Language of document : ECLI:EU:C:2002:758

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

F.G. JACOBS

presentate il 12 dicembre 2002 (1)

Causa C-171/01

Wählergruppe Gemeinsam Zajedno/Birlikte Alternative und Grüne GewerkschafterInnen/UG

1.
    La decisione n. 1/80 (2) del Consiglio di associazione istituito dall'accordo CEE-Turchia (3) vieta qualsiasi discriminazione in base alla cittadinanza, riguardo alla retribuzione e alle altre condizioni di lavoro, nei confronti dei lavoratori turchi negli Stati membri. Il Verfassungsgerichtshof (Corte costituzionale) austriaco intende stabilire se tale disposizione osti ad una normativa nazionale ai sensi della quale i lavoratori turchi non sono eleggibili all'assemblea generale di una camera dei lavoratori e, in caso di risposta affermativa, se la disposizione stessa abbia effetto diretto.

Sfondo normativo

L'accordo CEE-Turchia e la decisione n. 1/80

2.
    Le finalità dell'accordo sono essenzialmente l'instaurazione di vincoli sempre più stretti e l'espansione degli scambi fra la Turchia e la Comunità, lo sviluppo dell'economia turca ed il miglioramento del livello dell'occupazione e del tenore di vita del popolo turco, in vista della futura adesione della Turchia alla Comunità. Esso prevede una fase preparatoria, una fase transitoria - che è quella attualmente in corso - ed una fase definitiva (4).

3.
    Ai sensi dell'art. 9, le parti contraenti riconoscono che nel campo di applicazione dell'accordo qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalità è vietata in conformità del principio enunciato in quello che è divenuto, in seguito a modifica, l'art. 12 CE.

4.
    Gli artt. 12-14 dell'accordo prevedono la graduale realizzazione della libera circolazione dei lavoratori, della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi. Ai sensi dell'art. 12, le parti contraenti convengono di ispirarsi a quelli che sono divenuti, in seguito a modifica, gli artt. 39-41 CE per realizzare gradualmente tra di loro la libera circolazione dei lavoratori.

5.
    Un protocollo addizionale allegato all'accordo (5) stabilisce le condizioni, le modalità ed i ritmi di realizzazione della fase transitoria. Gli artt. 36-40 di tale protocollo riguardano la libera circolazione dei lavoratori. Ai sensi dell'art. 36, «la libera circolazione dei lavoratori tra gli Stati membri della Comunità e la Turchia sarà realizzata gradualmente, conformemente ai principi enunciati all'articolo 12 dell'Accordo di associazione (...). Il consiglio di Associazione stabilirà le modalità all'uopo necessarie».

6.
    L'art. 37 del protocollo prevede: «Ciascuno Stato membro accorda ai lavoratori di nazionalità turca occupati nella Comunità un regime caratterizzato dall'assenza di discriminazioni fondate sulla nazionalità nei confronti dei lavoratori cittadini degli altri Stati membri della Comunità, per quanto riguarda le condizioni di lavoro e la retribuzione».

7.
    L'art. 6 dell'accordo istituisce un «Consiglio di associazione» per assicurare l'applicazione ed il progressivo sviluppo del regime di associazione. Ai sensi dell'art. 22, n. 1, il Consiglio di associazione, nei casi previsti dall'accordo, dispone di un potere di decisione, e le parti contraenti sono tenute a prendere le misure necessarie all'esecuzione delle decisioni così adottate. A norma dell'art. 23, esso comprende, da un lato, membri dei governi degli Stati membri, del Consiglio e della Commissione della Comunità, e, dall'altro, membri del governo turco.

8.
    Il 19 settembre 1980 il Consiglio di associazione adottava la decisione n. 1/80, il cui art. 10, n. 1, prevede: «Gli Stati membri della Comunità concedono ai lavoratori turchi appartenenti al loro regolare mercato del lavoro un regime caratterizzato dalla mancanza di qualsiasi discriminazione in base alla nazionalità rispetto ai lavoratori comunitari, con riferimento alla retribuzione e alle altre condizioni di lavoro».

Disposizioni del Trattato e regolamento n. 1612/68

9.
    Come si è accennato in precedenza, l'accordo CEE-Turchia fa riferimento ad una serie di disposizioni del Trattato, alla luce delle quali dev'essere interpretato tale accordo.

10.
    L'art. 12 CE dispone: «Nel campo di applicazione del presente Trattato (...) è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità». L'art. 39 assicura la libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità, ed il n. 2 del medesimo articolo prevede che tale libera circolazione implica «l'abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l'impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro» (6). Tuttavia, ai sensi del n. 4, le disposizioni dell'art. 39 non sono applicabili agli «impieghi nella pubblica amministrazione». Ai sensi dell'art. 40, il Consiglio stabilisce, mediante direttive o regolamenti, le misure necessarie per attuare la libera circolazione dei lavoratori, quale è definita dall'art. 39.

