Language of document : ECLI:EU:T:2022:281

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Sesta Sezione)

11 maggio 2022 (*)

«Risorse proprie dell’Unione – Responsabilità finanziaria di uno Stato membro – Dazi all’importazione – Versamento alla Commissione degli importi corrispondenti a risorse proprie non recuperate – Ricorso fondato su un arricchimento senza causa dell’Unione – Obblighi di uno Stato membro in materia di risorse proprie – Obbligo di garanzia – Dispensa dalla messa a disposizione degli importi corrispondenti ai diritti accertati dichiarati irrecuperabili»

Nella causa T‑151/20,

Repubblica ceca, rappresentata da M. Smolek, J. Vláčil e O. Serdula, in qualità di agenti,

ricorrente,

sostenuta da

Regno del Belgio, rappresentato da S. Baeyens e J.-C. Halleux, in qualità di agenti,

e da

Repubblica di Polonia, rappresentata da B. Majczyna, in qualità di agente,

intervenienti,

contro

Commissione europea, rappresentata da T. Materne e P. Němečková, in qualità di agenti,

convenuta,

avente ad oggetto una domanda fondata sull’articolo 268 TFUE e diretta a ottenere la restituzione della somma di 40 482 255 corone ceche (CZK) versata a titolo di risorse proprie dell’Unione europea,

IL TRIBUNALE (Sesta Sezione),

composto da A. Marcoulli, presidente, J. Schwarcz e R. Norkus (relatore), giudici,

cancelliere: R. Ūkelytė, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 12 novembre 2021,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

 Esposizione dei fatti principali

1        Tra il 2 e il 26 novembre 2007, l’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) ha svolto una missione comunitaria di cooperazione e di indagine amministrativa in Laos, alla quale ha partecipato una rappresentante delle autorità doganali ceche (in prosieguo: la «missione ispettiva»). L’indagine riguardava verifiche relative all’importazione, in diversi paesi dell’Unione europea, di accendini tascabili a pietra focaia e a gas, non ricaricabili (in prosieguo: gli «accendini tascabili») provenienti dal Laos, nel corso del periodo compreso tra il 2004 e il 2007. Il 15 novembre 2007 è stato redatto un documento intitolato «agreed joint minutes», firmato da tutti i membri della missione nonché dalle autorità laotiane competenti (in prosieguo: il «verbale del 15 novembre 2007»).

2        Il 30 maggio 2008, a seguito della missione ispettiva, l’OLAF ha adottato una relazione di fine missione (in prosieguo: la «relazione dell’OLAF»). Quest’ultima è stata trasmessa alla Repubblica ceca, nella versione in inglese, in francese e in tedesco, il 9 luglio 2008.

3        La relazione finale d’indagine è stata adottata dall’OLAF il 10 dicembre 2008.

4        Dalle conclusioni della relazione dell’OLAF risulta che, durante il periodo coperto da tale relazione, la Baide lighter Industry (LAO) Co., Ltd. (in prosieguo: la «società BAIDE») ha importato accendini tascabili originari della Cina, ma presentati in dogana come provenienti dal Laos, eludendo così il dazio antidumping applicabile agli accendini tascabili di origine cinese.

5        Nella relazione dell’OLAF si affermava che «gli elementi di prova dell’origine cinese accertati nel corso della missione ispettiva basta[va]no a far sì che gli Stati membri avvi[assero] un procedimento amministrativo di accertamento fiscale». Secondo la relazione, era necessario «che gli Stati membri attu[assero] verifiche a posteriori e, se del caso, indagini sugli importatori interessati e che essi avvi[assero], con urgenza, un procedimento di recupero, ove ciò non fosse già avvenuto».

6        Le conclusioni della relazione dell’OLAF riguardavano in particolare 28 casi di importazioni da parte della società BAIDE di accendini tascabili nella Repubblica ceca effettuate e immesse in libera pratica tra il 26 settembre 2005 e il 1° marzo 2007 (in prosieguo: le «importazioni controverse»).

7        Gli uffici doganali cechi competenti hanno adottato misure per procedere alla rettifica e al recupero fiscale in questi casi.

8        Tuttavia, non è stato possibile, in tutti i suddetti casi, effettuare la rettifica e recuperare tutti i diritti accertati.

9        Tra il 22 settembre 2008 e il 18 febbraio 2009, le somme corrispondenti ai diritti accertati, ma non ancora riscossi, per le importazioni controverse sono state iscritte nella contabilità prevista a tal fine, detta contabilità B, conformemente all’articolo 6, paragrafo 3, lettera b), del regolamento (CE, Euratom) n. 1150/2000 del Consiglio, del 22 maggio 2000, recante applicazione della decisione 2007/436/CE, Euratom relativa al sistema delle risorse proprie della Comunità (GU 2000, L 130, pag. 1).

10      Poi, tra il novembre 2013 e il novembre 2014, la Repubblica ceca, conformemente alla normativa applicabile, ha iscritto nel sistema di informazione WOMIS (Write-Off Management and Information System) i casi di impossibilità di recupero dell’importo delle risorse proprie dell’Unione.

11      Con lettera del 20 gennaio 2015, la Commissione europea ha informato la Repubblica ceca, in risposta alla richiesta di quest’ultima di essere dispensata dall’obbligo di mettere a disposizione le risorse proprie dell’Unione menzionate al precedente punto 10, che le condizioni previste all’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento n. 1150/2000 non erano soddisfatte in alcuno dei casi in questione. La Commissione ha invitato le autorità ceche ad adottare le misure necessarie affinché fosse accreditato sul conto della Commissione l’importo di 53 976 340 corone ceche (CZK), entro il primo giorno feriale successivo al diciannovesimo giorno del secondo mese successivo al mese in cui detta lettera è stata inviata. La Commissione ha aggiunto che ogni ritardo avrebbe dato luogo al pagamento di interessi in applicazione dell’articolo 11 del regolamento n. 1150/2000.

12      Il 17 marzo 2015 la Repubblica ceca ha versato il 75% dell’importo di cui al punto 11 sul conto della Commissione previsto a tal fine, previa deduzione delle spese di riscossione corrispondenti al 25% di detto importo, vale a dire una somma di CZK 40 482 255 (in prosieguo: la «somma controversa»).

13      Con lettera del 27 febbraio 2015, la Repubblica ceca ha espresso riserve, indicando alla Commissione che si trattava di un versamento in via provvisoria, fatta salva la fondatezza delle richieste di tale autorità, al fine di evitare di essere assoggettata al pagamento degli interessi previsti dall’articolo 11 del regolamento n. 1150/2000.

14      La Commissione ha risposto alla lettera del 27 febbraio 2015 con lettere del 4 e del 21 maggio 2015.

15      Il versamento di cui al precedente punto 12 è stato completato da un secondo, in data 22 dicembre 2016, corrispondente al 5% dell’importo in questione, vale a dire la somma di CZK 2 698 817, che rappresenta la differenza nell’importo destinato a coprire le spese di riscossione derivante dalla riduzione dell’aliquota dal 25% al 20% a seguito di una modifica con effetto retroattivo della normativa applicabile.

 Procedimento contenzioso anteriore

16      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 30 marzo 2015, la Repubblica ceca ha proposto un ricorso diretto all’annullamento della lettera della Commissione del 20 gennaio 2015.

17      Con l’ordinanza del 28 giugno 2018, Repubblica ceca/Commissione (T‑147/15, non pubblicata, EU:T:2018:395), il ricorso è stato respinto in quanto irricevibile, nella parte in cui era diretto contro un atto non impugnabile con ricorso di annullamento.

18      L’impugnazione proposta avverso l’ordinanza del 28 giugno 2018, Repubblica ceca/Commissione (T‑147/15, non pubblicata, EU:T:2018:395), è stata respinta dalla Corte con la sentenza del 9 luglio 2020, Repubblica ceca/Commissione (C‑575/18 P, EU:C:2020:530).

19      Al punto 81 di tale sentenza, la Corte ha precisato quanto segue:

«[Q]ualora uno Stato membro abbia messo a disposizione della Commissione un importo di risorse proprie dell’Unione formulando riserve in merito alla fondatezza della posizione di tale istituzione e la procedura di dialogo [che spetta alla Commissione avviare con detto Stato conformemente al principio di leale cooperazione, al fine di chiarire le rispettive posizioni e determinare gli obblighi incombenti su tale Stato membro] non abbia consentito di porre fine alla controversia tra tale [quest’ultimo] e detta istituzione, lo Stato membro interessato può chiedere di essere risarcito a causa di un arricchimento senza causa dell’Unione e può, se del caso, adire il Tribunale con un ricorso a tale fine».

 Procedimento e conclusioni delle parti

20      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 16 marzo 2020, la Repubblica ceca ha proposto il presente ricorso.

21      Il 7 settembre 2020, la Commissione ha depositato il suo controricorso.

22      Con atti depositati presso la cancelleria del Tribunale, rispettivamente l’8 e il 16 luglio 2020, la Repubblica di Polonia e il Regno del Belgio hanno chiesto di intervenire nel presente procedimento a sostegno delle conclusioni della Repubblica ceca.

23      Con decisioni del 16 settembre 2020, la presidente della Seconda Sezione del Tribunale ha autorizzato tali interventi.

24      La Repubblica di Polonia e il Regno del Belgio hanno depositato ciascuno una memoria d’intervento il 30 novembre 2020.

25      Le parti hanno depositato le osservazioni sulla memoria d’intervento del Regno del Belgio entro i termini impartiti. La Commissione ha altresì depositato osservazioni sulla memoria d’intervento della Repubblica di Polonia.

26      La Repubblica ceca ha depositato la replica il 27 novembre 2020 e la Commissione ha depositato la controreplica il 18 gennaio 2021.

27      Con lettera del 15 marzo 2021, la ricorrente ha presentato una domanda di udienza di discussione ai sensi dell’articolo 106, paragrafo 2, del regolamento di procedura del Tribunale.

28      Con misura di organizzazione del procedimento del 7 settembre 2021, il Tribunale ha invitato la Commissione a produrre la relazione finale d’indagine dell’OLAF adottata il 10 dicembre 2008 e ha posto quesiti scritti alle parti principali. La Repubblica ceca e la Commissione hanno risposto a tale richiesta nei termini impartiti.

29      La Repubblica ceca ha indicato, in risposta a uno dei quesiti che le erano stati posti, di rinunciare alla sua domanda di restituzione della somma di CZK 2 698 817 di cui al precedente punto 15.

30      Con lettera del 1° ottobre 2021, il Regno del Belgio ha rinunciato a partecipare all’udienza.

31      Con lettera del 13 ottobre 2021, la Repubblica di Polonia ha rinunciato a partecipare all’udienza.

32      Le parti principali hanno esposto le proprie difese orali e hanno risposto ai quesiti posti dal Tribunale all’udienza del 12 novembre 2021.

33      A seguito della parziale rinuncia agli atti di cui al precedente punto 29, la Repubblica ceca chiede che il Tribunale voglia:

–        condannare la Commissione a rimborsarle la somma controversa per arricchimento senza causa dell’Unione;

–        condannare la Commissione alle spese.

34      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la Repubblica ceca alle spese.

35      Il Regno del Belgio e la Repubblica di Polonia chiedono che il Tribunale voglia accogliere il ricorso.

 In diritto

 Sulloggetto del ricorso e sulle condizioni di unazione fondata sullarricchimento senza causa

36      La Repubblica ceca chiede la ripetizione della somma controversa che ritiene di aver indebitamente versato a titolo di risorse proprie dell’Unione. A sostegno della sua domanda, essa intende far sorgere la responsabilità extracontrattuale dell’Unione nell’ambito dell’arricchimento senza causa.

