale è attualmente pendente un’impugnazione dinanzi alla Corte (63), il Tribunale ha ritenuto che la Commissione potesse considerare controllata e controllante responsabili in solido dell’infrazione contestata, derivante in parte dal comportamento della prima e in parte dal comportamento della seconda, nonostante la controllata deducesse l’assenza di conoscenza da parte sua degli atti della società madre (64). Il Tribunale ha considerato che la responsabilità in solido si giustificasse perché i rispettivi comportamenti avevano concorso alla realizzazione dell’infrazione (65) e che, ove incombesse alla Commissione dimostrare la conoscenza, da parte della controllata, dei comportamenti della società madre per poter imputare l’infrazione al gruppo, la nozione di unità economica risulterebbe compromessa (66). La condizione per imputare all’insieme dei membri dell’impresa i diversi comportamenti illeciti che costituiscono la totalità dell’intesa ricorre, secondo il Tribunale, laddove ogni membro dell’impresa abbia contribuito alla sua attuazione, anche se in via subordinata, accessoria o passiva (67). È interessante peraltro rilevare che il Tribunale ha ritenuto che, in siffatte condizioni, la Commissione non avesse proceduto ad un’imputazione di responsabilità alla controllata del comportamento anticoncorrenziale della controllante, ma all’imputazione dell’insieme delle condotte di ciascuno di tali soggetti all’unità economica di cui essi facevano parte (68).

4.      Le condizioni per il riconoscimento della responsabilità solidale della controllata per il comportamento anticoncorrenziale della controllante

54.      Quali condizioni devono essere rispettate affinché sia possibile imputare solidalmente alla società madre e alla controllata il comportamento anticoncorrenziale della prima?

55.      Per rispondere a questa domanda occorre ancora una volta riferirsi alla nozione funzionale d’impresa che ricomprende soggetti giuridicamente distinti, i quali operano in maniera unitaria nel mercato in cui si atteggiano come un unico soggetto economico.

56.      Ove si tratti di accertare una tale unitarietà di condotta sul mercato ai fini dell’imputazione alla società madre del comportamento anticoncorrenziale delle controllate, l’unico elemento che rileva è l’esercizio da parte della prima di un’influenza determinante sulla politica commerciale della seconda. Invece, laddove si tratti di imputare alle controllate il comportamento anticoncorrenziale della società madre (rectius di imputare tale comportamento all’unità economica di cui esse fanno parte e di dichiarare una loro responsabilità congiunta per tale comportamento) è, inoltre, necessario che tali controllate abbiano preso parte all’attività economica dell’impresa diretta dalla società madre che ha materialmente commesso l’infrazione.

57.      In altri termini, nel caso di responsabilità ascendente, in cui le controllate adottano un comportamento anticoncorrenziale nel quadro generale del potere di influenza della società madre, tale potere è sufficiente sia a individuare un’unità economica sia a fondare la responsabilità congiunta della società madre. Nel caso inverso, di responsabilità discendente, in cui è la società madre a commettere l’infrazione, l’unitarietà dell’attività economica risulterà – oltre che dall’influenza determinante esercitata dalla prima – dal fatto che l’attività della controllata è, in qualche modo, necessaria alla realizzazione della condotta anticoncorrenziale (per esempio perché la filiale vende i beni oggetto del cartello) (69). Poiché la nozione funzionale d’impresa in quanto unità economica attiene al concreto atteggiarsi di più entità giuridiche sul mercato, i suoi esatti confini vanno delineati proprio con riferimento alle attività economiche che tali entità svolgono e al ruolo che esse rivestono all’interno del gruppo societario: da un lato, l’influenza determinante esercitata dalla società madre, dall’altro, l’attività della o delle controllate oggettivamente necessaria a concretizzare la pratica anticoncorrenziale.

58.      Se dunque una controllata, anche in caso di partecipazione totalitaria o quasi totalitaria, svolge un’attività estranea all’ambito economico in cui la società che la detiene ha adottato i comportamenti anticoncorrenziali siamo al di fuori della nozione «funzionale» di impresa, con la conseguenza che non può esservi responsabilità congiunta della prima per i comportamenti anticoncorrenziali della seconda.

59.      I criteri che consentono di accertare una tale responsabilità sono dunque diversi da quelli che permettono di imputare alla società madre la responsabilità per le infrazioni commesse dalle filiali. Ciò che non è essenziale ai fini della prima operazione può esserlo ai fini della seconda. Così, ad esempio, se, per riconoscere una responsabilità ascendente, la giurisprudenza non considera necessaria la prova che la controllante influenzi la politica della controllata nel settore specifico oggetto dell’infrazione, al contrario, ai fini del riconoscimento di una responsabilità discendente è determinante che la controllata operi nello stesso settore in cui la società madre ha posto in essere il comportamento anticoncorrenziale e che, con la sua condotta sul mercato, abbia reso possibile la concretizzazione degli effetti dell’infrazione (70).

5.      Estensione dellinterpretazione proposta allambito del «private enforcement»

60.      Le azioni di risarcimento danni per violazione delle regole di concorrenza dell’Unione costituiscono parte integrante del sistema di applicazione di tali regole (71).

61.      In base a una giurisprudenza costante della Corte, il diritto riconosciuto a chiunque di chiedere il risarcimento del danno cagionato da un’intesa o da una pratica vietata dall’articolo 101 TFUE garantisce la piena efficacia di tale articolo, in particolare l’effetto utile del divieto enunciato al suo paragrafo 1 (72). Tale diritto rafforza infatti il carattere operativo delle regole di concorrenza dell’Unione ed è tale da scoraggiare gli accordi o le pratiche, spesso dissimulati, idonei a restringere o falsare il gioco della concorrenza, contribuendo quindi al mantenimento di un’effettiva concorrenza nell’Unione (73).

62.      Se la Corte ha riconosciuto che, in assenza di normativa dell’Unione in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ogni singolo Stato membro stabilire le modalità di esercizio del diritto di agire per il risarcimento del danno risultante da un’intesa o da una pratica vietata dall’articolo 101 TFUE, sempreché siano rispettati i principi di equivalenza e di effettività, essa ha tuttavia precisato che la questione della determinazione dell’ente tenuto a risarcire il danno causato da una violazione dell’articolo 101 TFUE è direttamente disciplinata dal diritto dell’Unione (74).

