Language of document : ECLI:EU:C:2005:636

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

25 ottobre 2005 (*)

«Agricoltura – Indicazioni geografiche e denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed alimentari – Denominazione “feta” – Regolamento (CE) n. 1829/2002 – Validità»

Nelle cause riunite C-465/02 e C-466/02,

aventi ad oggetto ricorsi d’annullamento ai sensi dell’art. 230 CE, proposti il 30 dicembre 2002,

Repubblica federale di Germania, rappresentata dal sig. W.‑D. Plessing, in qualità di agente, assistito dal sig. M. Loschelder, Rechtsanwalt,

ricorrente nella causa C-465/02,

Regno di Danimarca, rappresentato dai sigg. J. Molde e J. Bering Liisberg, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente nella causa C-466/02,

sostenuti da

Repubblica francese, rappresentata dal sig. G. de Bergues e dalla sig.ra A. Colomb, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, rappresentato dalla sig.ra C. Jackson, in qualità di agente, con domicilio eletto in Lussemburgo,

intervenienti,

contro

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. J. L. Iglesias Buhigues e H. C. Støvlbæk, nonché dalle sig.re A.‑M. Rouchaud-Joët e S. Grünheid, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

sostenuta da

Repubblica ellenica, rappresentata dai sigg. V. Kontolaimos e I.‑K. Chalkias, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

interveniente,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. P. Jann, C. W. A. Timmermans, A. Rosas e J. Malenovský, presidenti di sezione, J.‑P. Puissochet, R. Schintgen, dalla sig.ra N. Colneric, dai sigg. S. von Bahr, J. N. Cunha Rodrigues (relatore), J. Klučka, U. Lõhmus e E. Levits, giudici,

avvocato generale: sig. D. Ruiz-Jarabo Colomer

cancelliere: sig.ra K. Sztranc, amministratore,

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 15 febbraio 2005,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 10 maggio 2005,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1       La Repubblica federale di Germania e il Regno di Danimarca chiedono l’annullamento del regolamento (CE) della Commissione 14 ottobre 2002, n. 1829, che modifica l’allegato del regolamento (CE) n. 1107/96 per quanto riguarda la denominazione «Feta» (GU L 277, pag. 10; in prosieguo: il «regolamento impugnato»).

 Contesto normativo

2       L’art. 2, nn. 1-3, del regolamento (CEE) del Consiglio 14 luglio 1992, n. 2081, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed alimentari (GU L 208, pag. 1; in prosieguo. il «regolamento di base»), così dispone:

«1.      La protezione comunitaria delle denominazioni d’origine e delle indicazioni geografiche dei prodotti agricoli ed alimentari è ottenuta conformemente al presente regolamento.

2.      Ai fini del presente regolamento si intende per:

a)      “denominazione d’origine”: il nome di una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali, di un paese che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare

–       originario di tale regione, di tale luogo determinato o di tale paese

e

–       la cui qualità o le cui caratteristiche siano dovute essenzialmente o esclusivamente all’ambiente geografico comprensivo dei fattori naturali ed umani e la cui produzione, trasformazione ed elaborazione avvengano nell’area geografica delimitata;

b)      “indicazione geografica”: il nome di una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali, di un paese che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare

–       originario di tale regione, di tale luogo determinato o di tale paese e

–       di cui una determinata qualità, la reputazione o un’altra caratteristica possa essere attribuita all’origine geografica e la cui produzione e/o trasformazione e/o elaborazione avvengano nell’area geografica determinata.

3.      Sono altresì considerate come denominazioni d’origine alcune denominazioni tradizionali, geografiche o meno, che designano un prodotto agricolo o alimentare originario di una regione o di un luogo determinato, che soddisfi i requisiti di cui al paragrafo 2, lettera a), secondo trattino».

3       L’art. 3, n. 1, dello stesso regolamento così dispone:

«1.      Le denominazioni divenute generiche non possono essere registrate.

Ai fini del presente regolamento, si intende per “denominazione divenuta generica” il nome di un prodotto agricolo o alimentare che, pur collegato col nome del luogo o della regione in cui il prodotto agricolo o alimentare è stato inizialmente ottenuto o commercializzato, è divenuto, nel linguaggio corrente, il nome comune di un prodotto agricolo o alimentare.

Per determinare se una denominazione sia divenuta generica o meno, si tiene conto di tutti i fattori, in particolare:

–       della situazione esistente nello Stato membro in cui il nome ha la sua origine e nelle zone di consumo,

–       della situazione esistente in altri Stati membri,

–       delle pertinenti legislazioni nazionali o comunitarie.

Nei casi in cui, secondo la procedura prevista agli articoli 6 e 7, venga respinta una domanda di registrazione in quanto una denominazione è divenuta generica, la Commissione pubblica la relativa decisione nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee.

4       Gli artt. 5-7 del regolamento di base istituiscono una procedura di registrazione di una denominazione detta «procedura normale». In tale contesto, l’art. 7 del detto regolamento prevede una procedura di opposizione a una domanda di registrazione.

5       Ai sensi dell’art. 6, n. 3, dello stesso regolamento:

«Se non vengono presentate alla Commissione dichiarazioni di opposizione conformemente all’articolo 7, la denominazione è iscritta nel registro tenuto dalla Commissione, denominato “Registro delle denominazioni d’origine protette e delle indicazioni geografiche protette”, che contiene i nomi delle associazioni e degli organismi di controllo interessati».

6       Ai fini dell’adozione delle misure previste dal regolamento di base, l’art. 15 di quest’ultimo così dispone:

«La Commissione è assistita da un comitato composto dai rappresentanti degli Stati membri e presieduto dal rappresentante della Commissione.

Il rappresentante della Commissione sottopone al comitato un progetto delle misure da adottare. Il comitato formula il suo parere sul progetto entro un termine che il presidente può fissare in funzione dell’urgenza della questione in esame. Il parere è formulato alla maggioranza prevista dall’articolo 148, paragrafo 2 del trattato per l’adozione delle decisioni che il Consiglio deve prendere su proposta della Commissione. Nelle votazioni al comitato, viene attribuita ai voti dei rappresentanti degli Stati membri la ponderazione definita all’articolo precitato. Il presidente non partecipa al voto.

La Commissione adotta le misure previste qualora siano conformi al parere del comitato.

Se le misure previste non sono conformi al parere del comitato, o in mancanza di parere, la Commissione sottopone senza indugio al Consiglio una proposta in merito alle misure da prendere. Il Consiglio delibera a maggioranza qualificata.

Se il Consiglio non ha deliberato entro un termine di tre mesi a decorrere dalla data in cui gli è stata sottoposta la proposta, la Commissione adotta le misure proposte».