37      A tale riguardo, la Commissione afferma, in sostanza, che la Repubblica ceca limita la sua argomentazione alla confutazione del contenuto della lettera del 20 gennaio 2015. Orbene, un’azione fondata sull’arricchimento senza causa non può sostituirsi a un ricorso di annullamento di tale lettera. L’oggetto della controversia non potrebbe quindi essere il contenuto della lettera del 20 gennaio 2015, ma consisterebbe nella questione se «[la somma controversa] spetti o meno all’Unione a titolo di risorse proprie».

38      La Repubblica ceca replica che la lettera del 20 gennaio 2015 costituisce l’ambito della controversia che la Commissione non può modificare presentando, per contestare le sue pretese, argomenti nuovi che non le sarebbero stati opposti in tale lettera. Essa ritiene che detta lettera produca effetti giuridici e che «l’esame del ricorso per la ripetizione dell’indebito e della condizione dell’assenza di un valido fondamento giuridico per l’arricchimento in questione debba anch’esso derivare dalla tesi della Commissione espressa nella [lettera] del 20 gennaio 2015».

39      Interrogata su tale punto in udienza, la Repubblica ceca ha confermato la posizione sostenuta nelle sue memorie.

40      Dopo aver ricordato gli argomenti essenziali delle parti principali relativi all’oggetto della controversia, occorre sottolineare che il ricorso fondato su un arricchimento senza causa non rientra nel regime della responsabilità extracontrattuale in senso stretto, il cui sorgere dipende dal ricorrere di un insieme di condizioni relative all’illegittimità del comportamento contestato all’Unione, all’effettività del danno e all’esistenza di un nesso di causalità tra tale comportamento e il danno lamentato. Esso si distingue dai ricorsi proposti in base al regime citato in quanto non richiede la prova di un comportamento illegittimo del convenuto, come neppure l’esistenza di un comportamento in quanto tale, ma semplicemente la prova di un arricchimento, senza valido fondamento giuridico, del convenuto e di un impoverimento della parte ricorrente correlato all’arricchimento stesso [sentenza del 16 dicembre 2008, Masdar (UK)/Commissione, C‑47/07 P, EU:C:2008:726, punto 49].

41      A tale riguardo, occorre precisare che, secondo i principi comuni agli ordinamenti giuridici degli Stati membri, un soggetto che abbia subito una perdita la quale incrementi il patrimonio di un altro soggetto, senza che vi sia alcun fondamento giuridico per tale arricchimento, ha generalmente diritto ad una restituzione, fino a concorrenza di tale perdita, da parte del soggetto che si è arricchito. Infatti, sebbene il Trattato FUE non preveda espressamente un mezzo di ricorso destinato a questo tipo di domanda giudiziale, un’interpretazione dell’articolo 268 TFUE e dell’articolo 340, secondo comma, TFUE che escludesse tale possibilità condurrebbe ad un risultato contrario al principio di tutela giurisdizionale effettiva. Un ricorso basato sull’arricchimento senza causa dell’Unione, proposto ai sensi di questi articoli, richiede la prova dell’arricchimento, senza una valida base giuridica, del convenuto, e dell’impoverimento della parte ricorrente correlato all’arricchimento stesso [v., in questo senso, sentenza del 16 dicembre 2008, Masdar (UK)/Commissione, C‑47/07 P, EU:C:2008:726, punti 44 e da 46 a 50].

42      Nell’ambito dell’esame di un simile ricorso, spetta al Tribunale valutare, in particolare, se l’impoverimento dello Stato membro ricorrente, corrispondente al fatto di aver messo a disposizione della Commissione un importo di risorse proprie dell’Unione che tale Stato membro ha contestato, e il corrispondente arricchimento di tale istituzione trovino la loro giustificazione negli obblighi che incombono su detto Stato membro in forza del diritto dell’Unione in materia di risorse proprie dell’Unione o siano, al contrario, privi di una siffatta giustificazione (sentenza del 9 luglio 2020, Repubblica ceca/Commissione, C‑575/18 P, EU:C:2020:530, punto 83).

43      In tali circostanze, la Repubblica ceca non può dimostrare la fondatezza delle sue pretese, nell’ambito di un’azione fondata su un arricchimento senza causa della Commissione, limitandosi a confutare gli argomenti contenuti nella lettera del 20 gennaio 2015, ma deve dimostrare, da un lato, che l’arricchimento della Commissione, a seguito della messa a disposizione della somma controversa, non trova la sua giustificazione negli obblighi ad essa incombenti in forza del diritto dell’Unione in materia di risorse proprie e, dall’altro, che il suo impoverimento è correlato all’arricchimento stesso.

44      A questo proposito, gli obblighi della Repubblica ceca in materia di risorse proprie non derivano dalla «tesi della Commissione espressa nella [lettera] del 20 gennaio 2015», ma le incombono direttamente in forza della normativa applicabile in tale materia, senza che la Commissione sia investita di alcun potere decisionale che le consenta di ingiungere agli Stati membri di accertare e di mettere a sua disposizione importi di risorse proprie dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 9 luglio 2020, Repubblica ceca/Commissione, C‑575/18 P, EU:C:2020:530, punto 62).

45      Da un lato, ne consegue che gli argomenti della Repubblica ceca diretti a contestare tanto le motivazioni della lettera del 20 gennaio 2015 quanto il comportamento della Commissione nel corso del dialogo con essa svolto sono inconferenti nell’ambito della presente controversia, in quanto non riconducibili alla dimostrazione che la Repubblica ceca deve fornire (v. punto 43 supra).

46      Dall’altro lato, contrariamente a quanto sostiene la Repubblica ceca, la lettera del 20 gennaio 2015 non può costituire l’ambito della controversia nel senso di limitare gli argomenti della Commissione diretti a contestare l’esistenza di un arricchimento senza causa a quelli contenuti in tale lettera.

47      In particolare, le informazioni contenute nella lettera del 20 gennaio 2015 non possono costituire informazioni precise, incondizionate e concordanti tali da far sorgere nei confronti della Repubblica ceca assicurazioni circa la delimitazione della controversia che può opporla alla Commissione nell’ambito di un’azione fondata su un arricchimento senza causa di tale istituzione.

48      Ne consegue che la Commissione poteva far valere in giudizio qualsiasi elemento diretto a contestare l’esistenza di un arricchimento senza causa, compresi quelli che non figurano nella lettera del 20 gennaio 2015, senza violare il principio di tutela del legittimo affidamento, né il diritto a una buona amministrazione, come definito all’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

49      In considerazione di tutto quanto precede, occorre ora esaminare, nell’ambito definito al precedente punto 42, la fondatezza del presente ricorso tenuto conto degli elementi di prova forniti dalla Repubblica ceca e degli argomenti esposti dalle parti.

 Sulla fondatezza del ricorso e sullesistenza di un arricchimento senza causa dellUnione

50      La Repubblica ceca afferma, in sostanza, di non essere debitrice della somma controversa, poiché ha potuto adottare le misure necessarie al suo recupero solo a seguito della trasmissione della relazione dell’OLAF.

51      Secondo la Repubblica ceca, le condizioni per accertare i dazi doganali corrispondenti alla somma controversa avrebbero infatti potuto essere soddisfatte solo dopo la presentazione della relazione dell’OLAF, in quanto solo il suo contenuto avrebbe effettivamente consentito alla Repubblica ceca di determinare con certezza l’importo dei dazi da riscuotere e il soggetto passivo di tali dazi.

52      Orbene, la società BAIDE avrebbe cessato ogni attività nel territorio della Repubblica ceca a partire dal maggio 2008, vale a dire prima della trasmissione della relazione dell’OLAF, di modo che, al momento dell’adozione di detta relazione, nella Repubblica ceca non sarebbe esistito alcun altro patrimonio sequestrabile diverso da quello infine sequestrato dalle autorità doganali nazionali.

53      Il ritardo asseritamente accumulato dalle autorità doganali successivamente al ricevimento di detta relazione non avrebbe quindi potuto, in ogni caso, determinare esso stesso l’impossibilità di riscuotere l’obbligazione doganale.

54      La Repubblica ceca aggiunge che, in ogni caso, nessun ritardo le è imputabile nell’accertamento e nel recupero della somma controversa dopo la presentazione della relazione dell’OLAF. Essa precisa che le autorità doganali hanno adottato le misure necessarie per evitare la preclusione della possibilità di un accertamento fiscale in tutti i 28 casi di importazione di cui trattasi.

55      In tali circostanze, le ragioni del mancato recupero della somma controversa non sarebbero imputabili alla Repubblica ceca e quest’ultima potrebbe avvalersi della dispensa dalla messa a disposizione delle risorse proprie prevista all’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento n. 1150/2000.

56      Di conseguenza, l’arricchimento della Commissione, conseguente all’impoverimento della Repubblica ceca derivante dalla messa a disposizione della somma controversa, non avrebbe alcun valido fondamento giuridico.

57      La Commissione chiede il rigetto di tutti gli argomenti della Repubblica ceca e sostiene che quest’ultima non ha fornito la prova di un arricchimento senza causa.

58      La Commissione deduce, principalmente, che le disposizioni dell’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento n. 1150/2000 non sono applicabili alla Repubblica ceca, poiché quest’ultima non avrebbe iscritto le risorse proprie non riscosse nella contabilità separata prevista a tal fine, la contabilità B, nel rispetto dei termini prescritti dall’articolo 6, paragrafo 3, del medesimo regolamento.

59      Dalla sentenza dell’8 luglio 2010, Commissione/Italia (C‑334/08, EU:C:2010:414, punto 65), risulterebbe infatti che la possibilità, per gli Stati membri, di vedersi esonerati dal loro obbligo di mettere a disposizione della Commissione gli importi corrispondenti ai diritti accertati presuppone non soltanto il rispetto delle condizioni enunciate all’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento n. 1150/2000, ma anche che tali diritti siano stati iscritti regolarmente nella contabilità B.

60      Secondo la Commissione, la Repubblica ceca non avrebbe rispettato i termini prescritti e non avrebbe quindi iscritto regolarmente i dazi da riscuotere nella contabilità B, in quanto avrebbe agito in ritardo non accertando i dazi antidumping dovuti dalla società BAIDE sulle importazioni controverse sin dal rientro dalla missione ispettiva, che si è conclusa il 26 novembre 2007.

61      Anche supponendo che gli importi corrispondenti ai diritti accertati siano stati regolarmente iscritti nella contabilità B, la Commissione sostiene che la Repubblica ceca avrebbe dovuto costituire una garanzia per il recupero della somma controversa prima di immettere in libera pratica le importazioni controverse, di modo che la cessazione dell’attività della società BAIDE, intervenuta successivamente, non avrebbe potuto costituire un legittimo impedimento al suo recupero.

62      La Repubblica di Polonia sottolinea che la soluzione elaborata nella sentenza del 9 luglio 2020, Repubblica ceca/Commissione (C‑575/18 P, EU:C:2020:530), riveste un’importanza considerevole per gli Stati membri che intendono avvalersi della possibilità di essere sentiti nelle controversie che li vedono contrapposti alla Commissione e vertenti sugli obblighi di messa a disposizione delle risorse proprie.