63.      Nella sentenza Skanska, rinviando alla sentenza Akzo, la Corte ha riconosciuto che la nozione funzionale d’impresa è la medesima nel «public» e nel «private enforcement» e si riferisce ad un’unità economica anche qualora, sotto il profilo giuridico, tale unità economica sia costituita da più persone, fisiche o giuridiche (75).

64.      La Corte ha altresì precisato, respingendo le argomentazioni contrarie avanzate dalla Commissione, che, dato che la responsabilità per il danno risultante dalle infrazioni alle regole di concorrenza dell’Unione è personale, spetta all’impresa che viola tali regole risponderne e che, pertanto, «gli enti tenuti a risarcire il danno cagionato da un’intesa o da una pratica vietata dall’articolo 101 TFUE sono le imprese, ai sensi di tale disposizione, che hanno partecipato a tale intesa o a tale pratica» (76).

65.      In virtù di tale parallelismo, nella medesima sentenza Skanska, la Corte ha esteso anche in ambito civilistico, alle azioni di risarcimento del danno derivante dalla violazione del divieto di intese anticoncorrenziali, la cosiddetta teoria della «continuità economica», già riconosciuta dalla giurisprudenza nell’ambito del «public enforcement», in base alla quale qualora un ente che ha commesso un’infrazione al diritto della concorrenza dell’Unione sia oggetto di una modifica di natura giuridica o organizzativa, tale modifica non ha necessariamente l’effetto di creare una nuova impresa esente dalla responsabilità per i comportamenti anticoncorrenziali del precedente ente se, sotto l’aspetto economico, vi è identità fra i due enti (77).

66.      In virtù del medesimo parallelismo, ritengo che la portata della nozione di unità economica cui sono giunto nelle presenti conclusioni valga non solamente quando la Commissione individua il perimetro dell’impresa responsabile per l’infrazione alle regole di concorrenza e i soggetti giuridici che, all’interno di tale perimetro, rispondono congiuntamente e solidalmente delle sanzioni inflitte, ma anche quando i privati danneggiati da un comportamento anticoncorrenziale commesso da un’impresa ai sensi del diritto della concorrenza esercitano l’azione civilistica di risarcimento del danno. Una volta individuati i confini dell’unità economica che, in base al diritto della concorrenza, costituisce l’impresa responsabile per l’infrazione, gli interessati potranno quindi scegliere verso quale entità giuridica di cui si compone tale unità indirizzare la loro azione di risarcimento danni.

67.      Come riconosciuto dalla Corte, il «private» e il «public enforcement» sono entrambi strumenti indispensabili a rafforzare l’efficacia della politica di repressione delle pratiche anticoncorrenziali. Sotto tale profilo, il primo non persegue solo una funzione reintegratoria finalizzata a soddisfare interessi privati, ma ha anche una funzione deterrente che contribuisce al perseguimento degli obiettivi di interesse pubblico sottesi alla tutela della concorrenza. Con l’aumento dei soggetti che possono far valere la responsabilità per danno anticoncorrenziale aumenta l’effetto deterrente nei confronti delle violazioni del diritto della concorrenza, che è di estrema rilevanza affinché il diritto europeo della concorrenza possa raggiungere i suoi obiettivi (78). Analogamente quanto più si escludono ostacoli pratici all’esercizio delle azioni di risarcimento danni da parte dei soggetti lesi dalle infrazioni alle regole di concorrenza, tanto più si rafforza tale funzione deterrente.

68.      Ora, in una situazione quale quella in causa nel procedimento principale, consentire al singolo di citare in giudizio la controllata con la quale ha direttamente o indirettamente intrattenuto una relazione commerciale al fine di ottenere riparazione dei danni subiti a causa degli effetti su tale relazione del comportamento anticoncorrenziale della società madre contribuisce a tale duplice funzione in quanto agevola l’esercizio dell’azione risarcitoria nei casi in cui la società madre, contrariamente alla controllata, abbia sede in un paese diverso da quello del soggetto leso. In effetti, se è vero, come correttamente sottolineato da MBTE, che, conformemente all’articolo 7, punto 2, del regolamento n. 1215/2012, la vittima di un’infrazione alle regole di concorrenza ha comunque la possibilità di citare l’autore di tale infrazione dinanzi al giudice del luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto, vale a dire, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, del luogo in cui i prezzi del mercato sono stati falsati e nell’ambito del quale la vittima asserisce di aver subito il danno (79), accordare a quest’ultima la facoltà di agire nei confronti della controllata domiciliata nel proprio Stato membro, evita le complessità pratiche connesse alla notificazione all’estero dell’atto di citazione e all’esecuzione dell’eventuale sentenza di condanna. Da un punto di vista sostanziale e non meramente procedurale, poi, consentire al soggetto leso la scelta della società contro la quale agire aumenta le chances di soddisfare interamente le proprie pretese risarcitorie.

69.      Occorre ancora prendere posizione sull’argomento avanzato, a titolo principale da MBTE nelle sue osservazioni dinanzi alla Corte, secondo cui, in circostanze quali quelle di cui al procedimento principale, in cui l’azione risarcitoria è puramente follow-on, il giudice nazionale non può distanziarsi dalla definizione dell’impresa autrice dell’infrazione quale identificata nella decisione della Commissione senza violare l’articolo 16, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003, in base al quale «[q]uando le giurisdizioni nazionali si pronunciano su accordi, decisioni e pratiche ai sensi dell’articolo [101 TFUE o dell’articolo 102 TFUE] che sono già oggetto di una decisione della Commissione, non possono prendere decisioni che siano in contrasto con la decisione adottata dalla Commissione (…)».

6.      Sul rispetto dellarticolo 16, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003 nel quadro delle azioni risarcitorie di tipo follow on

70.      MBTE, fa valere che, poiché l’azione risarcitoria intentata da Sumal sarebbe fondata unicamente sulla decisione del 2016 e poiché quest’ultima ha considerato responsabile dell’infrazione solo Daimler, una decisione giudiziaria che riconoscesse la responsabilità di MBTE per la stessa infrazione si fonderebbe necessariamente su una nozione d’impresa diversa da quella adottata dalla Commissione e confliggerebbe pertanto con la decisione del 2016.

