Language of document : ECLI:EU:C:2013:837

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

ELEANOR SHARPSTON

presentate il 12 dicembre 2013 (1)

Causa C‑456/12

O.

contro

Minister voor Immigratie, Integratie en Asiel,

e

Minister voor Immigratie, Integratie en Asiel

contro

B.

Causa C‑457/12

S.

contro

Minister voor Immigratie, Integratie en Asiel,

e

Minister voor Immigratie, Integratie en Asiel

contro

G.

[domande di pronuncia pregiudiziale proposte dal Raad van State (Paesi Bassi)]

«Diritto dei cittadini di paesi terzi di soggiornare nello Stato membro di cittadinanza e di residenza del cittadino dell’UE con cui hanno legami familiari»





1.        Quattro cittadini di paesi terzi («O», «B», «S» e «G») hanno legami familiari ciascuno con un diverso cittadino olandese (e quindi cittadino dell’UE), che è il loro referente. Tutti hanno fatto domanda di soggiorno regolare nei Paesi Bassi, dove risiedono i rispettivi referenti. In ciascun caso, il referente si è recato oltre frontiera, in altri Stati membri, per lavoro o per altre ragioni. Il Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi) chiede alla Corte, sostanzialmente, se tale spostamento sia sufficiente a stabilire l’applicabilità del diritto dell’UE e far sorgere un diritto di soggiorno derivato nei Paesi Bassi per tali cittadini di paesi terzi.

2.        O, B e G sono sposati, rispettivamente, con «la referente O», «la referente B» e «il referente G». La referente O e la referente B hanno precedentemente trascorso un periodo in altri Stati membri, senza tuttavia svolgervi attività lavorativa. Il referente G lavora per un datore di lavoro belga e si reca quotidianamente a lavorare in Belgio. G e il referente G hanno figli. S ha un genero (il «referente S») che svolge attività lavorativa per un datore di lavoro olandese, ma dedica approssimativamente il 30% del suo tempo alla preparazione e all’esecuzione di viaggi d’affari in Belgio. S si occupa del figlio del referente S nei Paesi Bassi.

 Contesto normativo

 Il diritto dell’UE

 Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

3.        L’articolo 20, paragrafo 1, TFUE, istituisce la cittadinanza dell’UE e stabilisce che «chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro» è cittadino dell’UE. L’articolo 20, paragrafo 2, lettera a), conferisce ai cittadini «il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri».

4.        L’articolo 21, paragrafo 1, TFUE, aggiunge che tale diritto sussiste «fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai trattati e dalle disposizioni adottate in applicazione degli stessi».

5.        L’articolo 45 TFUE garantisce la libera circolazione dei lavoratori, che implica «l’abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro».

6.        Ai sensi dell’articolo 56, paragrafo 1, TFUE, «(…) le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione sono vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in uno Stato membro che non sia quello del destinatario della prestazione».

 La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea

7.        L’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») è intitolato «Rispetto della vita privata e della vita familiare» e stabilisce che «[o]gni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare (…)».

8.        L’articolo 51 definisce l’ambito di applicazione della Carta:

«1.      Le disposizioni della presente Carta si applicano (…) agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione. Pertanto, i suddetti soggetti rispettano i diritti, osservano i principi e ne promuovono l’applicazione secondo le rispettive competenze e nel rispetto dei limiti delle competenze conferite all’Unione nei trattati.

(…)».

 La direttiva 2004/38/CE (2)

9.        Il considerando 1 della direttiva 2004/38 riproduce il disposto dell’articolo 21, paragrafo 1, TFUE. Il considerando 3 precisa che, quando i cittadini degli Stati membri esercitano il loro diritto di libera circolazione e di soggiorno, «la cittadinanza dell’Unione dovrebbe costituire [il loro] status fondamentale (…)».

10.      Ai sensi del considerando 5, «[i]l diritto di ciascun cittadino dell’Unione di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri presuppone, affinché possa essere esercitato in oggettive condizioni di libertà e di dignità, la concessione di un analogo diritto ai familiari, qualunque sia la loro cittadinanza».

11.      L’articolo 1, lettera a), della direttiva 2004/38 determina, tra l’altro, «le modalità d’esercizio del diritto di libera circolazione e soggiorno nel territorio degli Stati membri da parte dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari».

12.      Ai fini della direttiva 2004/38, si intende per «cittadino dell’Unione» «qualsiasi persona avente la cittadinanza di uno Stato membro» (articolo 2, paragrafo 1), un «familiare» include «il coniuge» [articolo 2, paragrafo 2, lettera a)] e «gli ascendenti diretti a carico e quelli del coniuge o partner (…)» [articolo 2, paragrafo 2, lettera d)] del cittadino dell’Unione. Lo «Stato membro ospitante» è «lo Stato membro nel quale il cittadino dell’Unione si reca al fine di esercitare il diritto di libera circolazione o di soggiorno» (articolo 2, paragrafo 3).

13.      Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, la direttiva 2004/38 si applica «a qualsiasi cittadino dell’Unione che si rechi o soggiorni in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza, nonché ai suoi familiari ai sensi dell’articolo 2, punto 2, che accompagnino o raggiungano il cittadino medesimo».

14.      Per quanto concerne altri familiari che soddisfano le condizioni di cui all’articolo 3, paragrafo 2, lettera a), e il partner con cui il cittadino dell’UE abbia una relazione stabile debitamente attestata, l’articolo 3, paragrafo 2, stabilisce che «(…) lo Stato membro ospitante (…) agevola l’ingresso e il soggiorno» di queste persone.

15.      L’articolo 6, paragrafo 1, stabilisce che i cittadini dell’UE hanno il diritto di soggiornare in un altro Stato membro per un periodo non superiore a tre mesi. Essi devono solo possedere una carta d’identità o un passaporto in corso di validità, senza altra condizione o formalità. Ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 2, le stesse disposizioni si applicano «(…) ai familiari in possesso di un passaporto in corso di validità non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che accompagnino o raggiungano il cittadino dell’Unione».

16.      Un cittadino dell’UE e i suoi familiari (non aventi la cittadinanza di uno Stato membro) beneficiano, inoltre, di un diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi nello Stato membro ospitante, purché tale cittadino dell’UE risponda alle condizioni di cui all’articolo 7, paragrafo 1, lettere a), b) o c), e precisamente: a) deve essere lavoratore subordinato o autonomo nello Stato membro ospitante, o b) deve disporre, per se stesso e per i propri familiari, di risorse sufficienti e di un’assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato membro ospitante, o c) essere uno studente e disporre di risorse economiche sufficienti e di un’assicurazione malattia che copre tutti i rischi.

17.      Ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, la condizione necessaria per l’acquisizione del diritto al soggiorno permanente richiede un soggiorno legale in via continuativa per cinque anni nello Stato membro ospitante.

18.      Ai sensi dell’articolo 35, gli Stati membri possono rifiutare, estinguere o revocare i diritti conferiti dalla direttiva 2004/38, in caso di abuso di diritto o frode. Qualsiasi misura di questo tipo deve essere proporzionata e deve rispettare le garanzie procedurali previste agli articoli 30 e 31.

 Il diritto olandese

19.      La Vreemdelingenwet 2000 (legge sugli stranieri; in prosieguo: la «Vw 2000») definisce «cittadini comunitari» i cittadini degli Stati membri e i loro familiari aventi la cittadinanza di un paese terzo, che hanno il diritto di entrare e soggiornare nel territorio di un altro Stato membro in forza dell’(attuale) TFUE (per quanto riguarda i primi) o in virtù di una decisione adottata in applicazione di tale Trattato (per quanto riguarda i secondi). Tali cittadini di un paese terzo possono ottenere dal Minister voor Immigratie, Integratie and Asiel (in prosieguo: il «Ministro per l’Immigrazione, l’Integrazione e l’Asilo» o il «Ministro») il rilascio di un documento o di una dichiarazione scritta attestante la regolarità di detto soggiorno. Il Ministro, qualora abbia dichiarato un cittadino di un paese terzo «persona non grata», può revocare tale dichiarazione su richiesta della persona interessata. Le relative condizioni sono definite nel Vreemdelingenbesluit (decreto sugli stranieri; in prosieguo: il «Vb 2000»), che dà attuazione alla Vw 2000.

20.      Il permesso di soggiorno temporaneo è rilasciato assoggettandolo a limitazioni legate allo scopo per cui il soggiorno è consentito. Il permesso può essere corredato da altre prescrizioni.

 Fatti

 Causa C‑456/12 O

 Il caso di O

21.      Nell’ottobre 2006, O, cittadino nigeriano, ha sposato la referente O in Francia. Ha stabilito la propria residenza in Spagna nel 2007. Dall’agosto 2009, O e la referente O si sono ivi registrati allo stesso indirizzo. Un documento di soggiorno, valido sino al settembre 2014, attesta che O risiede in Spagna come familiare di un cittadino dell’UE.

22.      Tuttavia, due mesi dopo il suo arrivo in Spagna, la referente O, non riuscendo a trovare lavoro in Spagna, è tornata nei Paesi Bassi. Dal 2007 all’aprile 2010 essa si è, nondimeno, recata regolarmente in Spagna con O, essenzialmente nei fine settimana, fruendo ivi di servizi nel corso di tali visite. Dal 1° luglio 2010, O è iscritto come residente allo stesso indirizzo della referente O nei Paesi Bassi.

23.      Non risulta, durante tale periodo, la cancellazione della registrazione del soggiorno della referente O nei Paesi Bassi.

24.      O ha chiesto il rilascio di un documento attestante la regolarità del soggiorno. Il Ministro ha respinto tale domanda e ha dichiarato infondata l’opposizione presentata da O avverso detta decisione. O ha proposto ricorso dinanzi al rechtbank ‘s-Gravenhage (Tribunale distrettuale dell’Aia, in prosieguo: il «rechtbank») che, in data 7 luglio 2011, ha respinto l’impugnazione. O ha quindi proposto appello dinanzi al giudice del rinvio.

 Il caso di B

25.      B è cittadino marocchino. Dal dicembre 2002 ha abitato nei Paesi Bassi insieme alla referente B per diversi anni. A quel tempo non erano sposati. Risulta che si sono incontrati mentre B era in attesa di una decisione in merito alla sua domanda di asilo. Tale domanda è stata respinta.

26.      A seguito di una condanna di B ad una pena detentiva di due mesi per l’uso di un passaporto falso, in data 15 ottobre 2005 il Ministro ha dichiarato B persona non grata. Nel gennaio 2006 B si è quindi trasferito in località Retie (Belgio) dove ha vissuto sino al maggio 2007 in un appartamento affittato dalla referente B. Risulta che, inizialmente, la referente B risiedeva a tale indirizzo da sola e che B l’ha raggiunta dopo che è stato rilasciato dal carcere. La referente B era iscritta come residente a Retie, con permesso di soggiorno valido fino al 18 maggio 2011, ma non è riuscita a trovare lavoro in Belgio. Ha, pertanto, mantenuto il suo alloggio nei Paesi Bassi, soggiornandovi durante la settimana mentre lavorava nei Paesi Bassi e trascorrendo i fine settimana con B in Belgio. Durante tali fine settimana, ha fruito di servizi in Belgio. Sebbene intendessero sposarsi in Belgio, di fatto, essi hanno contratto matrimonio solo in seguito, in Marocco.

27.      Nell’aprile 2007 B si è recato in Marocco, essendogli stato negato il permesso di soggiorno in Belgio dopo che le autorità belghe hanno appreso che era stato dichiarato persona non grata nei Paesi Bassi. Il 31 luglio 2007 B e la referente B si sono sposati in Marocco.

28.      Su domanda di B, nel marzo 2009 il Ministro ha revocato la dichiarazione di persona non grata. Nel giugno 2009 B è tornato nei Paesi Bassi ed è andato ad abitare presso la referente B.

29.      Il 30 ottobre 2009 la domanda di B di rilascio di un documento attestante la regolarità del soggiorno è stata respinta. Nel marzo 2010 il Ministro ha dichiarato infondata sia la sua opposizione avverso tale diniego sia la sua opposizione avverso l’apposizione sul suo passaporto di un adesivo con l’annotazione che non gli era consentito lavorare.

30.      B ha presentato impugnazione avverso entrambe le decisioni dinanzi al rechtbank, il quale le ha annullate, disponendo che il Ministro adottasse nuove decisioni. Nel dicembre 2010 il Ministro ha adottato una nuova decisione, mantenendo la stessa posizione adottata nella sua decisione precedente, ed ha proposto ricorso dinanzi al giudice del rinvio avverso la decisione del rechtbank.

 Causa C‑457/12 S

 Il caso di S

31.      S è cittadina ucraina. Suo genero, il referente S, dal 2002 svolge un’attività lavorativa per un datore di lavoro stabilito nei Paesi Bassi, il quale ha dichiarato che il referente S dedica il 30% del suo tempo alla preparazione e all’esecuzione di viaggi d’affari in Belgio. Il referente S si reca in Belgio almeno un giorno alla settimana e visita anche clienti e partecipa a congressi in altri Stati membri. S ha, inoltre, dichiarato di occuparsi del figlio del referente S (suo nipote).

32.      S ha chiesto il rilascio di un documento attestante la regolarità del soggiorno. Nell’agosto 2009 la sua domanda è stata respinta. Il Ministro ha respinto la sua opposizione avverso tale decisione. Nel giugno 2010 il rechtbank ha respinto il suo ricorso. S ha quindi proposto appello dinanzi al giudice del rinvio.

 Il caso di G

33.      G è cittadina peruviana. Ha sposato il referente G in Perù nel 2009. Il referente G abita nei Paesi Bassi, ma ha svolto attività lavorativa per un datore di lavoro belga dal 2003. Egli si reca ogni giorno in Belgio per lavoro.

34.      La domanda di rilascio di un documento attestante la regolarità del soggiorno presentata da G è stata respinta nel dicembre 2009. Il Ministro ha respinto la sua opposizione. Nel giugno 2011 il rechtbank ha accolto il ricorso di G, disponendo che il Ministro adottasse una nuova decisione. Il Ministro ha proposto impugnazione dinanzi al giudice del rinvio. Dinanzi a tale giudice, G ha dichiarato di avere avuto con il coniuge una figlia (che è cittadina olandese) e che anche il figlio avuto prima di sposare G è parte della loro nuova famiglia.

