Language of document : ECLI:EU:T:2010:505

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Ottava Sezione)

9 dicembre 2010 (*)

«Marchio comunitario – Procedimento di dichiarazione di nullità – Marchio comunitario figurativo Golden Elephant Brand – Marchio nazionale figurativo non registrato GOLDEN ELEPHANT – Impedimento relativo alla registrazione – Rinvio al diritto nazionale che disciplina il marchio anteriore – Regime dell’azione di common law per abuso di denominazione (action for passing off) – Art. 74, n. 1, del regolamento (CE) n. 40/94 [divenuto art. 76, n. 1, del regolamento (CE) n. 207/2009] – Art. 73 del regolamento n. 40/94 (divenuto art. 75 del regolamento n. 207/2009) – Artt. 8, n. 4, e 52, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94 [divenuti artt. 8, n. 4, e 53, n. 1, lett. c), del regolamento n. 207/2009] – Motivi nuovi – Art. 48, n. 2, del regolamento di procedura»

Nella causa T‑303/08,

Tresplain Investments Ltd, con sede in Tsing Yi, Hong Kong (Cina), rappresentata dalla sig.ra D. McFarland, barrister,

ricorrente,

contro

Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), rappresentato dal sig. J. Novais Gonçalves, in qualità di agente,

convenuto,

controinteressata nel procedimento dinanzi alla commissione di ricorso dell’UAMI e interveniente dinanzi al Tribunale:

Hoo Hing Holdings Ltd, con sede in Romford, Essex (Regno Unito), rappresentata dal sig. M. Edenborough, barrister,

avente ad oggetto il ricorso presentato avverso la decisione della prima commissione di ricorso dell’UAMI 7 maggio 2008 (procedimento R 889/2007‑1), relativa ad un procedimento di nullità tra la Hoo Hing Holdings Ltd e la Tresplain Investments Ltd,

IL TRIBUNALE (Ottava Sezione),

composto, in camera di consiglio, dalla sig.ra M.E. Martins Ribeiro, presidente, dai sigg. S. Papasavvas e A. Dittrich (relatore), giudici,

cancelliere: sig. E. Coulon

visto il ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 30 luglio 2008;

visto il controricorso dell’UAMI depositato presso la cancelleria del Tribunale il 18 dicembre 2008;

visto il controricorso dell’interveniente depositato presso la cancelleria del Tribunale il 1° dicembre 2008;

vista l’istanza di riunione della presente causa alla causa T‑300/08 ai fini della fase orale del procedimento e della sentenza, presentata dall’interveniente mediante lettera depositata presso la cancelleria del Tribunale il 27 agosto 2008;

viste le osservazioni della ricorrente e dell’UAMI in merito a tale istanza di riunione, depositate presso la cancelleria del Tribunale mediante lettere, rispettivamente, del 10 novembre e del 14 ottobre 2008;

vista l’istanza di riapertura della fase scritta e di presentazione di motivi nuovi, depositata dall’interveniente presso la cancelleria del Tribunale il 6 agosto 2009;

viste le osservazioni della ricorrente su tale istanza, depositate presso la cancelleria del Tribunale il 22 settembre 2009;

vista la decisione del Tribunale di fissare un termine per il deposito di motivi nuovi;

vista la memoria dell’interveniente contenente motivi nuovi, depositata presso la cancelleria del Tribunale il 17 dicembre 2009;

viste le osservazioni della ricorrente e dell’UAMI sui motivi nuovi introdotti dall’interveniente, depositate presso la cancelleria del Tribunale, rispettivamente, il 13 e il 18 gennaio 2010;

dal momento che le parti non hanno presentato domanda di fissazione di udienza entro il termine di un mese dalla notifica della chiusura della fase scritta del procedimento e avendo pertanto deciso, su relazione del giudice relatore e in applicazione dell’art. 135 bis del regolamento di procedura del Tribunale, di statuire senza fase orale del procedimento,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        Il 29 aprile 1996 la Tresplain Investments Ltd, ricorrente, ha presentato una domanda di marchio comunitario all’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), in forza del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), come modificato [sostituito dal regolamento (CE) del Consiglio 26 febbraio 2009, n. 207, sul marchio comunitario (GU L 78, pag. 1)].

2        Il marchio del quale è stata richiesta la registrazione è il segno figurativo seguente:

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3        Il prodotto per il quale è stata richiesta la registrazione appartiene alla classe 30 ai sensi dell’accordo di Nizza 15 giugno 1957, relativo alla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, come riveduto e modificato, e corrisponde alla seguente descrizione: «riso».

4        Il 4 febbraio 1999 la ricorrente ha ottenuto la registrazione del predetto marchio comunitario con il n. 241810 (in prosieguo: il «marchio comunitario controverso»).

5        Il 5 agosto 2005 la Hoo Hing Holdings Ltd, interveniente, ha presentato una domanda di dichiarazione di nullità nei confronti del marchio comunitario controverso. In primo luogo, essa ha fatto valere l’art. 51, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94 [divenuto art. 52, n. 1, lett. a), del regolamento n. 207/2009], in combinato disposto con l’art. 5 del regolamento n. 40/94 (divenuto art. 5 del regolamento n. 207/2009), nel testo applicabile fino al 10 marzo 2004, data in cui è entrata in vigore la nuova versione di tale articolo, come emendato dal regolamento (CE) del Consiglio 19 febbraio 2004, n. 422, che modifica il regolamento n. 40/94 (GU L 70, pag. 1). In secondo luogo, essa si è fondata sull’art. 51, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94 [divenuto art. 52, n. 1, lett. b), del regolamento n. 207/2009]. In terzo luogo, essa ha invocato l’art. 52, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94 [divenuto art. 53, n. 1, lett. c), del regolamento n. 207/2009], in combinato disposto con l’art. 8, n. 4, dello stesso regolamento (divenuto art. 8, n. 4, del regolamento n. 207/2009). Al riguardo essa ha affermato che le norme che disciplinano l’abuso di denominazione (passing off) le attribuiscono il diritto, nel Regno Unito, di vietare l’uso del marchio comunitario controverso in base al proprio marchio figurativo non registrato qui di seguito riprodotto, di cui essa avrebbe fatto uso nel Regno Unito fin dal 1988 per designare riso (in prosieguo: il «marchio anteriore»):

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6        Con decisione 16 aprile 2007 la divisione di annullamento dell’UAMI ha respinto la domanda di dichiarazione di nullità. Per quanto riguarda la causa di nullità di cui all’art. 52, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94, in combinato disposto con l’art. 8, n. 4, dello stesso regolamento, essa ha ritenuto che la data rilevante per stabilire se l’interveniente avesse acquisito un diritto anteriore ai sensi dell’art. 8, n. 4, del regolamento n. 40/94 fosse la data di deposito della domanda del marchio comunitario controverso, vale a dire il 29 aprile 1996, e non la data in cui quest’ultimo era stato utilizzato per la prima volta nel Regno Unito. A suo giudizio, l’interveniente aveva dimostrato in modo sufficiente di aver utilizzato, a tale data, il marchio anteriore nella normale prassi commerciale e che la sua portata non fosse puramente locale. Essa ha tuttavia ritenuto che, considerata la quota trascurabile del mercato del riso venduto con il marchio anteriore, l’interveniente non avesse dimostrato che il pubblico di riferimento aveva collegato un «goodwill» (ossia la forza di attrazione sulla clientela, v. seguente punto 101) ai prodotti facenti riferimento al marchio anteriore. L’interveniente non sarebbe pertanto riuscita a dimostrare che il regime dell’azione per abuso di denominazione le consentiva di vietare l’uso del marchio comunitario controverso.

7        L’8 giugno 2007 l’interveniente ha proposto ricorso presso l’UAMI avverso la decisione della divisione di annullamento.

8        Con decisione 7 maggio 2008 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), la prima commissione di ricorso dell’UAMI ha annullato la decisione della divisione di annullamento, ha dichiarato la nullità del marchio comunitario controverso ed ha condannato la ricorrente alle spese.

9        La commissione di ricorso ha ritenuto assolti i requisiti di cui all’art. 52, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94, in combinato disposto con l’art. 8, n. 4, dello stesso regolamento, e su tale fondamento ha dichiarato la nullità del marchio comunitario controverso.

10      Essa ha rilevato che, per poter proporre un’azione per abuso di denominazione sulla base della common law, come elaborata dalla giurisprudenza inglese, il richiedente la nullità deve provare, in primo luogo, di avere acquisito un goodwill o una notorietà nel mercato con il marchio non registrato e che i suoi prodotti sono riconosciuti grazie ad un elemento distintivo, in secondo luogo, la sussistenza di una presentazione ingannevole (intenzionale o meno) da parte del titolare del marchio comunitario che induce, o che è atta a indurre, il pubblico a credere che i prodotti offerti in vendita dal titolare del marchio comunitario siano quelli del richiedente la nullità e, in terzo luogo, che questi abbia subito o rischi di subire un pregiudizio a causa della confusione generata dalla presentazione ingannevole ad opera del titolare del marchio comunitario.

11      La commissione di ricorso ha accolto la conclusione della divisione di annullamento in base alla quale la data di deposito della domanda di marchio comunitario è la data rilevante in cui devono essere stati acquisiti i diritti al segno anteriore.

12      Essa ha sottolineato che gli elementi di prova forniti dall’interveniente dimostravano un’attività commerciale effettiva e seria che implicava l’importazione nel Regno Unito e la vendita a stabilimenti di alimentazione cinese e di alimentazione thailandese di tipi speciali di riso con il marchio anteriore. Il segno sarebbe stato pertanto utilizzato nella normale prassi commerciale ai sensi dell’art. 8, n. 4, del regolamento n. 40/94.

13      La commissione di ricorso ha rilevato che dagli elementi di prova forniti dall’interveniente risultava che il marchio anteriore era stato utilizzato nel Regno Unito (a Londra e nelle vicine contee del Kent e del Bedfordshire). Per di più, una dichiarazione solenne resa dall’interveniente avrebbe confermato la vendita di riso a clienti in altre grandi città del Regno Unito, tra cui Manchester, Liverpool, Birmingham, Glasgow e Bristol. L’interveniente avrebbe quindi provato che l’uso del marchio anteriore era andato al di là di un ambito puramente locale ai sensi dell’art. 8, n. 4, del regolamento n. 40/94.

14      L’interveniente avrebbe dimostrato che i diritti di cui trattasi erano stati acquisiti prima della data di deposito della domanda di marchio comunitario ai sensi dell’art. 8, n. 4, lett. a), del regolamento n. 40/94 [divenuto art. 8, n. 4, lett. a), del regolamento n. 207/2009].

15      Quanto alla condizione di cui all’art. 8, n. 4, lett. b), del regolamento n. 40/94 [divenuto art. 8, n. 4, lett. b), del regolamento n. 207/2009], secondo cui il segno non registrato deve dare al suo titolare il diritto di vietare l’uso di un marchio successivo, la commissione di ricorso ha rilevato quanto segue.

16      L’interveniente avrebbe dimostrato l’esistenza di un goodwill sufficiente, generato nella sua impresa dalla vendita di tipi speciali di riso, alla data di deposito della domanda del marchio comunitario controverso. La divisione di annullamento avrebbe stabilito una soglia più elevata per la dimostrazione di un goodwill rispetto a quella fissata dal diritto inglese disciplinante l’azione per abuso di denominazione.

17      La commissione di ricorso ha inoltre ritenuto che il marchio comunitario controverso fosse una presentazione ingannevole del marchio anteriore. Al riguardo essa ha rilevato che i prodotti interessati erano identici. Lo stesso varrebbe per quanto attiene agli elementi denominativi dei marchi contrapposti. Sussisterebbe un’identità fonetica ed un’identità concettuale tra questi ultimi, nonché un’accentuata somiglianza visiva. Dunque, sarebbe inevitabile che il pubblico non sia in grado di distinguere i segni di cui trattasi e che i consumatori posti dinanzi al marchio anteriore identifichino il riso commercializzato dalla ricorrente contraddistinto dal marchio comunitario controverso con il riso commercializzato dall’interveniente.