71.      Dirò subito che la giurisprudenza cui rinvia sul punto il governo spagnolo nelle sue osservazioni dinanzi alla Corte, relativa all’applicazione parallela del diritto dell’Unione e del diritto nazionale della concorrenza (80), non mi sembra nella specie pertinente, trattandosi, nelle circostanze della controversia principale, non di applicare il diritto nazionale della concorrenza, ma di identificare i soggetti responsabili per il risarcimento dei danni conseguenti ad una violazione dell’articolo 101 TFUE, operazione che, come si è visto sopra (81), è direttamente disciplinata dal diritto dell’Unione.

72.      Ciò premesso, si è già avuto modo di ricordare che, in base alla giurisprudenza della Corte, l’infrazione al diritto dell’Unione in materia di concorrenza di cui, secondo il principio di responsabilità personale, risponde l’unità economica deve essere imputata in maniera inequivocabile alla persona giuridica alla quale potranno essere inflitte ammende e alla quale deve essere inviata la comunicazione degli addebiti (82). In proposito, la Corte ha precisato che né l’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1/2003, né la giurisprudenza determinano quale persona giuridica o fisica la Commissione abbia l’obbligo di ritenere responsabile dell’infrazione e di sanzionare con l’irrogazione di un’ammenda (83).

73.      Ne consegue che la Commissione gode al riguardo di un ampio margine di discrezionalità (84) e che ad essa spetta la scelta – operata essenzialmente per ragioni di opportunità legate a esigenze di economia della procedura o alla base probatoria a disposizione della Commissione – della persona o delle persone giuridiche, fra quelle che compongono l’impresa, a cui indirizzare la comunicazione degli addebiti e la decisione che infligge una sanzione. Ora, tale scelta non implica di per sé, né esplicitamente né implicitamente, un accertamento di non responsabilità dei soggetti giuridici che non sono stati sanzionati, ma che fanno comunque parte dell’unità economica che ha commesso l’infrazione.

74.      Risulta da quanto precede che, contrariamente a quanto fa valere MBTE, il giudice nazionale può, senza incorrere nel divieto di cui all’articolo 16, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003, identificare come responsabile per i danni causati da un’infrazione alle regole dell’Unione in materia di concorrenza una persona giuridica non direttamente interessata dalla decisione con cui la Commissione ha accertato e sanzionato tale infrazione, a condizione tuttavia che siano soddisfatti i criteri per ritenere tale persona giuridica congiuntamente e solidalmente responsabile con il soggetto o i soggetti destinatari di detta decisione.

75.      Non si oppone a una tale conclusione il rilievo che, nella decisione del 2016, la Commissione abbia designato quale «impresa» responsabile dell’infrazione la sola Daimler. Tale designazione è coerente con la scelta operata dalla Commissione di perseguire e sanzionare la sola società madre per il comportamento anticoncorrenziale da questa direttamente commesso, ma, come si è visto, non esclude che, ai fini della responsabilità per i danni causati dall’infrazione, possano essere chiamati in causa anche altri soggetti appartenenti al medesimo gruppo, ove costituiscano, con la società sanzionata, un’unica unità economica.

76.      È infine da respingere l’argomento di MBTE, secondo cui riconoscere come responsabile per i danni causati da un’infrazione alle regole di concorrenza una persona giuridica diversa da quella che è stata oggetto della decisione della Commissione su cui si fonda l’azione risarcitoria sarebbe contraria al considerando 47 della sentenza Skanska, in cui la Corte ha affermato che la nozione di «impresa», ai sensi dell’articolo 101 TFUE «non può avere una portata diversa nel contesto dell’imposizione, da parte della Commissione, di ammende ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 e in quello delle azioni di risarcimento danni per violazione delle regole di concorrenza dell’Unione». Al riguardo è sufficiente osservare che, in tale punto, la Corte si riferiva in generale all’interpretazione che deve essere data alla nozione d’impresa, che non può divergere nel «public» e nel «private enforcement», e non all’applicazione che la Commissione fa di tale nozione in un caso concreto. Perciò, come peraltro la stessa Commissione ammette nella sua risposta ai quesiti scritti posti dalla Corte a titolo di misure di organizzazione della procedura, la possibilità per il giudice nazionale di accertare un’eventuale responsabilità per danni della società controllata non è preclusa per il solo fatto che la decisione con cui la Commissione ha constatato l’infrazione non ha imposto a tale società una sanzione amministrativa.

7.      Conclusione sulle prime tre questioni pregiudiziali

77.      Per le ragioni suesposte, suggerisco alla Corte di rispondere alle prime tre questioni pregiudiziali dichiarando che, nell’ambito di un’azione di risarcimento danni quale quella di cui al procedimento principale, una società può essere considerata responsabile del danno causato da una violazione dell’articolo 101 TFUE per la quale solo la società che la controlla è stata sanzionata dalla Commissione, qualora sia provato, da un lato, che, alla luce dei vincoli economici, organizzativi e giuridici intercorrenti tra tali società, esse formavano, all’epoca in cui la violazione è stata commessa, un’unità economica e, dall’altro, che la condotta della società controllata sul mercato interessato dal comportamento illecito della società controllante ha contribuito in modo sostanziale alla realizzazione dell’obiettivo perseguito con tale comportamento e alla materializzazione degli effetti dell’infrazione.

III. Conclusione

78.      In base all’insieme delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di dichiarare irricevibile la quarta questione pregiudiziale posta dall’Audiencia provincial de Barcelona (Corte provinciale di Barcellona, Spagna) e di rispondere alle prime tre questioni pregiudiziali come segue:

«L’articolo 101 TFUE dev’essere interpretato nel senso che, nell’ambito di un’azione di risarcimento danni quale quella di cui al procedimento principale, una società può essere considerata responsabile del danno causato da una violazione di tale articolo per la quale solo la società che la controlla è stata sanzionata dalla Commissione, qualora sia provato, da un lato, che, alla luce dei vincoli economici, organizzativi e giuridici intercorrenti tra tali società, esse formavano, all’epoca in cui la violazione è stata commessa, un’unità economica e, dall’altro, che la condotta della società controllata sul mercato interessato dal comportamento illecito della società controllante ha contribuito in modo sostanziale alla realizzazione dell’obiettivo perseguito con tale comportamento e alla materializzazione degli effetti dell’infrazione».



1      Lingua originale: l’italiano.


i      «I paragrafi 20 e 75 delle presenti conclusioni hanno costituito oggetto di una modifica posteriormente alla loro messa in rete».