 Procedimento e questioni pregiudiziali

35.      Nella causa C‑456/12 O, il giudice del rinvio chiede:

«Nelle cause [che vedono coinvolti B] e [O]:

1)      Se la direttiva 2004/38 […], per quanto concerne le condizioni per il diritto di soggiorno per familiari di un cittadino dell’Unione aventi la cittadinanza di un paese terzo, debba essere interpretata per analogia, come nelle sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea, C‑370/90, Singh [(3)] (…) e C‑291/05, Eind [(4)(…), qualora un cittadino dell’Unione ritorni nello Stato membro di cui è cittadino, dopo aver soggiornato in un altro Stato membro, nel quadro dell’articolo 21, paragrafo 1, del TFUE, nonché come destinatario di servizi ai sensi dell’articolo 56 [TFUE].

2)      In caso di risposta affermativa, se configuri un requisito da applicare la circostanza che il soggiorno del cittadino dell’Unione in un altro Stato membro abbia avuto una determinata durata minima, affinché, dopo il ritorno del cittadino dell’Unione nello Stato membro di cui è cittadino, al suo familiare con la cittadinanza di un paese terzo venga conferito un diritto di soggiorno in quello Stato membro.

3)      In caso di risposta affermativa, se detto requisito possa essere considerato soddisfatto anche qualora non ci sia stato un soggiorno ininterrotto, ma una determinata frequenza di soggiorni, come un soggiorno settimanale nel fine settimana, o in occasione di visite regolari.

Nella causa [che vede coinvolto B]:

4)      Se per effetto del decorso del tempo tra il ritorno del cittadino dell’Unione nello Stato membro di cui è cittadino e l’ingresso del familiare di un paese terzo in tale Stato membro, in circostanze come quelle della fattispecie, vengano meno le eventuali pretese del familiare con la cittadinanza di un paese terzo ad un diritto di soggiorno conferito dal diritto dell’Unione».

36.      Nella causa C‑457/12 S, il giudice del rinvio chiede:

«1.      Nella causa [che vede coinvolta G]:

Se un familiare, avente la cittadinanza di un paese terzo, di un cittadino dell’Unione che risiede nello Stato membro di cui possiede la cittadinanza, ma che lavora in un altro Stato membro per un datore di lavoro ivi stabilito, in circostanze come quelle della fattispecie, possa far discendere dal diritto dell’Unione un diritto di soggiorno.

2.      Nella causa [che vede coinvolta S]:

Se un familiare, avente la cittadinanza di un paese terzo, di un cittadino dell’Unione che risiede nello Stato membro di cui possiede la cittadinanza, ma che per le sue attività lavorative per un datore di lavoro stabilito nel medesimo Stato membro si reca regolarmente in un altro Stato membro, in circostanze come quelle della fattispecie, possa far discendere dal diritto dell’Unione un diritto di soggiorno».

37.      Hanno presentato osservazioni scritte O, B, G, i governi del Belgio, della Repubblica ceca, della Danimarca, dell’Estonia, della Germania, dei Paesi Bassi e del Regno Unito, nonché la Commissione europea. All’udienza comune, tenutasi il 25 giugno 2013, le stesse parti, ad eccezione di G e dei governi del Belgio e dell’Estonia, nonché S, hanno svolto osservazioni orali.

 Valutazione

 Osservazioni preliminari

38.      La normativa sull’immigrazione è, in linea di principio, una questione di competenza degli Stati membri. A meno che la situazione sia tale per cui un cittadino di uno Stato membro (che, in virtù della sua nazionalità, è anche cittadino dell’UE) abbia attraversato una frontiera con un altro Stato membro, o sussista una prospettiva reale che ciò avvenga, i diritti di libera circolazione e di soggiorno dell’UE non sono chiamati in causa e si applica unicamente il diritto nazionale (5).

39.      Tuttavia, nelle cause in esame, ciascun referente cittadino dell’UE, sebbene residente nei Paesi Bassi ha, di fatto, attraversato tale frontiera. Lo hanno fatto per fini di lavoro o svago: essi hanno (verosimilmente) esercitato il diritto «passivo» di ricevere ivi servizi; in alcuni casi sono stati registrati formalmente come residenti in un altro Stato membro, pur mantenendo qualche forma di soggiorno nello Stato membro di cui hanno la cittadinanza (in prosieguo: lo «Stato membro d’origine»). Si pone la domanda, se ne consegua che il diritto dell’Unione osta, quindi, a che lo Stato membro d’origine rifiuti di concedere un diritto di soggiorno ai loro familiari (O, B, S e G), e se sia rilevante il fatto che il referente e il familiare non ritornino insieme nello Stato membro d’origine del referente.

40.      È chiaro che i referenti stessi godono di un diritto di soggiorno incondizionato nel loro Stato membro d’origine in forza del diritto nazionale (6). Ad uno Stato membro non è consentito «[espellere] i propri cittadini dal suo territorio od anche [negare] loro il soggiorno in quest’ultimo ovvero [assoggettarlo] a condizioni» (7). Tuttavia, l’ingresso e il soggiorno dei cittadini nel loro Stato membro d’origine sono soggetti anche alla normativa dell’UE nella misura in cui ciò sia necessario per assicurare la piena attuazione delle loro libertà fondamentali di circolazione e di soggiorno previste dal diritto dell’UE (8).

41.      Qualsiasi diritto di soggiorno derivato eventualmente spettante ad O, B, S e G in virtù del diritto dell’UE non sarebbe assoluto, ma sarebbe disciplinato dalle condizioni e dalle limitazioni previste dal diritto dell’UE. Per tale motivo, esaminerò separatamente il diritto di soggiorno e poi le condizioni e le limitazioni al suo esercizio.

42.      La documentazione sottoposta alla Corte non contiene alcun elemento che indichi se O, B, S e G possano vantare un diritto di soggiorno fondato sulla legislazione nazionale, compresa la normativa nazionale a tutela dei diritti fondamentali, o sulla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «CEDU»). In base agli elementi di fatto, nulla suggerisce che i matrimoni fossero matrimoni di convenienza, né che vi sia stata frode o abuso di diritto. In altre circostanze, la constatazione di tale abuso potrebbe, effettivamente, rendere superfluo esaminare ulteriormente se un diritto di soggiorno derivato possa essere legittimamente rifiutato. Tuttavia, il semplice fatto che, ad un certo punto, sia O e la referente O, sia B e la referente B, si siano trasferiti in un altro Stato membro, nel quale viene garantito un trattamento più favorevole, non costituisce abuso di diritto. (9)

43.      Nelle presenti conclusioni intendo concentrarmi sul fatto se il rifiuto di riconoscere la regolarità del soggiorno a cittadini di paesi terzi, come O, B, S e G, configuri una limitazione del diritto dei loro referenti di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. Una restrizione di questo tipo potrebbe, in teoria, essere giustificata. Tuttavia, la Corte non dispone di informazioni che le consentano di valutare tale giustificazione.

44.      Infine, nelle presenti conclusioni cercherò di elaborare una spiegazione coerente dei parametri entro i quali i diritti di soggiorno derivati per i familiari cittadini di paesi terzi sorgono nello Stato membro d’origine di un cittadino dell’UE, che abbia esercitato il diritto alla libera circolazione senza necessariamente esercitare (pienamente) i diritti di soggiorno in un altro Stato membro. Una soluzione ad hoc, che non definisca chiaramente i parametri rilevanti, mentre potrebbe essere di ausilio al giudice nazionale per statuire sulle quattro cause singole di cui trattasi, rischierebbe di aggiungere un elemento di incertezza tra gli operatori del diritto e le amministrazioni nazionali, sulla questione se il diritto dell’UE possa (o non possa) essere invocato; con il conseguente rischio di un notevole «lavoro ripetuto», perché i giudici nazionali chiedono ulteriori chiarimenti con nuove domande di pronuncia pregiudiziale.

 Perché esistono i diritti di soggiorno derivati

45.      Gli articoli 20, paragrafo 2, lettera a), e 21, paragrafo 1, TFUE, conferiscono ai cittadini dell’UE il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. Il fondamento di tale diritto è la libertà di scegliere se recarsi o meno in un altro Stato membro e/o soggiornarvi. Provvedimenti che limitano tale scelta, ove non siano giustificati, sono in contrasto con tali disposizioni.

46.      Il concetto che i familiari di detti cittadini dell’UE debbano disporre di diritti di soggiorno derivati è stato sviluppato nell’ambito delle libertà economiche di movimento, in particolare, quelle dei lavoratori migranti. I lavoratori sono esseri umani, non automi. Non dovrebbero essere costretti a lasciare indietro il proprio coniuge o altri familiari, in particolare quelli che sono a loro carico, allo scopo di diventare lavoratori migranti in un altro Stato membro (10). Se non possono portare con sé la propria famiglia quando si spostano, potrebbero essere dissuasi dall’esercitare tali diritti di libera circolazione. Inoltre, la presenza della famiglia può aiutare un lavoratore ad inserirsi nello Stato ospitante e quindi contribuire ad affermare la libera circolazione (11).

47.      Con l’introduzione della cittadinanza dell’UE nel Trattato di Maastricht, i cittadini di uno Stato membro hanno acquisito il diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio di altri Stati membri, indipendentemente dalle libertà economiche di circolazione e, di conseguenza, dall’esercizio di un’attività economica (12). Come nel caso dei lavoratori migranti, l’effettivo esercizio delle libertà di circolazione e di soggiorno da parte dei cittadini dell’UE può dipendere dal fatto che taluni familiari dispongano o meno, in forza del diritto dell’UE, del diritto di raggiungerli o accompagnarli nel territorio nel quale si sono recati o soggiornano. Come recentemente rilevato dalla Corte, «[l]a finalità e la ratio di tali diritti derivati si basano sulla constatazione che negarne il riconoscimento pregiudica la libertà di circolazione del cittadino dell’Unione, dissuadendolo dall’esercitare i suoi diritti di ingresso e soggiorno nello Stato membro ospitante» (13)

48.      Ai sensi della direttiva 2004/38, l’esistenza di un diritto di soggiorno derivato non dipende più dalla dimostrazione di come il diniego del diritto di soggiorno ai familiari di un cittadino dell’UE potrebbe influire sul cittadino stesso (14). La logica soggiacente alla concessione dei diritti di soggiorno derivati si riflette, tuttavia, nel fatto che tali diritti sono conferiti automaticamente solo ad un gruppo ristretto di familiari, la cui possibilità di ricongiungersi o di andare insieme a un cittadino dell’UE è presunta dal legislatore come influente sulla sua scelta e, quindi, sull’esercizio della sua libertà di circolazione. La direttiva 2004/38 distingue, pertanto, tra nucleo familiare e altri familiari. Il nucleo familiare è composto dal cittadino dell’UE, dal coniuge o partner con cui abbia contratto un’unione registrata e dai loro discendenti diretti di età inferiore a 21 anni. Tali familiari godono automaticamente di diritti di soggiorno derivati. I discendenti diretti di età superiore a 21 anni e gli ascendenti diretti di cittadini dell’UE (o dei loro coniugi o partner registrati), tuttavia, devono soddisfare la condizione di familiare a carico per poter rivendicare il diritto di soggiorno derivato. Nell’ambito della direttiva 2004/38, ritengo che la nozione di familiari a carico sia stata interpretata in senso restrittivo, al fine di concentrare l’attenzione sul fatto se un cittadino dell’UE fornisca un sostegno materiale a tali familiari (15). Sebbene tale condizione di familiare a carico possa indubbiamente essere estremamente indicativa della misura in cui il rifiuto del diritto di soggiorno interferisce con l’esercizio dei diritti di libera circolazione e di soggiorno, la Corte ha rilevato – al di fuori dell’ambito della direttiva 2004/38 – che la condizione di familiare a carico può, inoltre, essere misurata utilizzando indicatori di vincoli giuridici o legami affettivi, o che può essere rilevante il fatto che un cittadino dell’UE sia a carico di un familiare cittadino di un paese terzo (inversione della «condizione di familiare a carico») (16).

 Cosa fa sorgere i diritti di soggiorno derivati

49.      Allo stato attuale della legislazione dell’UE, i diritti di soggiorno derivati esistono, in linea di principio, solo quando sono necessari per assicurare ai cittadini dell’UE l’effettivo esercizio dei loro diritti di libera circolazione e soggiorno. La prima questione è, pertanto, accertare se un dato cittadino dell’UE abbia esercitato o stia esercitando tali diritti. In caso affermativo, la seconda questione è se il diniego del soggiorno ai suoi familiari limiti l’esercizio di tali diritti (se non c’è limitazione, non vi è motivo di concedere diritti di soggiorno derivati). Pertanto, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se sia necessario considerare il tipo e l’intensità dell’esercizio dei diritti di libera circolazione e di soggiorno da parte di un cittadino dell’UE, prima di passare ad esaminare la seconda questione.

50.      Come risulta da una costante giurisprudenza della Corte, le norme in materia di libera circolazione non possono essere applicate ad attività che non abbiano alcun nesso con le situazioni considerate dal diritto dell’UE (17). Una prospettiva puramente ipotetica dell’esercizio di tali diritti o di ostacolo a tali diritti non presenta un nesso sufficiente (18).

51.      Nella fattispecie, i referenti O, B, S e G hanno tutti esercitato diritti di libera circolazione e/o di soggiorno ai sensi dell’articolo 21 TFUE. Tali casi non riguardano, pertanto, situazioni puramente interne, che esulano dall’ambito di applicazione del diritto dell’UE. Ciò è sufficiente per rendere applicabile il diritto dell’UE, ma non induce automaticamente a concludere che O, B, S e G hanno il diritto di soggiornare legalmente nei Paesi Bassi in virtù della legislazione dell’UE.

52.      Proprio perché vi è stato uno spostamento transfrontaliero, i fatti all’origine di queste cause distinguono queste ultime da cause come Ruiz Zambrano, McCarthy o Dereci, in cui la Corte ha dichiarato che, in via eccezionale, un nesso con il diritto dell’UE e un fondamento per i diritti di soggiorno derivati ai sensi dell’articolo 20, TFUE, possono esistere in assenza dell’esercizio dei diritti di libera circolazione o di soggiorno in un altro Stato membro (ospitante), qualora una disposizione nazionale obblighi cittadini dell’UE (compresi i cittadini di uno stesso Stato membro) ad abbandonare il territorio dell’Unione europea (19). Nella sentenza Iida, che vedeva coinvolti due cittadini tedeschi trasferitisi in Austria ed un cittadino giapponese che chiedeva un diritto di soggiorno in Germania, la Corte ha poi chiarito che tale criterio non si limitava a situazioni che altrimenti sarebbero state qualificate come puramente interne (20).