18      Inoltre, essa ha ritenuto che, dato che l’interveniente aveva dimostrato l’esistenza nel Regno Unito di un goodwill per il marchio anteriore, avente una forte somiglianza con il marchio comunitario controverso e relativo a prodotti identici, si poteva ragionevolmente concludere che l’interveniente rischiava di subire un pregiudizio.

19      D’altra parte, per quanto riguarda la domanda di dichiarazione di nullità nella parte fondata sull’art. 51, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94, in combinato disposto con l’art. 5 di tale regolamento, nell’ambito di un’«osservazione preliminare» la commissione di ricorso ha dichiarato che la stessa era inammissibile. Al punto 19 della decisione impugnata essa ha precisato che, dato che la domanda di nullità era stata depositata il 5 agosto 2005, la versione del regolamento n. 40/94 applicabile era quella che conteneva gli emendamenti apportati alle cause di nullità assoluta dal regolamento n. 422/2004 e che il nuovo art. 51, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94, che era applicabile, faceva unicamente riferimento all’art. 7 del regolamento n. 40/94 (divenuto art. 7 del regolamento n. 207/2009), relativo agli impedimenti assoluti alla registrazione, e non più all’art. 5 dello stesso regolamento, relativo ai titolari di marchi comunitari.

20      Da ultimo, nella decisione impugnata la commissione di ricorso non ha esaminato l’argomento della ricorrente fondato sull’art. 51, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94.

21      Il 1° agosto 2008 l’interveniente ha proposto ricorso presso il Tribunale avverso la decisione impugnata. Tramite tale ricorso essa ha chiesto l’annullamento della decisione impugnata, nella parte in cui la commissione di ricorso aveva concluso per l’irricevibilità del motivo relativo alla causa di nullità di cui all’art. 51, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94. Essa ha altresì chiesto la riforma della decisione impugnata, di modo che i motivi fondati sulle cause di nullità previste, rispettivamente, dall’art. 51, n. 1, lett. a) e b), del regolamento n. 40/94 siano dichiarati ricevibili e fondati nonché la riforma della decisione impugnata di modo che il marchio comunitario controverso sia dichiarato nullo sul fondamento dell’uno o dell’altro di tali motivi supplementari, ovvero di entrambi.

22      Il Tribunale ha respinto il suddetto ricorso in quanto irricevibile [ordinanza del Tribunale 14 luglio 2009, causa T‑300/08, Hoo Hing/UAMI – Tresplain Investments (Golden Elephant Brand)]. In sostanza il Tribunale ha dichiarato che, in forza dell’art. 63, n. 4, del regolamento n. 40/94 (divenuto art. 65, n. 4, del regolamento n. 207/2009), la Hoo Hing non era legittimata a presentare un ricorso dinanzi al Tribunale, dal momento che la decisione della commissione di ricorso aveva pienamente accolto le sue pretese (ordinanza Golden Elephant Brand, cit., punto 37).

 Conclusioni delle parti

23      Nell’atto introduttivo, la ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        condannare l’UAMI alle spese.

24      Nel suo controricorso, l’UAMI chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

25      Nel suo controricorso, l’interveniente chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        inoltre, o in subordine, annullare la decisione impugnata per quanto riguarda la dichiarazione secondo cui la data appropriata per risolvere la questione dell’abuso di denominazione è la data di deposito della domanda di marchio comunitario, e non già la data del primo uso del marchio comunitario;

–        in aggiunta, o in subordine, modificare la decisione impugnata al fine di dichiarare che la data appropriata per risolvere la questione dell’abuso di denominazione è la data di primo uso del marchio comunitario, e non già la data di deposito della domanda di marchio comunitario;

–        condannare alle spese l’UAMI o la ricorrente, o, in subordine, l’UAMI e la ricorrente in solido.

26      Nella memoria in cui presenta motivi nuovi l’interveniente chiede altresì che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata laddove dichiara l’irricevibilità del motivo relativo alla causa di nullità di cui all’art. 51, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94;

–        inoltre, o in subordine, modificare la decisione impugnata di modo che il motivo relativo alla causa di nullità di cui all’art. 51, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94 sia dichiarato ricevibile e fondato;

–        modificare la decisione impugnata di modo che il motivo relativo alla causa di nullità di cui all’art. 51, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94 sia dichiarato ricevibile e fondato;

–        qualora la decisione impugnata sia riformata nel senso richiesto, modificarla altresì di modo che il marchio comunitario controverso sia dichiarato nullo sul fondamento dell’uno o dell’altro di tali motivi supplementari, ovvero di entrambi;

–        condannare alle spese l’UAMI o la ricorrente o, in subordine, l’UAMI e la ricorrente in solido.

27      Nelle sue osservazioni scritte sui motivi nuovi, la ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere i nuovi motivi di diritto;

–        condannare l’interveniente alle spese.

28      Nelle sue osservazioni scritte sui motivi nuovi, l’UAMI chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere i nuovi motivi di diritto in quanto irricevibili;

–        in subordine, respingere i nuovi motivi di diritto in quanto infondati;

–        condannare l’interveniente alle spese.

 In diritto

29      In via preliminare, per quanto riguarda l’istanza dell’interveniente di riunire la presente causa alla causa T‑300/08 ai fini della fase orale del procedimento e della sentenza, è sufficiente rilevare che tale istanza è ormai priva di oggetto a seguito della dichiarazione di irricevibilità del ricorso nella causa T‑300/08 (ordinanza Golden Elephant Brand, punto 22 supra).

1.     Sulle conclusioni della ricorrente

30      A sostegno del proprio ricorso, la ricorrente fa valere due motivi relativi, rispettivamente, alla violazione degli artt. 73 e 74 del regolamento n. 40/94 [divenuti artt. 75 e 76 del regolamento n. 207/2009] e alla violazione dell’art. 8, n. 4, del regolamento n. 40/94.

 Sul primo motivo, relativo alla violazione degli artt. 73 e 74 del regolamento n. 40/94

 Sulla prima parte del primo motivo, relativa alla violazione dell’art. 74 del regolamento n. 40/94

–       Argomenti delle parti

31      Nell’ambito della prima parte del primo motivo, la ricorrente afferma che la commissione di ricorso ha rifiutato di tener conto dei fatti, delle prove e degli argomenti rilevanti che essa aveva fornito in tempo utile. Così operando, essa avrebbe violato l’art. 74 del regolamento n. 40/94, e segnatamente il n. 2 di tale disposizione (divenuto art. 76, n. 2, del regolamento n. 207/2009).

32      In particolare la commissione di ricorso avrebbe rifiutato di prendere in considerazione gli argomenti della ricorrente concernenti:

–        la contestazione di presunte «prove» esibite dall’interveniente;

–        il fatto che l’interveniente non abbia fornito prove relative al peso e alla rilevanza dell’asserita notorietà o del goodwill acquisito mediante l’uso;

–        la mancanza di casi concreti di confusione o di rischio di confusione tra i marchi contrapposti. La commissione di ricorso in particolare non avrebbe tenuto conto del fatto che l’interveniente (al pari dei suoi clienti) non aveva mai attaccato la ricorrente, malgrado sia pacifico che, a partire dal mese di novembre 2003, vi era una commercializzazione parallela sul mercato del Regno Unito dei prodotti di entrambe le parti, ossia del riso, venduto con i marchi contrapposti.

33      La commissione di ricorso avrebbe altresì rifiutato di prendere in considerazione le prove relative alla mancanza di rischio di confusione fornite dalla ricorrente nelle sue osservazioni scritte.

34      In tal modo, la commissione di ricorso avrebbe ampiamente rifiutato di tener conto delle osservazioni della ricorrente del 3 febbraio 2006, del 31 ottobre 2007 e del 1° aprile 2008.

35      La commissione di ricorso avrebbe omesso di valutare le quote di mercato e non avrebbe preso in considerazione gli elementi di prova da essa forniti e da cui risulterebbe che ogni anno, in media, vengono importate nel Regno Unito 500 000 tonnellate di riso.

36      L’UAMI e l’interveniente concludono per il rigetto di tale parte del primo motivo. L’UAMI sostiene in particolare che detto motivo è irricevibile, dal momento che la ricorrente non indicherebbe in modo sufficientemente chiaro quali siano gli argomenti o le prove, tra quelli che essa ha addotto o fornito nel corso del procedimento amministrativo, che sarebbero stati ignorati dalla commissione di ricorso. In ogni caso, tale parte del primo motivo sarebbe priva di fondamento, dato che la commissione di ricorso avrebbe esaminato le osservazioni presentate dalle parti nella loro interezza.

–       Giudizio del Tribunale

37      Si deve rammentare che, ai sensi dell’art. 21 dello Statuto della Corte di giustizia e dell’art. 44, n. 1, del regolamento di procedura del Tribunale, il ricorso deve contenere, in particolare, l’«oggetto della controversia» e l’«esposizione sommaria dei motivi dedotti». Inoltre, secondo l’art. 48, n. 2, di detto regolamento, «[è] vietata la deduzione di motivi nuovi in corso di causa, a meno che essi si basino su elementi di diritto e di fatto emersi durante il procedimento». Risulta da tali disposizioni che qualsiasi motivo che non sia sufficientemente articolato nell’atto introduttivo deve essere considerato irricevibile (sentenza del Tribunale 14 dicembre 2005, causa T‑209/01, Honeywell/Commissione, Racc. pag. II‑5527, punto 54).

38      Secondo costante giurisprudenza, affinché un ricorso sia ricevibile occorre che gli elementi essenziali di fatto e di diritto sui quali esso si fonda emergano, quanto meno sommariamente, ma in modo coerente e comprensibile, dal testo del ricorso stesso (v. sentenza Honeywell/Commissione, punto 37 supra, punto 56 e giurisprudenza ivi citata). A tale riguardo, sebbene il corpo del ricorso possa essere corroborato e integrato, su punti specifici, mediante rinvii ad estratti di documenti ad esso allegati, un rinvio globale ad altri scritti, anche se allegati al ricorso, non può sanare la mancanza degli elementi essenziali dell’argomentazione in diritto i quali, in forza delle disposizioni in precedenza ricordate, devono comparire nel ricorso. Inoltre, non spetta al Tribunale ricercare ed individuare, negli allegati, i motivi e gli argomenti sui quali, a suo parere, il ricorso dovrebbe essere fondato, atteso che gli allegati assolvono una funzione meramente probatoria e strumentale (v. sentenza Honeywell/Commissione, punto 37 supra, punto 57 e giurisprudenza ivi citata).

39      D’altro canto, l’art. 74, n. 1, del regolamento n. 40/94 (divenuto art. 76, n. 1, del regolamento n. 207/2009) dispone che l’UAMI conduce d’ufficio l’esame dei fatti e che, tuttavia, in un procedimento concernente impedimenti relativi alla registrazione, l’esame è circoscritto ai motivi invocati e alle richieste presentate dalle parti. Ai sensi del n. 2 dello stesso articolo, l’UAMI può non tener conto dei fatti che le parti non hanno invocato o delle prove che non hanno presentato in tempo utile.

40      La ricorrente sostiene, in sostanza, che la commissione di ricorso ha violato la suddetta disposizione procedurale rifiutando di prendere in considerazione determinati argomenti o prove presentati dalla ricorrente, non ricorrendo le condizioni menzionate al n. 2 dell’articolo citato in quanto essa avrebbe presentato tutti i suddetti elementi in tempo utile.