2      Caso AT.39824 – Autocarri. Una sintesi di tale decisione è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea (GU 2017, C 108, pag. 6).


3      Legge del 3 luglio 2007 (BOE n. 159, del 4 luglio 2007, pag. 28848).


4      Secondo MBTE, contrariamente a quanto indicato nella domanda di pronuncia pregiudiziale, da un lato, non esisterebbe alcuna giurisprudenza divergente in Spagna sulla questione della responsabilità della controllata per gli illeciti anticoncorrenziali commessi dalla sua controllante e, dall’altro, la legittimazione passiva di una filiale di Daimler non menzionata nella decisione del 2016 nel quadro di un’azione risarcitoria basata su tale decisione, sarebbe stata riconosciuta dal solo Juzgado de lo Mercantil n. 3 de Valencia (tribunale di commercio n. 3 di Valenza, Spagna), con decisioni peraltro annullate in appello.


5      V., inter alia, sentenza del 5 marzo 2019, Eesti Pagar (C‑349/17, EU:C:2019:172, punto 49).


6      Il testo dei paragrafi 1 e 2 dell’articolo 71 LDC, introdotto in tale legge ai fini di trasporre la direttiva 2014/104/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 novembre 2014, relativa a determinate norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell’Unione europea (GU 2014, L 349, pag. 1), è riprodotto nelle osservazioni del governo spagnolo. Il paragrafo 1 di tale articolo prevede che «[I] trasgressori della legge sulla tutela della concorrenza sono responsabili dei danni e delle perdite causate». Il paragrafo 2, lettera a), precisa che «[p]er violazione del diritto della concorrenza si intende qualsiasi violazione degli articoli 101 o 102 [TFUE] o degli articoli 1 o 2 della presente legge», mentre la lettera b) dispone che «[l]e azioni di una società possono essere attribuite anche alle società o persone che la controllano, tranne quando il suo comportamento economico non è determinato da nessuna di esse».


7      Il giudice del rinvio omette peraltro di segnalare che, nella sua versione attuale, l’articolo 71, paragrafo 2, LDC è il risultato di una modifica introdotta con Real Decreto-ley 9/2017, del 26 maggio 2017 (BOE n. 126 del 27 maggio 2017, pag. 42820). Ora, nella misura in cui tale disposizione ha carattere chiaramente sostanziale e non meramente procedurale è lecito chiedersi se, come afferma MBTE nel quadro del secondo motivo d’irricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale, conformemente all’articolo 22, paragrafo 1, della direttiva 2014/104, in base al quale le misure nazionali di trasposizione di disposizioni sostanziali di tale direttiva non si applicano retroattivamente, essa sia applicabile a un’azione come quella pendente nel procedimento principale, la quale, pur essendo stata introdotta dopo l’entrata in vigore di detta direttiva, si riferisce tuttavia a fatti risalenti al periodo antecedente l’adozione e l’entrata in vigore della stessa. In proposito rilevo che una questione pregiudiziale vertente, tra l’altro, sull’interpretazione del termine «retroattivamente» che figura all’articolo 22, paragrafo 1, della direttiva 2014/104 con riferimento alle disposizioni di trasposizione di tale direttiva in diritto spagnolo è attualmente all’esame della Corte nella causa pendente C‑267/20. Sull’ambito di applicazione ratione temporis, della direttiva 2014/104, v., in generale, sentenza del 28 marzo 2019, Cogeco Communications (C‑637/17, EU:C:2019:263, punti da 24 a 34) e conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Cogeco Communications (C‑637/17, EU:C:2019:32, paragrafi da 60 a 64).


8      V., inter alia, sentenza del 3 settembre 2020, Vivendi (C‑719/18, EU:C:2020:627, punti 32 e 33 nonché giurisprudenza citata).


9      Tutti gli altri presupposti dell’azione di Sumal citati da MBTE, relativi, in particolare, all’esistenza del danno invocato e alla sua entità devono costituire oggetto di accertamento da parte del giudice nazionale.


10      Regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio del 16 dicembre 2002 sull’attuazione delle regole di concorrenza previste dagli articoli 81 e 82 del Trattato (GU 2003, L 1, pag. 1).


11      C‑264/01, C‑306/01, C‑354/01 e C‑355/01, EU:C:2003:304, paragrafo 25 delle conclusioni.


12      V., inter alia, sentenze del 23 aprile 1991, Höfner e Elser (C‑41/90, EU:C:1991:161, punto 21), del 17 febbraio 1993, Poucet e Pistre (C‑159/91 e C‑160/91, EU:C:1993:63, punto 17), del 22 gennaio 2002, Cisal (C‑218/00, EU:C:2002:36, punto 22) del 1° luglio 2008, MOTOE (C‑49/07, EU:C:2008:376, punto 21).


13      V., ad esempio, sentenza del 1° luglio 2008, MOTOE (C‑49/07, EU:C:2008:376, punto 25).


14      Si veda, ad esempio, sentenza del 6 marzo 1974, Istituto Chemioterapico Italiano e Commercial Solvents/Commissione (6/73 e 7/73, EU:C:1974:18, punto 41), in cui la nozione d’impresa, ai fini dell’applicazione dell’attuale articolo 102 TFUE, è stata applicata alla sola azione che le due società incriminate avevano posto in essere di concerto nei confronti di una terza società che si approvvigionava presso di loro; si veda altresì sentenza del 12 luglio 1984, Hydrotherm Gerätebau (170/83, EU:C:1984:271, punto 11, in cui la Corte afferma che, nell’ambito del diritto della concorrenza la nozione d’impresa «dev’essere intesa nel senso ch’essa si riferisce ad un’unità economica dal punto di vista dell’oggetto dell’accordo».


