Language of document : ECLI:EU:T:2006:20

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Prima Sezione)

18 gennaio 2006 (*)

«Programma Integrato Mediterraneo (PIM) per la Regione Marche – Chiusura di un contributo finanziario – Spese inammissibili – Ricorso di annullamento – Assenza di fondamento giuridico – Legittimo affidamento – Carenza di motivazione»

Nella causa T-107/03,

Regione Marche, rappresentata dagli avv.ti A. Pappalardo, M. Merola e D. Domenicucci,

ricorrente,

contro

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. E. de March e L. Flynn, in qualità di agenti, assistiti dall’avv. A. Dal Ferro, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

avente ad oggetto una domanda di annullamento della decisione della Commissione, risultante da una lettera inviata il 18 dicembre 2002 al governo italiano, recante chiusura di un contributo finanziario comunitario concesso a titolo del Programma Integrato Mediterraneo (PIM) per la Regione Marche,

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO

DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Prima Sezione),

composto dal sig. J.D. Cooke, presidente, dal sig. R. García‑Valdecasas e dalla sig.ra V. Trstenjak, giudici,

cancelliere: sig.ra C. Kristensen, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 3 maggio 2005,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Contesto normativo

1       I programmi integrati mediterranei (PIM) consistevano in azioni, di una durata massima di sette anni, dirette a migliorare le strutture socioeconomiche di talune regioni meridionali della Comunità, in Grecia, in Francia e in Italia, per consentire a queste di adattarsi, nelle migliori condizioni possibili, alla nuova situazione creata dall’adesione del Regno di Spagna e della Repubblica portoghese alla Comunità. Tali azioni erano relative, in particolare, ad investimenti del settore produttivo, alla realizzazione di infrastrutture e alla valorizzazione delle risorse umane e riguardavano tutti i settori dell’attività economica.

2       Il fondamento normativo dei PIM era costituito dal regolamento (CEE) del Consiglio 23 luglio 1985, n. 2088, relativo ai PIM (GU L 197, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento PIM»).

3       Tra le regioni e le zone geografiche destinatarie dei PIM, ed elencate nell’allegato I del regolamento PIM, figurava la Regione Marche, ad eccezione delle zone costiere ininterrottamente urbanizzate e con attività turistica permanente, dove erano possibili solo interventi in materia di pesca e di acquicoltura.

4       Ai sensi dell’art. 3 del regolamento PIM, per contribuire alla realizzazione dei PIM, si poteva ricorrere a diversi mezzi di finanziamento comunitario, vale a dire il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), il Fondo sociale europeo (FSE) e il Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia, sezione «orientamento» (FEAOG), i prestiti della Banca europea per gli investimenti (BEI) nonché le «risorse aggiuntive specifiche» rientranti in una speciale linea di bilancio intitolata «[PIM] – apporto supplementare» prevista all’art. 11, n. 2, del detto regolamento. Tale linea di bilancio era comunemente designata come «linea 551».

5       Conformemente all’art. 5, n. 2, del regolamento PIM, i PIM erano elaborati all’opportuno livello geografico dalle autorità regionali o dalle altre autorità designate da ciascuno Stato membro interessato. Essi erano esaminati dalla Commissione al fine di determinare, da una parte, la loro conformità con il regolamento PIM e, dall’altra, le azioni che sarebbero state oggetto di un contributo finanziario della Comunità (art. 6, n. 1, del regolamento PIM).

6       L’art. 7, n. 1, del regolamento PIM prevedeva la creazione di un comitato consultivo, composto da rappresentanti degli Stati membri e della BEI e presieduto dalla Commissione. Ai sensi del n. 2 del medesimo articolo, «[i]l progetto di programma proposto dalla Commissione per ciascun PIM è sottoposto al comitato consultivo che esprime il suo parere con votazione [a] maggioranza qualificata (…)».

7       L’art. 9 del regolamento PIM disponeva che, per ogni PIM, dovesse essere istituito, di comune accordo tra la Commissione e lo Stato membro interessato, un «comitato amministrativo», in cui era rappresentata la BEI. Esso prevedeva, inoltre, che l’applicazione dei PIM si dovesse articolare mediante contratti di programma tra le parti interessate (vale a dire Commissione, Stati membri, autorità regionali o qualsiasi altra autorità designata dallo Stato membro) che dovevano definire i loro impegni rispettivi.

8       Gli artt. 15 e 16 del regolamento PIM stabilivano le modalità secondo cui dovevano essere effettuati gli impegni di spesa, gli anticipi e i pagamenti dei contributi comunitari.

9       Ai sensi dell’art. 16 del regolamento PIM:

«1.      Le domande di pagamento a titolo della linea [551] sono presentate alla Commissione dallo [S]tato membro, dall’autorità regionale o da qualsiasi altro organo designato dallo [S]tato, comprese eventualmente le persone fisiche o giuridiche citate esplicitamente nei contratti di programma di cui all’articolo 9 in qualità di beneficiari di un contributo comunitario; le domande sono corredate di un certificato attestante l’effettiva esecuzione delle operazioni e l’esistenza di documenti giustificativi particolareggiati (…).

2.      La [C]ommissione effettua i pagamenti a favore dello [S]tato membro o dei beneficiari di cui al paragrafo 1.

(…)».

10     Ai sensi dell’art. 17 del regolamento PIM, la Commissione era informata in modo continuo dello svolgimento dei PIM. Se essa constatava un’irregolarità o una modifica rilevante rispetto a quanto previsto nel contratto di programma, non sottoposta alla sua approvazione, essa poteva sospendere, ridurre o sopprimere il contributo finanziario comunitario.

11     L’art. 19 del regolamento PIM fissava al 31 dicembre 1993 la data limite per gli impegni di spesa in applicazione dei PIM.

 Fatti all’origine della controversia

12     Il 18 dicembre 1986 la Repubblica italiana ha presentato alla Commissione un PIM per la Regione Marche (in prosieguo: il «PIM Marche») che copriva il periodo compreso tra il 1º gennaio 1988 ed il 31 dicembre 1993 incluso.

13     Il 24 marzo 1988 la Commissione ha adottato la decisione 88/258/CEE, che approva un PIM per la Regione Marche (GU L 107, pag. 39; in prosieguo: la «decisione 24 marzo 1988»).

14     L’art. 1 di questa decisione dispone, in particolare, quanto segue:

«Le stime della spesa totale e dei contributi comunitari attinti a ciascuna delle fonti di bilancio della Comunità sono indicate nel piano finanziario del PIM Marche.

La Commissione concede i contributi comunitari specificati nel piano finanziario del PIM Marche a condizione che gli interventi siano effettuati conformemente al PIM Marche, rimanendo nei limiti delle stime di spesa complessiva, e che siano rispettate le norme e le procedure delle singole fonti di finanziamento comunitarie».

15     Ai sensi dell’art. 2 della medesima decisione:

«Il contributo relativo alla linea [551] non può superare l’importo di ECU 38 835 520 relativamente alle spese sostenute nel periodo compreso tra il 1º gennaio 1988 e il 31 dicembre 1993 per misure da finanziare nel contesto del PIM Marche, stimate a ECU 169 156 000».

16     Il detto contributo, stanziato con la linea 551, è stato successivamente contrassegnato con il riferimento «FESR 88.05.81.016».

17     Con decisione 16 dicembre 1991, C(91) 3020/11, la Commissione ha portato a ECU 226 548 000 le spese relative alle misure di cui si componeva il programma PIM Marche per il periodo compreso tra il 1º gennaio 1988 e il 31 dicembre 1993. Essa ha, di conseguenza, fissato a ECU 88 968 000 il contributo comunitario per il finanziamento di tali misure e a ECU 49 834 000 il contributo a carico della linea 551. Tale decisione contiene in allegato un piano finanziario del PIM Marche per ciascun anno del periodo menzionato.

18     Il PIM Marche si componeva di quattro sottoprogrammi, i quali si articolavano in una serie di misure. Ciascuna misura era costituita, a sua volta, da un numero variabile di progetti o di altre azioni ed era accompagnata da una scheda tecnica. Il primo sottoprogramma (Industria, artigianato e terziario avanzato) conteneva in particolare la «Misura 1.3 – Capitale di rischio» (in prosieguo: la «misura 1.3»), che prevedeva due azioni.

19     Come emerge dalla scheda tecnica della misura 1.3 nella sua versione modificata nel dicembre 1991 (in prosieguo: la «scheda tecnica»), la prima azione, denominata «Venture Capital» (acquisto di partecipazioni in operazioni di capitale di rischio), prevedeva la costituzione di una società finanziaria specializzata nelle attività di capitale di rischio che doveva favorire la creazione e lo sviluppo, nella Regione Marche, di piccole e medie imprese (PMI) innovatrici, attraverso l’assunzione di partecipazioni nel capitale di PMI appartenenti al settore secondario e terziario «le cui prospettive di espansione [facessero] prevedere adeguati margini di profitto». Tali assunzioni di partecipazioni erano finalizzate ad «ottenere un profitto che, realizzato principalmente sotto forma di guadagno in conto capitale (capital gain) nel medio e lungo periodo, [avrebbe adeguatamente remunerato] il capitale investito» e potevano essere effettuate solo al momento della costituzione di una nuova impresa o in occasione dell’aumento di capitale di un’impresa esistente. Dovevano essere minoritarie, non potendo superare il massimo indicativo del 35% del capitale dell’impresa interessata, e dovevano essere temporanee.

20     La scheda tecnica indicava anche che «le modalità d’intervento comunitario [sarebbero state] decise di comune accordo con la Commissione dopo l’esame della proposta dettagliata presentata dal comitato amministrativo sulla costituzione e business plan della società per i primi anni di attività».

21     Peraltro, la scheda tecnica prevedeva che, nel caso in cui la società finanziaria non fosse divenuta operativa entro due anni dal pagamento del contributo comunitario, questo avrebbe dovuto essere restituito al bilancio comunitario o utilizzato, previo accordo della Commissione, nell’ambito del PIM Marche per altre iniziative in favore delle PMI.

22     Quanto alla seconda azione, denominata «Seed Financing» (finanziamenti precedenti il lancio di un’impresa), la scheda tecnica prevedeva la costituzione di un fondo specializzato nel capitale di avviamento e destinato a sostenere progetti di sviluppo di prodotti e servizi innovativi. Il fondo doveva essere gestito dalla società finanziaria costituita nell’ambito della prima azione.

23     Il punto 1.2., «Fasi e Calendario di realizzazione», della scheda tecnica prevedeva quanto segue:

«1.2.1 Durata globale della realizzazione:                   6 anni

1.2.2          Inizio dei lavori:                                     1988

1.2.3          Calendario delle realizzazioni:

          a)     1988: Costituzione della società finanziaria

          b)     1989/1993: Svolgimento attività di “Venture capital”

          c)     1992/1993: Svolgimento attività di “Seed financing”».

24     Dal piano finanziario allegato alla scheda tecnica emerge che il costo totale previsto per la misura 1.3 ammontava a ECU 13 333 000, vale a dire lire italiane (ITL) 20 432 000 000, e che il contributo comunitario concesso per tale misura – contributo a carico della linea 551 – rappresentava il 30% di tale costo totale, vale a dire ECU 3 999 000 o ITL 6 129 600 000. Di tale ultimo importo, ITL 4 500 000 000 erano destinate all’azione «Venture Capital» e ITL 1 629 000 000 all’azione «Seed Financing».

25     Ai sensi dell’art. 9 del regolamento PIM, il 21 maggio 1988, è stato concluso un contratto di programma tra la Commissione, il governo italiano e la ricorrente. Tale contratto di programma, ai sensi del suo art. 1, doveva entrare in vigore il 1º gennaio 1988 e scadere «nel momento in cui la Commissione [avesse constatato] la chiusura della partecipazione finanziaria della Comunità».

26     Il contratto di programma, al suo art. 2, individuava nella ricorrente l’autorità responsabile dell’applicazione del PIM Marche nei confronti della Comunità europea e stabiliva che essa sarebbe stata coadiuvata da un «comitato amministrativo» costituito da rappresentanti della Commissione, del governo italiano, della ricorrente e della BEI.