41      Nel caso di specie si deve rilevare che taluni argomenti addotti dalla ricorrente a sostegno di tale parte del primo motivo non sono stati presentati in modo sufficientemente preciso nel ricorso. Infatti, la ricorrente non ha spiegato, nel corpo del ricorso, quali fossero gli argomenti da essa presentati nel corso del procedimento amministrativo in relazione alla contestazione degli elementi di prova forniti dall’interveniente. Essa non ha neppure indicato quali fossero gli argomenti, nelle sue memorie del 3 febbraio 2006, del 31 ottobre 2007 e del 1° aprile 2008, che, a suo avviso, la commissione di ricorso aveva rifiutato di prendere in considerazione.

42      Tuttavia, una parte degli argomenti fatti valere dalla ricorrente a sostegno di detta parte del primo motivo è stata presentata in modo sufficientemente chiaro nello stesso ricorso. Invero, da quest’ultimo risulta che la ricorrente addebita alla commissione di ricorso di non aver tenuto conto della sua argomentazione secondo cui l’interveniente non aveva fornito prove in merito al peso e alla rilevanza dell’asserita notorietà o del goodwill acquisito mediante l’uso. Dal ricorso risulta altresì che la ricorrente ritiene che la commissione di ricorso abbia rifiutato di prendere in considerazione la sua argomentazione secondo cui non esiste rischio di confusione tra i marchi contrapposti. Inoltre, la ricorrente contesta esplicitamente alla commissione di ricorso di non aver tenuto conto del suo argomento in base al quale, mediamente, ogni anno vengono importate nel Regno Unito 500 000 tonnellate di riso. Per quanto riguarda tali argomenti, il contenuto dell’argomentazione emerge, quanto meno in modo sommario, dal corpo del ricorso.

43      La prima parte del primo motivo, relativa al fatto che la commissione di ricorso avrebbe commesso un errore procedurale rifiutando di prendere in considerazione una parte degli argomenti della ricorrente senza che fossero soddisfatte le condizioni di un tale diniego, non può pertanto essere considerata di per sé irricevibile. Solo taluni argomenti addotti a sostegno di tale parte sono irricevibili, poiché non sono stati presentati in modo sufficientemente chiaro nel corpo del ricorso (v. punto 41 supra).

44      Nel merito della prima parte del primo motivo si deve rilevare quanto segue. Come sottolineato dall’UAMI, né dalla decisione impugnata né dallo scambio di corrispondenza intercorso tra lo stesso e la ricorrente emerge in alcun modo che esso abbia rifiutato di prendere in considerazione fatti, prove e argomenti da quest’ultima presentati.

45      Si deve sottolineare che, ai punti 3, 5, 14 e 16 della decisione impugnata, la commissione di ricorso ha esposto in sintesi l’argomentazione addotta dalla ricorrente, che rifletteva nel loro complesso le memorie da essa presentate nel corso del procedimento amministrativo.

46      In tale contesto occorre rilevare che la commissione di ricorso non è obbligata a prendere posizione su tutti gli argomenti addotti dalle parti. È sufficiente che essa esponga i fatti e le considerazioni giuridiche che rivestono un’importanza essenziale nell’economia della decisione (v., in tal senso, sentenza della Corte 11 gennaio 2007, causa C404/04 P, Technische Glaswerke Ilmenau/Commissione, punto 30). Ne consegue che la circostanza che la commissione di ricorso non abbia richiamato tutti gli argomenti di una parte o non abbia risposto a ciascuno di essi non consente, da sola, di concludere che la commissione di ricorso abbia rifiutato di prenderli in considerazione.

47      Nel caso di specie, al punto 14 della decisione impugnata la commissione di ricorso ha rilevato che la ricorrente aveva affermato che la quota di mercato dell’interveniente era troppo limitata per dimostrare un goodwill e, al punto 16 della decisione impugnata, che la ricorrente aveva sostenuto che l’interveniente non aveva fornito la prova dell’esistenza di un goodwill. Inoltre, ai punti 3 e 14 della decisione impugnata essa ha compiuto una sintesi degli argomenti della ricorrente relativi alla esiguità della quota di mercato dell’interveniente.

48      Ai punti 40-43 della medesima decisione la commissione di ricorso ha valutato la questione se l’interveniente avesse dimostrato l’esistenza di un goodwill in modo giuridicamente valido e non vi sono elementi che consentano di ritenere che la commissione di ricorso abbia rifiutato di tener conto di tutti gli argomenti fatti valere dalla ricorrente a questo riguardo.

49      Quanto all’argomento della ricorrente secondo cui la commissione di ricorso non ha preso in considerazione gli argomenti e le prove da essa forniti in ordine all’assenza di un rischio di confusione tra i marchi contrapposti, si deve rilevare quanto segue. È vero che, nella sintesi dell’argomentazione della ricorrente contenuta nella decisione impugnata non è menzionato alcun argomento in relazione alla mancanza di un rischio di confusione. Tuttavia, si deve sottolineare che la ricorrente non ha presentato, durante il procedimento amministrativo, alcuna argomentazione elaborata in ordine alla mancanza di un rischio di confusione. Nella sua memoria del 31 ottobre 2007 la ricorrente si è limitata ad affermare, dopo aver sottolineato la limitata quota di mercato dell’interveniente, che «non [poteva] sussistere un goodwill, una presentazione ingannevole o un pregiudizio», che «non sussistevano né una presentazione ingannevole né alcun pregiudizio che ne derivasse» e, nella sua memoria del 1° aprile 2008, che l’interveniente «non [aveva] (...) potuto dimostrare la rappresentazione ingannevole o il pregiudizio».

50      Ai punti 44‑47 della decisione impugnata la commissione di ricorso ha affrontato la questione relativa all’esistenza di una presentazione ingannevole. Dato che la ricorrente si è limitata, nel corso del procedimento amministrativo, a contestare detta esistenza senza sviluppare la propria argomentazione, il solo fatto che la commissione di ricorso abbia esaminato la questione dell’esistenza di una presentazione ingannevole significa che essa ha preso in considerazione l’argomentazione della ricorrente.

51      Per quanto riguarda l’argomento secondo cui la commissione di ricorso non ha, in particolare, preso in considerazione il fatto che l’interveniente (al pari dei suoi clienti) non aveva mai attaccato la ricorrente, sebbene vi fosse stata, a partire dal novembre 2003, una commercializzazione parallela nel mercato, si deve sottolineare che la ricorrente non si è fondata su tali circostanze nella sua argomentazione durante il procedimento amministrativo. Non può dunque porsi la questione di un rifiuto di prendere in considerazione argomenti addotti dalla ricorrente durante il procedimento amministrativo.

52      Quanto all’argomento secondo cui annualmente le importazioni di riso nel Regno Unito sono state, in media, pari a 500 000 tonnellate, si deve rilevare che la commissione di ricorso ha esplicitamente menzionato tale argomento al punto 3 della decisione impugnata. Tuttavia, al punto 26 della decisione impugnata, essa ha rilevato che anche le piccole imprese potevano avere un goodwill. Ne discende che, secondo la commissione di ricorso, non era necessario stabilire la quota esatta di mercato detenuta dall’interveniente. Il fatto che la commissione di ricorso non abbia calcolato la quota di mercato dell’interveniente in base agli elementi di prova forniti dalla ricorrente relativamente al volume totale del mercato non significa quindi che la commissione di ricorso abbia rifiutato di prendere in considerazione parte degli argomenti o degli elementi di prova forniti dalla ricorrente, in violazione dell’art. 74 del regolamento n. 40/94. La mancata determinazione della quota esatta di mercato dell’interveniente si spiega per il fatto che quest’ultima non rivestiva un’importanza essenziale nell’economia della decisione impugnata.

53      Da quanto precede risulta che la commissione di ricorso non ha rifiutato di prendere in considerazione gli argomenti addotti dalla ricorrente nel corso del procedimento amministrativo. L’argomentazione della ricorrente, pertanto, è priva di fondamento in fatto e, di conseguenza, la prima parte del primo motivo deve essere respinta.

 Sulla seconda parte del primo motivo, relativa alla violazione dell’art. 73 e dell’art. 74, n. 1, in fine, del regolamento n. 40/94

–       Argomenti delle parti

54      Nell’ambito della seconda parte del primo motivo, la ricorrente afferma che nella decisione impugnata la commissione di ricorso si è fondata su pretesi «fatti» e su presunzioni e affermazioni di diritto che non erano stati fatti valere o sostenuti dalle parti. Quindi, essa avrebbe violato l’art. 73 e l’art. 74, n. 1, in fine, del regolamento n. 40/94 (divenuto art. 76, n. 1, in fine, del regolamento n. 207/2009).

55      Innanzitutto, la commissione di ricorso avrebbe definito o, in subordine, applicato in modo scorretto al caso di specie il diritto inglese disciplinante l’azione per abuso di denominazione.

56      In secondo luogo, la commissione di ricorso avrebbe «inventato conclusioni» e si sarebbe fondata su speculazioni ed ipotesi per sostenere le proprie affermazioni sull’asserito rischio di confusione dei marchi contrapposti.

57      In terzo luogo, la commissione di ricorso avrebbe ingiustamente concluso per l’esistenza di un pregiudizio, nonostante tale pregiudizio non fosse né provato né affermato.

58      L’interveniente non avrebbe provato di avere acquisito un goodwill. La sua quota sul mercato del riso nel Regno Unito sarebbe stata troppo ridotta per acquisire un goodwill.

59      Inoltre, la commissione di ricorso avrebbe commesso un errore omettendo di prendere in considerazione le differenze anatomiche, estetiche e artistiche della rappresentazione di una testa di elefante nei marchi contrapposti.

60      La commissione di ricorso non avrebbe tenuto conto del fatto che la maggior parte degli elementi di prova forniti dall’interveniente non dimostrerebbe l’uso del marchio anteriore per riso nel periodo di cui trattasi. Ad esempio, i rotoli di cassa farebbero riferimento soltanto al riso «G/E» o «GE» e non al marchio anteriore.

61      La ricorrente ritiene che l’argomentazione della commissione di ricorso, al punto 40 della decisione impugnata, sia illogica in quanto essa ha affermato che «la divisione di annullamento a[veva] stabilito una soglia più elevata rispetto a quella richiesta dal diritto inglese disciplinante l’abuso di denominazione», ma non ha aderito alla conclusione della divisione di annullamento secondo cui l’abuso di denominazione non era provato.

62      Essa sostiene che la commissione di ricorso non disponeva di alcun fondamento di fatto per concludere, al punto 43 della decisione impugnata, che era «alquanto poco probabile che il tasso di crescita delle vendite registrato dopo la data di deposito sarebbe stato lo stesso senza l’esistenza del goodwill generato dall’impresa a tale data». Inoltre, la commissione di ricorso avrebbe mancato di rigore impiegando l’espressione «goodwill generato dall’impresa».

63      L’UAMI e l’interveniente concludono per il rigetto di tale parte del primo motivo.

–       Giudizio del Tribunale

64      Si deve anzitutto esaminare l’asserita violazione dell’art. 74, n. 1, del regolamento n. 40/94 e, quindi, quella dell’art. 73, seconda frase, del regolamento n. 40/94 (divenuto art. 75, seconda frase, del regolamento n. 207/2009).

65      Va rammentato che, ai sensi dell’art. 74, n. 1, in fine, del regolamento n. 40/94, nei procedimenti concernenti impedimenti relativi alla registrazione l’esame si limita ai motivi fatti valere e alle richieste presentate dalle parti. L’art. 74, n. 1, in fine, del regolamento n. 40/94 si applica anche ai procedimenti di dichiarazione di nullità concernenti un motivo di nullità relativo in forza dell’art. 52 del medesimo regolamento [sentenza del Tribunale 25 maggio 2005, causa T‑288/03, TeleTech Holdings/UAMI – Teletech International (TELETECH GLOBAL VENTURES), Racc. pag. II‑1767, punto 65]. Pertanto, nei procedimenti di nullità aventi ad oggetto una causa di nullità relativa, spetta alla parte che ha presentato la domanda di nullità rivendicando un marchio anteriore nazionale dimostrarne l’esistenza e, eventualmente, la portata della tutela [v., in questo senso, sentenza del Tribunale 20 aprile 2005, causa T‑318/03, Atomic Austria/UAMI – Fabricas Agrupadas de Muñecas de Onil (ATOMIC BLITZ), Racc. pag. II‑1319, punto 33].