63      La Repubblica di Polonia sostiene che la Repubblica ceca non ha potuto recuperare le somme controverse per un motivo che non le era imputabile, poiché il soggetto passivo aveva cessato le sue attività prima della data in cui è stata adottata la relazione dell’OLAF.

64      Il Regno del Belgio ritiene che uno Stato membro possa avvalersi della dispensa dalla messa a disposizione delle risorse proprie prevista all’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento n. 1150/2000 anche nell’ipotesi in cui le risorse proprie siano iscritte tardivamente nella contabilità B, qualora dette risorse soddisfino i requisiti sostanziali di una siffatta iscrizione e tale Stato membro dimostri che il mancato recupero di talune risorse proprie risulta da circostanze ad esso non imputabili.

65      Nel caso di specie, la Repubblica ceca non avrebbe proceduto tardivamente al recupero delle somme controverse in quanto, in sostanza, sarebbe spettato all’OLAF, se lo avesse ritenuto necessario, trasmettere in maniera ufficiale e sin dal rientro dalla missione ispettiva gli elementi utili alla riscossione dell’obbligazione doganale e non contare «passivamente» sulla rappresentante dell’amministrazione ceca presente al momento della missione per farlo.

66      Il Tribunale ritiene che gli argomenti esposti dalle parti, come sopra ricordati, devono indurlo ad esaminare, nell’ordine, i seguenti quattro punti: le condizioni di applicazione alla Repubblica ceca della possibilità di essere dispensata dall’obbligo di mettere a disposizione la somma controversa; la data alla quale i dazi antidumping dovuti dalla società BAIDE corrispondenti alla somma controversa dovevano essere accertati; le conseguenze della cessazione dell’attività di detta società sull’obbligo di mettere a disposizione la somma controversa, e l’obbligo per la Repubblica ceca di costituire una garanzia per il recupero della somma controversa.

 Sulle condizioni di applicazione alla Repubblica ceca della possibilità di essere dispensata dall’obbligo di mettere a disposizione la somma controversa

67      Come ricordato al precedente punto 58, la Commissione sostiene che la Repubblica ceca non poteva invocare le disposizioni dell’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento n. 1150/2000, in quanto non avrebbe dimostrato di aver iscritto nella contabilità B, nei termini previsti dall’articolo 6, paragrafo 3, lettera b), del medesimo regolamento, i diritti non riscossi.

–       Disposizioni applicabili

68      Per quanto riguarda il periodo interessato dai fatti all’origine della controversia, sono state applicate in successione due decisioni relative al sistema delle risorse proprie dell’Unione, vale a dire la decisione 2000/597/CE, Euratom del Consiglio, del 29 settembre 2000, relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee (GU 2000, L 253, pag. 42), poi, a partire dal 1° gennaio 2007, la decisione 2007/436/CE, Euratom del Consiglio, del 7 giugno 2007, relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee (GU 2007, L 163, pag. 17).

69      Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), della decisione 2000/597, il cui contenuto è stato ripreso, in sostanza, all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della decisione 2007/436, costituiscono risorse proprie iscritte nel bilancio generale dell’Unione le entrate provenienti, in particolare, «dai dazi della tariffa doganale comune e da altri dazi fissati o da fissare da parte delle istituzioni [dell’Unione] sugli scambi con i paesi terzi».

70      L’articolo 8, paragrafo 1, primo e terzo comma, delle decisioni 2000/597 e 2007/436 prevede segnatamente, da un lato, che dette risorse proprie dell’Unione siano riscosse dagli Stati membri ai sensi delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative nazionali, eventualmente adattate alle esigenze della normativa dell’Unione e, dall’altro, che gli Stati membri mettano tali risorse a disposizione della Commissione.

71      Il regolamento n. 1150/2000 applicabile alla presente controversia è il risultato di due modifiche introdotte, nel corso del periodo interessato dai fatti all’origine della controversia, rispettivamente, con effetto dal 28 novembre 2004, dal regolamento (CE, Euratom) n. 2028/2004 del Consiglio, del 16 novembre 2004 (GU 2004, L 352, pag. 1), e, con effetto dal 1º gennaio 2007, dal regolamento (CE, Euratom) n. 105/2009 del Consiglio, del 26 gennaio 2009 (GU 2009, L 36, pag. 1).

72      Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento n. 1150/2000, un diritto dell’Unione sulle risorse proprie è accertato non appena ricorrono le condizioni previste dalla normativa doganale per quanto riguarda la registrazione dell’importo del diritto e la comunicazione del medesimo al soggetto passivo. La data da considerare per l’accertamento di cui al suddetto paragrafo 1 è la data della registrazione prevista dalla normativa doganale, conformemente all’articolo 2, paragrafo 2, primo comma, del medesimo regolamento.

73      L’articolo 6, paragrafo 1 e paragrafo 3, lettere a) e b), di tale regolamento prevede quanto segue:

«1.      Presso il Tesoro di ogni Stato membro o l’organismo designato da quest’ultimo viene tenuta una contabilità delle risorse proprie, ripartita secondo la natura delle risorse.

(...)

3.

a)      Con riserva della lettera b) del presente paragrafo, i diritti accertati conformemente all’articolo 2 sono riportati nella contabilità [usualmente denominata “contabilità A”] al più tardi il primo giorno feriale dopo il 19 del secondo mese successivo a quello nel corso del quale ha avuto luogo l’accertamento.

b)      I diritti accertati e non riportati nella contabilità di cui alla lettera a), poiché non sono stati ancora riscossi e non è stata fornita alcuna garanzia, sono iscritti in una contabilità separata [usualmente denominata “contabilità B”] entro il termine previsto alla lettera a). Gli Stati membri possono procedere nello stesso modo allorché i diritti accertati e coperti da garanzie formano oggetto di contestazione e possono subire variazioni in seguito alle controversie sorte».

74      L’articolo 9, paragrafo 1, primo comma, del citato regolamento dispone quanto segue:

«Secondo le modalità definite dall’articolo 10, le risorse proprie vengono accreditate da ogni Stato membro sul conto aperto a tale scopo a nome della Commissione presso il Tesoro o l’organismo da esso designato».

75      A norma dell’articolo 10, paragrafo 1, del medesimo regolamento:

«Dopo la deduzione delle spese di riscossione in applicazione dell’articolo 2, paragrafo 3 e dell’articolo 10, paragrafo 3 della decisione [2007/436], l’iscrizione delle risorse proprie di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della summenzionata decisione ha luogo entro il primo giorno feriale dopo il 19 del secondo mese successivo a quello in cui il diritto è stato accertato a norma dell’articolo 2 del presente regolamento.

Tuttavia, per i diritti contemplati nella contabilità separata conformemente all’articolo 6, paragrafo 3, lettera b) del presente regolamento, l’iscrizione deve aver luogo entro il primo giorno feriale dopo il 19 del secondo mese successivo a quello della riscossione dei diritti».

76      Ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 1, del regolamento n. 1150/2000, ogni ritardo nelle iscrizioni sul conto di cui all’articolo 9, paragrafo 1, di tale regolamento dà luogo al pagamento, da parte dello Stato membro in questione, di interessi di mora.

77      L’articolo 17, paragrafi da 1 a 4, del regolamento in questione così recita:

«1.      Gli Stati membri sono tenuti a prendere tutte le misure necessarie affinché gli importi corrispondenti ai diritti accertati in conformità dell’articolo 2 siano messi a disposizione della Commissione alle condizioni previste dal presente regolamento.

2.      Gli Stati membri sono dispensati dall’obbligo di mettere a disposizione della Commissione gli importi corrispondenti ai diritti accertati che risultano irrecuperabili:

a)      o per cause di forza maggiore;

b)      o per altri motivi che non sono loro imputabili.

Gli importi di diritti accertati sono dichiarati irrecuperabili con decisione dell’autorità amministrativa competente che constata l’impossibilità del recupero.

Gli importi di diritti accertati sono considerati irrecuperabili al più tardi dopo un periodo di cinque anni dalla data alla quale l’importo è stato accertato a norma dell’articolo 2 oppure, in caso di ricorso amministrativo o giudiziario, dalla pronuncia dalla notifica o dalla pubblicazione della decisione definitiva.

(…)

Gli importi dichiarati o considerati irrecuperabili sono ritirati definitivamente dalla contabilità separata di cui all’articolo 6, paragrafo 3, lettera b). Sono segnalati nell’allegato dell’estratto trimestrale di cui all’articolo 6, paragrafo 4, lettera b), e, se del caso, nell’estratto trimestrale di cui all’articolo 6, paragrafo 5.

3.      Nei tre mesi che seguono la decisione amministrativa di cui al paragrafo 2 o secondo la scadenza di cui allo stesso paragrafo, gli Stati membri comunicano alla Commissione gli elementi d’informazione che riguardano i casi d’applicazione del paragrafo 2, sempre che l’importo dei diritti accertati in causa superi 50 000 EUR.

(...)

La comunicazione, effettuata su un modello stabilito dalla Commissione previa consultazione del comitato di cui all’articolo 20, contiene tutte le informazioni atte a permettere un esame approfondito dei motivi, di cui al paragrafo 2, lettere a) e b), che hanno impedito allo Stato membro interessato di mettere a disposizione gli importi in causa e le misure adottate da quest’ultimo per garantire il recupero nel caso o nei casi in questione.

4.      La Commissione dispone di sei mesi, a decorrere dalla ricezione della comunicazione di cui al paragrafo 3, per trasmettere le sue osservazioni allo Stato membro interessato.

(…)».

–       Interpretazione della Corte

78      Dall’articolo 8, paragrafo 1, delle decisioni 2000/597 e 2007/436 risulta che le risorse proprie dell’Unione di cui, rispettivamente, all’articolo 2, paragrafo 1, lettere a) e b), della decisione 2000/597 e all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della decisione 2007/436 sono riscosse dagli Stati membri e che questi ultimi hanno l’obbligo di metterle a disposizione della Commissione (v., in questo senso, sentenza dell’8 luglio 2010, Commissione/Italia, C‑334/08, EU:C:2010:414, punto 34).

79      A tal fine, gli Stati membri sono tenuti, in forza dell’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento n. 1150/2000, ad accertare il diritto dell’Unione sulle risorse proprie non appena ricorrono le condizioni previste dalla normativa doganale per quanto riguarda la registrazione dell’importo del diritto e la comunicazione del medesimo al soggetto passivo. Pertanto, gli Stati membri devono riportare i diritti accertati conformemente all’articolo 2 del citato regolamento nella contabilità delle risorse proprie dell’Unione secondo le condizioni previste all’articolo 6 del suddetto regolamento (v., in questo senso, sentenza del 1° luglio 2010, Commissione/Germania, C‑442/08, EU:C:2010:390, punto 76 e giurisprudenza ivi citata).

80      A tale riguardo, occorre precisare che, in forza dell’articolo 6, paragrafo 3, lettera b), del medesimo regolamento, un diritto accertato che non è stato ancora riscosso e per il quale non è stata fornita alcuna garanzia è iscritto in una contabilità separata, ossia la contabilità B [v., in questo senso, sentenza dell’11 luglio 2019, Commissione/Italia (Risorse proprie – Riscossione di un debito doganale), C‑304/18, non pubblicata, EU:C:2019:601, punto 52].