11.
    Una di tali misure è il regolamento del Consiglio n. 1612/68 (7). L'art. 7, n. 1, recita: «Il lavoratore cittadino di uno Stato membro non può ricevere sul territorio degli altri Stati membri, a motivo della propria cittadinanza, un trattamento diverso da quello dei lavoratori nazionali per quanto concerne le condizioni di impiego e di lavoro, in particolare in materia di retribuzione, licenziamento, reintegrazione professionale o ricollocamento se disoccupato»; e, ai sensi dell'art. 8, n. 1 (8), tale lavoratore «gode della parità di trattamento per quanto riguarda l'iscrizione alle organizzazioni sindacali e l'esercizio dei diritti sindacali, ivi compreso il diritto di voto e l'accesso ai posti amministrativi o direttivi di un'organizzazione sindacale; egli può essere escluso dalla partecipazione alla gestione di organismi di diritto pubblico e dall'esercizio di una funzione di diritto pubblico. Gode inoltre del diritto di eleggibilità negli organi di rappresentanza dei lavoratori nell'impresa. (...)».

La giurisprudenza «ASTI»

12.
    Nel 1991 la Corte pronunciava una sentenza nella causa C-213/90, ASTI (9). La controversia oggetto della causa principale riguardava l'obbligo di versare contributi alla «Chambre des Employés Privés», una camera professionale del Lussemburgo, per conto di lavoratori dipendenti che erano cittadini comunitari ma non lussemburghesi e che, ai sensi della normativa vigente in Lussemburgo, erano obbligatoriamente iscritti alla camera professionale ma, a causa della loro cittadinanza, non avevano diritto di voto alle elezioni dei suoi membri.

13.
    La Corte esaminava la questione innanzi tutto alla luce dell'art. 8, n. 1, del regolamento n. 1612/68, che, essa affermava, «va oltre l'ambito delle organizzazioni sindacali propriamente dette e include, segnatamente, la partecipazione dei lavoratori ad organismi i quali, pur non avendo la natura giuridica di organizzazioni sindacali, svolgono compiti analoghi di tutela e rappresentanza degli interessi dei lavoratori» (10) ed «osta a che una legge nazionale neghi ai lavoratori stranieri il diritto di voto alle elezioni dei membri di una camera professionale cui essi sono obbligatoriamente iscritti, alla quale devono versare contributi, cui è affidata la tutela degli interessi dei lavoratori iscritti e che ha funzioni consultive in materia legislativa» (11).

14.
    Nel pervenire a tale decisione, la Corte rigettava l'argomento, addotto dal governo del Lussemburgo, secondo cui una camera professionale rientrerebbe nell'eccezione prevista all'art. 8, n. 1, a causa della natura, propria di detta camera, di diritto pubblico nonché della sua associazione all'esercizio dei pubblici poteri tramite la sua funzione consultiva. La Corte osservava che siffatta eccezione (che corrisponde alla deroga di cui all'art. 39, n. 4, CE) permette soltanto di escludere eventualmente i lavoratori degli altri Stati membri da talune attività che implicano la partecipazione ai pubblici poteri (12).

15.
    Successivamente, nella sentenza 18 maggio 1994, causa C-118/92, Commissione/Lussemburgo (13), la Corte confermava il proprio orientamento e dichiarava inoltre che, «mantenendo in essere una normativa che esclude i lavoratori cittadini di altri Stati membri, occupati in tale paese, dal diritto di elettorato attivo o passivo alle elezioni indette in seno alle camere professionali lussemburghesi», il Granducato di Lussemburgo era venuto meno agli obblighi ad esso incombenti a norma dell'attuale art. 39, n. 2, CE e dell' art. 8, n. 1, del regolamento n. 1612/68.

La normativa austriaca in questione

16.
    In Austria, enti noti come Kammern für Arbeiter und Angestellte (camere degli operai e degli impiegati; in prosieguo: le «camere dei lavoratori») in ciascun Land, che insieme costituiscono la Bundeskammer für Arbeiter und Angestellte (camera federale degli operai e degli impiegati; in prosieguo: la «Bundesarbeitskammer»), rappresentano e promuovono gli interessi sociali, economici, professionali e culturali dei lavoratori. Ai sensi dell'Arbeiterkammergesetz (legge sulla camera dei lavoratori; in prosieguo: l'«AKG») del 1992, essi sono enti di diritto pubblico.

17.
    Secondo l'ordinanza di rinvio, i loro compiti più importanti includono:

-    la rappresentanza degli interessi dei lavoratori, ivi compresi i disoccupati ed i pensionati ex dipendenti, in particolare la designazione di rappresentanti in vari enti ed organizzazioni;

-    il controllo delle condizioni di lavoro;

-    la collaborazione con le associazioni professionali volontarie abilitate alla contrattazione collettiva e con gli organi di rappresentanza di interessi nelle aziende; e

-    la consulenza ai lavoratori iscritti alla Camera in materia di diritto del lavoro e della previdenza sociale, in particolare assicurando loro il patrocinio legale.

18.
    Nell'ambito delle loro competenze, le camere dei lavoratori inoltre, seguendo le direttive vincolanti degli organi statali, possono espletare funzioni di amministrazione dello Stato loro delegate con legge; tuttavia, secondo l'ordinanza di rinvio, non sarebbe stato loro delegato alcun significativo potere in tal senso.

19.
    Di norma tutti i lavoratori sono iscritti alle camere dei lavoratori e sono tenuti al versamento di contributi alle stesse.

20.
    Tra gli organi di una camera dei lavoratori figura un'assemblea generale («Vollversammlung»), i cui componenti sono eletti per cinque anni dai lavoratori aventi diritto di voto. Sono elettori tutti i lavoratori che alla data delle elezioni risultino iscritti alla camera, a prescindere dalla loro cittadinanza.