27     L’11 aprile 1991 la Commissione ha inviato alla rappresentanza permanente dell’Italia presso l’Unione europea una lettera relativa alla chiusura dei PIM, in cui indicava, in particolare, che il termine ultimo per l’effettivo versamento dei contributi ai beneficiari finali era fissato al 31 dicembre 1994 e che le «domande di pagamento del saldo relativo agli impegni dei contributi comunitari non ancora liquidati» avrebbero dovuto pervenire alla Commissione al più tardi il 30 giugno 1995. Essa prevedeva anche la possibilità di prorogare di sei mesi il termine ultimo per l’effettivo versamento dei contributi ai beneficiari finali.

28     Con convenzione conclusa il 2 ottobre 1991 (in prosieguo: la «convenzione») tra la ricorrente e la Marche Capital SpA, quest’ultima è stata incaricata dell’attuazione dell’azione Venture Capital. Il capitale sociale di tale società ammontava a ITL 7 500 000 000 e l’intervento finanziario che le doveva essere versato a titolo del PIM Marche per la realizzazione di questa azione era fissato a ITL 7 500 000 000, di cui ITL 4 500 000 000 a titolo di contributo comunitario (in base alla linea 551) e ITL 3 000 000 000 a titolo di contributo nazionale. Tale intervento finanziario è stato trasferito alla Marche Capital in due scaglioni, il primo (dell’importo di ITL 5 250 000 000) nel 1991 e il secondo (dell’importo di ITL 2 250 000 000) nel 1992. Una convenzione distinta è stata conclusa tra la ricorrente e la Marche Capital ai fini dell’attuazione dell’azione Seed Financing.

29     Ai sensi dell’art. 2 della convenzione, la Marche Capital si impegnava a «operare osservando le condizioni e le disposizioni contenute nella scheda tecnica (…) e in conformità a quanto previsto nel progetto Marche Capital (…)». In particolare, dall’art. 4 della convenzione emergeva che, «in caso di immotivata inosservanza delle norme di cui agli artt. 2 e 3 della (…) convenzione», la ricorrente aveva la facoltà di procedere alla revoca dei contributi previsti nell’ambito del PIM Marche.

30     L’art. 6 della convenzione stipulava:

«La presente convenzione ha durata fino alla scadenza del PIM Marche; le parti potranno concordare di comune accordo, di concerto con i Servizi della Commissione, modifiche alla destinazione degli eventuali residui fondi conferiti nella misura [1.3] nell’ambito dello stesso PIM Marche».

31     Il 12 maggio 1993 la ricorrente e la Marche Capital hanno proceduto a un’integrazione alla convenzione che consentiva a questa società di esercitare le sue attività non solo mediante l’acquisto di partecipazioni azionarie in PMI, ma anche mediante sottoscrizioni di prestiti obbligazionari convertibili e l’assunzione di prestiti partecipativi.

32     Il 24 maggio 1995 il presidente del comitato amministrativo ha inviato una lettera alla Commissione in cui, dopo aver constatato che l’attuazione del PIM Marche giungeva alla fase conclusiva e che «con il (…) 30 giugno [1995] ven[ivano] a scadere i termini per il completamento delle azioni previste dal PIM», egli sollecitava il parere della Commissione in merito alla definizione delle modalità operative per la gestione delle risorse finanziarie relative all’azione Venture Capital non utilizzate o impegnate alla scadenza del detto PIM. In tale lettera, il presidente del comitato amministrativo sottolineava che era «opportuno e necessario che l’attività di venture capital prosegu[isse] anche dopo la scadenza del programma». Osservava in tal senso che «[p]er quanto riguarda la possibilità di utilizzare le risorse finanziarie detenute da Marche Capital nel periodo successivo alla chiusura del Programma (…) [egli riteneva] opportuno che le stesse [potessero] continuare ad essere utilizzate nel territorio regionale con le stesse modalità previste dalla specifica convenzione». A tale lettera del 24 maggio 1995 era in particolare allegato un progetto di convenzione relativo all’azione Venture Capital, destinato a sostituire la convenzione. Tale progetto di convenzione, che è parimenti stato trasmesso alla Commissione via fax il 5 giugno 1995, non è mai stato adottato.

33     Con decisione 28 luglio 1995, C(95) 1788, la Commissione, su richiesta del governo italiano, ha prorogato al 31 ottobre 1995 la data limite per i pagamenti nazionali per quanto riguarda, in particolare, il PIM Marche. Dai ‘considerando’ di tale decisione emerge che questa data limite era stata precedentemente fissata al 30 giugno 1995.

34     Con lettera del 31 ottobre 1995, la Commissione, riferendosi alla lettera del presidente del comitato amministrativo del 24 maggio 1995, ha chiesto a quest’ultimo di trasmetterle uno «stato di attuazione» della misura 1.3 al 31 ottobre 1995, «termine ultimo per l’eligibilità delle spese a titolo del PIM». La Commissione osservava che «[t]ale stato di attuazione aggiornato [avrebbe dovuto fornire] gli elementi di valutazione necessari [ai suoi] servizi (…) per esprimere il proprio parere sulla (…) richiesta [del presidente del comitato amministrativo] di disciplina dell’intervento alla fine del PIM».

35     Con lettera del 23 novembre 1995, la ricorrente ha trasmesso tale «stato di attuazione» alla Commissione.

36     Il 22 aprile 1996 le autorità italiane hanno presentato alla Commissione una domanda di pagamento del saldo di diversi contributi finanziari comunitari concessi a titolo del PIM Marche, tra cui il contributo FESR n. 88.05.81.016. Tale richiesta è stata sostituita da una nuova domanda di pagamento del saldo presentata il 24 luglio 1997. In tali domande le autorità italiane osservavano, in particolare, che l’importo totale dei pagamenti effettuati al 31 ottobre 1995 a titolo della misura 1.3 ammontava a ITL 20 432 000 000 (vale a dire ITL 6 129 600 000 a titolo di contributo comunitario, ITL 4 086 400 000 da parte delle autorità nazionali e regionali e ITL 10 216 000 000 da parte del settore privato). Nella domanda del 24 luglio 1997, per quanto riguarda il contributo FESR n. 88.05.81.016, venivano attestate spese totali ammissibili di un importo di ITL 169 049 358 547.

37     Con lettera del 24 aprile 1996, la Commissione, facendo riferimento alla lettera del presidente del comitato amministrativo del 24 maggio 1995 e a quella della ricorrente del 23 novembre 1995, ha formulato una serie di osservazioni in merito alla misura 1.3. Quanto all’azione Seed Financing, essa osservava che dalla documentazione in suo possesso emergeva che la ricorrente e la Marche Capital avevano firmato la convenzione solo il 30 maggio 1995, vale a dire dopo la «data limite degli impegni». Essa riteneva, di conseguenza, che le spese effettuate a titolo di questa azione non fossero ammissibili.

38     Peraltro, la Commissione osservava quanto segue:

«Al fine di permettere alla Commissione e alla [ricorrente] di valutare l’opportunità di continuare l’azione dopo la fine del PIM e a quali condizioni, appare necessario che Marche Capital fornisca la situazione finanziaria e contabile del Fondo alla data del 31 ottobre 1995. Tale rapporto dovrebbe evidenziare, oltre agli investimenti realizzati ed [ai] loro risultati in termini di profitti e perdite, anche la contabilità del Fondo per quanto riguarda gli interessi di tesoreria e le spese di gestione imputabili al fondo. A tal proposito, si ricorda che della [convenzione] a cui la Commissione ha dato il suo accordo, costituiva parte integrante il “Progetto di fattibilità Marche Capital”. Tale progetto prevedeva un ritmo di utilizzo delle risorse pubbliche che in realtà non è stato rispettato, probabilmente per difficoltà impreviste di realizzazione dell’intervento. La non partecipazione del fondo pubblico PIM ai proventi di tesoreria in cambio della non partecipazione alle spese di gestione, era giustificata dal ritmo di utilizzo del fondo previsto nel “Progetto”. Non essendosi rispettato tale ritmo di utilizzo, appare necessario ricalcolare l’insieme dell’intervento attribuendo al fondo PIM pubblico la quota di proventi di tesoreria spettantigli».

39     Infine, nella sua lettera del 24 aprile 1996, la Commissione proponeva talune modifiche al progetto per una nuova convenzione «senza voler pregiudicare la posizione dei [suoi] servizi (…) sul futuro dell’intervento relativo al capitale di rischio».

40     La ricorrente ha risposto a tale lettera con lettere del 22 e del 31 luglio 1996.

41     Il 10 ottobre 1996 la Commissione ha inviato una lettera al presidente del comitato amministrativo in cui osservava in particolare che, «per quanto [riguardava] le risorse utilizzate [relative all’azione “Seed Financing” alla data di chiusura del PIM Marche], [essa riteneva] accettabile che esse, una volta rese liquide in seguito a dismissioni, dividendi ecc., [incrementassero] il Fondo di Capitale di rischio e [venissero] utilizzate agli stessi scopi e con le stesse modalità di tale Fondo». Essa esponeva inoltre che, «[p]er quanto [riguardava] le risorse non utilizzate alla fine del PIM, [fossero] esse “venture capital” che “seed”, esse, dopo essere state calcolate, [dovevano essere] detratte dal saldo finale che [sarebbe stato] versato [alla ricorrente] a titolo del PIM». Quanto agli interessi di tesoreria e alle spese di gestione imputabili al fondo, essa ribadiva la posizione espressa nella sua lettera del 24 aprile 1996. Essa aggiungeva che, «[p]er quanto [riguardava] l’utilizzazione delle risorse derivanti da dismissioni, plusvalenze, interessi, ecc. provenienti da operazioni effettuate dal fondo alla data del 31 ottobre 1995, [essa si dichiarava d’]accordo su un loro futuro utilizzo con le stesse finalità enunciate dalla scheda del PIM e dalle Convenzioni tra [la ricorrente] e Marche Capital». Infine, la Commissione chiedeva che le venisse trasmessa, in particolare, una «nuova dichiarazione di spese della misura [1.3] che [tenesse] conto dell’utilizzazione effettiva delle risorse al 31 ottobre 1995» nonché un nuovo progetto di convenzione che tenesse conto delle osservazioni formulate nella sua lettera del 24 aprile 1996.

42     Con decisione 20 novembre 1996, C(96) 3056, su richiesta del governo italiano la Commissione ha autorizzato, a titolo eccezionale, una nuova proroga della data limite per i pagamenti nazionali relativi a taluni progetti dei PIM, in particolare del PIM Marche, al 31 maggio 1997. La misura 1.3 non era coperta da tale proroga.

43     Con lettera del 12 gennaio 1998, la ricorrente ha risposto alla lettera della Commissione 10 ottobre 1996. Quanto all’azione Seed Financing, essa dichiarava di concordare con i commenti della Commissione. Quanto all’azione Venture Capital, invece, essa riteneva che la restituzione dei fondi non utilizzati alla data di scadenza del PIM non fosse giustificata da esplicite ragioni giuridiche. Peraltro, essa sosteneva che la domanda relativa agli interessi di tesoreria e alle spese di gestione era priva di fondamento giuridico.

44     Il 22 novembre 2001 la Commissione ha comunicato al governo italiano una prima proposta di chiusura del PIM Marche relativa a due contributi, tra cui il contributo FESR n. 88.05.81.016.

45     Con lettera del 21 gennaio 2002, la ricorrente ha reagito a questa proposta di chiusura. Essa ammetteva che la parte del fondo destinata all’azione Seed Financing non utilizzata alla fine del PIM Marche doveva essere restituita. Riteneva che non occorresse invece restituire la parte non utilizzata del fondo destinata all’azione Venture Capital e che le spese di gestione fossero ammissibili. Essa sosteneva di conseguenza che le spese ammissibili a titolo di tale contributo ammontavano a EUR 92 384 326 (ITL 165 185 358 547) e che il «saldo da recuperare» doveva essere fissato a EUR 2 152 451.

46     Con lettera del 6 settembre 2002, la Commissione ha trasmesso al governo italiano una nuova proposta di chiusura del PIM Marche in merito, in particolare, al contributo FESR n. 88.05.81.016.