15      Nella sentenza del 31 ottobre 1974, Centrafarm e de Peijper (15/74, EU:C:1974:114, punto 41), la Corte ha precisato che esulano da tale divieto gli accordi o le pratiche concordate «fra imprese appartenenti allo stesso gruppo come società madre ed affiliata, qualora esse costituiscano un’unità economica nell’ambito della quale l’affiliata non dispone di effettiva autonomia nella determinazione del proprio comportamento sul mercato»; si vedano anche sentenze dell’11 aprile 1989, Saeed Flugreisen e Silver Line Reisebüro (66/86, EU:C:1989:140, punto 35), del 4 maggio 1988, Bodson (30/87, EU:C:1988:225, punto 19), sentenza del 24 ottobre 1996, Viho/Commissione (C‑73/95 P, EU:C:1996:405, punti da 15 a 17). Nello stesso senso, pur senza far riferimento alla nozione di «unità economica», si erano pronunciate sia la Corte, nella sentenza del 25 novembre 1971, Béguelin Import (22/71, EU:C:1971:113, punti da 7 a 9), facendo leva sulla mancanza di autonomia economica della controllata, che la Commissione, nella decisione 69/195/CEE, del 18 giugno 1969, relativa a una domanda di attestazione negativa (caso IV/22548 – Christian & Nielsen), fondandosi sull’assenza di concorrenza tra entità infragruppo. V. altresì, per quanto riguarda i rapporti tra committente e intermediario, sentenza del 16 dicembre 1975, Suiker Unie e a./Commissione (da 40/73 a 48/73, 50/73, da 54/73 a 56/73, 111/73, 113/73 e 114/73, EU:C:1975:174, punto 480) e, ai fini dell’applicazione di un’esenzione per categoria ad un accordo in cui una delle parti contraenti era formata da più imprese giuridicamente autonome, sentenza del 12 luglio 1984, Hydrotherm Gerätebau (170/83, EU:C:1984:271, punto 11).


16      48/69, EU:C:1972:70.


17      V. sentenza ICI, punti da 129 a 141. V. nello stesso senso sentenze del 14 luglio 1972, Geigy/Commissione (52/69, EU:C:1972:73, punti da 42 a 45) e Sandoz/Commissione (53/69, EU:C:1972:74, punti da 42 a 45), del 25 ottobre 1983, AEG-Telefunken/Commissione (107/82, EU:C:1983:293, punto 49) e, nella sfera di applicazione dell’articolo 86 TCE (attuale articolo 102 TFUE), sentenza del 6 marzo 1974, Istituto Chemioterapico Italiano e Commercial Solvents/Commissione (6/73 e 7/73, EU:C:1974:18, punti da 36 a 41).


18      V. sentenza ICI, punti 132 e 133.


19      V. sentenza ICI, punto 135.


20      V., ad esempio, sentenza del 16 novembre 2000, Metsä-Serla e a./Commissione (C‑294/98 P, EU:C:2000:632).


21      V., in tal senso, inter alia, sentenze del 16 novembre 2000, Metsä-Serla e a./Commissione (C‑294/98 P, EU:C:2000:632, punto 27), del 2 ottobre 2003, Aristrain/Commissione (C‑196/99 P, EU:C:2003:529, punto 96), del 28 giugno 2005, Dansk Rørindustri e a./Commissione (C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, EU:C:2005:408, punto 117) e dell’11 dicembre 2007, ETI e a. (C‑280/06, EU:C:2007:775, punto 49); da ultimo v. sentenza del 27 gennaio 2021, The Goldman Sachs Group/Commissione (C‑595/18 P, non pubblicata, EU:C:2021:69, punto 31 e giurisprudenza citata, in prosieguo la: «sentenza Goldman Sachs»). In tale contesto, se la presenza di vincoli capitalistici tra le entità interessate costituisce un indice dell’esistenza di un potere di controllo sulla partecipata, in particolare, come si vedrà, nel caso di partecipazioni totalitarie o quasi totalitarie, essi non sono tuttavia presupposto necessario per concludere nel senso dell’esistenza di un’unità economica, v. sentenza del 16 novembre 2000, Metsä-Serla e a./Commissione (C‑294/98 P, EU:C:2000:632, punto 36).


22      V., inter alia, sentenze del 14 settembre 2016, Ori Martin e SLM/Commissione (C‑490/15 P e C‑505/15 P, non pubblicata, EU:C:2016:678, punto 60 e giurisprudenza ivi citata), del 9 settembre 2015, Philips/Commissione (T‑92/13, non pubblicata, EU:T:2015:605, punto 41 e giurisprudenza ivi citata) e del 12 luglio 2018, The Goldman Sachs Group/Commissione (T‑419/14, EU:T:2018:445,punto 82).


23      V. sentenza del 20 gennaio 2011, General Química e a./Commissione (C‑90/09 P, EU:C:2011:21, punto 88, in prosieguo: la «sentenza General Química»).


24      In questo senso, v. già sentenza ICI, punti 136 e 137; v. altresì, inter alia, sentenza del 10 settembre 2009, Akzo Nobel e a./Commissione (C‑97/08 P, EU:C:2009:536, punto 60, in prosieguo: la «sentenza Akzo») e, da ultimo, sentenza Goldman Sachs, punto 32.


25      In tal senso, in presenza di una partecipazione diretta del 100% della società madre al capitale della controllata, v. già sentenza 25 ottobre 1983, AEG-Telefunken/Commissione (107/82, EU:C:1983:293, punto 50), successivamente confermata dalla sentenza Akzo, punto 60. Nello stesso senso, v., da ultimo, sentenza Goldman Sachs, punto 32. A partire dalla sentenza del 29 settembre 2011, Elf Aquitaine/Commissione (C‑521/09 P, EU:C:2011:620, punto 63), la Corte ha riconosciuto l’applicabilità della presunzione di esercizio effettivo di un’influenza determinante anche a partecipazioni di poco inferiori al 100% (nella specie una partecipazione del 98%).


26      V., da ultimo, sentenza Goldman Sachs, punto 32 e giurisprudenza citata.


27      V. sentenza General Química, punto 88.


28      V. sentenza Goldman Sachs, punto 35, che ha confermato sul punto la sentenza del 12 luglio 2018, The Goldman Sachs Group/Commissione (T‑419/14, EU:T:2018:445).