66      Al contrario, spetta all’UAMI stabilire se in un procedimento di dichiarazione di nullità siano soddisfatti i requisiti per l’applicazione di una causa di nullità fatta valere. In tale contesto, esso è tenuto a valutare la sussistenza dei fatti invocati e il valore probatorio degli elementi dedotti dalle parti (v., in tal senso, sentenza ATOMIC BLITZ, punto 65 supra, punto 34).

67      In particolare, l’UAMI può essere chiamato a tener conto del diritto nazionale dello Stato membro in cui il marchio anteriore su cui è fondata la domanda di dichiarazione di nullità gode di tutela. In tale ipotesi esso deve informarsi d’ufficio, con i mezzi che riterrà opportuni a tal fine, sul diritto nazionale dello Stato membro interessato ove tali informazioni siano necessarie per valutare le condizioni di applicazione di una causa di nullità controversa e, soprattutto, per valutare la sussistenza dei fatti addotti o il valore probatorio dei documenti allegati. Infatti, la limitazione della base fattuale dell’esame condotto dall’UAMI non esclude che questo prenda in considerazione, oltre ai fatti esplicitamente dedotti dalle parti del procedimento di dichiarazione di nullità, fatti notori, ossia fatti conoscibili da chiunque o che possono essere conosciuti tramite mezzi generalmente accessibili (v., in tal senso, sentenza ATOMIC BLITZ, punto 65 supra, punto 35).

68      Gli argomenti della ricorrente devono essere esaminati alla luce delle suesposte considerazioni.

69      Per quanto riguarda, innanzitutto, l’argomento secondo cui la commissione di ricorso ha definito o, in subordine, applicato al caso di specie in modo scorretto il diritto inglese disciplinante l’azione per abuso di denominazione, si deve rilevare che un’interpretazione o un’applicazione scorretta del diritto nazionale di uno Stato membro può costituire un errore di diritto, ma non una violazione dell’art. 74, n. 1, in fine, del regolamento n. 40/94. Dato che l’UAMI è tenuto a valutare d’ufficio se siano soddisfatte le condizioni per l’applicazione di una causa di nullità fatta valere e di informarsi d’ufficio, eventualmente, sul diritto dello Stato membro interessato, un eventuale errore nell’interpretazione o nell’applicazione del diritto nazionale non può essere considerato quale violazione dei limiti della controversia tra le parti.

70      Per quanto riguarda, poi, l’argomento della ricorrente secondo cui la commissione di ricorso ha «inventato conclusioni» e si è fondata su speculazioni ed ipotesi per sostenere le proprie affermazioni relative all’asserito rischio di confusione tra i marchi contrapposti, si deve rilevare quanto segue. Ai punti 44‑47 della decisione impugnata la commissione di ricorso ha, come doveva, verificato se fosse soddisfatta una delle condizioni dell’azione per abuso di denominazione, ossia l’esistenza di una presentazione ingannevole del marchio anteriore. A tale proposito essa ha anzitutto esposto, al punto 44 della decisione impugnata, il diritto nazionale, che essa ha applicato alla fattispecie in esame ai punti 45‑47 della decisione impugnata.

71      Atteso che spettava alla commissione di ricorso valutare se il segno anteriore fatto valere dall’interveniente consentisse di vietare l’uso di un marchio successivo ai sensi dell’art. 8, n. 4, lett. b), del regolamento n. 40/94, essa aveva l’obbligo di esaminare la questione se sussistesse una presentazione ingannevole idonea a indurre il pubblico a ritenere che i prodotti offerti in vendita dalla ricorrente fossero quelli dell’interveniente. Il fatto che la commissione di ricorso abbia effettuato, al punto 47 della decisione impugnata, affermazioni quali «è inevitabile che il pubblico non possa distinguere il riso e i loro marchi» o che «sussiste incontestabilmente una presentazione ingannevole» non può quindi essere considerato violazione dei limiti della controversia tra le parti. L’argomentazione della ricorrente a tale proposito si riferisce, in realtà, non già ad una violazione dell’art. 74, n. 1, del regolamento n. 40/94, bensì ad un errore di diritto che la commissione di ricorso avrebbe commesso nell’applicare il diritto nazionale letto in combinazione con l’art. 8, n. 4, del regolamento n. 40/94.

72      Per quanto riguarda l’argomento secondo cui la commissione di ricorso ha ingiustamente concluso per l’esistenza di un pregiudizio nonostante quest’ultimo non fosse provato o addotto, si deve del pari rilevare che la commissione di ricorso era tenuta a verificare se ricorressero le condizioni dell’azione per abuso di denominazione nel diritto del Regno Unito. Il fatto che essa abbia ritenuto, al punto 49 della decisione impugnata, che poteva ragionevolmente concludersi che l’interveniente rischiava di subire un pregiudizio sotto forma di perdita diretta o indiretta delle vendite non configura pertanto una violazione dell’art. 74, n. 1, del regolamento n. 40/94.

73      Con l’argomento secondo cui l’interveniente non ha provato di avere acquisito un goodwill e disponeva di una quota di mercato eccessivamente limitata, la ricorrente sostiene in realtà che la commissione di ricorso avrebbe commesso un errore di diritto nell’ambito della valutazione dell’esistenza del goodwill e non che essa avrebbe commesso una violazione dell’art. 74, n. 1, del regolamento n. 40/94 tenendo conto di fatti o elementi di prova non presentati dalle parti.

74      Quanto all’argomento della ricorrente secondo cui la commissione di ricorso ha commesso un errore omettendo di prendere in considerazione le differenze anatomiche, estetiche ed artistiche della rappresentazione di una testa di elefante nei marchi contrapposti, si deve rilevare che tale argomento si riferisce, in realtà, ad un errore di diritto che la commissione di ricorso avrebbe commesso nell’ambito della valutazione dell’esistenza di una presentazione ingannevole e non ad una violazione dell’art. 74, n. 1, del regolamento n. 40/94.

75      Con l’argomento secondo cui la commissione di ricorso non ha tenuto conto del fatto che la maggior parte degli elementi di prova forniti dall’interveniente non dimostravano l’uso del marchio anteriore per il riso nel periodo in esame, la ricorrente, in realtà, addebita alla commissione di ricorso di non aver valutato correttamente le prove fornite dall’interveniente. Tale argomentazione riguarda un errore di valutazione commesso dalla commissione di ricorso e non già una violazione dell’art. 74, n. 1, del regolamento n. 40/94.

76      L’argomento della ricorrente secondo cui l’argomentazione della commissione di ricorso è illogica (v. punto 61 supra) si riferisce parimenti ad un presunto errore di diritto e non ad una violazione dell’art. 74, n. 1, del regolamento n. 40/94.

77      Per quanto riguarda l’argomento della ricorrente secondo cui la commissione di ricorso, al punto 43 della decisione impugnata, ha concluso senza fondamento fattuale che era «alquanto poco probabile che il tasso di crescita delle vendite registrato dopo la data di deposito sarebbe stato lo stesso senza l’esistenza del goodwill generato dall’impresa a tale data», si deve rilevare quanto segue. Spettava alla commissione di ricorso determinare se l’interveniente avesse acquisito un goodwill così come richiesto nel diritto del Regno Unito nell’ambito di un’azione per abuso di denominazione. Nel caso in cui la commissione di ricorso avesse concluso per l’esistenza di un goodwill in difetto di una sufficiente base fattuale, ciò costituirebbe un errore di valutazione. La ricorrente non afferma che la commissione di ricorso si sia fondata su fatti non presentati dalle parti, bensì che quest’ultima ha tratto conclusioni ingiustificate dagli elementi di fatto che erano stati presentati dinanzi ad essa.

78      Per quanto attiene, da ultimo, all’argomento della ricorrente secondo cui la commissione di ricorso è mancata di rigore utilizzando l’espressione «goodwill generato dall’impresa», si deve rilevare che esso in realtà si riferisce ad un errore di diritto che la commissione di ricorso avrebbe commesso.

79      Da quanto precede risulta che gli argomenti della ricorrente, in realtà, non fanno riferimento ad una violazione dell’art. 74, n. 1, del regolamento n. 40/94, bensì ad errori di diritto che la commissione di ricorso avrebbe commesso nell’applicazione del diritto nazionale o ad errori di valutazione. Tali argomenti saranno pertanto esaminati nell’ambito del secondo motivo.

80      Quanto all’asserita violazione dell’art. 73 del regolamento n. 40/94, si deve ricordare che, ai sensi dell’art. 73, seconda frase, del regolamento n. 40/94, le decisioni dell’UAMI possono essere fondate esclusivamente su motivi in ordine ai quali le parti hanno potuto presentare le proprie deduzioni.

81      In tale contesto va precisato che la valutazione dei fatti appartiene all’atto decisionale. Orbene, il diritto di essere sentiti si estende a tutti gli elementi di fatto o di diritto che costituiscono il fondamento dell’atto decisionale, ma non alla posizione finale che l’amministrazione intende adottare [v. sentenza del Tribunale 7 giugno 2005, causa T‑303/03, Lidl Stiftung/UAMI – REWE-Zentral (Salvita), Racc. pag. II‑1917, punto 62 e giurisprudenza ivi citata]. La commissione di ricorso pertanto non era tenuta a sentire la ricorrente in merito alla valutazione degli elementi di fatto e di diritto su cui essa ha scelto di fondare la propria decisione. Essa non ha dunque commesso una violazione dell’art. 73 del regolamento n. 40/94.

82      Da tutto quanto precede risulta che si deve respingere la seconda parte del primo motivo e, quindi, il primo motivo nel suo complesso.

 Sul secondo motivo, relativo alla violazione dell’art. 8, n. 4, del regolamento n. 40/94

 Argomenti delle parti

83      La ricorrente sostiene che la commissione di ricorso ha ingiustamente ritenuto, al punto 26 della decisione impugnata, che il goodwill sia considerato ridotto soltanto quando l’impresa non ha carattere transitorio. Inoltre, essa avrebbe a torto stimato che il grado di prova richiesto dal diritto inglese non sia lo stesso di quello richiesto per il carattere distintivo acquisito mediante l’uso. Essa ritiene che il grado di prova richiesto nel diritto inglese sia lo stesso per tutte le cause civili.

84      La commissione di ricorso avrebbe ignorato o male interpretato il fatto che l’interveniente avrebbe dovuto provare in modo giuridicamente valido ciascun elemento delle condizioni richieste per un’azione per abuso di denominazione. La commissione di ricorso si sarebbe limitata, ai punti 47-49 della decisione impugnata, a formulare affermazioni circa l’esistenza di un rischio di confusione e di un pregiudizio, benché non fossero suffragati da alcun elemento di prova.

85      Oltretutto, la commissione di ricorso avrebbe commesso un errore o avrebbe dato prova di incomprensione quanto alla natura del prodotto. Il marchio comunitario controverso sarebbe registrato per il riso, senza specificare il tipo di riso. Nella decisione impugnata la commissione di ricorso farebbe più volte riferimento al fatto che l’interveniente fornisse tipi speciali di riso. Tuttavia, essa avrebbe ritenuto poi che l’interveniente fosse titolare di diritti per il riso e che i prodotti tutelati dai marchi contrapposti fossero identici. Pertanto, essa avrebbe a torto concluso che l’attività dell’interveniente fosse un’attività di nicchia avente ad oggetto tipi speciali di riso in considerazione di taluni elementi della causa, mentre, in altre parti della decisione impugnata, essa avrebbe ritenuto che il prodotto ed il mercato di riferimento fossero quelli del riso in generale.

86      I marchi contrapposti presenterebbero differenze visive e concettuali sufficienti in relazione al disegno dell’elefante e la commissione di ricorso avrebbe dovuto tenerne conto.