21.
    Per quanto riguarda l'elettorato passivo, tuttavia, l'art. 21 dell'AKG pone determinate condizioni, fra le quali il requisito dell'eleggibilità (salvo la sola età elettorale) al parlamento austriaco. Tale requisito esclude in particolare tutte le persone prive della cittadinanza austriaca.

Procedimento

22.
    Nel 1999 si sono svolte le elezioni per l'assemblea generale della camera dei lavoratori del Land Vorarlberg.

23.
    Un gruppo denominato «Gemeinsam Zajedno/Birlikte Alternative und Grüne GewerkschafterInnen/UG» (in prosieguo: il «Gemeinsam» presentava alle suddette elezioni una lista di 26 candidati, fra i quali 5 cittadini turchi aventi pieno titolo a beneficiare dei diritti conferiti dall'accordo CEE-Turchia. La commissione elettorale, tuttavia, cancellava dalla lista i cinque cittadini turchi perchè privi della cittadinanza austriaca.

24.
    Il gruppo Gemeinsam otteneva due dei 70 seggi complessivi, con 1 535 voti su un totale di 45 444 voti validi. Esso contestava quindi la validità delle elezioni dinanzi al Ministro federale competente, il quale respingeva il ricorso, sostanzialmente per il motivo che, ancorchè il requisito della cittadinanza austriaca fosse effettivamente illegittimo alla luce del divieto di discriminazione, direttamente applicabile, di cui all'art. 10, n. 1, della decisione n. 1/80, la cancellazione dei nominativi dei cittadini turchi dalla lista dei candidati non poteva aver influito sul risultato elettorale, poiché il voto era per liste e non per singoli candidati.

25.
    Il gruppo Gemeinsam ed i cinque cittadini turchi esclusi dalla lista elettorale proponevano quindi un ulteriore ricorso, questa volta dinanzi al Verfassungsgerichtshof, contestando in sostanza la seconda parte della motivazione della decisione ministeriale. Sotto tale profilo detta corte concorda chiaramente con i ricorrenti, ma essa sembra interessata alla prima parte della motivazione, nella quale il Ministro aveva riconosciuto l'illegittimità della norma in questione. Essa esprime dubbi sul fatto che l'eleggibilità all'assemblea generale di una camera dei lavoratori possa rientrare nella nozione di «altre condizioni di lavoro» di cui all'art. 10, n. 1, della decisione.

26.
    Il Verfassungsgerichtshof sottopone pertanto a codesta Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)    Se l'art. 10, n.1, della decisione del Consiglio di associazione 19 settembre 1980, n. 1/80, relativa allo sviluppo dell'associazione, debba essere interpretato nel senso che tale disposizione osta alla normativa di uno Stato membro che escluda i lavoratori turchi dall'eleggibilità all'assemblea generale di una camera dei lavoratori.

2)    In caso di risposta affermativa alla prima questione, se l'art. 10, n. 1, della decisione del Consiglio di associazione 19 settembre 1980, n. 1/80, relativa allo sviluppo dell'associazione, sia una norma di diritto comunitario direttamente applicabile».

27.
    Il gruppo Gemeinsam, la camera dei lavoratori del Vorarlberg, il governo austriaco e la Commissione hanno presentato osservazioni scritte e tutti i predetti soggetti, ad eccezione del governo austriaco, hanno esposto osservazioni orali all'udienza del 24 ottobre 2002.

28.
    Può essere utile tener presente che un correlato procedimento per inadempimento, intentato dalla Commissione nei confronti della Repubblica d'Austria, è attualmente pendente dinanzi alla Corte (causa C-465/01).

29.
    Il 9 luglio 1999 la Commissione informava le autorità austriache che, ai sensi dell'art. 226 CE, essa riteneva che le disposizioni di diritto austriaco concernenti l'eleggibilità alle camere dei lavoratori ed ai consigli di azienda violassero l'art. 39 CE, l'art. 28 dell'accordo SEE e i divieti di discriminazioni contenuti in vari accordi di associazione conclusi dalla Comunità. Il 4 dicembre 2001 la Commissione presentava il suo ricorso alla Corte.

30.
    L'oggetto di tale procedimento è più ampio di quello della presente causa, poiché esso riguarda altresì i consigli di azienda e interessa tanto i cittadini dell'Unione europea quanto quelli degli altri paesi del SEE, ma la decisione della causa in esame può contribuire utilmente a dirimere i punti controversi in tale procedimento.

Valutazione

La prima questione

31.
    L'art. 10, n. 1, della decisione n. 1/80 del Consiglio di associazione vieta ogni discriminazione in base alla cittadinanza, riguardo alla retribuzione e alle altre condizioni di lavoro, dei lavoratori turchi appartenenti al regolare mercato del lavoro dello Stato membro ospitante rispetto ai lavoratori comunitari. E' pacifico che la presente causa riguarda soltanto cittadini turchi regolarmente appartenenti a detto mercato del lavoro.

32.
    La questione che si pone è quella se il diritto ad essere eletti all'assemblea generale di una camera dei lavoratori in Austria rientri in tale divieto di discriminazioni.