53.      Nella sentenza Ruiz Zambrano la Corte ha ammesso che il diniego di soggiorno opposto al padre, avrebbe privato i suoi figli minorenni «del godimento reale ed effettivo dei diritti attribuiti dal loro status di cittadini dell’Unione» (21). In particolare, essi sarebbero stati costretti ad abbandonare il territorio dell’Unione europea (22).

54.      Nella sentenza McCarthy la Corte era giunta alla conclusione opposta con riferimento al marito giamaicano della signora McCarthy. La signora McCarthy era in possesso di doppia cittadinanza, irlandese e del Regno Unito, ed aveva soggiornato nel Regno Unito per tutta la vita. Non aveva mai visitato l’Irlanda, né esercitato diritti di libera circolazione altrove nell’Unione europea ed aveva chiesto un passaporto irlandese, al quale ha avuto legalmente diritto solo dopo avere sposato un cittadino giamaicano nel Regno Unito. Non aveva fatto valere di essere un lavoratore subordinato o autonomo né una persona che provvedeva al proprio sostentamento. La domanda di autorizzazione di soggiorno nel Regno Unito presentata da suo marito è stata respinta, in quanto coniuge di un cittadino dell’UE avente cittadinanza diversa dalla cittadinanza del Regno Unito (23).

55.      Nella sentenza Dereci, la Corte ha chiarito che la privazione del nucleo essenziale dei diritti di cittadinanza conferiti dallo status di cittadini dell’UE si riferiva ad ipotesi «contrassegnate dalla circostanza che il cittadino dell’Unione si trova obbligato, di fatto, ad abbandonare il territorio non solo dello Stato membro di cui è cittadino, ma anche dell’Unione considerata nel suo complesso» (24). Tale ipotesi era descritta dalla Corte come eccezionale (25). La Corte non ha approfondito quali circostanze potrebbero obbligare un cittadino dell’UE ad abbandonare il territorio dell’Unione europea, pur dichiarando che, ai fini del conferimento di diritti di soggiorno, «la mera circostanza che possa apparire auspicabile al cittadino di uno Stato membro, per ragioni economiche o per mantenere l’unità familiare nel territorio dell’Unione» non bastava, di per sé, a far ritenere che il diniego del diritto di soggiorno fosse la ragione di tale partenza (26). Tali elementi non dimostrano, pertanto, che il diniego del permesso di soggiorno si risolve nella perdita di un diritto di cittadinanza dell’UE, vale a dire, del diritto di soggiornare nel territorio dell’Unione europea.

56.      Tuttavia, la Corte non ha escluso la possibilità che, a prescindere dagli articoli 20 e 21 TFUE, un giudice nazionale possa chiedere che il permesso di soggiorno sia concesso ai sensi dell’articolo 7 della Carta (nelle ipotesi che rientrano nell’ambito di applicazione del diritto dell’UE) o dell’articolo 8, paragrafo 1, della CEDU (in altre ipotesi) (27). Pertanto, qualora un cittadino di un paese terzo che ha legami familiari con un cittadino dell’UE non possa far discendere un diritto di soggiorno dal diritto dell’UE, un giudice nazionale potrebbe comunque concludere che, ove una situazione rientri nel campo di applicazione del diritto dell’UE, egli ha diritto ad ottenere un permesso di soggiorno in virtù del diritto al rispetto della vita familiare.

57.      Tale passaggio mi lascia perplessa, poiché potrebbe essere interpretato nel senso che la Corte ha riconosciuto tre fondamenti distinti ai sensi del diritto dell’UE: il diritto al rispetto della vita privata e della vita familiare (articolo 7 della Carta); il diritto di libera circolazione e di soggiorno (articolo 21, paragrafo 1, TFUE) e il diniego del godimento reale ed effettivo dei diritti attribuiti ai cittadini dell’Unione (articolo 20 TFUE). Per quanto riguarda le ipotesi che non rientrano nell’ambito di applicazione del diritto dell’UE, il diritto al rispetto della vita privata e della vita familiare, di cui all’articolo 8 della CEDU, potrebbe costituire un ulteriore fondamento per istituire un diritto di soggiorno.

58.      Se questo era l’intento della Corte, essa non ha ancora risolto la questione se debba essere adottato lo stesso criterio per determinare se sia applicabile il diritto dell’UE (e, quindi, anche la Carta) e se un provvedimento di diniego del diritto di soggiorno sia in contrasto con l’articolo 20 o 21 TFUE (28).

59.      Ritengo, tuttavia, che vi sia un modo diverso per affrontare la questione.

60.      La Carta si applica esclusivamente ove sia applicabile il diritto dell’UE (29). Di conseguenza, la Carta non si applica ad una situazione interna, come quella della signora McCarthy, in cui un cittadino dell’UE non viene ostacolato nell’esercizio dei diritti di libera circolazione e di soggiorno ai sensi del diritto dell’Unione, né viene privato dalla disposizione nazionale, del diritto fondamentale autonomo di soggiornare sul territorio dell’Unione. In tali situazioni è chiaro che, quantomeno ad oggi, la Carta non accorda diritti fondamentali «autonomi» – vale a dire diritti che non presentano punti di collegamento con quanto rientra nella competenza dell’Unione – che possono quindi essere utilizzati per chiedere ad un giudice nazionale di disapplicare un provvedimento nazionale che penalizzi il cittadino dell’UE nell’organizzazione della sua vita familiare secondo i suoi desideri.

61.      Pertanto, se non è possibile identificare una disposizione pertinente di diritto dell’UE, la Carta non si applica. Per dirla in termini leggermente diversi, è necessario considerare la situazione giuridica attraverso il prisma della Carta se, e solo se, una disposizione di diritto dell’UE impone un obbligo positivo o negativo allo Stato membro (a prescindere dal fatto che tale obbligo discenda dai Trattati o dal diritto derivato dell’UE) (30).

62.      Qualora e nella misura in cui una data situazione riguardante cittadini dell’UE rientri nell’ambito di applicazione del diritto dell’UE, l’interpretazione data a qualsiasi disposizione di diritto dell’Unione che conferisca diritti a tali cittadini (e che, pertanto, impone agli Stati membri l’obbligo di rispettare tali diritti) deve essere in linea con eventuali diritti pertinenti sanciti dalla Carta (31), incluso il diritto al rispetto della vita privata e della vita familiare garantito dall’articolo 7 della Carta. Ciò significa che una disposizione come l’articolo 20 o l’articolo 21 TFUE non costituisce semplicemente un fondamento per lo status di residenza, distinto dall’articolo 7 della Carta, ma l’interesse relativo all’esercizio del diritto ad una vita familiare permea la sostanza dei diritti di cittadinanza dell’UE. I diritti di cittadinanza di cui agli articoli 20 o 21 TFUE devono, pertanto, essere interpretati in modo tale da garantire che il loro contenuto sostanziale sia «conforme alla Carta». Tale processo è distinto dalla questione se una giustificazione a una limitazione ai diritti di cittadinanza dell’UE, qualora siano minacciati, sia conforme alla Carta (32).

63.      Siffatto approccio non «estende» l’ambito di applicazione del diritto dell’UE, violando così la ripartizione delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri. Esso si limita a rispettare il principio generale secondo cui, in un’Unione fondata sullo stato di diritto, nell’interpretare una disposizione di tale ordinamento giuridico, si deve prendere in considerazione l’insieme delle norme giuridiche pertinenti (incluso, naturalmente, il pertinente diritto primario nel senso della Carta). Sotto tale profilo, tenere la Carta nella dovuta considerazione non è più «invasivo» o «incompatibile con le competenze degli Stati membri» di quanto lo sia la corretta interpretazione della libera circolazione delle merci.

64.      Inoltre, ove la Carta sia applicabile e qualora i diritti da essa sanciti corrispondano a diritti già contemplati dalla CEDU, il diritto dell’UE deve essere interpretato tenendo conto della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte di Strasburgo») (33). L’articolo 7 della Carta, che tutela il diritto alla vita familiare, fa parte di tali articoli, ed esiste un’ampia giurisprudenza della Corte di Strasburgo che chiarisce il significato da attribuire al suo corrispondente nella CEDU (articolo 8 CEDU).

65.      Di conseguenza, dovrebbe essere irrilevante considerare se l’applicazione di uno specifico provvedimento nazionale violi l’articolo 7 della Carta o l’articolo 8 della CEDU. Il criterio applicato (che sia applicato dal giudice nazionale, da questa Corte o dalla Corte di Strasburgo) è, per definizione, lo stesso. Pertanto, dovrebbe essere impossibile giungere ad una conclusione diversa a seconda di quale viene fatto valere (ai fini di questa analisi tralascio il terzo elemento della trilogia di fonti di tutela dei diritti fondamentali, e precisamente, il diritto costituzionale nazionale, che, naturalmente, può essere anch’esso rilevante).

66.      Nel contesto di una domanda di pronuncia pregiudiziale è, ovviamente, necessario che questa Corte fornisca indicazioni chiare al giudice nazionale con riferimento alle circostanze in cui un diritto dell’UE, interpretato in senso conforme alla Carta, è minacciato. Per lo stesso motivo, spetta al giudice nazionale – che è il solo competente a valutare i fatti – effettuare la necessaria dettagliata valutazione di tali fatti e determinare, sulla base di tali indicazioni, se il diritto dell’UE, così interpretato, osti all’applicazione della disposizione nazionale. In tal modo, il giudice nazionale effettuerà la stessa valutazione con riferimento alla pretesa che «diversamente i miei diritti fondamentali saranno violati», alla stregua di quando esamina una pretesa analoga ai sensi della CEDU alla luce della giurisprudenza della Corte di Strasburgo.

 Applicabilità della direttiva 2004/38

67.      La direttiva 2004/38 dà attuazione all’articolo 21, paragrafo 1, TFU. Essa mira ad agevolare e rafforzare l’esercizio di tale diritto primario e individuale di circolare e soggiornare (34). Come risulta da una giurisprudenza consolidata, tale normativa di diritto derivato non può essere interpretata restrittivamente (35) e le sue disposizioni «comunque, non devono essere private della loro efficacia pratica» (36).

68.      Solo un avente diritto ai sensi dell’articolo 3, della direttiva 2004/38, può far discendere diritti di libera circolazione e soggiorno da tale direttiva. Tale avente diritto può essere un cittadino dell’UE, o un familiare quale definito dall’articolo 2, paragrafo 2 (37).

69.      Tuttavia, mentre la direttiva 2004/38 si applica a determinate categorie di familiari di un cittadino dell’UE e indipendentemente dal fatto che essi abbiano già soggiornato legalmente in un altro Stato membro (38) o non abbiano affatto soggiornato in uno Stato membro (39), i loro diritti sono acquisiti tramite loro qualità di familiari del cittadino dell’UE interessati (40). In tal senso, tali diritti sono automatici (41). Di conseguenza, il cittadino dell’UE con il quale essi condividono un legame familiare deve innanzitutto rientrare nell’ambito di applicazione di tale direttiva.

70.      È pacifico che O, B, S e G sono familiari ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettere a) e d), della direttiva 2004/38 e ciò è. sufficiente: Non è necessario dimostrare che, altrimenti, si produrrebbe un effetto restrittivo sui diritti di cittadinanza dell’UE di libertà di circolazione e di soggiorno, al fine di stabilire che, ove si applichi la direttiva 2004/38, essi godrebbero di un diritto di soggiorno derivato.(42) Il problema è altrove.

71.      L’articolo 3, paragrafo 1, si applica a qualsiasi cittadino dell’UE che «si rechi o soggiorni» in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza (43). Per poter soggiornare in uno Stato membro, un cittadino dell’UE che non vi sia nato deve, di norma, trasferirvisi (44). È invece possibile recarsi in uno Stato membro senza soggiornarvi. In tal caso, un cittadino dell’UE esercita solo il suo diritto di libera circolazione e non quello di soggiorno. Saranno quindi applicabili solo le disposizioni della direttiva 2004/38 in materia di uscita e ingresso. In linea di principio, i cittadini di paesi terzi non possono far valere un diritto di soggiorno fondato sulle norme dell’UE in uno Stato membro se il loro familiare, cittadino dell’UE, non fa a sua volta valere un diritto di soggiorno e non vi risieda (45). Esiste, pertanto, un elemento di parallelismo tra i diritti di un cittadino dell’UE e i diritti derivati dei suoi familiari.

72.      I cittadini di paesi terzi possono invocare tale diritto dello Stato membro ospitante soltanto quando accompagnano o raggiungono il cittadino dell’UE che esercita il proprio diritto di soggiorno in tale territorio, conformemente alle condizioni sancite dagli articoli 6, paragrafo 1, 7, paragrafo 1, o 16, paragrafo 1 della direttiva 2004/38 (46).

73.      L’articolo 3, paragrafo 1, non distingue in base allo scopo dell’esercizio dei diritti di libera circolazione e di soggiorno, anche se le condizioni alle quali i diritti di soggiorno di durata superiore ai tre mesi possono essere esercitati differiscono a seconda che il cittadino dell’UE sia o non sia un lavoratore migrante o un lavoratore autonomo (47). In effetti, lo scopo stesso della direttiva 2004/38 era di superare il precedente carattere frammentario di tali diritti, preservando alcuni vantaggi propri dei cittadini dell’UE che svolgono attività economiche in un altro Stato membro (48).

74.      Nondimeno, il tenore dell’articolo 3, paragrafo 1, circoscrive l’ambito di applicazione della direttiva 2004/38 con riguardo alla direzione in cui i cittadini dell’UE si spostano: verso uno Stato membro diverso da quello di cui possiedono la cittadinanza (49).

75.      Pertanto, in linea di principio, i cittadini dell’Unione che hanno sempre soggiornato nello Stato membro d’origine e che non hanno mai esercitato diritti di libera circolazione, non possono essere aventi diritto ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 (50). Di conseguenza, non possono esserlo nemmeno i loro familiari.

76.      Nessuno dei referenti nelle cause di cui trattasi si trova in tale situazione. Essi hanno tutti esercitato almeno in qualche forma il diritto di libera circolazione.

77.      In generale, i cittadini dell’UE possono spostarsi in tre direzioni all’interno dell’Unione europea: i) tra due Stati membri di cui non possiedono la cittadinanza; ii) dal loro Stato membro d’origine ad un altro Stato membro e iii) da un altro Stato membro nuovamente verso il loro Stato membro d’origine. Essi possono, naturalmente, spostarsi più volte e in direzioni diverse (51).