47     Quanto a quest’ultimo contributo, essa osservava che «l’ammissibilità delle spese [relative alla misura 1.3] [avrebbe dovuto] essere limitata all’importo che corrisponde all’utilizzo dei fondi “Venture Capital” e “Seed Financing” alla data di fine di ammissibilità del programma pari rispettivamente a [ITL] 10 586 000 000 e a [ITL] 1 568 000 000», vale a dire a un importo totale di ITL 12 154 000 000 (EUR 7 063 078,49). Secondo la Commissione, «[s]i considera che questa posizione sia coerente con il contenuto della scheda tecnica (…) e [con le] disposizioni delle Convenzioni tra la [ricorrente] e la (…) Marche Capital». Quanto alle spese di gestione, «compensate con gli interessi di tesoreria», essa accettava le spese giustificate dal piano finanziario, ad eccezione di quelle relative agli oneri fiscali e agli ammortamenti. Peraltro, la Commissione considerava che «gli interessi maturati dai sopracitati fondi, al netto delle spese di gestione (…), [dovevano] essere utilizzati dalla [ricorrente] per finanziare ulteriori iniziative con la stessa finalità della misura 1.3». Alla luce di tali elementi, essa detraeva dalle spese totali dichiarate (ITL 169 049 358 547 o EUR 94 083 251,46) la somma di ITL 8 278 000 000 (EUR 4 290 111,46) e fissava così le spese ammissibili a ITL 160 771 358 547 (EUR 89 793 140) e il saldo da recuperare a EUR 2 963 141. La somma di ITL 8 278 000 000 rappresentava la differenza tra l’importo delle spese dichiarate per la misura 1.3, vale a dire ITL 20 432 000 000, e l’importo delle spese per questa misura considerate ammissibili dalla Commissione, vale a dire ITL 12 154 000 000.

48     Con lettera del 5 novembre 2002, la ricorrente ha contestato tale nuova proposta di chiusura del PIM Marche nella parte in cui riguardava il contributo FESR n. 88.05.81.016. Essa osservava che le spese ammissibili ammontavano a ITL 165 185 358 547 (EUR 92 384 326), che il contributo dovuto a titolo del FESR ammontava a EUR 37 336 613 e che il saldo da restituire era di EUR 2 152 451.

49     Nella sua lettera, la ricorrente sottolineava che «le spese ammissibili a contributo [per quanto riguardava l’azione “Venture Capital”] [corrispondevano] all’importo complessivo dei versamenti effettuati da parte della [ricorrente] al relativo fondo di Marche Capital SpA, in virtù della specifica convenzione, e costitui[vano] le spese sostenute dal “beneficiario finale” in attuazione dell’intervento previsto». Essa osservava altresì che «[era] priva di fondamento giuridico la richiesta della Commissione, che le spese ammissibili a contributo (…) [fossero] ridotte dell’importo pari alla quota di fondo non impegnata da Marche Capital SpA entro la scadenza del Programma, in quanto la scheda tecnica di misura richiedeva, entro la scadenza del Programma, solo la costituzione della società ed una serie di adempimenti finanziari ed operativi, tutti assolti da Marche Capital, mentre non era richiesto l’utilizzo del 100% delle risorse» e che, «peraltro, né il Regolamento [PIM], né il Programma PIM Marche, né la scheda tecnica di misura, né la norma attuativa del PIM, [avevano] regolamentato tale aspetto». Essa faceva infine valere che «non si [poteva] pretendere l’accredito al fondo degli interessi di tesoreria modificando, a posteriori, una norma contrattuale che prevede[va] esattamente il contrario».

50     Con lettera 18 dicembre 2002 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), la Commissione ha inviato al governo italiano la sua decisione di procedere alla chiusura definitiva dei contributi FESR n. 88.05.09.016 e n. 88.05.81.016. In tale lettera, di cui è stata inviata una copia alla ricorrente, la Commissione, riferendosi alla sua lettera del 6 settembre 2002, osservava che, quanto all’azione Venture Capital della misura 3.1, essa «[manteneva] la propria posizione in merito alla non ammissibilità della quota di fondo non utilizzato da Marche Capital (…) entro la scadenza del PIM». 

51     Essa giustificava la sua posizione come segue:

«Per effetto della convenzione la (…) Marche Capital si è impegnata ad attuare la misura 3 del PIM Marche, la cui scheda tecnica allegata alla convenzione stessa comportava un calendario di realizzazione dell’operazione. Lo scadenzario prevedeva la costituzione della società finanziaria nel 1988 e la realizzazione degli investimenti nelle imprese durante il periodo tra il 1989 ed il 1993.

Il termine per i pagamenti fa parte delle condizioni di attuazione (…) dei programmi finanziati dai Fondi strutturali. Pertanto, il termine del 31/10/95 sarebbe privo di qualsiasi logica se si accettassero come ammissibili degli investimenti realizzati dalla (…) Marche Capital fino al 2001, cioè sei anni dopo il termine previsto dal programma.

L’obbligo per la società di realizzare gli investimenti nel periodo di attuazione del programma può anche essere dedotto dalla descrizione tecnica della misura che prevede la restituzione dell’importo assegnato in caso di non realizzazione degli investimenti.

Di conseguenza, l’aiuto comunitario per la creazione della (…) Marche Capital deve essere considerato unitamente alle prestazioni ottenute da quest’ultima nel conseguimento degli obiettivi da raggiungere.

Con la presente, la Commissione comunica, in via definitiva, ch’essa ha deciso di procedere alla chiusura dell’intervento sulla base dei dati comunicati con nota del 6 settembre 2002.

La Commissione osserva che nella misura in cui il beneficiario finale, nel caso specifico la [ricorrente], possa essere direttamente ed individualmente riguardato da questa decisione, potrà proporre ricorso al Tribunale (…) entro il termine di 2 mesi, più 10 giorni relativi alla distanza».

 Procedimento e conclusioni delle parti

52     Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 20 marzo 2003, la ricorrente ha proposto il presente ricorso.

53     Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Prima Sezione) ha deciso di aprire la fase orale del procedimento e, a titolo di misure di organizzazione del procedimento, ha invitato le parti a rispondere per iscritto a taluni quesiti e a produrre determinati documenti. Le parti hanno dato seguito a tali richieste entro i termini impartiti.

54     Durante l’udienza del 3 maggio 2005, le parti hanno svolto le loro difese orali e hanno risposto ai quesiti del Tribunale.

55     La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–       annullare la decisione impugnata e tutti gli atti ad essa connessi e consequenziali;

–       condannare la Commissione alle spese.

56     La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–       respingere il ricorso in quanto infondato;

–       condannare la ricorrente alle spese.

57     Nel suo controricorso la Commissione, senza sollevare formalmente un’eccezione di irricevibilità, ha espresso dubbi quanto alla circostanza che la ricorrente sia direttamente interessata dalla decisione impugnata. In udienza, essa ha tuttavia precisato di non chiedere al Tribunale di pronunciarsi su tale questione. La Commissione ha segnatamente osservato che il fatto che la ricorrente fosse parte del contratto di programma era idoneo a creare un vincolo giuridico diretto tra essa e la stessa ricorrente.

 In diritto

58     Dalle memorie della ricorrente e dalle sue risposte ai quesiti scritti del Tribunale emerge che la presente controversia riguarda solo il contributo FESR n. 88.05.81.016 e l’azione Venture Capital della misura 1.3. La controversia verte su un importo di EUR 810 690, che rappresenta la differenza tra il «saldo da recuperare» reclamato dalla Commissione (pari a EUR 2 963 141) e quello accettato dalla ricorrente (vale a dire EUR 2 152 451). Tale differenza deriva dal rifiuto della Commissione di riconoscere come ammissibili le spese relative alle attività di investimento realizzate dalla Marche Capital a favore delle PMI della Regione Marche dopo il 31 ottobre 1995 nell’ambito dell’azione Venture Capital.

59     A sostegno del suo ricorso la ricorrente solleva tre motivi, relativi, il primo, alla mancanza di fondamento giuridico della decisione impugnata, il secondo, alla violazione dei principi di tutela del legittimo affidamento e di buona amministrazione e, il terzo, ad una carenza di motivazione.

 Sul primo motivo, vertente sulla mancanza di fondamento giuridico della decisione impugnata

 Argomenti delle parti

60     La ricorrente sostiene che nessuna delle disposizioni applicabili nella specie imponeva alla Marche Capital di investire integralmente entro il 31 ottobre 1995, data di scadenza del PIM Marche, le somme che la ricorrente le aveva versato a titolo di tale programma. Essa non contesta che tale PIM dovesse essere chiuso a tale data, ma fa valere che, contrariamente a quanto sostiene la Commissione, essa ha impiegato correttamente i fondi interessati trasferendoli integralmente, entro i termini fissati dalla convenzione, alla Marche Capital, la quale li ha utilizzati a sua volta «non appena se ne è presentata l’opportunità», per acquistare partecipazioni nel capitale delle PMI marchigiane.

61     La ricorrente ritiene che la Commissione non possa basare la decisione impugnata sulle indicazioni contenute nella scheda tecnica. Essa sostiene che, dalla medesima, emerge solo che «l’unico requisito previsto per poter disporre il pagamento delle tranches successive alla prima era costituito dalla “constatazione dell’effettiva operatività” della società» e rileva che l’art. 3 della convenzione disponeva che «tanto la prima quanto la seconda tranche, fossero trasferite [dalla ricorrente alla Marche Capital] alla sola condizione che quest’ultima avesse provveduto», il che, a suo avviso, è effettivamente accaduto, «alla sottoscrizione di capitale sociale privato per un ammontare pari all’importo oggetto del contributo pubblico». La ricorrente ne deduce che dal requisito dell’operatività della società, vale a dire la Marche Capital, non può discendere l’obbligo per la medesima di effettuare la totalità degli interventi finanziari entro la data di chiusura del PIM Marche. Siffatto obbligo, peraltro, mal si concilierebbe con «la peculiarità propria delle operazioni di ingegneria finanziaria che [tale] società era chiamata a svolgere». Su quest’ultimo punto essa ricorda che la scheda tecnica spiega che l’obiettivo dell’azione Venture Capital doveva essere realizzato attraverso la presa di partecipazioni nel capitale di PMI appartenenti al settore secondario e terziario e «le cui prospettive di espansione [facevano] prevedere adeguati margini di profitto», precisando che tali prese di partecipazioni erano finalizzate ad ottenere un profitto che, realizzato principalmente sotto forma di guadagno in conto capitale nel medio e lungo periodo, avrebbe remunerato adeguatamente il capitale investito. Essa sostiene che la Marche Capital aveva concluso numerosi contratti con le PMI marchigiane, ma che, «attesa la penuria di imprese che presentassero caratteristiche tali da garantire un adeguato margine di riuscita nell’investimento», la maggior parte di tali contratti non si erano tradotti nell’immediata acquisizione di partecipazioni. Essa aggiunge che, dopo la chiusura del PIM Marche, la Marche Capital ha continuato a svolgere la propria attività investendo sino al 2001, per la realizzazione dell’azione Venture Capital, più di ITL 22 000 000 000, vale a dire una somma superiore alle ITL 15 000 000 000 inizialmente previste, «conservando l’assetto statutario originario e nel solco tracciato dai vincoli contrattuali iniziali, sebbene scaduti».

62     Quanto al calendario di realizzazione previsto dalla scheda tecnica, la ricorrente fa valere che esso, da una parte, si limita ad indicare, genericamente, il periodo di esercizio delle attività di capitale di rischio per gli anni 1989‑1993 e, dall’altra, non può essere in alcun caso letto «alla stregua di una disposizione chiara, precisa e vincolante in ordine alla fissazione di un termine perentorio entro il quale completare l’attività». Per quanto riguarda quest’ultimo punto essa rileva che la scheda tecnica parla solamente di «inizio lavori» e non anche di fine degli stessi. La mancanza di un tale termine perentorio sarebbe confermata anche dalla circostanza che, quando la scheda tecnica è stata modificata nel dicembre 1991, non si è ritenuto di dover estendere il periodo di riferimento previsto per la misura 1.3, «pur se all’epoca si era ben consapevoli del fatto che la realizzazione degli investimenti finali richiedeva tempi lunghi per poter cogliere le opportunità migliori offerte dal mercato ai fini di uno sviluppo sano e durevole».