33.
    In sostanza, sono stati proposti due motivi a sostegno di una soluzione negativa. In primo luogo, come suggerito dal giudice a quo e sostenuto dal governo austriaco, siffatto diritto potrebbe non rientrare nella nozione di «condizioni di lavoro» ai fini della disposizione in questione. In secondo luogo, come sostenuto dalla camera dei lavoratori del Vorarlberg, anche se rientrasse nella predetta nozione, tale diritto potrebbe nondimeno essere escluso dal campo di applicazione del divieto di discriminazioni in quanto i candidati eletti partecipano all'esercizio di pubblici poteri.

a) Se il diritto di eleggibilità all'assemblea generale di una camera dei lavoratori sia una «condizione di lavoro»

34.
    Nel campo della libera circolazione dei lavoratori la Corte ha interpretato l'accordo CEE-Turchia, il Protocollo addizionale e le decisioni del Consiglio di associazione alla luce degli artt. 39-41 CE - come è evidentemente corretto, tenendo conto dell'art. 12 dell'accordo.

35.
    Molto recentemente, per esempio, nella sentenza Nazli (14), essa ha dichiarato:

«Le disposizioni contenute nel capitolo II, sezione 1, della decisione n. 1/80 (15) costituiscono (...) una tappa supplementare verso la realizzazione della libera circolazione dei lavoratori, dato che si ispirano agli artt. .39-41 CE. (...) (16). Una giurisprudenza costante ha desunto dal tenore degli artt. 12 dell'accordo di associazione e 36 del protocollo addizionale, nonché dall'obiettivo perseguito dalla decisione n. 1/80, che i principi sanciti nell'ambito degli artt. .39-41 CE. devono essere trasposti, nei limiti del possibile, ai cittadini turchi che fruiscono dei diritti conferiti dalla decisione n. 1/80 (...) (17).

Di conseguenza, per determinare la portata dell'eccezione di ordine pubblico prevista dall'art. 14, n. 1, della decisione n. 1/80, occorre far riferimento all'interpretazione della medesima eccezione in tema di libera circolazione dei lavoratori che siano cittadini degli Stati membri della Comunità. Tale interpretazione è tanto più giustificata in quanto la suddetta disposizione è redatta in termini quasi identici a quelli dell'.art. 39, n. 3, CE.» (18).

36.
    Quest'ultima considerazione sembra importante nella causa in esame, alla luce della stretta analogia fra le relative previsioni dell'art. 39, n. 2, CE, e dell'art. 10, n. 1, della decisione n. 1/80.

37.
    Inoltre, l'art. 9 dell'accordo CEE-Turchia fa espressamente proprio il divieto generale di discriminazioni sancito dall'art. 12 CE.

38.
    Nell'ambito di applicazione del Trattato, dalle sentenze ASTI e Commissione/Lussemburgo emerge con chiarezza che la legge austriaca non può escludere cittadini comunitari dall'eleggibilità all'assemblea generale di una camera dei lavoratori.

39.
    Un unico argomento potrebbe chiaramente essere addotto contro l'applicazione di tale principio a lavoratori turchi ormai appartenenti al regolare mercato del lavoro di uno Stato membro e che non possono dunque essere discriminati riguardo alle condizioni di lavoro.

40.
    L'art. 8, n. 1, del regolamento n. 1612/68, sul quale la Corte si è particolarmente fondata in tali sentenze, è formulato in termini più espliciti rispetto all'art. 39, n. 2, CE. Esso è anche più esplicito dell'art. 7, n. 1, del regolamento n. 1612/68, il cui tenore è più simile a quello dell'art. 10, n. 1, della decisione n. 1/80. Potrebbe quindi ritenersi che l'art. 8, n. 1, preveda un'estensione dei diritti normalmente accordati ai lavoratori nel contesto della libera circolazione, spingendosi al di là di quanto comunemente si intende per «condizioni di lavoro», ma un'estensione espressamente circoscritta ai cittadini della Comunità (e degli altri paesi del SEE), ai quali si applica il regolamento n. 1612/68. Il fatto che una disposizione altrettanto esplicita non sia stata inserita nel contesto dell'accordo CEE-Turchia potrebbe dunque interpretarsi nel senso che il diritto di eliggibilità negli organi di rappresentanza dei lavoratori non vi si applichi.

41.
    Malgrado ciò, dissento da tale punto di vista.

42.
    Mi sembra evidente che il diritto di far parte di organi di rappresentanza dei lavoratori costituisca per sua natura una «condizione di lavoro» del genere contemplato nel Trattato, nel regolamento n. 1612/68, nell'accordo CEE-Turchia e nel suo protocollo addizionale, e nella decisione n. 1/80.

43.
    Della nozione di condizioni di lavoro, che compare in una serie di atti comunitari nel contesto di un divieto di discriminazioni, la Corte, come hanno rilevato sia il giudice a quo ed il governo austriaco sia la Commissione, ha dato un'ampia definizione, ad esempio nella sentenza Meyers (19), che riguardava una discriminazione in base al sesso riguardo al diritto al «family credit». La Corte ha rifiutato di circoscrivere tale nozione esclusivamente alle condizioni di lavoro stabilite nel contratto di lavoro subordinato od applicate dal datore di lavoro, il che, come essa ha osservato, avrebbe avuto l'effetto di escludere dall'ambito di applicazione del divieto di discriminazioni in questione (20) situazioni che rientrano direttamente nella sfera del rapporto di lavoro.

44.
    A mio avviso non può ragionevolmente affermarsi che un lavoratore privato del diritto - goduto dai cittadini del suo Stato ospitante - di beneficiare della partecipazione ad organizzazioni sindacali o ad altri analoghi organi di rappresentanza degli interessi dei lavoratori, non sia vittima di discriminazioni riguardo alle condizioni di lavoro. Nessuna delle ampie definizioni di tale nozione coerentemente accolte dalla Corte è tale da scindere la partecipazione alle varie sedi in cui sono disciplinate le condizioni di lavoro dalle condizioni medesime, o la partecipazione nella forma del diritto di voto dalla partecipazione nella forma del diritto a presentare la propria candidatura.