7       Inoltre, l’art. 17 del regolamento di base istituisce una procedura di registrazione, detta «procedura semplificata», nei seguenti termini:

«1.      Entro un termine di sei mesi a decorrere dalla data dell’entrata in vigore del presente regolamento, gli Stati membri comunicano alla Commissione quali denominazioni, tra quelle giuridicamente protette o, negli Stati membri in cui non vige un sistema di protezione, sancite dall’uso, essi desiderano far registrare a norma del presente regolamento.

2.      La Commissione registra, secondo la procedura prevista all’articolo 15, le denominazioni di cui al paragrafo 1 conformi agli articoli 2 e 4. L’articolo 7 non si applica. Tuttavia non vengono registrate le denominazioni generiche.

3.      Gli Stati membri possono mantenere la protezione nazionale delle denominazioni comunicate in conformità del paragrafo 1 sino alla data in cui viene presa una decisione in merito alla registrazione».

8       Ai sensi dell’art. 1, punto 15, del regolamento (CE) del Consiglio 8 aprile 2003, n. 692, che modifica il regolamento n. 2081/92 (GU L 99, pag. 1), il detto art. 17 è stato abrogato, ma le sue disposizioni continuano ad applicarsi alle denominazioni registrate o a quelle la cui registrazione è stata chiesta secondo la procedura di cui all’art. 17 prima dell’entrata in vigore del regolamento n. 692/2003, il 24 aprile 2003.

9       Con decisione 21 dicembre 1992, 93/53/CEE, che istituisce un comitato scientifico per le denominazioni di origine, le indicazioni geografiche e le attestazioni di specificità (GU 1993, L 13, pag. 16), la Commissione ha istituito un comitato, detto «comitato scientifico», incaricato di esaminare, su richiesta della Commissione, i problemi tecnici, segnatamente nel contesto dell’applicazione del regolamento di base.

10     Ai sensi dell’art. 3 di tale decisione, i membri del comitato scientifico sono nominati dalla Commissione tra personalità scientifiche altamente qualificate e competenti nelle materie indicate all’art. 2 della stessa decisione. A norma degli artt. 7, n. 1, e 8, n. 1, di quest’ultima, il detto comitato si riunisce su convocazione di un rappresentante della Commissione e le sue deliberazioni vertono sugli argomenti per i quali la Commissione ha chiesto un parere.

 Fatti

11     Con lettera del 21 gennaio 1994 il governo ellenico ha chiesto, ai sensi dell’art. 17 del regolamento di base, la registrazione della denominazione «feta» come denominazione d’origine.

12     Il 12 giugno 1996 la Commissione ha adottato il regolamento (CE) n. 1107/96, relativo alla registrazione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine nel quadro della procedura di cui all’articolo 17 del regolamento n. 2081/92 (GU L 148, pag. 1). Ai sensi dell’art. 1, primo comma, di tale regolamento, la denominazione «feta», che compare nell’allegato del detto regolamento, nella parte A, alla rubrica «formaggi» e sotto il nome dello Stato membro «Grecia», è stata registrata come denominazione d’origine protetta.

13     Con sentenza 16 marzo 1999, cause riunite C‑289/96, C‑293/96 e C‑299/96, Danimarca e a./Commissione (Racc. pag. I‑1541), la Corte ha annullato il regolamento n. 1107/96 nella parte in cui disponeva la registrazione della denominazione «feta» quale denominazione di origine protetta.

14     Al punto 101 di tale sentenza, la Corte ha dichiarato che, all’atto della registrazione della denominazione «feta», la Commissione non aveva affatto tenuto conto della circostanza che questa denominazione era stata utilizzata da lungo tempo in alcuni Stati membri diversi dalla Repubblica ellenica.

15     Al punto 102 della stessa sentenza, la Corte ha concluso che la Commissione, allorché aveva valutato se «feta» costituisse una denominazione generica, non aveva preso correttamente in considerazione il complesso dei fattori di cui l’art. 3, n. 1, terzo comma, del regolamento di base le imponeva di tener conto.

16     A seguito della stessa sentenza, il 25 maggio 1999 la Commissione ha adottato il regolamento (CE) n. 1070/99, che modifica l’allegato del regolamento n. 1107/96 (GU L 130, pag. 18), il quale ha radiato la denominazione «feta» dal registro delle denominazioni d’origine protette e delle indicazioni geografiche protette e l’ha soppressa dall’allegato del regolamento n. 1107/96.

17     Con lettera del 15 ottobre 1999, la Commissione ha inviato agli Stati membri un questionario vertente sulla produzione e sul consumo dei formaggi denominati «feta» nonché sulla notorietà di questa denominazione presso i consumatori in ciascuno di tali Stati.

18     Le informazioni ricevute in risposta a tale questionario sono state presentate al comitato scientifico, che ha formulato il proprio parere il 24 aprile 2001 (in prosieguo: il «parere del comitato scientifico»). In tale parere, il comitato ha concluso all’unanimità per il carattere non generico della denominazione «feta».

19     Il 14 ottobre 2002 la Commissione ha adottato il regolamento impugnato. In forza di tale regolamento, la denominazione «feta» è stata nuovamente registrata in quanto denominazione d’origine protetta.

20     L’art. 1 del detto regolamento così dispone:

«1. La denominazione "Φέτα" (Feta) è iscritta quale denominazione di origine protetta (DOP) nel registro delle denominazioni di origine protette e delle indicazioni geografiche protette previsto dall’articolo 6, paragrafo 3, del regolamento (CEE) n. 2081/92.

2. Nell’allegato del regolamento (CE) n. 1107/96, alla voce “Formaggi” “Grecia” della parte A, è aggiunta la denominazione "Φέτα" (Feta).

21     Ai sensi del ventesimo ‘considerando’ del regolamento impugnato:

«(20) In base alle informazioni trasmesse dagli Stati membri i formaggi che sull’etichetta recano la denominazione “Feta” sul territorio comunitario in genere contengono nell’etichetta un riferimento implicito o esplicito al territorio, alle tradizioni culturali o alla civiltà greca, attraverso diciture o disegni a forte connotazione ellenica, benché siano prodotti in Stati membri diversi dalla Grecia. Ne deriva che il legame tra la denominazione “Feta” e il territorio ellenico è volontariamente suggerito e ricercato in quanto costituisce un argomento di vendita inerente alla rinomanza del prodotto di origine, ma ciò comporta il rischio reale di indurre il consumatore in confusione. Le etichette apposte sul formaggio “Feta” non originario della Grecia, commercializzato effettivamente nel territorio comunitario con tale denominazione senza fare allusione diretta o indiretta alla Grecia, oltre ad essere numericamente minoritarie, costituiscono una porzione estremamente ridotta del mercato comunitario della “Feta” in termini di quantitativi di formaggio effettivamente commercializzato in questo modo».