87      Inoltre, nel corso di vari anni i marchi contrapposti sarebbero pacificamente coesistiti nel mercato senza che alcun caso di confusione abbia attirato l’attenzione delle parti.

88      L’UAMI e l’interveniente concludono per il rigetto del secondo motivo.

 Giudizio del Tribunale

–       Osservazioni preliminari

89      In base all’art. 52, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94, il marchio comunitario è dichiarato nullo, su domanda presentata all’UAMI, allorché esiste un diritto anteriore ai sensi dell’art. 8, n. 4, di tale regolamento, e ricorrono le condizioni previste da quest’ultima disposizione. In forza dell’art. 8, n. 4, del regolamento n. 40/94, in seguito all’opposizione del titolare di un marchio non registrato o di un altro contrassegno utilizzato nella normale prassi commerciale e di portata non puramente locale, il marchio richiesto è escluso dalla registrazione qualora e nei limiti in cui, in base al diritto dello Stato membro che disciplina detto contrassegno, siano stati acquisiti diritti su tale segno prima della data di deposito della domanda di marchio comunitario e della data in cui tale contrassegno conferisce al suo titolare il diritto di vietare l’uso di un marchio successivo.

90      Dalla lettura combinata di entrambe le suddette disposizioni emerge che il titolare di un marchio non registrato di portata non puramente locale può ottenere l’annullamento di un marchio comunitario successivo, qualora e nei limiti in cui, in base al diritto dello Stato membro applicabile, da un lato, siano stati acquisiti diritti su tale segno prima della data di deposito della domanda di marchio comunitario e, dall’altro, questo segno conferisca al suo titolare il diritto di vietare l’uso di un marchio successivo.

91      Ai fini dell’applicazione dell’art. 8, n. 4, del regolamento n. 40/94, incombe alla commissione di ricorso prendere in considerazione sia la normativa nazionale applicabile in forza del rinvio operato da tale disposizione sia le decisioni giurisdizionali pronunciate nello Stato membro considerato. Su tale base, il richiedente la dichiarazione di nullità deve dimostrare che il segno di cui trattasi rientra nella sfera di applicazione del diritto dello Stato membro invocato e che esso consentirebbe di vietare l’uso di un marchio successivo [sentenza del Tribunale 11 giugno 2009, cause riunite T‑114/07 e T‑115/07, Last Minute Network/UAMI – Last Minute Tour (LAST MINUTE TOUR), Racc. pag. II‑1919, punto 47; v. altresì, per analogia, sentenza del Tribunale 12 giugno 2007, cause riunite da T‑53/04 a T‑56/04, T‑58/04 e T‑59/04, Budějovický Budvar/UAMI – Anheuser-Busch (BUDWEISER), punto 74].

92      Nella fattispecie in esame, il diritto dello Stato membro applicabile al marchio nazionale non registrato è il Trade Marks Act, 1994 (legge del Regno Unito sui marchi), il cui art. 5, n. 4, dispone quanto segue:

«Un marchio non può essere registrato qualora, o nei limiti in cui, il suo uso nel Regno Unito può essere impedito:

a)      in virtù di qualunque norma giuridica [e segnatamente della disciplina in materia di abuso di denominazione (law of passing off)] che tutela un marchio non registrato o qualsivoglia altro segno utilizzato nella normale prassi commerciale (…)».

93      Da tale testo, nell’interpretazione datane dai giudici nazionali [Reckitt & Colman Products Ltd v Borden Inc. & Ors (1990) R.P.C. 341 HL], risulta che, per ottenere nel caso di specie l’annullamento del marchio comunitario controverso ai fini della tutela del suo marchio nazionale non registrato, l’interveniente deve dimostrare, conformemente al regime giuridico dell’azione per abuso di denominazione prevista dal diritto del Regno Unito, la conformità a tre condizioni, relative al goodwill acquisito, alla presentazione ingannevole e al pregiudizio causato al goodwill.

94      La commissione di ricorso ha fatto riferimento alle suddette tre condizioni al punto 23 della decisione impugnata (v. punto 10 supra) e la ricorrente riconosce, d’altronde, che la stessa ha identificato correttamente l’approccio teorico concernente le azioni per abuso di denominazione.

95      Essa ritiene tuttavia che, nel caso di specie, la commissione di ricorso non abbia correttamente applicato il suddetto approccio teorico rispetto a ciascuna delle summenzionate condizioni. Si deve pertanto verificare, per ciascuna delle tre condizioni, se la commissione di ricorso abbia correttamente stabilito che esse fossero soddisfatte nella fattispecie in esame.

–       Sul goodwill

96       La ricorrente, in sostanza, addebita alla commissione di ricorso di aver concluso per l’esistenza di un goodwill nonostante la limitata presenza dell’interveniente sul mercato del riso nel Regno Unito.

97      Occorre determinare, anzitutto, la data rilevante rispetto alla quale l’interveniente doveva provare di avere acquisito un goodwill. La commissione di ricorso ha ritenuto che la data rilevante fosse la data di deposito della domanda del marchio comunitario controverso, vale a dire il 29 aprile 1996. L’interveniente afferma che, secondo il diritto del Regno Unito, la data rilevante è quella del primo uso del marchio comunitario controverso sul mercato, vale a dire, nel caso di specie, il 2003.

98      È vero che, come sottolineato dall’interveniente, in ossequio alla giurisprudenza nazionale, nel regime dell’azione per abuso di denominazione il goodwill deve essere dimostrato alla data in cui il convenuto nel giudizio ha iniziato ad offrire i propri prodotti o i propri servizi [Cadbury Schweppes v Pub Squash (1981) R.P.C. 429].

99      L’art. 8, n. 4, del regolamento n. 40/94 impone tuttavia di riferirsi non a tale data, ma a quella del deposito della domanda di marchio comunitario, in quanto prescrive che la parte ricorrente in giudizio per l’annullamento del marchio di cui trattasi abbia acquisito diritti sul proprio marchio nazionale non registrato prima della data di detto deposito (sentenza LAST MINUTE TOUR, punto 91 supra, punto 51), ossia, nel caso di specie, il 29 aprile 1996. Come ha sottolineato la commissione di ricorso al punto 27 della decisione impugnata, a questo proposito il testo dell’art. 8, n. 4, del regolamento n. 40/94 è chiaro.

100    Pertanto, la commissione di ricorso ha verificato giustamente se l’interveniente avesse provato di avere acquisito un goodwill con riferimento al 29 aprile 1996.

101    Al punto 24 della decisione impugnata la commissione di ricorso ha rilevato correttamente che il goodwill è stato descritto quale forza di attrazione sulla clientela [IRC v Muller & Co’s Margarine (1901) A.C. 217, 224, H.L.].

102    La commissione di ricorso ha inoltre ritenuto che in linea di principio l’esistenza di un goodwill sia dimostrata esibendo la prova di attività commerciali e pubblicitarie, di conti clienti, etc. La prova di attività commerciali serie che conducono all’acquisto di una notorietà e allo sviluppo di una clientela sarebbe in genere sufficiente per dimostrare un goodwill (decisione impugnata, punto 25).

103    Quanto agli elementi di prova prodotti dall’interveniente, occorre rilevare quanto segue.

104    L’interveniente ha esibito, tra l’altro, una dichiarazione solenne del proprio direttore, datata 13 dicembre 1998, in cui viene indicato il tonnellaggio annuale di riso venduto dal 1988 al 1997. Sulla scorta di tale dichiarazione l’interveniente, con il marchio anteriore, ha venduto nel Regno Unito 84 tonnellate di riso nel 1995, 52 tonnellate nel 1996 e tra le 42 e le 68 tonnellate ogni anno tra il 1988 e il 1994.

105    Come constatato dalla commissione di ricorso al punto 31 della decisione impugnata, il contenuto della dichiarazione solenne è corroborato dalle altre prove presentate dall’interveniente. Sebbene sia vero che la maggior parte degli elementi di prova forniti dall’interveniente riguardano un periodo successivo al 29 aprile 1996, resta tuttavia il fatto che una parte delle prove fornite si riferisce ad un periodo antecedente a tale data. Ad esempio, come rilevato dalla commissione di ricorso al punto 30 della decisione impugnata, l’interveniente ha prodotto otto fatture emesse tra il 1992 e il 29 aprile 1996 e presentate a clienti situati a Londra, nel Kent e nel Middlesex (Regno Unito), che riguardano la vendita di riso con menzione dei termini «Golden Elephant».

106    Inoltre, l’interveniente ha esibito dei rotoli del registratore di cassa che attestano vendite di riso in diverse date dei mesi marzo e aprile 1993, dicembre 1994 e gennaio, febbraio e marzo 1995. A tale proposito la ricorrente afferma che i rotoli di registratore di cassa fanno riferimento soltanto al riso «G/E» o «GE» e non al marchio anteriore. Tuttavia, si deve ritenere che tale fatto da solo non è sufficiente a privarli di qualunque forza probante. Difatti, come rilevato dalla commissione di ricorso al punto 32 della decisione impugnata, abitualmente i prodotti venduti vengono descritti in forma abbreviata sui rotoli del registratore di cassa. Si deve inoltre sottolineare che non si tratta delle sole prove esibite dall’interveniente per dimostrare la vendita di riso con il marchio anteriore nel Regno Unito. In tale contesto va sottolineato che la commissione di ricorso è tenuta ad effettuare una valutazione complessiva di tutti gli elementi di prova forniti dinanzi all’UAMI. Infatti, non può escludersi che una serie di elementi di prova consenta di accertare i fatti da dimostrare, benché ciascuno di tali elementi, isolatamente considerato, non sia in grado di fornire la prova dell’esattezza di tali fatti (sentenza della Corte 17 aprile 2008, causa C‑108/07 P, Ferrero Deutschland/UAMI e Cornu, punto 36). La commissione di ricorso ha correttamente tenuto conto dei rotoli del registratore di cassa quali elementi suffraganti il contenuto della dichiarazione solenne.

107    In ogni caso si deve rilevare che, anche se i suddetti rotoli fossero privi di forza probante, il fatto che l’interveniente abbia venduto riso con il marchio anteriore nel Regno Unito in un periodo antecedente al deposito della domanda del marchio comunitario controverso è sufficientemente provato dalla esibizione della dichiarazione solenne in combinazione con svariati fattori.

108    È vero che le vendite attestate dalla dichiarazione solenne devono essere considerate limitate rispetto al mercato totale del riso importato nel Regno Unito. Invero, in base alla dichiarazione del segretario generale dell’Associazione del riso (Rice Association), prodotta dinanzi all’UAMI dalla ricorrente, l’ammontare totale delle importazioni di riso nel Regno Unito raggiungeva mediamente le 500 000 tonnellate annuali tra il 2000 e il 2004, circostanza che induce a ritenere che le importazioni nel periodo compreso tra il 1988 e il 1996 fossero di ordine simile. Supponendo che il mercato totale fosse pari a 500 000 tonnellate nel 1995, la quota di mercato dell’interveniente sarebbe stata pari allo 0,0168%.

109    Occorre quindi verificare se la commissione di ricorso abbia ritenuto correttamente che l’attività commerciale dell’interveniente fosse peraltro sufficiente ad acquisire un goodwill.

110    Al punto 26 della decisione impugnata la commissione di ricorso ha constatato che anche le piccole imprese possono avere un goodwill. Tale rilievo si fonda sulla giurisprudenza nazionale, a buon diritto citata dalla commissione di ricorso, ossia la causa Stannard v Reay, [1967] R.P.C. 589. In tale causa era stato dichiarato che un esercizio di vendita ambulante di fish and chips, con un fatturato settimanale compreso tra le 129 e le 138 sterline, aveva acquisito un goodwill dopo un’attività di circa tre settimane.