78.      È chiaro che la direttiva 2004/38 si applica agli spostamenti di cui sub i) e ii). In siffatte circostanze, un cittadino di un paese terzo, familiare del cittadino dell’UE (che si è spostato in una di tali direzioni) ha il diritto di accompagnare o di raggiungere tale cittadino dell’UE (52).

79.      Ciò non vale, tuttavia per lo spostamento di cui sub iii). Sebbene sia fermamente del parere che un cittadino dell’UE (e qualsiasi familiare cittadino di un paese terzo) che abbia beneficiato della tutela di cui alla direttiva 2004/38, non debba perdere tale tutela quando si trasferisce una seconda volta (53), giungere ad una conclusione diversa con riferimento all’ambito di applicazione della stessa direttiva, significherebbe depennare la frase «diverso da quello di cui hanno la cittadinanza», di cui all’articolo 3, paragrafo 1.

80.      Aggiungo che, se il legislatore avesse voluto contemplare l’ipotesi dello spostamento sub iii), avrebbe dovuto redigere disposizioni dettagliate per disciplinare tale situazione, ma non lo ha fatto.

81.      Nella sentenza McCarthy, la Corte si è quasi espressa in tal senso, quando ha affermato che «la direttiva 2004/38 (…) non può essere destinata a trovare applicazione ad un cittadino dell’Unione che goda di un diritto di soggiorno incondizionato per il fatto che soggiorna nello Stato membro del quale ha la cittadinanza» (54). Nella causa Iida, l’avvocato generale Trstenjak ha sostenuto che la direttiva 2004/38 «non contempla affatto il caso attualmente in questione concernente il diritto di soggiorno del cittadino di un paese terzo nello Stato membro di origine del cittadino dell’Unione» (55), sebbene sembri non escludere del tutto la possibilità che la risposta possa essere diversa in circostanze diverse (56).

82.      È vero che, nella sentenza Singh, la Corte (57) ha ammesso i diritti di soggiorno derivati per i familiari di un lavoratore migrante che ritorna, sulla base dell’articolo 52 del Trattato CEE (ora articolo 59 TFUE) e della direttiva 73/148 (58) (abrogata e sostituita dalla direttiva 2004/38 (59)). La direttiva 73/148, come la direttiva 2004/38, non riguardava la situazione di una persona che ritorna nello Stato membro d’origine e la motivazione della Corte sembra fondarsi esclusivamente sulle disposizioni del Trattato piuttosto che sulla suddetta direttiva. Ritengo tale decisione particolarmente significativa ai fini dell’analisi dell’articolo 21 TFUE (60).

83.      Dal momento che la direttiva 2004/38 non si applica, la posizione di O, B, S e G e dei loro referenti deve essere analizzata alla luce dei Trattati. Qualora in esito a tale analisi si dovesse giungere alla conclusione che i diritti derivati per i familiari cittadini di paesi terzi sono necessari affinché i cittadini dell’UE possano godere dell’uso effettivo dei loro diritti di libera circolazione ai sensi dell’articolo 21 TFUE, occorrerà applicare nello Stato membro d’origine il trattamento minimo che la direttiva 2004/38 garantisce negli Stati membri ospitanti (61).

 L’articolo 21 TFUE

 I diritti di soggiorno derivati nello Stato membro d’origine

84.      Ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 1, TFUE (e fatte salve le misure di attuazione), gli Stati membri devono consentire ai cittadini dell’UE, non aventi la cittadinanza di tali Stati, di circolare e soggiornare nel loro territorio con i loro coniugi ed, eventualmente, taluni altri familiari non aventi la cittadinanza dell’UE.

85.      Nelle cause in esame, i Paesi Bassi rifiutano, in sostanza, di concedere, in forza del diritto dell’UE, diritti di soggiorno a cittadini di paesi terzi familiari di propri cittadini, in casi in cui, in forza del diritto dell’UE, in linea di principio viene imposto di concedere tali diritti a cittadini di paesi terzi familiari di cittadini dell’UE che possiedono la cittadinanza di altri Stati membri.

86.      Suscita perplessità la ragione per cui uno Stato membro vorrebbe, così, riservare ai propri cittadini un trattamento meno favorevole rispetto ad altri cittadini dell’UE (che, a parte per la cittadinanza, potrebbero benissimo trovarsi in circostanze identiche o analoghe). Come anche il fatto che, negando il diritto di soggiorno, tale Stato membro potrebbe rischiare, di fatto, di «allontanare» i propri cittadini, costringendoli a trasferirsi in un altro Stato membro, nel quale il diritto dell’UE garantisca loro il soggiorno con i loro familiari o, forse, ad abbandonare l’Unione europea tutti insieme. Una norma di questo tipo non si concilia affatto con la solidarietà che si presume alla base del rapporto tra uno Stato membro e i propri cittadini. È inoltre difficilmente conciliabile con il principio di leale cooperazione che, a mio parere, si applica tra gli Stati membri, così come tra gli Stati membri e l’Unione (62).

87.      Tuttavia, le osservazioni scritte e orali presentate nelle cause in esame dimostrano che molti Stati membri ritengono che il diritto dell’UE non impedisca loro di fare proprio così.

88.      Basterebbe rispondere che, ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 1, TFUE, gli Stati membri non possono limitare il diritto dei cittadini dell’UE di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio dell’Unione europea. O, come precisato dall’avvocato generale Jacobs, «fatti salvi i limiti stabiliti dallo stesso [articolo], non è possibile opporre ostacoli ingiustificati» (63).

89.      Lo stesso principio si applica ai cittadini dell’UE che vogliono esercitare il diritto alla libertà di circolazione o di soggiorno e che sposano un cittadino di un paese terzo. Una coppia di questo tipo, spesso (forse di solito) desidererà esercitare il suo diritto alla vita familiare in reciproca vicinanza fisica. Se a tali coniugi viene impedito di convivere nello Stato membro di cui il cittadino dell’UE possiede la cittadinanza (al quale esso fa ritorno dopo il suo soggiorno nel territorio di un altro Stato membro o dal quale egli esercita i diritti di libera circolazione) o non vivono insieme o sono costretti a trasferirsi altrove. Potrebbero trasferirsi in un paese al di fuori dell’Unione europea, che consenta loro di risiedere insieme legalmente, o potrebbero trasferirsi in un altro Stato membro e invocare la direttiva 2004/38. Nella prima ipotesi, il cittadino dell’UE viene effettivamente privato della cittadinanza dell’UE, poiché tale status ha solo un’importanza limitata al di fuori dell’Unione europea (64). Nella seconda ipotesi, si potrebbe dire che tale misura provoca ulteriori spostamenti. Tuttavia, mentre agevolare la libera circolazione può certamente essere un obiettivo dell’articolo 21, paragrafo 1, TFUE, imporre la libera circolazione non lo è. Piuttosto, ai cittadini dell’UE viene garantito il diritto di circolare e soggiornare liberamente all’interno dell’Unione europea. Se una disposizione può influenzare la libera scelta del cittadino dell’UE di esercitare tale diritto, allora si tratta di una restrizione che, se non giustificata, è in contrasto con l’articolo 21, paragrafo 1, TFUE.

90.      A mio parere, lo stesso ragionamento si applica nel caso di altri membri della cerchia familiare più ristretta (ad esempio, i genitori del coniuge, come nel caso di S), purché sia dimostrato che, altrimenti, il cittadino dell’UE si trasferirebbe altrove con la sua famiglia (compresi detti altri familiari) per vivere con loro, oppure smetterebbe di esercitare i diritti di libera circolazione.

91.      La Corte ha già applicato questo criterio in casi in cui un cittadino dell’UE, che ha esercitato diritti di libera circolazione e di soggiorno, è tornato a risiedere nel suo Stato membro d’origine (sentenze Singh e Eind), o ha esercitato diritti di libera circolazione, pur continuando a soggiornare nel suo Stato membro d’origine (sentenza Carpenter (65) pronunciata dopo la sentenza Singh (66), ma prima della sentenza Eind (67)). In sostanza, quelle prime due decisioni dimostrano (68) che, se un cittadino dell’UE si è trasferito in un altro Stato membro dell’UE e vi ha soggiornato, i familiari possono accompagnarlo o raggiungerlo nel suo Stato membro d’origine, a condizioni non meno favorevoli di quelle applicabili, ai sensi del diritto dell’UE, nello Stato membro ospitante.

92.      Il sig. Singh e il sig. Eind, in qualità di lavoratori migranti, si erano entrambi trasferiti, ed avevano quindi soggiornato, in uno Stato membro diverso da quello di cui possedevano la cittadinanza. Ciascuno ha quindi fatto ritorno nel proprio Stato membro. Il sig. Singh è diventato lavoratore autonomo; il sig. Eind non ha esercitato attività lavorativa. Ciascuno aveva un familiare cittadino di un paese terzo, che aveva vissuto con lui nello Stato membro ospitante e che desiderava vivere con lui nello Stato membro d’origine.

93.      La Corte ha dichiarato che il sig. Singh, che ritornava nello Stato membro d’origine, avrebbe dovuto fruire di un trattamento almeno equivalente a quello di cui avrebbe potuto disporre nello Stato membro ospitante dal quale si era trasferito (69). Un familiare avrebbe quindi potuto accompagnarlo nello Stato membro d’origine, alle condizioni previste dalla normativa della Comunità europea, che era la precorritrice della direttiva 2004/38 (70).

94.      Nella sentenza Singh, la Corte non ha espressamente prestato molta attenzione al diritto al rispetto della vita familiare, benché la sua motivazione fosse che, se ad un cittadino dell’UE fosse impedito l’esercizio di tale diritto attraverso la convivenza con il proprio coniuge e i figli, al loro ritorno nel paese d’origine, egli potrebbe essere dissuaso dall’esercitare le libertà fondamentali di ingresso e soggiorno nel territorio di un altro Stato membro (il cosiddetto «effetto dissuasivo») (71). Nella sentenza Eind, la Corte è stata più esplicita nell’ammettere che gli ostacoli al ricongiungimento familiare possono ledere il diritto di libera circolazione dei cittadini dell’UE (72). Diversamente dalla sentenza Singh (pronunciata nel 1992), la sentenza Eind è del 2007, dopo l’introduzione della cittadinanza dell’UE.

95.      Pertanto, un cittadino dell’UE acquisisce il diritto ad essere accompagnato o raggiunto da un gruppo delimitato di familiari quando esercita diritti di libera circolazione e di soggiorno. Sapere che ritornando nello Stato membro d’origine perderebbe tale diritto, potrebbe dissuaderlo del tutto dal trasferirsi, o limitarlo riguardo a ciò che potrà fare dopo tale primo spostamento. A tale riguardo, il fatto che un familiare non disponesse di un diritto di soggiorno nello Stato membro d’origine anteriormente al primo spostamento, non fa alcuna differenza: La direttiva 2004/38 garantisce il soggiorno ai cittadini dell’UE, dopo il secondo spostamento, insieme ai familiari che abbiano vissuto con loro anteriormente al primo spostamento, che li raggiungono da paesi non appartenenti all’Unione europea, o che diventano familiari dopo il primo spostamento (73). Per tale motivo, lo Stato membro d’origine non può riservare ai propri cittadini che tornano a risiedere nel suo territorio, un trattamento meno favorevole rispetto al trattamento di cui godevano, in qualità di cittadini dell’UE, nello Stato membro ospitante. Ciò che conta è il trattamento al quale un cittadino dell’UE aveva diritto nello Stato membro ospitante. Il trattamento di cui un cittadino dell’UE si è effettivamente avvalso è irrilevante (74). Poiché, dopo il primo spostamento, i diritti previsti dalla legislazione dell’UE sono «certificati da passaporto» ed appartengono al cittadino dell’UE al suo ritorno nello Stato membro d’origine, le condizioni e le limitazioni previste dalla direttiva 2004/38 si applicano indirettamente anche ai cittadini dell’UE che ritornano al loro Stato membro d’origine.

 La definizione di residenza

96.      Se il cittadino dell’UE non si è stabilito in un altro Stato membro, è meno evidente che, negando ai familiari un diritto di soggiorno ai sensi del diritto dell’UE nello Stato membro d’origine, sia pregiudicato il diritto di libera circolazione del cittadino dell’UE. Ma cosa significa soggiornare in un altro Stato membro? Tale questione è sottesa alla seconda e alla terza questione nella causa C‑456/12.

97.      La direttiva 2004/38 definisce le condizioni alle quali un cittadino dell’UE può soggiornare in un altro Stato membro, senza definire la nozione di «residenza» e neanche i Trattati contengono una definizione generale. Taluni testi di diritto derivato definiscono la «residenza» ai fini di quella particolare normativa, facendo riferimento a nozioni come «residenza normale» (75) o «residenza abituale» (76).

98.      La residenza riveste diverse funzioni nell’ambito del diritto dell’UE. In taluni contesti può essere utilizzata come criterio per determinare la legge applicabile (ad esempio, nel diritto fiscale e nel diritto internazionale privato) e per evitare il cosiddetto «turismo sociale» (77). In altri casi, può costituire la sostanza di un diritto (78), o un elemento la cui assenza esclude l’accesso ad una prestazione (79). In taluni contesti viene definita espressamente. In altri no. Di conseguenza, la residenza non corrisponde ad una nozione uniforme nel diritto dell’UE.

99.      Nel quadro della normativa UE sulla cittadinanza, la residenza in un altro Stato membro, oltre a costituire un diritto, rappresenta, talvolta, un presupposto necessario per l’esercizio di diritti accessori connessi a tale status (ad esempio, il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali e del Parlamento europeo (80)), ma può anche costituire un requisito che restringe altre libertà garantite dal diritto dell’UE.

100. Nella sentenza Swaddling, la Corte ha precisato che la definizione di residenza di cui all’articolo 1, lettera h), del regolamento n. 1408/71 (81) indicava la «dimora abituale», lasciando intendere che aveva, quindi, portata a livello dell’UE (82). La Corte ha interpretato la nozione di «Stato membro nel quale essi risiedono» come il luogo «in cui si trova altresì il centro dei loro interessi», che viene determinato prendendo in considerazione «la situazione familiare del lavoratore, i motivi che lo hanno indotto a trasferirsi, la durata e la continuità della residenza, il fatto di disporre eventualmente di un posto di lavoro stabile, e l’intenzione del lavoratore quale si può desumere da tutte queste circostanze» (83). Con ciò la Corte ha rilevato che, per comprendere correttamente se una persona sia o meno residente, non ci si deve basare su un unico elemento, ma su una serie di elementi che, insieme, consentono di valutare la situazione del singolo, qualificandola come residenza o non residenza.