81      Gli Stati membri devono poi mettere le risorse proprie dell’Unione a disposizione della Commissione secondo le condizioni stabilite agli articoli da 9 a 11 del regolamento n. 1150/2000, accreditandole, nel rispetto dei termini previsti, sul conto aperto a tale scopo a nome di detta istituzione. Conformemente all’articolo 11, paragrafo 1, del regolamento in parola, ogni ritardo nell’iscrizione su tale conto dà luogo al pagamento, da parte dello Stato membro in questione, di interessi di mora (sentenza del 9 luglio 2020, Repubblica ceca/Commissione, C‑575/18 P, EU:C:2020:530, punto 58).

82      Inoltre, ai sensi dell’articolo 17, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 1150/2000, gli Stati membri sono tenuti a prendere tutte le misure necessarie affinché gli importi corrispondenti ai diritti accertati in conformità dell’articolo 2 del medesimo regolamento siano messi a disposizione della Commissione. Gli Stati membri sono dispensati da tale obbligo soltanto se la riscossione non ha potuto essere effettuata per cause di forza maggiore ovvero quando risulti definitivamente impossibile procedere alla riscossione per motivi che non sono loro imputabili. Gli importi dichiarati o considerati irrecuperabili sono ritirati definitivamente dalla contabilità separata di cui all’articolo 6, paragrafo 3, lettera b), di detto regolamento (sentenza del 9 luglio 2020, Repubblica ceca/Commissione, C‑575/18 P, EU:C:2020:530, punto 60).

83      L’iscrizione delle risorse proprie nella contabilità B corrisponde dunque ad una situazione eccezionale, caratterizzata dal fatto che agli Stati membri viene consentito sia di non mettere tali importi a disposizione della Commissione subito dopo il loro accertamento, perché non ancora riscossi, secondo quanto previsto dall’articolo 6, paragrafo 3, lettera b), del regolamento n. 1150/2000, sia di essere esonerati da tale messa a disposizione, nel caso in cui i diritti in questione risultino irrecuperabili per cause di forza maggiore o per altri motivi non imputabili agli Stati stessi, ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 2, del citato regolamento (sentenza dell’8 luglio 2010, Commissione/Italia, C‑334/08, EU:C:2010:414, punto 68).

84      Tuttavia, la possibilità, per gli Stati membri, di vedersi esonerati dal loro obbligo di mettere a disposizione della Commissione gli importi corrispondenti ai diritti accertati presuppone non soltanto il rispetto delle condizioni enunciate all’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento n. 1150/2000, ma anche che tali diritti siano stati iscritti regolarmente nella contabilità B (sentenza dell’8 luglio 2010, Commissione/Italia, C‑334/08, EU:C:2010:414, punto 65).

–       Applicazione al caso concreto

85      La Commissione invoca, come precisato al precedente punto 59, la sentenza dell’8 luglio 2010, Commissione/Italia (C‑334/08, EU:C:2010:414, punto 65), come appena ricordato al precedente punto 84.

86      In via preliminare, occorre rilevare che l’argomento dedotto dalla Commissione, indipendentemente dalla sua fondatezza, è inconferente nell’ambito del presente ricorso, basato su un arricchimento senza causa dell’Unione.

87      In tale contesto, infatti, come ricordato al precedente punto 42, occorre verificare se la ricorrente abbia fornito la prova di un arricchimento senza valido fondamento giuridico della Commissione e del suo impoverimento correlato all’arricchimento stesso, oppure se, in mancanza di tale prova, si debba concludere che tale arricchimento era giustificato dagli obblighi imposti dalla normativa relativa alle risorse proprie. Orbene, in ogni caso, la messa a disposizione di risorse proprie non trova giustificazione nell’obbligo di rispettare i termini previsti dall’articolo 6 del regolamento n. 1150/2000, la cui inosservanza non porta ad alcun versamento, neppure a quello degli interessi di mora, il quale è condizionato al ritardo nell’iscrizione sul conto aperto a tale scopo a nome della Commissione, conformemente all’articolo 11 del regolamento n. 1150/2000, come modificato.

88      Non si può quindi pretendere che la Repubblica ceca, nell’ambito del suo ricorso fondato su un arricchimento senza causa, dimostri, come afferma, in sostanza, la Commissione, che « in occasione della procedura doganale, il complesso dell’iter di recupero del credito e delle operazioni relative alle risorse proprie si è svolto conformemente a tutte le norme, correttamente, in tempo utile e nel rispetto della tutela degli interessi finanziari dell’Unione», ma piuttosto che essa dimostri unicamente, oltre al proprio impoverimento e all’arricchimento correlato, che quest’ultimo era privo di qualsiasi giustificazione.

89      In ogni caso, dal fascicolo risulta che i diritti in questione sono stati iscritti nei termini previsti dall’articolo 6, paragrafo 3, del regolamento n. 1150/2000.

90      L’iscrizione nella contabilità B è un’operazione puramente contabile, cosicché i termini previsti per procedervi devono, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, essere calcolati a partire non dalla data in cui i diritti in questione avrebbero dovuto essere accertati, conformemente all’articolo 2 del regolamento n. 1150/2000, bensì dalla data in cui tali diritti sono stati effettivamente accertati.

91      Orbene, è pacifico tra le parti, come da esse confermato nelle loro risposte ai quesiti scritti, che i dazi antidumping dovuti dalla società BAIDE sulle importazioni controverse sono stati accertati e iscritti nella contabilità B lo stesso giorno, ossia tra il 22 settembre 2008 e il 18 febbraio 2009. La Commissione ha del resto riconosciuto, nell’ambito della misura di organizzazione del procedimento di cui al punto 28, che «l’iscrizione nella contabilità B immediatamente dopo la registrazione prevista dalla normativa doganale [era] accettabile».

92      In tali circostanze, si deve concludere che, conformemente alle disposizioni dell’articolo 6, paragrafo 3, lettera b), del regolamento n. 1150/2000, i diritti dovuti dalla società BAIDE, ma non ancora riscossi e per i quali non era peraltro stata fornita alcuna garanzia, sono stati iscritti nella contabilità B, in ogni caso, al più tardi il primo giorno feriale dopo il 19 del secondo mese successivo a quello nel corso del quale ha avuto luogo l’accertamento.

93      Occorre quindi verificare se la somma controversa fosse irrecuperabile per motivi non imputabili alla Repubblica ceca, tali da consentirle di iscrivere detta somma in una contabilità separata.

 Sulla data alla quale i dazi antidumping dovuti dalla società BAIDE corrispondenti alla somma controversa dovevano essere accertati

94      La Repubblica ceca sostiene, come ricordato al precedente punto 51, di essere stata in grado di accertare i dazi antidumping dovuti dalla società BAIDE sulle importazioni controverse solo a seguito della trasmissione della relazione dell’OLAF, mentre la Commissione sostiene che avrebbe dovuto procedervi sin dal rientro dalla missione ispettiva, come risulta dal precedente punto 60.

95      La Repubblica ceca sarebbe, infatti, stata a conoscenza del verbale del 15 novembre 2007, nonché delle prove dell’origine cinese delle merci di cui trattasi ottenute durante la missione e allegate a tale documento, poiché quest’ultimo era stato firmato dalla rappresentante dell’amministrazione doganale ceca, la quale sarebbe stata presente durante tutta la missione e avrebbe partecipato a tutte le riunioni nonché all’ispezione degli impianti di produzione. In tali circostanze, la Repubblica ceca avrebbe avuto a disposizione informazioni sufficienti per procedere, sin dal rientro dalla missione della sua rappresentante, all’accertamento dell’obbligazione doganale.

96      Come risulta dai testi applicabili, ricordati ai precedenti punti da 68 a 77, quali interpretati dalla Corte, gli Stati membri devono accertare un diritto dell’Unione sulle risorse proprie non appena ricorrono le condizioni previste dalla normativa doganale per quanto riguarda la registrazione dell’importo del diritto e la sua comunicazione al soggetto passivo.

97      A tale riguardo, l’articolo 217, paragrafo 1, del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, che istituisce un codice doganale comunitario (GU 1992, L 302, pag. 1; in prosieguo: il «codice doganale»), nella sua versione applicabile alla controversia, dispone che «[o]gni importo di dazi all’importazione o di dazi all’esportazione risultante da un’obbligazione doganale (...) deve essere calcolato dall’autorità doganale non appena disponga degli elementi necessari e da questa iscritto nei registri contabili o in qualsiasi altro supporto che ne faccia le veci (contabilizzazione)».

98      Detti requisiti sono soddisfatti quando le autorità doganali dispongono degli elementi necessari e, pertanto, sono in grado di calcolare l’importo dei dazi che risulta dall’obbligazione doganale e di determinare l’identità del soggetto passivo (v., in tal senso, sentenza del 15 novembre 2005, Commissione/Danimarca, C‑392/02, EU:C:2005:683, punti da 57 a 59).

99      Nel caso di specie, è pacifico che una rappresentante dell’amministrazione doganale ceca abbia partecipato alla missione ispettiva e che quest’ultima abbia firmato il verbale del 15 novembre 2007.

100    La Repubblica ceca afferma che la rappresentante della sua amministrazione doganale non ha ricevuto comunicazione dei documenti in allegato a detto verbale al termine della missione ispettiva, di modo che, a tale data, essa non avrebbe avuto a disposizione le prove necessarie al recupero della somma controversa.

101    In udienza, la Commissione ha confermato di non asserire che la rappresentante dell’amministrazione doganale ceca presente durante la missione ispettiva avesse materialmente ricevuto i documenti allegati al verbale, ma piuttosto che quest’ultima sarebbe stata necessariamente a conoscenza degli elementi di prova raccolti durante tale missione, avendo potuto consultarli.

102    Tuttavia, non si può condividere l’affermazione della Commissione secondo cui sarebbe stato sufficiente che la rappresentante dell’amministrazione doganale ceca «[avesse] visto con i propri occhi quanto [era] avvenuto» affinché la Repubblica ceca, sulla sola base della testimonianza della sua rappresentante, fosse in grado di procedere all’accertamento dei dazi dovuti dalla società BAIDE al rientro dalla missione ispettiva.

103    Non può infatti essere sufficiente avere conoscenza dell’esistenza di una prova per avvalersi di tale prova nell’ambito di un procedimento amministrativo. Al fine di poter effettuare la registrazione dell’importo dei dazi dovuti e di poter informarne il debitore, le autorità ceche avrebbero dovuto essere in grado di convalidare gli elementi di prova raccolti nel corso della missione ispettiva, e successivamente di opporli al contribuente. Orbene, come si è appena detto, è pacifico che tali elementi non sono stati trasmessi alla Repubblica ceca al termine della missione ispettiva.

104    La Commissione deduce tuttavia che, poiché la Repubblica ceca, con il verbale del 15 novembre 2007, era stata informata dell’elenco degli elementi di prova raccolti, incombeva ad essa ottenerne comunicazione facendone richiesta all’OLAF qualora lo avesse ritenuto necessario.

105    A tale riguardo, occorre rilevare che la Repubblica ceca afferma che nessuna base giuridica consentiva alla rappresentante della sua amministrazione doganale di trasmettere direttamente alle autorità nazionali competenti elementi raccolti nell’ambito di una missione condotta sotto la responsabilità dell’OLAF, i quali sarebbero riservati e possono servire come prova in un procedimento amministrativo o giudiziario solo dopo essere stati trasmessi dalla Commissione e verificati dall’OLAF, unici destinatari dei documenti e delle informazioni raccolti nell’ambito di una missione dell’Unione in un paese terzo.