45.
    In altri termini, laddove tutti i lavoratori sono assoggettati alle medesime condizioni di lavoro sostanziali ed esiste un organo in grado di esercitare una certa influenza su dette condizioni, non può dirsi che non vi sia discriminazione, riguardo alle condizioni di lavoro, fra un gruppo che ha il diritto sia di candidarsi all'elezione a tale organo sia di votare i candidati ed un altro gruppo che ha soltanto il diritto di votare.

46.
    Negare tale diritto ad un lavoratore, infatti, appare incompatibile con il risalto dato dagli Stati membri, ad esempio nel preambolo al Trattato UE e nell'art. 136 CE, ai diritti sociali fondamentali dei lavoratori. Ciò potrebbe inoltre - a prescindere completamente dalla discriminazione nei confronti delle persone interessate - avere ripercussioni negative sull'influenza di tali organi di rappresentanza e comprometterne la legittimazione se, in un settore, un'area od un'impresa particolari, una percentuale significativa di lavoratori dovesse risultare esclusa in base ad una norma come quella in questione.

47.
    Ritengo pertanto che l'art. 8, n. 1, del regolamento n. 1612/68 chiarisca la portata del divieto di discriminazioni sancito all'art. 39, n. 2, CE e ribadito dall'art. 7, n. 1, del medesimo regolamento.

48.
    Oltre a ciò, tuttavia, esso chiarisce la limitazione di tale portata risultante dall'art. 39, n. 4, CE - a norma del quale l'art. 39 non è applicabile agli impieghi nella pubblica amministrazione - prevedendo che il lavoratore non cittadino possa essere escluso «dalla partecipazione alla gestione di organismi di diritto pubblico e dall'esercizio di una funzione di diritto pubblico». Dovrebbe quindi essersi tenuto conto di entrambi gli aspetti di tale chiarimento nel definire la portata dell'analogo divieto sancito all'art. 10, n. 1, della decisione n. 1/80.

b) Se l'elezione all'assemblea generale di una camera dei lavoratori comporti una partecipazione all'esercizio di pubblici poteri

49.
    La camera dei lavoratori del Vorarlberg adduce tre ordini di argomenti, sottolineando come il diritto di far parte di una rappresentanza di lavoratori sia subordinato all'art. 39, n. 4, CE, che trova applicazione qualora «i posti di cui trattasi siano (...) caratteristici dell'attività specifica della pubblica amministrazione in quanto incaricata dell'esercizio dei pubblici poteri e responsabile della tutela degli interessi generali dello Stato» (21).

50.
    Innanzi tutto, essa osserva al riguardo che le camere dei lavoratori sono organi di rappresentanza autonomi, non territoriali, disciplinati dal diritto pubblico e soggetti ai requisiti costituzionali di democrazia, con poteri quasi-legislativi e decisionali che implicano l'esercizio di pubblici poteri. La partecipazione al processo democratico sarebbe subordinata al possesso della cittadinanza pertinente, con l'unica eccezione del diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali, riconosciuto ad ogni cittadino dell'Unione ai sensi dell'art. 19, n. 1, CE. Quest'ultima, tuttavia, sarebbe una limitata eccezione espressamente prevista dal Trattato. Le camere dei lavoratori austriache costituirebbero un diverso organo democratico di livello decentrato, non rientrante nell'anzidetta eccezione, cosicchè l'eleggibilità alle stesse sarebbe preclusa persino ai cittadini dell'Unione. Lo stesso dovrebbe, a maggior ragione, valere per i cittadini turchi.

51.
    In secondo luogo, la camera dei lavoratori ha fornito alla Corte un accurato elenco esaustivo degli organismi governativi a cui i suoi membri o delegati possono essere designati o nominati e che, a suo parere, eserciterebbero funzioni pubbliche.

52.
    In terzo luogo, essa rileva che l'art. 3, n. 2, della decisione n. 3/80 del Consiglio di associazione, adottata nello stesso giorno della decisione n. 1/80, esclude espressamente i lavoratori turchi dall'eleggibilità agli organi degli istituti di previdenza sociale, mentre consente loro di partecipare alle relative elezioni (22). L'art. 10, n. 1, della decisione n. 1/80 dovrebbe, a suo parere, essere interpretato in questa luce.

53.
    Vale la pena di rilevare al riguardo che gli argomenti della camera dei lavoratori del Vorarlberg sembrano contraddire il punto di vista espresso dal Verfassungsgerichtshof nella causa principale. Il giudice a quo afferma con chiarezza (23) che le caratteristiche considerate rilevanti dalla Corte di Giustizia nelle sentenze ASTI e Commissione/Lussemburgo sembrano attagliarsi alle camere dei lavoratori austriache e che i tipici poteri di queste ultime di collaborare con l'amministrazione in campo economico e sociale o di far entrare loro membri in organi amministrativi non attribuiscono loro alcun diritto di partecipare, in quanto tali, all'esercizio dei pubblici poteri.

54.
    Il Verfassungsgerichtshof è indubbiamente più qualificato di codesta Corte per determinare il ruolo, la natura ed i poteri delle camere dei lavoratori ai sensi del diritto interno. Pertanto spetterà innanzi tutto a detto giudice determinare in che misura tali camere possano esercitare pubblici poteri.