63     Più in particolare, la ricorrente ricorda che, nel dicembre 1991, l’azione in questione era appena iniziata (in quanto la convenzione era stata conclusa nell’ottobre 1991) e fa valere che, se il calendario di realizzazione avesse davvero avuto natura perentoria, sarebbe stato incomprensibile il fatto che la data di inizio di tale azione, «ormai abbondantemente trascorsa», e quella della sua fine, «divenuta chiaramente inverosimile», non siano state cambiate, con l’avallo della Commissione. Nello stesso ordine di idee, essa rileva che, con note 14 maggio e 24 luglio 1991, la Commissione aveva proposto modifiche sostanziali e precise al progetto di convenzione che le era stato sottoposto all’epoca e si stupisce che quest’ultima, se riteneva davvero che il 31 dicembre 1993 fosse la data ultima per la realizzazione degli investimenti finali, non si sia resa conto della necessità di fornire alle parti interessate precisazioni sul termine entro il quale la Marche Capital doveva realizzare gli investimenti e sulle conseguenze del mancato rispetto di tale termine.

64     Secondo la ricorrente, la Commissione non può nemmeno basare la decisione impugnata sulle disposizioni del regolamento PIM o del contratto di programma. Essa sostiene, al riguardo, che, ai sensi del combinato disposto dell’art. 17, n. 4, del regolamento PIM e dell’art. 14 del contratto di programma, la Commissione può procedere alla soppressione, riduzione o sospensione dei contributi provenienti dalla linea 551 solo qualora risulti «una irregolarità o una modifica rilevante rispetto al contratto [di programma], non sottoposta alla sua approvazione». Orbene, nella fattispecie la ricorrente non avrebbe commesso alcuna irregolarità e non avrebbe apportato alcuna modifica al contratto di programma o ad altri «strumenti contrattuali» senza la preventiva approvazione della Commissione. Essa sostiene di aver pienamente rispettato le disposizioni applicabili alla fattispecie e, più in particolare, quelle contenute nella scheda tecnica e nella convenzione.

65     Quanto alla convenzione, la ricorrente rileva che quest’ultima prevedeva, ai fini della concessione del contributo finanziario comunitario, «la mera constatazione della costituzione e dell’effettiva operatività della [società] senza stabilire alcun obbligo di integrale investimento delle somme stanziate nell’ambito del PIM entro la sua data di scadenza». Essa sottolinea che l’art. 4 della convenzione imponeva alla Marche Capital la restituzione del contributo finanziario comunitario nella sola ipotesi in cui tale società non fosse divenuta operativa entro un periodo di due anni dal pagamento dello stesso.

66     La ricorrente aggiunge che dall’art. 6 della convenzione non si può dedurre che la data di scadenza del PIM Marche costituiva anche la data ultima per la realizzazione degli investimenti, posto che tale articolo sembra al contrario presupporre una sorta «d’ultrattività del PIM». Essa contesta la fondatezza dell’interpretazione che la Commissione dà di tale articolo rilevando che in esso non si fa affatto riferimento alla possibilità di destinare i fondi residui nell’ambito di nuovi programmi.

67     La ricorrente aggiunge peraltro che, all’epoca dell’adozione del PIM Marche e dell’approvazione del contratto di programma e della convenzione, gli interventi comunitari a favore di operazioni di ingegneria finanziaria avevano un «carattere pionieristico». Essa osserva che il quadro normativo che disciplinava le modalità di concessione del contributo finanziario comunitario era «carente» e non individuava obblighi ed impegni così precisi come quelli previsti dalla normativa vigente alla data di proposizione del presente ricorso. A sostegno di tale argomento, essa fa valere la decisione della Commissione 23 aprile 1997, 97/322/CE, che modifica le decisioni di approvazione dei quadri comunitari di sostegno, dei documenti unici di programmazione e delle iniziative comunitarie prese nei confronti dell’Italia (GU L 146, pag. 11). In tale decisione la Commissione, alla luce delle difficoltà incontrate, avrebbe inserito una sezione dedicata specificamente ai «fondi di capitale di rischio». La detta decisone avrebbe avuto chiaramente l’obiettivo di eliminare le incertezze e le lacune della precedente normativa. La ricorrente invoca inoltre il regolamento (CE) della Commissione 28 luglio 2000, n. 1685, recante disposizioni di applicazione del regolamento (CE) n. 1260/1999 del Consiglio per quanto riguarda l’ammissibilità delle spese concernenti le operazioni cofinanziate dai Fondi strutturali (GU L 193, pag. 39), come modificato dal regolamento (CE) della Commissione 27 giugno 2003, n. 1145 (GU L 160, pag. 48). Essa cita, più in particolare, il secondo, il quarto, il settimo e l’ottavo ‘considerando’ di quest’ultimo regolamento, nonché il punto 2.8 della regola n. 8 dell’allegato al medesimo, dove la Commissione avrebbe indicato per la prima volta chiaramente che, «al momento della chiusura dell’operazione, la spesa ammissibile del fondo (del beneficiario finale) è costituita dal capitale del fondo che è stato investito nelle PMI o prestato alle stesse, ivi inclusi i costi di gestione sostenuti».

68     Nello stesso senso, la ricorrente si riferisce anche al fatto che l’art. 11 della convenzione relativa al «Seed Financing», che essa aveva concluso con la Marche Capital il 30 maggio 1995, le conferiva la facoltà di esigere da tale società la restituzione delle somme che non erano state utilizzate alla data della scadenza del progetto di finanziamento. Invece, né la normativa applicabile all’epoca né la convenzione avrebbero previsto un tale obbligo.

69     Infine, la ricorrente contesta la fondatezza dell’affermazione della Commissione secondo cui il fondamento giuridico della decisione controversa risulta da una combinazione di elementi in relazione ai «principi della programmazione e della sana gestione finanziaria» (v. infra, punti 71‑73). Essa precisa di rimettere in questione non il potere della Commissione di escludere dal finanziamento comunitario le spese non ammissibili, bensì «la qualificazione stessa delle spese come non ammissibili da parte [di questa] e, ancor prima, la “trasformazione” della data di scadenza del programma in un vincolo di destinazione».

70     La Commissione sostiene che le spese relative all’azione Venture Capital, per essere ammissibili al finanziamento comunitario previsto nell’ambito del PIM Marche, dovevano essere realizzate, da una parte, prima della scadenza di tale PIM, vale a dire il 31 ottobre 1995 (in prosieguo: il «vincolo temporale»), e dall’altra, a vantaggio delle PMI stabilite nella regione Marche (in prosieguo: il «vincolo di destinazione»).

71     Essa fa valere, in primo luogo, che il fondamento giuridico della decisione impugnata risulta dalla combinazione di elementi relativi ai «principi della programmazione e della sana gestione finanziaria».

72     Il «principio della programmazione» implicherebbe, segnatamente, la necessità di rispettare le date di inizio delle operazioni finanziate dai fondi comunitari, lo scadenzario della loro realizzazione e le date della loro conclusione. Tale principio obbligherebbe anche ad assicurarsi che i fondi comunitari vengano utilizzati in coerenza con gli obiettivi del programma e, quindi, a considerare ammissibili solo le spese che effettivamente contribuiscono al perseguimento di tali obiettivi. La Commissione ricorda, a tal riguardo, che lo scopo enunciato nel regolamento PIM è di «migliorare le strutture socio-economiche di queste regioni (…) attraverso il potenziamento delle piccole e medie imprese industriali o commerciali».

73     Quanto al «principio della sana gestione finanziaria», la Commissione osserva che il regolamento PIM le ha delegato, in un contesto orientativo nettamente definito, responsabilità di gestione e di esecuzione e che, nell’ambito del contratto di programma, ad essa risultano affidati i principali compiti di valutazione e di controllo dell’esecuzione del PIM Marche. Di conseguenza, essa avrebbe avuto la facoltà ed il compito di escludere dal finanziamento comunitario le spese inammissibili con riferimento ai criteri del programma. Essa osserva che la ricorrente e la Marche Capital non erano affatto tenute ad utilizzare prima della data di scadenza del PIM Marche tutti i fondi comunitari versati. Peraltro, l’art. 6 della convenzione prevedrebbe espressamente un meccanismo per decidere, di concerto con i servizi della Commissione, la possibile destinazione degli eventuali fondi residui nell’ambito di nuovi programmi d’intervento per la Regione Marche. Inoltre, la Commissione riconosce che la ricorrente non ha né commesso irregolarità né apportato modifiche, da essa non autorizzate, al contratto di programma, tali da giustificare la sospensione, la riduzione o la soppressione dei contributi finanziari comunitari in applicazione dell’art. 17, n. 4, del regolamento PIM. La Commissione ritiene, tuttavia, che, con riferimento alle responsabilità soprammenzionate, essa fosse tenuta a recuperare i fondi inutilizzati a tale data.

74     In secondo luogo, la Commissione invoca diversi elementi a sostegno della sua tesi relativa all’esistenza del vincolo temporale.

75     Innanzi tutto, essa afferma che sia il regolamento PIM sia la decisione 24 marzo 1998 «indicano chiaramente la data di conclusione del programma (fissata prima al 31 dicembre 1993 e poi prorogata al 31 ottobre 1995) quale termine ultimo per gli impegni di spesa in applicazione del PIM».

76     Inoltre, la Commissione sostiene che dalla scheda tecnica emerge che le operazioni di capitale di rischio dovevano essere realizzate entro il 31 ottobre 1995. Riferendosi ai punti 1.2.1 e 1.2.2 della scheda tecnica, essa osserva che «[i]1 31 dicembre 1993 rappresentava pertanto l’originaria data di scadenza del PIM Marche, entro la quale doveva essere condotta a termine la realizzazione della Misura [1.3]». Essa aggiunge che il calendario di realizzazione contiene, al punto 1.2.3, la seguente la dicitura: «B) 1989/1993: Svolgimento attività di “Venture capital”». Verrebbe così chiaramente fatto riferimento al termine – prorogato poi al 31 ottobre 1995 – entro il quale la Marche Capital doveva procedere all’assunzione di partecipazioni nel capitale delle PMI marchigiane.

77     La Commissione respinge l’argomento che la ricorrente desume dal fatto che, in occasione della modifica della scheda tecnica nel dicembre 1991, la data finale per la realizzazione dell’azione è stata lasciata immutata e che essa non ha fornito alcuna precisazione su tale data nelle sue note del 14 maggio e del 24 luglio 1991 (v. supra, punto 63).

78     Essa respinge anche la tesi della ricorrente secondo cui la scheda tecnica prevedeva la restituzione del contributo finanziario comunitario solo nel caso in cui la società non fosse divenuta operativa nei due anni successivi al pagamento di tale contributo.

79     La Commissione fa valere poi che «tutti gli altri strumenti negoziali che furono conclusi per dare attuazione al PIM Marche definiscono la loro durata attraverso un rinvio alla durata del PIM». Così, ai sensi dell’art. 1 del contratto di programma, quest’ultimo sarebbe scaduto nel momento in cui la Commissione avesse constatato la chiusura della partecipazione finanziaria della Comunità e, a termini dell’art. 6 della convenzione, la medesima avrebbe avuto durata fino alla scadenza del PIM Marche.

80     La Commissione sostiene, infine, che il fatto di aver eccezionalmente autorizzato, con la sua decisione 20 novembre 1996 (v. supra, punto 42), una nuova proroga al 31 maggio 1997 della data limite per i pagamenti relativi ad alcune delle misure del PIM Marche oggetto di contestazione giudiziaria non fa che confermare l’esistenza di un termine perentorio entro il quale i contributi dovevano essere utilizzati. Essa osserva che tale decisione indica espressamente che «la chiusura dei programmi è stata effettuata il 31 ottobre 1995» e sostiene che, se tale data non fosse stata vincolante, non vi sarebbe stata alcuna necessità di prevedere una proroga.

81     Nello stesso senso, la Commissione osserva che l’esistenza di decisioni di proroga al 31 ottobre 1995 del termine, inizialmente fissato al 31 dicembre 1993, entro cui utilizzare i contributi finanziari comunitari conferma che tali contributi dovevano essere stati utilizzati entro una determinata data.