101. In altri settori del diritto dell’UE, la Corte ha formulato un’interpretazione analoga della nozione di residenza: il luogo in cui una persona dimora abitualmente o in cui si trova il centro principale dei suoi interessi, che deve essere determinato sulla base dei fatti di cui trattasi, i quali comprendono elementi sia oggettivi, sia soggettivi (84).

102. Non ritengo che la residenza richieda la costante presenza fisica nel territorio di un singolo Stato membro (terza questione sollevata nella causa C‑456/12). Altrimenti, una persona potrebbe essere considerata residente in uno Stato membro solo se non ha esercitato il diritto alla libera circolazione (per definizione, prima di trasferirsi, deve avere vissuto altrove) (85). È, tuttavia, sensato prescrivere che la presenza sia preponderante.

103. A mio avviso, neanche il fatto che un cittadino dell’UE abbia stabilito la propria residenza in un altro Stato membro, significa che è il suo unico luogo di residenza. In molti casi, l’esercizio del diritto di soggiornare liberamente nell’Unione europea comporterà il trasferimento della residenza da uno Stato membro ad un altro, senza che si mantenga un legame significativo con il precedente luogo di residenza. In altri casi, tuttavia, sarà opportuno, per ragioni diverse, mantenere legami significativi.

104. Purché soddisfi i requisiti necessari per stabilire la residenza in uno Stato membro, il fatto che un cittadino dell’Unione europea mantenga qualche forma di residenza altrove non dovrebbe avere importanza (86). Non esiste una norma generale di diritto dell’UE in base alla quale la residenza in uno Stato membro preclude la contemporanea residenza in un altro Stato membro (87). Ciò sembra implicito anche nelle disposizioni della direttiva 2004/38, che subordina un soggiorno superiore a tre mesi alla condizione che un cittadino dell’UE sia un lavoratore subordinato o autonomo, o che disponga di risorse sufficienti per non divenire un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante. Per contro, ai residenti permanenti deve essere garantita piena solidarietà (laddove non sia più applicabile la condizione relativa alle «risorse sufficienti») (88).

105. Mentre i cittadini dell’UE che non sono lavoratori migranti o lavoratori autonomi nello Stato membro ospitante potrebbero dover dimostrare di disporre di sufficienti risorse, la direttiva 2004/38 nulla dice per quanto riguarda la fonte o le fonti di tali risorse, che potrebbero, pertanto, provenire da attività o interessi in altri paesi all’interno o all’esterno dell’Unione europea. Se così non fosse, la restrizione delle libertà fondamentali sarebbe eclatante.

106. Si pone la questione se sia rilevante il fatto che un cittadino dell’UE si sia inizialmente trasferito nello Stato membro ospitante per esercitare una libertà economica e che abbia fatto ritorno nello Stato membro d’origine per essere economicamente attivo in tale Stato.

107. Ritengo di no.

108. Il sig. Eind si è trasferito dai Paesi Bassi al Regno Unito per svolgervi un’attività economica; quando è tornato nei Paesi Bassi, non ha esercitato attività lavorativa. Ciononostante, sua figlia aveva il diritto di stabilirsi con lui nei Paesi Bassi, sebbene alle condizioni di cui al regolamento n. 1612/68, relative al soggiorno dei discendenti di un lavoratore migrante (89). Questo era il trattamento al quale il sig. Eind aveva diritto nel Regno Unito e, al suo ritorno nei Paesi Bassi, non poteva perderlo.

109. Pertanto, un cittadino dell’UE può rivendicare, nel suo Stato membro d’origine, un trattamento che non sia meno favorevole rispetto a quello al quale aveva diritto in qualità di lavoratore subordinato o autonomo nello Stato membro ospitante. Il fatto di non essere più economicamente attivo non modifica tale diritto, né lo modifica il fatto di non essere lavoratore subordinato o autonomo nello Stato membro ospitante, poiché i diritti di libera circolazione e di soggiorno del cittadino dell’UE non dipendono più dall’esercizio di un’attività economica. Tuttavia, le condizioni alle quali i suoi familiari possono risiedere nello Stato membro ospitante possono essere differenti (90).

110. Non mi convince la tesi secondo cui un cittadino dell’UE (che si tratti o meno di un lavoratore migrante o di un lavoratore autonomo) deve avere soggiornato in un altro Stato membro per un periodo ininterrotto di almeno tre mesi, o per altro periodo «rilevante», prima che i suoi familiari cittadini di un paese terzo possano far discendere dal diritto dell’UE diritti di soggiorno nello Stato membro d’origine (oggetto della seconda questione nella causa C‑456/12). Tale argomento presuppone che la separazione forzata da un familiare, come un coniuge, non scoraggi un cittadino dell’UE che intenda trasferirsi per risiedere temporaneamente in un altro Stato membro, dall’esercitare i suoi diritti di libera circolazione e di soggiorno. Non vedo motivo per sostenere che, in siffatte circostanze, il cittadino dell’UE debba temporaneamente sacrificare il proprio diritto alla vita familiare (o, per dirla in termini leggermente diversi, che debba essere preparato a pagare tale prezzo per poter successivamente invocare il diritto dell’UE nei confronti del proprio Stato membro d’origine). In effetti, ai sensi della direttiva 2004/38, i familiari hanno immediatamente il diritto di accompagnare il cittadino dell’UE nello Stato membro ospitante. La direttiva 2004/38 non subordina l’acquisizione di tale diritto derivato al requisito di un periodo minimo di residenza per il cittadino dell’UE. Le condizioni applicabili alle persone a carico variano invece in funzione della durata del soggiorno nel territorio.

111. La durata del soggiorno di un cittadino dell’UE in un altro Stato membro è (ovviamente) un criterio quantitativo importante. Tuttavia, secondo me, non può essere applicato come unico criterio per decidere chi abbia, o non abbia, esercitato diritti di soggiorno e possa, quindi, essere raggiunto o accompagnato (91) dai propri familiari. È solo uno dei criteri tra quelli che devono essere presi in considerazione.

 La libera circolazione senza residenza

112. Cosa succede se un cittadino dell’UE si trasferisce in uno Stato membro diverso da quello di cui possiede la cittadinanza, senza stabilirvi la residenza? I suoi familiari cittadini di paesi terzi hanno il diritto di raggiungerlo nel suo Stato membro di cittadinanza e di residenza? Questa è la sostanza della prima e della seconda questione nella causa C‑457/12.

113. Il ragionamento svolto nelle sentenze Singh (92) e Eind (93) non contempla tale ipotesi. Tuttavia, già la sentenza Carpenter (94) dimostra che i diritti di soggiorno derivati nello Stato membro di cittadinanza e di residenza possono essere conferiti a cittadini di paesi terzi familiari di cittadini dell’UE che si avvalgono delle libertà del mercato unico (ad esempio, per prestare servizi) ma che non trasferiscono la loro residenza in un altro Stato membro.

114. Nella sentenza Carpenter, il giudice nazionale aveva ritenuto che la cura dei bambini e i lavori domestici effettuati dalla sig.ra Carpenter avrebbero potuto indirettamente aiutare ed agevolare il diritto del coniuge di prestare servizi in un altro Stato membro. Ciò significava che il sig. Carpenter poteva dedicare più tempo alla sua attività, che si svolgeva in gran parte in altri Stati membri (95). La Corte ha affermato che negare la residenza alla sig.ra Carpenter, separando così i due coniugi, «[avrebbe nuociuto] alla loro vita familiare e, conseguentemente, alle condizioni di esercizio di una libertà fondamentale da parte del sig. Carpenter» (96). Applicando la logica di cui alla sentenza Singh, la Corte ha ritenuto che la piena efficacia di tale libertà avrebbe potuto essere minacciata qualora, nello Stato membro d’origine del sig. Carpenter, fossero stati frapposti ostacoli all’ingresso e al soggiorno di sua moglie (97).

115. Nell’esaminare se tale limitazione potesse essere giustificata, la Corte ha quindi ritenuto che la decisione di espellere la sig.ra Carpenter costituisse un’ingerenza nell’esercizio del diritto del sig. Carpenter al rispetto della propria vita familiare ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (98).

116. Procediamo ad un esame più approfondito della decisione nella sentenza Carpenter.

117. È chiaro che il ragionamento della Corte si fonda sulla premessa dell’esistenza di un nesso causale tra l’esercizio del diritto economico alla libera circolazione da parte del sig. Carpenter e il soggiorno della moglie filippina nello Stato membro di cittadinanza e di residenza del sig. Carpenter. L’attività economica forniva il sostegno per sua moglie cittadina di un paese terzo. Viceversa, il sig. Carpenter dipendeva dalla moglie nella misura in cui essa si occupava dei suoi figli e dei lavori domestici, contribuendo in tal modo indirettamente al suo successo (99). Le condizioni alle quali il diritto alla vita familiare era esercitato erano, pertanto, tali da incidere sull’esercizio dei diritti di libera circolazione. Il diniego del diritto di soggiorno alla sig.ra Carpenter nello Stato membro di cittadinanza e di residenza del sig. Carpenter avrebbe potuto obbligarlo o a trasferirsi in un altro Stato membro per consentire a sua moglie di raggiungerlo in tale Stato (subordinatamente alle condizioni previste dalla direttiva 2004/38) o ad accettare la limitazione al suo diritto alla vita familiare, rinunciando alla presenza di sua moglie nello Stato membro d’origine, il che avrebbe influenzato le condizioni alle quali egli esercitava la sua libertà di prestazione di servizi in un altro Stato membro (senza soggiornarvi). Non è chiaro se ciò lo avrebbe, di fatto, indotto a cessare la sua attività all’estero, ma non fa parte del ragionamento della Corte.

118. Qual è l’importanza di tale analisi, in primo luogo, ai fini dell’esercizio attivo dei diritti di lavoratore di libera circolazione senza residenza e, in secondo luogo, ai fini dell’esercizio «passivo» del diritto di prestazione di servizi?

 Gli spostamenti transfrontalieri dei lavoratori, senza trasferimento della residenza

119. I cittadini dell’Unione che, senza trasferire la residenza, esercitano il diritto di libera circolazione nell’ambito di un’attività che contribuisce al sostentamento di familiari, o che li rende dipendenti da essi, potrebbero, per tale ragione, avere la necessità di essere raggiunti da taluni familiari nel loro Stato membro d’origine. Il collegamento tra la residenza e l’esercizio dei diritti di libera circolazione in tali situazioni può essere piuttosto evidente e semplice da stabilire. Ad esempio, se ai familiari di un lavoratore frontaliero viene negato il diritto di soggiorno, quest’ultimo potrebbe essere dissuaso dal lavorare in un altro Stato membro, o costretto a trasferire la propria residenza e a spostarsi con la famiglia in un altro Stato membro. Lo stesso è vero per i cittadini dell’UE che dipendono da un familiare perché quest’ultimo agevola o consente il loro esercizio del diritto di libera circolazione. Ciò deriva direttamente da quanto la Corte ha già sostenuto nella sentenza Carpenter con riferimento alla prestazione «attiva» di servizi a clienti residenti in un altro Stato membro.

120. C’è veramente differenza tra vivere nello Stato membro A, ma lavorare per un datore di lavoro nello Stato membro B (la posizione del referente G), e vivere nello Stato membro A e lavorare per un datore di lavoro anch’esso residente nello Stato membro A, svolgendo tuttavia un’attività lavorativa che richiede al lavoratore di recarsi in un altro Stato membro (la posizione del referente S)? Questo è l’interrogativo che scaturisce dalle due questioni sollevate nella causa C‑457/12.

121. Secondo me, no. In entrambi i casi, l’attività lavorativa del lavoratore impone allo stesso di attraversare una frontiera allo scopo di adempiere al proprio contratto di lavoro. Egli non può, al contempo, conservare il proprio lavoro e rimanere nello Stato membro d’origine. La questione diventa, quindi, se il fatto di limitare la presenza del familiare cittadino di un paese terzo nello Stato membro d’origine impedisca al lavoratore di attraversare la frontiera per adempiere al proprio contratto di lavoro o se lo renda molto più difficile. Le circostanze possono essere tali per cui, di fatto, ciò non fa alcuna differenza ai fini dell’esercizio del diritto di libera circolazione. Qualora, tuttavia, la capacità del lavoratore di dare esecuzione al proprio contratto sia significativamente compromessa per il fatto di non potersi avvalere del sostegno del familiare cittadino di un paese terzo (o se, di fatto, il lavoro transfrontaliero diventi impossibile), l’esercizio effettivo dei diritti di libera circolazione del cittadino dell’UE impone che i diritti di soggiorno derivati nello Stato membro d’origine debbano essere garantiti ai sensi del diritto dell’UE ai suoi familiari cittadini di un paese terzo.

122. Se il familiare cittadino di un paese terzo possa rivendicare tale diritto nello Stato membro d’origine del cittadino dell’UE dipende dalle stesse tre variabili che inizialmente hanno costituito la base per determinare i diritti derivati per i cittadini di paesi terzi ai sensi del diritto dell’UE. Esse sono:

–        il legame familiare con il cittadino dell’UE;

–        l’esercizio dei diritti di libera circolazione da parte del cittadino dell’UE e

–        il nesso di causalità tra la residenza del cittadino di un paese terzo e l’esercizio dei diritti di libera circolazione da parte del cittadino dell’UE.

123. La valutazione di tali criteri non ha automaticamente come risposta un semplice «si» o «no». La portata di qualsiasi restrizione alla libertà di circolazione può variare considerevolmente in funzione, ad esempio, dell’intensità del legame familiare. Al contempo, la rilevanza di tale legame e dipendenza rispetto alla scelta del cittadino dell’UE di esercitare o meno il diritto di libera circolazione può, analogamente, variare significativamente. Tale scelta risulta limitata se si dimostra che è probabile che il diniego della residenza al familiare cittadino di un paese terzo induca il cittadino dell’UE a spostarsi, smettere di spostarsi, o abbandonare la concreta prospettiva di spostarsi.