111    Per quanto riguarda l’argomento della ricorrente secondo cui, nell’ambito dell’azione per abuso di denominazione, per stabilire l’esistenza di un goodwill occorre fornire la prova di un’attività commerciale che superi una soglia minima, si deve sottolineare che l’UAMI osserva a ragione che la parte di dottrina giuridica e la giurisprudenza citate nel ricorso a questo proposito concernono il rischio di inganno. Ciò nondimeno, dalla giurisprudenza nazionale risulta che vendite al di sotto di una soglia minima non sono sufficienti [Anheuser-Busch Inc v Budejovicky Budvar Narodni Podnik (1984) F.S.R. 413, 457 CA]. In tale causa è stato dichiarato che la vendita di piccole quantità di birra importate nel Regno Unito in una valigia e vendute in un ristorante di stile americano a Canterbury (Regno Unito) si situava al di sotto della soglia minima.

112    Nel caso di specie si deve ritenere che le vendite di riso con il marchio anteriore realizzate dall’interveniente prima della data di riferimento si pongono al di sopra di tale soglia minima. Infatti, non si tratta di vendite occasionali di quantità molto ridotte. L’interveniente aveva venduto costantemente riso con il marchio anteriore nel Regno Unito a partire dal 1988, e cioè durante un periodo di otto anni prima della data di deposito della domanda del marchio comunitario controverso da parte della ricorrente. La quantità di riso venduta, situata tra le 42 e le 84 tonnellate annuali tra il 1988 e il 1996, non può essere ritenuta del tutto insignificante.

113    Il mero fatto che la quota di mercato dell’interveniente fosse molto limitata rispetto all’ammontare totale delle importazioni di riso nel Regno Unito non è sufficiente per ritenere che le vendite di riso si collocassero al di sotto della soglia minima.

114    Ad esempio, nella causa Jian Tools for Sales v Roderick Manhattan Group [(1995) F.S.R. 924, 933 (Knox J.)], la vendita di 127 software ad opera di un’impresa americana nel mercato del Regno Unito non è stata ritenuta al di sotto della soglia minima.

115    In tale ambito va sottolineato che i giudici del Regno Unito sono assai reticenti a dichiarare che un’impresa possa avere clienti ma non goodwill (Wadlow, C., The law of passing-off, Sweet and Maxwell, Londra, 2004, punto 3.11). La commissione di ricorso ha pertanto rilevato correttamente che anche piccole imprese possono avere un goodwill.

116    Per quanto riguarda l’argomento della ricorrente secondo cui la commissione di ricorso ha ritenuto a torto, al punto 26 della decisione impugnata, che il goodwill sia ritenuto limitato solo quando l’impresa non ha carattere stanziale, è sufficiente rilevare che tale affermazione non riveste rilevanza essenziale nell’ambito dell’argomentazione della commissione di ricorso. Quest’ultima ha correttamente concluso che le attività commerciali dell’interveniente, consistenti nella vendita di riso con il marchio anteriore nel Regno Unito, erano sufficienti per acquisire un goodwill prima della data di deposito della domanda del marchio comunitario controverso. Anche supponendo che tale goodwill debba ritenersi limitato a causa della ridotta quantità delle vendite, lo stesso in ogni caso non può considerarsi inesistente.

117    Quanto all’argomento della ricorrente secondo cui la commissione di ricorso ha ritenuto a torto, al punto 26 della decisione impugnata, che «[i]l grado di prova richiesto dal diritto inglese non sia lo stesso di quello richiesto, ad esempio, per il carattere distintivo acquisito mediante l’uso» e secondo cui il grado di prova richiesto nel diritto inglese è identico in tutte le cause civili, fondandosi su una ponderazione delle probabilità, si deve rilevare quanto segue. La frase della decisione impugnata sopra citata non fa riferimento al grado di prova nel senso del necessario grado di convincimento del giudice. Ciò risulta dalla successiva frase della decisione impugnata, secondo cui «un’impresa può creare un valore aggiunto e un goodwill senza aver raggiunto il livello di notorietà necessario per dimostrare un carattere acquisito mediante l’uso o una notorietà ai sensi dell’art. 8, n. 5, del [regolamento n. 40/94]». A tale riguardo la commissione di ricorso non ha commesso alcun errore. Infatti, la giurisprudenza da essa citata a suffragio della propria posizione, vale a dire la sentenza Phones4U Ltd v Phone4u.co.uk Internet Ltd [(2007) R.P.C. 5, 83, 96] conferma che il criterio richiesto per provare il carattere distintivo ai fini della registrazione di un marchio è assai più elevato rispetto a quello richiesto per provare l’esistenza di un goodwill.

118    Alla luce di quanto precede, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, l’interveniente non era tenuta a fornire uno studio di mercato circa il grado di notorietà del marchio anteriore presso il pubblico.

119    Si deve parimenti respingere l’argomento della ricorrente secondo cui, al punto 40 della decisione impugnata, l’argomentazione della commissione di ricorso è illogica dal momento che essa ha ritenuto che «la divisione di annullamento a[vesse] stabilito una soglia più elevata rispetto a quella richiesta dal diritto inglese disciplinante l’azione per abuso di denominazione», ma non ha aderito per questo alla conclusione della divisione di annullamento secondo cui l’abuso di denominazione non era provato. Dato che la commissione di ricorso ha ritenuto che la divisione di annullamento avesse stabilito, erroneamente, una soglia troppo elevata per provare l’esistenza di un goodwill, è assolutamente logico che essa non abbia aderito alla conclusione della divisione di annullamento.

120    Per quanto riguarda l’argomentazione della ricorrente secondo cui la commissione di ricorso, al punto 43 della decisione impugnata, ha erroneamente stimato alquanto poco probabile che il tasso di crescita delle vendite del riso con il marchio anteriore, dopo la data di deposito del marchio comunitario controverso, sarebbe stato lo stesso in mancanza del goodwill generato dall’impresa a quella data e secondo cui la commissione di ricorso ha mancato di rigore utilizzando l’espressione «goodwill generato dall’impresa», occorre rilevare che il punto 43 costituisce una motivazione ad abundantiam della decisione impugnata. Infatti, l’interveniente aveva sufficientemente provato l’esistenza di un goodwill alla data di deposito della domanda del marchio comunitario controverso, pur non prendendo in considerazione il tasso di incremento delle vendite successivo a tale data.

121    Quanto all’argomento secondo cui la commissione di ricorso è mancata di rigore utilizzando l’espressione «goodwill generato dall’impresa» e secondo cui l’interveniente avrebbe dovuto provare il goodwill associato al nome o al marchio di cui trattasi, si deve inoltre rilevare che l’azione per abuso di denominazione non tutela il goodwill connesso ad un marchio in quanto tale, bensì un diritto di proprietà connesso all’impresa o al goodwill in rapporto al quale il marchio è stato utilizzato (Wadlow, C., The law of passing-off, Sweet and Maxwell, Londra, 2004, punto 3.4). La terminologia utilizzata dalla commissione di ricorso non può pertanto essere oggetto di critica.

122    In ogni caso, nell’ipotesi in cui l’argomentazione della ricorrente dovesse essere intesa nel senso che essa addebita alla commissione di ricorso di aver tenuto conto dell’attività commerciale dell’interveniente nel suo complesso per stabilire l’esistenza di un goodwill, si deve rilevare che tale argomento è privo di fondamento in fatto. Invero, la commissione di ricorso si è riferita all’attività commerciale dell’interveniente consistente nel vendere il riso con il marchio anteriore nel mercato del Regno Unito al fine di dimostrare il suo goodwill e non all’attività commerciale dell’interveniente nel suo complesso.

–       Sulla presentazione ingannevole

123    La commissione di ricorso ha ritenuto che il marchio comunitario controverso fosse una presentazione ingannevole del marchio anteriore (v. punto 17 supra).

124    A questo riguardo la ricorrente addebita alla commissione di ricorso di essersi fondata su ipotesi non suffragate da alcuna prova. Inoltre, ad avviso della ricorrente, essa avrebbe dovuto prendere in considerazione la pacifica coesistenza dei marchi contrapposti sul mercato senza che l’attenzione delle parti fosse attirata da alcun caso di confusione. La commissione di ricorso avrebbe avuto l’obbligo di tener conto della mancanza di confusione e dell’acquiescenza dell’interveniente. Oltre a ciò, la commissione di ricorso avrebbe omesso di prendere in considerazione le differenze nella rappresentazione delle teste di elefante nei marchi contrapposti.

125    Si deve anzitutto valutare la ricevibilità dell’argomentazione della ricorrente relativa alla pacifica coesistenza dei marchi contrapposti, senza casi di confusione tra gli stessi, e dell’acquiescenza dell’interveniente.

126    L’UAMI sottolinea giustamente che tale argomentazione è stata presentata per la prima volta dinanzi al Tribunale. Va rammentato che, a norma dell’art. 135, n. 4, del regolamento di procedura, le memorie delle parti non possono modificare l’oggetto della controversia dinanzi alla commissione di ricorso.

127    Si deve altresì rammentare che, ai sensi dell’art. 74, n. 1, in fine, del regolamento n. 40/94, che è applicabile ai procedimenti di annullamento afferenti ad una causa di nullità relativa, l’esame dell’UAMI era limitato nel caso di specie ai motivi fatti valere e alle richieste presentate dalle parti (v. punto 65 supra).

128    Il fatto che l’interveniente abbia asseritamente acconsentito all’uso del marchio comunitario controverso da parte della ricorrente configura un motivo di difesa che quest’ultima non ha esposto dinanzi all’UAMI e che l’UAMI non era tenuto ad esaminare d’ufficio, in forza dell’art. 74, n. 1, in fine, del regolamento n. 40/94. Tale argomento è quindi irricevibile, in quanto mira a modificare l’oggetto della controversia dinanzi alla commissione di ricorso.

129    Tuttavia, la ricorrente afferma anche che la commissione di ricorso avrebbe dovuto, nell’ambito della verifica relativa all’esistenza di una presentazione ingannevole, prendere in considerazione il fatto che l’interveniente non avesse fornito la prova di alcun caso di confusione. Al riguardo va rammentato che l’UAMI è tenuto ad informarsi d’ufficio sul diritto nazionale dello Stato membro interessato se tali informazioni sono necessarie per valutare le condizioni di applicazione di una causa di nullità e, soprattutto, per valutare la sussistenza dei fatti addotti o il valore probatorio dei documenti allegati (v. punto 67 supra). Si deve inoltre rilevare che nel corso del procedimento amministrativo l’interveniente non ha contestato che la ricorrente avesse iniziato ad usare il marchio comunitario controverso nel Regno Unito nel novembre 2003.

130    La ricorrente ritiene, in sostanza, che in una simile situazione il diritto del Regno Unito esiga che, nell’ambito di un’azione per abuso di denominazione, per provare la presentazione ingannevole l’attore fornisca la prova di casi concreti di confusione che abbiano avuto luogo. Tale argomento deve essere dichiarato ricevibile, dato che – supponendo che l’interpretazione del diritto del Regno Unito operata dalla ricorrente sia corretta – la commissione di ricorso avrebbe dovuto verificare se l’interveniente avesse fornito la prova di casi concreti di confusione. La questione se l’interpretazione del diritto del Regno Unito operata dalla ricorrente sia corretta è una questione relativa alla fondatezza di tale argomento e non di ricevibilità.

131    Nel merito va rilevato che, per valutare il carattere ingannevole della presentazione di cui trattasi, occorre verificare se l’offerta di riso nel Regno Unito con il marchio comunitario controverso sia idonea a indurre il pubblico ad attribuire l’origine commerciale di tale prodotto all’interveniente.