82     In terzo luogo, per quanto riguarda il vincolo di destinazione, la Commissione sottolinea che il semplice fatto che i fondi comunitari siano stati trasferiti alla Marche Capital entro il 31 ottobre 1995 non può certo significare che i fondi siano stati correttamente utilizzati. Essa ricorda, al riguardo, che il PIM Marche aveva l’obiettivo di finanziare le PMI marchigiane, e sostiene che solo attraverso queste imprese era possibile migliorare le strutture socioeconomiche della Regione.

83     Sullo stesso punto, essa rileva che, secondo il calendario di realizzazione, la società finanziaria doveva essere costituita già nel 1988 e diventare operativa entro due anni dal versamento del contributo comunitario. Se l’unico adempimento imposto alla ricorrente fosse stato quello di trasferire alla Marche Capital i fondi destinati alle PMI, non sarebbe stato necessario prorogare il termine fino all’ottobre del 1995. La ricorrente avrebbe del resto ammesso di aver interamente trasferito tali fondi alla detta società tra il 1991 e il 1992.

84     In quarto luogo, la Commissione sostiene che, contrariamente a quanto asserisce la ricorrente, né la sua decisione 97/322 né i regolamenti nn. 1685/2000 e 1145/2003 dimostrerebbero che il contesto normativo in cui si inseriva il PIM Marche era impreciso e lacunoso. Essa osserva che tale decisione «nulla aggiunge relativamente al rispetto dei vincoli temporali relativi all’utilizzazione dei fondi». Quanto ai detti regolamenti, essi non avrebbero affatto modificato i criteri «relativi all’obbligo di far pervenire i fondi ai destinatari finali (le PMI marchigiane) entro la scadenza del programma». Essa aggiunge che la nuova disciplina si è limitata a consolidare le regole già seguite nella gestione dei programmi precedenti, e che l’obbligo di rispettare gli scadenzari dei programmi ed i vincoli di destinazione dei fondi comunitari, nonché il principio della sana gestione finanziaria, erano già «radicati» al tempo dell’adozione del PIM Marche e costituivano criteri generali cui doveva conformarsi l’esecuzione delle misure.

 Giudizio del Tribunale

85     Dagli atti emerge che, per quanto riguarda in particolare la misura 1.3, il PIM Marche – che inizialmente copriva il periodo intercorrente tra il 1° gennaio 1988 e il 31 dicembre 1993 – scadeva il 31 ottobre 1995. Tale ultima data corrispondeva, secondo la decisione della Commissione 28 luglio 1995 (v. supra, punto 33), alla «data limite per i pagamenti nazionali». Nelle sue memorie, nonché in udienza, la ricorrente ha osservato che essa non metteva affatto in discussione l’esistenza della detta data, anche se lamentava l’asserita mancanza di rigore giuridico delle diverse decisioni di proroga adottate dalla Commissione nella fattispecie.

86     Le parti controvertono invece sulla natura esatta delle operazioni che dovevano essere realizzate entro il 31 ottobre 1995 a titolo dell’azione «Venture Capital». In udienza hanno confermato che tale era la questione centrale che occorreva risolvere nell’ambito del presente motivo di ricorso.

87     A tale proposito, la ricorrente osserva di essere stata tenuta solo a costituire la società finanziaria indicata nella scheda tecnica, vale a dire la Marche Capital, a trasferire a tale società, entro i termini previsti dalla convenzione, le risorse finanziarie di cui trattasi (tra cui il contributo comunitario) e a rendere operativa la detta società. Essa sostiene che nessuna delle disposizioni applicabili nella fattispecie prevedeva che la Marche Capital dovesse inoltre realizzare, entro il 31 ottobre 1995, le attività di investimento previste a favore delle PMI e contesta, di conseguenza, che le spese effettuate a tale titolo dopo quella data siano inammissibili al finanziamento comunitario. Secondo la ricorrente, devono essere in realtà dichiarate ammissibili le spese corrispondenti all’importo globale delle risorse finanziarie messe a disposizione della Marche Capital a titolo dell’azione Venture Capital, vale a dire ITL 15 000 000 000.

88     Secondo la Commissione, invece, erano le attività di investimento a favore delle PMI marchigiane – che la Marche Capital doveva svolgere a titolo dell’azione Venture Capital – a dover essere realizzate entro il 31 ottobre 1995. Le spese relative alle dette attività intervenute successivamente a tale data non sarebbero, di conseguenza, ammissibili.

89     È giocoforza constatare che la fondatezza della tesi della Commissione è confermata sia dagli scopi perseguiti dal PIM Marche, in generale, e dall’azione Venture Capital, in particolare, sia da talune disposizioni del regolamento PIM, della scheda tecnica, del contratto di programma e della convenzione.

90     Occorre infatti ricordare che, ai sensi del regolamento PIM, il PIM Marche si inseriva nell’ambito di un’azione comunitaria avente l’obiettivo di «migliorare le strutture socioeconomiche [delle regioni interessate]» (primo ‘considerando’ e art. 1). A termini di tale regolamento, le azioni previste dai diversi PIM dovevano mirare, in particolare, a «potenziare le piccole e medie imprese industriali o commerciali» (quinto ‘considerando’).

91     Nello stesso senso, la scheda tecnica precisa che, per quanto riguarda l’azione Venture Capital, l’obiettivo principale della società finanziaria, vale a dire la Marche Capital, è di favorire la creazione e la crescita nella Regione Marche di PMI innovatrici. La scheda tecnica precisa, inoltre, che le «imprese beneficiarie dell[a] partecipazione» non devono avere più di cinquecento addetti e che la società finanziaria deve dare la priorità ad investimenti in piccole imprese con meno di cento addetti.

92     Non vi è quindi alcun dubbio che, come sostiene correttamente la Commissione, erano le PMI della Regione Marche, e non la Marche Capital stessa, che dovevano beneficiare dell’azione Venture Capital e che costituivano le destinatarie ultime del contributo finanziario in questione. Dato che l’ammissibilità delle spese va valutata segnatamente con riferimento all’azione interessata, potevano quindi essere dichiarate ammissibili nella fattispecie solo le spese relative agli investimenti effettivamente realizzati dalla Marche Capital a favore delle PMI della Regione Marche.

93     La posizione della ricorrente consistente, sostanzialmente, nel misurare le spese ammissibili in funzione delle risorse finanziarie messe a disposizione della Marche Capital non può, quindi, essere accettata. Va sottolineato, al riguardo, che, nell’ambito dell’azione Venture Capital, quest’ultima società, sebbene avesse il compito di giudicare l’opportunità degli investimenti da realizzare a favore delle PMI e, segnatamente, di valutare se tali investimenti potessero generare profitti sufficienti, rappresentava tuttavia solo una struttura intermedia a partire dalla quale tali investimenti dovevano essere effettuati. Gli obiettivi perseguiti dal PIM Marche e dall’azione Venture Capital non potevano essere raggiunti mediante il semplice trasferimento delle risorse finanziarie in questione a questa società e rendendola operativa.

94     Alla luce delle considerazioni che precedono, è chiaro che il riferimento, nel calendario di realizzazione figurante al punto 1.2.3 della scheda tecnica, allo «Svolgimento attività di ‘Venture capital’» (v. supra, punto 23) può essere inteso solo come un rinvio alle attività di investimento a favore delle PMI della Regione Marche, che dovevano essere realizzate dalla Marche Capital.

95     Se si dovesse interpretare tale riferimento, come lascia intendere la ricorrente, nel senso che esso rinvia unicamente alla prova dell’operatività della Marche Capital e al trasferimento, a quest’ultima, delle risorse finanziarie previste, sarebbe d’altronde difficile capire la ragione per cui le autorità italiane hanno ritenuto necessario sollecitare la proroga, sino al 31 ottobre 1995, del termine ultimo per i pagamenti nazionali. Infatti, secondo quanto asserito dalla stessa ricorrente, la Marche Capital esisteva sin dal 1991 e beneficiava di tutte le risorse finanziarie rientranti nell’azione Venture Capital dal 1992, vale a dire prima del termine, scaduto nel dicembre 1993, previsto dal calendario di realizzazione.

96     L’argomento che la ricorrente trae, in tale contesto, dal fatto che, nelle sue note del 14 maggio e del 24 luglio 1991, la Commissione non ha fornito precisazioni né sul termine ultimo per la realizzazione dell’azione Venture Capital né sulle conseguenze del mancato rispetto di tale termine e che quest’ultimo non è stato cambiato in sede di modifica della scheda tecnica, nel dicembre 1991, nonostante fosse asseritamente divenuto «chiaramente inverosimile» (v. supra, punti 62 e 63), non è decisivo. Infatti, dagli atti non emergono elementi tali da far supporre che, in quel momento, la Commissione disponesse di informazioni sufficientemente precise sullo stato di avanzamento di tale azione e che fosse in grado di prevedere che la medesima, manifestamente, non avrebbe potuto essere terminata entro il 31 dicembre 1993. Inoltre, e in ogni caso, nella sua argomentazione la ricorrente omette di prendere in considerazione il fatto che quest’ultima data è stata oggetto di diverse proroghe dopo il dicembre 1991, a causa, segnatamente, di ritardi intervenuti nell’applicazione dei diversi PIM.

97     Per quanto riguarda, ancora, il calendario di realizzazione figurante nella scheda tecnica, occorre constatare che, contrariamente a quanto lascia intendere la ricorrente, esso prevede espressamente un termine per l’esecuzione delle attività di investimento di cui trattasi. Il riferimento allo «Svolgimento attività di ‘Venture capital’» in tale calendario è infatti preceduto dalla menzione «1989/1993». L’esistenza di un tale termine risulta anche dai punti 1.2.1 e 1.2.2 della scheda tecnica, che prevedono rispettivamente che la «realizzazione» avrà una «durata globale» di sei anni e che i lavori inizieranno nel 1988. Tale termine, che scadeva alla fine del 1993 – successivamente prorogato al 31 ottobre 1995 – corrisponde al termine inizialmente previsto per la fine del PIM Marche (v. il quarto ‘considerando’ della decisione 24 marzo 1988), circostanza che corrisponde alla prassi secondo la quale una misura o un’azione non può, in via di principio, avere una durata di attuazione superiore a quella del programma in cui si colloca.

98     Nello stesso contesto, si deve sottolineare che la tesi sostenuta dalla ricorrente nell’ambito del presente motivo non tiene affatto in considerazione la circostanza che il PIM Marche si inseriva nell’ambito di un’azione comunitaria di «durata limitata» (primo ‘considerando’ del regolamento PIM). L’art. 1 del regolamento PIM prevedeva infatti che i PIM – e quindi le azioni che li componevano – avessero una durata massima di sette anni (v. anche il settimo ‘considerando’ del regolamento PIM).

99     Infatti, se si dovesse seguire il ragionamento della ricorrente, la Marche Capital sarebbe stata legittimata a realizzare le attività di investimento previste senza alcuna limitazione nel tempo e, segnatamente, ben oltre la data del 31 ottobre 1995. Interrogata a tal proposito dal Tribunale in udienza, la ricorrente ha sostenuto che, nel nuovo progetto di convenzione inviato alla Commissione il 24 maggio 1995 (v. supra, punto 32), era previsto che la medesima sarebbe scaduta il 31 dicembre 1999 o alla data precedente in cui fossero state utilizzate del tutto le risorse finanziarie, di un importo totale di ITL 15 000 000 000. Tale argomento non può essere accolto, poiché il detto progetto non è mai stato adottato dato che, secondo quanto asserito dalla stessa ricorrente, non si era potuto trovare un accordo con la Commissione su tale testo.

100   È vero che gli investimenti che la Marche Capital era tenuta a realizzare dovevano soddisfare taluni requisiti previsti dalla scheda tecnica (v. supra, punto 19). Era dunque possibile, come rilevato correttamente dalla ricorrente, che tale società non trovasse, entro il 31 ottobre 1995, possibilità di investimento sufficienti per esaurire le risorse finanziarie messe a sua disposizione. Tale constatazione non può tuttavia inficiare la fondatezza della tesi della Commissione. Infatti, come quest’ultima ha sottolineato nelle sue memorie, l’unica conseguenza di tale situazione è che, come nella fattispecie, le risorse non utilizzate alla data di cui trattasi non possono essere prese in considerazione come spese ammissibili e, di conseguenza, non possono essere incluse nel calcolo finale dell’importo del contributo finanziario comunitario. Non si può, in particolare, dedurre da tale situazione l’esistenza di una irregolarità ai sensi dell’art. 17 del regolamento PIM, tale da giustificare la soppressione o la riduzione del contributo finanziario comunitario.