 Il godimento della libertà «passiva» di prestazione di servizi in un altro Stato membro, senza trasferirsi nello stesso

124. Questo è l’argomento della prima questione nella causa C‑456/12.

125. Nell’ambito di applicazione del diritto dell’UE, ad ogni cittadino dell’UE viene garantito lo stesso livello di tutela delle libertà fondamentali e del diritto alla vita familiare. A un cittadino dell’UE che si trasferisce in un altro Stato membro per fruire ivi di un servizio, qualunque esso sia, si applica il diritto dell’UE (100). Tuttavia, non da ogni esercizio del diritto di libera circolazione allo scopo di fruire di servizi sorgono obbligatoriamente diritti di soggiorno derivati per i familiari, cittadini di un paese terzo, del cittadino dell’UE nello Stato membro d’origine. Questo perché non ogni diniego di soggiorno rappresenta un ostacolo al ricongiungimento familiare tale da limitare il diritto fondamentale di circolare di un cittadino dell’UE (101).

126. Una società o un’economia senza servizi è diventata impensabile (102). Sempre più spesso, i cittadini dell’UE attraversano le frontiere per fruire di servizi. Per molti può trattarsi dell’unico tipo di diritto di libera circolazione che avranno mai occasione di esercitare: recarsi in vacanza, fare gite in giornata, ordinare libri on-line, e così via.

127. Ora, non tutte queste forme di esercizio della libertà passiva di prestazione di servizi da parte di un cittadino dell’Unione sono subordinate al fatto che anche i familiari cittadini di paesi terzi siano residenti nello Stato membro in cui risiede tale cittadino dell’UE.

128. Sebbene recarsi in un altro Stato membro allo scopo di fruire di una prestazione costituisca indubbiamente esercizio di una libertà economica, solitamente non è il tipo di attività che permette ai cittadini dell’UE di sostentare i propri familiari, o che li rende da loro dipendenti (magari per il rapporto costi/benefici dell’esercizio del diritto di libera circolazione). Perciò, gli ostacoli al ricongiungimento familiare incidono probabilmente meno sulle scelte di un cittadino dell’UE di trasferirsi e/o risiedere altrove.

129. Nella maggior parte dei casi, i diritti di soggiorno derivati per i familiari (che potrebbero portare al diritto di soggiorno permanente) non sono necessari affinché un cittadino dell’UE possa fruire di un servizio che è sostanzialmente temporaneo «non soltanto in rapporto alla durata della prestazione, ma anche tenendo conto della frequenza, periodicità o continuità» (103) e che, spesso, è un servizio ai consumatori per il quale un cittadino dell’UE paga, piuttosto che un’attività produttiva di redditi.

130. Il fatto che il servizio sia più piacevole se usufruito insieme ad un familiare di per sé non basta a configurare una limitazione al diritto di libera circolazione, perché non fa parte dei motivi che spingono i cittadini dell’UE ad attraversare le frontiere per fruire di un servizio (ad esempio, un pasto in un ristorante particolarmente gradevole), anziché rimanere nel proprio Stato membro di cittadinanza e di residenza per farlo.

131. Tuttavia, non escludo la possibilità che, in via eccezionale, i diritti di soggiorno derivati per il familiare cittadino di un paese terzo possano essere necessari. Potrebbe essere il caso, in particolare, di un cittadino dell’UE che diventi dipendente da un familiare proprio per le circostanze che lo inducono ad attraversare una frontiera allo scopo di fruire di prestazioni in un altro Stato. Si supponga, ad esempio, che un cittadino tedesco, residente in Germania e sposato con una cittadina cinese che non ha ottenuto l’autorizzazione a risiedere in tale paese, si ammali e richieda delle cure a lungo termine. Egli decide, per ragioni mediche, di ricevere tali cure in Belgio. Non ha alcuna intenzione di trasferire la propria residenza e stabilirsi in tale paese. Egli necessita, tuttavia, di assistenza per recarsi periodicamente in Belgio. Necessita, inoltre, di assistenza per gestire altre questioni, che non può più gestire personalmente. Diventa dipendente da una persona che gli presti assistenza. Comprensibilmente, vorrebbe che tale persona fosse la moglie cinese. Tale decisione rientra nella sfera della sua vita privata e familiare, ma al contempo, è legata alle condizioni alle quali egli esercita i diritti di libera circolazione.

 Gli spostamenti tra Stati membri allo scopo di beneficiare del diritto alla vita familiare

132. Che cosa succede se un cittadino dell’UE si trasferisce con l’unico scopo di esercitare il suo diritto ad una vita familiare insieme ad un membro della famiglia che risiede altrove nell’Unione europea? Può successivamente lamentare una restrizione all’esercizio del proprio diritto alla libera circolazione, se a tale familiare non viene consentito, ai sensi del diritto dell’UE, di stabilire legittimamente la propria residenza nel suo Stato membro di cittadinanza e di residenza? Tali questioni sono rilevanti ai fini della posizione di B e di O (causa C‑456/12), che sembrano avere entrambi attraversato le frontiere allo scopo di stare insieme al partner o al coniuge.

133. Si potrebbe sostenere che, se in conseguenza di un siffatto provvedimento restrittivo nazionale il cittadino dell’UE stabilisce la propria residenza in un altro Stato membro, ciò integra la funzione stessa della cittadinanza dell’UE ed illustra come i diritti di libera circolazione possono rafforzare l’esercizio del diritto alla vita familiare.

134. Tuttavia, la questione non è se siffatto provvedimento nazionale abbia come conseguenza (o consenta) la libera circolazione. Ciò che rileva è la libertà di scegliere se spostarsi o non spostarsi. Un provvedimento che impone uno spostamento limita tale scelta. È, pertanto, in contrasto con l’articolo 21, paragrafo 1, TFUE (104).

 Le condizioni alle quali è subordinato l’esercizio dei diritti di soggiorno derivati

135. Le questioni sottoposte dal giudice del rinvio riguardano l’esistenza di diritti di soggiorno derivati, ma tali diritti non sono incondizionati. Il loro esercizio può essere disciplinato dai Trattati o da una normativa di attuazione.

136. Ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 1, TFUE, ogni cittadino dell’UE ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, «fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai trattati e dalle disposizioni adottate in applicazione degli stessi».

137. Un cittadino dell’UE che si rechi in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza, ha il diritto di entrare e soggiornarvi alle condizioni stabilite dalla direttiva 2004/38. Per soggiornare per un periodo non superiore a 3 mesi, ad esempio, deve solo possedere una carta d’identità o un passaporto in corso di validità (105). Lo stesso vale per i familiari cittadini di paesi terzi, che lo accompagnino o lo raggiungano (106). Altre condizioni sono applicabili ai soggiorni superiori a tre mesi e al soggiorno permanente. Il cittadino dell’UE, qualora ritorni poi nello Stato membro d’origine, deve avere il diritto di essere accompagnato o raggiunto dai suoi familiari cittadini di un paese terzo, a condizioni non meno favorevoli di quelle applicabili, ai sensi del diritto dell’UE, nello Stato membro ospitante.

138. Si immagini che un cittadino dell’UE abbia soggiornato per due mesi nello Stato membro ospitante e che sia stato raggiunto dal coniuge, cittadino di un paese terzo. Le circostanze (forse la grave malattia di un genitore) lo inducono a ritornare nello Stato membro d’origine, dove intende risiedere con la moglie nell’immediato futuro. Può farlo a condizione che sua moglie soddisfi i presupposti di cui alla direttiva 2004/38. Il fatto che essa abbia vissuto con lui per soli due mesi nello Stato membro ospitante non implica che la durata del suo soggiorno nello Stato membro d’origine del cittadino dell’UE debba essere limitata nello stesso modo. Se così fosse, il cittadino dell’UE potrebbe essere costretto a non ritornare nel suo Stato membro d’origine per poter continuare a risiedere altrove nell’Unione europea insieme alla moglie, oppure a lasciarla in tale Stato quando fa ritorno nel proprio Stato membro, poiché lei potrebbe avere diritti di soggiorno solo per due mesi, mentre lui necessita di un soggiorno più lungo nel suo luogo di residenza. Se fossero rimasti nello Stato membro ospitante, a condizione di integrare i presupposti richiesti, la moglie sarebbe potuta rimanere per un periodo superiore a tre mesi e, probabilmente, vi avrebbe ottenuto un permesso di soggiorno permanente.

139. Infine, si pone la questione se il diritto di soggiorno derivato scada nel caso in cui sia decorso un intervallo di tempo (non definito) tra il ritorno del cittadino dell’UE nel suo Stato membro d’origine e l’arrivo del suo familiare. È questo il problema sollevato con la quarta questione nella causa C‑456/12 (che riguarda B).

140. La soluzione dipende, a mio parere, dalla ragione per la quale il cittadino dell’UE e il suo familiare, o familiari, non si sono trasferiti insieme.

141. Ai sensi della direttiva 2004/38, lo Stato membro ospitante non può negare il soggiorno ad un cittadino di un paese terzo sulla base del tempo trascorso. Quest’ultimo ha il diritto di «accompagnare o raggiungere» il cittadino dell’UE con il quale ha legami familiari che vanno presi in considerazione (107). Tale formulazione significa che il decorso di un lasso di tempo dopo che il cittadino dell’UE ha fatto ingresso nello Stato e vi ha stabilito la propria residenza, non può ostare a che un cittadino di un paese terzo lo «raggiunga» successivamente. In effetti, la Corte ha dichiarato che la direttiva 2004/38 non richiede che i familiari di un cittadino dell’Unione facciano ingresso nello Stato membro ospitante contemporaneamente al cittadino dell’UE dal cui status essi derivano diritti (108).

142. Non ritengo che il motivo della posticipazione sia rilevante. Ciò che rileva è che la decisione di trasferirsi con lo scopo di risiedere con un cittadino dell’UE sia presa nell’ambito dell’esercizio del diritto alla vita familiare. I cittadini dell’UE godono della libertà di decidere autonomamente come esercitare il diritto alla vita familiare (se non l’avessero, tale diritto sarebbe svuotato di significato). Molti preferiscono convivere con i propri familiari; altri potrebbero, in un dato momento, avere altre priorità (che potrebbero anche cambiare nel tempo), o potrebbero sussistere ostacoli pratici alla loro convivenza nell’immediato. Per contro, se un cittadino di un paese terzo e un cittadino dell’UE decidessero di non continuare la convivenza come coppia ed esercitare il loro diritto alla vita di famiglia, il cittadino del paese terzo non disporrebbe di un diritto di soggiorno derivato.

143. Ciò premesso, passo ora ad esaminare brevemente come il giudice del rinvio dovrebbe analizzare le situazioni di O, B, S e G.

 Cosa fa sorgere i diritti di soggiorno derivati di O, B, S e G?

–       O

144. La referente O si è trasferita dai Paesi Bassi, ha sposato O in Francia e si è quindi trasferita con il marito in Spagna. Se O soggiornava legittimamente con la referente O in qualità di cittadino di un paese terzo familiare di un cittadino dell’UE in forza della direttiva 2004/38, la referente O, qualora ritorni a lavorare e vivere nei Paesi Bassi, non dovrebbe beneficiare di un trattamento meno favorevole rispetto a quando si è trasferita in Spagna per ivi stabilirvi la sua residenza. Ne consegue, ove tali fatti siano confermati (questione sulla quale spetta, naturalmente, al giudice nazionale pronunciarsi) che, in virtù del diritto dell’UE, O avrebbe diritto a soggiornare legalmente nei Paesi Bassi. Tale diritto non è né incondizionato né assoluto. Esso è assoggettato alle condizioni e alle limitazioni previste dalla direttiva 2004/38 al pari del suo precedente diritto di soggiorno in Spagna.

–       B

145. La referente B ha esercitato diritti di libera circolazione ed ha stabilito la propria residenza in Belgio, probabilmente, allo scopo di vivervi (all’epoca) con il suo partner B (se la referente B fosse o meno alla ricerca di lavoro in Belgio non è chiaro e si tratta di una questione che spetta al giudice nazionale verificare). In qualità di semplice partner, tuttavia, B non rientrava nell’ambito di applicazione dell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, e non poteva, di conseguenza, far discendere un diritto di soggiorno in Belgio dal diritto dell’UE grazie al fatto che lì viveva la referente B. Se la referente B abbia o meno stabilito la propria residenza in Belgio non è quindi decisivo ai fini della richiesta di soggiorno di B nei Paesi Bassi.

146. Ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 1, TFUE, non rileva neanche il fatto che la referente B convivesse con B o che gli abbia reso visita in Marocco dopo il matrimonio, dal momento che tale disposizione garantisce solo i diritti di libera circolazione e di soggiorno nell’UE.

147. Non sembra neanche sussistere un nesso tra il diniego di soggiorno nei Paesi Bassi a B e l’esercizio da parte della referente B dei diritti garantiti dall’articolo 21, paragrafo 1, TFUE. Qualsiasi forma di esercizio di tali diritti si è conclusa prima che sorgesse un legame familiare tra B e la referente B.

148. Tuttavia, il semplice decorso di un lasso di tempo tra il ritorno della referente B nei Paesi Bassi e l’arrivo di B non inciderebbe su eventuali rivendicazioni di quest’ultimo con riferimento ad un diritto di soggiorno derivato, a condizione che la decisione di raggiungere la referente B nei Paesi Bassi sia stata presa nell’ambito dell’esercizio del loro diritto alla vita familiare (109).

–       S

149. Il referente S non è un «cittadino comunitario, a prescindere dal luogo di origine e dalla cittadinanza dello stesso, che abbia usufruito del diritto alla libera circolazione dei lavoratori e che abbia svolto un’attività lavorativa in un altro Stato membro» (110). Egli svolge attività lavorativa nello Stato membro di cui possiede la residenza e la cittadinanza e, quando si reca in Belgio e in altri Stati membri, non entra nel mercato del lavoro (111). Non è un lavoratore distaccato (112) né attraversa la frontiera allo scopo di prestare servizi in Belgio ai sensi dell’articolo 56 TFUE. Piuttosto, è presumibilmente il suo datore di lavoro a fornire servizi in altri Stati membri servendosi del referente S.

150. Resta, tuttavia, il fatto che il referente S esercita il suo diritto di libera circolazione in relazione con un’attività economica (la sua attività lavorativa nei Paesi Bassi), i cui risultati (salvo verifica da parte del giudice nazionale) contribuiscono al benessere della sua famiglia. La scelta costi/benefici di intraprendere questo tipo di lavoro è la necessità di trovare assistenza per suo figlio [spetta al giudice nazionale esaminare se avrebbe bisogno di tale assistenza (e in caso affermativo, nella stessa misura), nel caso in cui lavorasse semplicemente nei Paesi Bassi].