22     Secondo i ‘considerando’ dal trentatreesimo al trentasettesimo del detto regolamento:

«(33) La Commissione ha preso atto del parere, di natura consultiva, del comitato scientifico. Essa considera che l’analisi globale esaustiva dell’insieme dei dati di ordine giuridico, storico, culturale, politico, sociale, economico, scientifico e tecnico comunicati dagli Stati membri o desunti dalle indagini avviate o commissionate dalla Commissione permette di considerare in particolare che non è soddisfatto alcuno dei criteri di cui all’articolo 3 del regolamento (CEE) n. 2081/92 che consentono di stabilire se una denominazione sia divenuta generica e che di conseguenza la denominazione “Feta” non è diventata “il nome di un prodotto agricolo o alimentare, che pur collegato col nome del luogo o della regione in cui il prodotto agricolo o alimentare è stato inizialmente ottenuto o commercializzato, è divenuto, nel linguaggio corrente, il nome comune di un prodotto agricolo o alimentare”.

(34)      Poiché la denominazione “Feta” non è risultata generica, la Commissione ha proceduto, a norma dell’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento (CEE) n. 2081/92, alla verifica della conformità con gli articoli 2 e 4 dello stesso regolamento della domanda presentata dalle autorità elleniche ai fini della registrazione della denominazione “Feta” come denominazione di origine protetta.

(35)      La denominazione “Feta” costituisce una denominazione tradizionale non geografica, conforme all’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CEE) n. 2081/92. I termini “regione” e “luogo” a cui è fatto riferimento in tale paragrafo devono essere interpretati in un’ottica non tanto amministrativa, quanto geomorfologica, nella misura in cui i fattori naturali e umani inerenti a un dato prodotto sono tali da trascendere i confini amministrativi. È tuttavia escluso, in virtù del paragrafo suddetto, che la zona geografica relativa ad una denominazione possa coprire un intero paese. Nel caso della denominazione “Feta” si è constatato quindi che la zona geografica delimitata di cui all’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), secondo trattino, del regolamento citato copre esclusivamente il territorio della Grecia continentale e il dipartimento dell’Isola di Lesbo. Tutte le altre isole e gli altri arcipelaghi ne sono esclusi in quanto non vi ricorrono i fattori naturali ed umani richiesti. La delimitazione amministrativa della zona geografica viene inoltre ulteriormente precisata dal fatto che il disciplinare di produzione presentato dalle autorità elleniche menziona requisiti imprescindibili e cumulativi: in particolare, la zona di origine della materia prima è sostanzialmente ristretta poiché il latte che serve alla produzione di formaggio “Feta” deve obbligatoriamente essere ottenuto da pecore e capre di razze locali, allevate con sistemi tradizionali, la cui alimentazione deve imperativamente basarsi sulla vegetazione dei pascoli delle regioni ammesse.

(36)      Si è constatato che la zona geografica risultante dalla delimitazione amministrativa e i requisiti del disciplinare di produzione presentano un’adeguata omogeneità che permette di soddisfare i requisiti di cui all’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), e all’articolo 4, paragrafo 2, lettera f), del regolamento (CEE) n. 2081/92. Il pascolo estensivo e la transumanza, che costituiscono i capisaldi dell’allevamento dei capi ovini e caprini destinati a fornire la materia prima del formaggio “Feta”, sono l’espressione di una tradizione ancestrale che ha permesso l’adattamento alle variazioni climatiche e alle loro conseguenze sulla vegetazione disponibile. Quest’adattamento ha condotto allo sviluppo di razze ovine e caprine autoctone di piccola taglia, molto sobrie e resistenti, capaci di sopravvivere in un ambiente poco generoso dal punto di vista quantitativo, ma qualitativamente ricco perché dotato di una flora specifica estremamente diversificata, che conferisce al prodotto finito un aroma e un sapore particolari. L’osmosi tra i fattori naturali succitati e fattori umani specifici, in particolare il metodo tradizionale di elaborazione che richiede imperativamente lo sgocciolamento senza pressione, ha conferito così al formaggio “Feta” una meritata rinomanza internazionale.

(37)      Dato che il disciplinare di produzione presentato dalle autorità elleniche comprende tutti gli elementi prescritti dall’articolo 4 del regolamento (CEE) n. 2081/92 e che l’analisi formale di tale disciplinare non ha messo in luce errori palesi di valutazione, è opportuno registrare la denominazione “Feta” quale denominazione di origine protetta.

 Conclusioni delle parti e procedimento dinanzi alla Corte

23     Nella causa C‑465/02, la Repubblica federale di Germania conclude che la Corte voglia:

–       annullare il regolamento impugnato;

–       condannare la Commissione alle spese.

24     Nella causa C‑466/02, il Regno di Danimarca conclude che la Corte voglia:

–       annullare il regolamento impugnato;

–       condannare la Commissione alle spese.

25     In ciascuna delle due cause la Commissione conclude che la Corte voglia:

–       respingere il ricorso;

–       condannare la ricorrente alle spese.

26     Con ordinanze del presidente della Corte 13 maggio e 3 giugno 2003 la Repubblica francese e il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord sono stati autorizzati ad intervenire a sostegno delle conclusioni delle ricorrenti, e la Repubblica ellenica ad intervenire a sostegno delle conclusioni della Commissione.

27     Con ordinanza del presidente della Corte 13 gennaio 2005 le cause C‑465/02 e C‑466/02 sono state riunite ai fini della trattazione orale e della sentenza.

 Sulla ricevibilità

28     Il governo ellenico deduce che i ricorsi della Repubblica federale di Germania e del Regno di Danimarca sono stati proposti tardivamente. Il regolamento impugnato è stato pubblicato il 15 ottobre 2002. Poiché i ricorsi sarebbero stati proposti soltanto il 30 dicembre 2002, il termine di due mesi sancito dall’art. 230, quinto comma, CE non sarebbe stato rispettato.

29     Questo argomento va disatteso. Ai sensi dell’art. 81, n. 1, del regolamento di procedura, infatti, il termine di ricorso decorre a partire dalla fine del quattordicesimo giorno successivo alla data di pubblicazione dell’atto. A tale termine va aggiunto il termine in ragione della distanza previsto all’art. 81, n. 2, del regolamento di procedura, pari a dieci giorni supplementari. Tenuto conto di tali regole, i presenti ricorsi sono stati proposti entro i termini.

 Nel merito

 Sul primo motivo

30     Il governo tedesco denuncia la violazione del regolamento interno del comitato previsto all’art. 15 del regolamento di base (in prosieguo: il «comitato di regolamentazione») nonché la violazione del regolamento del Consiglio 15 aprile 1958, n. 1, che stabilisce il regime linguistico della Comunità economica europea (GU L 1958, n. 17, pag. 385). I documenti che dovevano essere esaminati nel corso della riunione del comitato di regolamentazione svoltasi il 20 novembre 2001 non sarebbero stati notificati al governo tedesco né quattordici giorni prima di tale riunione, né in tedesco.