29      V. sentenza Goldman Sachs, punto 35.


30      V. sentenza del 29 settembre 2011, Elf Aquitaine/Commissione (C‑521/09 P, EU:C:2011:620, punto 59) e, da ultimo, sentenza Goldman Sachs, punto 38. Risulta peraltro da una giurisprudenza consolidata che la presunzione dell’esercizio di un’influenza determinante non viola il diritto alla presunzione di innocenza, in quanto da un lato non si risolve in una presunzione di colpevolezza dell’una o dell’altra delle società in questione (v. sentenza del 26 gennaio 2017, Villeroy & Boch/Commissione, C‑625/13 P, EU:C:2017:52, punto 149 e giurisprudenza ivi citata) e dall’altro lato la presunzione dell’esercizio di un’influenza determinante non ha carattere assoluto (v. sentenza del 19 giugno 2014, FLS Plast/Commissione, C‑243/12 P, EU:C:2014:2006, punto 27 e giurisprudenza ivi citata). La Corte ha altresì chiarito che il fatto che sia difficile fornire la prova contraria per confutare la presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante non implica, di per sé, che essa sia di fatto assoluta (v., in tal senso, sentenza del 16 giugno 2016, Evonik Degussa e AlzChem/Commissione, C‑155/14 P, EU:C:2016:446, punto 44 e giurisprudenza ivi citata).


31      V. inter alia, sentenze Akzo, punto 58 e giurisprudenza citata, del 19 luglio 2012, Alliance One International e Standard Commercial Tobacco/Commissione (C‑628/10 P e C‑14/11 P, EU:C:2012:479, punto 43), dell’11 luglio 2013, Commissione/Stichting Administratiekantoor Portielje (C‑440/11 P, EU:C:2013:514, punto 38), sentenza del 5 marzo 2015, Commissione/Eni e Versalis ed Eni/Commissione (C‑93/13 P e C‑123/13 P, EU:C:2015:150, punto 40).


32      V. sentenza del 27 aprile 2017, Akzo Nobel e a./Commissione (C‑516/15 P, EU:C:2017:314, punto 56 e giurisprudenza citata).


33      V. sentenza ICI, punto 140. Nello stesso senso, v. sentenza del 14 dicembre 2006, Confederación Española de Empresarios de Estaciones de Servicio (C‑217/05, EU:C:2006:784, punto 41).


34      V. sentenza del 28 giugno 2005, Dansk Rørindustri e a./Commissione (C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, EU:C:2005:408, punto 113).


35      V. sentenza Akzo, punto 56. Nello stesso senso, più di recente, v., inter alia, Akzo Nobel e a./Commissione (C‑516/15 P, EU:C:2017:314, punto 49).


36      In questo senso, v. sentenze del 14 dicembre 2006, Confederación Española de Empresarios de Estaciones de Servicio (C‑217/05, EU:C:2006:784, punto 41).


37      V., inter alia, sentenza Akzo, punto 59.


38      Per un’analisi delle relazioni tra la nozione d’impresa come unità economica e il principio della responsabilità personale, v., inter alia, le conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi nelle cause riunite Commissione/Siemens Österreich e a. e Siemens Transmission & Distribution e a./Commissione (da C‑231/11 P a C‑233/11 P, EU:C:2013:578, paragrafi da 74 a 82 e i riferimenti in essi contenuti).


39      V., inter alia, sentenze del 26 settembre 2013, EI du Pont de Nemours/Commissione (C‑172/12 P, non pubblicata, EU:C:2013:601, punto 44 e giurisprudenza ivi citata), del 26 settembre 2013, The Dow Chemical Company/Commissione (C‑179/12 P, non pubblicata, EU:C:2013:605, punto 55 e giurisprudenza ivi citata), e del 9 settembre 2015, Toshiba/Commissione (T‑104/13, EU:T:2015:610, punto 95 e giurisprudenza ivi citata).


40      V. sentenza Akzo, punto 59.


41      Già nella sentenza ICI, nel menzionare le direttive impartite dalla società madre alla controllata, la Corte si riferiva più all’esistenza di un generale potere di controllo della prima, cui corrispondeva una mancanza di autonomia sul mercato della seconda, che non all’esistenza di direttive specifiche aventi ad oggetto i comportamenti anticoncorrenziali. V., inter alia, anche sentenze del 14 settembre 2016, Ori Martin e SLM/Commissione (C‑490/15 P e C‑505/15 P, non pubblicata, EU:C:2016:678, punto 60 e giurisprudenza citata), e del 12 luglio 2018, The Goldman Sachs Group/Commissione (T‑419/14, EU:T:2018:445, punto 83).


42      Come sottolineato dall’avvocato generale Kokott nelle sue conclusioni nella causa Akzo Nobel e a./Commissione (C‑97/08 P, EU:C:2009:262, paragrafo 91), l’esistenza di un’influenza determinante può essere accertata anche quando la società madre «non si avvalga di alcuna concreta prerogativa codecisoria e ove si astenga dall’impartire istruzioni o direttive in merito a singoli aspetti della politica commerciale».


43      V., in tal senso, sentenze del 15 luglio 2015, HIT Groep/Commissione, T‑436/10 (EU:T:2015:514, punto 127 e giurisprudenza ivi citata) e del 12 luglio 2018, The Goldman Sachs Group/Commissione (T‑419/14, EU:T:2018:445, punto 152); v. altresì conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Akzo Nobel e a./Commissione (C‑97/08 P, EU:C:2009:262, paragrafo 87).


44      V. sentenza del 12 luglio 2018, The Goldman Sachs Group/Commissione (T‑419/14, EU:T:2018:445, punto 152).


45      C‑97/08 P, EU:C:2009:262, paragrafo 91.


46      Si veda, per un’applicazione in tal senso, sentenza dell’8 maggio 2013, Eni/Commissione (C‑508/11 P, EU:C:2013:289, punto 64).


47      V. paragrafo 31 delle presenti conclusioni.


48      Ad oggi, l’applicazione della presunzione di esercizio effettivo di un’influenza determinante è stata censurata dai giudici dell’Unione solo per motivi inerenti ad un difetto di motivazione nel confutare gli elementi di prova contraria apportati dalle società interessate, v. sentenze del 29 settembre 2011, Elf Aquitaine/Commissione (C‑521/09 P, EU:C:2011:620, punti da 144 a 171) del 16 giugno 2011, L’Air liquide/Commissione (T‑185/06, EU:T:2011:275) ovvero a un mancato rispetto del principio di parità di trattamento e sentenza del 27 ottobre 2010, Alliance One International e a./Commissione (T‑24/05, EU:T:2010:453).


49      V. nota 30 delle presenti conclusioni.


50      V., in questo senso, conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Akzo Nobel e a./Commissione (C‑97/08 P, EU:C:2009:262, punto 94).