151. Si tratta quindi di esaminare le altre due variabili individuate in precedenza (113) e, precisamente, il legame familiare e il nesso di causalità.

152. Per quanto concerne il legame familiare tra S e il referente S, il giudice del rinvio ha considerato S ascendente diretto a carico, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2004/38. Tale constatazione implica che il giudice nazionale ritiene che il referente S fornisca un sostegno materiale ad S (alla luce dell’interpretazione restrittiva della nozione di familiare a carico, di cui alla direttiva 2004/38). A sua volta, il referente S sembrerebbe dipendere da S, nella misura in cui quest’ultima si occupa di suo figlio, mentre lui esercita diritti di libera circolazione legati al suo lavoro.

153. Il rechtbank, che ha inizialmente proceduto al riesame della decisione del Ministro, sembra avere considerato questo elemento non pertinente, sulla base del fatto che di suo figlio potrebbero occuparsi sia la moglie di S (anch’essa residente nei Paesi Bassi) sia servizi professionali di assistenza all’infanzia.

154. Su tale base, il giudice del rinvio ha espresso il parere preliminare che, se a S non fosse consentito di risiedere nei Paesi Bassi, il referente S non si troverebbe in una posizione peggiore per quanto concerne l’esercizio dei diritti di libera circolazione. Allo scopo di accertare se non vi sia, in effetti, un ragionevole nesso di causalità tra tali due elementi, il giudice del rinvio dovrà esaminare se il diniego del diritto di soggiorno a S indurrebbe il referente S a cercare un’altra occupazione, che non comporti l’esercizio di diritti di libera circolazione o non lo obblighi a trasferirsi con la famiglia, compresa S, in un altro Stato membro.

–       G

155. Il referente G è un lavoratore frontaliero ed ha continuato ad esserlo dopo il suo matrimonio in Perù con G, dalla quale ha avuto dei figli. In quanto coniugi, si presume che G e il referente G dipendano l’una dall’altro in termini materiali, giuridici ed emotivi. L’attività lavorativa prestata dalla referente G in un altro Stato membro sembrerebbe determinante ai fini di tale legame familiare.

156. È plausibile che a causa del diniego di soggiorno a G nei Paesi Bassi il referente G, che desidera convivere con G, decida di stabilire la propria residenza in Belgio (allo scopo di vivere insieme avvalendosi della direttiva 2004/38) e, di conseguenza, diventare un lavoratore migrante residente in un altro Stato membro. Ciò costituirebbe una limitazione della sua scelta di essere un lavoratore frontaliero – una libertà economica che è, tuttavia, garantita ai sensi dell’articolo 45 TFUE.

157. Non è detto invece che, per tale motivo, smetta di lavorare all’estero. Una decisione del genere, a parte il fatto che gli farebbe perdere i mezzi di sostentamento per la sua famiglia, compresa G, non migliorerebbe la posizione di residenza di G nei Paesi Bassi.

 Postscriptum

158. Che la Corte concordi o meno con l’analisi da me svolta in questa sede, la esorto a cogliere l’opportunità offerta da questi due procedimenti pregiudiziali per fornire un orientamento chiaro e strutturato in merito alle circostanze in cui il cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino dell’UE che risiede nel suo Stato membro d’origine, ma che esercita i suoi diritti di libera circolazione, può rivendicare un diritto di soggiorno derivato nello Stato membro d’origine in forza del diritto dell’UE.

 Conclusione

159.  Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali poste dal Raad van State come segue:

Causa C 456/12 O:

1)         La direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri non si applica direttamente ai cittadini dell’UE che ritornano nello Stato membro di cui possiedono la cittadinanza. Tuttavia, lo Stato membro di cittadinanza non può riservare a detti cittadini dell’UE un trattamento meno favorevole rispetto a quello spettante agli stessi ai sensi del diritto dell’UE nello Stato membro dal quale si sono trasferiti per tornare al loro Stato membro di cittadinanza. Di conseguenza, la direttiva 2004/38 stabilisce indirettamente il livello minimo di trattamento di cui devono beneficiare un cittadino dell’UE e i suoi familiari che ritornano nello Stato membro di cittadinanza del cittadino dell’UE.

2)         Il diritto dell’UE non esige che un cittadino dell’UE abbia soggiornato per un periodo minimo di tempo in un altro Stato membro affinché i suoi familiari cittadini di un paese terzo possano rivendicare un diritto di soggiorno derivato nello Stato membro di cui il cittadino dell’UE possiede la cittadinanza e nel quale esso fa successivamente ritorno.

3)         Un cittadino dell’UE esercita il proprio diritto di soggiorno in un altro Stato membro se rende tale Stato membro il centro abituale dei suoi interessi. Purché tale criterio sia soddisfatto, considerati tutti i fatti pertinenti, è irrilevante in questo contesto se tale cittadino dell’UE mantenga un’altra forma di soggiorno altrove o se la sua presenza fisica nello Stato membro di residenza venga meno regolarmente o di tanto in tanto.

4)         Qualora decorra del tempo tra il ritorno del cittadino dell’UE nello Stato membro di cui è cittadino e l’ingresso del familiare cittadino di un paese terzo in tale Stato membro, le pretese del familiare ad un diritto di soggiorno derivato in tale Stato membro non vengono meno, purché la decisione di raggiungere il cittadino dell’UE sia presa nell’esercizio del diritto alla vita familiare.

Causa C‑457/12 S:

Qualora un cittadino dell’UE che risiede nello Stato membro di cui possiede la cittadinanza eserciti diritti di libera circolazione legati al suo lavoro, il diritto dei suoi familiari cittadini di un paese terzo di soggiornare in detto Stato dipende dall’intensità del loro legame familiare con il cittadino dell’UE e dal nesso causale tra il luogo di residenza della famiglia e l’esercizio dei diritti di libera circolazione da parte del cittadino dell’UE. In particolare, il familiare deve disporre di un diritto di soggiorno qualora il diniego di tale diritto indurrebbe il cittadino dell’UE a cercare un’altra occupazione che non comporti l’esercizio di diritti di libera circolazione o lo obblighi a trasferirsi in un altro Stato membro. È irrilevante, a tale riguardo, che il cittadino dell’UE sia un lavoratore frontaliero o eserciti il suo diritto di libera circolazione allo scopo di adempiere al proprio contratto di lavoro, concluso con un datore di lavoro stabilito nel suo Stato membro di cittadinanza e di residenza.



1 –      Lingua originale: l’inglese.


2 –      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77 e, per rettifiche, GU 2004, L 229, pag. 35, GU 2005, L 30, pag. 27, GU 2005, L 197, pag. 34 e GU 2007, L 204, pag. 28 – solo la prima rettifica citata è rilevante ai fini delle disposizioni di cui trattasi nelle cause in esame).


3 –      Sentenza del 7 luglio 1992, Singh (Racc. pag. I‑4265).


4 –      Sentenza dell’11 dicembre 2007, Eind (Racc. pag. I‑10719).


5 –      Naturalmente, non tutti i diritti di cittadinanza vengono fatti dipendere dal fatto che un cittadino dell’UE abbia attraversato una frontiera. V., ad esempio, l’articolo 20, paragrafo 2, lettera d), TFUE. Esistono, inoltre, situazioni eccezionali in cui, anche senza attraversare frontiere tra Stati membri, un cittadino dell’UE sarebbe privato del «godimento reale ed effettivo dei diritti attribuiti» dalla cittadinanza dell’UE, se non esistessero diritti di soggiorno derivati per i familiari cittadini di un paese terzo: v. giurisprudenza relativa alle cause Ruiz Zambrano, McCarthy e Dereci, trattata ai paragrafi da 52 a 66 delle presenti conclusioni.


6 –      Sentenza del 5 maggio 2011, McCarthy (C‑434/09, Racc. pag. I‑3375, punti 29 e 34 e giurisprudenza ivi citata).


7 –      Sentenza McCarthy, cit. alla nota 6 supra, punto 29 e giurisprudenza ivi citata.


8 –      V., ad esempio, sentenze Singh, cit. alla nota 3 supra, punto 23 e Eind, cit. alla nota 4 supra, punto 32.


9 –      V., ad esempio, sentenza del 23 settembre 2003, Akrich (C‑109/01, Racc. pag. I‑9607, punti 55 e 56).


10 –      V., ad esempio, il considerando 5 del regolamento (CEE) n. 1612/68 del Consiglio, del 15 ottobre 1968, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità (GU 1968, L 257, pag. 2), e il considerando 6 del regolamento (UE) n. 492/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 aprile 2011 relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione (GU 2011, L 141, pag. 1).


11 –      V., ad esempio, sentenza del 1° aprile 1986, 59/85 (Reed, Racc. pag. I‑1283, punto 28) (in cui la Corte ha argomentato in questo senso con riferimento alla presenza di un compagno non coniugato).


12 –      V., ad esempio, sentenza del 17 settembre 2002, Baumbast e R (C‑413/99, Racc. pag. I‑7091, punto 83).


13 –      Sentenze dell’8 maggio 2013, Ymeraga e a. (C‑87/12, punto 35) e del 10 ottobre 2013, Alokpa e a., C‑86/12 (punto 22).


14 –      V., ad esempio, il sesto considerando della direttiva 2004/38.


15 –      Sentenza del 9 gennaio 2007, Jia (C‑1/05, Racc. pag. I‑1, punti 35 e 37 e giurisprudenza ivi citata). V. altresì, ad esempio, sentenze del 23 aprile 2012, Rahman e a. (C‑83/11, punti 32, 33 e 35) e Alokpa e a., cit. alla nota 13 supra, punto 25 e giurisprudenza ivi citata.


16 –      V. sentenza del 6 dicembre 2012, O e S (C‑356/11 e C‑357/11, punto 56). Nella causa Carpenter (sentenza dell’11 luglio 2002, C‑60/00, Racc. pag. I‑6279), la Corte sembra considerare rilevante il fatto che il sig. Carpenter dipendesse dalla moglie, in quanto lei si prendeva cura dei suoi figli. V. anche paragrafi da 113 a 117 infra.


17 –      V, ad esempio, sentenza del 5 giugno 1997, Uecker e Jacquet (C‑64/96 e C‑65/96, Racc. pag. I‑3171, punto 16 e giurisprudenza ivi citata).


18 –      Sentenza dell’8 novembre 2012, Iida (C‑40/11, punto 77 e giurisprudenza ivi citata).


19 –      Questo sembra essere l’effetto cumulativo delle sentenze dell’8 marzo 2011, Ruiz Zambrano (C‑34/09, Racc. pag. I‑1177, punti 43 e 44); McCarthy, cit. alla nota 6 supra, punti 46 e 47 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 15 novembre 2011, Dereci (C‑256/11, Racc. pag. I‑11315, punto 66).


20 –      Sentenza Iida, cit. alla nota 18 supra, punto 76. Nel giungere a tale conclusione, la Corte aveva sottolineato che il sig. Iida non chiedeva un diritto di soggiorno, con la moglie e la figlia, nello Stato membro ospitante (l’Austria), bensì nello Stato membro di origine di queste ultime (la Germania), che i due cittadini dell’UE non erano stati dissuasi dall’esercitare i loro diritti di libera circolazione e che lo stesso sig. Iida disponeva di taluni diritti di soggiorno ai sensi sia del diritto nazionale sia del diritto dell’UE (v. punti da 73 a 75).


21 –      Sentenza Ruiz Zambrano, cit. alla nota 19 supra, punto 42 e giurisprudenza ivi citata. La Corte ha, pertanto, ammesso che il sig. Ruiz Zambrano, cittadino colombiano, poteva soggiornare nello Stato membro di cittadinanza e di residenza dei suoi figli minorenni, che erano cittadini dell’UE (ma non avevano mai lasciato lo Stato membro in cui sono nati) ed erano a suo carico.


22 –      Sentenza Ruiz Zambrano, cit. alla nota 19 supra, punto 44. A tale riguardo, non è stata fatta menzione dei diritti fondamentali e non è stata neanche spiegata la logica soggiacente alla suddetta conclusione.


23 –      Sentenza McCarthy cit. alla nota 6 supra. Mentre è, effettivamente, evidente che la sig.ra McCarthy poteva rimanere nel Regno Unito da sola in virtù della sua cittadinanza e che, negando al marito i diritti derivati in quanto familiare cittadino di un paese terzo, non veniva privata del diritto di circolare sancito dal diritto dell’UE, è meno chiaro se la Corte abbia esaminato in dettaglio le implicazioni. Forse la risposta in breve era, semplicemente: «il diritto dell’UE non può risolvere la questione, si faccia ricorso alla CEDU».


24 Sentenza Dereci, cit. alla nota 19 supra, punto 66. Il sig. Dereci era un cittadino turco, la cui moglie e figli erano austriaci ed avevano sempre soggiornato in Austria, dove egli desiderava convivere con loro.


25 Sentenza Dereci, cit. alla nota 19 supra, punto 67. V. anche sentenza Iida, cit. alla nota 18 supra, punto 71.


26 Sentenza Dereci, cit. alla nota 19 supra, punto 68.


27       Sentenza Dereci, cit. alla nota 19 supra, punto 72.


28 –      Nella sentenza Iida (citata alla nota 18 supra, punto 80), la Corte sembra avere adottato un criterio leggermente diverso [e precisamente, se il sig. Iida avesse diritto ad un particolare vantaggio in virtù del diritto dell’UE (una carta di soggiorno)] per decidere se l’applicazione di una legge nazionale di attuazione del diritto dell’UE potesse rientrare nell’ambito di applicazione di diritto dell’UE.


29 –      Articolo 51 della Carta. V. anche sentenza del 26 febbraio 2011, Åkerberg Fransson (C‑617/10, punti 20 e 21) come recentemente confermato nella sentenza del 26 settembre 2013, Texdata Software (C‑418/11, punto 73).


30 –      V., in proposito, le mie conclusioni nella causa Pfleger (C‑390/12, ancora pendente dinanzi alla Corte, paragrafi da 35 a 47), che si basano sul materiale contenuto nelle spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali (GU 2007, C 303, pag. 17). Ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 7, della Carta, i giudici dell’Unione e degli Stati membri devono «[tenere] nel debito conto» tali spiegazioni. Nel contesto della cittadinanza dell’Unione, un esempio di obbligo negativo sarebbe il caso di uno Stato membro che cerchi di far valere motivi di ordine pubblico per escludere dal suo territorio un cittadino dell’UE, che è cittadino di un altro Stato membro. La libertà d’azione dello Stato membro è limitata, in questo caso, dalle prescrizioni del diritto dell’UE, che esso non deve violare. Per un dibattito a più ampio raggio, v. paragrafi da 155 a 177 delle mie conclusioni relative alla sentenza Ruiz Zambrano, cit. alla nota 19, supra.