31     Stando alle informazioni fornite alla Corte, alla data della citata riunione, il comitato di regolamentazione non si era ancora dotato di un regolamento interno. Occorre pertanto rifarsi al regolamento interno tipo, decisione del Consiglio 1999/468/CE (GU 2001, C 38, pag. 3).

32     Ai sensi dell’art. 3, nn. 1 e 2, di quest’ultimo:

«1.      Il presidente trasmette ai membri del comitato la convocazione, l’ordine del giorno, nonché i progetti di provvedimenti per i quali si richiede il parere del comitato ed ogni altro documento di lavoro, in base alla procedura contemplata dall’articolo 13, paragrafo 2, di regola al più tardi quattordici giorni di calendario prima della data stabilita per la riunione (…).

2.      Su richiesta di un membro di un comitato o di propria iniziativa, il presidente può, in casi urgenti e qualora i provvedimenti debbano essere applicati immediatamente, abbreviare il termine di invio previsto dal primo comma fino a cinque giorni di calendario prima della data della riunione (…)».

33     L’art. 3 del regolamento 15 aprile 1958, n. 1, così dispone:

«I testi diretti dalle istituzioni ad uno Stato membro o ad una persona appartenente alla giurisdizione di uno Stato membro sono redatti nella lingua di tale Stato».

34     È pacifico che, con messaggio di posta elettronica del 9 novembre 2001, la Commissione ha trasmesso al governo tedesco una convocazione alla riunione del comitato di regolamentazione del 20 novembre 2001. Tale convocazione indicava, come primo punto all’ordine del giorno, uno scambio di opinioni sul fascicolo «feta». Al detto messaggio di posta elettronica la Commissione ha accluso due allegati, entrambi redatti in inglese e in francese. Uno di questi allegati riassumeva le risposte degli Stati membri al questionario della Commissione del 15 ottobre 1999, relativo alla produzione, al consumo e alla notorietà della feta. L’altro allegato conteneva un progetto preliminare di parere del comitato scientifico in merito al detto fascicolo.

35     Alla riunione del comitato di regolamentazione del 20 novembre 2001, la delegazione tedesca ha chiesto una versione tedesca di questi due allegati. È pacifico che non l’ha mai ricevuta.

36     Quand’anche la mancanza di una versione tedesca dei due allegati di cui trattasi non fosse conforme all’art. 3 del regolamento n. 1 del 1958, un’irregolarità del genere non comporterebbe l’annullamento del regolamento impugnato.

37     Un’irregolarità procedurale di questo genere, infatti, potrebbe determinare l’annullamento dell’atto infine adottato soltanto nel caso in cui, in assenza di tale irregolarità, il procedimento avrebbe potuto dare luogo a un risultato diverso (v., in tal senso, sentenze 29 ottobre 1980, cause riunite 209/78-215/78 e 218/78, Van Landewyck e a./Commissione, Racc. pag. 3125, punto 47; 20 ottobre 1987, causa 128/86, Spagna/Commissione, Racc. pag. 4171, punto 25, e 21 marzo 1990, causa C‑142/87, Belgio/Commissione, detta «Tubemeuse», Racc. pag. I‑959, punto 48).

38     Ebbene, nel corso della menzionata riunione il comitato di regolamentazione ha soltanto proceduto a uno scambio di opinioni sul fascicolo «feta» e sui risultati del questionario della Commissione. Il comitato ha esaminato una proposta di regolamento soltanto successivamente, nel corso della riunione del 16 maggio 2002. Tuttavia, in quell’occasione, il detto comitato non era giunto a raccogliere una maggioranza qualificata dei voti che permettesse di adottare la proposta. A sua volta il Consiglio, nella riunione del 27 giugno 2002, non ha potuto adottare la proposta di regolamento sul medesimo oggetto, ancora una volta per mancanza di maggioranza qualificata. In ciascuna di queste riunioni, la Repubblica federale di Germania ha votato contro la proposta presentata. Anche se avesse avuto a disposizione una versione tedesca dei due documenti di cui trattasi nel corso della riunione del 20 novembre 2001, tale Stato membro non avrebbe potuto opporsi più efficacemente alla detta proposta.

39     In mancanza di adozione di un regolamento da parte del Consiglio, la Commissione ha adottato essa stessa il regolamento impugnato, conformemente all’art. 15, quinto comma, del regolamento di base. Tale istituzione aveva dunque il potere di adottare, sotto la propria responsabilità, le misure progettate.

40     Ciò premesso, il fatto che la convocazione alla riunione del comitato di regolamentazione del 20 novembre 2001 sia avvenuta meno di quattordici giorni prima della stessa e che non vi sia stata una versione tedesca dei due documenti in parola nel corso di tale riunione non poteva avere alcun effetto sul provvedimento infine adottato.

41     Occorre di conseguenza respingere il primo motivo.

 Sul secondo motivo

42     Il governo tedesco allega una violazione dell’art. 2, n. 3, del regolamento di base. Il vocabolo «feta» proverrebbe dall’italiano e significherebbe «fetta». Sarebbe stato ripreso nella lingua greca nel XVII secolo. La denominazione «feta» sarebbe utilizzata non soltanto in Grecia, ma anche in altri paesi balcanici e del Medio Oriente per designare un formaggio in salamoia. A torto la Commissione avrebbe esaminato, nei “considerando” del regolamento impugnato, se «feta» sia divenuta una designazione generica. Considerato che tale vocabolo è anzitutto un termine non geografico, la Commissione avrebbe dovuto dimostrare che esso ha acquisito un significato geografico e ciò in modo tale da non estendersi all’insieme del territorio di uno Stato membro. Inoltre, la sub-regione indicata dal governo ellenico nella sua domanda di registrazione sarebbe formata artificiosamente; essa non si fonderebbe né sulla tradizione né sull’opinione generalmente accolta. Peraltro, la qualità e le caratteristiche della feta non dipenderebbero né essenzialmente né esclusivamente dall’ambiente geografico; le affermazioni contenute nel trentaseiesimo ‘considerando’ del regolamento impugnato non sarebbero fondate né sulla domanda di registrazione del governo ellenico né sugli accertamenti del comitato scientifico. Infine, non vi sarebbe concordanza tra l’area geografica di produzione e quella di lavorazione, come risulta tanto dalle disposizioni di legge elleniche quanto dalla circostanza che la Comunità concede aiuti alla produzione di feta nelle isole dell’Egeo.