55.
    In ogni caso, anche alla luce delle osservazioni estremamente complete sottoposte alla Corte dalla camera dei lavoratori, a me sembra che la tesi sostenuta da quest'ultima non trovi alcun fondamento nel diritto comunitario.

56.
    Innanzi tutto, occorre sottolineare che quella in esame è una limitazione posta ad un diritto fondamentale, che in quanto tale dev'essere interpretata restrittivamente.

57.
    Tale limitazione, inoltre, deriva dall'art. 39, n. 4, CE e dovrebbe essere interpretata in maniera conforme sia nell'art. 8, n. 1, del regolamento n. 1612/68 sia nell'art. 10, n. 1, della decisione n. 1/80. Secondo la costante giurisprudenza della Corte, si devono considerare impieghi nella pubblica amministrazione «tutti quegli impieghi che implicano una partecipazione, diretta o indiretta, all'esercizio del pubblico potere ed alle funzioni che hanno per oggetto la salvaguardia degli interessi generali dello Stato o delle altre collettività pubbliche e che presuppongono, per questo motivo, da parte dei titolari dell'impiego, l'esistenza di un rapporto particolare di solidarietà nei confronti dello Stato nonché la reciprocità dei diritti e dei doveri che sono il fondamento del vincolo di cittadinanza. Gli impieghi così esclusi sono solo quelli che, tenuto conto dei compiti e delle responsabilità che comportano, possono presentare le caratteristiche delle attività specifiche della pubblica amministrazione nei settori summenzionati». A mio parere, nessuno degli esempi addotti dalla camera dei lavoratori fornisce alcuna prova dell'esistenza di un siffatto rapporto particolare di solidarietà e di reciprocità dei diritti e dei doveri (24).

58.
    Il fatto che dette camere siano soggette a vincoli di democraticità e costituzionalità non sembra in sé significativo, e qualsiasi valutazione della loro legittimazione democratica deve senz'altro tener conto dell'identità e degli interessi dei rappresentati - nel caso di specie, dei lavoratori occupati nello Stato membro anziché dei lavoratori cittadini di quest'ultimo. Inoltre, i tipi di provvedimento che le camere stesse hanno il potere di adottare sembrano essere essenzialmente riconducibili all'autodisciplina; la stessa camera dei lavoratori del Vorarlberg pone in evidenza il loro carattere autonomo ed il fatto che la loro sfera di attività è essenzialmente limitata agli interessi di coloro che esse rappresentano.

59.
    E' vero che, nell'elenco degli organismi cui le camere dei lavoratori possono inviare i loro membri, ne compaiono alcuni che possono esercitare pubblici poteri (ancorchè molti altri abbiano chiaramente funzioni meramente consultive e, nella maggior parte dei casi, il diritto delle camere dei lavoratori sembri ridotto a quello di proporre una rosa di candidati tra i quali un'autorità pubblica possa effettuare una o più nomine). Tuttavia, anche se l'eccezione prevista dall'art. 39, n. 4, CE e dall'art. 8, n. 1, del regolamento n. 1612/68 si applica alla partecipazione a detti organismi, cosicchè i lavoratori turchi non possono essere chiamati a farne parte, ciò non significa che a tali lavoratori debba essere preclusa la partecipazione alle assemblee generali delle stesse camere dei lavoratori. Come la Corte ha dichiarato nella sentenza Commissione/Belgio (25), che è citata nella sentenza ASTI:

«l'art. 8 .del regolamento n. 1612/68. non mira ad escludere i lavoratori degli altri Stati membri da determinati posti, ma consente solo di escludere eventualmente detti lavoratori da determinate attività che implicano la partecipazione ai pubblici poteri, quali - per non menzionare che gli esempi addotti dallo stesso governo belga - quelle implicanti “la presenza dei rappresentanti sindacali nei consigli d'amministrazione di numerosi enti pubblici di carattere economico”».

60.
    Non mi sembra neppure che il proposto confronto con l'esclusione dei lavoratori turchi dall'eleggibilità agli organi degli enti previdenziali ai sensi dell'art. 3, n. 2, della decisione n. 3/80 suffraghi l'orientamento suggerito. Semmai, esso conferma anzi chiaramente la tesi che ho dianzi esposto, secondo cui a tali lavoratori è consentito partecipare ad organismi che inviano loro membri ad organi cui sono conferiti pubblici poteri ma non essere essi stessi membri di tali organi.

61.
    Pervengo così alla conclusione che, nella valutazione, operata dal Verfassungsgerichthof, del ruolo e dei poteri delle camere dei lavoratori austriache e fatto salvo soltanto qualche mutamento in tale valutazione, l'art. 10, n. 1, della decisione n. 1/80 del Consiglio di associazione osta ad una norma di diritto interno che precluda ai lavoratori turchi l'eleggibilità all'assemblea generale di tali camere.

La seconda questione

62.
    E' evidente che sia l'accordo di associazione sia le decisioni del Consiglio di associazione possono, in linea di principio, avere effetto diretto. La Corte, in una delle sue più recenti decisioni in questo campo, ha espresso tale principio nei seguenti termini: «una disposizione di un accordo stipulato dalla Comunità con paesi terzi va considerata direttamente efficace qualora, tenuto conto del suo tenore letterale nonché dello scopo e della natura dell'accordo, implichi un obbligo chiaro e preciso la cui esecuzione ed i cui effetti non siano subordinati all'adozione di alcun atto ulteriore» (26).