31 –      V., ad esempio, sentenza Iida, cit. alla nota 18 supra, punto 77, e giurisprudenza ivi citata.


32 –      V., ad esempio, sentenza Carpenter, cit. alla nota 16 supra, punto 40, e giurisprudenza ivi citata.


33 –      L’articolo 52, paragrafo 3, della Carta stabilisce che: «Laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla [CEDU], il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla [CEDU]». Tuttavia, l’articolo 52, paragrafo 3, «non preclude che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa».


34 –      Sentenza McCarthy, cit. alla nota 6 supra, punto 28 e giurisprudenza ivi citata.


35 –      Sentenza Eind, cit. alla nota 4 supra, punto 43, e giurisprudenza ivi citata.


36 –      Sentenza del 25 luglio 2008, Metock e a. (C‑127/08, Racc. pag. I‑6241, punto 84, che cita la sentenza Eind, cit. alla nota 4 supra, punto 43).


37 –      Articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2004/38.


38 –      Sentenza Metock e a., cit. alla nota 36 supra, punti 54, 58, 70 e 80. Nella sentenza Metock e a., la Corte ha riconsiderato la sua posizione nella sentenza Akrich, cit. alla nota 9 supra (v. punto 58). La sentenza Metock e a. era successiva alla decisione di B di trasferirsi in Marocco ma, in ogni caso, all’epoca, B e la referente B non erano ancora sposati. V. paragrafo 27 supra.


39 –      Sentenza Metock e a., cit. alla nota 36 supra, punto 49.


40 –      Sentenza Dereci, cit. alla nota 19 supra, punto 55 e, per quanto riguarda i coniugi, sentenza McCarthy, cit. alla nota 6 supra, punto 42 e giurisprudenza ivi citata.


41 –      V., anche, paragrafo 48 supra.


42 –      Sentenza Iida, cit. alla nota 18 supra, punto 57. V., anche, paragrafo 48 supra.


43 –      Il corsivo è mio.


44 –      È anche possibile nascere in uno Stato membro A, senza mai uscirne, ma non avere altra nazionalità, che quella dello Stato membro B [v., ad esempio, Catherine Zhu nella sentenza del 19 ottobre 2004, Zhu e Chen (C‑200/02, Racc. pag. I‑9925)], ma questa non è una situazione comune.


45 –      V., ad esempio, sentenza Iida, cit. alla nota 18 supra, punto 64.


46 –      Sentenza Iida, cit. alla nota 18 supra, punto 64, e giurisprudenza ivi citata. Al punto 51 (e nella giurisprudenza ivi citata), la Corte ha affermato che i diritti derivati d’ingresso e soggiorno dipendono dal fatto se un cittadino dell’UE abbia «esercitato il suo diritto alla libera circolazione, stabilendosi in uno Stato membro diverso dallo Stato membro di cui egli ha la cittadinanza».


47 –      V. articoli 7, paragrafo 1, e 16, paragrafo 1 della direttiva 2004/38.


48 –      V. considerando 4 e 19 della direttiva 2004/38.


49 –      Non vedo alcun fondamento per concludere che, malgrado la formulazione dell’articolo 3, paragrafo 1, i redattori abbiano inteso ampliare l’ambito di applicazione della direttiva 2004/38 facendo riferimento, in altre disposizioni, allo «Stato membro ospitante» o ad «un altro Stato membro».


50 –      V. sentenze McCarthy, cit. alla nota 6 supra, punto 39, e Dereci, cit. alla nota 19 supra, punto 54.


51 –      Situazioni più specifiche possono riguardare, ad esempio, cittadini dell’UE che possiedono una doppia cittadinanza e si spostano tra i loro Stati membri d’origine.


52 –      Sentenza Iida, cit. alla nota 18 supra, punto 64, e giurisprudenza ivi citata.


53 –      V. paragrafo 95 infra.


54 –      Sentenza McCarthy, cit. alla nota 6 supra, punto 34; v. anche, punto 37. V. anche paragrafi 28 e 29 delle conclusioni dell’avvocato generale Kokott.


55 –      Conclusioni dell’avvocato generale Trstenjak nella causa Iida, cit. alla nota 18 supra, in particolare paragrafi 48 e 54.


56 –      V., ad esempio, paragrafo 47 delle sue conclusioni, nella sentenza Iida, cit. alla nota 18 supra,


57 –      Cit. alla nota 3 supra.


58 –      Direttiva del Consiglio, 73/148/CEE, del 21 maggio 1973, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei cittadini degli Stati membri all’interno della Comunità in materia di stabilimento e di prestazione di servizi (GU 1973, L 172, pag. 14).


59 –      V. articolo 38, paragrafo 2, della direttiva 2004/38.


60 –      V. infra paragrafi da 91 a 96.


61 –      V. infra paragrafi da 91 a 97, nonché 110 e 111.


62 –      Articolo 4, paragrafo 3, TUE, secondo il quale «[i]n virtù del principio di leale cooperazione, l’Unione e gli Stati membri si rispettano e si assistono reciprocamente nell’adempimento dei compiti derivanti dai trattati».


63 –      Causa del 29 aprile 2004, Pusa (C‑224/02, Racc. pag. I‑5763, paragrafo 22 delle conclusioni).


64 –      Tale privazione estrema di un diritto fondamentale di cittadinanza è contemplata nella riformulazione, nella sentenza Dereci, del principio di cui alla sentenza Ruiz Zambrano (entrambe le sentenze sono citate alla nota 19 supra). Per motivi di precisione, ricordo che talune disposizioni, come l’articolo 20, paragrafo 2, lettera c), TFUE (tutela delle autorità diplomatiche in un paese terzo) conferiscono ai cittadini dell’UE diritti di cui possono beneficiare al di fuori del territorio dell’UE.


65       Cit. alla nota 16 supra.


66 –      Cit. alla nota 3 supra.


67       Cit. alla nota 4 supra.


68 –      Esaminerò la sentenza Carpenter, cit. alla nota 16 supra, successivamente, ai punti 113 e segg.


69 –      Sentenza Singh, cit. alla nota 3 supra, punti 19 e 23.


70 –      V. sentenza Singh, cit. alla nota 3 supra, punto 21; v., inoltre, sentenze Eind, cit. alla nota 4 supra, punto 39, e del 7 ottobre 2010, Lassal (C‑162/09, Racc. pag. I‑9217, punto 59 e giurisprudenza ivi citata).


71 –      Sentenza Singh, cit. alla nota 3 supra, punto 20.


72 –      Sentenza Eind, cit. alla nota 4 supra, punti 37 e 44 e giurisprudenza ivi citata (che comprende un riferimento alla sentenza Carpenter, cit. alla nota 16 supra.); v., anche, sentenza Iida, cit. alla nota 18 supra, punto 70.


73 –      V., ad esempio, sentenza Metock e a., cit. alla nota 36 supra, punti 88, 89 e 92 (per quanto concerne la costituzione di una famiglia dopo avere esercitato il diritto di libera circolazione).


74 –      Ciò risulta dal modo in cui la Corte ha formulato i punti 19 e 23 della sentenza nella causa Singh, citata alla nota 3 supra. V. inoltre i passaggi della sentenza Metock e a., citati nella nota precedente.


75 –      V., ad esempio, l’articolo 7 della direttiva del Consiglio 83/182/CEE del 28 marzo 1983, relativa alle franchigie fiscali applicabili all’interno della Comunità in materia di importazione temporanea di taluni mezzi di trasporto (GU 1983, L 105, pag. 59), come modificata.


76 –      V., ad esempio, regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (GU 2004, L 166, pag. 1), come più volte modificato; regolamento (CE) n. 593/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 giugno 2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I) (GU 2008, L 177, pag. 6); regolamento (CE) n. 864/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 luglio 2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali (Roma II) (GU 2007, L 199, pag. 40) e direttiva 2009/138/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 novembre 2009 in materia di accesso ed esercizio delle attività di assicurazione e di riassicurazione (Solvibilità II) (GU 2009, L 335, pag. 1).


77 –      V., ad esempio, sentenza del 16 maggio 2013, Wencel (C‑589/10, punti da 48 a 51, riguardante la possibilità di disporre contemporaneamente di due residenze abituali in forza del regolamento del Consiglio regolamento (CEE) n. 1408/71 del 14 giugno 1971 relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità (GU 1971, L 149, pag. 1), abrogato dal regolamento (CE) n. 883/2004.


78 –      V., ad esempio, direttiva 2004/38.


79 –      V., ad esempio, sentenza del 9 ottobre 1984, Witte/Parlamento (188/83, Racc. pag. 3465, punti da 8 a 11) con riferimento alla concessione di un’indennità di dislocazione.


80       V. articolo 22 del TFUE.


81 –      Cit. alla nota 77 supra.


82 –      Sentenza del 25 febbraio 1999, Swaddling (C‑90/97, Racc. pag. I‑1075, punto 28).


83 –      Sentenza Swaddling, cit. alla nota 82 supra, punto 29 e giurisprudenza ivi citata.


84 –      V., ad esempio, sentenze del 17 febbraio 1977, Di Paolo (76/76, Racc. pag. 315); dell’8 luglio 1992, Knoch (C‑102/91, Racc. pag. I‑4341); v. inoltre conclusioni dell’avvocato generale Saggio nella causa Swaddling, cit. alla nota 82 supra, paragrafo 17. V. altresì, ad esempio, sentenza del 23 aprile 1991, Ryborg (C‑297/89, Racc. pag. I‑1943, punti 24 e 25), e del 12 luglio 2001, Louloudakis (C‑262/99, Racc. pag. I‑5547, punto 55).


85 –      Per evitare questo paradosso logico, la maggior parte dei criteri di residenza legale specifica per la residenza un periodo di «riferimento» fisso (e quindi necessariamente arbitrario). Non sussiste, tuttavia, alcuna differenza oggettiva tra la presenza un giorno prima o un giorno dopo rispetto al numero magico.


86 –      V. ad esempio, sentenza di Paolo, cit. alla nota 84 supra, punti 17 e 21.


87 –      Ad esempio, gli Stati membri non considerano mai che una persona non risiede nel loro territorio ai fini fiscali, solo perché risiede ai fini fiscali (anche) in un altro Stato membro.


88 –      V. articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2004/38.


89 –      Sentenza Eind, cit. alla nota 4 supra, punti 38 e 39. Il regolamento n. 1612/68 è stato modificato dalla direttiva 2004/38. È ora stato abrogato dal regolamento (UE) n. 492/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 aprile 2011 relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione (GU 2011, L 141, pag. 1).


90 –      V. anche i successivi paragrafi da 135 a 142.


91 –      In effetti, il cittadino dell’UE, se dovesse risiedere in modo continuativo per «tot» mesi prima di avere il diritto di essere raggiunto dai propri familiari, potrebbe essere «accompagnato» da loro solamente lasciando il territorio dopo avervi passato «tot» tempo e ritornandovi successivamente insieme alla propria famiglia, fatto che difficilmente agevolerebbe l’esercizio dei suoi diritti di libera circolazione.


92       Cit. alla nota 3 supra.


93 –      Cit. alla nota 4 supra.


94       Cit. alla nota 16 supra.


95 –      Sentenza Carpenter, cit. alla nota 16 supra, punti 14 e 19.


96 –      Sentenza Carpenter, cit. alla nota 16 supra, punto 39.


97 –      Sentenza Carpenter, cit. alla nota 16 supra, punto 39.


98       V. sentenza Carpenter, cit. alla nota 16 supra, punto 38.


99 –      L’Immigration Adjudicator ha accertato effettivamente che la sig.ra Carpenter aveva indirettamente contribuito, in tal modo, al crescente successo dell’impresa del marito: sentenza Carpenter, cit. alla nota 16 supra, punto 18. L’avvocato generale Stix-Hackl ha considerato tale fatto irrilevante sotto il profilo del diritto di soggiorno ai sensi del diritto dell’Unione europea (v. paragrafi 103 a 105 delle sue conclusioni). A mio parere l’esplicito richiamo della Corte a tale fatto, esprime il suo disaccordo con l’avvocato generale su tale punto.


100 –      V., in proposito, sentenza del 24 settembre 2013, Demirkan (C‑221/11, punti 35 e 36).


101 –      V. anche, in proposito, paragrafo 5 delle conclusioni dell’Avvocato generale Tesauro nella causa Singh, citata alla nota 3 supra.


102 –      V. anche, ad esempio, conclusioni dell’Avvocato generale Cruz Villalón nella causa Demirkan, cit. alla nota 97 supra, specialmente paragrafi 49 e 50.


103 –      Sentenza del 30 novembre 1995, Gebhard (C‑55/94, Racc. pag. I‑4165, punto 27).


104 –      V., anche, paragrafo 89 supra. Desidero ricordare che, in base agli elementi di fatto, nulla suggerisce la sussistenza di matrimoni di convenienza, frodi o abusi di diritto (v. paragrafo 42 supra).


105 –      Articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2004/38.


106 –      Articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2004/38. Naturalmente, al loro ingresso nel territorio dello Stato membro, tali cittadini di paesi terzi devono, soddisfare anche eventuali obblighi relativi al visto d’ingresso. V. articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2004/38.


107 –      V., ad esempio, articoli 6, paragrafo 2, 7, paragrafo 2, e 16, paragrafo 2, della direttiva 2004/38. V., inoltre, sentenza Eind, cit. alla nota 4 supra, punto 38.


108 –      V., ad esempio, sentenza Metock, cit. alla nota 36 supra, punto 90; ordinanza del 19 dicembre 2008 nella causa Sahin (C‑551/07, Racc. pag. I‑10453, punto 28) e sentenza O e S, citata alla nota 16 supra, punto 54.


109       V. paragrafi da 141 a 142 delle presenti conclusioni.


110 –      Sentenza del 13 dicembre 2012, Caves Krier Frères (C‑379/11, punto 25 e giurisprudenza ivi citata).


111 –      V., in proposito, sentenza del 9 agosto 1994, Vander Elst (C‑43/93, Racc. pag. I‑3803, punto 21 e giurisprudenza ivi citata.


112 –      V. articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 96/71/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 1996, relativa al distacco di lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi (GU 1997, L 18, pag. 1).


113 –      Paragrafo 122 supra.