43     Il governo danese afferma che la denominazione «feta» non soddisfa i requisiti per essere registrata come denominazione tradizionale non geografica, conformemente all’art. 2, n. 3, del regolamento di base. A tale proposito, il detto governo afferma che spetta in primo luogo allo Stato richiedente e in secondo luogo alla Commissione provare che ricorrono i presupposti per la registrazione di una denominazione d’origine in quanto denominazione tradizionale non geografica. Secondo tale governo, l’area geografica designata ai fini della registrazione di cui trattasi, vale a dire la Grecia continentale e il dipartimento di Lesbo, comprende quasi tutta la Grecia, e non è stata dedotta alcuna ragione obiettiva per spiegare sotto quale profilo le regioni escluse se ne distinguano. Il governo danese precisa che il legame esclusivo richiesto tra il formaggio feta e l’area geografica designata nella domanda non esisterebbe, per il semplice motivo che la feta è originaria dell’insieme dei Balcani e non soltanto della Grecia. L’area geografica designata presenterebbe molte disparità sui piani climatico e morfologico ed esisterebbero numerose varietà greche di feta, con gusto diverso. La reputazione internazionale della feta non potrebbe essere chiaramente e direttamente attribuita all’area geografica designata, ma sarebbe dovuta in gran parte all’ingente produzione e alle esportazioni da altri Stati, tra cui il Regno di Danimarca, nella seconda metà del XX secolo.

44     Il governo francese, interveniente a sostegno dei governi tedesco e danese, rileva che il vocabolo «feta», che significa «fetta» in italiano, non è una denominazione geografica. Sarebbero pertanto applicabili le disposizioni dell’art. 2, n. 3, del regolamento di base. Poiché queste ultime rinviano all’art. 2, n. 2, lett. a), secondo trattino, dello stesso regolamento, ne risulterebbe che la denominazione «feta» potrebbe essere registrata in quanto denominazione d’origine protetta soltanto se tale prodotto dovesse la sua qualità o le sue caratteristiche essenzialmente o esclusivamente all’ambiente geografico comprensivo dei fattori naturali e umani e se la produzione, trasformazione ed elaborazione di tale prodotto avvenissero nell’area geografica delimitata. Orbene, da un lato, contrariamente alle disposizioni dell’art. 2, n. 2, del detto regolamento, l’area geografica di produzione della feta in Grecia rappresenterebbe la quasi totalità del territorio della Repubblica ellenica e, dall’altro, la feta sarebbe prodotta al di fuori del territorio greco, segnatamente in Francia, in condizioni paragonabili a quelle esistenti sul territorio greco. Grazie all’apporto di sovvenzioni comunitarie, infatti, i caseifici francesi sarebbero riusciti a realizzare un adattamento industriale dei procedimenti artigianali e produrrebbero attualmente tra 10 000 e 12 000 tonnellate di formaggio feta all’anno. Queste due constatazioni osterebbero alla registrazione, a favore della Repubblica ellenica, della denominazione «feta» come denominazione d’origine protetta.

45     Il governo del Regno Unito è anch’esso intervenuto a sostegno dei governi tedesco e danese, senza presentare osservazioni.

46     Nella presenta causa, è pacifico che il termine «feta» deriva dalla parola italiana «fetta», penetrata nella lingua greca nel XVII secolo. È altresì pacifico che «feta» non è il nome di una regione, di un luogo o di un paese ai sensi dell’art. 2, n. 2, lett. a), del regolamento di base. Pertanto, tale termine non può essere registrato come denominazione d’origine in forza di tale norma. Semmai, esso può essere registrato ai sensi dell’art. 2, n. 3, del regolamento di base, che estende la definizione della denominazione d’origine, segnatamente, a determinate denominazioni tradizionali non geografiche.

47     Su questa base il termine «feta» è stato registrato come denominazione d’origine dal regolamento impugnato. Ai sensi del trentacinquesimo ‘considerando’ di quest’ultimo, «[l]a denominazione “Feta” costituisce una denominazione tradizionale non geografica, conforme all’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento [di base]».

48     Per essere tutelata in forza di tale norma, una denominazione tradizionale non geografica deve, in particolare, designare un prodotto agricolo o alimentare «originario di una regione o di un luogo determinato».

49     Inoltre, l’art. 2, n. 3, del regolamento di base impone, rinviando all’art. 2, n. 2, lett. a), secondo trattino, dello stesso regolamento, che la qualità o le caratteristiche del prodotto agricolo o alimentare siano dovute essenzialmente o esclusivamente all’ambiente geografico comprensivo dei fattori naturali ed umani e che la sua produzione, trasformazione ed elaborazione avvengano nell’area geografica delimitata.

50     Dal combinato disposto di queste due norme emerge che il luogo o la regione cui fa riferimento il detto art. 2, n. 3, devono essere definiti in quanto ambiente geografico, comprensivo dei fattori naturali e umani particolari e idoneo a conferire ad un prodotto agricolo o alimentare le sue caratteristiche specifiche. La zona di provenienza di cui trattasi deve quindi presentare fattori naturali omogenei che la delimitino rispetto alle zone limitrofe (v., in tal senso, sentenza 20 febbraio 1975, causa 12/74, Commissione/Germania, Racc. pag. 181, punto 8).

51     Alla luce di questi vari criteri occorre accertare se la definizione della regione d’origine accolta nel regolamento impugnato sia conforme ai requisiti dell’art. 2, n. 3, del regolamento di base.

52     Atteso che la Commissione si è fondata, a tal fine, sulla normativa ellenica in materia, occorre ricordare che l’art. 1 del decreto ministeriale ellenico 11 gennaio 1994, n. 313025, relativo al riconoscimento della denominazione d’origine protetta (DOP) del formaggio feta, così dispone:

«1.      La denominazione “feta” è riconosciuta come denominazione d’origine protetta (DOP) per il formaggio bianco conservato in salamoia, tradizionalmente prodotto in Grecia, e concretamente (“syngekrimena”) nelle regioni menzionate al n. 2 del presente articolo, con latte di pecora o una mescola di quest’ultimo con latte caprino.

2.      Il latte utilizzato per la produzione della “feta” deve provenire esclusivamente dalle regioni di Macedonia, Tracia, Epiro, Tessaglia, Grecia centrale, Peloponneso e dal dipartimento (“Nomos”) di Lesbo».

53     L’area geografica così delimitata per la produzione della feta comporta esclusivamente la parte continentale della Grecia nonché il dipartimento di Lesbo. Sono escluse da quest’area geografica l’isola di Creta nonché alcuni arcipelaghi greci, vale a dire le Sporadi, le Cicladi, il Dodecanneso e le isole Ionie.

54     Le zone escluse da questa area geografica non possono essere considerate trascurabili. L’area delimitata dalla normativa nazionale per la produzione di formaggio con la denominazione «feta» non coincide quindi con l’insieme del territorio della Repubblica ellenica. Pertanto, non è necessario esaminare se l’art. 2, n. 3, del regolamento di base consenta che l’area geografica inerente ad una denominazione possa coincidere con l’intero territorio di un paese.