106    Ai sensi del suo articolo 1, il regolamento (CE) n. 515/97 del Consiglio, del 13 marzo 1997, relativo alla mutua assistenza tra le autorità amministrative degli Stati membri e alla collaborazione tra queste e la Commissione per assicurare la corretta applicazione delle normative doganale e agricola (GU 1997, L 82, pag. 1), «determina le condizioni alle quali le autorità amministrative incaricate negli Stati membri dell’esecuzione delle regolamentazioni in materia doganale e agricola collaborano tra loro e con la Commissione allo scopo di assicurare l’osservanza di tali regolamentazioni nell’ambito di un sistema comunitario».

107    L’articolo 12 del regolamento n. 515/97, nella versione applicabile alla controversia, dispone che «[g]li accertamenti, gli attestati, le informazioni, i documenti, le copie conformi a tutte le informazioni ottenute dagli agenti dell’autorità interpellata [ossia l’autorità competente di uno Stato membro cui è indirizzata una richiesta di assistenza] e trasmessi all’autorità richiedente [ossia la competente autorità di uno Stato membro che formula una richiesta di assistenza] nei casi di assistenza di cui agli articoli da 4 a 11 [relativi alle modalità di attuazione dell’assistenza su richiesta] possono essere invocati come elementi di prova dagli organi competenti dello Stato membro dell’autorità richiedente».

108    L’articolo 20 del regolamento n. 515/97 prevede quanto segue:

«1.      Allo scopo di conseguire gli obiettivi del presente regolamento la Commissione può effettuare alle condizioni di cui all’articolo 19, missioni comunitarie di cooperazione e di indagine amministrative in paesi terzi in coordinamento e stretta cooperazione con le autorità competenti degli Stati membri.

2.      Le missioni comunitarie nei paesi terzi di cui al paragrafo 1 si svolgono alle seguenti condizioni:

a)      la missione può essere effettuata su iniziativa della Commissione, eventualmente in base ad elementi informativi forniti dal Parlamento europeo, ovvero su richiesta di uno o più Stati membri;

b)      partecipano alle missioni agenti della Commissione nominati a tale scopo e agenti a tal fine nominati dallo o dagli Stati membri interessati;

c)      la missione può inoltre essere effettuata, con l’accordo della Commissione e degli Stati membri interessati, nell’interesse della Comunità, da agenti di uno Stato membro, segnatamente in applicazione di un accordo bilaterale di assistenza con un paese terzo; in tal caso, la Commissione è informata dei risultati della missione.

(…)».

109    L’articolo 21, facente parte del titolo IV, «Relazioni con i paesi terzi», del regolamento n. 515/97, nella sua versione applicabile alla controversia, precisa quanto segue:

«1.      Le constatazioni effettuate e le informazioni ottenute nel quadro delle missioni comunitarie di cui all’articolo 20, segnatamente sotto forma di documenti comunicati dalle autorità competenti dei paesi terzi interessati, sono trattate a norma dell’articolo 45.

2.      Il disposto dell’articolo 12 si applica, mutatis mutandis, alle constatazioni ed alle informazioni di cui al paragrafo 1.

3.      Ai fini della loro utilizzazione ai sensi dell’articolo 12, la Commissione rilascia alle autorità competenti degli Stati membri, a richiesta di questi ultimi, i documenti originali ottenuti o copie autenticate degli stessi».

110    L’articolo 45 del regolamento n. 515/97, nella versione applicabile alla controversia, così recita:

«1.      Le informazioni comunicate in qualsiasi forma in applicazione del presente regolamento hanno carattere riservato, ivi compresi i dati memorizzati nel [sistema informativo doganale]. Esse sono coperte dal segreto d’ufficio e godono della protezione accordata a informazioni di natura analoga dalla legislazione nazionale dello Stato membro che le ha ricevute o dalle disposizioni corrispondenti che si applicano agli organi comunitari.

Le informazioni di cui al primo comma non possono, in particolare, essere trasmesse a persone diverse da quelle che, negli Stati membri o nell’ambito delle istituzioni comunitarie, sono tenute per le loro funzioni a conoscerle o a servirsene. Esse non possono neppure essere utilizzate a fini diversi da quelli previsti dal presente regolamento, a meno che lo Stato membro o la Commissione che le ha fornite, o che le ha registrate nel [sistema informativo doganale], non vi abbia espressamente acconsentito, fatte salve le condizioni stabilite da detto Stato membro o dalla Commissione e nella misura in cui tale comunicazione o utilizzazione non sia contraria alle disposizioni vigenti nello Stato membro in cui ha sede l’autorità che le ha ricevute.

2.      Fatte salve le disposizioni di cui al titolo V relative al [sistema informativo doganale], le informazioni relative alle persone fisiche e giuridiche costituiscono oggetto delle comunicazioni contemplate dal presente regolamento soltanto nella misura strettamente necessaria ai fini della prevenzione, dell’individuazione o del perseguimento di operazioni contrarie alle regolamentazioni doganale o agricola.

3.      I paragrafi 1 e 2 non ostano acché le informazioni ottenute in applicazione del presente regolamento siano utilizzate in azioni giudiziarie o in procedimenti avviati successivamente per inosservanza delle regolamentazioni doganale o agricola.

(…)».

111    L’articolo 9, intitolato «Relazione sulle indagini e provvedimenti conseguenti alle indagini», del regolamento (CE) n. 1073/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 maggio 1999, relativo alle indagini svolte dall’Ufficio per la lotta antifrode (OLAF) (GU 1999, L 136, pag. 1), è così formulato:

«1.      Al termine di un’indagine, l’Ufficio redige sotto l’autorità del direttore una relazione che contiene in particolare i fatti accertati, l’eventuale indicazione del danno finanziario e le conclusioni dell’indagine, incluse le raccomandazioni del direttore dell’Ufficio sui provvedimenti da prendere.

2.      Queste relazioni sono redatte tenendo conto delle prescrizioni di procedura previste nella legislazione nazionale dello Stato membro interessato. Le relazioni così elaborate costituiscono elementi di prova nei procedimenti amministrativi o giudiziari dello Stato membro nel quale risulti necessario avvalersene al medesimo titolo e alle medesime condizioni delle relazioni amministrative redatte dagli ispettori amministrativi nazionali. Le relazioni sono soggette alle medesime regole di valutazione riguardanti le relazioni amministrative nazionali e hanno valore identico ad esse.

3.      La relazione redatta in seguito ad un’indagine esterna [mediante la quale, conformemente all’articolo 3 del regolamento, l’Ufficio effettua i controlli e le verifiche di cui all’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento (CE, Euratom) n. 2988/95 e alla normativa settoriale di cui all’articolo 9, paragrafo 2, del medesimo negli Stati membri e, secondo gli accordi di cooperazione vigenti, nei paesi terzi] e ogni documento utile ad essa pertinente è trasmesso alle autorità competenti degli Stati membri interessati conformemente alla regolamentazione relativa alle indagini esterne.

(…)».

112    L’articolo 17, intitolato «Missioni d’indagine nei paesi terzi», delle direttive interne sulle procedure d’indagine dell’OLAF (in prosieguo: le «direttive interne») enuncia, al suo paragrafo 5, che «[i] membri dell’unità investigativa [alla quale è stato assegnato il caso da parte del direttore generale dell’OLAF, a norma dell’articolo 6.1 delle direttive interne] impegnati nell’esecuzione della missione d’indagine redigono una relazione delle attività svolte nel corso della missione, di cui una copia è consegnata ai partecipanti [ossia, ai sensi del paragrafo 7, per quanto riguarda le missioni d’indagine nel settore delle dogane o delle risorse proprie, funzionari degli Stati membri interessati che partecipano alla missione d’indagine]».

113    Dopo aver richiamato le disposizioni applicabili alla presente controversia e fatte valere dalle parti, si deve rilevare che dal quadro normativo così definito risulta che la collaborazione degli Stati membri con la Commissione costituisce una condizione essenziale per il rispetto della normativa doganale nell’Unione.

114    A questo scopo, sono svolte missioni comunitarie di cooperazione e di indagine amministrative nei paesi terzi, alle quali partecipano agenti a tal fine nominati dagli Stati membri, conformemente all’articolo 20, paragrafo 2, del regolamento n. 515/97.

115    Sebbene le constatazioni effettuate e le informazioni ottenute nel quadro delle missioni comunitarie abbiano carattere riservato, il segreto professionale da cui sono coperte, a norma dell’articolo 45, paragrafo 1, del regolamento n. 515/97, non può ostare a che esse siano comunicate ai rappresentanti nominati dagli Stati membri nell’ambito di tali missioni, salvo privare di effetto utile l’obiettivo di tale regolamento, quale definito al precedente punto 113, conformemente all’articolo 1 di detto regolamento.

116    In tali circostanze, detti rappresentanti devono essere considerati, ai sensi dell’articolo 45, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 515/97, persone che, negli Stati membri, sono tenute per le loro funzioni a conoscerle o a servirsene.

117    Di conseguenza, le constatazioni e le informazioni raccolte nell’ambito di una missione comunitaria svolta in un paese terzo possono essere utilizzate dagli agenti nominati dagli Stati membri per parteciparvi ai fini dell’applicazione del regolamento n. 515/97.

118    Ai sensi dell’articolo 45, paragrafi 2 e 3, del medesimo regolamento, le informazioni ottenute nell’ambito delle missioni comunitarie possono essere utilizzate per consentire il perseguimento di operazioni contrarie alla regolamentazione doganale, nonché in azioni giudiziarie o in procedimenti avviati successivamente. Siffatte informazioni possono, in particolare, essere invocate come elementi di prova dalle autorità competenti degli Stati membri, ai sensi all’articolo 21, paragrafo 2, del regolamento n. 515/97.

119    In tali circostanze, contrariamente a quanto sostiene la Repubblica ceca, la rappresentante della sua amministrazione doganale nel quadro della missione ispettiva era pienamente legittimata a chiedere e a ricevere dall’OLAF, come sostiene la Commissione, gli elementi di prova allegati al verbale del 15 novembre 2007, senza che vi ostasse l’obbligo di riservatezza previsto dall’articolo 45 del regolamento n. 515/97. Essa era altresì abilitata a comunicarli alle autorità competenti della Repubblica ceca affinché esse utilizzassero gli stessi come elementi di prova nei confronti della società BAIDE nell’ambito del procedimento di riscossione dell’obbligazione doganale dovuta da detta società.

120    A tale riguardo, la Repubblica ceca afferma, tuttavia, come precisato al precedente punto 105, che l’OLAF era tenuto a valutare le constatazioni effettuate in occasione della missione ispettiva prima di trasmetterle nell’ambito della sua relazione sulle indagini, conformemente al punto 17.5 delle direttive interne nonché all’articolo 9, del regolamento n. 1073/1999.

121    La circostanza che l’OLAF verifichi gli elementi di prova prima di trasmetterli nell’ambito della sua relazione, benché idonea a ritardare, se del caso, la comunicazione di tali elementi, non ostava tuttavia, di per sé, a che la Repubblica ceca, come sostiene la Commissione, gliene facesse richiesta sin dal rientro dalla missione della sua rappresentante.

122    Peraltro, non si contesta il fatto che l’OLAF si sia impegnato a comunicare alla Repubblica ceca gli elementi di prova raccolti in occasione della missione ispettiva sin dall’inizio del 2008. Orbene, è pacifico, come peraltro riconosciuto dalla Commissione in udienza, che l’OLAF ha tardato a comunicare la sua relazione, alla quale erano allegati detti elementi.

123    In tali circostanze, non si può addebitare alla Repubblica ceca di aver atteso la comunicazione della relazione dell’OLAF e di non aver chiesto la produzione degli elementi di prova sin dal rientro dalla missione ispettiva.