101   La tesi sostenuta dalla ricorrente è parimenti inconciliabile con il fatto che la durata sia del contratto di programma (art. 1 del contratto di programma) sia della convenzione (art. 6 della convenzione) era collegata a quella del PIM Marche. È infatti difficile capire come si sarebbe potuto condurre a termine l’azione Venture Capital dopo che tali due strumenti giuridici essenziali hanno cessato di essere in vigore, vale a dire dopo il 31 ottobre 1995.

102   L’interpretazione data dalla ricorrente, in tale contesto, del secondo lembo della frase che costituisce l’art. 6 della convenzione non può essere accettata. Infatti, tale proposta si riferisce manifestamente alle risorse finanziarie che fossero state ancora eventualmente a disposizione della Marche Capital alla data di chiusura del PIM Marche. In altri termini, la detta proposta presuppone che il PIM Marche non sia più in vigore ed esclude, di conseguenza, che le dette risorse abbiano potuto continuare ad essere utilizzate nell’ambito del medesimo PIM.

103   Infine, per quanto riguarda l’affermazione della ricorrente secondo cui il contesto normativo che disciplinava le condizioni di concessione del contributo finanziario comunitario in questione era impreciso e lacunoso, essa è contraddetta dalle considerazioni che precedono, le quali dimostrano che emergeva sufficientemente dalle disposizioni regolamentari e convenzionali applicabili alla fattispecie che potevano essere dichiarate ammissibili solo le spese relative alle attività di investimento realizzate dalla Marche Capital entro il 31 ottobre 1995. La ricorrente non può quindi utilmente invocare la circostanza che la Commissione, in una decisione o in un regolamento adottati molto tempo dopo la chiusura del PIM Marche, abbia ritenuto utile effettuare talune precisazioni quanto alle regole di ammissibilità delle spese nell’ambito dei fondi strutturali. Per lo stesso motivo, il riferimento della ricorrente alla convenzione relativa al Seed Financing del 30 maggio 1995 non è affatto decisivo. Va sottolineato, inoltre, che, quanto alla questione sottoposta al Tribunale nell’ambito del presente motivo, la nuova normativa citata dalla ricorrente si limita a riprodurre le regole e i principi applicabili all’epoca dei fatti.

104   Ne consegue che il primo motivo deve essere respinto in quanto infondato.

 Sul secondo motivo, vertente sulla violazione dei principi di tutela del legittimo affidamento e di buona amministrazione

 Argomenti delle parti

105   La ricorrente sostiene che la Commissione, adottando la decisione impugnata, ha violato il principio di tutela del legittimo affidamento.

106   Essa ricorda che, secondo una giurisprudenza consolidata, può esigere la tutela del legittimo affidamento qualsiasi operatore economico al quale un’istituzione abbia dato aspettative fondate (sentenze del Tribunale 14 luglio 1997, causa T-81/95, Interhotel/Commissione, Racc. pag. II‑1265, punto 45; 29 settembre 1999, causa T-126/97, Sonasa/Commissione, Racc. pag. II‑2793, punto 33, e 7 novembre 2002, cause riunite T-141/99, T-142/99, T‑150/99 e T‑151/99, Vela e Tecnagrind/Commissione, Racc. pag. II‑4547, punto 387).

107   Nella fattispecie, la Commissione le avrebbe ingenerato aspettative fondate circa la possibilità di fruire dell’intero contribuito in questione e circa il fatto che le spese ammissibili per l’azione Venture Capital avrebbero corrisposto al costo dell’investimento come inizialmente previsto.

108   Al riguardo, la ricorrente rileva che «la scheda tecnica (…) prevedeva, con riguardo alle modalità di trasferimento dell’intero contributo PIM ad opera della [ricorrente], che ciò dovesse avvenire in due tranches a seguito del versamento di un pari importo di capitale sociale», ma che la convenzione non conteneva, invece, alcuna indicazione relativa al termine entro cui i fondi trasferiti alla Marche Capital a titolo del PIM Marche dovevano essere impiegati. La convenzione avrebbe previsto l’obbligo di restituire il contributo finanziario comunitario solo nel caso in cui tale società non fosse divenuta operativa entro un termine di due anni a decorrere dal pagamento di tale contributo.

109   La ricorrente sottolinea che sia la scheda tecnica sia la convenzione sono state «suggerite» dalla Commissione e sono state «negoziate» con questa. Essa aggiunge che la Commissione, durante il periodo di realizzazione dell’azione Venture Capital, non ha mai contestato le «modalità di attuazione dell’intervento».

110   La ricorrente considera che la Commissione non può richiamarsi al punto 179 della sentenza del Tribunale 3 aprile 2003, cause riunite T‑44/01, T‑119/01 e T‑126/01, Vieira e a./Commissione (Racc. pag. II‑1209). Nella fattispecie, infatti, il comportamento della Commissione che ha ingenerato nella ricorrente aspettative fondate non consisterebbe, come nel caso che ha dato luogo a tale sentenza, nel non aver perseguito irregolarità precedenti bensì nell’aver implicitamente avallato la sua interpretazione delle norme applicabili, «obiettivamente imprecise».

111   Non sarebbe pertinente l’argomento secondo cui la Commissione non avrebbe potuto assicurare che la ricorrente avrebbe beneficiato della totalità del contributo finanziario comunitario in questione perché ciò sarebbe stato contrario alle disposizioni del regolamento PIM e alla decisione 24 marzo 1988. Secondo la ricorrente, infatti, la circostanza che sia stato specificamente stabilito un termine per la realizzazione del PIM Marche non costituirebbe un motivo valido per negare, da una parte, che le disposizioni normative e negoziali che disciplinavano la misura 1.3 non davano alcuna precisazione su cosa dovesse intendersi per «spesa ammissibile», né sul termine entro il quale la Marche Capital doveva utilizzare i fondi che le erano stati trasferiti e, dall’altra, che il comportamento della Commissione ha contribuito in maniera determinante a fondare un legittimo affidamento in merito al fatto che tali fondi costituivano spese ammissibili, con la sola riserva che venisse soddisfatto il requisito relativo all’operatività della Marche Capital. Essa ribadisce, peraltro, che tale società ha pienamente e correttamente utilizzato i fondi comunitari in questione, anche dopo la data di scadenza del PIM Marche e della convenzione.

112   Infine, la ricorrente ribadisce che né essa né la Marche Capital hanno mai violato la normativa in vigore (sentenza Sonasa/Commissione, cit., punti 33 e 34).

113   Nell’ambito di tale secondo motivo, la ricorrente sostiene inoltre che la Commissione ha violato il principio di buona amministrazione.

114   Essa censura il fatto che la decisione definitiva di chiusura del PIM Marche sia stata adottata solo quasi otto anni dopo la scadenza dello stesso e che, in questo lasso di tempo, i servizi della Commissione abbiano «accumulato lunghi periodi di inattività, tra cui addirittura uno protrattosi per quasi quattro anni». Secondo la ricorrente, dal 1995, i detti servizi avrebbero dovuto poter «delineare» un problema relativamente all’attività svolta dalla Marche Capital e, conseguentemente, all’ammissibilità delle spese realizzate nell’ambito dell’azione Venture Capital. Orbene, invece di segnalarle questo problema, essi avrebbero adottato un comportamento che ha rafforzato la sua convinzione che essa e la Marche Capital avevano adempiuto tutti gli obblighi richiesti per quanto riguarda l’attuazione di tale azione.

115   A sostegno di tali affermazioni, la ricorrente fa valere diversi elementi. La lettera del 24 maggio 1995 del presidente del comitato amministrativo (v. supra, punto 32) aveva manifestamente lo scopo, a suo avviso, di trovare un accordo con la Commissione sulle modalità di impiego delle risorse finanziarie non spese dalla Marche Capital alla scadenza del PIM Marche, «affinché fossero utilizzate nel territorio regionale con gli stessi dettami della Convenzione in scadenza». In altri termini, la sola preoccupazione della ricorrente sarebbe stata quella di garantire, previo consenso della Commissione, una «corretta prosecuzione» delle attività della Marche Capital al fine di raggiungere pienamente gli obiettivi dell’azione Venture Capital. In risposta a questa lettera, la Commissione si sarebbe limitata, con lettera del 31 ottobre 1995 (v. supra, punto 34), a chiedere alla ricorrente di farle giungere lo stato di attuazione della misura 1.3 alla data del 31 ottobre 1995, «rinviando ogni valutazione sulla “richiesta di disciplina dell’intervento alla fine del PIM”». Dalla lettera della Commissione del 24 aprile 1996 (v. supra, punti 37‑39) emergerebbe chiaramente che la medesima non escludeva affatto la possibilità di continuare ad utilizzare, dopo la scadenza del PIM Marche, i fondi non spesi dalla Marche Capital. L’interpretazione data dalla Commissione a tale lettera (v. infra, punto 126) non potrebbe essere accettata poiché i PIM adottati in base al regolamento PIM erano stati concepiti come interventi «una tantum» ed era quindi impossibile che il PIM Marche potesse essere seguito da un nuovo programma ad hoc, avente il medesimo fondamento giuridico. Solo nella lettera del 10 ottobre 1996 (v. supra, punto 41) la Commissione avrebbe manifestato, per la prima volta, la sua intenzione di dedurre dal saldo finale le risorse finanziarie non utilizzate alla scadenza del PIM Marche, «non precisando tuttavia che non riteneva spese ammissibili i conferimenti effettuati dalla ricorrente cinque anni prima in favore della Marche Capital». Questa lettera avrebbe lasciato sussistere dubbi quanto alla posizione della Commissione: da una parte, autorizzando il trasferimento di talune risorse del fondo dell’azione Seed Financing al fondo dell’azione Venture Capital, essa avrebbe presupposto il proseguimento di quest’ultima azione; dall’altra, essa non avrebbe chiarito il concetto di «risorse non utilizzate». Contrariamente a quanto sostiene la Commissione (v. infra, punto 127), non esisterebbe un fondo «capitale di rischio», diverso dai fondi collegati alle azioni Venture Capital e Seed Financing, sopravvissuto a tali azioni e che sarebbe stato alimentato da risorse provenienti da questi due ultimi fondi. Dopo aver ricevuto la lettera della ricorrente del 12 gennaio 1998 (v. supra, punto 43), la Commissione avrebbe aspettato quasi quattro anni prima di presentare, con lettera del 22 novembre 2001 (v. supra, punto 44), una prima proposta di chiusura del PIM Marche, quando, per tutto questo periodo, la Marche Capital aveva continuato la sua attività; parimenti, la Commissione avrebbe aspettato quasi nove mesi prima di rispondere alla controproposta di chiusura del PIM Marche formulata dalla ricorrente nella sua lettera del 21 gennaio 2002.

116   La ricorrente ritiene che nulla giustificasse l’inattività della Commissione, poiché quest’ultima disponeva di tutte le informazioni necessarie per procedere alla chiusura definitiva del PIM Marche, essa aveva costantemente collaborato con i servizi della Commissione, le modalità di utilizzo dei fondi comunitari non erano state modificate e non era stata constatata alcuna irregolarità nell’attuazione del progetto. Tale inattività costituirebbe una violazione dell’obbligo di agire entro un termine ragionevole, il quale rientrerebbe nel «dovere generale di diligenza e buona amministrazione», e avrebbe contribuito a rafforzare il legittimo affidamento della ricorrente.

117   Nella sua replica, la ricorrente rileva che la Commissione non fornisce alcuna «valida spiegazione» a sostegno della sua tesi secondo cui essa non può essere ritenuta responsabile della «lentezza nella chiusura delle spese ammissibili». A tal riguardo, essa osserva, da una parte, che la Commissione non fornisce la minima spiegazione sulle ragioni della sua inattività prolungata durante il periodo compreso tra il gennaio 1998 e il novembre 2002. Dall’altra, essa afferma di non capire come il blocco, per motivi di carattere giudiziario, di taluni progetti del PIM Marche – progetti che non avevano nulla a che vedere con la misura 1.3 – avrebbe potuto ritardare la chiusura di quest’ultima misura. In ogni caso, questa circostanza non potrebbe giustificare l’inattività della Commissione dal 1996 al novembre 2002. Infine, essa sostiene che la tesi della Commissione secondo cui gli scambi epistolari intervenuti durante gli anni 1995 e 1996 avrebbero, in particolare, avuto per oggetto la negoziazione di un nuovo testo di convenzione nazionale sul Seed Financing non solo non è provata, ma è, in più, «palesemente assurda visto che non si comprende quali [avrebbero] potuti essere la ratio e lo scopo di una convenzione a carattere nazionale tra la [ricorrente] e Marche Capital».