55     Occorre tuttavia esaminare se tale delimitazione dell’area sia artificiosa.

56     In proposito, l’art. 2, n. 1, lett. e), del decreto ministeriale n. 313025 precisa che: «il latte utilizzato per la produzione della feta deve provenire da razze di ovini e caprini allevate con sistemi tradizionali, adattate alla regione di produzione della feta, e la cui alimentazione si basi sulla flora della detta regione».

57     Dalle informazioni presentate alla Corte, e in particolare dal disciplinare che il governo ellenico ha trasmesso alla Commissione il 21 gennaio 1994, ai fini della registrazione della denominazione «feta» come denominazione d’origine, risulta che l’effetto di questa norma, in combinato disposto con l’art.  1 dello stesso decreto ministeriale, è quello di delimitare l’area geografica di cui trattasi in considerazione, segnatamente, delle sue caratteristiche geomorfologiche, vale a dire il carattere essenzialmente montuoso o semimontuoso del terreno, alle caratteristiche climatiche, consistenti in inverni miti, estati calde e un lungo periodo di esposizione al sole, nonché alle caratteristiche botaniche, consistenti nella flora tipica della media montagna balcanica.

58     Questi elementi indicano sufficientemente che tale area presenta fattori naturali omogenei, che la differenziano dalle zone limitrofe. Emerge dal fascicolo che le zone della Grecia escluse dall’area delimitata non presentano gli stessi fattori naturali di quelle incluse. Risulta quindi che, nella fattispecie, l’area non è stata delimitata artificiosamente.

59     Per quanto riguarda la normativa comunitaria relativa agli aiuti alla produzione di feta nelle isole dell’Egeo, è vero che l’art. 6, n. 2, del regolamento (CEE) del Consiglio 19 luglio 1993, n. 2019, recante misure specifiche per taluni prodotti agricoli in favore delle isole minori del Mar Egeo (GU L 184, pag. 1), disponeva, prima di essere modificato dall’art. 1, punto 4, del regolamento (CE) del Consiglio 18 febbraio 2002, n. 442 (GU L 68, pag. 4), un aiuto per «l’ammasso privato dei seguenti formaggi di fabbricazione locale: feta, di almeno due mesi di età (…)».

60     Tale disposizione dimostra che la feta viene prodotta anche nelle isole minori del Mar Egeo.

61     La Commissione ha d’altronde confermato, nelle osservazioni presentate alla Corte, che la feta proviene effettivamente dalla produzione locale di alcune isole minori del Mar Egeo.

62     Tuttavia, ha precisato altresì che queste isole rientrano amministrativamente nel dipartimento di Lesbo.

63     Orbene, tale dipartimento fa parte dell’area geografica definita dalla normativa nazionale che delimita l’area di produzione della feta.

64     Ne consegue che l’art. 6, n. 2, del regolamento n. 2019/93 è coerente con la definizione dell’area geografica di produzione della feta prescritta dalla normativa nazionale, indicata nella domanda di registrazione di tale denominazione, ragion per cui l’argomento dedotto in senso contrario dal governo tedesco risulta infondato.

65     Le ricorrenti affermano che la qualità e le caratteristiche della feta non sono dovute essenzialmente o esclusivamente all’ambiente geografico delimitato, come impone l’art. 2, n. 2, lett. a), secondo trattino, del regolamento di base.

66     Tuttavia, il trentaseiesimo ‘considerando’ del regolamento impugnato enuncia una serie di fattori che spiegano come le caratteristiche della feta siano dovute essenzialmente all’ambiente geografico delimitato. Contrariamente a quanto asserisce il governo tedesco, tale affermazione trova riscontro nel disciplinare presentato dal governo ellenico, in cui sono dettagliatamente elencati i fattori naturali e umani che conferiscono alla feta le sue caratteristiche specifiche.

67     Rientrano fra questi fattori la durata del periodo di esposizione al sole, l’escursione termica, la pratica della transumanza, il pascolo estensivo e la flora.

68     Le ricorrenti non hanno dimostrato che la valutazione della Commissione in proposito sia erronea.

69     Il motivo vertente su una violazione dell’art. 2, n. 3, del regolamento di base dev’essere pertanto respinto in quanto infondato.

 Sul terzo motivo

70     Il governo tedesco sostiene che il regolamento impugnato viola l’art. 3, n. 1, del regolamento di base. «Feta» sarebbe una denominazione generica ai sensi del detto art. 3, n. 1. La Commissione non avrebbe debitamente preso in considerazione tutti i fattori, in particolare la produzione di feta negli Stati membri diversi dalla Grecia, il consumo di feta al di fuori della Grecia, la percezione da parte dei consumatori, le normative nazionali e comunitarie nonché le valutazioni precedenti della Commissione. Il rischio di confusione del consumatore evocato nel ventesimo ‘considerando’ del regolamento impugnato non potrebbe giustificare la tutela della denominazione «feta», in quanto la presentazione ingannevole di un prodotto non ha alcuna relazione con il fatto che una denominazione sia o meno generica e costituisca una denominazione d’origine.

71     Secondo lo stesso governo, peraltro, la constatazione secondo la quale la denominazione «feta» non è divenuta generica non sarebbe sufficientemente motivata ai sensi dell’art. 253 CE, essendo il rinvio al parere consultivo di un comitato inadeguato sotto questo profilo.

72     Secondo il governo danese, la Commissione ha adottato il regolamento impugnato in violazione degli artt. 3, n. 1, e 17, n. 2, del regolamento di base, posto che il termine «feta» è una denominazione generica. A suo parere, allorché una denominazione ha carattere generico fin dall’origine, oppure lo acquisisce successivamente, lo conserva per sempre, in maniera irreversibile. Spetterebbe allo Stato richiedente, e in secondo luogo alla Commissione, provare che una denominazione che non sia geografica non è generica.

73     Il governo danese sottolinea ancora che la feta non è specificamente originaria della Grecia, né in quanto denominazione né in quanto prodotto. La zona tradizionale di consumo e di produzione si estenderebbe a diversi paesi balcanici. La stessa Repubblica ellenica avrebbe importato, prodotto, consumato ed esportato formaggio sotto la denominazione «feta», ivi inclusa la feta fabbricata con latte vaccino. Sarebbe probabile che i consumatori greci considerino, dopo molti anni, la denominazione come generica. Analogamente, in altri Stati, comunitari o meno, in cui la feta viene consumata e prodotta in grande quantità, il consumatore considererebbe la feta una denominazione generica. Al di fuori della sua zona di origine, la feta sarebbe oggetto di una produzione e di una commercializzazione lecite in numerosi Stati membri e paesi terzi.