132    In tale ambito va determinato se, in base ad una ponderazione delle probabilità, sia verosimile che un significativo numero di membri del gruppo di persone di riferimento sia indotto ad acquistare per errore il prodotto della ricorrente presumendo che si tratti del prodotto dell’interveniente (v., in tal senso, Reckitt & Colman Products Ltd v Borden Inc. & Ors, punto 93 supra, 407). Secondo la giurisprudenza nazionale, inoltre, il carattere ingannevole della presentazione dei prodotti del convenuto in un giudizio per abuso di denominazione deve valutarsi con riferimento ai clienti della parte ricorrente e non al pubblico in generale (Reckitt & Colman Products Ltd v Borden Inc. & Ors, punto 93 supra; v. altresì, in questo senso, sentenza LAST MINUTE TOUR, punto 91 supra, punto 60).

133    Nel caso di specie la commissione di ricorso, al punto 45 della decisione impugnata, ha correttamente rilevato che i prodotti in questione erano identici. Difatti, il marchio comunitario controverso è registrato per il riso e il marchio anteriore è stato utilizzato per il medesimo prodotto. Per quanto riguarda l’argomento della ricorrente secondo cui il marchio anteriore è stato utilizzato per tipi speciali di riso, occorre sottolineare che i tipi speciali di riso fanno parte del prodotto «riso» per il quale è stato registrato il marchio comunitario controverso. Il fatto che l’interveniente non abbia commercializzato tutti i tipi di riso non rimette in discussione l’affermazione sull’identità dei prodotti.

134    La commissione di ricorso ha inoltre rilevato, senza che la ricorrente la contraddicesse a questo proposito, che l’elemento denominativo dei segni contrapposti è identico. Come asserito dalla commissione di ricorso, il termine «brand» (marchio) nel marchio comunitario controverso costituisce un’aggiunta non distintiva. I due segni sono composti essenzialmente dall’elemento «golden elephant», al di sopra del quale figura la sua traduzione in cinese, e dalla rappresentazione di una testa di elefante.

135    Come sottolinea la ricorrente, è vero che sussistono differenze notevoli nella rappresentazione concreta delle teste di elefante. Infatti, il marchio anteriore mostra una testa di elefante vista frontalmente. Sulla testa dell’elefante, che ha la proboscide abbassata ed è collocato all’interno di un disco decorato con un motivo composto di vessilli disposti in modo da formare un cerchio, è posta una corona. Per contro, il marchio comunitario controverso mostra una testa di elefante raffigurata in modo più stilizzato, vista di profilo. L’elefante porta una cuffia decorativa piatta in tessuto ed ha la proboscide sollevata.

136    Nel caso di specie è molto probabile che una parte significativa dei clienti dell’interveniente suppongano, confrontati con un riso designato da un marchio recante l’elemento denominativo «golden elephant» in inglese e in cinese e la rappresentazione di una testa di elefante, che si tratti del riso commercializzato dall’interveniente. Le uniche differenze nel disegno delle teste di elefante non sono sufficienti ad inficiare l’affermazione dell’esistenza di una presentazione ingannevole. In tale ambito va sottolineato che un cliente tipo non è in grado di ricordare in modo esatto tutti i dettagli di un marchio (Wadlow, C., The law of passing-off, Sweet and Maxwell, Londra, 2004, punto 8.41).

137    Inoltre, anche supponendo che i clienti dell’interveniente percepiscano la diversità del disegno dell’elefante, è molto probabile che essi ritengano che si tratti di una mera differenza ornamentale. Infatti, in un giudizio per abuso di denominazione gli attori hanno visto accogliere le proprie pretese, in una causa in cui i convenuti avevano utilizzato per contrassegnare del filo un’etichetta rappresentante due elefanti recanti uno stendardo, del tutto simile alle etichette utilizzate dagli attori per prodotti identici. Le differenze nel disegno degli elefanti nei due marchi sono state considerate non decisive, in quanto si è dichiarato che anche le persone in grado di percepire le differenze tra le due etichette avrebbero probabilmente ritenuto trattarsi di differenze di natura ornamentale, non atte a modificare in modo sostanziale il simbolo distintivo e caratteristico, e che gli attori nel giudizio avessero provveduto essi stessi alla modifica del marchio [Johnston v Orr-Ewing (1882) 7 App.Cas. 219, 225, HL]. Allo stesso modo è molto probabile che un cliente dell’interveniente, qualora noti le differenze nel disegno degli elefanti, ritenga che il marchio comunitario controverso sia una semplice variante o una modifica del marchio anteriore.

138    Si deve rilevare che l’elemento denominativo dei marchi contrapposti è notevolmente distintivo, in quanto è di fantasia e non è affatto descrittivo del riso. In tali circostanze è inevitabile il rischio che i clienti dell’interveniente, posti di fronte a riso designato da un marchio recante lo stesso elemento denominativo e il disegno di una testa di elefante, attribuiscano l’origine commerciale di tale riso all’interveniente, malgrado le differenze nel disegno degli elefanti.

139    Contrariamente a quanto asserisce la ricorrente, dalla decisione impugnata non risulta che la commissione di ricorso abbia completamente ignorato le divergenze tra i due disegni raffiguranti una testa di elefante. Sebbene sia vero che la commissione di ricorso non ha proceduto ad un’analisi esplicita delle differenze tra tali disegni, va sottolineato che la commissione di ricorso non ha considerato i marchi contrapposti identici dal punto di vista visivo, ma ha soltanto ritenuto che esistesse un’«accentuata somiglianza visiva» (punto 46 della decisione impugnata). Tale affermazione trova la sua giustificazione nella presenza di un elemento denominativo identico in inglese e in cinese e nella presenza del disegno rappresentante una testa di elefante.

140    Quanto all’argomento della ricorrente secondo cui l’interveniente avrebbe dovuto fornire la prova di casi concreti di confusione, si deve rilevare quanto segue. Secondo il diritto del Regno Unito, spetta al giudice valutare se sia probabile che il pubblico di riferimento sia indotto in errore. Esempi di casi concreti di confusione possono essere utili, ma la decisione del giudice non dipende unicamente o essenzialmente dall’esame di tali prove [Parker-Knoll Ltd v Knoll International Ltd (1962) R.P.C. 265, 285, 291 HL].

141    La mancanza di prova di casi concreti di confusione può avere un ruolo nel senso che è possibile che tale circostanza operi a sfavore dell’attore in un procedimento per abuso di denominazione qualora i prodotti del convenuto in tale procedimento siano stati evidentemente presenti sul mercato per un lungo periodo [Wadlow, C., The law of passing-off, Sweet and Maxwell, Londra, 2004, punto 10.13]. Ciò nondimeno, la mancanza di prova di casi concreti di confusione sovente può essere agevolmente spiegata e di rado risulta essere un fattore determinante [Harrods Ltd v Harrodian School Ltd (1996) R.P.C. 697, 716 CA].

142    Certamente possono esservi cause di carattere talmente problematico che il giudice non è in grado di giungere ad una conclusione in difetto di prova relativa all’esistenza di una presentazione ingannevole [v., in tal senso, AG Spalding & Bros v AW Gamage Ltd (1915) R.P.C. 273, 286].

143    Tuttavia, nella fattispecie in esame la commissione di ricorso ha ritenuto a ragione, al punto 47 della decisione impugnata, che fosse inevitabile che i consumatori posti a confronto con il marchio anteriore identificassero con il riso distribuito dall’interveniente il riso venduto con il marchio comunitario controverso. Tenuto conto dell’identità dell’elemento denominativo e del fatto che l’elemento figurativo dei marchi contrapposti rappresenta una testa di elefante, tale conclusione può essere tratta fondandosi sul semplice raffronto di questi ultimi. In una simile situazione la mancanza di prova di casi concreti di confusione non può essere considerata un fattore determinante.

144    Da quanto precede risulta che, nelle circostanze del caso di specie, la commissione di ricorso ha concluso correttamente che sussisteva una presentazione ingannevole e che non era necessario che l’interveniente fornisse prove di casi concreti di confusione.

–       Sul pregiudizio o sul rischio di pregiudizio

145    Al punto 49 della decisione impugnata la commissione di ricorso ha rilevato che, avendo l’interveniente dimostrato l’esistenza di un goodwill nel Regno Unito per un marchio che presenta una forte somiglianza con il marchio comunitario controverso e che si riferisce a prodotti identici, poteva ragionevolmente concludersi che l’interveniente rischiava di subire un pregiudizio.

146    A tale proposito la ricorrente ritiene che la commissione di ricorso abbia erroneamente dichiarato che ricorreva un pregiudizio, nonostante la mancanza di prova o di affermazione circa tale pregiudizio. La commissione di ricorso si sarebbe limitata a formulare asserzioni a tale riguardo.

147    Va rilevato che dalla giurisprudenza nazionale risulta che, nell’ambito di un giudizio per abuso di denominazione, la parte ricorrente non è tenuta a provare di aver subito un pregiudizio. È sufficiente che un pregiudizio sia probabile.

148    Una presentazione ingannevole, che conduca il pubblico di riferimento a credere che i prodotti del convenuto nel giudizio per abuso di denominazione siano quelli della parte ricorrente in giudizio, è intrinsecamente atta a cagionare un pregiudizio alla parte ricorrente nel caso in cui i settori dell’attività commerciale di quest’ultima e del convenuto siano ragionevolmente vicini (Wadlow, C., The law of passing-off, Sweet and Maxwell, Londra, 2004, punto 4.13).

149    Nel caso di specie si è rilevato che i prodotti in esame erano identici e che una parte significativa dei clienti dell’interveniente avrebbe ritenuto che il riso venduto dalla ricorrente con il marchio comunitario controverso provenisse dall’interveniente. In tali condizioni, il rischio che l’interveniente sia privato di vendite, in quanto i suoi clienti, desiderando acquistare il suo riso, acquistano per errore quello della ricorrente, esiste concretamente.

150    La commissione di ricorso ha pertanto ritenuto a ragione che esistesse un rischio di pregiudizio.

151    Di conseguenza, il secondo motivo deve essere respinto e, quindi, deve essere respinto il ricorso nella sua interezza.

2.     Sul secondo e sul terzo capo delle conclusioni dell’interveniente

152    Con il secondo e il terzo capo delle conclusioni, l’interveniente chiede inoltre, o in subordine, da un lato, l’annullamento della decisione impugnata in quanto la commissione di ricorso vi afferma che la data adeguata per risolvere la questione dell’abuso di denominazione è la data di deposito della domanda di marchio comunitario e, dall’altro, la modifica di detta decisione, così da dichiarare che la data adeguata per risolvere tale questione è la data del primo uso del suddetto marchio.

153    A questo proposito è sufficiente rammentare che dalle considerazioni contenute ai precedenti punti 97‑100 risulta che la commissione di ricorso ha ritenuto giustamente che la data rilevante rispetto alla quale l’interveniente doveva provare di aver acquisito un goodwill è la data di deposito della domanda di marchio comunitario. Infatti, dal testo dell’art. 8, n. 4, lett. a), del regolamento n. 40/94 risulta chiaramente che i diritti al contrassegno anteriore devono essere stati acquisiti prima di tale data.

154    Il secondo e il terzo capo delle conclusioni dell’interveniente devono pertanto essere respinti, senza che sia necessario che il Tribunale si pronunci sulla questione se essi siano ricevibili nonostante il fatto che non riguardino una modifica del dispositivo della decisione impugnata.

3.     Sulle conclusioni dell’interveniente relative alle cause di nullità previste, rispettivamente, dall’art. 51, n. 1, lett. a) e b,) del regolamento n. 40/94

155    Va ricordato che, nella sua memoria in cui sono presentati motivi nuovi, l’interveniente chiede l’annullamento della decisione impugnata nella parte in cui essa dichiara l’irricevibilità del motivo relativo alla causa di nullità di cui all’art. 51, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94. Essa ha del pari chiesto la modifica della decisione impugnata, di modo che i suoi motivi relativi alle cause di nullità previste, rispettivamente, dall’art. 51, n. 1, lett. a) e b), del regolamento n. 40/94 siano dichiarati ricevibili e fondati, e di modo che il marchio comunitario controverso sia dichiarato nullo sul fondamento dell’uno o dell’altro di tali motivi supplementari, ovvero di entrambi (v. punto 26 supra).