124    Inoltre, la Repubblica ceca poteva, nel caso di specie, ritenere necessario attendere che tali elementi di prova fossero analizzati e verificati dall’OLAF prima di utilizzarli nell’ambito di un procedimento di accertamento fiscale. L’OLAF era infatti nella posizione migliore per procedere a tale verifica, poiché la raccolta delle prove era avvenuta nell’ambito di un accordo di cooperazione tra la Commissione e il Laos e in assenza di un accordo bilaterale di assistenza tra detto paese e la Repubblica ceca.

125    In tale contesto, la Repubblica ceca ha dimostrato di non essere stata in possesso, sin dal rientro dalla missione ispettiva, degli elementi di prova necessari all’accertamento dei dazi antidumping dovuti dalla società BAIDE in relazione ai 28 casi di importazioni controversi.

126    Di conseguenza, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, la Repubblica ceca, non avendo accertato, nelle circostanze del caso di specie, i diritti in questione nei giorni successivi al rientro dalla missione di controllo, non ha violato gli obblighi che le incombevano in virtù delle disposizioni di cui ai precedenti punti da 68 a 77.

 Sulle conseguenze della cessazione dell’attività della società BAIDE sull’obbligo di mettere a disposizione la somma controversa e sul suo recupero

127    La Repubblica ceca sostiene, come ricordato al precedente punto 52, di non aver potuto procedere alla riscossione della somma controversa in quanto la società BAIDE aveva cessato ogni attività sul territorio nazionale a partire dal maggio 2008, cosicché la maggior parte del patrimonio di tale società non poteva più essere sequestrata quando le è stata consegnata la relazione dell’OLAF.

128    È pacifico che la relazione dell’OLAF consentiva effettivamente di accertare i dazi doganali dovuti dalla società BAIDE. Tale relazione precisa, infatti, che gli elementi di prova dell’origine cinese delle merci erano sufficienti per avviare un procedimento di accertamento fiscale e menziona 28 casi di importazioni controverse riguardanti, in Repubblica ceca, la società BAIDE.

129    È altresì pacifico che la società BAIDE aveva cessato le proprie attività nel territorio della Repubblica ceca a partire dal mese di maggio 2008, circostanza che la Commissione ha riconosciuto in udienza.

130    Risulta inoltre dall’istruttoria, in particolare dall’indagine condotta dalle autorità doganali ceche presso le banche e i servizi comunali della città di Praga (Repubblica ceca), nonché dall’estratto del registro delle imprese, dalla risposta fornita dalle autorità fiscali alla richiesta delle autorità doganali ceche di versare un’eccedenza d’imposta accertata a nome della società BAIDE, dalla risposta a una richiesta di informazioni fiscali e dalla domanda di insolvenza del liquidatore della società BAIDE, acclusi al ricorso, rispettivamente, come allegati A.8, A.19, A.20 e A.21, che la società BAIDE non possedeva più alcun bene sequestrabile sul territorio della Repubblica ceca, ad eccezione delle somme depositate su tre conti aperti presso la Československá obchodní banka, nonché di un’eccedenza d’imposta versata, per i rispettivi importi di CZK 16 047,67, 14,56 dollari USA (USD), EUR 51,60 e CZK 82 300, somme che sono state infine recuperate dalle autorità doganali.

131    La Commissione non contesta il risultato dell’indagine condotta dalle autorità doganali ceche sul patrimonio della società BAIDE, né le conclusioni e i dati finanziari contenuti nei documenti di cui al precedente punto 130. Essa non contesta neppure il fatto che la constatazione della cessazione dell’attività della società BAIDE sia direttamente connessa alla circostanza che, da allora, tale società, oltre agli importi summenzionati, non disponeva di alcun patrimonio sequestrabile nella Repubblica ceca.

132    Infine, la Commissione non sostiene che la Repubblica ceca avrebbe potuto sequestrare un patrimonio maggiore di quello che essa ha infine sequestrato dopo la presentazione della relazione dell’OLAF.

133    Sebbene la Commissione rimproveri alla Repubblica ceca di non aver agito con tutta la diligenza necessaria al termine della missione ispettiva, essa ha confermato in udienza di non voler sostenere che la Repubblica ceca, indipendentemente dalle misure attuate dopo la presentazione della relazione dell’OLAF, avrebbe dovuto recuperare un importo superiore a quello infine recuperato a seguito della presentazione di tale relazione.

134    A tale riguardo, la Commissione ha sostenuto in udienza, in risposta a un quesito postole su tale punto, che «la Repubblica ceca aveva l’obbligo di accertare i dazi doganali nel momento in cui [la società BAIDE] era ancora presente nel territorio ceco, quindi nel periodo compreso tra fine novembre 2007 e fine febbraio 2008», e che essa «avrebbe potuto [così] recuperare più denaro se avesse accertato prima l’obbligazione doganale».

135    Orbene, nelle particolari circostanze del caso di specie, come constatato ai precedenti punti 123 e 124, la Repubblica ceca poteva ragionevolmente attendere la comunicazione della relazione dell’OLAF annunciata per l’inizio del 2008 senza richiedere, già prima di tale data, gli elementi di prova raccolti durante la missione ispettiva. In questo contesto, e tenuto conto del tempo che sarebbe stato necessario per ottenere detti documenti, per loro analisi da parte delle autorità ceche e per lo svolgimento di un procedimento di accertamento fiscale, la Commissione non può fondatamente sostenere che la Repubblica ceca avrebbe potuto recuperare un importo di dazi sulle risorse proprie maggiore se avesse accertato questi ultimi in un momento anteriore.

136    In tali circostanze, dall’istruttoria, tenuto conto degli elementi agli atti e degli argomenti esposti dalle parti, risulta che la cessazione dell’attività della società BAIDE può aver costituito un motivo non imputabile alla Repubblica ceca, che ha potuto legittimamente dispensare tale Stato membro dal mettere la somma controversa a disposizione dell’Unione, sulla base dell’articolo 17, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1150/2000, ricordato al precedente punto 77.

137    Poiché anche la cessazione dell’attività della società BAIDE è intervenuta prima della presentazione della relazione dell’OLAF, la circostanza, quand’anche fondata, che la Repubblica ceca abbia agito con ritardo dopo la presentazione di tale relazione è, in ogni caso, irrilevante ai fini della valutazione dell’obbligo di mettere a disposizione della somma controversa da parte della Repubblica ceca.

 Sull’obbligo di costituire una garanzia per il recupero della somma controversa

138    La Commissione sostiene, tuttavia, che la Repubblica ceca era a conoscenza del rischio di frode da parte della società BAIDE al momento dei controlli precedenti lo svincolo delle merci di cui trattasi. Essa avrebbe quindi dovuto costituire, prima della messa in pratica di tali merci, come è stato precisato al precedente punto 61, una garanzia sufficiente a coprire la differenza che poteva esistere tra l’importo dei dazi dichiarati da tale società e gli importi dei dazi cui siffatte merci potevano in definitiva essere soggette, tenuto conto dei seri dubbi esistenti quanto alla loro origine.

139    La Commissione invoca, sul punto, l’articolo 248 del regolamento (CEE) n. 2454/93 della Commissione, del 2 luglio 1993, che fissa talune disposizioni d’applicazione del regolamento n. 2913/92 (GU 1993, L 253, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento di applicazione del codice doganale»).

140    La Repubblica ceca contesta la posizione della Commissione e sostiene che le autorità doganali non potevano esigere la garanzia nell’ambito dei controlli precedenti lo svincolo delle merci di cui trattasi, mentre, tenuto conto degli elementi disponibili, non esisteva alcuna prova che un’obbligazione doganale fosse sorta o potesse sorgere.

141    La Repubblica ceca invoca, a sostegno della sua argomentazione, l’articolo 190, paragrafo 1, del codice doganale, il quale dispone che «[s]e la normativa doganale prevede la costituzione di una garanzia a titolo facoltativo, è a discrezione dell’autorità doganale richiederla qualora l’adempimento nei termini prescritti dell’obbligazione doganale, che è sorta o che può sorgere, non venga effettuato in modo inequivocabile».

142    Invitata a precisare la sua argomentazione nell’ambito della misura di organizzazione del procedimento di cui al precedente punto 28, la Repubblica ceca ha dichiarato che «nessuna disposizione della normativa doganale in vigore all’epoca dei fatti prevedeva che una garanzia potesse essere richiesta ai sensi dell’[articolo 190 del codice doganale] in seguito a controlli supplementari o a nuove informazioni acquisite dopo che le merci erano state immesse in libera pratica». Essa ne ha tratto la conclusione che sarebbe stato «inconcepibile che le autorità doganali ceche richiedessero una garanzia ai sensi di tale disposizione».

143    Orbene, occorre rilevare che la Commissione, come da essa confermato in udienza, non addebita alla Repubblica ceca, per contestare la sua azione nella presente controversia, di non aver costituito una garanzia dopo l’immissione in libera pratica degli accendini tascabili, ma soltanto di non averlo fatto al momento della concessione dello svincolo.

144    Pertanto, indipendentemente dalla sua fondatezza, l’argomento della Repubblica ceca riguardante le condizioni di applicazione nel caso di specie della garanzia facoltativa prevista dall’articolo 190 del codice doganale non incide sull’esame, nella presente controversia, dell’obbligo di garanzia invocato dalla Commissione per il recupero della somma controversa.

145    A tale riguardo, la Repubblica ceca non contesta il fatto che la visita delle merci di cui trattasi rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 248 del regolamento di applicazione del codice doganale, il quale prevede la costituzione, all’atto della concessione dello svincolo delle merci, di una garanzia per autorizzarne l’immissione in libera pratica nel caso in cui i controlli effettuati possano condurre alla determinazione di un importo di dazi superiore a quello risultante dagli elementi della dichiarazione in dogana. Essa contesta, per contro, che le condizioni per la sua applicazione siano soddisfatte nel caso di specie.

146    Ciò precisato, si può ricordare che, allo stato attuale del diritto dell’Unione, la gestione del sistema delle risorse proprie dell’Unione è affidata agli Stati membri e rientra nella sola responsabilità di questi ultimi (sentenza del 9 luglio 2020, Repubblica ceca/Commissione, C‑575/18 P, EU:C:2020:530, punto 62). In tale contesto, gli Stati membri sono tenuti a prendere tutte le misure necessarie affinché gli importi corrispondenti ai diritti accertati, come ricordato al precedente punto 77, siano messi a disposizione della Commissione, conformemente all’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 1150/2000.

147    Spetta pertanto agli Stati membri, ai sensi all’articolo 18, paragrafo 1, di detto regolamento, procedere alle verifiche e alle indagini relative all’accertamento e alla messa a disposizione delle risorse proprie provenienti, come nel caso di specie, dai dazi della tariffa doganale comune e dagli altri dazi fissati dalle istituzioni sugli scambi con i paesi terzi, come definiti al precedente punto 69.

148    L’accertamento dei dazi avviene secondo la normativa doganale per quanto riguarda la registrazione dell’importo del diritto e la comunicazione del medesimo al soggetto passivo, conformemente all’articolo 2 del medesimo regolamento.

149    L’articolo 74, paragrafo 1, prima frase, del codice doganale enuncia che, «[q]uando l’accettazione di una dichiarazione in dogana faccia sorgere un’obbligazione doganale, lo svincolo delle merci che formano oggetto della dichiarazione può essere autorizzato soltanto se l’importo di tale obbligazione è stato pagato o garantito».