74     Sempre secondo il governo danese, la produzione e la commercializzazione danesi di feta non sono sotto alcun profilo in contrasto con gli usi leali e tradizionalmente praticati, né creano alcun rischio effettivo di confusione, non foss’altro perché la normativa danese, fin dal 1963, ha imposto la denominazione di «feta danese». Il fatto che la feta sia una denominazione generica risulterebbe da un insieme di disposizioni e di atti del legislatore comunitario, ivi inclusa la Commissione.

 Sulla genericità della denominazione

75     Occorre rammentare che, ai sensi dell’art. 3, n. 1, terzo comma, del regolamento di base:

«Per determinare se una denominazione sia divenuta generica o meno, si tiene conto di tutti i fattori, in particolare:

–       della situazione esistente nello Stato membro in cui il nome ha la sua origine e nelle zone di consumo,

–       della situazione esistente in altri Stati membri,

–       delle pertinenti legislazioni nazionali o comunitarie».

76     Quanto all’argomento dedotto dal governo danese secondo cui il termine «feta» designa un tipo di formaggio originario dei Balcani, è pacifico che formaggi bianchi in salamoia vengono prodotti da tempo non soltanto in Grecia, ma in svariati paesi dei Balcani e del Sud-Est del bacino mediterraneo. Tuttavia, come risulta al punto B, lett. a), del parere del comitato scientifico, tali formaggi sono noti, nei detti paesi, sotto denominazioni diverse da quella di «feta».

77     Per quanto riguarda la situazione di produzione nella Repubblica ellenica stessa, il governo danese afferma, senza essere contraddetto, che, fino al 1988, in Grecia è stato importato formaggio prodotto con latte vaccino, secondo metodi diversi dai metodi tradizionali greci, sotto la denominazione «feta» e che, fino al 1987, formaggio feta è stato fabbricato sul territorio di tale Stato membro secondo metodi non tradizionali e, segnatamente, a partire da latte vaccino.

78     Occorre riconoscere che, ove operazioni del genere dovessero perdurare, esse tenderebbero a conferire genericità alla denominazione «feta». Si deve nondimeno rilevare come, con decreto ministeriale 5 dicembre 1988, n. 2109/88, recante approvazione della sostituzione dell’art. 83, «Prodotti caseari», del codice alimentare, è stata fissata la delimitazione dell’area geografica in cui la produzione si fonda sugli usi tradizionali. Nel 1994 il decreto ministeriale n. 313025 ha codificato l’insieme delle prescrizioni applicabili in materia di formaggio feta. Orbene, tutta questa normativa ha creato una situazione nuova, in cui operazioni del genere non devono più prodursi.

79     Quanto alla situazione di produzione negli altri Stati membri, occorre ricordare che la Corte ha dichiarato, al punto 99 della citata sentenza Danimarca e a./Commissione, che il fatto che un prodotto sia stato legalmente messo in commercio con una denominazione in alcuni Stati membri può costituire un fattore di cui è necessario tener conto nel valutare se tale denominazione sia divenuta generica ai sensi dell’art. 3, n. 1, del regolamento di base.

80     La Commissione ammette d’altronde che esiste una produzione di feta in alcuni Stati membri diversi dalla Repubblica ellenica, in particolare nel Regno di Danimarca, nella Repubblica federale di Germania e nella Repubblica francese. Come risulta dal tredicesimo al diciassettesimo ‘considerando’ del regolamento impugnato, la Repubblica ellenica produrrebbe circa 115 000 tonnellate all’anno. Nel 1998, circa 27 640 tonnellate sarebbero state prodotte in Danimarca. Dal 1988 al 1998, la produzione francese avrebbe oscillato tra le 7 960 tonnellate e le 19 964 tonnellate. Quanto alla produzione tedesca, essa oscillerebbe, dal 1985, tra le 19 757 e le 39 201 tonnellate.

81     Dagli stessi ‘considerando’ emerge che la produzione di feta è iniziata in Germania nel 1972, in Francia nel 1931 e in Danimarca negli anni ‘30.

82     Per giunta, è pacifico che il formaggio così prodotto ha potuto essere messo in commercio del tutto legalmente, persino in Grecia, quanto meno fino al 1988.

83     Sebbene tali produzioni siano state relativamente ingenti e la loro durata notevole, occorre sottolineare, come fa il comitato scientifico al primo trattino delle conclusioni del suo parere, che la produzione di feta è rimasta concentrata in Grecia.

84     D’altronde, il fatto che un prodotto sia stato legalmente fabbricato in Stati membri diversi dalla Repubblica ellenica è soltanto uno tra gli elementi di cui occorre tener conto ai sensi dell’art. 3, n. 1, del regolamento di base.

85     Per quanto riguarda il consumo di feta nei diversi Stati membri, rispetto alla sua produzione, occorre rilevare che, come risulta dal diciannovesimo ‘considerando’ del regolamento impugnato, più dell’85% del consumo comunitario di feta, pro capite e per anno, avviene in Grecia. Come osserva il comitato scientifico, il consumo di feta è pertanto concentrato in tale Stato membro.

86     Da informazioni fornite alla Corte risulta che la maggioranza dei consumatori in Grecia ritiene che la denominazione «feta» abbia connotazione geografica e non generica. In Danimarca risulta invece che la maggioranza dei consumatori propende per la connotazione generica di tale denominazione. La Corte non dispone di dati concludenti in merito agli altri Stati membri.

87     I dati sottoposti alla Corte dimostrano inoltre che negli Stati membri diversi dalla Grecia la feta è regolarmente commercializzata con etichette che alludono alle tradizioni culturali e alla civiltà greche. È legittimo dedurne che i consumatori in tali Stati membri percepiscano la feta come un formaggio associato alla Repubblica ellenica, anche qualora, in realtà, sia stato prodotto in un altro Stato membro.

88     Questi diversi elementi relativi al consumo della feta negli Stati membri tendono ad indicare che la denominazione «feta» non è generica.

89     Quanto all’argomento del governo tedesco, vertente sulla seconda frase del ventesimo ‘considerando’ del regolamento impugnato, risulta dal punto 87 della presente sentenza che non è erroneo affermare, con riferimento ai consumatori negli Stati membri diversi dalla Repubblica ellenica, che: «(…) il legame tra la denominazione “Feta” e il territorio ellenico è volontariamente suggerito e ricercato in quanto costituisce un argomento di vendita inerente alla rinomanza del prodotto di origine, ma ciò comporta il rischio reale di indurre il consumatore in confusione».

90     L’argomento dedotto dal governo tedesco in senso opposto non è pertanto fondato.

91     Per quanto riguarda le normative nazionali, occorre rilevare che, secondo i ‘considerando’ diciottesimo e trentunesimo del regolamento impugnato, il Regno di Danimarca e la Repubblica ellenica sono gli unici Stati membri dell’epoca che possedessero una normativa specifica relativa alla feta.