51      V. conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Akzo Nobel e a./Commissione (C‑97/08 P, EU:C:2009:262, punto 93), v. in questo senso, sentenze del 2 febbraio 2012, EI du Pont de Nemours e a./Commissione (T‑76/08, non pubblicata, EU:T:2012:46, punto 62) e del 12 luglio 2018, Fujikura/Commissione (T‑451/14, non pubblicata, EU:T:2018:452, punto 48).


52      V., inter alia, sentenze 29 settembre 2011, Elf Aquitaine/Commissione (C‑521/09 P, EU:C:2011:620, punto 88), del 14 settembre 2016, Ori Martin e SLM/Commissione (C‑490/15 P e C‑505/15 P, non pubblicata, EU:C:2016:678, punto 60), e sentenza del 30 settembre 2009, Arkema/Commissione (T‑168/05, non pubblicata, EU:T:2009:367, punto 77).


53      In fin dei conti, come correttamente affermato dal governo italiano, se ci si basasse su un concorso di colpa tra società madre e controllata non ci sarebbe neanche stato bisogno di far riferimento alla nozione di unità economica ai fini dell’imputazione alla prima del comportamento anticoncorrenziale della seconda.


54      In questo senso, espressamente, sentenza del 10 aprile 2014, Commissione/Siemens Österreich e a. e Siemens Transmission & Distribution e a./Commissione (da C‑231/11 P a C‑233/11 P, EU:C:2014:256, punto 56). Nelle sue conclusioni nella sentenza Akzo, l’avvocato generale Kokott ha espresso tale idea in termini particolarmente chiari: «[i]l fatto che la società capogruppo che esercita un’influenza determinante sulle proprie controllate possa essere chiamata a rispondere in solido dei comportamenti anticoncorrenziali di queste non costituisce in alcun modo una deroga al principio della responsabilità personale, bensì costituisce proprio un’espressione di quest’ultimo. Infatti, la società madre e le controllate soggette alla sua influenza determinante sono, congiuntamente, soggetti giuridici componenti un’impresa unitaria nell’accezione del diritto della concorrenza e responsabili per gli atti della stessa», v. paragrafo 97. Inoltre, secondo l’avvocato generale Kokott, la responsabilità della società madre non ha nulla a che vedere con la responsabilità oggettiva, poiché la società madre è uno dei soggetti giuridici costituenti l’impresa che ha colpevolmente commesso l’infrazione alle norme sulla concorrenza: «semplificando, essa, insieme a tutte le società controllate sottoposte alla sua influenza determinante, è l’incarnazione giuridica di tale impresa», v. paragrafo 98.


55      In questo senso, v. sentenza Akzo, punto 56, v. altresì, inter alia, sentenza del 29 marzo 2011, ArcelorMittal Luxembourg/Commissione e Commissione/ArcelorMittal Luxembourg e a. (C‑201/09 P e C‑216/09 P, EU:C:2011:190, punto 95), del 5 marzo 2015, Commissione/Eni e Versalis ed Eni/Commissione (C‑93/13 P e C‑123/13 P, EU:C:2015:150) e del 27 aprile 2017, Akzo Nobel e a./Commissione (C‑516/15 P, EU:C:2017:314, punto 49). Rilevo tuttavia che, al punto 77, della sentenza Akzo, pur confermando che il diritto dell’Unione in materia di concorrenza si fonda sul principio della responsabilità personale dell’entità economica che ha commesso l’infrazione, la Corte, nel respingere l’argomento della ricorrente secondo cui nei confronti della società madre si farebbe valere una responsabilità oggettiva, precisa che «anche se la società controllante non partecipa direttamente all’infrazione, essa esercita, in tale ipotesi, un’influenza determinante sulle controllate che hanno partecipato ad essa».


56      V. sentenza Akzo, punto 57 e, inter alia, sentenza del 5 marzo 2015, Commissione/Eni e Versalis ed Eni/Commissione (C‑93/13 P e C‑123/13 P, EU:C:2015:150, punto 89).


57      V. le conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi nelle cause riunite Commissione/Siemens Österreich e a. e Siemens Transmission & Distribution e a./Commissione (da C‑231/11 P a C‑233/11 P, EU:C:2013:578, paragrafo 78 e riferimenti in esso contenuti), v. altresì sentenza del 12 dicembre 2007, Akzo Nobel e a./Commissione (T‑112/05, EU:T:2007:381, punto 59).


58      Nei procedimenti di infrazione alle regole di concorrenza, l’autonomia delle persone giuridiche che compongono l’unità economica è rispettata sia per quanto concerne l’esercizio dei loro diritti della difesa (invio della comunicazione degli addebiti, possibilità di presentare osservazioni, audizione, diritto a un ricorso giurisdizionale), sia ai fini della fissazione dell’ammenda.


59      V. sentenza dell’8 maggio 2013, Eni/Commissione (C‑508/11 P, EU:C:2013:289, punti 81 e 82).


60      Si vedano le discussioni relative ad un progetto di trattato dell’Organizzazione delle Nazioni Unite sulla responsabilità dei gruppi societari per le violazioni dei diritti umani, accessibile all’indirizzo https://www.littler.com/publication-press/publication/united-nations-further-deliberates-treaty-seeking-impose-corporate.


61      V., per un’analisi i tali orientamenti M. Petrin, B. Choudhury, Group Company Liability, European Business Organization Law Review, 2018, pag. 771 e segg.


62      Sentenza del 12 dicembre 2018 T‑677/14, EU:T:2018:910 (in prosieguo: la «sentenza Biogaran»). V. altresì sentenza dell’11 marzo 1999, Unimétal/Commissione (T‑145/94, EU:T:1999:49, punti da 601 a 606), in cui il Tribunale ha considerato legittima la maggiorazione dell’ammenda inflitta a una società controllata in considerazione del comportamento tenuto dalla società madre (nella specie tuttavia la controllata era stata ritenuta principale autore e beneficiario delle infrazioni commesse). Nello stesso senso militano alcune pronunce del Tribunale e della Corte in tema di recidiva, in cui si è ammessa la possibilità di far ricadere su una controllata le conseguenze di un passato comportamento anticoncorrenziale di una diversa controllata appartenente al medesimo gruppo e per la quale, in applicazione della nozione di unità economica, avrebbe potuto essere riconosciuta come solidalmente responsabile la società capogruppo; v. sentenze del 30 settembre 2003, Michelin/Commissione (T‑203/01, EU:T:2003:250, punto 290) e del 5 marzo 2015, Commissione/Eni e Versalis ed Eni/Commissione (C‑93/13 P e C‑123/13 P, EU:C:2015:150, punto 92).