150    L’articolo 248 di cui al titolo VIII «Visita delle merci, riconoscimento dell’ufficio doganale ed altre misure prese dall’ufficio doganale» del regolamento di applicazione del codice doganale è così formulato:

«1.      La concessione dello svincolo dà luogo alla contabilizzazione dei dazi all’importazione determinati sulla base agli elementi della dichiarazione». Quando l’autorità doganale ritenga che i controlli intrapresi possono condurre alla determinazione di un importo di dazi superiore a quello risultante dagli elementi della dichiarazione, essa esige anche la costituzione di una garanzia sufficiente a coprire la differenza tra l’importo risultante dagli elementi della dichiarazione e quello di cui le merci possono in definitiva essere passibili. Tuttavia, il dichiarante ha la facoltà, invece di costituire una garanzia, di richiedere la contabilizzazione immediata dell’importo dei dazi cui possono in definitiva essere soggette le merci.

(…)».

151    Da tali disposizioni risulta che, quando è presentata una dichiarazione in dogana, i dazi applicabili devono essere pagati o coperti da una garanzia prima dello svincolo delle merci. Pertanto, se le autorità doganali ritengono che la verifica della dichiarazione in dogana possa dar luogo a un importo esigibile di dazi all’importazione più elevato di quello risultante dagli elementi della dichiarazione in dogana, il loro svincolo sarà autorizzato dopo la costituzione di una garanzia sufficiente a coprire la differenza di detti importi.

152    A tale riguardo, se è vero che l’articolo 248, paragrafo 1, del regolamento di applicazione del codice doganale attribuisce, mediante l’utilizzo del verbo «ritenere», un certo margine discrezionale alle autorità doganali degli Stati membri quando decidono in merito alla necessità di esigere la costituzione di garanzie, tale margine discrezionale è limitato dal principio di effettività, sancito all’articolo 325, paragrafo 1, TFUE, in forza del quale deve essere garantita una tutela effettiva degli interessi finanziari dell’Unione contro qualsiasi frode o qualsiasi altra attività illegale che possa arrecare pregiudizio a tali interessi.

153    La portata del principio di effettività, in quanto applicabile all’obbligo specifico incombente sugli Stati membri in forza dell’articolo 325, paragrafo 1, TFUE, di garantire la riscossione effettiva e integrale delle risorse proprie dell’Unione costituite dai dazi doganali, non può essere determinata in modo astratto e statico, in quanto dipende dalle caratteristiche della frode o dell’attività illegale di cui trattasi, le quali possono peraltro evolvere nel tempo.

154    Nel caso di specie, per affermare che la Repubblica ceca era a conoscenza del rischio di frode nello svincolo delle merci di cui trattasi, la Commissione deduce, in sostanza, che lo Stato membro ricorrente era stato informato del fatto che il numero di serie a cinque cifre «44001», iscritto sotto la base degli accendini tascabili, poteva far presumere la loro origine cinese.

155    A tal proposito, e in primo luogo, la Commissione espone che tale informazione figurava in una documentazione redatta dall’OLAF e distribuita in occasione di un seminario organizzato il 31 maggio e il 1° giugno 2005 (in prosieguo: la «documentazione dell’OLAF del 2005»). La Commissione riconosce che la Repubblica ceca non ha partecipato al suddetto seminario, ma sostiene che quest’ultima sarebbe stata destinataria di tale documentazione.

156    La Repubblica ceca nega di aver ricevuto la documentazione dell’OLAF del 2005.

157    In udienza, la Commissione ha dichiarato di non «[sapere] esattamente» in quale data la documentazione dell’OLAF del 2005 sarebbe stata ricevuta dalla Repubblica ceca. Essa ha precisato di non aver trovato «prova concreta» dell’invio di tale documentazione alla Repubblica ceca. Dal fascicolo non risulta neppure che una siffatta documentazione, contrariamente a quanto affermato dalla Commissione in udienza, sia stata trasmessa alla Repubblica ceca tra «il mese di giugno e la fine dell’anno [2005]».

158    Inoltre, contrariamente a quanto dedotto dalla Commissione nella controreplica, non risulta neppure dalla comunicazione WOMIS/CZ/2014/5, di cui all’allegato D.3 e datata 3 ottobre 2016, che, «sulla base della [documentazione dell’OLAF del 2005], le autorità ceche hanno elaborato un profilo di rischio il 22 marzo 2006».

159    Infine, se è vero che la Repubblica ceca ha riconosciuto in udienza che, come ivi espressamente indicato, il profilo di rischio da essa elaborato il 22 marzo 2006 era effettivamente basato su informazioni fornite dall’OLAF, essa ha precisato che tali informazioni le erano state fornite in occasione di una riunione svoltasi tra il 20 e il 22 marzo 2006 con i rappresentanti dell’OLAF, senza che la Commissione abbia formulato osservazioni su tale dichiarazione.

160    In tali circostanze, non è dimostrato che la Repubblica ceca abbia ricevuto la documentazione dell’OLAF del 2005 tra il mese di giugno e la fine del 2005.

161    Di conseguenza, la Commissione non può sostenere che la Repubblica ceca sia venuta meno ai suoi obblighi in materia di risorse proprie per non aver costituito, a partire dal 2005, sulla base «di informazioni sufficientemente precise sui rischi» di frode contenute in tale documentazione, una garanzia sui dazi antidumping che potevano essere dovuti dalla società BAIDE, prima dell’immissione in libera pratica degli accendini tascabili.

162    In secondo luogo, la Commissione sostiene che l’informazione relativa al numero di serie «44001», che indicherebbe l’origine cinese degli accendini tascabili, figurava anche nel profilo di rischio che la Repubblica ceca aveva elaborato il 22 marzo 2006 e che essa aveva aggiornato nel novembre successivo (in prosieguo: il «profilo di rischio»).

163    Dal fascicolo risulta che il profilo di rischio, come asserito espressamente dalla Repubblica ceca, è stato adottato per «attir[are] l’attenzione dei diversi uffici doganali sui rischi individuati e obligar[li] a procedere a controlli approfonditi delle merci tenuto conto di tali rischi». Il profilo di rischio sottolinea, come afferma la Commissione, che «il codice numerico a cinque cifre sotto la base degli accendini indica che può trattarsi di accendini originari della Cina».

164    In primo luogo, la Repubblica ceca sostiene che i controlli effettuati sulla base del profilo di rischio non hanno tuttavia consentito di dimostrare che gli accendini tascabili avessero un’origine diversa da quella dichiarata dalla società BAIDE.

165    A questo proposito, la Repubblica ceca rinvia ai punti 43 e 44 della replica, agli allegati da C.1a a C.1f, da C.1h a C.1l e da C.2.a a C.2.n. Essa individua, più in particolare, come risulta dal punto 22 delle sue risposte ai quesiti scritti posti nell’ambito della misura di organizzazione del procedimento di cui al precedente punto 28, gli allegati C.1h e da C.2.a a C.2.n, in particolare i verbali che essi contengono, come relativi a importazioni effettuate dopo l’adozione del profilo di rischio.

166    Tuttavia, la Repubblica ceca non individua in tali allegati, che presentano una selezione di «documenti relativi ai controlli doganali», come identificati nell’elenco allegato alla replica, relativa a 24 delle 28 importazioni di cui trattasi, composta, essenzialmente, dai verbali dei controlli realizzati, dalle fatture emesse dalla società BAIDE nonché da un certo numero di fotografie dei carichi e delle merci interessate, gli elementi di cui essa si avvale per affermare che «nessuno di tali controlli [avrebbe] rivelato elementi indicanti che l’origine reale delle merci fosse diversa dall’origine dichiarata».

167    Anche supponendo che tali elementi siano stati identificati in modo sufficientemente preciso per consentire al Tribunale di valutarne la fondatezza, il carattere frammentario e incompleto di una siffatta documentazione, presentata espressamente in modo selettivo, non può, in ogni caso, consentire di concludere che non vi sarebbe stato alcun elemento idoneo a far presumere l’origine cinese delle merci di cui trattasi. Inoltre, come osservato dalla Commissione al punto 66 della controreplica, nessuna foto degli accendini tascabili è stata acclusa ai documenti selezionati di cui agli allegati C.1b, C.1f, da C.1h a C.1l, da C.2a C.2n.

168    Interrogata a tal proposito nell’ambito della misura di organizzazione di cui al precedente punto 28, la Repubblica ceca si è limitata ad avvalersi di due fotografie supplementari per affermare che le autorità doganali ceche non avevano trovato il numero di serie «44001», segnalato dall’OLAF, iscritto sotto la base degli accendini tascabili, bensì un codice differente, composto da tre lettere e da due cifre, o addirittura nessun codice.

169    La sola produzione di due foto a sostegno di tale argomento non può tuttavia essere sufficiente a dimostrare, come sostiene la Repubblica ceca, che «le fotografie scattate durante i controlli doganali» consentirebbero di concludere che il numero di serie «44001» non figurava sulle importazioni controverse. Inoltre, sebbene le foto di cui all’allegato F.3 facciano effettivamente apparire, sotto la base di due accendini, un codice diverso da quello segnalato dall’OLAF, nessun elemento di tali foto consente di identificare l’importatore di dette merci.

170    Poiché le importazioni controverse riguardavano diversi milioni di accendini, l’assenza, ammesso che sia dimostrata, del numero di serie identificato dall’OLAF sotto la base di una decina di accendini importati dalla società BAIDE, quali raffigurati nelle fotografie accluse agli allegati citati al precedente punto 165, non può quindi essere sufficiente per dimostrare che la Repubblica ceca non avrebbe potuto nutrire dubbi quanto all’origine cinese degli accendini tascabili.

171    Inoltre, la Repubblica ceca non può utilmente avvalersi, per dimostrare che le misure adottate non avrebbero «fatto emergere alcun elemento tale da dimostrare che le merci avessero un’origine diversa da quella dichiarata», dei verbali di cui agli allegati C, poiché tali documenti non fanno che attestare i risultati dei controlli quali si sono effettivamente svolti, sulla base dei soli elementi presi in considerazione.

172    Si deve altresì rilevare, al riguardo, che il punto 6.1 della comunicazione AM 2007/019 della Commissione, del 30 aprile 2007, inviata agli Stati membri nell’ambito della cooperazione reciproca, precisa quanto segue:

«(…)

Per il periodo compreso tra la fine del 2004 e il luglio 2006, il quantitativo di accendini importati nella Comunità dal Laos raggiungeva più di 80 milioni di pezzi.

(…)

Nel corso dei controlli, due Stati membri (dogane ceche e belghe) hanno rilevato, sotto la base dei serbatoi di accendini dichiarati originari del Laos, il codice a 5 cifre attribuito dalle autorità cinesi ai produttori di accendini cinesi. In tal caso, si trattava del codice 44001, il codice dato dalle autorità cinesi al produttore cinese menzionato al punto 7.1.2 [ossia la società BAIDE]».

173    Il punto 12 della medesima comunicazione è peraltro così formulato:

«È stato accertato che il produttore cinese menzionato al punto 7.1.2 ha fissato il suo centro di distribuzione europeo a Praga, nella Repubblica ceca. Le dogane ceche hanno controllato la situazione dell’importazione dell’importatore menzionato al punto 7.2 e collegato all’esportatore.

L’importatore collegato all’esportatore ha immediatamente trasferito lo sdoganamento da un ufficio doganale a un altro al fine di evitare un controllo completo dei carichi di accendini dichiarati originari del Laos.