118   La Commissione contesta di aver violato il principio di tutela del legittimo affidamento.

119   Essa ricorda che, secondo la giurisprudenza, «nessuno può invocare una violazione del legittimo affidamento in mancanza di assicurazioni precise fornitegli dall’amministrazione» (sentenza del Tribunale 17 dicembre 1992, causa T‑20/91, Holtbecker/Commissione, Racc. pag. II‑2599, punto 53). Nella fattispecie, dalla corrispondenza scambiata tra la ricorrente e la Commissione emergerebbe chiaramente che quest’ultima non ha mai dato alla ricorrente assicurazioni precise sul fatto che essa avrebbe potuto trattenere i fondi del PIM Marche che risultavano inutilizzati al 31 ottobre 1995, né ha avuto comportamenti che potessero «ingenerare questa convinzione». La ricorrente non citerebbe peraltro una sola circostanza in cui i servizi della Commissione le avrebbero dato siffatte assicurazioni.

120   La Commissione aggiunge che essa non avrebbe in ogni caso potuto fornire tali assicurazioni poiché queste non sarebbero state conformi alle disposizioni del regolamento PIM e alla decisione 24 marzo 1998, che prevedono espressamente una data di scadenza per il PIM Marche e un obbligo di destinare i fondi comunitari ad investimenti nelle PMI della Regione Marche. A sostegno di tale argomento, essa fa valere il punto 179 della citata sentenza Vieira e a./Commissione.

121   Peraltro, la Commissione sottolinea che la convenzione rinvia espressamente alle disposizioni in vigore e, più in particolare, all’obbligo, per la Marche Capital, di rispettare tutte le condizioni e disposizioni elencate nella scheda tecnica. Essa ricorda che quest’ultima prevedeva date precise per la realizzazione degli investimenti e indicava come beneficiarie le PMI marchigiane. La ricorrente non potrebbe quindi basare il suo legittimo affidamento riguardo alla possibilità di trattenere i fondi rimasti inutilizzati alla data di chiusura del PIM Marche né su tali documenti né sul fatto che la Commissione abbia avallato gli stessi.

122   La Commissione nega anche di aver violato il principio di buona amministrazione.

123   A tale proposito, essa sottolinea, innanzi tutto, di aver già indicato alla ricorrente, nella lettera del 31 ottobre 1995, che questa stessa data costituiva il termine ultimo «per l’eligibilità delle spese a titolo del PIM», confermando così «quanto già disposto da tutti gli strumenti normativi e negoziali che costituivano la base giuridica del PIM Marche». Essa sostiene di non essersi mai discostata dalla posizione espressa in tale lettera.

124   La Commissione afferma poi di non poter essere ritenuta responsabile della «lentezza nella chiusura delle spese ammissibili». La corrispondenza da essa scambiata con la ricorrente avrebbe avuto lo scopo di raccogliere tutta la documentazione necessaria concernente le spese effettuate nell’ambito delle due azioni della misura 1.3, di precisare taluni punti in merito all’ammissibilità delle spese relative all’azione Seed Financing e alla «destinazione dei proventi di tesoreria imputabili al fondo», di negoziare il testo di una nuova convenzione nazionale per l’azione Seed Financing e di verificare le operazioni contabili di chiusura del PIM Marche. Essa aggiunge che vi è stata un’inchiesta della Guardia di Finanza nel luglio del 1995 circa l’impiego delle risorse della misura 1.3 che ha «bloccato per un certo tempo le operazioni di rendicontazione» e che taluni progetti sono stati bloccati per motivi di carattere giudiziario.

125   In tale contesto, la Commissione fa valere che, anche se si dovesse ritenere che la chiusura dei conti sia stata relativamente lenta, ciò non potrebbe comportare l’annullamento della decisione impugnata. Essa osserva che, secondo la giurisprudenza, infatti, la violazione del principio del rispetto del termine ragionevole non giustifica un annullamento automatico della decisione impugnata (sentenza del Tribunale 20 aprile 1999, cause riunite da T-305/94 a T‑307/94, da T‑313/994 a T-316/94, T-318/94, T-325/94, T-328/94, T-329/94 e T‑335/94, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, Racc. pag II‑931, punto 122).

126   Infine, la Commissione censura l’interpretazione che la ricorrente effettua delle sue lettere del 31 ottobre 1995, del 24 aprile 1996 e del 10 ottobre 1996. Nelle prime due lettere, essa avrebbe semplicemente spiegato di essere disposta a procedere, con le autorità nazionali interessate, ad una valutazione dei risultati di questo primo PIM Marche, «alla luce dei dati concreti di attuazione raccolti», per determinare se essi giustificassero l’elaborazione di un nuovo programma di intervento per la Regione Marche. Essa precisa di non aver mirato, in tal modo, al proseguimento del PIM Marche o ad un nuovo PIM, bensì ad «un nuovo e diverso programma, con strumenti e misure propri, con cui effettuare nuovi interventi nella struttura socioeconomica della regione interessata».

127   Quanto alla sua lettera del 10 ottobre 1996, la Commissione sostiene che, nella stessa, essa ha solo autorizzato il trasferimento delle risorse dell’azione Seed Financing rese liquide a seguito di dismissioni, dividendi, ecc. al «Fondo di Capitale di rischio», il quale sarebbe sopravvissuto sia al PIM Marche sia all’azione Venture Capital. Essa ribadisce di aver osservato, in tale lettera, che «le risorse non utilizzate alla fine del PIM (…), dopo essere state calcolate, verranno detratte dal saldo finale che sarà versato alla Regione a titolo del PIM».

 Giudizio del Tribunale

128   Nell’ambito del suo secondo motivo, la ricorrente sostiene, innanzi tutto, che la Commissione ha ingenerato in capo ad essa una fondata aspettativa nel fatto che le sarebbe stato versato l’intero contributo finanziario comunitario in questione.

129   A tale riguardo occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, il diritto di invocare la tutela del legittimo affidamento, che rappresenta uno dei principi fondamentali della Comunità, si estende a chiunque si trovi in una situazione dalla quale risulti che l’amministrazione comunitaria, avendogli fornito assicurazioni precise, ha suscitato in lui aspettative fondate (v. sentenza del Tribunale 19 marzo 2003, causa T‑273/01, Innova Privat-Akademie/Commissione, Racc. pag. II‑1093, punto 26, e giurisprudenza ivi citata).

130   Nella fattispecie, non risulta affatto dagli elementi del fascicolo, in particolare da quelli invocati dalla ricorrente, che la Commissione abbia fornito a quest’ultima una qualsiasi assicurazione sul fatto che essa avrebbe beneficiato della totalità del contributo finanziario comunitario di cui trattasi.

131   A tale proposito occorre ricordare in primo luogo che, come è stato constatato nell’ambito dell’esame del primo motivo, emergeva sufficientemente dagli obiettivi del PIM Marche e dalle disposizioni normative e negoziali applicabili alla fattispecie che potevano essere dichiarate ammissibili solo le spese relative alle attività di investimento realizzate dalla Marche Capital a favore delle PMI della Regione Marche entro il 31 ottobre 1995. È stato in particolare accertato che non era fondata la tesi della ricorrente secondo cui, per beneficiare della totalità del contributo finanziario comunitario in questione, essa doveva solo costituire la Marche Capital, trasferire a tale società le risorse finanziarie previste e rendere operativa la detta società.

132   È giocoforza constatare che la ricorrente non fornisce alcun elemento convincente idoneo a dimostrare che la Commissione avrebbe tenuto un comportamento tale da poter essere interpretato nel senso che essa condivideva la tesi così sostenuta dalla ricorrente.

133   Essa si limita, in sostanza, a sostenere che la scheda tecnica e la convenzione sono state avallate dalla Commissione. Orbene, tale argomento non è pertinente – e addirittura contraddice la tesi della ricorrente – poiché risulta proprio dalla scheda tecnica – a cui rinviava espressamente la convenzione al suo art. 2 (v. supra, punto 29) – che erano le attività di investimento a favore delle PMI della Regione Marche a dover essere realizzate dalla Marche Capital entro il 31 ottobre 1995 (v. supra, punti 94‑97).

134   Quanto alla tesi della ricorrente secondo cui la Commissione, durante il periodo di realizzazione dell’azione Venture Capital, non ha mai contestato le «modalità di attuazione dell’intervento» (v. supra punto 109), neanch’essa può essere accolta. Infatti, dagli atti non risulta alcun elemento che consenta di supporre che la Commissione fosse a conoscenza, nel periodo menzionato, della tesi sostenuta dalla ricorrente nella fattispecie. In realtà, come emerge dalla lettera della Commissione del 24 aprile 1996, quest’ultima presumeva che fosse a causa di «difficoltà impreviste di realizzazione dell’intervento» che il «ritmo di utilizzo delle risorse pubbliche» non aveva potuto essere rispettato dalla Marche Capital. A tale riguardo dev’essere rammentato (v. supra, punto 100) che era ben possibile, considerati i requisiti che gli investimenti previsti dovevano soddisfare, che questa società non individuasse possibilità d’investimento sufficienti per esaurire le risorse finanziarie messe a sua disposizione a titolo dell’azione Venture Capital. In ogni caso, anche se la Commissione fosse stata pienamente conscia, durante il periodo di realizzazione di tale azione, dell’erronea interpretazione, da parte della ricorrente, delle norme applicabili, il silenzio che essa avrebbe osservato a tal proposito non può essere considerato un’assicurazione precisa fornita dall’amministrazione idonea a creare una situazione di legittimo affidamento.

135   Parimenti, è inconferente l’osservazione della ricorrente secondo cui né essa né la Marche Capital hanno violato la normativa applicabile. Infatti, la Commissione non ha mai formulato una tale censura nei loro confronti, in quanto la decisione impugnata era motivata unicamente dal fatto che non potevano essere dichiarate ammissibili le spese che si riferivano alle attività di investimento realizzate dalla Marche Capital a favore delle PMI della Regione Marche dopo il 31 ottobre 1995 nell’ambito dell’azione Venture Capital.

136   In secondo luogo, occorre constatare che la Commissione non ha fatto alcuna promessa o dichiarazione alla ricorrente idonea a farle credere che l’azione Venture Capital sarebbe continuata oltre il termine del 31 ottobre 1995, come quest’ultima lascia intendere nell’ambito del suo argomento relativo all’asserita violazione del principio di buona amministrazione.

137   Così, il 31 ottobre 1995 la Commissione ha risposto alla lettera del presidente del comitato amministrativo del 24 maggio 1995, in cui, conformemente all’art. 6 della convenzione, quest’ultimo sollecitava il suo parere in merito alle modalità di gestione delle risorse finanziarie relative all’azione Venture Capital non utilizzate o impegnate alla scadenza del PIM Marche (v. supra, punti 32 e 34). Nella sua lettera la Commissione ha espressamente sottolineato che la data del 31 ottobre 1995 costituiva il «termine ultimo per l’eligibilità delle spese a titolo del PIM».

138   È vero che, in questa lettera del 31 ottobre 1995, la Commissione invitava anche il presidente del comitato amministrativo a trasmetterle uno «stato di attuazione» della misura 1.3 al 31 ottobre 1995, osservando che tale documento doveva consentire ai suoi servizi di pronunciarsi sulla «richiesta di disciplina dell’intervento alla fine del PIM». È vero anche che, nella sua lettera del 24 aprile 1996, conseguente all’invio del detto stato di attuazione, la Commissione osservava che, «[a]l fine di permettere alla Commissione e alla [ricorrente] di valutare l’opportunità di continuare l’azione dopo la fine del PIM e a quali condizioni, [appariva] necessario che Marche Capital [fornisse] la situazione finanziaria e contabile del Fondo alla data del 31 ottobre 1995» (v. supra, punti 37‑39).