63.
    Nella sentenza Sevince (27) la Corte aveva già confermato che, dato il loro collegamento diretto con l'accordo di cui costituiscono l'attuazione, le decisioni del Consiglio di associazione formano, allo stesso titolo dell'accordo e dal momento della loro entrata in vigore, parte integrante dell'ordinamento giuridico comunitario.

64.
    Per quanto riguarda l'art. 10, n. 1, della decisione n. 1/80, può essere utile riferirsi alla sentenza Sürül (28) sull'analoga disposizione dell'art. 3, n. 1, della decisione n. 3/80 del Consiglio di associazione (29). Tale paragrafo, affermava la Corte, sanciva, in termini chiari, precisi e tassativi, il divieto di operare discriminazioni, a motivo della nazionalità, a danno delle persone cui si applicava la decisione. Esso dettava un obbligo di risultato preciso e, pertanto, poteva esser fatto valere da un amministrato dinanzi all'autorità giudiziaria nazionale affinché questa disapplicasse le disposizioni discriminatorie di una normativa di uno Stato membro che assoggettasse la concessione di un diritto ad una condizione non imposta nei confronti dei cittadini nazionali. Non risultava necessaria, a tal fine, l'adozione di misure di applicazione integrative. L'art. 3, n. 1, costituiva solamente l'attuazione e la concretizzazione, nel particolare settore della previdenza sociale, del principio generale di non discriminazione in base alla nazionalità sancito dall'art. 9 dell'accordo, che a sua volta fa rinvio all'art. 12 CE (30).

65.
    La Corte era già pervenuta ad un'analoga conclusione (31) con riguardo all'art. 40, primo comma, dell'accordo CEE-Marocco (32), che recita: «Ogni Stato membro concede ai lavoratori di cittadinanza marocchina, occupati nel proprio territorio, un regime che, per quanto riguarda le condizioni di lavoro e di retribuzione, è caratterizzato dall'assenza di qualsiasi discriminazione, basata sulla nazionalità, rispetto ai propri cittadini». Inoltre è stato parimenti dichiarato che i divieti di discriminazione contenuti nell'accordo di associazione con la Polonia hanno effetto diretto (33).

66.
    Alla luce della giurisprudenza della Corte, dello scopo e della natura dell'accordo CEE-Turchia (34) e della lettera della disposizione stessa, sembra evidente che, al pari di tali altre disposizioni, l'art. 10, n. 1, della decisione n. 1/80 contiene un obbligo chiaro e preciso che non è subordinato all'adozione di alcun atto ulteriore. Esso ha pertanto effetto diretto e può essere fatto valere dai singoli nei procedimenti dinanzi ai giudici nazionali. Non vedo neppure alcuna ragione per far dipendere tale effetto diretto, come propone la camera dei lavoratori del Vorarlberg, dall'interpretazione dell'art. 10, n. 1, in combinato disposto con l'art. 3, n. 2, della decisione n. 3/80, che è un provvedimento completamente distinto ed in ogni caso chiaramente non conduce alla conclusione proposta dalla suddetta camera.

67.
    La soluzione della seconda questione proposta deriva dunque inevitabilmente - così come la soluzione della prima questione - dalla giurisprudenza emanata dalla Corte.

Conclusione

68.
    Ritengo pertanto che la Corte dovrebbe risolvere nei seguenti termini le questioni proposte dal Verfassungsgerichtshof:

«1)    L'art. 10, n. 1, della decisione n. 1/80 del Consiglio di associazione istituito dall'accordo CEE-Turchia deve interpretarsi nel senso che tale disposizione osta ad una normativa nazionale che escluda i lavoratori turchi appartenenti al regolare mercato del lavoro di uno Stato membro dal diritto di eleggibilità all'assemblea generale di un ente quale una camera dei lavoratori in Austria, purchè una siffatta assemblea generale non partecipi essa stessa all'esercizio di pubblici poteri.

2)    L'art. 10, n. 1, della decisione n. 1/80 ha effetto diretto».


1: -     Lingua originale: l'inglese.


2: -    Decisione del Consiglio di associazione 19 settembre 1980, n. 1/80, relativa allo sviluppo dell'associazione (non pubblicata ufficialmente).


3: -    Accordo che crea un'associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia, firmato ad Ankara il 12 settembre 1963, approvato con decisione del Consiglio 28 dicembre 1963, 64/732/CEE (GU 1964, n. 217, del 29.12.1964, pag. 3685).


4: -    V. il preambolo e l'art. 2.


5: -    Firmato a Bruxelles il 23 novembre 1970 e confermato con regolamento (CEE) del Consiglio 19 dicembre 1972, n. 2760 (GU L 293, del 29.12.1972, pag. 1). Ai sensi dell'art. 62, esso costituisce parte integrante dell'accordo.


6: -    L'art. 28, n. 2, dell'Accordo sullo Spazio economico europeo (GU L 1, del 3.1.1994, pag. 3; in prosieguo: l'«accordo SEE») contiene un'identica disposizione per quanto concerne la discriminazione fra i lavoratori degli Stati membri della CE e quelli degli altri Stati del SEE.


7: -    Regolamento (CEE) del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità (GU L 257, del 19.10.1968, pag. 2).