Successivamente, le merci sono state immesse in libera pratica in Slovacchia. Le dogane slovacche sono state informate del trasporto di accendini da parte delle dogane ceche nel luglio 2006 e, con l’assistenza dell’OLAF, le importazioni di due carichi sono state fermate nell’agosto 2006. Quando le dogane slovacche hanno richiesto le garanzie a copertura dei dazi antidumping sugli accendini, i carichi sono stati riportati in un deposito doganale di Praga.

(…)».

174    Invitata espressamente, nell’ambito della misura di organizzazione del procedimento di cui al precedente punto 28, a presentare le proprie osservazioni in merito alle informazioni contenute nei punti 6.1 e 12 della comunicazione di cui ai precedenti punti 172 e 173, la Repubblica ceca ha affermato che «le informazioni sul significato del codice a cinque cifre contenute nella [suddetta] comunicazione [erano] molto frammentarie e vaghe». Essa non ha tuttavia rimesso in discussione il fatto, menzionato al punto 6.1 di detta comunicazione, che le dogane ceche avessero rilevato, indipendentemente dal suo significato esatto, un siffatto numero di serie sotto la base degli accendini importati dalla società BAIDE.

175    Anche se la Repubblica ceca ha sostenuto che la comunicazione in parola era irrilevante nella presente controversia in quanto era stata redatta successivamente all’immissione in libera pratica delle importazioni controverse, tale circostanza non può neppure, di per sé, invalidare le informazioni contenute in detta comunicazione secondo le quali le dogane ceche avevano individuato sotto la base degli accendini il numero di serie «44001».

176    In aggiunta, poiché tale comunicazione, come sottolineato dalla Repubblica ceca, è stata trasmessa solo dopo l’immissione in libera pratica delle merci, la circostanza che l’OLAF non raccomandasse la costituzione di una garanzia nella comunicazione di cui trattasi non può essere validamente presa in considerazione per valutare l’obbligo per la Repubblica ceca di costituire una siffatta garanzia al momento dello svincolo di tali merci.

177    Tuttavia, invitata nuovamente in udienza a presentare le proprie osservazioni sulle informazioni contenute ai punti 6.1 e 12 della comunicazione AM/2007/019, la Repubblica ceca non ha fornito alcun elemento concreto tale da invalidarle. Essa non ha del resto negato di aver avvertito le dogane slovacche dell’esistenza di importazioni fraudolente, come risulta dal punto 12 della comunicazione AM/2007/019.

178    Si deve quindi constatare che la Repubblica ceca, pur invitata per iscritto a fornire chiarimenti sulle informazioni contenute ai punti 6.1 e 12 della comunicazione AM/2007/019, non è stata in grado di presentare elementi sufficientemente precisi e pertinenti tali da confutarle. Essa non può quindi sostenere di non aver individuato il numero di serie segnalato dall’OLAF quando ha avvisato le autorità slovacche dell’esistenza di importazioni fraudolente, dichiarate provenienti dal Laos e precedentemente introdotte nel suo territorio dalla società BAIDE.

179    Sebbene la Repubblica ceca cerchi di contestare la pertinenza delle informazioni trasmesse dall’OLAF per valutare l’origine delle merci di cui trattasi, sostenendo, come indicato al precedente punto 174, che il loro carattere lacunoso non le avrebbe consentito, in sostanza, di essere certa del loro significato, è pacifico, come confermato in udienza, che essa non ha interrogato l’OLAF sull’esattezza delle informazioni così trasmesse, sebbene le abbia riprese tali e quali nel profilo di rischio.

180    Inoltre, occorre ricordare che spetta alle autorità doganali degli Stati membri vigilare sull’applicazione del diritto doganale dell’Unione e, in particolare, effettuare controlli doganali adeguati al fine di tutelare, in modo effettivo, gli interessi finanziari di quest’ultima. Lo svolgimento di una siffatta missione richiede da parte di tali autorità un lavoro continuo, coerente e sistemico. Benché le azioni di controllo doganale intraprese a livello dell’Unione mirino a sostenere gli Stati membri, esse non possono, in ogni caso, sostituire l’azione di controllo e di tutela effettiva degli interessi finanziari dell’Unione loro incombenti.

181    Infine, contrariamente a quanto sostiene la Repubblica ceca, la costituzione di una garanzia per il recupero della somma controversa non richiedeva, al momento dello svincolo delle merci in questione, la certezza che la loro origine fosse diversa da quella dichiarata, ma soltanto la presenza di indizi che potessero condurre, al momento del controllo di tali merci, alla determinazione di un importo di dazi superiore a quello risultante dagli elementi della dichiarazione in dogana.

182    A tale riguardo, la Repubblica ceca non può oggi sostenere che avrebbe potuto nutrire soltanto vaghi sospetti circa la natura fraudolenta delle importazioni controverse, mentre essa stessa ha riconosciuto nel profilo di rischio che «esiste[va] un ragionevole sospetto di elusione della normativa doganale», precisato che l’obiettivo del controllo interno era «di adottare tutti le misure possibili per impedire l’elusione dei dazi antidumping, attraverso una classificazione tariffaria diversa o una dichiarazione di origine diversa delle merci» e indicato che veniva raccomandato, se del caso, «di eseguire un sequestro fino a concorrenza dell’importo del dazio antidumping».

183    La Repubblica ceca, come è stato precisato al precedente punto 178, ha inoltre avvertito le dogane slovacche dell’esistenza di importazioni fraudolente. Essa ha altresì attuato un certo numero di misure in seguito all’adozione del profilo di rischio, le quali rivelano, quanto meno, che essa era a conoscenza del rischio di frode sin dall’attuazione di tale profilo. La Repubblica ceca non nega, come sottolineato dalla Commissione al punto 15 del controricorso, di aver inviato, il 13 aprile 2006, una lettera all’OLAF su sospetti di frode da parte della società BAIDE, né di aver avviato un’indagine relativa a tale società il 28 agosto 2006. Essa non smentisce neppure di aver trasmesso all’OLAF, prima della sua missione ispettiva, l’elenco delle importazioni controverse la cui origine doveva essere verificata.

184    Tuttavia, e in secondo luogo, la Repubblica ceca sostiene che, anche supponendo che essa, tenuto conto delle informazioni dell’OLAF, avesse dovuto costituire una garanzia per il recupero della somma controversa, essa avrebbe dovuto svincolarla, dato che le autorità laotiane avevano confermato l’autenticità dei certificati di origine delle merci di cui trattasi e che non esisteva «alcuna prova che dimostrasse il contrario».

185    La mera circostanza, ciononostante e indipendentemente dalla portata giuridica che può essere attribuita nell’ambito della controversia alle dichiarazioni delle autorità laotiane, che queste ultime abbiano confermato l’autenticità dei certificati di origine allegati dalla società BAIDE in 2 dei 28 casi di importazione controverse non poteva, in ogni caso, essere sufficiente a fugare i dubbi che la stessa Repubblica ceca aveva nutrito sulla base delle informazioni comunicate dall’OLAF con riferimento all’insieme delle importazioni della società BAIDE effettuate dal Laos.

186    Tutt’al più, i certificati prodotti dalla società BAIDE avrebbero potuto servire da indizi dell’origine laotiana degli accendini tascabili soltanto laddove tale origine fosse stata corroborata, e non invece, come nel caso di specie, invalidata dagli altri elementi in possesso della Repubblica ceca al momento dello svincolo delle merci di cui trattasi.

187    Tenuto conto di quanto precede, la Repubblica ceca era tenuta, sulla base dell’articolo 248, paragrafo 1, del regolamento di applicazione del codice doganale, a costituire una garanzia per il recupero dei dazi antidumping che potevano essere dovuti dalla società BAIDE a decorrere dall’adozione del profilo di rischio, ossia a partire dal 22 marzo 2006.

 Conclusione generale sull’esistenza di un arricchimento senza causa dell’Unione

188    Come risulta dai precedenti punti 123 e 124, la Repubblica ceca è stata in grado di accertare i dazi doganali dovuti dalla società BAIDE sulle importazioni controverse a decorrere dalla presentazione della relazione dell’OLAF.

189    Come rilevato supra al punto 129, la presentazione della relazione dell’OLAF è stata tuttavia effettuata dopo la cessazione dell’attività della società BAIDE.

190    Conformemente alla conclusione del punto 136, la cessazione dell’attività della società BAIDE, precedente alla presentazione della relazione dell’OLAF, è stata idonea a costituire un motivo non imputabile alla Repubblica ceca, ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1150/2000, che poteva legittimamente dispensarla dal mettere la somma controversa a disposizione dell’Unione, dato che in tal caso nessun patrimonio poteva più essere sequestrato nel territorio della Repubblica ceca.

191    Si è tuttavia concluso, al precedente punto 187, che la Repubblica ceca era tenuta, sulla base dell’articolo 248, paragrafo 1, del regolamento di applicazione del codice doganale, a costituire una garanzia sulle somme da recuperare per i dazi antidumping dovuti dalla società BAIDE a decorrere dal 22 marzo 2006.

192    È pacifico tra le parti che le importazioni controverse, come da esse confermato in udienza, sono state effettuate tra il 26 settembre 2005 e il 1° marzo 2007. Inoltre, la Commissione ha affermato in udienza che l’obbligo di garanzia doveva riguardare tutte le importazioni controverse.

193    Dal documento di cui all’allegato F.1, nonché dalla tabella di cui all’allegato B.7, risulta che, a partire dal 22 marzo 2006, sono state effettuate sedici importazioni, la prima l’11 aprile 2006, l’ultima il 1° marzo 2007.

194    Alla luce di quanto precede, occorre concludere dichiarando l’esistenza di un arricchimento senza causa dell’Unione per l’importo della somma controversa corrispondente ai dazi antidumping dovuti dalla società BAIDE sulle prime dodici importazioni di accendini tascabili, effettuate tra il 26 settembre 2005, data della prima, e il 20 febbraio 2006, data dell’ultima, vale a dire sulle importazioni del 26 settembre, del 7, 15, 27, 29 e 30 novembre 2005, del 3, 10, 16, 17 e 27 gennaio e del 20 febbraio 2006.

195    Di conseguenza, occorre accogliere il ricorso nella parte in cui è diretto al rimborso, in favore della Repubblica ceca, della somma di cui al precedente punto 194, ossia, tenuto conto dei dati finanziari prodotti nell’allegato F.1 e non contestati dalla Commissione, della somma di CZK 17 828 399,66 versata a titolo di risorse proprie dell’Unione, sul conto della Commissione previsto a tal fine.

196    Per il resto, il ricorso è respinto.

 Sulle spese

197    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 3, del regolamento di procedura, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, le spese sono compensate.

198    Nel caso di specie, poiché la Repubblica ceca e la Commissione sono rimaste parzialmente soccombenti, occorre disporre che ciascuna parte si faccia carico delle proprie spese.

199    Il Regno del Belgio e la Repubblica di Polonia si faranno carico delle proprie spese, ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Sesta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso della Repubblica ceca è accolto nella parte in cui è diretto alla restituzione, da parte della Commissione europea, della somma di 17 828 399,66 corone ceche (CZK) versata a titolo di risorse proprie dell’Unione europea.

2)      Il ricorso è respinto quanto al resto.

3)      Ciascuna parte si farà carico delle proprie spese.

Marcoulli

Schwarcz

Norkus

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo l’11 maggio 2022.

Firme


*      Lingua processuale: il ceco.