139   Non si può tuttavia dedurne che la Commissione riteneva che l’azione Venture Capital sarebbe continuata. In realtà, come è stato spiegato dalla Commissione nelle sue memorie e in udienza, tali elementi fanno trasparire semplicemente la disponibilità di quest’ultima a prendere in considerazione, in seguito ad un esame dei risultati concreti del PIM Marche e di concerto con le autorità italiane interessate, l’opportunità di realizzare nuove azioni a favore della Regione Marche. Le azioni in questione sarebbero state indipendenti dal PIM Marche, il quale era terminato il 31 ottobre 1995.

140   Tale constatazione non è affatto contraddetta dalle indicazioni contenute nella lettera della Commissione del 10 ottobre 1996 (v. supra, punto 41). In tale lettera, la Commissione prendeva infatti in considerazione due categorie diverse di risorse, vale a dire, da una parte, le risorse finanziarie non utilizzate a titolo delle azioni Venture Capital e Seed Financing alla data di scadenza del PIM Marche – il 31 ottobre 1995 – e, dall’altra, le «risorse derivanti da dismissioni, plusvalenze, interessi, ecc.» afferenti alle risorse finanziarie utilizzate a titolo di tali azioni alla data menzionata. Quanto alla prima categoria di risorse – la sola rilevante nella fattispecie –, la Commissione osservava espressamente che le risorse finanziarie in questione, dopo essere state calcolate, dovevano essere detratte dal saldo finale che sarebbe stato versato alla ricorrente a titolo del PIM Marche. La Commissione confermava così inequivocabilmente che le spese relative alle attività d’investimento realizzate dalla Marche Capital a titolo dell’azione Venture Capital dopo la data di chiusura del PIM Marche non potevano essere prese in considerazione ai fini del contributo finanziario comunitario in questione. Per quanto riguarda le risorse rientranti nella seconda categoria, la Commissione accettava il loro trasferimento al fondo che era stato creato nell’ambito dell’azione Venture Capital e il loro utilizzo ai fini e secondo le modalità previste per tale fondo, il quale era sopravvissuto al PIM Marche e continuava a funzionare autonomamente rispetto a questo.

141   Nell’ambito del suo secondo motivo, la ricorrente invoca altresì una violazione del principio di buona amministrazione, nel senso che la Commissione non avrebbe agito entro un termine ragionevole, dato che tra la chiusura del PIM Marche e l’adozione della decisione impugnata sarebbero trascorsi poco più di sette anni.

142   A tale proposito occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, la ragionevolezza della durata del procedimento amministrativo si valuta sulla scorta delle circostanze specifiche di ciascuna pratica e, in particolare, del contesto della stessa, delle varie fasi procedurali espletate, della complessità della pratica, nonché degli interessi delle parti nella contesa (v. sentenza del Tribunale 15 settembre 1998, cause riunite T‑180/96 e T‑181/96, Mediocurso/Commissione, Racc. pag. II‑3477, punto 61, e giurisprudenza ivi citata). Tuttavia, la violazione del principio dell’osservanza del termine ragionevole, ammettendo che sia provata, non giustifica un annullamento automatico della decisione impugnata (sentenza del Tribunale 30 settembre 2003, causa T‑196/01, Aristoteleio Panepistimio Thessalonikis/Commissione, Racc. pag. II‑3987, punto 233; v. anche, in tal senso, sentenza del Tribunale Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, cit., punto 122).

143   Nella fattispecie, il procedimento amministrativo appare essersi protratto piuttosto a lungo. Occorre tuttavia relativizzare tale constatazione. Così, va innanzi tutto rilevato che solo il 22 aprile 1996 le autorità italiane hanno presentato alla Commissione la domanda di pagamento del saldo del contributo FESR n. 88.05.81.016 e che hanno sostituito la medesima con una nuova domanda il 24 luglio 1997. In secondo luogo, occorre constatare che, tra il 24 maggio 1995 e il 10 ottobre 1996, vi sono stati diversi scambi epistolari tra la Commissione, da una parte, ed il presidente del comitato amministrativo e la ricorrente, dall’altra. Da tali scambi risulta che, durante tale periodo, la Commissione ha dovuto esaminare, segnatamente, tutta la documentazione riguardante le spese sostenute nell’ambito delle azioni Venture Capital e Seed Financing fornita dalle autorità italiane e dalla ricorrente, verificare le operazioni contabili di chiusura del PIM Marche, pronunciarsi sulla questione delle risorse finanziarie non utilizzate a titolo delle azioni soprammenzionate alla data di scadenza del PIM Marche e dei profitti relativi alle risorse finanziarie utilizzate a tale medesima data, nonché esaminare il nuovo progetto di convenzione relativa all’azione Venture Capital. In terzo luogo, va rilevato che solo il 12 gennaio 1998 la ricorrente ha reagito alla lettera della Commissione del 10 ottobre 1996. Il ritardo della Commissione nel trattare il presente caso deve quindi in parte essere imputato alla ricorrente stessa. In quarto luogo, non è esatto sostenere che, tra il 12 gennaio 1998 e il 22 novembre 2001, data della prima proposta di chiusura del contributo FESR n. 88.05.81.016, la Commissione sia rimasta inerte e del tutto in silenzio nei confronti della ricorrente. In risposta ad un quesito scritto del Tribunale, la Commissione ha infatti prodotto un fax del 20 settembre 2000 in cui invitava la ricorrente a comunicarle talune informazioni aggiuntive per poter procedere alla chiusura del contributo. Dalla proposta di chiusura del PIM Marche del 22 novembre 2001 emerge che tali informazioni sono state trasmesse alla Commissione con nota del 19 dicembre 2000. In quinto luogo, sebbene sia vero che la Commissione ha aspettato poco più di sette mesi prima di rispondere alla controproposta di chiusura del PIM Marche formulata dalla ricorrente nella sua lettera del 21 gennaio 2002, tale lasso di tempo non è eccessivo sino al punto da comportare l’illegittimità della decisione impugnata. Alla luce delle considerazioni che precedono, non può essere accolta la censura relativa alla violazione del principio di buona amministrazione.

144   Ne consegue che il motivo vertente sulla violazione dei principi di tutela del legittimo affidamento e di buona amministrazione deve essere respinto in quanto infondato.

 Sul terzo motivo, vertente sulla carenza di motivazione

 Argomenti delle parti

145   La ricorrente sostiene che la decisione impugnata è viziata da carenza di motivazione in quanto, da una parte, essa non indica in modo chiaro e non equivoco i motivi su cui si basa il rifiuto della Commissione di versare l’integralità del saldo relativo all’azione Venture Capital e, dall’altra, essa non precisa la norma giuridica su cui si fonda.

146   Essa ricorda, in tale contesto, che, secondo la giurisprudenza, alla luce del fatto che la decisione con cui viene ridotto l’importo di un contributo finanziario comunitario determina conseguenze gravi per il beneficiario, la motivazione di questa decisione deve far risultare chiaramente i motivi che giustificano la riduzione del contributo rispetto all’importo inizialmente approvato (sentenza della Corte 4 giugno 1992, causa C-189/90, Cipeke/Commissione, Racc. pag. 3573, punti 15-18; sentenze del Tribunale 6 dicembre 1994, causa T‑450/93, Lisrestal e a./Commissione, Racc. pag. II-1177, punto 52, e 12 gennaio 1995, causa T-85/94, Branco/Commissione, Racc. pag. II-45, punto 33).

147   Peraltro, la ricorrente sostiene che non è pertinente il rinvio, effettuato nella decisione impugnata, alla lettera della Commissione del 6 settembre 2002.

148   La Commissione considera che la decisione impugnata è sufficientemente motivata. Essa afferma che quest’ultima espone «in forma articolata e completa» il quadro normativo su cui si basa il provvedimento di chiusura del PIM Marche, e che la medesima cita espressamente la convenzione, la scheda tecnica e lo scadenzario di realizzazione della misura 1.3. Essa aggiunge di aver ribadito ancora, successivamente, la valenza da attribuire, ai fini dell’ammissibilità degli investimenti, alla data del 31 ottobre 1995. Infine, essa sostiene che tutti questi elementi erano già stati esposti nella sua lettera del 6 settembre 2002 e ricorda che, secondo la giurisprudenza, la portata dell’obbligo di motivazione si valuta in relazione al suo contesto (sentenza del Tribunale 24 aprile 1996, cause riunite T‑551/93 e da T‑231/94 a T‑234/94, Industrias Pesqueras Campos SA e a./Commissione, Racc. pag. II-247, punto 140).

 Giudizio del Tribunale

149   Secondo una giurisprudenza costante, la motivazione prescritta dall’art. 253 CE deve fare apparire, in forma chiara e non equivoca, l’iter logico seguito dall’autorità comunitaria da cui promana l’atto impugnato, onde consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato per difendere i propri diritti e al giudice comunitario di esercitare il proprio controllo (sentenza della Corte 14 febbraio 1990, causa C‑350/88, Delacre e a./Commissione, Racc. pag. I‑395, punto 15, e sentenza del Tribunale 6 marzo 2003, cause riunite T‑61/00 e T‑62/00, APOL e AIPO/Commissione, Racc. pag. II‑635, punto 131). Occorre anche ricordare che la motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti, in quanto l’accertamento del fatto che la motivazione di un atto soddisfi oppure no i requisiti di cui all’art. 253 CE dev’essere effettuato alla luce non solo del suo tenore, ma anche del suo contesto e del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia (sentenza della Corte 2 aprile 1998, causa C‑367/95 P, Commissione/Sytraval e Brink’s France, Racc. pag. I‑1719, punto 63, e sentenza APOL e AIPO/Commissione, cit., punto 131).

150   Nella fattispecie, la decisione impugnata fa apparire chiaramente i motivi del rifiuto della Commissione di versare l’integralità del saldo relativo all’azione Venture Capital. Essa indica infatti che le spese relative alle attività di investimento non realizzate dalla Marche Capital prima della data di chiusura del PIM Marche, vale a dire il 31 ottobre 1995, sono inammissibili. A tale riguardo essa rinvia alla convenzione, alla scheda tecnica e, più in particolare, al calendario di realizzazione contenuto in quest’ultima.

151   Occorre aggiungere che la decisione impugnata fa espresso riferimento alla lettera della Commissione del 6 settembre 2002 (v. supra, punti 46 e 47). Orbene, in quest’ultima lettera, la Commissione aveva già spiegato, rinviando alla convenzione e alla scheda tecnica, che potevano essere dichiarate ammissibili solo le spese che si riferivano ai fondi utilizzati dalla Marche Capital prima della scadenza del PIM Marche.

152   Infine, si deve rilevare che dagli argomenti sviluppati dalla ricorrente nell’ambito dei suoi due primi motivi risulta che quest’ultima ha ben compreso il ragionamento che ha portato la Commissione ad adottare la decisione impugnata. Così, ad esempio, nel suo ricorso essa osserva che «[l]a decisione impugnata sembra fondarsi in sostanza sulla considerazione che [la Marche Capital] non avrebbe provveduto ad investire integralmente le somme versatele dalla [ricorrente] a titolo di intervento PIM entro il termine di attuazione del programma fissato al 31 ottobre 1995», e che «[l]a Commissione ha infatti contestato alla odierna ricorrente il mancato rispetto (da parte della Marche Capital) delle diverse fasi del calendario di realizzazione dell’operazione previsto dalla richiamata scheda tecnica». Nel suo ricorso, la ricorrente ha altresì sollevato, a sostegno del suo primo motivo, diversi argomenti relativi all’asserita erroneità dell’interpretazione effettuata dalla Commissione dei termini della scheda tecnica e della convenzione.

153   Da quanto precede risulta che la decisione impugnata è sufficientemente motivata ai sensi dell’art. 253 CE, per cui il terzo motivo dev’essere respinto.

154   Di conseguenza, il ricorso dev’essere integralmente respinto.

 Sulle spese

155   Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la ricorrente, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Prima Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La ricorrente sopporterà le proprie spese e quelle sostenute dalla Commissione.

Cooke

García-Valdecasas

Trstenjak

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 18 gennaio 2006.

Il cancelliere

 

      Il presidente

E. Coulon

 

      R. García-Valdecasas


* Lingua processuale: l'italiano.