8: -    Come modificato dal regolamento (CEE) del Consiglio 9 febbraio 1976, n. 312, che modifica le disposizioni riguardanti i diritti sindacali dei lavoratori contenute nel regolamento (CEE) n. 1612/68 (GU L 39, del 14.2.1976, pag. 2).


9: -    Sentenza 4 luglio 1991 (Racc. pag. I-3507).


10: -    Punto 16 della sentenza.


11: -    Punto 21 e dispositivo.


12: -    Punti 18 e 19 della sentenza, in cui si cita la sentenza 17 dicembre 1980, causa 149/79, Commissione/Belgio (Racc. pag. 3881), punto 15.


13: -    Racc. pag. I-1891.


14: -    Sentenza 10 febbraio 2000, causa C-340/97 (Racc. pag. I-957, punti 54-56).


15: -    Quelle, cioè, relative all'occupazione e alla libera circolazione dei lavoratori, ivi compreso l'art. 10.


16: -    Citando le sentenze 6 giugno 1995, causa C-434/93, Bozkurt (Racc. pag. I-1475, punti 14 e 19); 23 gennaio 1997, causa C-171/95, Tetik (Racc. pag. I-329, punto 20), e 19 novembre 1998, causa C-210/97, Akman (Racc. pag. I-7519, punto 20).


17: -    Citando le sentenze Bozkurt, cit., punti 14, 19 e 20; Tetik, cit., punti 20 e 28; 26 novembre 1998, causa C-1/97, Birden (Racc. pag. I-7747, punto 23); 30 settembre 1997, causa C-36/96, Günaydin (Racc. pag. I-5143, punto 21), e 30 settembre 1997, causa C-98/96, Ertanir (Racc. pag. I-5179, punto 21).


18: -    A norma di entrambe le disposizioni citate vengono conferiti diritti, «fatte salve le limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica».


19: -    Sentenza 13 luglio 1995, causa C-116/94 (Racc. pag. I-2131, in particolare punto 24).


20: -    Vale a dire, in quel caso, l'art. 5, n. 1, della direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU L 39, pag. 40).


21: -    Sentenza 3 giugno 1986, causa 307/84, Commissione/Francia (Racc. pag. 1725, punto 12, e giurisprudenza ivi citata).


22: -    Il testo completo dell'art. 3 è il seguente:

    «Parità di trattamento

    1. Le persone che risiedono nel territorio di uno degli Stati membri ed alle quali sono applicabili le disposizioni della presente decisione, sono soggette agli obblighi e sono ammesse al beneficio della legislazione di ciascuno Stato membro alle stesse condizioni dei cittadini di tale Stato, fatte salve le disposizioni particolari della presente decisione.

    2. Le disposizioni del paragrafo 1 sono applicabili al diritto di eleggere i membri degli organi delle istituzioni di sicurezza sociale o di partecipare alla loro designazione, ma non pregiudicano le disposizioni delle legislazioni degli Stati membri per quanto riguarda l'eleggibilità e le modalità di designazione degli interessati a tali organi».


23: -    Al punto 3.2.4 dell'ordinanza di rinvio.


24: -    V., ad esempio, sentenza 27 novembre 1991, causa C-4/91, Bleis (Racc. pag. I-5627, punto 6, nonchè la giurisprudenza ivi citata).


25: -    Cit. alla nota 12, punto 15 della sentenza.


26: -    Sentenza 29 gennaio 2002, causa C-162/00, Pokrzeptowicz-Meyer, punto 19, in cui si citano, tra le altre, le sentenze 4 maggio 1999, causa C-262/96, Sürül (Racc. pag. I-2685, punto 60) e 27 settembre 2001, causa C-63/99, Gloszczuk (Racc. pag. I-6369, punto 30). La causa riguardava l'accordo di associazione tra la Polonia e le Comunità.


27: -    Sentenza 20 settembre 1990, causa C-192/89 (Racc. pag. I-3461, punto 9).


28: -    Cit. supra, nota 26, punti 60 e segg.


29: -    Riportata supra, nota 22.


30: -    La Corte citava la sentenza 31 gennaio 1991, causa C-18/90, Kziber (Racc. pag. I-199, punti 15-23), confermata dalle sentenze 20 aprile 1994, causa C-58/93, Yousfi (Racc. pag. I-1353, punti 16-19); 5 aprile 1995, causa C-103/94, Krid (Racc. pag. I-719, punti 21-24); 3 ottobre 1996, causa C-126/95, Hallouzi-Choho (Racc. pag. I-4807, punti 19 e 20); 15 gennaio 1998, causa C-113/97, Babahenini (Racc. pag. I-183, punti 17 e 18), relative al principio di non discriminazione contenuto nell'art. 39, n. 1, dell'accordo di cooperazione CEE-Algeria [v. regolamento (CEE) del Consiglio 26 settembre 1978, n. 2210 (GU L 263, pag. 1), e nell'art. 41, n. 1, dell'accordo di cooperazione CEE-Marocco (v. regolamento (CEE) del Consiglio 26 settembre 1978, n. 2211 (GU L 264, pag. 1)].


31: -    Nella sentenza 2 marzo 1999, causa C-416/96, El-Yassini (Racc. pag. I-1209, punti 25-32).


32: -    Cit. supra, nota 30.


33: -    V. sentenze Glosczuk, punti 29-38, e Pokrzeptowicz-Meyer, punti 19-30, entrambe cit. supra, nota 26.


34: -    V. supra, paragrafi 2-4, e sentenza Nazli, cit. al paragrafo 35.