156    A tale riguardo l’interveniente afferma che a torto la commissione di ricorso l’ha dichiarata soccombente in relazione a tali due profili e che essa avrebbe dovuto dichiarare la nullità del marchio in esame sulla base dei due fondamenti supplementari in questione.

157    Detti motivi e conclusioni nuovi sono stati introdotti dall’interveniente a seguito del rigetto, per irrricevibilità, mediante l’ordinanza Golden Elephant Brand, punto 22 supra, del ricorso separato da essa proposto contro la decisione impugnata. L’interveniente ritiene che i motivi nuovi siano ricevibili, dal momento che sarebbero basati su elementi di diritto e di fatto emersi durante il procedimento ai sensi dell’art. 48, n. 2, del regolamento di procedura. A suo avviso, l’ordinanza Golden Elephant Brand, punto 22 supra, configura un tale nuovo elemento di fatto e di diritto.

158    La ricorrente e l’UAMI concludono per il rigetto di tali motivi. La ricorrente ritiene in particolare che non si tratti di «motivi nuovi» ai sensi dell’art. 48, n. 2, del regolamento di procedura, dato che si tratterebbe degli stessi motivi di diritto fatti valere dalla Hoo Hing nell’ambito della causa sfociata nell’ordinanza Golden Elephant Brand, punto 22 supra, e che sono stati respinti. A giudizio della ricorrente, tale ordinanza non può validamente fungere da fondamento per un argomento secondo cui essa avrebbe determinato un «mutamento di diritto o di fatto» sufficiente e rilevante, che sarebbe «emerso» in circostanze idonee a giustificare una legittima riapertura del fascicolo. L’UAMI afferma segnatamente che i motivi nuovi sono stati presentati tardivamente e che, pertanto, sono irricevibili.

159    Occorre anzitutto rammentare che, secondo l’art. 134, n. 2, del regolamento di procedura, nell’ambito del contenzioso relativo ai diritti di proprietà intellettuale, gli intervenienti godono degli stessi diritti procedurali di cui godono le parti principali e possono, tra l’altro, formulare conclusioni e motivi autonomi rispetto a quelli delle parti principali. Ai sensi dell’art. 134, n. 3, di tale regolamento, un interveniente può, nel suo controricorso, formulare conclusioni dirette all’annullamento o alla riforma della decisione impugnata su un punto non sollevato nel ricorso e presentare motivi non addotti nel ricorso.

160    Nel caso di specie l’interveniente non ha addotto i motivi di cui trattasi nel suo controricorso, come previsto dall’art. 134, n. 3, del regolamento di procedura.

161    In conformità dell’art. 48, n. 2, del regolamento di procedura, è vietata la deduzione di motivi nuovi in corso di causa, a meno che essi si basino su elementi di diritto e di fatto emersi durante il procedimento, laddove il giudizio sulla ricevibilità del motivo è riservato alla sentenza che conclude il procedimento.

162    Occorre quindi valutare se, nella fattispecie in esame, sussista un simile elemento di diritto o di fatto nuovo che consenta la presentazione in corso di causa di motivi nuovi da parte dell’interveniente.

163    Si deve rilevare che, nel caso di specie, niente impediva obiettivamente all’interveniente di presentare, in sede di controricorso, i motivi che essa ha sollevato nella propria memoria del 17 dicembre 2009. L’interveniente ha omesso di presentarli per il fatto che essa aveva addotto gli stessi motivi nell’ambito del ricorso separato proposto avverso la decisione impugnata nella causa sfociata nell’ordinanza Golden Elephant Brand, punto 22 supra.

164    Peraltro, l’avvocato dell’interveniente avrebbe dovuto sapere che il ricorso che aveva presentato era irricevibile.

165    Al riguardo si deve rilevare che l’interveniente fa valere, in primo luogo, il fatto che, nell’ordinanza Golden Elephant Brand, punto 22 supra, il Tribunale ha precisato che una parte che ha chiesto la dichiarazione di nullità di un marchio comunitario in base a più motivi, e che ha ottenuto l’accoglimento della propria domanda per un unico motivo, non è legittimata a presentare un ricorso dinanzi al Tribunale. Occorre tuttavia sottolineare che il ragionamento svolto dal Tribunale in tale ordinanza si fondava su una giurisprudenza consolidata, ossia l’ordinanza del Tribunale 11 maggio 2006, causa T‑194/05, TeleTech Holdings/UAMI – Teletech International (TELETECH INTERNATIONAL) (Racc. pag. II‑1367), e la sentenza del Tribunale 22 marzo 2007, causa T‑215/03, Sigla/UAMI – Elleni Holding (VIPS) (Racc. pag. II‑711).

166    In secondo luogo, l’interveniente afferma che, al punto 40 dell’ordinanza Golden Elephant Brand, punto 22 supra, il Tribunale avrebbe rilevato che essa aveva la possibilità di dedurre, nell’ambito del presente procedimento, i motivi fatti valere nella causa sfociata in detta ordinanza. A questo proposito si deve necessariamente rilevare che, al punto 40 dell’ordinanza Golden Elephant Brand, punto 22 supra, il Tribunale si limita a chiarire il contenuto dell’art. 134 del regolamento di procedura al fine di rispondere all’argomento addotto in tale occasione dalla Hoo Hing, secondo cui essa stessa sarebbe tenuta a presentare un ricorso avverso la decisione impugnata, in quanto non esisterebbero disposizioni che autorizzino una parte vittoriosa a proporre un ricorso incidentale dinanzi al Tribunale oltre il termine entro il quale la parte soccombente deve presentare ricorso (v. ordinanza Golden Elephant Brand, punto 22 supra, punti 22, 39 e 40).

167    È vero che, nel momento in cui l’interveniente ha presentato il proprio controricorso, il Tribunale non aveva ancora dichiarato irricevibile il ricorso separato introdotto dall’interveniente. Tuttavia, anche supponendo che l’interveniente sia venuta a conoscenza della situazione giuridica soltanto dopo la notifica dell’ordinanza Golden Elephant Brand, punto 22 supra, tale circostanza non può costituire un nuovo elemento di fatto o di diritto. Invero, la circostanza che una parte abbia avuto conoscenza di un dato di fatto durante il procedimento dinanzi al Tribunale non implica che tale dato costituisca un elemento di fatto emerso durante il procedimento. È inoltre necessario che la parte non sia stata in grado di venire a conoscenza di tale dato anteriormente (sentenza del Tribunale 6 luglio 2000, causa T‑139/99, AICS/Parlamento, Racc. pag. II‑2849, punto 62). A maggior ragione, la circostanza che una parte sia venuta a conoscenza della situazione giuridica soltanto nel corso del procedimento non può costituire un elemento di fatto o di diritto nuovo ai sensi dell’art. 48, n. 2, del regolamento di procedura.

168    Nel caso di specie, l’avvocato dell’interveniente avrebbe dovuto sapere, al momento della redazione del controricorso, che il ricorso separato da esso proposto era irricevibile e avrebbe del pari dovuto conoscere le disposizioni dell’art. 134 del regolamento di procedura.

169    Non sussiste pertanto alcun elemento di diritto o di fatto nuovo, ai sensi dell’art. 48, n. 2, del regolamento di procedura, che potrebbe giustificare il deposito di motivi nuovi da parte dell’interveniente.

170    Da quanto precede risulta che i motivi nuovi addotti dall’interveniente nonché le sue conclusioni che vi si ricollegano devono essere dichiarati irrricevibili.

171    Quanto alla proposta dell’interveniente di sollevare d’ufficio i motivi relativi alle cause di nullità di cui, rispettivamente, all’art. 51, n. 1, lett. a) e b), del regolamento n. 40/94, è sufficiente rilevare che la facoltà di cui dispone il Tribunale di sollevare d’ufficio motivi si limita ai motivi di ordine pubblico (sentenza del Tribunale 8 luglio 2004, causa T‑44/00, Mannesmannröhren-Werke/Commissione, Racc. pag. II‑2223, punto 126). I motivi di cui trattasi nella fattispecie in esame concernono il merito e non costituiscono motivi di ordine pubblico.

 Sulle spese

172    Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Inoltre, ai termini dell’art. 87, n. 3, dello stesso regolamento, il Tribunale, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, può ripartire le spese o decidere che ciascuna parte sopporti le proprie spese.

173    Nel caso di specie la ricorrente è rimasta soccombente e l’interveniente ha ottenuto accoglimento del primo capo delle conclusioni ed è rimasta soccombente quanto al secondo e al terzo capo delle conclusioni nonché quanto alle conclusioni afferenti alle cause di nullità previste, rispettivamente, dall’art. 51, n. 1, lett. a) e b), del regolamento n. 40/94.

174    Si deve rilevare che i capi delle conclusioni dell’interveniente in relazione ai quali essa è rimasta soccombente sono di importanza secondaria rispetto alla conclusione della ricorrente diretta all’annullamento della decisione impugnata ed al primo capo delle conclusioni dell’interveniente volto al rigetto del ricorso.

175    Inoltre, deve essere respinta la conclusione dell’interveniente diretta alla condanna dell’UAMI alle spese, dal momento che quest’ultimo è risultato vittorioso.

176    Alla luce di quanto precede il Tribunale ritiene che si procederà ad una giusta valutazione delle circostanze della causa decidendo che la ricorrente sopporti le proprie spese, quelle sostenute dall’UAMI e la metà delle spese sostenute dall’interveniente e che l’interveniente sopporti la metà delle proprie spese.

177    Per quanto concerne, infine, la domanda dell’interveniente di riservare le spese relative alla causa all’origine dell’ordinanza Golden Elephant Brand, punto 22 supra, fino alla decisione definitiva sul procedimento di nullità, considerato nel suo complesso, è sufficiente rilevare che la decisione sulle spese relative a tale causa è già stata adottata nella predetta ordinanza e che questa decisione è diventata definitiva, dato che nessuna parte ha presentato un’impugnazione. Detta richiesta dell’interveniente deve pertanto essere respinta.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Ottava Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La domanda della Hoo Hing Holdings Ltd diretta all’annullamento parziale e alla riforma della decisione della prima commissione di ricorso dell’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI) 7 maggio 2008 (procedimento R 889/2007-1), relativa ad un procedimento di dichiarazione di nullità tra la Hoo Hing Holdings e la Tresplain Investments Ltd, è respinta.

3)      La Tresplain Investments sopporterà le proprie spese, quelle sostenute dall’UAMI nonché la metà delle spese sostenute dalla Hoo Hing Holdings. La Hoo Hing Holdings sopporterà la metà delle proprie spese.

Martins Ribeiro

Papasavvas

Dittrich

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 9 dicembre 2010.

Firme

Indice


Fatti

Conclusioni delle parti

In diritto

1.  Sulle conclusioni della ricorrente

Sul primo motivo, relativo alla violazione degli artt. 73 e 74 del regolamento n. 40/94

Sulla prima parte del primo motivo, relativa alla violazione dell’art. 74 del regolamento n. 40/94

–  Argomenti delle parti

–  Giudizio del Tribunale

Sulla seconda parte del primo motivo, relativa alla violazione dell’art. 73 e dell’art. 74, n. 1, in fine, del regolamento n. 40/94

–  Argomenti delle parti

–  Giudizio del Tribunale

Sul secondo motivo, relativo alla violazione dell’art. 8, n. 4, del regolamento n. 40/94

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

–  Osservazioni preliminari

–  Sul goodwill

–  Sulla presentazione ingannevole

–  Sul pregiudizio o sul rischio di pregiudizio

2.  Sul secondo e sul terzo capo delle conclusioni dell’interveniente

3.  Sulle conclusioni dell’interveniente relative alle cause di nullità previste, rispettivamente, dall’art. 51, n. 1, lett. a) e b,) del regolamento n. 40/94

Sulle spese


* Lingua processuale: l’inglese.