92     La normativa danese, da parte sua, menziona non la «feta» bensì la «feta danese», fattore che suggerisce che, in Danimarca, la denominazione «feta» senza ulteriore qualificazione ha mantenuto la sua connotazione greca.

93     Inoltre, come la Corte ha dichiarato al punto 27 della citata sentenza Danimarca e a./Commissione, la denominazione «feta» era protetta da una convenzione stipulata tra la Repubblica d’Austria e il Regno di Grecia il 20 giugno 1972, ai sensi dell’accordo intervenuto tra questi due Stati il 5 giugno 1970, relativo alla protezione delle indicazioni di origine, delle denominazioni di origine e delle denominazioni dei prodotti dell’agricoltura, dell’artigianato e dell’industria (BGBl. nn. 378/1972 e 379/1972). Da allora, l’uso di tale denominazione sul territorio austriaco è riservato ai soli prodotti greci.

94     Ne discende che, nell’insieme, le normative nazionali pertinenti tendono ad avallare la non genericità della denominazione «feta».

95     Quanto alla normativa comunitaria, è vero che la denominazione «feta» è utilizzata, senza alcuna precisazione in merito allo Stato membro di origine, nella nomenclatura della tariffa doganale comune e nella normativa comunitaria relativa alle restituzioni all’esportazione.

96     Tuttavia, quest’ultima normativa e la nomenclatura doganale si applicano al settore doganale e non hanno lo scopo di disciplinare i diritti di proprietà industriale. Le loro disposizioni non sono quindi concludenti nel presente contesto.

97     Per quanto riguarda le precedenti valutazioni della Commissione, corrisponde al vero che, il 21 giugno 1985, tale istituzione ha risposto alla questione scritta n. 13/85 di un deputato europeo nei seguenti termini: «(…) il nome feta designa un tipo di formaggio e non una denominazione d’origine» (GU 30 settembre 1985, C 248, pag. 13).

98     In proposito occorre tuttavia rilevare che, all’epoca, non esisteva ancora alcuna tutela comunitaria delle denominazioni d’origine e delle indicazioni geografiche, che fu istituita per la prima volta dal regolamento di base. Alla data di quella risposta, la denominazione «feta» era tutelata in Grecia soltanto dagli usi tradizionali.

99     Alla luce di quanto sopra, risulta che molteplici fattori, pertinenti e importanti, indicano che tale termine non è divenuto generico.

100   Ciò considerato, occorre dichiarare che la Commissione legittimamente ha stabilito, nel regolamento impugnato, che il termine «feta» non è divenuto generico ai sensi dell’art. 3 del regolamento di base.

 Sulla motivazione

101   Per quanto riguarda, infine, l’argomento secondo cui la motivazione del regolamento impugnato è insufficiente laddove constata che la denominazione «feta» non è generica, occorre, da un lato, esaminare la portata del parere del comitato scientifico e, dall’altro, accertare quanto la motivazione fornita sia dettagliata.

102   Nei ‘considerando’ dall’undicesimo al ventunesimo, nonché trentatreesimo del detto regolamento, la Commissione analizza essa stessa la questione della genericità del termine «feta». Soltanto ai ‘considerando’ dal ventiduesimo al trentaduesimo la Commissione riporta il parere del comitato scientifico. Sarebbe quindi inesatto affermare che la motivazione esposta nel detto regolamento in merito alla genericità del termine «feta» consiste in una mera riproduzione di tale parere.

103   Risulta dalla decisione 93/53 che il comitato scientifico è stato istituito dalla Commissione e che i suoi membri sono da essa nominati. Il detto comitato si riunisce su convocazione di un rappresentante della detta istituzione e le sue deliberazioni vertono sugli argomenti per i quali la Commissione ha chiesto un parere.

104   Conformemente a tali norme, la Commissione era legittimata, a sua discrezione, a sottoporre questioni in materia di denominazione d’origine agli esperti nominati in tale comitato, per essere aiutata a chiarire il problema, come nella fattispecie ha fatto. Analogamente, la Commissione era libera di decidere in quale misura intendeva aderire al parere fornito dal detto comitato.

105   Come risulta dal trentatreesimo ‘considerando’ del regolamento impugnato, nella fattispecie la Commissione ha fatto propri gli orientamenti espressi dal comitato. Questa pratica è conforme tanto alle disposizioni della decisione 93/53 quanto a quelle dell’art. 253 CE.

106   In merito al carattere dettagliato o meno della motivazione fornita nel regolamento impugnato sulla questione della genericità del termine «feta», emerge da una giurisprudenza costante che la motivazione richiesta dall’art. 253 CE deve essere adeguata alla natura dell’atto e deve far apparire, in forma chiara e non equivoca, l’iter logico seguito dall’istituzione da cui promana l’atto, in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e permettere al giudice competente di esercitare il proprio sindacato (v. sentenza 7 febbraio 2002, causa C‑328/00, Weber, Racc. pag. I‑1461, punto 42, nonché la giurisprudenza ivi citata). Tuttavia, l’autore dell’atto non è tenuto a prendere posizione su elementi che sono chiaramente secondari né ad anticipare potenziali obiezioni (v., in tal senso, sentenza 2 aprile 1998, causa C‑367/95 P, Commissione/Sytraval e Brink’s France, Racc. pag. I‑1719, punto 64).

107   La Commissione ha chiaramente esposto, nei ‘considerando’ dall’undicesimo al trentatreesimo del regolamento impugnato, gli elementi essenziali che l’hanno indotta a concludere che la denominazione «feta» non era generica ai sensi dell’art. 3 del regolamento di base. Tale esposizione costituisce motivazione sufficiente ai fini dell’art. 253 CE.

108   Ne deriva che l’argomento secondo il quale la motivazione del regolamento impugnato è insufficiente laddove si constata che la denominazione «feta» non è generica è destituito di fondamento.

109   Da ciò consegue che il motivo vertente sulla violazione dell’art. 3, n. 1, del regolamento di base e dell’art. 253 CE va respinto in quanto infondato.

110   Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, i presenti ricorsi devono essere respinti.

 Sulle spese

111   Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ha chiesto la condanna della Repubblica federale di Germania e del Regno di Danimarca, questi ultimi, rimasti soccombenti, devono essere condannati alle spese. Ai sensi dell’art. 69, n. 4, dello stesso regolamento, la Repubblica ellenica, la Repubblica francese e il Regno Unito, intervenienti, sopportano le proprie spese.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara e statuisce:

1)      I ricorsi sono respinti.

2)      La Repubblica federale di Germania è condannata alle spese relative alla causa C‑465/02 e il Regno di Danimarca è condannato alle spese relative alla causa C‑466/02.

3)      La Repubblica ellenica, la Repubblica francese e il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord sopporteranno le proprie spese.

Firme


* Lingue processuali: il tedesco e il danese.