63      Causa C‑207/19 P.


64      V. sentenza Biogaran, punto 217. Al punto 218, il Tribunale ha precisato che se è possibile imputare ad una società madre la responsabilità di un’infrazione commessa dalla sua controllata e, di conseguenza, rendere le due società responsabili in solido dell’infrazione commessa dall’impresa che esse costituiscono, senza violare il principio di responsabilità personale, ciò vale a maggior ragione quando l’infrazione commessa dall’unità economica costituita da una società controllante e dalla sua controllata derivi dal concorso dei comportamenti delle due società.


65      V. sentenza Biogaran, punto 220. Nella specie si trattava, da un lato, di un accordo transattivo illecito concluso tra la società madre, holding di un gruppo farmaceutico, e una società produttrice di farmaci generici, avente ad oggetto il blocco della produzione e della commercializzazione di un farmaco generico che la prima considerava in violazione di un brevetto da essa detenuta e, dall’altro, di un accordo concluso tra la controllata e la stessa società terza avente ad oggetto il trasferimento da parte di quest’ultima del progetto relativo a tre prodotti e di un’autorizzazione d’immissione sul mercato di una specialità farmaceutica a fronte del versamento di una somma di denaro. La Commissione ha in sostanza ritenuto che quest’ultimo accordo costituisse un ulteriore incentivo per la società terza a rinunciare alla produzione del generico considerato in violazione del brevetto. Rilevo, peraltro, che la controllata non era attiva nel mercato del farmaco commercializzato dal gruppo farmaceutico a partire da tale brevetto.


66      V. sentenza Biogaran, punto 225.


67      V. sentenza Biogaran, punto 225.


68      V. sentenza Biogaran punti 209, 222 e 227.


69      Ad una soluzione analoga son giunti alcuni giudici britannici, v., inter alia, Roche Products Ltd. & Ors v Provimi Ltd [2003] EWHC 961 (Comm) (2 maggio 2003) (http://www.bailii.org/ew/cases/EWHC/Comm/2003/961.html, punti da 25 a 35); Cooper Tire & Rubber Co & Ors v Shell Chemicals UK Ltd & Ors [2009] EWHC 2609 (Comm) (del 27 ottobre 2009) (http://www.bailii.org/ew/cases/EWHC/Comm/2009/2609.html, punti da 48 a 65); Vattenfall AB and Others v Prysmian SpA [2018] EWHC 1694 (Ch D); Media-Saturn Holding GmbH & Ors v Toshiba Information Systems (UK) Ltd & Ors [2019] EWHC 1095 (Ch) (2 maggio 2019) (http://www.bailii.org/ew/cases/EWHC/Ch/2019/1095.html, punti da 129 a 155). Su tali sentenze, la Corte ha peraltro attirato l’attenzione delle parti e degli interessati ai sensi dell’articolo 23 dello statuto che hanno avuto modo di presentare le loro osservazioni nel corso del procedimento dinanzi alla Corte.


70      V., ad esempio, sentenza del 13 luglio 2011, Eni/Commissione (T‑39/07, EU:T:2011:356, punto 97).


71      Sentenza del 14 marzo 2019, Skanska Industrial Solutions e a. (C‑724/17, EU:C:2019:204, punto 45, in prosieguo: la «sentenza Skanska»).


72      Sentenza Skanska, punti 25, 26 e 43; v. anche sentenza del 5 giugno 2014, Kone e a. (C‑557/12, EU:C:2014:1317, punti 21 e 22 e giurisprudenza citata).


73      Sentenza Skanska, punto 44; v. anche sentenza del 5 giugno 2014, Kone e a. (C‑557/12, EU:C:2014:1317, punto 23 e giurisprudenza citata).


74      V. sentenza Skanska, punti 27 e 28 e giurisprudenza citata.


75      V. sentenza Skanska, punti 29, 30, 36, 37 e 47.


76      V. sentenza Skanska, punti 31 e 32.


77      V. sentenza Skanska, punti da 38 a 40, in cui la Corte rinvia alle sentenze dell’11 dicembre 2007, ETI e a. (C‑280/06, EU:C:2007:775, punto 42), del 5 dicembre 2013 (SNIA/Commissione, C‑448/11 P, non pubblicata, EU:C:2013:801, punto 22), nonché del 18 dicembre 2014 (Commissione/Parker Hannifin Manufacturing e Parker-Hannifin, C‑434/13 P, EU:C:2014:2456, punto 40).


78      Sull’importanza dell’effetto deterrente delle azioni di risarcimento danni, v. conclusioni dell’avvocato generale Wahl nella causa Skanska Industrial Solutions e a. (C‑724/17, EU:C:2019:100, paragrafi da 46 a 50).


79      V. sentenza del 29 luglio 2019, Tibor-Trans (C‑451/18, EU:C:2019:635, punto 37). Tale sentenza sembra aver accantonato il criterio del forum actoris precedentemente consacrato dalla Corte nella sentenza del 21 maggio 2015, CDC Hydrogen Peroxide (C‑352/13, EU:C:2015:335, punto 56).


80      Il governo spagnolo cita la sentenza del 3 aprile 2019, Powszechny Zakład Ubezpieczeń na Życie (C‑617/17, EU:C:2019:283, punto 25 e giurisprudenza citata).


81      V. paragrafo 62 delle presenti conclusioni.


82      V. sentenza Akzo, punto 57.


83      V., sentenza del 27 aprile 2017, Akzo Nobel e a./Commissione (C‑516/15 P, EU:C:2017:314, punto 51 e giurisprudenza citata).


84      V., in tal senso, sentenza dell’11 luglio 2013, Team Relocations e a./Commissione (C‑444/11 P, non pubblicata, EU:C:2013:464, punti 159 e 160). La Commissione può dunque decidere di estendere la responsabilità di un’infrazione ad una società controllante, oltre alla società direttamente implicata nel comportamento anticoncorrenziale, senza tuttavia esserne obbligata, v. sentenza del 16 giugno 2011, Team Relocations/Commissione (T‑204/08 e T‑212/08, EU:T:2011:286, punto 156), confermata dalla sentenza dell’11 luglio 2013, Team Relocations e a./Commissione (C‑444/11 P, non pubblicata, EU:C:2013:464, punto 161).